Piazza del Duomo a Firenze Mariella Carlotti
Mariella Carlotti è nata a Perugia nel 1960, dove si è laureata in lettere, ma da molti anni vive a Firenze. Insegnante alle scuole secondarie superiori, si è interessata di arte con pubblicazioni, conferenze e mostre didattiche. Per la Società Editrice Fiorentina ha pubblicato Il lavoro e l’ideale. Il ciclo delle formelle del Campanile di Giotto (2008); Il bene di tutti. Gli affreschi del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Pubblico di Siena (2010), Il cuore di Siena. La Maestà di Duccio di Buoninsegna (2011), Ante gradus. Quando la certezza diventa creativa. Gli affreschi del Pellegrinaio di Santa Maria della Scala a Siena (2011) e Il luogo della memoria. L’opera di beato Angelico nel convento di San Marco a Firenze (2013).
euro 15,00
In copertina Anonimo Fiorentino, Madonna della Misericordia, particolare, Museo del Bigallo (Studio Fotografico Quattrone)
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Mariella Carlotti
Piazza del Duomo a Firenze tra fede, storia e arte
Nella piazza del Duomo, cuore religioso di Firenze, è rappresentata tutta la affascinante coscienza dell’esistenza che scaturisce dalla fede. Nei cicli musivi e scultorei del Battistero – il bel San Giovanni tanto caro a Dante – è descritta tutta la sorpresa del cuore di fronte all’avvenimento di Cristo così imprevedibilmente corrispondente all’attesa umana. L’evento di Cristo, del Dio fatto uomo, continua ad abitare la storia attraverso il popolo dei credenti: la Cattedrale celebra Maria, l’inizio di questa generazione nuova che solca i secoli. Nel Campanile tale avventura si compie con la celebrazione del lavoro, rappresentato alla base della torre: l’uomo è chiamato da Dio a essere corresponsabile della creazione, nel lungo ed esaltante cammino che rende storia il tempo. In piazza, accanto alla Cattedrale, la sede della Confraternita della Misericordia che da otto secoli serve il bisogno dei poveri è lì a ricordare che la suprema bellezza della vita umana è la carità, in cui fiorisce la testimonianza della fede, «questa cara gioia / sopra la quale ogne virtù si fonda» (Paradiso, xxiv, 89-90).
Mariella Carlotti
Piazza del Duomo a Firenze tra fede, storia e arte
© 2015 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it facebook account www.facebook.com/sefeditrice twitter account @sefeditrice isbn 978-88-6032-344-6 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata Grafica e impaginazione Andrea Tasso, borgoognissantitre Stampa Grafiche Corrà (Arcole - VR), agosto 2015 Referenze fotografiche Foto Scala, Firenze: pp. 38, 50-51, 76, 79 Opera di Santa Maria del Fiore (per gentile concessione) per tutte le immagini pubblicate a esclusione di quelle alle pp. 13, 38, 50-51, 62 (in basso), 76, 79, 110 Studio Fotografico Quattrone: copertina, 13, 61, 110 Anibal Trejo, Fotolia: p. 62 (in basso) È vietata la riproduzione o duplicazione, con qualsiasi mezzo, delle immagini contenute nel volume
Introduzione
Quando si dice umanesimo è difficile che il pensiero non corra a Firenze: in questa città, il cristianesimo ha generato una cultura dell’uomo che si è espressa con il linguaggio della bellezza della creazione artistica. Arnolfo, Giotto, Masaccio, Ghiberti, Brunelleschi, Donatello, Beato Angelico, Leonardo e Michelangelo sono solo alcuni dei nomi di questa impressionante epopea estetica. Nella piazza del Duomo, cuore religioso di Firenze, è rappresentata tutta la affascinante coscienza dell’esistenza che scaturisce dalla fede. Nei cicli musivi e scultorei del Battistero – il bel San Giovanni tanto caro a Dante – è descritta tutta la sorpresa del cuore di fronte all’avvenimento di Cristo così imprevedibilmente corrispondente all’attesa umana. L’evento di Cristo, del Dio fatto uomo, continua ad abitare la storia attraverso il popolo dei credenti: la Cattedrale celebra Maria, l’inizio di questa generazione nuova che solca i secoli. Nel Campanile tale avven-
tura si compie con la celebrazione del lavoro, rappresentato alla base della torre: l’uomo è chiamato da Dio a essere corresponsabile della creazione, nel lungo ed esaltante cammino che rende storia il tempo. In piazza, accanto alla Cattedrale, la sede della Confraternita della Misericordia che da otto secoli serve il bisogno dei poveri è lì a ricordare che la suprema bellezza della vita umana è la carità, in cui fiorisce la testimonianza della fede, «questa cara gioia / sopra la quale ogne virtù si fonda» (Paradiso, xxiv, 89-90). Tante pagine della storia del mondo sono state scritte in questa piazza: grandi eventi politici e religiosi, imprese artistiche, letterarie e scientifiche hanno avuto questo luogo come loro teatro. La difficoltà è perciò scegliere cosa raccontare, dentro un universo così vasto di fatti e significati. Il primo criterio che ha orientato la selezione è il desiderio di raccontare questa piazza a
INTRODUZIONE
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chi non è un addetto ai lavori, non conosce la storia dell’arte, ai tanti che – magari senza capire perché – sobbalzano stupiti di fronte alla bellezza. Se il contraccolpo della bellezza artistica è inevitabile, tante volte essa diviene un’effimera esperienza estetica che resta estranea al significato di ciò che si vede. L’arte medievale è nata per comunicare, per ricordare agli uomini il vero. I pittori senesi nel 1355 definivano così il loro compito: «noi siamo per la gratia di Dio manifestatori agli uomini grossi che non sanno lectera, de le cose miracolose operate per virtù et in virtù de la santa fede». Per gli uomini del Medioevo, «uomini grossi che non sapevano lectera», il messaggio affidato al complesso monumentale di piazza del Duomo era chiaro. Per noi moderni, uomini più raffinati e istruiti, ma lontani da quel contesto culturale, è paradossalmente più difficile da comprendere. Il secondo criterio che ha dettato le pagine che seguono è allora quello di introdurre l’uomo di oggi al messaggio veicolato da questa piazza: la descrizione dei segni artistici è perciò orientata alla comprensione dei significati profondi che essi intendevano trasmettere. Il presente libro esce alla vigilia di due eventi importanti per questa piazza e anche questi hanno volutamente orientato lo sguardo.
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Innanzitutto il Convegno della Chiesa italiana che si terrà a Firenze dal 9 al 13 novembre 2015 che ha come tema “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”. Nel grande affresco che decora all’interno la cupola di Santa Maria del Fiore, sopra la grande figura di Cristo giudice c’è scritto Ecce homo: Cristo è l’uomo così come Dio lo ha pensato. Nella sua umanità, da 2000 anni, abbiamo la possibilità di scorgere il nostro vero volto: «quando ho incontrato Cristo, mi sono scoperto uomo», disse annunciando la sua conversione al cristianesimo il grande retore romano Gaio Mario Vittorino. Il cuore cristiano di Firenze, nella forma architettonica dei suoi edifici, nei suoi capolavori musivi, scultorei e pittorici, è un eccezionale contributo che una secolare tradizione offre – con il linguaggio della creazione artistica – al Convegno e alla vita della Chiesa di oggi. In secondo luogo, nell’autunno 2015 riaprirà i battenti il Museo dell’Opera del Duomo – dopo i Musei Vaticani, la maggiore raccolta di arte sacra al mondo –, con capolavori di Arnolfo, Donatello, Lorenzo Ghiberti, Luca della Robbia e Michelangelo. Il Museo, in una veste rinnovata e ampliata che renderà più fruibile il significato e la forma di tutta la piazza, offrirà al visitatore i suoi capolavori
provenienti dal Battistero, dal Campanile e dal Duomo di Firenze. Da ultimo, una confessione personale: due sentimenti mi dominano ogni volta che metto piede in piazza del Duomo. Il primo è la gratitudine per migliaia di uomini che hanno fatto a noi un regalo di bellezza che loro non hanno gustato: il cantiere della Cattedrale è durato secoli e coloro che lo hanno pensato e desiderato non lo hanno visto compiuto. Vivendo nel mondo del “tutto e subito”, mi colpisce la prospettiva lunga di secoli degli artefici della piazza. Il secondo aspetto al quale mi sento sempre richiamata è la statura grandiosa dell’uomo che ogni particolare della piazza testimonia: la luminosa bellezza della volta del Battistero, la porta del Paradiso, il Campanile di Giotto o la creazione ardita della cupola di Brunelleschi. Come dice il salmo 8: «Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi? Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sul-
le opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi…». L’uomo è contemporaneamente piccolo, prossimo al nulla, e grande, prossimo a Dio: ognuno di noi ogni giorno sperimenta queste due dimensioni ineliminabili dell’autocoscienza. E in ognuno di noi rischia di prevalere continuamente una percezione ridotta della propria umanità, un sentimento negativo della vita, che a volte trova giustificazioni in tante cose che vediamo accadere in noi e intorno a noi. Poi uno arriva in piazza del Duomo e la bellezza irrompe e la simpatia per la vita propria e altrui rinasce. Deve aver provato qualcosa di simile il grande poeta fiorentino Mario Luzi che alla Cattedrale di Firenze ha dedicato una delle sue ultime opere, Opus Florentinum: Ecco siamo qui nel grande abbraccio della nostra madre Chiesa, unica e universale. Tutti i nostri dissidi e le nostre differenze si cancellano qui, si dissolvono i dubbi e le incertezze della nostra solitudine. (M. Luzi, Opus Florentinum)
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Firenze al tempo di Arnolfo
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C’è un «segreto nella storia di Firenze che vorremmo farci spiegare, che vorremmo capire». Così Franco Cardini introduce la sua Storia illustrata di Firenze, descrivendo la straordinaria e, per certi versi, inspiegabile epopea della città che si consumò tra il XII e il XVI secolo. La città era stata fondata dai Romani intorno a quello che ancora i fiorentini chiamano il Ponte Vecchio, il ponte le cui origini si perdono nella notte dei tempi, il punto di attraversamento più semplice dell’Arno. Al centro di Firenze si riesce ancora a distinguere il reticolo delle vie dell’antica città romana, che aveva come cuore l’odierna piazza della Repubblica, l’antico Foro all’incrocio tra cardo e decumano. Certamente però per i Romani, Florentia non fu una città importante e le modeste dimensioni dell’abitato sono lì a testimoniarlo: troppo lontana dal mare, lungo un fiume difficilmente navigabile, con nessuna evidente ri-
sorsa naturale. La fine dell’Impero romano d’Occidente non migliorò di certo le condizioni della città, resa ora insicura dalle invasioni barbariche. La decadenza delle antiche strade consolari romane – Firenze si trovava lungo la Cassia – e lo spostarsi dei traffici dal nord al sud dell’Italia e dell’Europa lungo la via Francigena, che attraversava la Toscana più a ovest, segnando la fortuna di Lucca e Siena, sembrò infatti condannare definitivamente la città a un futuro minore. All’alba dell’anno Mille, Firenze era ancora chiusa dentro il breve perimetro della città romana, un quadrato di circa 500 metri di lato, sulla riva destra dell’Arno. Eppure proprio nel buio di questi anni comincia, dapprima in maniera impercettibile, poi in modo clamoroso, uno sviluppo della città, sotto ogni profilo – urbanistico, demografico, economico, culturale –, che lascia lo storico privo di adeguati strumenti interpretativi. Firenze diventerà nel Medioevo e nel Ri-
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Anonimo fiorentino, Madonna della Misericordia, particolare, Museo del Bigallo, Firenze
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nascimento una delle grandi città protagoniste dell’Europa e i suoi cittadini invaderanno ogni angolo del continente con la loro intraprendenza economica e la loro creatività artistica. Bonifacio VIII arriverà a definire i fiorentini, alla fine del XIII secolo, con colorita espressione il «quinto elemento dell’universo». L’espressione è giustamente e orgogliosamente epica: è una vicenda che lascia senza fiato la storia di Firenze dopo il Mille che conosce un primo grande acme prima della peste del 1348. La Firenze a cavallo tra XIII e XIV secolo – l’epoca dell’inizio della nuova Cattedrale – conosce un prodigioso sviluppo demografico: nella sua Cronica, Giovanni Villani ci dice infatti che Firenze contava novantamila abitanti in città (esclusi i religiosi) e altri ottantamila nel contado – cinque volte gli abitanti di Roma, che ne contava quindici-ventimila. Il dato forse più significativo è il boom economico che la città conosce in quegli anni, con i mercanti e i banchieri fiorentini che incarnano il meglio dell’economia europea. Il centro della città brulica di laboratori e botteghe, di mercati, di magazzini, di tiratoi e lavatoi. Ecco, di seguito, un affresco della vivacità produttiva e del benessere diffuso della Firenze
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trecentesca: i numeri che Villani orgogliosamente esibisce dicono bene la ricchezza della città. Le botteghe dell’arte della lana erano duecento e più, e faceano da settantamila a ottantamila panni di valuta di più un milione e duecento mila fiorini d’oro; che bene il terzo e più rimaneva nella terra per ovraggio, sanza il guadagno de’ lanajuoli. Del detto ovraggio viveano più di trentamila persone. Ben trovamo, che da trenta anni addietro erano trecento botteghe o circa, e faceano per anno più di centomila panni; ma erano più grossi della metà valuta, però ch’allora non ci venia e non sapeano lavorare lana d’Inghilterra, com’hanno fatto poi. I fondachi dell’arte di Calimala di panni franceschi e oltramontani erano venti, che faceano venire per anno più di diecimila panni di valuta di più di trecentomila fiorini d’oro, che tutti si vendeano in Firenze sanza quelli, che mandavano fuori di Firenze. Banchi di cambiatori ottanta banchi. La moneta dell’oro battea per anno trecentocinquantamila fiorini d’oro, talora quattrocentomila, e di danari da quattro più di ventimila libre. Le botteghe de’ calzolai e pianellai e zoccolai erano trecento e più. Il collegio de’ giudici da ottanta in cento. I notai seicento, medici di fisica e cirogia da sessanta, e botteghe di speziali allora da cento. Mercatanti e merciai grande numero, da non potere bene stimare per quelli ch’andavano fuori di Firenze a mercantare: e molti altri artefici di più mestieri, maestri di pietra e di legname. Fornora avea allora in Firenze centoquarantasei e
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troviamo per la gabella della macinatura e per fornari, ch’ogni dì bisognava alla città dentro centoquaranta moggia di grano, onde si può stimare quello bisognava l’anno; non contando, che la maggior parte degli agiati e ricchi e nobili cittadini co loro famiglie più di quattro mesi, e tali più dell’anno, stavano in villa in contado. Troviamo, che intorno gli anni 1280 ch’era la città in felice e buono stato, ne volea la settimana ottocento moggia. Di vino troviamo per la gabella delle porte, v’entrava l’anno da cinquantacinque migliaia di cogna, e in abondanza talora più di diecimila cogna [dai 224000 ai 265000 ettolitri!]. Bisognava l’anno quattromila tra buoi e vitella; castroni e pecore sessantamila; capre e becchi ventimila. Entravano dei mese di luglio nella porta a s. Friano quattrocento some di poponi per dì, che tutti si stribuivano per la cittade […]. Ell’era dentro bene albergata di molti belli palagi e case, e al continovo in questi tempi s’edificava, migliorando i lavori di farli agiati e ricchi, recando di fuori asempro d’ogni miglioramento e bellezza. Chiese cattedrali e di frati d’ogni regola, e monisteri magnifichi e ricchi; oltre a·cciò non era cittadino che non avesse posessione in contado, popolano o grande, che non avesse edificato od edificasse riccamente troppo maggiori edifici che in città; e ciascuno cittadino ci peccava in disordinate spese, onde erano tenuti matti. Ma·ssi magnifica cosa era a vedere, ch’uno forestiere non usato venendo di fuori, i più credeano per li ricchi difici d’intorno a tre miglia che tutto fosse della città al modo di Roma, sanza i ricchi palagi, torri e cortili, giardini murati più di lungi alla città, che inn-altre contrade sarebbono
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chiamati castella. In somma si stimava che intorno alla città sei miglia avea più d’abituri ricchi e nobili che recandoli insieme due Firenze non avrebbono tante: e basti assai avere detto de’ fatti di Firenze.
Tale ricchezza si proietterà all’esterno come una ragnatela di traffici che avvolgerà il mondo allora conosciuto: banchieri ricchissimi come i Bardi e i Peruzzi, famosi prestatori di danaro ai regnanti d’Europa, e mercanti intraprendenti porteranno ovunque il nome di Firenze. Tale fervore imprenditoriale avrà un segno emblematico, una moneta che, novità assoluta per quel tempo, verrà coniata in oro a ventiquattro carati, pesante 3,55 grammi: il fiorino. Villani racconta così nella sua Cronica l’avvento di quella che Dante chiamerà la lega suggellata del Battista e la sua diffusione nel mondo di allora: Tornata e riposata l’oste de’ Fiorentini colle vittorie dette dinanzi, la cittade montò molto inn-istato e in ricchezze e signoria, e in gran tranquillo: per la qual cosa i mercatanti di Firenze, per onore del Comune, ordinaro col popolo e comune che·ssi battesse moneta d’oro in Firenze; e eglino promisono di fornire la moneta d’oro, che in prima battea moneta d’ariento da danari dodici l’uno. E allora si cominciò la buona moneta d’oro fine di ventiquattro carati, che si chiama-
no fiorini d’oro, e contavasi l’uno soldi venti; e ciò fu al tempo del detto messere Filippo degli Ugoni di Brescia, del mese di novembre gli anni di Cristo 1252. I quali fiorini, gli otto pesavano una oncia, e dall’uno lato era la ’mpronta del giglio, e dall’altro il san Giovanni.
A tale crescita economica, si accompagna uno sviluppo culturale eccezionalmente diffuso:
ne segneranno per sempre la fisionomia. Dante ci lascerà la Commedia, inventando la lingua letteraria italiana e «Giotto rimutò l’arte del dipingere di Greco in Latino e la ridusse al moderno» (C. Cennini). È perciò con giustificato orgoglio che Dino Compagni, contemporaneo di Dante, potrà scrivere:
Trovamo che’ fanciulli e fanciulle che stavano a leggere del continuo da otto a diecimila. I garzoni che stavano ad aprendere l’abbaco e algorisimo in sei scuole da mille a milleduecento. E quelli che stavano ad aprendere gramatica e loica in quattro grandi scuole da cinquecentocinquanta a seicento.
La detta città di Firenze è molto bene popolata, e generativa per la buona aria; i cittadini bene costumati, e le donne molto belle e adorne; i casamenti bellissimi, pieni di molte bisognevoli arti, oltre all’altre città d’Italia. Per la quale cosa molti di lontani paesi la vengono a vedere, non per necessità, ma per bontà de’ mestieri e arti, e per bellezza e ornamento della città.
Sono numeri, questi relativi alle scuole, che il resto d’Europa conoscerà solo in epoca contemporanea: è veramente significativo il nesso tra sviluppo economico e vitalità educativa e tale cultura diffusa è stato il terreno su cui sono fiorite tutte le arti. In questo primo momento culminante della sua storia, Firenze ha dato un contributo ineguagliato alla storia della nostra civiltà, inventandone il linguaggio poetico e figurativo. È il momento in cui nascono, in città o nei suoi immediati dintorni, geni del calibro di Dante, di Cimabue, di Arnolfo, di Giotto che
È il momento in cui la città assume la forma definitiva grazie soprattutto al genio di Arnolfo di Cambio: è infatti alla fine del XIII secolo che la città subisce la grande trasformazione urbanistica che la segna fino a oggi. Arnolfo disegna la grande e ultima cinta muraria della città: il perimetro è di 8500 metri e include un’area di oltre 600 ettari. Lo stesso architetto progetta il Palazzo Vecchio, sede del governo cittadino e, di fronte all’antico Battistero, dà forma alla nuova Cattedrale, che nei tre secoli successivi verrà realizzata. Il cuore religioso di Firenze
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L’Arte di Calimala e l’Arte della Lana L’Arte di Calimala o dei Mercatanti prendeva il nome dalla via dove aveva sede la corporazione, forse derivante da calle maia, coincidente con l’antico cardo maximus della Firenze romana. Lo stemma dell’Arte raffigura un’aquila che ghermisce un torsello, la forma tipica in cui venivano confezionati i panni, oggetto del commercio della potente corporazione. «E di tutte le arti che aveva, ed ha più di questi sottoposti, era, ed è, quella della lana, la quale per essere potentissima, e la prima per autorità di tutte, con l’industria sua la maggior parte della plebe e popolo minuto pasceva e pasce» (N. Machiavelli, Istorie fiorentine). L’Arte della Lana è un’altra potente corporazione fiorentina, con oltre trentamila lavoratori: dal 1331 avrà il patronato dell’erigenda Cattedrale e il suo stemma è l’Agnus Dei, simbolo di Cristo risorto.
Stemmi dell’Arte della Lana (a sinistra) e dell’Arte di Calimala (a destra)
Indice
5 Introduzione 9 firenze al tempo di arnolfo 19 il battistero di san giovanni 25 Il mosaico della cupola 32 Le porte bronzee del Battistero 33 La porta sud 37 La porta nord 41 La porta del Paradiso
49 51 60 70
la cattedrale di santa maria del fiore L’origine e la forma Un lungo cantiere L’Opera di Santa Maria del Fiore
75 78 80 82 88 94 101 109
il campanile di giotto La decorazione scultorea del Campanile Il tema del lavoro nel ciclo delle formelle Il lato ovest (prospiciente il Battistero) Il lato sud (verso piazza della Signoria) Il lato est (verso via dello Studio) Il lato nord (prospiciente la Cattedrale) Un’alterazione interessante
Della stessa autrice:
Il lavoro e l’ideale Il ciclo delle formelle del Campanile di Giotto
Il bene di tutti
Gli affreschi del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Pubblico di Siena
Il cuore di Siena
La Maestà di Duccio di Buoninsegna
Ante gradus. Quando la certezza diventa creativa
Gli affreschi del Pellegrinaio di Santa Maria della Scala a Siena
Il luogo della memoria
L’opera di Beato Angelico nel convento di San Marco a Firenze