Il sangue, l'inchiostro. Storia di Carlo Dossi

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quaderni aldo palazzeschi

Francesca Castellano

E 16,00

Il sangue, l’inchiostro Storia di Carlo Dossi Francesca Castellano

Solitario ed eccentrico, precursore delle irrequietudini formali novecentesche, attratto dalla lingua e dalle sue bizzarrie prima ancora che dalla realtà, l’aristocratico e schivo Carlo Dossi (1849-1910) si colloca in disparte rispetto al suo tempo, rivendicando la propria discendenza dalla illustre tradizione narrativa lombarda, a partire dal magistero manzoniano, e, nel contempo, esibendo una prodigiosa apertura alla cultura europea. Attraverso un radente rapporto con i testi, il volume si propone di restituire il senso di una singolare esperienza letteraria e umana, dalla ricostruzione del milieu artistico e culturale degli anni giovanili, tra anticonformismo scapigliato e umorismo ‘eretico’, all’irriverente affresco degli incompiuti Ritratti umani e al malinconico congedo degli Amori, fino alla ricerca di una sia pur frammentaria e carsica sopravvivenza affidata alla monumentale extravaganza delle Note azzurre. A governare ininterrottamente il laboratorio dell’ingegnoso scrittore e il suo labirintico pastiche espressionistico, ricco di «calappi e viluppi», è la dolorosa consapevolezza che ogni «goccia d’inchiostro» è inseparabile dalle tracce e dai segni indelebili del sangue e della vita.

Il sangue, l’inchiostro. Storia di Carlo Dossi

Francesca Castellano è assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Firenze. Ha svolto ricerche sull’Ottocento e sul Novecento italiani (la letteratura coloniale, Carlo Dossi, Gian Pietro Lucini, Dino Campana, Eugenio Montale, Giorgio Vigolo, i giornali fiorentini del triennio 1943-1946). Ha pubblicato la Bibliografia degli scritti su Eugenio Montale 1925-2008 (in collaborazione con Sofia D’Andrea, premessa di Franco Contorbia, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012) e Montale par lui-même. Interviste, confessioni, autocommenti 1920-1981 (Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2016).

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centro di studi ÂŤaldo palazzeschiÂť UniversitĂ degli Studi di Firenze Dipartimento di Lettere e Filosofia

quaderni aldo palazzeschi nuova serie

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La collana ospita ricerche di area italianistica compiute da allievi dell’Ateneo fiorentino, giudicate meritevoli di pubblicazione dal Consiglio Direttivo del Centro di Studi «Aldo Palazzeschi». L’Università di Firenze intende in questo modo onorare la memoria e la patria sollecitudine di Aldo Palazzeschi, che l’ha costituita erede del suo patrimonio ed esecutrice della sua volontà.


Francesca Castellano

Il sangue, l’inchiostro Storia di Carlo Dossi

SocietĂ

Editrice Fiorentina


Il volume beneficia di un contributo a carico dei fondi del Dipartimento di Lettere e Filosofia, Centro di Studi «Aldo Palazzeschi», Università degli Studi di Firenze

© 2016 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it isbn: 978-88-6032-392-7 issn: 1721-8543 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata In copertina: Carlo Dossi, 1907 (Archivio Pisani Dossi, Dosso Pisani, Cardina, Como, per gentile concessione degli eredi)


indice

1. La «cifra di un uomo» (e il suo destino)

11

2. Le invenzioni dell’«incompleto»: tra anticonformismo scapigliato e umorismo ‘eretico’

39

3. L’autobiografismo immaginario. «L’Altrieri» e «Vita di Alberto Pisani»

67

4. Utopia e redenzione da «Il Regno dei Cieli» a «La Colonia felice»

101

5. La «politica degli avanzi». «Goccie d’inchiostro»

127

6. La maschera del moralista. «Ritratti umani»

143

7. Il congedo estatico degli «Amori»

183

8. Un libro totale: le «Note azzurre»

197



Scrivere è un consumar sangue (Carlo Dossi, Note azzurre)


Tutte le citazioni da Carlo Dossi sono tratte dall’edizione delle Opere, curata da Dante Isella nel 1995 (Milano, Adelphi), con rare eccezioni, delle quali si darà di volta in volta notizia. Le Note azzurre sono citate dalla recente edizione ‘integrale’, allestita da Dante Isella, con un saggio di Niccolò Reverdini (Milano, Adelphi, 2010) in occasione delle celebrazioni per il centenario della morte (16 novembre 2010), con l’indicazione del numero di nota e di pagina. Rispettando le maniacali inclinazioni dell’autore, se ne ripropongono con fedeltà l’accentazione, le variazioni di punteggiatura, l’ortografia (doppie consonanti, maiuscole, minuscole). Sono particolarmente grata al prof. Gino Tellini per avere accolto questo mio lavoro nella collana «Quaderni Aldo Palazzeschi» da lui diretta. Esprimo la mia sincera riconoscenza a Simone Magherini e Niccolò Reverdini, e ad Anna Nozzoli e Franco Contorbia, ai quali il libro è dedicato.


1. La «cifra di un uomo» (e il suo destino)

«Il nome del villaggio dove naqui, tra i colli dell’Oltrepò pavese, predisse il mio carattere: “Zenevredo” ossia Ginepreto – odoroso ed ispido»1. Con queste parole Alberto Carlo Felice Pisani Dossi ricorda il villaggio nel quale nacque, settiminino, il 27 marzo 1849, figlio primogenito di Ida Quinterio (1823-1882), la cui famiglia, originaria di Lodi, era di tradizione patrizia, e dell’ingegner Giuseppe Maria Gelasio (1819-1873), di nobile famiglia pavese. Della nascita avvenuta durante le drammatiche giornate della sconfitta di Novara, condite d’un sapore romantico e avventuroso, Dossi amerà sempre ricordarsi, nella Vita di Alberto Pisani, riferita al suo alter ego, e nelle sparse note azzurre: «Mamma incinta di me, preparò una folla di cuffiettine. Naqui. Non una riuscì sufficentemente larga al mio testone – Io naqui, fuggendo con mamma gli Austriaci pochi dì dopo la rotta di Novara; naqui di 7 mesi, giallo per l’itterizia. Il medico vedendo il mio testone mi sentenziò malato e presto morto di idrocefalo»2. Il nonno paterno di Carlo (omonimo, condannato nei processi carbonari del 1821, aveva dovuto subire un lungo periodo d’esilio) era genero di Elena Milesi Visconti, la sura Lenin alla quale Carlo Porta dedicò un noto componimento in versi e un sonetto3: 1 2 3

Carlo Dossi, Nota azzurra 5322, p. 849. Id., Nota azzurra 2927, pp. 335-336. Carlo Porta, A la sura Lenin Millesi e Subeť che sevem sett a on tavolin, in Carlo Porta, Poesie, a cura di Dante Isella, Milano, Mondadori («i Meridiani»), 2000, pp. 464-467. «R.F. Donna Elena Milesi Viscontini madre di nonna Luigia – assai istrutta pel suo tempo, amica di Manzoni e amata dal Porta – una delle prime ad avere ed ammirare i Promessi Sposi – nella cui casa a Milano conveniva il fiore della scienza e della letteratura – (V. di Porta i versi alla Sura Lenin Milesi, e il sonetto «De già che sevem sett a on tavolin» scritto per un puntiglio amoroso. – V. per le persone che si raccoglievano in casa sua, nota ms.). Donna Elena si faceva portare


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(R.F.) Nonno Carlo (n. il 7. maggio 1780 m. il 28 genn. 1852) figlio del nobile Gelasio-Vincenzo, e della baronessa Rosalia di Hölly di Niedermensdorff. <«Quel polpettone» come trovo scritto da D.n Giacinto Pisani, fratello di D.n Gelasio> – Alla lor volta, il primo figlio del nobile Carlo e della nobildonna Matilde Oleario di Bellagente, l’altra del Colonello Federico di Hölly barone di Niedermensdorff, e della nobildonna Maria dei marchesi Beccaria etc. <(V. pel ritratto fis. il quadro nostro in cui nonno è a cavallo, vestito da G. N. A.) – la miniatura di una tabacchiera, e la miniatura che possiede D.na Carolina Del Mayno, nipote del nonno> – La sua storia può compendiarsi in questi suoi biglietti di visita: I.° (1798) Il cittadino Pisani (e intorno W. la libertà – W. l’eguaglianza – W. la fraternità) <quand se portava in coo el barettin ross come i galantommen de galera> – 2.° (1805) Charles Pisani colonel-commandant en chef de la Garde d’honneur de Pavie. <È un biglietto con in cima due Vittorie – e intorno e sotto trofei d’armi e bandiere, berretti di granatiere, tamburi, palle di cannone etc. etc.>. -3.° (1816) Don Carlo Pisani Dossi Guardia Nobile di S. M. I. R. A. e cavaliere della S. Religione dei Santi Maurizio e Lazzaro – 4.° (1825) Le chev. Pisani. – Ingegno rozzo, arrogante, prodigo. Bevitore d’intere vendemmie… Fu tra i primi a ballare intorno all’albero della libertà a Pavia; tra i primi a caracollare incontro a Napoleone Imperatore, e poi a Francesco I. Fu savio municipale; fu carbonaro; condannato a morte in contumacia, fuggì in Isvizzera dove congiurò con Napoleone III, e col principe della Cisterna: graziato, tornò in Italia mezzo tedesco: nel 48 ridiventò italiano – poi si spense. – <A Balsamo nel 48, vestiti quaranta villanelli da soldatini, con aste di latta a banderuole tricolori, si spassava a far lor fare l’esercizio – stando egli seduto sotto un gran padiglione a colonne d’oro e tende rosse, coi leoni pur d’oro.> Sostenne all’estero molti emigrati. Napoleone non ancor 3° gli donò un anello d’oro con su scritto honneur, fidélité, patrie (vacue promesse) dicendogli, che quando avrebbe rivendicato il suo trono, avrebbe ricompensato lui o qualunque della sua famiglia che gli si fosse presentato con detto anello. Beauharnais gli avea donato il suo sigillo di acciaio – Diventò cittadino del Cantone di Berna – etc. – Era destrissimo negli affari. Dopo aver mezzo disfatto il patrimonio lasciatogli da suo padre, non solo seppe ricomporlo ma in lettiga a M[onte] C[alvo]. – Prima di morire, domandò l’ora e volle che si montasse la pendola. – Quando sentì il campanello del Viatico disse: vengono ad ungermi gli stivali» (Carlo Dossi, Nota azzurra 3836, pp. 462-463).


i. La «cifra di un uomo» (e il suo destino)    13

raddoppiarlo. Avea case e fondi per più di 2 milioni. Trovatosi un dì in casa della zia Traversi tra due porte, carpì un affare all’avvocato; e presa la posta, arrivò a rotta di collo a Parigi, e lo fece lui invece dell’avvocato… Anche Gaisruck gli avea moltissima amicizia – Vinse cause che parevano disperate. es. quella del canale abbandonato di Albignola, che finì con un pranzo dato sul Po ai senatori venuti ad informar della causa, un pranzo in cui si gettarono nel fiume tutte le stoviglie e i cristalli, e p. es. quella di rivendicazione del suo patrimonio, caduto in mano di sua moglie Donna Luigia Milesi. – Con la Milesi fu in lite perpetua. – Ebbe una sola moglie ma molte amorose – tra le altre, in Svizzera a Carouge Mlle. Gabrielle De Gallais de Saint Germain, e a Milano la Margherita Scazzosi alberg. della Gran Brettagna. <Sua moglie scrisse questo ritratto di lui: Snaturato figlio – cattivo marito – pessimo padre – turbulento cittadino – oppure: Don Rodrigo.> – Il nostro liberalone del 21, era in famiglia dispoticissimo. La ricevuta del modico sussidio mensile da lui accordato a’ suoi figli dovea esser redatta così: Dichiaro io sottoscritto di aver ricevuto dall’Ill.mo Mio S.r padre Cav. D.n Carlo la somma di milanesi lire tante (dico L…) da lui accordatami per atto di sua spontanea generosità e di cui mi professo e mi professerò eternamente riconoscente. – Obb.mo Um.mo figlio Tal dei tali – E guai se uno dei figli, parlando di qualche oggetto di casa dicesse mio! – Un dì, Zio Gaetano, uscì a dire «mia moglie…» – «come tua?» – fece con ira Don Carlo, ma poi, ravvedendosi «Ah! questa te la lassi!» – E così, il nostro democraticone dell’albero della libertà, era aristocraticissimo. Bisogna vedere le sue suppliche alle Cesaree Maestà, per ottenere o un posto di educanda alle sue figlie nel Collegio Reale delle fanciulle, o una carica a Corte per lui, nelle quali ei si vanta e patrizio e di famiglia antica, figlio del nobile tale e della baronessa tal’altra, nipote del tal generale austriaco e del maresciallo tal’altro!… Mio babbo mi raccontava sempre di un pranzo in cui era intervenuto col fratello Gaetano e col padre Carlo in casa del Maresciallo Re, suo cugino. Dopo pranzo, si cominciò a parlare di Araldica, e Re cavò fuori una filza di documenti, diplomi, genealogie etc. ove mostrando l’albero gentilizio Pisani, quando si fu a «Luigia Milesi» moglie del Cav.re Carlo, disse con un sospiro «e quì zòppica!»: poi si diede a vantare la propria nobiltà. Nonno Carlo, lo lasciò sfogarsi, ma poi, uscendo coi figli disse loro «Ha bel vantare Re la sua casa, ma non è da tanto da allacciare le scarpe alla nostra». <Vera lez.: ma la nostra incula la sua.> – Tra gli anned. cit. il pranzo da lui dato a molti amici, dopo una discus-


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sione sul gatto e la lepre, in cui Nonno Carlo avea detto loro «È questione di salsa. Scommetto che vi faccio mangiare e piacere anche un gatto» – Gli amici avevano risposto di no. Venne il pranzo, venne un piatto che pareva di lepre. Era eccellente. «Guardate» dicea ridendo D.n Carlo, mentre gli amici mangiavano e lodavano – «che è gatto!» – Impossibile! rispondevano costoro. – Nonno ammiccò a un servitore e il servitore portò e depose in mezzo alla tavola su di un gran piatto d’argento la testa insanguinata dell’infelice Soriano… Orrore! Non ci fu commensale che non rivedesse il mangiato. <Ric. Filomela e Procne che danno cotto il figlio Iti a Tereo (Ovidio Fasti)> – Altro annedoto. Mio babbo riceve una sera un gran rabuffo dal suo S.r padre sullo studiare, il serio contegno etc. etc. Per farselo passare va al veglione, e c’incontra… lo stesso suo S.r genitore, mezzo ubbriaco, mascherato da turco, cioè con indosso una vecchia veste da camera ed in capo un fez – e seguito da una folla di birichini cui offriva a dritta e sinistra tabacco. – Nonno Carlo era per altro a tratti assai spiritoso, e assai generoso. <Entrando D.n Carlo in una cena tutta di Donne (tenuta a Stradella) disse «S’ pò romp la regola?» (Reg[ola] in stradellino significa menstruo).> Mio cugino Camillo si ricorda, che essendo il nonno venuto a fare visita alla sua mamma e piangendo egli (Camillo) in sua presenza, perchè non gli si voleva regalare uno schioppetto, nonno partì senza dire parola: ma il giorno dopo comparve a lui un servitore a recargli il tanto desiderato schioppetto. – E una sera a Stradella, sulla porta del Teatro, l’impresario si lamentava con lui dello scarso concorso. Che fa Don Carlo?… Si pone a gridare «denter chi voeur’ che paghi mi» – In un momento il teatro fu pieno – Un’altra sera invece, a chi usciva dal teatro gridò «chi voeur zenà, paghi mi». – Gli tennero dietro una trentina di baldracche. Si ebbe un’orgia. – D.n Carlo diceva di aver maritate le sue due sorelle Maria e Teresa a un Portarut (pattumiera) perchè una s’era sposata a un nobile Della Porta di Milano, e l’altra a un nobile Rutta d’Oltrepò. – D.n Carlo, dopo 25 anni di esiglio in Inghilterra Svizzera e Francia, tornò in Italia col più puro accento… pavese. La prima cosa che disse: «steet bèn? coma vala?» – Morì pel troppo vino bevuto. L’ultima cosa che potè trangugiare fu il Bordeaux. Morente, disse a sua moglie che comparve a rappacificarsi al letto di lui: «voo a mett su el ris…» – Nel ritratto, i suoi eterni stivali, il suo scudiscio etc. – Regalò un busto modellato dallo scultore Abbondio Sangiorgio all’avv. Carlo Marocco, per cui riebbe la sua sostanza contro la moglie, coll’iscrizione «Karolo Marocco – Forti egregie cordato viro – Injuris


i. La «cifra di un uomo» (e il suo destino)    15

ac Legum scientia – Domi Forisque Principi – Karolus Pisani Dossius – Patricius Ticinensis – Suarum Fortunarum Vindici – Anno M.D.CCC.XXXX.IIII4.

A Carlo seguirà due anni dopo un altro figlio, Guido Carlo Felice, al quale lo scrittore fu profondamente legato. Tra il 1855 e il 1859 Carlo frequenta le scuole elementari privatamente, presso l’Istituto Bognetti e, nel 1860, si iscrive al Regio Ginnasio di Porta Nuova. A dodici anni si trasferisce a Milano, in via Montenapoleone 26, per frequentarvi le scuole, tornando durante le vacanze ai concilianti silenzi della casa sulla collina pavese e inaugurando una non saltuaria attività giornalistica. Al 1863 è ascrivibile la preistoria infantile di un amore per il giornalismo destinato a persistere nel tempo; Dossi e il fratello Guido (che nel 1882 sarà tra i fondatori del «Guerin Meschino») compongono tre numeri di un giornaletto manoscritto, «La Trombetta», da vendersi a parenti e amici di casa; ad esso faranno seguito il numero unico di un «Giornale per le Famiglie», tra il 1864 e il 1865, i quattro numeri litografati di «L’Aurora», e, il 27 marzo e il 30 aprile 1866, i due stampati di «L’Album della Società del Pensiero». Il primo numero comprendeva articoli sopra Le crociate, Le campane, Il cappello, Il globo, e il principio di un romanzo incompiuto: Letterata e beghina. Il secondo numero, con il quale si sospendevano le pubblicazioni «per eventualità di guerra», conteneva ad opera di Carlo: Scoperte sulle origini dello stuzzicadenti (per incarico di L.P. presidente), Un viaggio alla ricerca dell’origine d’un filo di ferro, Osservazioni sopra due vasi antichi, La Pena di morte, Immaginazione e calcolo, Osservazioni contro il cristiano uso della inumazione dei cadaveri5; in collaborazione con Luigi Perelli: Discussioni fra il sole e la luna. Con precoce ingegno6, nel 1861 egli iniziò a comporre poemet4 5

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Carlo Dossi, Nota azzurra 2871, pp. 328-332. In altra sede intendo dedicare maggiore attenzione alla ricostruzione della storia dell’Ur-Dossi, ancora poco nota e studiata, limitandomi qui a ricordare la persistenza di alcune riflessioni nella mente del giovanissimo Carlo: erano già nell’aria Paolo Gorini e le considerazioni attorno alla pena di morte. Sotto il segno di un’inestinguibile passione, Dossi confessa: «Amài i libri ancor prima che li sapessi lèggere e mi ricordo della commozione riverenziale con cui li guardavo allineati nelle vaste biblioteche – reggimenti d’ingegno pronti a muòver battaglia alla ignoranza, colla differenza, rispetto agli altri soldati, che mostràvano il dorso prima del combattimento, non dopo. E oggi pure, in cui lo studio mi ha quasi al


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ti, commediole e drammi: dapprima balena nella fantasia un Don Chisciotte della Mancia, al quale faranno seguito versi d’occasione, epigrammi, un poema in milanese in ottava rima, In occasion d’on invit a festa de ball. La caduta di Milano (1862); una tragedia in due atti per marionette La cacciata dei Re, e una «comediola per bimbi», Lodovico Ariosto, che ebbe qualche risonanza e fu recitata a Sannazzaro de’ Burgondi dai bimbi dell’Asilo di donna Claudia AntonaTraversi, con scenografie e figurine disegnate dal futuro pittore Tranquillo Cremona, legato a Dossi per tutta la vita insieme al compagno inseparabile Luigi Perelli («Amo il mio Gigi, perchè l’animo suo, da certi alti principi di onestà all’infuori – mi è totalmente… opposto. Le parti a coda di rondine di un lavoro da falegname si commettono fra loro più facilmente e più fortemente, appunto perche si completano a vicenda. – Altrimenti tanto varrebbe ch’io mi mettessi dinanzi a uno specchio, che a me ritornasse il mio viso, o sotto una volta che mi riecheggiasse la voce. Con un amico invece io voglio essere in due – voglio discorrere, sentirmi a contradire… – Con Primo Levi ad es. – anima gentilissima – non mi sarebbe possibile una perfetta amicizia, perchè troppo mi è simile»)7. Dopo un primo anno al Liceo Parini, Dossi prosegue gli studi presso l’Istituto privato Sant’Ambrogio dove consegue il diploma in anticipo di un anno: «A scuola non fu mai il primo, ma neppur l’ultimo. Primeggiava nei componimenti italiani. Compromise però talvolta il buon successo degli esami per stramberie fuori di luogo. Nell’esame di licenza liceale si permise, per es., di dare una forma umoristica alla dimostrazione scritta di fisica, chiamando in essa la luna “del padellon del ciel la gran frittata” ecc. Naturalmente dovette ripetere l’esame»8. Per buona parte della giovinezza egli cadrà preda di disturbi nervosi che, pur tra anelate quiescenze, funesteranno larga

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punto tornato donde partìi cioè alla tàbula rasa, apro talvolta la mia minùscola librerìa e li percorro con li occhi, disopra le rilegature. Parmi di avere dinanzi una folla di amici – amici che non tradìscono. E io li palpo carezzevolmente sul dorso come generosi destrieri e li bacio anche, e, sedèndomi, qualche volta, sullo sporto della librerìa, appoggio la mia testa contr’essi e lì rimango beato, come sulla spalla di una donna cara, quasi assorbendo – feconda pioggia – il lor genio, quasi sentendo il mio ferro, al contatto della loro magnete, farsi magnete» (Carlo Dossi, Amori, in Opere, a cura di Dante Isella, Milano, Adelphi, 1995, pp. 1044-1045). Carlo Dossi, Nota azzurra 3560, p. 385. Id., Nota azzurra 4957, pp. 727-728.


i. La «cifra di un uomo» (e il suo destino)    17

parte della sua esistenza. Sul finire del 1866 si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pavia. L’esordio narrativo è consegnato a un dittico a quattro mani con Luigi Perelli nel 1866: Giannetto pregò un dì la mamma che il lasciasse andare a scuola… (Educazione pretina di Dossi e Istruzione secolare di Perelli), al quale segue l’anno successivo Per me si va tra la perduta gente. Pur tra acerbe ingenuità Dossi mostra già la predilezione per la parodia e il grottesco che s’appuntano su uno stile e un lessico che attinge riccamente a lombardismi, arcaismi, latinismi, diffusi calci poetici (in specie danteschi), locuzioni popolaresche, e per la decostruzione strutturale, con apertura ai «racconti nel racconto»: il giovanissimo scrittore è alla ricerca di un’identità sentita come autentica e innovatrice. A Milano figura tra i fondatori della «Palestra letteraria artistica scientifica», diretta da Luigi Perelli, sottotitolata «Opuscolo edito a spese e per opera d’una Società di giovani azionisti-collaboratori», il cui programma aspira a «offrire alla gioventù che ama muovere i primi passi nella letteratura, un campo vergine, esclusivo ad essa, dove provare le proprie forze», sotto la guida e il consiglio di una Commissione esaminatrice dei lavori da pubblicarsi, che dapprima, ovvero dal dicembre 1867, comprende Cletto Arrighi, Graziadio Isaia Ascoli, Bernardino Biondelli, Luigi Cremona, Paolo Ferrari, Leopoldo Marenco, Vincenzo Masserotti, Alberto Mazzucato, Giuseppe Pellegrino, Giuseppe Rovani, Luigi Schiaparelli, ai quali si uniranno nei numeri successivi Aleardo Aleardi, Giosue Carducci, Cesare Correnti, Francesco Dall’Ongaro, Francesco Domenico Guerrazzi, Terenzio Mamiani, Paolo Mantegazza, Giovanni Prati, Luigi Settembrini, Niccolò Tommaseo. Dopo una gestazione piuttosto laboriosa e l’abbandono di romanzi e racconti incompiuti (Erano giunti al pianerottolo dello scalone…; Il mio merlo; L’amore è prurito; Zolfanelli alla prova), nel dicembre 1868 viene alla luce L’Altrieri, in duecento volumetti in sedicesimo di centoquaranta pagine, stampati dalla Tipografia milanese di A. Lombardi, la cui apparizione è stata circonfusa di silenzio o subitamente salutata dalle stroncature della critica, a partire da quelle dell’avvocato Giorgio Baseggio sulla «Perseverenza» e di Vittorio Bersezio sulla «Gazzetta Piemontese»9. In occasione del Natale 1870 esce la sua seconda ope9

[Giorgio] Ba…[seggio], L’Altrieri, in «La Perseveranza», 19 gennaio 1868, e Vitto-


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ra, con il titolo Vita di Alberto Pisani, che ripropone i tratti ibridi della finzione autobiografica adottando una struttura ancor più mossa e frammentata. Nel marzo del 1871 Dossi si laurea in Giurisprudenza: allettato dalla carriera diplomatica e dalla possibilità di una destinazione all’estero, partecipa al concorso per il Ministero degli Esteri. La commissione presieduta dall’amico Terenzio Mamiani lo dichiara primo in graduatoria: Il grattacapo de’ miei genitori stava, come già sapete, nel mio avvenire. Generalmente essi ne ragionàvano a sera, quando, divisi dalla tàvola, babbo schizzàvasi un rèbus, mamma intelucciava, mendava qualche mio tòmbolo e, loro presso, in una poltrona, il vostro amico scrittore se la dormiva. Secondo mio padre, io era uscito a questo mondo apposta per la diplomazìa. Egli me ne scopriva credo, la vocazione nelle molte bugìe, nelle fandonie, che gli vendevo ad ogni momento ed egli, uomo cui si sarebbe tolto, senza che se ne accorgesse, il panciotto, m’imaginava giojosamente là, dritto, intirizzito, in giubba verdona, spada, calzoncini e scarpette, a dòndoli, ciòndoli, – come un cereo personaggio da fiera – il cuore in saccoccia incartato ed il sorriso stradoppio: mia madre, invece, figlia di un generale, sorella di un colonnello (non oso dir moglie di un capitano, chè babbo non lo era che della milizia civica) vedèvami – intanto ch’io forse sognava di un cavallo di legno a mòbile coda – su un vero e vivìssimo bajo, in una montura rossa dagli aurei agrimani, con un pennacchio bianco, sciàbola che ticchettava, brioso, galoppando, mandando in cìmberli tutte le gonne del corso. E questo, a propòsito di un brillante avvenire. Siccome peraltro v’ha in ogni cosa del nero – il che, tra noi, egregiamente serve a far risaltare i colori – così, anche un lumacone di uno zio canònico, unto come la ghiotta, tirava sopra di mè a suo modo, somme e moltipliche. Lo spaventacchio! Io ne temeva i baci, biasciosi, tabaccati, come gli scappellotti: intravedùtolo a pena, battèvomela. Ed egli veniva ogni tanto da noi, sempre con un involto di nuove ragioni ch’egli spiegava su pel tappeto, magnificàvane la qualità, il prezzo… In poche parole, voleva ch’io mi scambiassi in un lavampolline. Io! pensate. Con il colletto strangolatojo, colla triste sottana, con l’O sulla coccia!10

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rio Bersezio, La settimana letteraria [recensione a Carlo Dossi, L’Altrieri, Milano, Tipografia milanese di A. Lombardi, 1868 (edizione fuori di commercio)], in «Gazzetta Piemontese», 14 febbraio 1869; poi in «Cronaca Grigia», 21 febbraio 1869, pp. 26-29. Carlo Dossi, Panche di scuola, in L’Altrieri. Nero su bianco, in Opere, cit., pp. 472-473.


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