quaderni aldo palazzeschi
Francesca Cialdini
Tra norma e descrizione: gli Avvertimenti di Salviati nella tradizione grammaticale italiana (secoli XVI-XIX)
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centro di studi ÂŤaldo palazzeschiÂť UniversitĂ degli Studi di Firenze Dipartimento di Lettere e Filosofia
quaderni aldo palazzeschi nuova serie
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La collana ospita ricerche di area italianistica compiute da allievi dell’Ateneo fiorentino, giudicate meritevoli di pubblicazione dal Consiglio Direttivo del Centro di Studi «Aldo Palazzeschi». L’Università di Firenze intende in questo modo onorare la memoria e la patria sollecitudine di Aldo Palazzeschi, che l’ha costituita erede del suo patrimonio ed esecutrice della sua volontà.
Francesca Cialdini
Tra norma e descrizione: gli Avvertimenti di Salviati nella tradizione grammaticale italiana (secoli XVI-XIX)
SocietĂ
Editrice Fiorentina
Il volume beneficia di un contributo a carico dei fondi del Dipartimento di Lettere e Filosofia, Centro di Studi «Aldo Palazzeschi», Università degli Studi di Firenze
© 2020 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it isbn: 978-88-6032-559-4 ebook isbn: 978-88-6032-562-4 issn: 1721-8543 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata In copertina: Lionardo Salviati, Del secondo volume degli avvertimenti della lingua sopra il Decamerone, Firenze, Giunti, 1586 (Firenze, Biblioteca dell'Accademia della Crusca, CIT.G.4.8) e altri volumi. Per gentile concessione dell'Accademia della Crusca (foto di Alessio Misuri)
indice
Abbreviazioni Opere lessicografiche e banche dati citate Corpus di grammatiche di riferimento
9 10
INTRODUZIONE 15 1. Il «nome»
33
1.1. 1.2. 1.3. 1.4.
34 48 57
Il «sustantivo» e l’«addiettivo» Il «nome relativo» I nomi «universali», «partitivi» e «numerali» La morfologia nominale nella tradizione grammaticale del Cinquecento 1.5. La morfologia nominale negli «Avvertimenti»
60 66
2. La preposizione
81
2.1. La distinzione tra «preposizione» e «vicecaso» nella tradizione del Cinquecento e in Salviati 2.2. La distinzione salviatesca nella tradizione successiva 2.3. L’analisi della preposizione negli «Avvertimenti» 2.3.1. La preposizione «di» 2.3.2 La preposizione «a» 2.3.3. La preposizione «da» 2.3.4. La preposizione «in» 2.3.5. La preposizione «per»
81 86 89 90 92 94 95 96
3. L’articolo
97
3.1. La definizione dell’articolo negli «Avvertimenti» e il rapporto con la tradizione 3.2. Le funzioni dell’articolo e il confronto con il dimostrativo
97 103
3.3. Le forme di articolo negli «Avvertimenti» e nella grammaticografia 109 3.4 La sintassi dell’articolo 119 3.4.1. La norma della simmetria 119 3.4.2 L’assenza dell’articolo con gli indefiniti, i possessivi e altre strutture 125 3.4.3 L’articolo con i titoli, i nomi propri e i nomi di luogo 130 3.5 L’introduzione dell’«accompagnanome» 137 indice dei nomi
149
Indice grammaticale
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Abbreviazioni
Opere lessicografiche e banche dati citate Corpus OVI = Corpus dell’italiano antico, Opera del Vocabolario Italiano (OVI, Istituto del CNR), diretto da Pär Larson ed Elena Artale, consultabile all’indirizzo http://gattoweb.ovi.cnr.it/. Crusca I = Vocabolario degli Accademici della Crusca, In Venezia, Appresso Giovanni Alberti, 1612. Crusca II = Vocabolario degli Accademici della Crusca, In questa seconda impressione da’ medesimi riveduto, e ampliato, con aggiunta di molte voci degli autori del buon secolo, e buona quantità di quelle dell’uso, In Venezia, Appresso Iacopo Sarzina, 1623. Crusca III = Vocabolario degli Accademici della Crusca, In questa terza impressione nuovamente corretto, e copiosamente accresciuto, 3 voll., In Firenze, Nella Stamperia dell’Accademia della Crusca, 1691. Crusca IV = Vocabolario degli Accademici della Crusca, Quarta impressione, 6 voll., Firenze, Appresso Domenico Maria Manni, 1729-1738. Crusca V = Vocabolario degli Accademici della Crusca, Quinta impressione, 11 voll. (A-Ozono), Firenze, Tipografia Galileiana, 1863-1923. DBI = Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1961 e segg. DEI = Dizionario etimologico italiano, a cura di Carlo Battisti e Giovanni Alessio, 5 voll., Firenze, Barbera, 1950-1957. DELI = Dizionario etimologico della lingua italiana. Nuova edizione, a cura di Manlio Cortelazzo e Michele A. Cortelazzo, Bologna, Zanichelli, 1999. GDLI = Grande dizionario della lingua italiana, fondato da Salvatore Battaglia, diretto da Giorgio Bàrberi Squarotti, 21 voll., Torino, UTET, 1961-2002. GRADIT = Grande dizionario italiano dell’uso, di Tullio De Mauro, Torino, UTET, 2007 [si tratta di una nuova edizione, in 8 volumi, in cui accanto all’introduzione di nuovi lemmi sono stati ritoccati i dati dei lemmi pubblicati nel 1999].
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TB = Dizionario della lingua italiana, nuovamente compilato da Nicolò Tommaseo e Cav. Professore Bernardo Bellini […], 4 voll., Torino, Unione Tipografico-Editrice, 1861-1879. TLIO = Tesoro della Lingua Italiana delle Origini, in elaborazione presso l’Opera del Vocabolario Italiano (OVI, Istituto del CNR) e consultabile in rete all’indirizzo http://tlio.ovi.cnr.it/TLIO/.
Corpus di grammatiche di riferimento Acarisio, Vocabolario = Alberto Acarisio, Vocabolario, grammatica, et ortographia de la lingua volgare, ristampa anastatica dell’ed. di Cento, a cura di Paolo Trovato, Bologna, Forni, 1988. Alberti, Grammatichetta = Leon Battista Alberti, Grammatichetta / Grammaire de la langue toscane, a cura di Giuseppe Patota, Paris, Les Belles Lettres, 2003. Alessandri, Paragone = Giovanni Mario Alessandri, Il paragone della lingua toscana et castigliana, Napoli, Mattia Cancer, 1540. Alunno, Della fabrica del mondo = Francesco Alunno, Della fabrica del mondo di m. Francesco Alunno da Ferrara. Nella quale si contengono le voci di Dante, del Petrarca, del Boccaccio, & d’altri buoni autori […], in Venetia, appresso Francesco Rampazetto, 1562. Alunno, Ricchezze = Francesco Alunno, Le ricchezze della lingua volgare sopra il Boccaccio, Venezia, presso G. M. Bonelli, 1553. Ambrosoli, Grammatica = Francesco Ambrosoli, Grammatica della lingua italiana, Milano, Antonio Fontana, 1829. Amenta, Della lingua nobile = Niccolò Amenta, Della lingua nobile e del modo di leggiadramente scrivere in essa, non che di perfettamente parlare, Napoli, nella Stamperia ed a spese di Antonio Muzio, 1723-1724. Bembo, Prose = Pietro Bembo, Prose della volgar lingua, a cura di Claudio Vela, Bologna, Cleub, 2001. Bartoli, Il torto e ’l diritto = Daniello Bartoli, Il torto e ’l diritto del non si può, dato in giudicio sopra molte regole della lingua italiana, esaminato da Ferrante Longobardi, cioe dal P. D. B., a cura di Sergio Bozzola, Parma, Fondazione Pietro Bembo, Guanda, 2009. Borghini, Ruscelleide = Vincenzio Borghini, Ruscelleide, ovvero Dante difeso dalle accuse di G. Ruscelli. Note raccolte da Costantino Arlia, Città di Castello, S. Lapi, 1898. Borghini, Scritti = Vincenzio Borghini, Scritti inediti o rari sulla lingua, a cura di J. R. Woodhouse, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1971. Buommattei, Della lingua toscana = Benedetto Buommattei, Della lingua toscana, a cura di Michele Colombo, Firenze, Presso l’Accademia, 2007.
Abbreviazioni 11
Caleffi, Grammatica della lingua italiana = Giuseppe Caleffi, Grammatica della lingua italiana, compilata sulle migliori moderne grammatiche per uso della gioventù, Firenze, Tipografia della speranza, 1832. Castelvetro, Correttione = Lodovico Castelvetro, Correttione d’alcune cose del Dialogo delle lingue di Benedetto Varchi, a cura di Valentina Grohovaz, Padova, Antenore, 1999. Castelvetro, Giunta = Lodovico Castelvetro, Giunta fatta al ragionamento degli articoli et de’ verbi di Messer Pietro Bembo, a cura di Matteo Motolese, Roma-Padova, Antenore, 2004. Ceci, Compendio d’avvertimenti = Giovanni Battista Ceci, Compendio d’avvertimenti di ben parlare volgare, correttamente scrivere e comporre lettere di negocio e complimenti, Venezia, nella stamperia Salicata, 1618. Cittadini, Note = Celso Cittadini, Note di Celso Cittadini in margine alla Giunta di Lodovico Castelvetro al Ragionamento degli articoli del Bembo, in Opere, a cura di Girolamo Gigli, Roma, De’ Rossi, 1721. Corso, Fondamenti = Rinaldo Corso, Fondamenti del parlar thoscano di Rinaldo Corso non prima veduti corretti et accresciuti, Venezia, Melchiorre Sessa, 1549. Corticelli, Regole = Salvatore Corticelli, Regole ed osservazioni della lingua toscana, Bologna, nella stamperia di Lelio della Volpe, 1745. Dagnini, Insegnamento della lingua italiana = Ambrogio Dagnini, Insegnamento della lingua italiana in 30 lezioni ossia studi su le forme grammaticali colle quali gl’italiani esprimono o deggiono esprimere le loro idee, Liège, Typographie de J. G. Carmanne, 1857. Dolce, Osservationi = Ludovico Dolce, I quattro libri delle Osservationi, a cura di Paola Guidotti, Pescara, Libreria dell’Università, 2004. Fornaciari, Breve grammatica della lingua italiana = Raffaello Fornaciari, Breve grammatica della lingua italiana ad uso delle scuole complementari, Firenze, Sansoni, 1897. Fornaciari, Grammatica italiana dell’uso moderno = Raffaello Fornaciari, Grammatica italiana dell’uso moderno: scrittura e pronunzia, parti del discorso e flessioni, formazione della parole, metrica, Firenze, Sansoni, 1879. Fortunio, Regole = Giovanni Francesco Fortunio, Regole grammaticali della volgar lingua, a cura di Brian Richardson, Padova, Antenore, 2001. Gabriele, Regole = Giacomo Gabriele, Regole grammaticali, Venezia, Giovanni de’ Farri e fratelli, 1548. Gagliardi, Cento osservazioni di lingua = Paolo Gagliardi, Cento osservazioni di lingua, Bologna, Dalla Volpe, Lelio Stampatore, 1740. Gherardini, Appendice = Giovanni Gherardini, Appendice alle grammatiche italiane o sia note grammaticali, Milano, per G. B. Bianchi di Giacomo, 1843.
12 tra norma e descrizione: gli «avvertimenti» di salviati
Gherardini, Introduzione = Giovanni Gherardini, Introduzione alla grammatica italiana, Milano, Imperiale Regia Stamperia, 1825. Giambullari, Regole = Pierfrancesco Giambullari, Regole della lingua fiorentina, a cura di Ilaria Bonomi, Firenze, Presso l’Accademia, 1986. Gigli, Lezioni = Girolamo Gigli, Lezioni di lingua toscana, Venezia, Presso Giovambattista Pasquali, 1722. Gigli, Regole = Girolamo Gigli, Regole per la toscana favella, Roma, nella Stamperia di Antonio de’ Rossi, 1721. Lambruschini, Principi di grammatica = Raffaello Lambruschini, Principi di grammatica cavati dall’esame della lingua nativa (riproduzione dell’edizione 1861), 2006. Liburnio, Le tre fontane = Niccolò Liburnio, Le tre fontane, Vinegia, per Gregorio de Gregori, 1526. Liburnio, Le vulgari elegantie = Niccolò Liburnio, Le vulgari elegantie, con un’introduzione di Giovanni Presa, Milano, Le Stelle, 1966. Linacre, De emendata structura = Thomae Linacri Britanni, De emendata structura Latini sermonis libri sex, riproduzione dell’edizione Lugduni, 1975. Mambelli (Cinonio), Osservationi = Marco Antonio Mambelli (detto Cinonio), Delle osservationi della lingua italiana, dal Cinonio Accademico Filergita raccolte in gratia d’un predicator siciliano, Ferrara, per Alfonso e Giovanni Battista Maresti, 1657. Manni, Lezioni = Domenico Maria Manni, Lezioni di lingua toscana, Firenze, Nella Stamperia di Pietro Gaetano Viviani, 1737. Matteo Di San Martino, Osservationi = Matteo di San Martino, Le osservationi grammaticali e poetiche della lingua italiana, a cura di Antonio Sorella, con la collaborazione di Anna Leone, Stefania Martella e Leonarda Matese, Pescara, Libreria dell’Università, 1999. Ménage, Origini = Gilles Ménage, Le origini della lingua italiana, Ginevra, appresso Giovanni Antonio Chouet, 1685. Moise, Grammatica = Giovanni Moise, Grammatica della lingua italiana, Firenze, Tipografia del Vocabolario, 1878. Morandi-Capuccini, Grammatica italiana = Luigi Morandi - Giulio Capuccini, Grammatica italiana per uso delle scuole ginnasiali tecniche e normali, Torino, Paravia, 1894. Muzio, Battaglie = Girolamo Muzio, Battaglie per diffesa dell’italica lingua, a cura di Carmelo Scavuzzo, Messina, Sicania, 1995. Nannucci, Teorica = Vincenzo Nannucci, Teorica dei nomi della lingua italiana, Firenze, Baracchi, 1847. Paria, Grammatica della lingua italiana = Giuseppe Paria, Grammatica della lingua italiana, Torino, Giacinto Marietti, 1844. Pergamini, Memoriale = Giacomo Pergamini, Memoriale della lingua italiana, Venezia, appresso Giovanni Battista Ciotti, 1603.
Abbreviazioni 13
Pergamini, Trattato della lingua = Giacomo Pergamini, Trattato della lingua del signor Giacomo Pergamini da Fossombrone, Venezia, per Bernardo Giunta, Gio. Battista e compagni, 1613. Petrocchi, Grammatica della lingua italiana = Policarpo Petrocchi, Grammatica della lingua italiana per le scuole elementari inferiori [riproduzione dell’edizione 1887], 2006. Ponza, Della gramatica della lingua italiana = Michele Ponza, Della gramatica della lingua italiana libri 4, Torino, Presso Gaetano Balbino, 1834. Puoti, Regole = Basilio Puoti, Regole elementari della lingua italiana, Livorno, presso Vincenzo Mansi, 1847. Rossi, Osservazioni sopra la lingua volgare = Pio Rossi, Osservazioni sopra la lingua volgare con la dichiarazione delle men note, e più importanti voci, Piacenza, nella Stamperia Ducale di Gio. Bazachi, 1677. Roster, Elementi grammaticali ragionati = Giacomo Roster, Elementi grammaticali ragionati di lingua italiana, Firenze, nella Stamperia di Luigi Pezzati, 1827. Roster, Osservazioni grammaticali = Giacomo Roster, Osservazioni grammaticali intorno alla lingua italiana, Firenze, nella Stamperia Ronchi, 1826. Ruscelli, Commentarii = Girolamo Ruscelli, De’ commentarii della lingua italiana, a cura di Chiara Gizzi, Manziana, Vecchiarelli, 2016. Salviati, Avvertimenti, I = Lionardo Salviati, Degli avvertimenti della lingua sopra ’l Decamerone. Volume primo del cavalier Lionardo Salviati diuiso in tre libri, il I in tutto dependente dall’ultima correzione di quell’opera, il II di quistioni e di storie, che pertengono a fondamenti della favella, il III diffusamente di tutta l’ortografia, Venezia, Domenico e G. B. Guerra, 1584. Salviati, Avvertimenti, II = Lionardo Salviati, Del secondo volume degli Avvertimenti della lingua sopra il Decamerone. Libri due del cavalier Lionardo Salviati, Firenze, Giunti, 1586. Salviati, Regole = Lionardo Salviati, Regole della toscana favella, a cura di Anna Antonini Renieri, Firenze, Accademia della Crusca, 1991. Sansovino, Osservationi = Francesco Sansovino, Le osservationi della lingua volgare di diversi huomini illustri, cioè del Bembo del Gabriello del Fortunio dell’Acarisio et di altri scrittori, Venezia, appresso Francesco Sansovino. Sforza Pallavicino, Avvertimenti grammaticali = Pietro Sforza Pallavicino, Avvertimenti grammaticali per chi scrive in lingua italiana, Roma, il Varese, 1661. Soave, Elementi = Francesco Soave, Elementi della lingua italiana ad uso delle scuole, Milano, presso Giuseppe Marelli e Gaetano Motta, 1788. Soave, Gramatica ragionata = Francesco Soave, Gramatica ragionata del-
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la lingua italiana [1771], a cura di Simone Fornara, Pescara, Libreria dell’Università, 2001. Soresi, Rudimenti della lingua italiana = Pier Domenico Soresi, I rudimenti della lingua italiana, Milano, nella Regio-ducal Corte, 1756. Tani, Avertimenti = Nicolò Tani, Avertimenti sopra le regole toscane, Venezia, appresso Giovita Rapario, 1550. Tolomei, Cesano = Claudio Tolomei, Il Cesano de la lingua toscana, a cura di Ornella Castellani Pollidori, Firenze, presso l’Accademia della Crusca, 1996. Tolomei, Del raddoppiamento = Claudio Tolomei, Del raddoppiamento da parola a parola, a cura di Barbara Garvin, Exeter, University of Exeter, 1992. Trissino, Grammatichetta = Gian Giorgio Trissino, Grammatichetta [1521], in Scritti linguistici, a cura di Alberto Castelvecchi, Salerno Editore, Roma, pp. 129-171. Vanzon, Grammatica = Carlo Antonio Vanzon, Grammatica ragionata della lingua italiana, Livorno, L. Angeloni, 1834. Varchi, Hercolano = Benedetto Varchi, Hercolano [1570], a cura di Antonio Sorella, Pescara, Libreria dell’Università Editrice, 1995.
INTRODUZIONE
I due volumi degli Avvertimenti della lingua sopra ’l Decamerone di Lionardo Salviati rappresentano un momento di fondamentale importanza della riflessione linguistica del Cinquecento e chiudono il lungo percorso aperto dalle Regole di Fortunio, la più antica grammatica italiana a stampa (1516)1. Il primo volume, pubblicato nel 1584 a Venezia presso i fratelli Guerra, è costituito da tre libri2: nel primo Salviati motiva in manie1
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Lionardo Salviati, Degli Avvertimenti della lingua sopra ’l Decamerone, vol. i, Venezia, fratelli Domenico e Giovan Battista Guerra, 1584; vol. ii, Firenze, Giunti, 1586. È in corso di stampa l’edizione commentata degli Avvertimenti a cura di Marco Gargiulo (primo volume) e Francesca Cialdini (secondo volume) presso l’Accademia della Crusca. Sulla biografia di Lionardo Salviati si veda da ultimo Claudio Gigante, Lionardo Salviati, in Dizionario Biografico degli Italiani, 90, 2017, pp. 4752 (http://www.treccani.it/enciclopedia/lionardo-salviati_%28Dizionario-Biografico%29/); rimane fondamentale lo studio di Peter M. Brown, Lionardo Salviati, a critical biography, Oxford, Oxford University Press, 1974. Tra gli studi sul primo volume degli Avvertimenti Peter M. Brown, The conception of literary ‘volgare’ in the linguistic writings of Lionardo Salviati, in «Italian Studies», xxi, 1966, pp. 57-90; Maurizio Vitale, La questione della lingua, Palermo, Palumbo, 1970, pp. 96-105; Id. 1986, pp. 117-172; Salvatore Battaglia, La crisi rinascimentale nella ricerca linguistica di L. Salviati, in «Filologia e Letteratura», xvii, 1971, pp. 400-426; Rudolf Engler, I fondamenti della favella in Lionardo Salviati e l’idea saussuriana di “langue complète”, in «Lingua e Stile», x, 1975, pp. 17-28; Anna Antonini, La lessicologia di Leonardo Salviati, in «Studi di Grammatica Italiana», xi, 1982, pp. 101-135; Nicoletta Maraschio, Scrittura e pronuncia nel pensiero di Lionardo Salviati, in La Crusca nella tradizione letteraria e linguistica, Firenze, Accademia della Crusca, 1985, pp. 81-89; Nicoletta Maraschio, Leonardo Salviati, in Enciclopedia dell’italiano, a cura di Raffaele Simone, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2010, pp. 1269-1271; Mario Pozzi, Discussioni linguistiche del Cinquecento, Torino, UTET, 1988, pp. 793-896; Lionardo Salviati, Regole della toscana favella, Edizione critica a cura di Anna Antonini Renieri, Firenze, Accademia della Crusca, 1991; Claudio Marazzini, Da Dante alla lingua selvaggia. Sette secoli di dibattiti sull’italiano, Roma, Carocci, 1999, pp. 86-90; Marco Gargiulo, Per
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ra analitica i criteri grafico-fonetici adottati per l’edizione del Decameron “rassettato” del 15823 e descrive il metodo utilizzato per la collazione delle diverse copie del testo di Boccaccio. Nel secondo libro Salviati prende in esame gli «scrittori del buon secolo» e si chiede «chi furono, e quali cose, e in che tempo scrisse ciascuno di loro, e qual più, e qual meno sia da pregiare, e perché»4. Per ogni testo citato stabilisce la cronologia, la provenienza e fornisce informazioni sul possessore del manoscritto o della stampa: la Tavola dei Citati degli Avvertimenti costituisce, per questo, un’importante prova linguistica
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una nuova edizione degli Avvertimenti della lingua sopra ’l Decamerone di Leonardo Salviati, in «Heliotropia», 6. 1-2, 2009, pp. 1-27. Salviati, Il Decamerone di Messer Giovanni Boccacci Cittadin Fiorentino, di nuovo ristampato, e riscontrato in Firenze con testi antichi, et alla sua vera lezione ridotto dal Cavalier Lionardo Salviati, Venezia, Giunti, agosto 1582; Firenze, Giunti, ottobre 1582. A distanza di pochi mesi, dunque, viene pubblicata una seconda edizione del Decameron a Firenze presso i Giunti: cfr. Marco Bernardi-Carlo Pulsoni, Primi appunti sulle rassettature del Salviati, in «Filologia Italiana», 8, 2011, pp. 167-200. Sulla “rassettatura” salviatesca si vedano Peter M. Brown, Lionardo Salviati, cit.; Raul Mordenti, Le due censure: la collazione dei testi del Decameron “rassettati” da Vincenzio Borghini e Lionardo Salviati, in Le pouvoir et la plume, Parigi, Université de la Sorbone, 1982, pp. 253-273; Raul Mordenti, Per un’analisi dei testi censurati: strategia testuale e impianto ecdotico della “Rassettatura” di Lionardo Salviati, in Annali dell’Istituto di Filologia Moderna dell’Università di Roma, 1982, pp. 7-51; Gustavo Bertoli, Le prime due edizioni della seconda “rassettatura”, in Dalla textual bibliography alla filologia dei testi italiani a stampa, Pescara, Libreria dell’Università, a cura di Antonio Sorella, 1998, pp. 135-158; Tim Carter, Another Promoter of the 1582 Rassettatura of the Decameron, in «The Modern Language Review», 81, 1986, pp. 893-899; Paolo Maria Gilberto Maino, L’uso dei testimoni del Decameron nella rassettatura di Lionardo Salviati, in «Aevum», 86, fasc. 3, 2012, pp. 1005-1030, pp. 1005-1030; Paolo Maria Gilberto Maino, Un caso particolare tra i prodromi del Vocabolario della Crusca: la lingua della censura nella rassettatura del Decameron di Salviati, in Il Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612) e la storia della lessicografia italiana, Atti del X Convegno ASLI, Padova, 29-30 novembre 2012 - Venezia, 1 dicembre 2012, a cura di Lorenzo Tomasin, Firenze, Franco Cesati Editore, 2013, pp. 105-115. Salviati, Avvertimenti, i, 100. Salviati si inserisce nell’importante tradizione filologica fiorentina rappresentata da Borghini, Vettori e Varchi. Sull’argomento si veda da ultimo Gino Belloni, Tanto per cominciare, sulla Crusca e i suoi testi, in La Crusca e i testi. Lessicografia, tecniche editoriali e collezionismo librario intorno al Vocabolario del 1612, a cura di Gino Belloni e Paolo Trovato, Padova, Libreria Universitaria – Accademia della Crusca 2018, oltre a Id., Vincenzio Borghini, Lettera intorno a’ manoscritti antichi, Roma, Salerno, 1995 e Id., Vincenzio Borghini dall’erudizione alla filologia. Una raccolta di testi, Pescara, Libreria dell’Università editrice, 1998; Mario Pozzi, Lingua e cultura del Cinquecento: Dolce, Aretino, Machiavelli, Guicciardini, Sarpi, Borghini, Liviana, Padova, 1975.
INTRODUZIONE 17
e filologica5 ed è alla base del canone autoriale del Vocabolario degli Accademici della Crusca del 16126. Una parte del secondo libro è dedicata alla riflessione sul fiorentino quattrocentesco e sulle cause che hanno portato al «peggioramento del favellare»7. 5
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Solo per esempio, per quanto riguarda le Vite di Plutarco, citate negli Avvertimenti come modello di lingua, Salviati afferma: «Le Vite di Plutarco, che furono dello Stradino, della favella del tempo loro ritengono la maggior parte; ma v’ha anche tra esse di molte stravaganze, perocché il volgarizzatore, non intendendo i sensi, la forma delle parole di quella lingua, donde cavava il soggetto, andava spesso più secondando che non era mestiere. Del tempo della copia così si legge dopo la fin del libro: «Scrissi questo libro nell’anno della ’ncarnazione del nostro Signore, 1468, ed ebbi la copia da uno frate dell’ordine minore, e fu quella, che fu di Messer Lionardo d’Arezzo. Fu traslatata di gramatica greca in volgar Greco, in Rodi, per uno filosofo greco chiamato Domitri. E di Greco fu traslatata in Ragonese per uno frate predicatore, Vescovo di Luderuopoli molto sofficente, ch’era ricco in diverse scienzie, e grande storiale esperto in diverse lingue» (Salviati, Avvertimenti, i, 118). Sappiamo dagli studi di Mario Pozzi e di Giulia Stanchina che si tratta del ms. BMLF, Pl. 61.11. Il testo viene citato anche nella prima edizione del Vocabolario e in particolare nella Tavola della quarta edizione troviamo informazioni dettagliate: «Attesta l’Infarinato d’averlo veduto, e d’avervi letto, che era stato copiato nel 1368 da un più antico testo che era stato di Messer Lionardo d’Arezzo; ed anche di avervi trovato notato, che quel volgarizzamento non era stato fatto né sul testo Greco, né sulla versione Latina, ma bensì sulla traslazione Aragonese fattane da un Frate Predicatore Vescovo di Ludervopoli» (Mario Pozzi, Discussioni linguistiche, cit., pp. 865-66 e di Giulia Stanchina, Nella fabbrica del primo Vocabolario della Crusca: Salviati e il “Quaderno” Riccardiano, in «Studi di Lessicografia Italiana», xxvi, 2009, pp. 157-202: 189). Sulla Tavola dei Citati della quarta edizione del Vocabolario si veda lo studio di Valentina Pollidori, Le Tavole dei citati della IV e della V impressione. Criteri filologici, in La Crusca nella tradizione letteraria e linguistica italiana, Firenze, Accademia della Crusca, 1985, pp. 381-386. Sui testi citati da Salviati e presenti nel Vocabolario si veda lo studio di Giulia Stanchina, Nella fabbrica del primo Vocabolario, cit., pp. 157-202, oltre a Mario Pozzi, Discussioni linguistiche, cit.; cfr. anche il volume La Crusca e i testi, cit., curato da Belloni e Trovato. Leggiamo in Crusca I, A’ lettori: «Quanto a regole, precetti, o minuzie gramaticali, non essendo questo luogo da doverne trattare, ex professo, ce ne rimettiamo a quello, che n’ha scritto il Cavalier Lionardo Salviati, il quale, talvolta abbiamo citato ne’ suoi Avvertimenti della lingua, come nella voce Accento. E il medesimo dicesi delle particelle, segni de’ casi, e di simiglianti. Nell’ortografia abbiam seguitato quasi del tutto quella del sopraddetto Salviati, parendoci di presente non ci avere, chi n’abbia più fondatamente discorso». Per un’analisi della grammatica salviatesca nel Vocabolario del 1612 rimandiamo a Francesca Cialdini, La norma grammaticale degli Avvertimenti della lingua sopra ’l Decamerone nella prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca, in «Studi di Grammatica Italiana», xxix-xxx, 2010-11, pp. 141-176 e Ead., Sugli Avvertimenti del Salviati, in La Crusca e i testi, cit. Di riferimento la Lessicografia della Crusca in rete, consultabile all’indirizzo www.lessicografia.it. Salviati, Avvertimenti, i, 87-88: «Assai, per li prodotti esempli, per nostro credere, efficacemente s’è confermato ciò ch’addietro si presuppose del piggioramento del favellare; del qual piggioramento, che stato fosse la cagione, ragionevolmente potrebbe
18 tra norma e descrizione: gli «avvertimenti» di salviati
Nel terzo libro Salviati prende in esame il rapporto tra grafia e pronuncia in base ai due livelli linguistici, lo scritto del fiorentino trecentesco e il parlato della lingua contemporanea, distinti sul piano diacronico ed eterogenei dal punto di vista documentario8. Il secondo volume degli Avvertimenti, pubblicato a Firenze presso i Giunti nel 1586, è costituito da due libri e rappresenta la parte propriamente grammaticale dell’opera: nel primo l’attenzione è posta sul nome (suddiviso in sustantivo e addiettivo), nel secondo sul vicecaso (o segnacaso nella terminologia grammaticale del Cinquecento, ossia sulle preposizioni) e sull’articolo. Le categorie grammaticali vengono prese in esame da Salviati con la stessa metodologia adottata nel primo volume: l’analisi della polimorfia che caratterizza il Decameron consente una descrizione morfologica dettagliata della lingua, in un quadro teorico che prevede una continuità tra quella antica e quella contemporanea9.
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chiedersi da chiché sia; conciossiecosa che nel vero ella non apparisca così espressamente, come fece nella Latina e nella Greca ed in altre, alle quali quello addivenne, che il più suole comunemente avvenire, che con la morte delle leggi si spenga insieme lo splendor della lingua; sì per lo nuovo concorso degli stranieri, che quasi piover sogliono da ogni parte ne’ sì fatti travagli, sì perché gli abitatori, per la maggior perdita disperati, non sappiendo dove le cose s’abbiano a riuscire, o s’avviliscono o con un certo falso contento d’animo, volonterosamente abbandonano ogni cultura, onde, o cessano gli scrittori o cessan quelli di spirito più sublime. E delle lingue, come altrove s’è detto, sono gli scrittori il sostegno: senza gli altri accidenti che i sì fatti casi, e prima, e dopo, generalmente sogliono accompagnare; quali sono le guerre domestiche che, come arrecano nuovi costumi, così nuovi parlari introducono nella città: e gli esili e le morti de’ più valorosi e migliori che, come degli altri beni, così la lascian vota del fior della favella. Delle quali sventure, alla caduta del Toscano idioma, non concorse niuna, onde ad altra cagione, per quello che noi crediamo, fa bisogno d’attribuirla, e quella, secondo il nostro avviso (il che a molti per avventura parrà nuova cosa a udire) sì fu l’allargamento della Latina lingua». Su questo aspetto cfr. Vittorio Formentin, La “crisi” linguistica del Quattrocento, in Storia della letteratura italiana, diretta da Enrico Malato, vol. III (Il Quattrocento), Roma, Salerno Editrice, 1995, pp. 159-210. Cfr. Nicoletta Maraschio, Scrittura e pronuncia nel pensiero di Lionardo Salviati, cit., p. 84. Per esempio, oltre che sulla grafia, Salviati si sofferma sul «perché molte voci si pronunzino diversamente» e afferma che «tra le copie si ritruovano del libro delle Novelle, l’uso di due età, e talvolta di tre, manifestamente si riconosce» (Salviati, Avvertimenti, i, 139). Sulle scelte grafiche di Salviati si veda anche Nicoletta Maraschio, Grafia e ortografia: evoluzione e codificazione, in Storia della lingua italiana, a cura di Luca Serianni e Pietro Trifone, vol. 1. I luoghi della codificazione (3 voll.: vol. 1 I luoghi della codificazione; vol. 2 Scritto e parlato; vol. 3 Le altre lingue), Torino, Einaudi, 1993-1994, pp. 139-227. Foscolo criticherà l’impostazione metodologica di Salviati nel Discorso storico sul te-
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Nel primo libro del primo volume Salviati si sofferma sui criteri alla base dell’edizione “rassettata” del Decameron e prende in esame i testimoni del testo e in particolare il Mannelli, il codice Laurenziano XLII. 1 (1384 di Francesco d’Amaretto Mannelli) definito l’Ottimo10; il lavoro filologico intorno al testo di Boccaccio è il punto di partenza per una descrizione approfondita della realtà linguistica fiorentina11. Nell’introduzione all’edizione del Decameron Salviati
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sto del Decamerone: «Davvero io non so com’ei non impazzasse mentr’egli, in que’ suoi volumi d’avvertimenti sopra la lingua, cercava un assioma grammaticale da quasi ogni sillaba del Decamerone» (Ugo Foscolo, Discorso sul testo del Decameron, in Saggi e discorsi critici, a cura di Cesare Foligno, Firenze, Le Monnier, 1953, XCVI, 368). Come afferma Anna Antonini Renieri nell’edizione delle Regole di Salviati, p. 35, «secondo Foscolo tutti coloro che in qualche modo hanno avuto a che fare con l’opera del Boccaccio, o hanno corretto “ad arbitrio di congetture”, oppure prendendo ad esempio il Bembo, hanno applicato “alle regole grammaticali una lezione particolare del Decamerone desunta molti anni innanzi da un codice che non sappiamo né donde venisse né dove andasse a finire”». Salviati, Avvertimenti, i, 7: «Della migliore copia da quei del ’73 detta l’Ottimo, e da noi il Mannelli». Utilizza anche l’edizione “rassettata” del 1573 e l’edizione giuntina del 1527; consulta altri due testi, definiti «Secondo» e «Terzo», citati anche nelle Annotazioni: «noi per hora habbiamo chiamato il Terzo uno che dicono esser già stato di messer Lodovico Beccatelli da Bologna […], che assai bene è vicino a quel primo, ma si intenda pur vicino di lungo intervallo». (Deputati, Le annotazioni e i discorsi sul Decameron del 1573 dei Deputati Fiorentini [1574], a cura di Giuseppe Chiecchi, Roma-Padova, Antenore, 2001: Proemio, ii, 45, 16). Sul Secondo e Terzo afferma Salviati: «Che il Secondo e ’l Terzo non vengan dal Mannelli par che si mostri per li luoghi citati nel primiero capitolo» (Salviati, Avvertimenti, i, 8). Infatti in Avvertimenti, i, 6: «Da questi luoghi addunque, ne’ quali il Terzo e ’l Secondo contra ’l Mannelli quasi sempre s’accordano, restando buona l’una e l’altra lettura, quanto si suspica de’ due originali, per avventura potrà conghietturarsi». Sul Mannelli si veda almeno Giovanni Boccaccio, Decameron. Edizione critica secondo l’autografo hamiltoniano, a cura di Vittore Branca, Firenze, Accademia della Crusca, 1976, p. LXII-LXXXVI. Cfr. anche Giovanni Boccaccio, Decameron, Introduzione, note e repertorio di Cose (e parole) del mondo di Amedeo Quondam, Testo critico e Nota al testo a cura di Maurizio Fiorilla, Schede introduttive e notizia biografica di Giancarlo Alfano, Milano, BUR Rizzoli, 2013, p. 115. Salviati nel primo volume si sofferma anche sul titolo dell’opera di Boccaccio: «Quanto al nome Decameron egli si legge tredici volte nel libro del Mannelli e sempre nella stessa guisa, Decameron, sì che la n è sempre l’ultima lettera della detta parola, e così l’hanno quasi tutte le copie che più dell’altre vestigia serbano d’antichità. Per la qual cosa si può tener per fermo che il vocabolo Decamerone, che ne’ libri stampati ed in alcuni scritti si legge fermamente, sia, senza fallo, moderna manifattura. Perciocché, essendo quella voce Decameron in qual si voglia modo ch’ella si profferisca molto salvatica nel volgar nostro, né potendosi seco di leggieri addimesticare, sì come quella che, a dirne il vero, è molto differente dalla natura sua, non è maraviglia
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infatti dichiara di «seguitare l’inconstanza de’ testi»12 e di rispettare l’oscillazione grafica del testo per far emergere la polimorfia del fiorentino (prego/priego; piccolo/picciolo; denari/danari), come sottolinea anche negli Avvertimenti: Ma ci hanno delle voci che nel Mannelli sono scritte in più modi, niun de’ quali all’uso o alla ragione non contrasta. Nelle sì fatte andiamo il più secondando la varietà di quel libro, massimamente che si può credere che anche dall’autore si scrivesse diversamente: come nipote e nepote; adunque e addunque; sentenzia e sentenza; diecimila e diecimilia; Dio e Iddio; giudicio e iudicio; conoscere e cognoscere; palafreno e pallafreno; onorevolemente e onorevolmente; piccola e picciola, e altre simili assai che parte si notarono nel nostro discorso davanti alle Giornate e parte si noteranno ne’ susseguenti libri sotto un lor proprio capo13.
Sulle oscillazioni in ambito ortografico intervengono molti grammatici del Cinquecento, per esempio Alunno nella Fabbrica del mondo mette spesso a lemma entrambe le varianti e già anche Fortunio riprende molte di queste forme come maraviglia/meraviglia; come/como; altrimenti/altramenti; anche/anco; iguale/eguale/uguale14.
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se i volgari huomini, che l’hanno maneggiata, o a caso o a studio l’abbiano come vestita alla nostra foggia. E senza fallo il nostro minuto popolo torrebbe avanti il non lo nomar giammai che d’appellarlo il Decameron, come abbiam per costante che si chiamasse dal suo proprio Autore. Né perciò di tale nome è, secondoché noi crediamo, da biasimare il Boccaccio, quasi egli in ciò poca cura si prendesse di piacere all’universale, perocché il popolo, purché nel rimanente si studi di soddisfargli, soffera agevolmente che, nel fatto del titolo, a lor medesimi compiacciano gli scrittori. Ed era usanza de’ passati secoli ancora, e fu, ed è oggi d’altre favelle, non pur del volgar nostro, il nomar l’opere con titoli di morte lingue o straniere, così parendo agli autori di renderle più ammirabili e quasi più venerande nel primo aspetto; cotal forza portano seco comunemente le cose che non s’intendono» (Salviati, Avvertimenti, i, 42-43). Per quanto riguarda i criteri di trascrizione delle citazioni dalle opere antiche, è stata conservata la la grafia originale, ma è stata introdotta la distinzione tra u e v e l’interpunzione è stata adeguata all’uso moderno per favorire la lettura. Le citazioni tratte da edizioni moderne seguono i criteri utilizzati dal curatore. Lionardo Salviati, Decameron, cit., [s.n.p.]. Salviati, Avvertimenti, i, 10. Cfr. Nicoletta Maraschio, Le Regole di Fortunio tra ortografia e fonetica, in «Un pelago di scientia con amore». Le «Regole» di Fortunio a cinquecento anni dalla stampa, a cura di Paola Moreno e Gianluca Valenti, Roma, Salerno Editrice, 2017, pp. 195-213.
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Tuttavia, Salviati si muove anche nella direzione della modernità, per esempio elimina i nessi latineggianti (optimo diventa ottimo), sostituisce forme come bascio e camiscia con bacio e camicia, mantiene l’h etimologica solo in parole come huomo, hora e nel verbo havere15. Anche se l’avvicinamento tra scritto antico e parlato contemporaneo non sempre è possibile, Salviati cerca di conciliare i due livelli linguistici e – soprattutto per quanto riguarda la grafia – deve necessariamente tenere conto di alcune acquisizioni raggiunte nel corso del secolo, che sono ormai entrate nell’uso16. Per esempio, le consonanti intervocaliche vengono o raddoppiate o rese scempie per lo più in base all’uso contemporaneo: Né solamente nel raddoppiar le consonanti, ma nel contrario ancora, cioè nel porne una sola, dov’esse ne poser due, ci partiam dalle copie quando il diritto il richiede; e dove nel Re Carlo il Mannelli scrive ecterno, e nel Re Piero e la Lisa pure ecterne ed il Terzo etterno ed etterne, nel nostro si legge eterne e eterno, nell’un luogo e nell’altro. E, benché creder si possa che quella voce in quel tempo si pronunziasse in quel modo, nondimanco, poiché il moderno uso della pronunzia nella miglior parte è contrario, crediamo, in grazia dell’idioma vivo, massimamente in cosa dubbia e con acquisto di dolcezza possa sicuramente prendersi questo ardire17.
Allo stesso modo nel caso di nessi come -pt- e -ct-: Costume era, oltr’a ciò, delle scritture di quell’età lo ’nzeppar le parole di varie consonanti poste allato l’una all’altra, o nella stessa o in due sillabe continuate, solamente perché i Latini, da cui le tolse la lingua nostra, così le scrissero anch’essi, quantunque il nostro idioma dolcissimo, oltr’ad ogni altro e oltre modo schifo delle durezze e che niuna asprezza nella sua pronunzia può sofferire, non solamente non le pronunzi, ma non le possa in un cotal modo naturalmente quasi pronunziare. Ma noi, avendo l’altra per falsa ortografia, non come coloro fecero il più apto, decto, observare, optimi, exceptioni, abstratto, sancto, ligiptimo, abstenere, advedersene, che barbare voci risuonano nel volgar nostro: ma atto, detto, osservare, 15 16
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Nicoletta Maraschio, Leonardo Salviati, cit., p. 1270. Nicoletta Maraschio, Scrittura e pronuncia nel pensiero di Lionardo Salviati, cit., p. 86. Salviati, Avvertimenti, i, 11.
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ottimi, eccezioni, astratto, santo, legittimo, astenere, avvedersene abbiamo scritto sempre, secondo la dolcezza della nostra favella18.
E ancora per quanto riguarda altre doppie: E in alcuni lasciam sempre del tutto l’ortografia degli antichi, raddoppiando le consonanti che doppie si profferiscono, o faccianlo le copie o no. Così scriviamo: disavventura, Iddio, contraffatta, dattorno, ebbrezza, ubbriaco, abbeverando, febbre, agguagliare, s’avvide, dorremmo, sprovveduta, in vece di disaventura, Idio, contrafatta, datorno, ebrezza, ubriaco, abeverando, febre, aguagliare, s’avide, dorremmo, sproveduta, che spesse volte si leggon nel Mannelli e talora nell’altre o in alcune dell’altre buone copie, sì come in Tofano, nel Re di Spagna e i Forzieri, in Calandrin pregno, in Messer Gentile de’ Carisendi, nel Saladino e Messer Torello, e altrove, qual molto spesso, qual le più volte, come nel detto capo dell’ortografia può vedersi, dove del raddoppiar delle consonanti, come in suo luogo, si ragiona da noi19.
Salviati si sofferma sul concetto di uso come aspetto dinamico della lingua e allo stesso tempo precisa la necessità di una norma che derivi dalla tradizione letteraria trecentesca20: [Le parole] s’imprendesser dal popolo, ma di farne la scelta e d’adoperarle dirittamente, s’imparasse dagli scrittori. Il cui esempio, e la cui autorità sono appunto quella cosa che le regole della lingua si chiaman comunemente, o sì o no, che elle si sieno, o da uno, o da molti state considerate, o da uno, o da molti state raccolte insieme.
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Ivi, 11-12. Sulle consonanti geminate si veda per esempio quello che dice Fortunio: «Sono poi alcuni vocaboli, li quali non per bisogno di compimento di voce, né per ciò che siano composti, ma per seguimento della tosca pronontiatione, e per differentia delle voci latine, di simile finimento, ricevono f overo b geminato, come soffro, afflitto, labbra, fabbro, libbro, febbre, ebbrio, sobbrio». Le considerazioni di Fortunio vengono riprese quasi alla lettera da Dolce nelle Osservationi (la citazione è tratta da Nicoletta Maraschio, Le Regole di Fortunio, cit., pp. 195-196). Ivi, 70. Prosegue in Avvertimenti, i, 74: «le regole del volgar nostro doversi prendere da’ nostri vecchi autori, cioè da quelli che scrissero dell’anno milletrecento, fino al millequattrocento».
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L’oralità contemporanea non svolge un ruolo secondario, poiché è il fattore che, insieme al tempo, agisce sulla lingua, anche se Salviati sottolinea che il ricorso all’uso è un «supplimento», qualcosa di ulteriore rispetto allo scritto: dove le regole negli scrittori o non si veggano così buone o non si veggano appieno, per supplimento è da ricorrere alla voce del popolo, se tra ’l popolo quel sia riposto che manca negli scrittori21.
La dimensione letteraria trecentesca e l’uso sono elementi regolatori che intervengono su piani distinti22. Afferma infatti Salviati: «sia 21
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Salviati, Avvertimenti, i, 72. Specifica in Avvertimenti, i, 71: «[…] stante viva la voce del maestro, cioè del popolo, sia soverchia fatica le regole della lingua raccogliere in iscrittura, poiché da esso, con maggior sicurtà e più agevolezza, apprender si possono a tutte l’ore; in assoluta guisa, secondo il nostro avviso, non è da consentire. Perciocché, né in tutti i luoghi aver si può il popolo appresso, sì come un libro per tutto si può avere, né in ispazio di due anni sentir da quello ciò che da questo possiamo udire in un giorno. Il popolo, oltr’a ciò, non parla tutto in un modo, e a distinguere, e poscia eleggere il meglio, si richiede lungo tempo, vuol maturo discorso e fa bisogno di perfetto giudicio; là dove il libro ti pone avanti la materia smaltita e ha già durata egli tutta quella fatica che, senza lui, converrà che tu prenda tu. Il popolo ci dà le cose, come suol dirsi, a minuto e in confuso, e senza ordine, né d’ordinarle e raccoglierle ci dona alcuno spazio; il libro tutte insieme le ci pone avanti ordinate, e di considerarle ci presta il tempo che noi vogliamo». Sulla teoria dell’«uso» in Salviati cfr. Claudio Marazzini, Il secondo Cinquecento e il Seicento, in Storia della Lingua Italiana, Collana La Nuova Scienza diretta da Francesco Bruni, Bologna, il Mulino, 1993, p. 160; Anna Antonini, La lessicologia di Leonardo Salviati, cit., pp. 109-123. Per quanto riguarda il ruolo dell’uso, è significativo il fatto che Salviati sia autore di commedie come Il granchio (1564) e La spina (pubblicata postuma nel 1592) e di una raccolta proverbiale (I proverbi toscani), contenuta nel codice Cl. I 394, conservato presso la Biblioteca Ariostea di Ferrara. Sulle commedie salviatesche: cfr. Alessia Di Marco, “Il Granchio” e “La Spina”. Lionardo Salviati commediografo, Tesi di Laurea, Università di Firenze, 1994; Ead., La data della prima rappresentazione de “Il Granchio” di Lionardo Salviati, in «Studi Italiani», vii, 1995, pp. 173-175; Mirella Sessa, Il lessico delle commedie fiorentine nel Vocabolario degli Accademici della Crusca, in «Studi di lessicografia italiana», xvi, 1999, pp. 331-377; Laura Riccò, Lionardo Salviati e il teatro: fra corte e accademia in «Studi Italiani», xv, 2003, pp. 29-56, pp. 29-56. Sui proverbi: cfr. Franca Brambilla Ageno, La frasi proverbiali di una raccolta manoscritta di Lionardo Salviati, in «Studi di Filologia Italiana», viii, pp. 239-274; Peter M. Brown, Nota sui manoscritti di Lionardo Salviati, in «Studi di Filologia Italiana», xx, 1962, pp. 137-146; Daniela D’Eugenio, Lionardo Salviati and the collection of “Proverbi toscani”, in «Forum Italicum», 48, pp. 495-521; Marco Biffi, La raccolta di proverbi del Vocabolario degli Accademici della Crusca, in Il Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612),
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l’uso in tutti i tempi non gli scrittori l’arbitro del favellare […]; dello scrivere l’uso buono e approvato dal consenso de’ savi n’avrà lo ’mperio e ’l dominio»23. L’uso, dunque, riguarda il piano del parlato, mentre l’uso buono deriva dalla tradizione scritta: secondo Salviati la grammatica è senza dubbio importante, ma la lingua nel suo complesso è fatta sia dall’uso («il popolo») sia dall’uso buono, che corrisponde al piano della scrittura24. Ma qual è il ruolo della grammatica secondo Salviati? Nell’opera l’analisi filologica e la descrizione grammaticale sono strettamente legate, poiché oltre a illustrare le varianti scelte nel Decameron, Salviati si occupa di grammatica per spiegare le regole e le
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cit., pp. 307-322 (in particolare sulla fortuna dei proverbi salviateschi nel Vocabolario del 1612). Salviati, Avvertimenti, i, 73. Interessante, inoltre, il fatto che Salviati dedichi il secondo volume degli Avvertimenti a Francesco Panigarola (1548-1594), uno dei più importanti predicatori del Cinquecento: «Io dono al nome di vostra paternità, reverendo padre Panicarola, lucido specchio di sincera religione, esemplo d’alto e divino senno, tesoro di profonda e varia dottrina, viva sembianza di nobiltà, singular pregio de’ finissimi dicitori, sovrana tromba del nostro presente secolo, dono, dico, al celebratissimo vostro nome, in testimonio di nostra vera amistade e della reverenza ch’io porto all’uniche qualità vostre, il secondo volume degli Avvertimenti della favella, del primo de’ quali ora ha due anni, feci dono al Duca di Sora» (Salviati, Avvertimenti, ii, proemio). Con il Predicatore, commento dell’opera Dell’elocuzione attribuita a Demetrio Falereo (IV-III secolo a.C.) e pubblicato postumo nel 1609, Panigarola ribadisce l’importanza del doppio piano linguistico, quello della scrittura trecentesca e dell’oralità contemporanea, come modello di riferimento per la lingua della predicazione. Cfr. Claudio Marazzini, Il secondo Cinquecento e il Seicento, cit., pp. 96101 per l’analisi del modello bembiano nella predicazione religiosa; pp. 102-5 in particolare per Panigarola e il Predicatore. Cfr. Claudio Marazzini, Da Dante alla lingua selvaggia, cit., pp. 107-9; sulla predicazione: Vittorio Coletti, Parole dal pulpito. Chiesa e movimenti religiosi tra latino e volgare nell’Italia del Medioevo e del Rinascimento, Casale Monferrato, Marietti, 1983, pp. 221-222; Rita Librandi, L’italiano nella comunicazione della Chiesa e nella diffusione della cultura religiosa, in Storia della lingua italiana, vol. 1, I luoghi della codificazione, a cura di Luca Serianni e Pietro Trifone, 1993, pp. 335-381; Ead., Chiesa e lingua, in Enciclopedia dell’italiano, a cura di Raffaele Simone, vol. I, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2010, pp. 197-201; Ead., La lingua della Chiesa, in Lingua e identità. Una storia sociale dell’italiano, a cura di Pietro Trifone, Roma, Carocci, 2009, pp. 159-188 (prima edizione del 2006); Nicoletta Maraschio-Tina Matarrese, Le lingue della Chiesa. Testi e documenti dalle origini ai giorni nostri, Pescara, Libreria dell’Università Editrice, 1998; Vittorio Coletti, Predicazione e lingua, in Enciclopedia dell’italiano, a cura di Raffaele Simone, vol. II, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2011, pp. 1142-1145.
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eccezioni individuate nel testo di Boccaccio e più in generale nel fiorentino antico e contemporaneo. Qualche anno prima, nel 1575, scrive anche una grammatica didattica, le Regole della toscana favella, dedicata all’ambasciatore ferrarese a Firenze Ettore Cortile25, ma negli Avvertimenti la componente didattica è del tutto assente. Come sottolineato all’inizio del secondo volume, lo scopo non è la compilazione di una vera e propria grammatica, ma la descrizione di alcuni «avvertimenti» su alcune categorie grammaticali: I latini gramatici in molte guise e diverse, qual più partitamente e qual meno, dividono i nomi loro, e li divisi di nuovo ridividono, e quelli che ridivisi hanno una volta, altra e altra fiata ritornano a ridividere. Il che da chi prendesse uficio di scriver le sue regole, forseché anche parimente far si dovrebbe nel presente nostro idioma. Ma noi, i quali solamente d’alcuni avvertimenti dietro a questa favella abbiamo impreso carico di raccogliere alcuna scelta, cotanto studio porremo in questa parte26.
La finalità non è la descrizione sistematica di tutte le categorie grammaticali, infatti l’opera prende in esame solo alcune parti del discorso: il nome, la preposizione e l’articolo27. Più volte – per ribadire il suo allontanamento da qualsiasi forma di categorizzazione esasperata – Salviati sottolinea il fatto che gli Avvertimenti non sono una grammatica organica e sistematica28 e in questo risulta coerente 25
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L’opera è tramandata dal codice Magl. IV.65 (già Strozzi 420) e ms. Pal. 727 della Bncf. Il primo contributo sull’opera è di Peter M. Brown, Una grammatichetta inedita del cav. Lionardo Salviati, in «Giornale Storico della Letteratura Italiana», cxxxiii, 1956, pp. 544-572, mentre l’edizione delle Regole della toscana favella è stata curata da Antonini Renieri nel 1991. Per il terzo testimone delle Regole cfr. Michele Colombo, Un terzo testimone delle Regole della toscana favella attribuite a Lionardo Salviati, in «Studi di Filologia Italiana», LXIII, 2005, pp. 281-305, pp. 281-305. Salviati, Avvertimenti, ii, 1. Il progetto iniziale di Salviati prevede comunque anche un terzo libro sul pronome e un terzo volume dedicato alla stilistica e alla retorica. Per esempio, in Avvertimenti, i, 69: «Della qual cosa, sarò per avventura ripreso da chiché sia, quasi io sormonti d’una dottrina in un’altra e provar voglia i principi di quel soggetto ch’io ho tolto per tema. Il che forse sarebbe vero, se io di scriver la gramatica in questi libri facessi professione, là dove di discorrere di diverse materie pertinenti alla lingua, e di gramatica, e d’altro fin da principio fu mio proponimen-
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con il pensiero di Borghini, e più in generale dei fiorentinisti, secondo i quali la competenza naturale della lingua non richiede uno studio grammaticale approfondito29. Tuttavia, nel secondo libro del primo volume affronta la questione dell’opportunità di scrivere una grammatica e nel capitolo «se le lingue vive sien da ristrigner sotto regola, e spezialmente il volgar nostro»30 si allontana in parte dal pensiero dei fiorentinisti. Secondo Salviati può essere utile scrivere una grammatica del fiorentino per diversi motivi: in primo luogo per mettere insieme le regole ricavate dalla tradizione letteraria e in parte anche dall’uso, per fare in modo che «’l tempo a venire nol possa più portar via e del futuro se gli lascia quasi libero il traffico nelle mani»31; inoltre per raccogliere le regole così come vengono usate dal popolo «perciocché né in tutti i luoghi aver si può il popolo appresso, sì come un libro per tutto si può avere»32; infine perché «il popolo ci dà le cose come suol dirsi a minuto e in confuso […], il libro tutte insieme le ci pone avanti ordinate e di considerarle ci presta il tempo che noi vogliamo»33. Ma Salviati aggiunge: il raccor le regole da esso popolo formate e da’ suoi scrittori illustrate non che dannoso si reputa necessario. Né si lega per tutto ciò come essi dicono le mani al volgo o se gli mette quasi la museruola, ma tuttavia lasciandolo nella sua libertà si pone in sicuro il guadagno34.
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to»; Avvertimenti, i, 231-232: «Ma questo della pronunzia sia detto per incidenza, posciaché ’l nostro fine, nel presente trattato, è di propor le regole dello scriver correttamente ciò che correttamente si sappia pronunziare; il che, cioè la corretta pronunzia delle nostre parole, in chi legge questo discorso del tutto presuppognamo. Perciocché il mostrare anche questo è proprio uficio di chi partitamente insegnar debba la gramatica; il che, come dicemmo fin da principio, per al presente non è nostro proponimento». Si vedano Deputati, Annotazioni, cit., XIV, 18, 91, in cui in maniera esplicita si parla di stitichezza di certe regole. Ivi, 70. Salviati, Avvertimenti, i, 71. Ibidem. Ibidem. Cfr. anche Nicoletta Maraschio - Francesca Cialdini, La lingua del Decameron nella riflessione grammaticale del Salviati, in Boccaccio Letterato, Atti del Convegno Internazionale Firenze- Certaldo (10-12 ottobre 2013), a cura di Michaelangiola Marchiaro e Stefano Zamponi, Firenze, Accademia della Crusca, 2015, pp. 193-194. Salviati, Avvertimenti, i, 70-71.
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L’ultima parte della citazione («lasciandolo nella sua libertà si pone in sicuro il guadagno») è interessante, perché illustra il ruolo che la grammatica ha secondo Salviati: essa ricava le regole dagli scrittori e dall’uso, ma da sola non può fare la lingua, che è fatta dalla tradizione letteraria e dal popolo. Dunque, la visione che Salviati ha della grammatica negli Avvertimenti si allontana da quella esposta anni prima nell’Oratione in lode della fiorentina lingua e de’ fiorentini autori (1564)35, in cui si dichiara favorevole alla composizione di una grammatica del fiorentino, necessaria anche per rafforzare il potere linguistico di Firenze: «Questa Accademia [l’Accademia fiorentina] darà le regole della lingua. Questa dell’altre lingue caverà le scienze, nella sua trasportandole»36. Come sappiamo, il progetto di una 35
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L’Oratione del 1564 viene recitata in una seduta dell’Accademia fiorentina e ripubblicata nel 1575 con modifiche sostanziali rilevanti: cfr. Rudolf Engler, I fondamenti della favella, cit., pp. 17-28; Franco Musarra, L’Orazione in lode della fiorentina lingua e de’ fiorentini autori: un momento cruciale della storia della lingua del Rinascimento, in Il Rinascimento. Aspetti e problemi attuali, Atti del x congresso dell’Associazione Internazionale per gli Studi di Lingua e Letteratura Italiana, Belgrado, 17-21 aprile 1979, a cura di Vittore Branca, Claudio Griggio, Marco e Elisanna Pecoraro, Gilberto Pizzamiglio, Eros Sequi, Firenze, Olschki, 1982, pp. 553-565; Nicoletta Maraschio, Lionardo Salviati e l’“Oratione in lode della fiorentina lingua e de’ fiorentini autori” (1564/1575), in Studi di Storia della Lingua Italiana offerti a Ghino Ghinassi, a cura di Paolo Bongrani, Andrea Dardi, Massimo Fanfani e Riccardo Tesi, Firenze, Le Lettere, 2001, pp. 187- 205. Salvini, Fasti, p. 169: «Lionardo Salviati il dì ultimo d’Aprile fece una pubblica Orazione, con gran concorso di gente, in lode della Fiorentina Lingua, e de’ Fiorentini Autori, stampata poi in detto anni da’ Giunti, e prima raccolta dal Razzi nel Tomo delle Orazioni del Salviati, nella quale fa menzione del risanamento dell’Accademia […]. E finalmente finisce con una bellissima esortazione, nella quale maravigliosamente mostrando l’ardentissimo zelo suo verso l’Accademia, il merito singolare del Consolo [Baccio Valori], e il desiderio, e la mente del Sovrano nostro Fondatore, sforza soavemente gli animi di tutti a seguitare con maggior fervore la magnanima impresa»; p. 187: «tutto il fondamento di quella eloquenza, colla quale si fece pubblicamente fin da’ primi anni ammirare in tante belle occasioni, fu l’amore, e lo studio indefesso da lui portato a i buoni Scrittori, e particolarmente a quei Toscani, che nel buon secolo fiorirono». Lionardo Salviati, Oratione nella quale si dimostra la fiorentina favella, e i fiorentini autori essere a tutte l’altre lingue, così antiche, come moderne, e a tutti gli altri scrittori di qualsivoglia lingua di gran lunga superiori, in Lionardo Salviati, Orazioni, Milano, Società Tipografica de’ Classici Italiani, 1810, 78. Nell’Oratione Salviati fa riferimento alle traduzioni scientifiche in volgare, importanti nella politica culturale di Cosimo I: ricordiamo, per esempio, Cosimo Bartoli, «corifeo della volgarizzazione di testi scientifici» (Giovanni Nencioni, Di scritto e di parlato. Discorsi linguistici, Bologna, Zanichelli, 1983, p. 218), Bernardo Segni, Giovan Battista Gelli, Benedetto Varchi. Salviati traduce la Poetica d’Aristotile (Bncf II. II. 11): sul-
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grammatica accademica non si realizza ed è particolarmente noto che a Firenze nel corso del Cinquecento vengono scritte poche grammatiche: la più importante è quella di Giambullari, l’unica a mostrare un notevole interesse verso la sintassi37. Questo studio prende in esame la grammatica del secondo volume degli Avvertimenti con lo scopo di illustrare gli aspetti più significativi della riflessione grammaticale che emergono dall’opera. Per questo, procederemo in modo analitico con la descrizione delle categorie considerate da Salviati: il nome (suddiviso in sustantivo e addiettivo), il vicecaso (con la distinzione tra vicecaso e preposizione) e l’articolo. Caratteristica dell’esposizione salviatesca è una certa tendenza alla frammentazione, che possiamo notare anche nel primo volume degli Avvertimenti38. L’opera infatti si presenta in una forma aggiuntiva e annotativa, nonostante le affermazioni iniziali di Salviati di non voler creare troppe categorie e sottocategorie39; tuttavia il secondo volume può essere considerato una vera e propria summa grammaticale della tradizione precedente e un modello di riferimento per molte grammatiche successive.
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le traduzioni cinquecentesche della Poetica aristotelica cfr. Riccardo Tesi, Aristotele in italiano. I grecismi nelle traduzioni rinascimentali della Poetica, Firenze, Accademia della Crusca, 1997; l’edizione della traduzione salviatesca è stata curata da Francesca Boschieri in una tesi di laurea dal titolo Traduzione, parafrasi e commento alla Poetica d’Aristotele (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, cod. Magl. VII, 87), Università di Genova, 1998. Si soffermano sull’opera anche Claudio Gigante, Esperienze di filologia cinquecentesca. Salviati, Mazzoni, Trissino, Costo, il Bargeo, Tasso, Roma, Salerno Editrice, 2003; Bernard Weinberg, A History of Literary Criticism in the Italian Renaissance, Chicago, 1961. Sulla grammatica di Giambullari e il suo rapporto con la grammatica latina di Linacre si veda l’introduzione di Ilaria Bonomi all’edizione critica. Per un quadro generale sulle grammatiche del Cinquecento, in particolare per l’editoria veneziana, si vedano almeno Ivano Paccagnella, L’editoria veneziana e la lessicografia prima della Crusca, in Il Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612), cit., pp. 47-64; Simone Fornara, La trasformazione della tradizione nelle prime grammatiche italiane (1440-1555), Roma, Aracne, 2013. Per esempio, nel primo volume nel parlare della zeta, la distingue in tre modi: aspra (es.: zoppo), sottile (es.: letizia); rozza (es.: zaffiro). Per quanto riguarda la puntggiatura, distingue quattro tipi di punti: fermo (non segue la maiuscola); trafermo (segue la maiuscola); fermissimo (è necessario lasciare un doppio spazio prima della maiuscola seguente); trafermissimo (richiede il capoverso). Come già accennato, cfr. Salviati, Avvertimenti, ii, 1.
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Per illustrare sia il rapporto che Salviati instaura con i grammatici del Cinquecento sia l’originalità della sua descrizione, le categorie grammaticali sono state analizzate in un’ottica comparativa; inoltre, per osservare una eventuale influenza sulla grammaticografia successiva, l’opera è stata confrontata con alcune grammatiche dal Seicento all’Ottocento40. Riassumiamo qui i principali risultati emersi dal lavoro di ricerca. Per quanto riguarda la tradizione del Cinquecento, notiamo che le sole due opere esplicitamente citate negli Avvertimenti sono le Prose di Bembo e la Giunta di Castelvetro, considerate la base da cui partire per sviluppare un nuovo modello, ma molte altre grammatiche sono un punto di riferimento importante per Salviati41. Inoltre, l’analisi mette in evidenza in particolare l’influenza dell’opera salviatesca in grammatiche successive come quelle di Buommattei, Gigli e Puoti. Il secondo volume degli Avvertimenti si pone tra i due poli di tradizione e innovazione42. Per quanto riguarda l’innovazione, per esempio, nel primo libro la suddivisione canonica del nome in sustantivo e addiettivo viene arricchita con un’ulteriore ripartizione dell’aggettivo in perfetto e imperfetto: il perfetto corrisponde all’aggettivo qualificativo, l’imperfetto può avere funzione pronominale. Tra gli imperfet40
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Per l’elenco delle grammatiche si veda il Corpus di grammatiche di riferimento all’inizio del volume. Le altre opere grammaticali utilizzate non vengono citate esplicitamente. Talvolta il riferimento è generico, per esempio in Avvertimenti, ii, 11 nel paragrafo sulle forme di superlativo assoluto: «e nella canzone della terza giornata, tutti i testi: ‹e de’ miei occhi tututto s’accese›; e in quella della nona, oltr’agli esempli d’altri autori, che registrati si ritruovano ne’ vocabolari in istampa». Il riferimento è ad Acarisio, Vocabolario; ad Alunno, Ricchezze e Alunno, Della fabrica del mondo. In altri casi, invece, il riferimento ai grammatici, anche se generico, manca del tutto. Per esempio, Salviati in Avvertimenti, ii, 88 descrive l’uso del duale in questo modo: «E perché anche il triale, e il quattrale, e il cinquale, e così gli altri di mano in mano, non recarono i Greci nella ricchissima lingua loro, poiché niuna ragione, per quel ch’io creda, più al due che agli altri numeri, portava quel privilegio? E qual ricchezza dovrà stimarsi che un sol numero, tra i milioni, abbia parole differenti dall’altre voci? Confusione e vano impaccio potrà ben dirsele sicuramente, se s’abbia riguardo al vero». Nell’analisi si avvicina molto alla descrizione di Ruscelli nei Commentarii (102-103): «Che nel vero chi domandasse a’ Greci, per quale cagione havendo essi assegnato un numero particolare a uno solo, et un altro a due, non n’hanno così ancora assegnato un altro particolare a tre, uno a quattro, et così agli altri, essi forse risponderebbono con ragioni più dure […]». Per tutti gli approfondimenti sul rapporto tra tradizione e innovazione in Salviati rimandiamo ai capitoli successivi.
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ti Salviati elenca il relativo, il rassomigliativo il renditivo, l’interrogativo, il dubitativo, il relativo indeterminato, il partitivo, l’universale, il numerale, il denominativo numerale, il locale, di patria e il materiale. La suddivisione in perfetto e imperfetto è un’innovazione salviatesca e non si riscontra nei grammatici precedenti; per le categorie di renditivo e dubitativo e per la classificazione del relativo come nome Salviati riprende il modello latino di Prisciano, a differenza degli altri grammatici che si rifanno alla tradizione classica di Donato. L’analiticità salviatesca viene colta dai grammatici posteriori e, seppur con alcune differenze, la ripartizione di perfetto e imperfetto viene ripresa da grammatici come Buommattei e Gigli, mentre la categorizzazione del relativo come nome non ha la medesima fortuna nella grammaticografia. Gli Avvertimenti vengono considerati fonte principale per le grammatiche successive nella descrizione delle funzioni contestuali e della morfologia nominale. Come vedremo, del tutto dipendente dalla trattazione salviatesca, l’analisi di Gigli sui sostantivi in -co e -go. Successivamente Puoti riprende i concetti salviateschi di «materia di nome» e «materia di cosa» per la descrizione del tipo sintattico la colonna del porfido43. Al contrario, altre innovazioni come l’introduzione dell’accompagnanome e la sua descrizione attraverso il confronto con il determinativo non vengono colte. Dall’analisi risulta che la modernità degli Avvertimenti consiste soprattutto nell’analiticità della trattazione, che parte dalla discussione delle varianti del Decameron con lo scopo di descrivere le strutture grammaticali della lingua secondo un metodo analitico basato 43
«Dite: perché certi nomi che nel singolare escono in co e go, nel plurale finiscono ora in ci, ora in gi, come musico fa musici, monaco, monaci, astrologo, astrologi. Ed ora in chi, e ghi, come ubriaco, ubriachi, luogo, luoghi, ed alcuni di questi terminano ancora in due maniere, come ritropico fa ritropichi e ritropici? Non saprei altra regola che l’uso stesso degli scrittori, il quale solo può rendere istruito l’orecchio» (Gigli, Regole, p. 32). Puoti, Regole, 203-204: «Alcuni grammatici avvisarono doversi dare l’articolo del gentivo esprimente materia quando l’avea ancora il nome da cui dipende, come il mortaio della pietra […]. Ma dappoiché questa regola non si trova costantemente seguita dagli stessi autori del buon secolo, e quasi mai dagli autori del Cinquecento, noi attenendoci al parere di altri più regolati grammatici crediamo che debba darsi l’articolo a questi genitivi o quando si voglia esprimere una determinata e special materia, o quando il nome di materia messo in genitivo non indica quella onde è fatta la cosa da cui esso depende ma una certa materia che in essa si contiene o si trova».
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su esempi e controesempi. Questo emerge in particolare, oltre che nei capitoli sulla morfologia nominale, nella descrizione funzionale dell’articolo determinativo (e delle differenze con il dimostrativo) e dell’accompagnanome, l’articolo indeterminativo, definito con questa etichetta da Salviati per la prima volta nella grammaticografia44. Infine, la descrizione linguistica degli Avvertimenti è il punto di partenza da cui il Vocabolario del 1612 sviluppa in maniera talvolta anche autonoma l’analisi grammaticale del lemma. Sembra però che il vero insegnamento consista soprattutto nel metodo lessicografico messo a punto da Salviati45: è infatti attraverso lo spoglio dei testi che si arriva all’attribuzione di un determinato significato a ciascuna forma. Inoltre, i lessicografi della prima Crusca dimostrano di aver saputo cogliere molti aspetti della lingua che emergono negli Avvertimenti46. 44
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Come vedremo, uno dei primi grammatici che descrive l’uso dell’indeterminativo, separandolo dal numerale è Citolini (Anna Antonini - Nicoletta Maraschio, Alessandro Citolini, tra insegnamento della lingua e arte della memoria, in «Studi di Grammatica Italiana», 2018, pp. 33-58). In più luoghi del primo volume degli Avvertimenti Salviati fa riferimento alla compilazione di un vocabolario. Salviati, Avvertimenti, i, 66: «Il rimanente de’ sì fatti parlari resti al vocabolario, dove quasi senza novero ne sien raccolti di tutte le maniere»; Avvertimenti, i, 129: «si vedrà forse nel nostro vocabolario della Toscana lingua che, con l’aiuto della divina grazia, fra breve spazio di pubblicare intendiamo»; Ivi, 132, in riferimento alla Tavola dei Titoli: «e al vocabolario rimettasi il rimanente»; Ivi, 133: «Però le parole e i parlari che per loro restin vivi nella nostra favella, sien raccolti per ordine nel nostro vocabolario»; Ivi, 212: «Ma tutte queste cose più risolutamente, e con più solenne distinzione sien dichiarate nel nostro Vocabolario»; Ivi, 231: «al moderno uso della voce del nostro popolo interamente è da ricorrere in questa parte, e qual sia cotale uso, per lo Vocabolario si farà manifesto»; Ivi, 269: «Ma queste minute distinzioni, o per lo nostro Vocabolario, o per le regole della lingua, se da noi o da altri, partitamente quando che sia, sien raccolte, più convenevolmente si potranno vedere»; Ivi, 291: «E noi ancora nel nostro vocabolario, quanto potremo il più, al presente nostro difetto faremo opera di sopperire»; Ivi, 303: «Della vera scrittura di ciascuna parola ciò che da noi si giudichi e la cagione insieme del nostro credere, per lo vocabolario potrà vedersi che assai tosto, aiutanteci la divina grazia, havrem finito di divisare»; Ivi, 313: «E noi ancora nel nostro Vocabolario, quanto potremo il più, al presente nostro difetto faremo opera di sopperire». In questa sede non verrà preso in esame il rapporto tra grammatica di Salviati e Vocabolario: per questo rimandiamo a Francesca Cialdini, La norma grammaticale, cit., pp. 141-176 e Francesca Cialdini, La grammatica nel vocabolario: alcune osservazioni sul secondo volume degli Avvertimenti dellal ingua sopra ’l Decamerone di Lionardo Salviati e il Vocabolario degli Accademici della Crusca del 1612, in Il Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612) e la storia della lessicografia italiana, cit., pp. 91-103.
Nel licenziare questo volume desidero ringraziare il Centro Studi «Aldo Palazzeschi» per aver accolto l’opera in questa collana. Un sentito grazie va a Nicoletta Maraschio, Marco Biffi e Simone Magherini per la lettura puntuale e i preziosi consigli; ringrazio inoltre il personale della Biblioteca dell’Accademia della Crusca, della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, della Biblioteca Nazionale Braidense di Milano e di altre biblioteche italiane per aver messo a mia disposizione molti materiali per la ricerca. Infine un grazie alla Società Editrice Fiorentina per la cura editoriale del volume.
quaderni aldo palazzeschi
1. Roberto Leporatti, Per dar luogo a la notte. Sull’elaborazione del «Giorno» del Parini, 1990. 2. Guido Gozzano, Albo dell’officina, a cura di Nicoletta Fabio e Patrizia Menichi, 1991. 3. Laura Melosi, Anima e scrittura. Prospettive culturali per Federigo Tozzi, 1991. 4. Cinzia Giorgetti, Ritratto di Isabella. Studi e documenti su Isabella Teotochi Albrizzi, 1992. 5. Simone Casini, Carlo Emilio Gadda e i re di Francia. Retroscena di un testo radiofonico, 1993. 6. Irene Gambacorti, Verga a Firenze. Nel laboratorio della «Storia di una capinera», 1994. 7. Riccardo Tesi, Dal greco all’italiano. Studi sugli europeismi lessicali d’origine greca dal Rinascimento ad oggi, 1994. 8. Nicoletta Fabio, L’«entusiasmo della ragione». Studio sulle «Operette morali», 1995. 9. Francesca Serra, Calvino e il pulviscolo di Palomar, 1996. 10. Elena Parrini, La narrazione della storia nei «Promessi Sposi», 1996. 11. Edi Liccioli, La scena della parola. Teatro e poesia in Pier Paolo Pasolini, 1997. 12. Simone Giusti, Sulla formazione dei «Trucioli» di Camillo Sbarbaro, 1997. 13. Benedetta Montagni, Angelo consolatore e ammazzapazienti. La figura del medico nella letteratura italiana dell’Ottocento, 1999. 14. Il rabdomante consapevole. Ricerche su Tozzi, a cura di Marco Marchi, 2000.
15. Laura Diafani, La «stanza silenziosa». Studio sull’epistolario di Leopardi, 2000. 16. Alessio Martini, Storia di un libro. «Scoperte e massacri» di Ardengo Soffici, 2000. 17. Fornaretto Vieri, Intorno alle «Fiale». Incunaboli del protonovecento govoniano, 2001. 18. Costanza Geddes da Filicaia, La biblioteca di Federigo Tozzi, 2001. nuova serie 1. Stefano Cipriani, Il “libro” della prosa di Vittorio Sereni, 2002. 2. Riccardo Donati, L’invito e il divieto. Piero Bigongiari e l’ermeneutica d’arte, 2002. 3. Irene Gambacorti, Storie di cinema e letteratura. Verga, Gozzano, D’Annunzio, 2003. 4. Pietro Bembo, Stanze, edizione critica a cura di Alessandro Gnocchi, 2003. 5. Paolo Maccari, Spalle al muro. La poesia di Bartolo Cattafi, con un’appendice di testi inediti, 2003. 6. Francesca Mecatti, La cognizione dell’u mano. Saggio sui «Pensieri» di Giacomo Leopardi, 2003. 7. Lucia Denarosi, L’Accademia degli Innominati di Parma: teorie letterarie e progetti di scrittura (1574-1608), 2003. 8. Nicola Turi, L’identità negata. Il secondo Calvino e l’utopia del tempo fermo, 2003. 9. Nada Fantoni, «La Voce della Ragione» di Monaldo Leopardi (1832-1835), 2004. 10. Antonella Ortolani, La parola disarmo-
nica. Lorenzo Viani tra realismo grottesco e deformazione espressionista, 2004. 11. Silvia Chessa, Il profumo del sacro nel «Canzoniere» di Petrarca, 2005. 12. Monica Farnetti, Il manoscritto ritro vato. Storia letteraria di una finzione, 2006. 13. Francesca Mecatti, Aforisti italiani del Settecento. Pensieri al crocevia della modernità, 2006. 14. Chiara Biagioli, L’«opera d’inchiostro». Storia editoriale della narrativa di Guerrazzi (1827-1899), 2006. 15. Rodolfo Sacchettini, L’oscuro rovescio. Previsione e pre-visione della morte nella narrativa di Tommaso Landolfi, 2006. 16. Emilia Toscanelli Peruzzi, Diario (16 maggio 1854 - 1 novembre 1858), a cura di Elisabetta Benucci, 2007. 17. Benedetto Croce - Guido Mazzoni, Car teggio 1893-1942, a cura di Michele Monserrati, 2007. 18. Nicola Turi, Testo delle mie brame. Il metaromanzo italiano del secondo Novecento (1957-1979), 2007. 19. Fabio Bertini, «Havere a la giustitia sodisfatto». Tragedie giudiziarie di Giovan Battista Giraldi Cinzio nel ventennio con ciliare, 2008. 20. Luca Degl’Innocenti, I «Reali» dell’Altissimo. Un ciclo di cantari fra oralità e scrittura, 2008. 21. Marica Romolini, La «memoria velata» di Alfonso Gatto. Temi e strutture in «Morto ai paesi», 2009. 22. Alessio Decaria, Luigi Pulci e Francesco di Matteo Castellani. Novità e testi inediti da uno zibaldone magliabechiano, 2009. 23. Alessandro Camiciottoli, L’Antico ro mantico. Leopardi e il «sistema del bello» (1816-1832), 2010. 24. Fabio Bertini, «Hor con la legge in man giudicheranno». Moventi giuridici nella drammaturgia tragica del Cinquecento italiano, 2010. 25. Mimmo Cangiano, L’Uno e il molteplice nel giovane Palazzeschi (1905-1915), 2011. 26. Tommaso Tarani, Il velo e la morte. Saggio su Leopardi, 2011.
27. Leonardo Manigrasso, «Una lingua viva oltre la morte». La poesia “inattuale” di Alessandro Parronchi, 2011. 28. Federico Fastelli, Dall’avanguardia all’e resia. L’opera poetica di Elio Pagliarani, 2011. 29. Carlo Betocchi - Giuseppe Ungaretti, Lettere 1946-1970, a cura di Eleonora Lima, 2012. 30. Iacopo Soldani, Satire, a cura di Silvia Dardi, introduzione di Danilo Romei, 2012. 31. Luigi Pulci, Sonetti extravaganti, edizione critica a cura di Alessio Decaria, 2013. 32. Oleksandra Rekut-Liberatore, Finzione e alterità dell’io: presenze nella scrittura femminile tra XX e XXI secolo, 2013. 33. Benvenuto Cellini, Rime, edizione critica e commento a cura di Diletta Gamberini, 2014. 34. Lorenzo Peri, Là dove non esiste paura. Percorsi e forme del “pensare in musica” nella poesia di Giorgio Caproni, 2014. 35. Aulo Persio Flacco, Satire, traduzione di Vincenzo Monti, edizione critica a cura di Joël F. Vaucher-de-la-Croix, 2015. 36. Laura Diafani, Carlo Bini. Una poetica dell’umorismo, 2015. 37. Angela Giuntini, Per una biografia intellettuale di Carlo Dionisotti. Regesto di carteggi, 2015. 38. Antonio Vinciguerra, Purismo e antipurismo a Napoli nell’Ottocento, 2015. 39. Elisa Martini, Un romanzo di crisi: il «Mam briano» del Cieco da Ferrara, 2016. 40. Francesca Castellano, Il sangue, l’inchiostro. Storia di Carlo Dossi, 2016. 41. Martina Romanelli, «Ancor che tristo ha suoi diletti il vero». Una lettura di «Zibaldone» 2999, 2018. 42. Gianna Manzini, «La voce non mi basta». Lettere a Giuseppe De Robertis e a Emilio e Leonetta Cecchi, a cura di Alberto Baldi, 2019. 43. Francesca Cialdini, Tra norma e descrizione: gli «Avvertimenti» di Salviati nella tradizione grammaticale italiana (secoli XVI-XIX), 2020.
Finito di stampare nel marzo 2020 da Tipografia Monteserra (Vicopisano - Pi)