Davide Cerullo è nato nel 1974 alla periferia di Napoli. È il nono di quattordici figli. Dopo un’infanzia tutt’altro che facile e serena, all’età di tredici anni viene arruolato nella malavita che lo condurrà nell’infernale ingranaggio del sistema camorristico. I rimorsi, il vuoto e l’insoddisfazione non gli danno tregua. E così inizia a intravedere una possibilità di riscatto, conducendo una vita normale. Il cammino di recupero non è agevole, ma punteggiato da cadute e parecchie sconfitte. Attualmente vive a Scampia, dove ha fondato “L’albero delle storie”, un’associazione di promozione sociale, che si vuole occupare di progetti educativi rivolti a bambini da zero a sei anni e alle loro mamme. Pratica l’arte della fotografia, sua passione insieme a quella della poesia.
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Davide Cerullo Diario di un buono a nulla Scampia, dove la parola diventa riscatto
Diario di un buono a nulla
«Davide, artigiano della parola, modella, scolpisce, fotografa la sua liberazione che può essere la speranza per tanti bambini. Poi si definisce, come in un paradosso, “buono a nulla”. Perché tutti siamo “buoni a nulla”, ultimi tra gli ultimi, polvere, ma anche luci preziose che possono brillare nel buio di sentimenti di un mondo sempre più violento e atroce. Quando ci disponiamo ad aprire gli occhi, a non nasconderci di fronte alle violenze e alle ingiustizie, nel nostro apprendere, anche senza saperlo, insegnamo a chi sta accanto a noi. Siamo maestri e apprendisti». (dalla Introduzione di Paolo Vittoria)
Davide Cerullo
«Nessun potere ha la forza di imprigionare le parole. Ogni singola sarà letta da occhi innumerevoli, solo con i battiti di ciglia oppure anche a voce alta, in una stanza, in un’aula di scuola, in una piazza, in un’assemblea, alla radio. E dopo il più lungo giro del mondo torneranno nelle mani di quelli che le hanno scritte, e saranno unte da tutte le impronte digitali di chi le ha ricevute e insieme formeranno una stretta di mano». (Erri De Luca)
Davide Cerullo
Diario di un “buono a nulla” Scampia, dove la parola diventa riscatto
Società
Editrice Fiorentina
Š 2016 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it facebook account www.facebook.com/sefeditrice twitter account @sefeditrice isbn 978-88-6032-390-3 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata Le foto pubblicate nel presente libro sono di Davide Cerullo, a eccezione di quella a p. 181 (foto di Giovanni Capello, per gentile concessione) Copertina Grafica a cura di Andrea Tasso (borgoognissantitre.com) Foto di Davide Cerullo
«Chi ha fatto il turno di notte per impedire l’arresto del cuore del mondo? Noi, i poeti» (Izet Sarajlic)
Sento che siamo stati insieme fin dal nostro luogo di origine, che siamo della stessa materia, delle stesse onde, che portiamo dentro lo stesso istinto. Tu sei forte, il tuo genio e la tua umiltà prodigiose sono incomparabili e arricchisci la vita; dentro il tuo mondo straordinario, quello che ti offro è solo una verità in più che ricevi e che accarezzerà sempre la parte più profonda di te stesso. Grazie di riceverlo, grazie perché vivi, perché ieri mi hai lasciato toccare la tua luce più intima e perché con la tua voce e i tuoi occhi hai detto quello che aspettavo da tutta la mia vita. (Frida Kahlo)
Prefazione
Ammore, questa parola, anche se abusata, stropicciata e perfino usurata. Ammore, con il raddoppio della emme. Erri De Luca cita un termine ebraico che nella Bibbia compare solo tre volte e viene tradotto abitualmente con: istinto, bramosia, brama. Lui non è d’accordo e propone di riferirsi a un verbo tipico dei tini che traboccano, delle acque che tracimano e invadono la terra. Quindi bisognerebbe dire «piena», ossia richiamarsi a un torrente impetuoso che travolge i limiti, scavalca gli argini e dilaga da per tutto. L’ammore napoletano è qualcosa di simile, uno sconquasso, uno scompiglio dei sentimenti. Impossibile contenere quella piena. Non c’è riparo che tenga. Inutile adottare della precauzioni. Per guarire i nostri mali ci vuole ammore sostenuto dalla speranza. Forse non basta neppure il raddoppio. Bisogna esagerare. Solo un amore eccessivo può produrre il miracolo del cambiamento tanto atteso. Questo diario nasce con questo intento... per dimostrare che è impossibile contenere ciò che non vogliamo perdere... ma per provarci... perché anche con una coperta che non basta, ci copriamo con i volti e ci scopriamo con gli sguardi. Tanti sono ancora i pensieri che non hanno trovato spazio, ma si fanno strada tra quelli che ci sono e il bianco della pagina fa risuonare ciò che lo scritto non esprime. Fino a quando non sarà creato un contenitore per l’incontenibile, saranno i diari a farsi portavoce di sogni ed esperienze; creando per noi la certezza effimera ma leggibile, che tutto quello che ci abita possa essere donato agli altri e mai restituito.
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Breve storia di un artigiano della parola
«La parola insegna. L’esempio guida» (Ernesto “Che” Guevara)
«La mia ascesa nella camorra è stata interrotta dalla felicità», scrive di sé Davide. Ecco un “artigiano della parola” che lavora la parola, la costruisce, la modella, se ne distacca per ammirarla, la lascia maturare, poi ci si riavvicina, la sente nei polsi, la vive come propria, “corpo e sangue”. Narra l’inquieta felicità di chi rincontra la propria storia e nel verso di una poesia, nel calore di un ricordo lontano che si fa presente, riscopre la coscienza che la liberazione umana è possibile. Rinato nella e dalla poesia, crea diverse letture del mondo che si generano continuamente nella scrittura e nella ricerca di parole che compongono, passo a passo, l’invenzione del vivere: lettura della parola, lettura del mondo, direbbe Paulo Freire. Cerca incessantemente la parola liberatrice in una “scuola itinerante”, una scuola in cammino: la scuola più dura che ci troviamo a frequentare dove, giorno dopo giorno, tutti siamo chiamati a imparare, tutti siamo chiamati a sbagliare e correggerci, a insegnare, tutti siamo compagni di banco. Scuola aperta, a tutti, nessuno escluso. In questa scuola chiamata vita si trova una scuola minore, fatta di cemento, finestre, pareti e a volte di sbarre; di registri, banchi e sedie. Spesso escludente, questa scuola non fa il suo dovere. Non fa la scuola. E poi denuncia la dispersione, ma non rappresenta la vita. Mi viene in mente uno scrittore brasiliano, Rubem Alves, e il suo libro Pinoquio as avessas (“Pinocchio alla rovescia”): 9
un bimbo entra a scuola, ma le sue domande non sono accolte, la sua curiosità non è ascoltata e ne esce burattino. Quanti burattini obbedienti o perfino soldatini produce la nostra scuola… quando potrebbe formare coscienze critiche, se solo si avvicinasse alla vita. Questo artigiano colora la parola di tinte di memoria, fa emergere la paura e il coraggio di un bambino, per cui – nonostante tutto – attraversare i campi nel buio e portare le pecore al pascolo era certamente più faticoso e doloroso dell’andare a scuola: «Mi piaceva tanto andare a scuola anche perché così non ero costretto a portare il gregge al pascolo. Spesso mi capitava di rientrare di notte all’ovile, con mio fratello Antonio, piangendo perché spaventato a dover percorrere la campagna al buio»… ma nessuno se ne era accorto? «Ciascuno cresce solo se sognato», ha scritto Danilo Dolci. Come cresce un bambino se non è sognato? Cosa fa un bambino nelle tante periferie del mondo, dell’anima, se non c’è qualcuno che lo sogna? Può farsi sognare? Può evadere da un mondo senza sogni? Dal lavoro artigiano della parola piovono domande che fanno emergere con chiarezza una questione politica: l’educazione delle periferie. Un bambino è stato inizialmente affascinato dalle luci pirotecniche della camorra perché lo Stato non forniva gli strumenti per comprendere, distinguere, imparare e ciò accade in tante periferie, più propriamente nei luoghi delle emarginazioni sociali, dovunque essi siano dal punto di vista urbano o rurale. Vediamo, con drammaticità, come l’emergere delle violenze provenga da contesti di emarginazione, isolamento in cui ideologie fanatiche, distruttive prendono il largo a diversi livelli, non solo radicandosi nelle criminalità locali, ma anche nelle più cupe organizzazioni terroriste. Bisogna, quindi, lavorare a partire dalle periferie, dalle culture varie che le compongono, dall’infanzia smarrita nelle periferie del mondo. Una delle violenze più disumane è privare un bambino del diritto all’infanzia. Chi perde questo diritto, facilmente si trova avvolto e invaso dall’aggressività, 10
dalla violenza, perde il significato della vita: la propria e quella altrui. La responsabilità educativa è enorme. Il diario ci richiama a questa responsabilità e fa emergere il profondo valore del riscatto umano, raccontando come quel bambino si faccia adulto, prenda per mano la propria infanzia ed evada dal grigio mondo senza sogni della malavita, per poi dedicarsi a fabbricare sogni possibili, reali, nati da un sentimento inquieto di liberazione che diviene parola e azione: crea, denuncia, racconta, scrive in forma di lettera, di poesia, di racconto o semplicemente di pensiero. Si rivolge al padre, alla madre, ai bambini, alle donne di Scampia, a qualcuno che sentiamo vicino, perché in fondo si dirige a tutti noi e a se stesso. Lo sentiamo vicino, questo artigano della parola, che fa riecheggiare come un canto il suo rifiuto alla camorra e ci dà coraggio, cercando nel racconto il lettore dentro di sé. La parola, come base della propria vita, è arma nonviolenta che davvero può prevenire quelle violente e letali: abbraccia, include, invita alla lettura e soprattutto all’ascolto e si sente forte un vento di resistenza, un vento partigiano, perché disobbedire al sistema è obbedire ai valori della vita. Diario di un buono a nulla è un diario politico e rivoluzionario: rivoluzionaria è l’esperienza di liberazione dal ricatto della malavita che vuole creare il proprio esercito di soldatini assoldati, inculcandogli falsi valori e riempendogli le tasche di banconote che non portano a nulla. Rivoluzionaria è la liberazione dalla sottomissione ai boss e a una mentalità che ama «il potere, i soldi, tanti soldi, le macchine di lusso, le marche importanti, e gli orologi preziosi, le belle femmine. Considera lavorare una sottomissione da pecora», senza considerare che le pecore sono più libere dei camorristi. Rivoluzionaria è la liberazione dall’accattonaggio, perché chi si sottomette sarà costretto a chiedere sempre di più, fino a mendicare la propria stessa vita. La liberazione dal rumore, dal chiasso del consumismo, dal voler apparire qualcosa che non si è mai stati, che non si è e non si vuol realmente essere. Dal voler sembrare come gli altri, perché gli altri non saranno mai come noi. 11
Davide, artigiano della parola, modella, scolpisce, fotografa la sua liberazione che può essere la speranza per tanti bambini. Poi si definisce, come in un paradosso, “buono a nulla”. Perché tutti siamo “buoni a nulla”, ultimi tra gli ultimi, polvere, ma anche luci preziose che possono brillare nel buio di sentimenti di un mondo sempre più violento e atroce. Quando ci disponiamo ad aprire gli occhi, a non nasconderci di fronte alle violenze e alle ingiustizie, nel nostro apprendere, anche senza saperlo, insegnamo a chi sta accanto a noi. Siamo maestri e apprendisti, capaci di quello che neanche immaginiamo, perché non siamo migliori né peggiori degli altri, ma soggetti della storia se impariamo qualcosa dalla nostra libertà. Come Davide, che ci insegna con veemenza che sconfiggere la camorra è possibile, anzitutto dentro di noi, con la forza della parola autentica. E ci dona questo insegnamento. Non dimenticando che, come dice un certo rivoluzionario argentino, La parola insegna. L’esempio guida… Paolo Vittoria
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La forza sanitaria della parola
Caro Davide, uno scrittore, e tu sei della specie, deve prima di tutto scrivere bene le sue storie, come un calzolaio che deve fare bene le sue scarpe. Poi se al calzolaio viene voglia di fare qualcosa di più del necessario, dovrebbe preoccuparsi che tutti abbiano diritto a un paio di scarpe. Così uno scrittore dovrebbe difendere per tutti la libertà di parola: detta, scritta, cantata, recitata, strillata sulla pubblica via. Nessun potere ha la forza di imprigionare le parole. Ogni singola sarà letta da occhi innumerevoli, solo con i battiti di ciglia oppure anche a voce alta, in una stanza, in un’aula di scuola, in una piazza, in un’assemblea, alla radio. E dopo il più lungo giro del mondo torneranno nelle mani di quelli che le hanno scritte, e saranno unte da tutte le impronte digitali di chi le ha ricevute e insieme formeranno una stretta di mano. Erri De Luca
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Diario di un “buono a nulla”
Napoli, 28 novembre 1998 ‌a questo mistero che ci scelse lascio la prima pagina bianca.
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29 novembre 1998 Amore mio, non so se questo sia un diario, o una lunga lettera a te. Non so neppure se quando dico Amore lo dico a te, o a lui, o a tutto ciò che esiste: alle utopie, alle speranza, alle ipotesi‌ O parlo invece al nulla, al vuoto, al buio. Ho un grande lago dentro. E tutto naviga, splendido e disperato, come le foglie dei pioppi quando in autunno cadono nell’acqua. Sembrano uccelli dorati e sono solo foglie secche, galleggiano lievi come fiori e sono spoglie alla deriva. Adriana Zarri
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1 dicembre 1998 Da quando ho ricominciato a scrivere, scrivo a te, non mi riesce diversamente e in verità neanche mi interessa. Scrivo a te, destinatario premuroso che ospita i miei pensieri quando gli offro il mio mucchietto di parole. L’amicizia è anche questo. Mi ha scritto il nostro poeta preferito, Christian Bobin. Gli ho mandato alcune fotografie dei bambini di Scampia. Lui ha risposto.
Caro Davide Cerullo, vi ho letto e ho visto i volti che voi fate uscire dall’inferno. Questi bambini i cui occhi brillano di un sapore delle tenebre. Amo profondamente le vostre parole e il vostro modo di attraversare questa vita, prendendovi cura dei più deboli, che è anche qualcosa di invincibile. Sono felice che esistiate. I soldi, le armi sono dei fantasmi. La bontà, cioè l’intelligenza della vita mortale è la sola vera realtà, come voi credo che la bellezza salverà il mondo e che la poesia è tanto necessaria quanto il sole, il pane e l’acqua. Non lo credo solamente: lo so. Marguerite Porete dice che «i fiori non conoscono la morte. Ma questo è vero anche per il cuore degli uomini». Forse voi conoscete questa frase di Marguerite Porete. È una mistica del dodicesimo secolo bruciata dalla Chiesa per stregoneria. 20
Lei afferma queste parole, che mi tolgono il respiro: «Nessuno può essere considerato irrilevante, poiché ciascuno è chiamato a vedere Dio in faccia». È a questa frase che penso vedendo i “vostri” bambini. Vi dichiaro e vi dono tutta la mia amicizia. Christian Bobin
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L’autore
Davide Cerullo è nato nel 1974 in Corso Mianella, alla periferia di Napoli. È il nono di quattordici figli. Nel 1980 si trasferisce con la famiglia a Scampia, in una delle Vele, potendo disporre di un appartamento assegnato dal Comune. Qui vive un’infanzia tutt’altro che facile e serena, conoscendo ben presto la povertà e i grossi problemi della vita quotidiana, nonché la separazione dai genitori. In questi anni affronta anche una penosa e dura esperienza come pastore del gregge di suo padre. Strappato alla scuola all’età di tredici anni, viene arruolato nella malavita che lo condurrà nell’infernale ingranaggio del sistema camorristico. Potrà disporre di soldi e droga, con un posto di rilievo assicurato nei quadri camorristici. Durante un soggiorno nel carcere di Poggioreale, entra in contatto col Vangelo grazie a una copia trovata sulla propria branda al rientro dall’ora d’aria, e lì lasciata chissà da chi. Strapperà alcune pagine che porterà con sé e che costituiranno un incessante motivo di inquietudine. Il suo non è stato un cambiamento immediato. Infatti, dopo essere uscito di prigione, torna alla vita di prima. Tuttavia i rimorsi, il vuoto e l’insoddisfazione non gli danno tregua. E così inizia a intravedere una possibilità di riscatto, conducendo una vita normale. Il cammino di recupero non è agevole, ma punteggiato da cadute e parecchie sconfitte. Oggi, però, ha ritrovato il proprio equilibrio interiore grazie anche alla responsabilità assunta nei confronti della famiglia, una presenza determinante nella sua evoluzione, insieme a quella di alcuni sacerdoti. È consapevole di non poter tradire la fiducia dei suoi due bambini, Alessandro e Chiara. 180
Davide Cerullo con sua figlia Chiara (Foto di Giovanni Capello, per gentile concessione)
Vive a Scampia, dove ha fondato “L’albero delle storie”, un’associazione di promozione sociale, che si vuole occupare di progetti educativi rivolti a bambini da zero a sei anni e alle loro mamme. Pratica l’arte della fotografia, sua passione insieme a quella della poesia.
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Indice
7 Prefazione 9 Breve storia di un artigiano della parola di Paolo Vittoria 13 La forza sanitaria della parola di Erri De Luca 15
Diario di un “buono a nulla”
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Intervista a don Alessandro Santoro
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