Il cuore di Siena Mariella Carlotti
Mariella Carlotti è nata a Perugia nel 1960, dove si è laureata in lettere, ma da molti anni vive a Firenze. Insegnante alle scuole secondarie superiori, si è interessata di arte con pubblicazioni, conferenze e mostre didattiche. Per la Società Editrice Fiorentina ha pubblicato Il lavoro e l’ideale. Il ciclo delle formelle del Campanile di Giotto e Il bene di tutti. Gli affreschi del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Pubblico di Siena.
In copertina Duccio di Buoninsegna, Maestà, congedo dagli apostoli, cuspide del coronamento, parte anteriore (Opera della Metropolitana, Siena)
Mariella Carlotti
Il cuore di Siena La Maestà di Duccio di Buoninsegna
euro 16,00
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Società
Editrice Fiorentina
Il 9 giugno 1311, il popolo di Siena portò in Duomo, con solenne processione, la Maestà di Duccio di Buoninsegna, già subito ritenuta «la più bella tavola che mai si vedesse e facesse». Nel VII centenario dell’evento, il presente volume ripercorre la storia e i significati di questa grande opera, che per secoli fu sentita come il cuore di Siena.
Mariella Carlotti
Il cuore di Siena La MaestĂ di Duccio di Buoninsegna
presentazione di
Antonio Buoncristiani prefazione di
Mario Lorenzoni
SocietĂ
Editrice Fiorentina
© 2011 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it blog www.seflog.net/blog facebook account www.facebook.com/sefeditrice twitter account www.twitter.com/sefeditrice isbn 978-88-6032-182-4 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata L’Editore desidera ringraziare don Giuseppe Acampa, Arcidiocesi di Siena, e il dott. Mario Lorenzoni, rettore dell’Opera della Metropolitana, per l’interesse e la disponibilità mostrate verso questa iniziativa editoriale.
Referenze fotografiche Archivio di Stato, Siena (aut. n. 870/2011) pp. 19, 20, 23 Foto Lensini, Siena pp. 68-69 Opera della Metropolitana, Siena (aut. n. 257/2011) per tutte le immagini della Maestà di Duccio di Buoninsegna conservate presso il museo dell’Opera e per la vetrata del Duomo di Siena (p. 106) L’Editore è a disposizione di tutti gli eventuali proprietari di diritti sulle immagini riprodotte È vietata la riproduzione o duplicazione, con qualsiasi mezzo, delle immagini contenute nel volume
Mater Sancta Dei, sis causa Senis requiei Sis Ducio vita, te quia pinxit ita (Santa Madre di Dio, sii la causa della pace di Siena, sii la vita di Duccio, perchĂŠ ti ha dipinta cosĂŹ).
Presentazione
È con una certa emozione e con motivato orgoglio cittadino che desideriamo rivivere simbolicamente il VII centenario del solenne festoso corteo processionale che, la sera del 9 giugno 1311, portò nel Duomo di Siena la Maestà di Duccio di Buoninsegna, già subito ritenuta «la più bella tavola che mai si vedesse e facesse». Un giudizio che riteniamo ancora valido, ed è per questo che esprimo sincera gratitudine alla nostra Opera del Duomo che, per tale occasione, ha voluto stampare questo accurato lavoro di Mariella Carlotti, con splendide riproduzioni complete che ne potranno favorire una più approfondita conoscenza divulgativa. Infatti la Maestà è un’opera di tale bellezza e suggestione da meritare una visione non limitata alle singole raffigurazioni e una valorizzazione museale che ne faccia comprendere a pieno il contesto ambientale ed il fine per
il quale venne commissionata, costruita e dipinta. Per due secoli, la destinazione è stata quella dell’Altare maggiore della Cattedrale di Siena costruita tra il XIII e il XIV secolo come cuore spirituale della Città e inno di gloria alla sua Regina e Patrona. La straordinaria ancona aveva dimensioni imponenti e, oltre ad essere dipinta da due parti, aveva un predella istoriata ai due lati ed era ornata di cuspidi, come «una sorta di cattedrale umana dipinta entro una Cattedrale di pietra e di marmi» (Enzo Carli). Sulla prevalente decorazione “a foglia d’oro”, si stagliavano i colori in tutta una gamma di tonalità anche simboliche, e le varie raffigurazioni erano poste in una ambientazione quasi geometrica o in uno scarno paesaggio, ridotto all’essenziale con pochi alberi e pietre brulle, che servivano mirabilmente a dare profondità alle immagini.
Presentazione
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La Cattedrale gotica era intesa idealmente come una specie di Gerusalemme terrena che rendeva presente quella celeste e il segreto del suo fascino era l’ordine, la proporzione e soprattutto la luce che la qualificava nel ricercare la manifestazione dello splendore originario di Dio. Ciò valeva pure per Siena, anche se attualmente, a causa delle varie trasformazioni subite successivamente, vi prevalgono ombre che pure hanno un differente fascino. Ma nel tempo dell’ideazione della Maestà, oltre alla vetrata di Duccio che già dominava l’abside con i suoi lucenti colori, e a quella centrale della facciata, la nostra Chiesa (tra bifore, trifore e monofore) aveva circa 42 aperture di luce distribuite in ogni direzione, permettendo ai raggi del sole di dominare lo spazio sacro, culminando con il bagliore che proveniva dell’alto della cupola con 14 aperture oltre al vertice della lanterna. Tutta quella luce faceva risplendere l’oro della tavola evidenziandone la centralità e l’importanza, quasi come segno di una presenza reale, attribuendo all’intero edificio una straordinaria valenza simbolica che lo rendeva vera “Casa di Dio e del suo Popolo”. Oltre l’esattezza delle linee e l’equilibrio dei colori, poteva essere percepita la carica di un profondo senso religioso che si poneva con meravi-
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glia dinanzi alla Trascendenza. Si può dunque comprendere come nel 1440 il progetto di una vetrata colorata anche nell’occhio della facciata, venisse duramente criticato e poi realizzato solo nel 1549 ad opera del Pastorino, quando oramai la Maestà era stata spostata per ricostruire un nuovo Altare maggiore più vicino all’abside. Mi piace comunque ricordare come il fascino, almeno devozionale, della Maestà non era ancora diminuito se nel 1550 – oramai quasi alla fine dello Stato Senese – essa venne portata solennemente fino alla Fortezza spagnola, in modo che vedesse con i suoi occhi «l’antique mura e li alti palazii già in parte mossi in ruina». Una prova ulteriore che davvero il rapporto di Siena con la Vergine Maria è stato come un filo conduttore in tutta la sua storia. Questo rapporto, del tutto speciale, veniva riconfermato in ogni momento di crisi: pestilenze, carestie, minacce interne ed esterne alla libertà cittadina. Lo stesso Palazzo del Comune era già stato definito come «Domus Virginis», con la Maestà di Simone Martini (1315) nella grande Sala del Consiglio e con più Cappelle in suo onore. La stessa forma di Piazza del Campo veniva significata come il manto protettore della Vergine, ed era diventata una chiesa mariana all’aperto con la costruzione della Cap-
pella nel 1353 – in adempimento del voto nella peste del 1348 – dove ogni mattina feriale vi si celebrava la Messa «tanto che tutti coloro, che vengono a vendere, e comprare in Piazza, siccome i Bottegai possono dalle botteghe loro ascoltarla». Anche nel 1526 la vittoria di Camollia – contro le forze papali e fiorentine – venne attribuita all’intercessione della Vergine e una cerimonia, analoga a quella di Montaperti, ci fu di nuovo prima della sconfitta definitiva della Repubblica nel 1554, ma senza il risultato sperato. L’esperienza religiosa di Siena sopravvisse comunque e persino aumentò, dato che le manifestazioni rituali legate al culto e alle feste tradizionali «divennero praticamente i soli canali attraverso i quali potesse ancora esprimersi un’identità collettiva senese». Ed è in questa ricerca di una nuova espressione di identità culturale che si è sviluppato anche il culto popolare della Madonna di Provenzano. Concludo questa prima riflessione con quanto scrive sinteticamente la nostra Autrice a proposito dell’immagine centrale della Maestà: la Vergine Maria è «il primo tempio di Dio, immagine perfetta di ciò che è la Chiesa: una realtà umana che “contiene” Cristo e lo partorisce nel tempo […] è infatti lei il cuore della Cattedrale e l’immagine perfet-
ta della misteriosa realtà della Chiesa. Maria infatti, come la Chiesa, è una realtà umana che porta nel suo grembo il mistero di Cristo, lo partorisce nel tempo e lo offre agli uomini che cercano la strada del loro destino […] il coro di angeli e santi intorno alla Vergine era completata dal popolo cristiano che gremiva il Duomo e i patroni della città inginocchiati davanti a Maria erano il punto che legava la Chiesa che viveva a Siena la sua avventura terrena a quella che trionfava in Paradiso, come un unico avvenimento nel tempo e nell’eternità». Merita particolare considerazione l’aspetto di «Biblia pauperum» (Bibbia dei semplici) che la Maestà di Duccio presenta in modo del tutto straordinario, con una segreta ricchezza che si rivela come una miniera inesauribile, in una perfezione difficilmente raggiungibile. E ciò può essere compreso nell’autocoscienza degli artisti senesi che allora si definivano «manifestatori agli uomini grossi che non sanno lectera, de le cose miracolose operate per virtù et in virtù della santa fede». L’iconografia è talmente suggestiva ed elaborata con particolari significati e collegamenti simbolici che è davvero probabile l’ipotesi di una diretta collaborazione di Ruggero da Casole, vescovo di Siena dal
Presentazione
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1307 al 1317. Era stato frate nel Convento Domenicano di Siena dove aveva insegnato filosofia e teologia ed è lui che poi aveva indetto quella «magna et divota» solenne processione attorno al «champo» per andare ad intronizzare in Duomo questa mirabile opera. Le varie scene evangeliche hanno il sapore di una «Scrittura viva» che, oltre all’ammirazione, è capace di introdurti ad una riflessione contemplativa che ti sollecita a capire e anche a pregare. Un esempio che ritengo affascinante è quello dello spazio riservato alla tre tentazioni di Gesù (Mt 4, 1-11). Ne sono rimaste solo due, ma mi appare più che certo che la prima sia andata dispersa, così come il Battesimo di Giovanni. Ricavo questa presunta certezza dalla corrispondenza con le raffigurazioni dei tre rinnegamenti dell’Apostolo Pietro (Gv 18, 15-27) per il quale non manca anche il suo tentativo di difesa di Gesù nell’Orto degli Olivi; e pure Giuda Iscariota compare tre volte in relazione al suo tradimento [Gesù lo indica tale porgendogli un boccone (Gv 13, 24-30) – complotto con i Sacerdoti e gli Anziani (Mt 27, 3-5) – il bacio di tradimento (Mt 26, 47-50)]. Nella contemplazione dell’Amore del Cristo, sembra che Duccio senta il bisogno di mettere in evidenza tutta la fragilità umana
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di cui lui stesso faceva esperienza nella sua vita incongruente ed agitata. Quanto appena accennato fa intuire come l’arte sacra possa davvero essere di straordinario aiuto non solo alla catechesi ma persino per una intuizione della fede. Concludo sottolineando come la Maestà di Duccio, massima espressione della devozione mariana di Siena, sia stata certamente oggetto di riflessione e di preghiera per i grandi Santi senesi. L’epoca d’oro della nostra Città ci presenta una Chiesa composta pure di peccatori ma anche ricca di straordinari testimoni di fede tra i quali si distinguono particolarmente S. Bernardo Tolomei (12721348) fondatore dei Monaci Olivetani, il B. Giovanni Colombini (1304-1361) fondatore dell’Ordine dei Gesuati, S. Caterina Benincasa (1347-1380) e S. Bernardino, tutti caratterizzati da una profonda devozione mariana. Forse non è un caso che si tratti dell’identica stagione dello splendore dell’arte senese che fa capo a Duccio († 1318-19), a Simone Martini († 1344) e a Pietro e Ambrogio Lorenzetti (†1348). Il fatto che un’icona sia stata oggetto di venerazione per secoli e che a quella immagine si siano rivolti con sentimenti di disperazione, di tristezza, di speranza o di abbandono,
tante generazioni di credenti, la rendono sacra ben al di là dei suoi aspetti artistici e dei suoi significati iconologici. Quando ci poniamo davanti per ammirarla non possiamo fare a meno di considerare che questa nostra stessa esperienza è stata per tanti persino uno strumento di conversione. E mi viene in mente, per condividerla con tutti gli eventuali visitatori della nostra Maestà, una riflessione di Atenagora, Patriarca di Costantinopoli: «Mi trovavo un giorno qui vicino, nella chiesa di san Nicola. Pensavo a tutti i fedeli che l’hanno frequentata da quando è stata costruita, quattro secoli fa. Migliaia di fedeli. Dove saranno? Dove sono le loro anime? D’un tratto ho compreso: hanno pregato qui, in questa chiesa, qui venerato le icone, qui condiviso il pane di vita: è qui che esse
sono, nella comunione dei santi, nella presenza del Cristo. Nel suo amore, non siamo separati. Poiché Dio esiste, Dio esiste. L’eternità esiste. È il suo amore, nel quale vuole riunirci tutti. Al momento della risurrezione, egli sarà tutto in tutti. Il tempo crudele che logora e che uccide, lo spazio che urta e separa, non esisteranno più. Sarà lui il nostro tempo, sarà lui il nostro spazio. Poiché egli esiste, egli esiste. Non lo si può spiegare. È il segreto della fede, l’esperienza beata della fede». Siena, Pasqua di Risurrezione 2011 Antonio Buoncristiani Arcivescovo di Siena
Presentazione
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Prefazione
La Maestà di Duccio, ormai lontana dalla sua originaria interezza, circonda chiunque entri nella sala del Museo dell’Opera che fisicamente la custodisce. Chi, investito del compito della sua cura e custodia, percorre questa sala, può rinnovare con lei uno straordinario appuntamento quotidiano, perpetuando un dialogo muto, fatto anche solo di sguardi fugaci, ma d’intesa. Quando fu terminata, 700 anni fa, questa splendida pala d’altare probabilmente attendeva per sé una vita tranquilla, nella quale avrebbe avuto tutto il tempo di assorbire e ripensare i fasti di una processione gloriosa, che dal laboratorio di Duccio la portò all’altare della Cattedrale, consegnandola alla devozione e alla ammirazione del popolo. Non fu una previsione esatta: nei secoli il suo destino è mutato tante volte, con alterne fortune, vicende diverse, momenti più o meno tristi. Poi, da ultimo, è venuto il momento della comprensione: una comprensione, finalmen-
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te senza tempo, del valore di un capolavoro di fede e di arte, che non può essere imprigionato in classifiche mutevoli di artisti, di mode, di stili, di correnti di pensiero. È questo che oggi vogliamo celebrare: una espressione di fede senza età, di arte senza confini, che fu raccontata per il popolo e che il popolo accolse e condivise spontaneamente, e continua spontaneamente a ricordare. La Maestà è, oggi, il capolavoro di un artista senese che ha voluto esprimere e comunicare la sua arte e la sua fede con ciò che aveva a disposizione: il talento, il cuore, le emozioni. A noi tocca custodirla con ogni cura possibile, perché questa testimonianza di allora resti viva e immutata, anche al passare dei secoli, e continui il suo muto dialogo con chi verrà dopo di noi. Il Museo dell’Opera accoglie ogni giorno visitatori che si fermano ad ammirare l’opera di Duccio, anche se non era questa una delle mete previste del loro viaggio, probabilmente
perché un messaggio così pieno, così intenso e raccolto a un tempo, quale è quello che in ogni momento muove dalla tavola per incontrare l’occhio e il cuore del pubblico, non può non raggiungere anche chi non lo stava cercando; ed è in questo il piccolo contributo che offriamo quotidianamente a chi si ferma a Siena, che può ripartire con una immagine, un pensiero, un sentimento in più per la vita di tutti i giorni.
Della tavola di Duccio Mariella Carlotti ci racconta la storia, l’arte, la leggenda del suo tempo, la fede, in un volume che ci dà ancora qualche motivo in più per amare questo capolavoro. Mario Lorenzoni Rettore dell’Opera della Metropolitana
Prefazione
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«Sena vetus, civitas Virginis» (Antica Siena, città della Vergine)
siena:
“figlia della strada”, “città della vergine” La leggenda narra che Aschio e Senio, figli di Remo, scapparono da Roma per sfuggire alle ire dello zio Romolo, dopo aver trafugato nel tempio di Apollo, il simulacro dell’Urbe, la lupa con i gemelli. I due fratelli fondarono Siena (dal nome di Senio), i cui colori sono il bianco e il nero, come le due nubi di fumo che si levarono quando essi offrirono il primo sacrificio a Diana per l’erigenda città. Il mitico racconto dà ragione dello stemma della città – la lupa con i gemelli – e dei suoi colori araldici, ma certamente tenta di nobilitare, legandola a Roma, la storia di un centro che per molti secoli rimase minore. La leggenda senese risponde ad altri racconti che denigravano le origini della città: l’inglese Giovanni di Salisbury ne attribuiva la fondazione a Brenno, capo dei Galli Senoni, che vi avrebbe lasciato i soldati più vecchi
Porta Camoll ìa
percorso citta dino della via Francigena
PortaOvile
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Fonte Branda PortaFonte Branda
Il Cam po Duomo
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PortaLaterina
PortaS.M arco
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PortaS.Vien
PortaRomana
PortaTufi
Cartina di Siena con il percorso della via Francigena
«Sena vetus, civitas Virginis» (Antica Siena, città della Vergine)
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Indice
7 Presentazione di Antonio Buoncristiani 12 Prefazione di Mario Lorenzoni 15 «sena vetus, civitas virginis» (antica siena, città della vergine) 17 Siena: “figlia della strada”, “città della Vergine” 22 Il Duomo 25 Duccio di Buoninsegna 26 La Maestà di Duccio: la storia 33 la maestà: il prospetto 35 Lo scomparto centrale: Madonna in trono col bambino, angeli e santi
45 La predella: storie di Maria e dell’infanzia di Cristo e profeti 53 Il coronamento: storie della morte della Vergine
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la maestà: il tergo La predella: storie della vita pubblica di Cristo Lo scomparto centrale: storie della passione di Cristo Il coronamento: storie di Cristo risorto e Pentecoste
105 la vetrata del duomo di siena 109 Note 110 Bibliografia essenziale