Un mestiere per ciascuno

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Pierangelo Mazzeschi

Pierangelo Mazzeschi

In copertina Arezzo, Pieve di S. Maria Assunta, Portale Centrale. Imbotte di sinistra: mese di settembre

Un mestiere per ciascuno

insegna Disegno e Storia dell’Arte presso il Liceo Scientifico “F. Redi” di Arezzo. Insegna Arte Sacra presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Beato Gregorio X” di Arezzo. Ha collaborato alla stesura delle Attività Didattiche del Grande Museo dell’Opera del Duomo di Santa Maria del Fiore, di Firenze. È responsabile del modulo di Design del Gioiello, al Master Executive di I livello in Storia e Design del Gioiello, presso l’Università di Siena - Campus Universitario di Arezzo. Per la Società Editrice Fiorentina ha già pubblicato, insieme a Marco della Ratta, il volume La Storia e la Croce. La leggenda della vera croce di Piero della Francesca ad Arezzo (2005).

Pierangelo Mazzeschi

Un mestiere per ciascuno Il ciclo dei mesi nel Portale Maggiore della Pieve di S. Maria Assunta ad Arezzo

euro 14,00

www.sefeditrice.it

Società

Editrice Fiorentina

Se con la parola lavoro l’antichità classica (…) indicava la poena, il dolore di chi “vacilla sotto il peso” della fatica alla quale i molti sono destinati, c’è un momento in cui nel tempo delle cose umane irrompe un avvenimento che strappa la fatica a quella apparente inutilità che la rende troppo spesso insopportabile (…). Attraverso il lavoro si realizza lo scopo che si chiarisce ancor più dentro l’azione che si compie, si impara a conoscere la parte più vera di sé che si esprime nell’opera di ogni giorno. (dalla Prefazione) Il tema iconografico dei mesi ha origini antiche e appartiene tradizionalmente a una consuetudine figurativa medievale comune in tutta Europa. Il ciclo dei mesi del Portale Maggiore della Pieve di S. Maria Assunta ad Arezzo, mantenendo la sua collocazione originale e conservando integra la sua policromia, portata a nuova luce dai recenti restauri, ne rappresenta oggi una delle massime espressioni.



Pierangelo Mazzeschi

ÂŤUn mestiere per ciascunoÂť Il ciclo dei mesi nel Portale Maggiore della Pieve di S. Maria Assunta ad Arezzo

prefazione di

Bernhard Scholz


Grafica e impaginazione Andrea Tasso - Borgoognissantitre Referenze fotografiche © 2016 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it

Fondazione Cariparma: pp. 36-49

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Giulio Mazzeschi: pp. 24, 54, 56

Foto Scala, Firenze: p. 34 Foto Tavanti di Roberto Rossi, Arezzo: pp. 14, 15, 22, 55, 57

isbn 978-88-6032-401-6

Per le immagini di copertina, pp. 62-63, 66-67, 70-71, 76-77 la pubblicazione è su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Siena Grosseto e Arezzo - Fotografie di Alessandro Benci

Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata

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A mia moglie Nicoletta e ai miei figli, Giulio, Carlotta, Costanza Maria


Prefazione

Ogni epoca ha le sue evidenze attraverso le quali si acquisisce e si esprime la coscienza che si ha di sé e del rapporto che si intrattiene con il mondo. Il Cristianesimo è all’origine della storia europea e non è comprensibile la cultura dell’uomo europeo senza il Cristianesimo, perché esso è la ragione che ha aperto gli uomini e le razze, i popoli e le loro storie a una promessa di compimento rendendoli così capaci di operatività costruttiva. Le arti e le tecniche, la musica, le lettere, la pittura, la poesia, l’urbanistica nascono rinnovate nell’orizzonte di questa “mentalità” e sono l’espressione di una coscienza di sé che si approfondisce e di una speranza che si allarga al bene, al vero, al bello restituendo così alla storia la sua intellegibilità. Tutto questo appare bene esemplificato dal cosiddetto “Ciclo dei Mesi”: altorilievi fissati nell’imbotte dell’arco del Portale Mag-

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giore della Pieve di Arezzo sovrastante l’accesso alla chiesa. L’opera, che colpisce in modo singolare per freschezza, vitalità, dinamismo, realismo conserva ancora la variegata policromia delle origini riuscendo in tal modo a dare colore e vigore alle scene rappresentate. È suggestiva l’impressione che se ne ricava: descrizioni minuziose dei particolari dell’uomo al lavoro. Strumenti costruiti con cura per renderli atti allo scopo a cui devono servire, posture che sorprendono e fermano la fugacità dell’attimo. Sguardi intenti, fieri e decisi, capelli scompigliati dal vento, panni pesanti e vesti leggere, semina, raccolta, battitura. I piedi nudi del giovane vendemmiatore, il biondo norcino che uccide il maiale. Non scene amene di vita agreste funzionali alla mera decorazione, ma scene di duro e impegnativo lavoro che vedono l’uomo alle prese con le faccende del momento legate ai


ritmi delle stagioni. Immagini che riflettono dignità e sintonia col tempo che passa, gratitudine per i frutti di un lavoro che solo in parte appartengono all’opera dell’uomo che riconosce la realtà come dono gratuito, segno della riconciliazione dell’uomo con Dio. Se con la parola lavoro l’antichità classica, da Senofonte a Ovidio, indicava la poena, il dolore di chi “vacilla sotto il peso” della fatica alla quale i molti sono destinati, c’è un momento in cui nel tempo delle cose umane irrompe un avvenimento che strappa la fatica a quella apparente inutilità che la rende troppo spesso insopportabile. Il lavoro serve a rispondere ai bisogni, ma questi non sono soltanto quelli immediatamente naturali. Attraverso il lavoro si realizza lo scopo che si chiarisce ancor più dentro l’azione che si compie, si impara a conoscere la parte più vera di sé che si esprime nell’opera di ogni giorno. Di fronte al dramma di oggi che ci vede

sempre più disancorati dagli affetti, storditi dalla ripetizione sterile di atti il cui senso è andato perduto, l’espressione della bellezza che questo libro documenta suscita un moto di ragionevole speranza per l’uomo di oggi. Nei volti e nelle azioni raffigurate nel Ciclo dei Mesi a cui Pierangelo Mazzeschi dedica questo volume si ha l’impressione che il fare dell’uomo sia mosso dal desiderio di intervenire sulla realtà delle cose per renderle più corrispondenti al bisogno che si ha di vivere una vita buona. Che tutto questo ci sia ricordato prima di entrare nel silenzio e nello spazio sacro di una chiesa esprime la reciproca amicizia tra l’uomo, la sua opera e il Mistero. Il tempo del vivere, nelle articolate, drammatiche vicende dell’esistenza, segna la ricerca irrefrenabile del Destino, non come enigma da sciogliere, ma come avverarsi imprevedibile di un bene che tutto l’essere umano e tutti gli esseri umani desiderano. Bernhard Scholz

PREFAZIONE

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Il Medioevo aretino



arezzo tra il xii e xiii secolo

Dal vecchio albero della cultura classica cresciuto nel corso dell’Impero romano, ricco di possenti rami e rigogliose fronde, ma ormai destinato verso il suo definitivo sfiorire, spunta il nuovo germoglio del cristianesimo che in terra aretina sembra fosse penetrato fin dal II secolo, se non già alla fine del I secolo: «Il cristianesimo ebbe i primi seguaci ad Arezzo assai presto. Una serie di argomenti indiretti e convergenti ce ne fa persuasi: l’importanza di Arezzo quale centro di comunicazioni stradali (Via Cassia; Via Ariminensis o Livia; Via Flaminia Minor per Bologna; Via per Tifernum Tiberinum cioè Città di Castello; Via per Saena Iulia e la costa tirrenica); la presenza in Arezzo di orientali (non solo dei soliti commercianti e schiavi orientali che si incontravano in tutte le città principali ma di artigiani occupati nell’industria della ceramica aretina a vernice rossa e i cui

nomi ci sono documentati dai timbri del vasellame: Pilades, Cerdo, Nicephorus, Pantagathus, Phileros, Eros, Heraclida, Diogenes, Antiocus, Xantus, Bargathes, Bituhus, Tigranus, Chrestos, Philemon…); l’altissima percentuale di giovani aretini che dal II secolo entrarono a far parte del corpo militare dei pretoriani […]. Il messaggio cristiano, come è noto, venne diffuso da viaggiatori e da militari e trovò accoglienza prima che tra gli altri tra gli orientali. Verso la metà del III secolo Arezzo aveva già una cristianità organizzata e proprio durante la persecuzione di Decio, la prima persecuzione organizzata con metodo ed estesa a tutto l’Impero, nel 250, subirono il martirio i protomartiri aretini Lorentino e Pergentino: la loro sepoltura era posta lungo il fiume Castro circa mezzo chilometro fuori Porta S. Lorentino e la loro memoria veniva celebrata il 3 giugno»1. Già nel tardo secolo VIII, la diocesi aretina contava 68 pievi, cioè chiese battesimali

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matrici di altre minori, e altre 420 destinate solo al culto; essa aveva raggiunto – ubicata com’era nel centro della Tuscia – notevole importanza nella persona del suo vescovo, prima eletto dal popolo, ma dopo l’avvento dei Franchi, dal secolo IX in avanti, nominato dall’imperatore dal quale riceveva sempre l’investitura dei feudi. Risiedendo inizialmente non in città, bensì in una sede fortificata sul colle del Pionta – il Vaticano degli San Donato (285?-304). Patrono della città e della diocesi. Secondo vescovo aretino dopo san Satiro (270?-285). Morì martire durante le persecuzioni di Diocleziano e Massimiano Erculeo, il 7 agosto 304. Il corpo del martire venne inumato in un’area cimiteriale sul colle del Pionta; e sulla venerata tomba venne eretto, dopo la pace costantiniana (313) un “parvum oratorium”, cioè una memoria martiriale dal vescovo Gelasio (304-325?). Una narrazione tramandata oralmente per secoli e secoli, e giunta ai giorni nostri per bocca del popolo, rivela una bella storia per altro non suffragata da alcun documento ma che attesta come la fede popolare tenda a supplire la mancanza di certezze con interpretazioni veritiere. Dopo la decapitazione, avvenuta sugli spalti della rocca che sorgeva al sommo del colle sulle cui pendici si estende la città di Arezzo, le due parti del corpo di san Donato subirono una sorte curiosa: non vennero mai riunite nello stesso sacello. Infatti, mentre il suo cranio è conservato nella Pieve di Santa Maria Assunta, le sue membra sono venerate nella sontuosa arca marmorea, altare maggiore della Cattedrale. La testa spiccata dal busto cadde sul pendio sottostante ruzzolando poi fino al piano, e lì si fermò. Raccolta da un soldato essa venne riportata presso il corpo giacente sul luogo dell’esecuzione. Ma non appena fu posta presso il mozzato collo, come spinta da una mano invisibile, precipitò nuovamente dallo spalto e, rimbalzando per la strada, andò a fermarsi proprio dove s’era fermata prima. Il prefetto Evadracia-

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aretini – presso le venerate spoglie del secondo presule e protettore di Arezzo, il vescovo e martire San Donato, congiungeva l’autorità spirituale a un alto prestigio politico. I rapporti con l’Impero facilitarono relazioni artistiche con il mondo d’oltralpe: qui la cultura trovava la massima espressione negli ambienti monastici. I vescovi aretini, promuovendo la fondazione di monasteri, favorirono uno scambio artistico-culturale. Le comunità

no fece un cenno, e un altro soldato si precipitò per la discesa. Recuperò la testa e la riportò al luogo del supplizio. Gli astanti schierati lungo la via presso la piazza del mercato guardavano fra l’inorridito e l’attonito quanto accadeva. E la testa per la terza volta riprese quella che ormai pareva la sua strada. Già tutta la città era al corrente dei miracoli compiuti in vita dal santo vescovo. La massa di spettatori accorsa allo spettacolo del supplizio levò un grido unanime. Tutti intesero che il giustiziato volesse esprimere la sua ultima volontà, quella che la sua testa restasse nel luogo dove lui aveva battezzato tutti coloro che si erano condotti alla fede in Cristo. Così, mentre le spoglie mortali del santo venivano portate al cimitero del Pionta per esservi inumate, la sua testa venne trattenuta e celata per anni da coloro che erano già credenti e da coloro i quali, convinti da tanto prodigio, credettero in quel giorno. Quando le persecuzioni finirono e l’editto di Costantino venne integralmente applicato, i cristiani di Arezzo edificarono, sul luogo indicato dall’ultimo miracolo di san Donato, la grande chiesa del popolo dei credenti: la Pieve d’Arezzo. Sul luogo in cui riposava il corpo sorse invece la grande Cattedrale del Pionta, orgoglio della Chiesa aretina e grande deposito di una tradizione culturale che si impose per secoli al rispetto dei sovrani e dei papi. Questo straordinario monumento venne abbattuto nel 1560 dalla emergente potenza fiorentina al solo scopo di privare della propria identità una città che era già grande mille anni prima che sorgesse Firenze.


valorizzate dai vescovi furono innanzitutto quelle benedettine, poi quelle delle nuove congregazioni: la camaldolese e la vallombrosana. Tra il X e l’XI secolo, il quadro politico e territoriale dell’area aretina subisce un mutamento: vescovo-feudalità laica e religiosacittà; questi tre fattori, pur comuni a molte altre aree dell’Italia centrale e in particolare della Toscana, hanno avuto ad Arezzo caratteri distinti e peculiari; qui la particolare evoluzione del potere vescovile, i rapporti che andava intessendo con il sistema politico pre e proto comunale cittadino e la sua specifica configurazione nel tessuto urbano, vanno considerati elementi che hanno contribuito a organizzare in nuove forme la struttura urbana ed edilizia della città e a porre le premesse per gli sviluppi più maturi che Arezzo, a partire dalla fine del XII secolo, avrà nel corso dei restanti secoli medievali. la città nel xiii secolo

Agli inizi del Duecento, ad Arezzo come in altre città italiane, nacquero divisioni all’interno dell’aristocrazia nobiliare e le vicende politiche assunsero un carattere esacerbato e violento; nonostante ciò, l’uomo di questa epoca, pur dentro le infinite contraddizioni e lotte, continuerà a costruire in virtù di un be-

ne comune, consapevole che il centro di tutta la vita, il senso di essa, consisteva nella presenza del divino2. Nel 1203 Innocenzo III comanda al vescovo Amedeo di trasferire dal colle del Pionta in città la sede vescovile, la canonica e la Chiesa cattedrale. Il luogo scelto dal vescovo per risiedere in città fu la Pieve di S. Maria Assunta3. Con questo atto, cominciò per Arezzo uno dei secoli più belli della sua storia quasi trimillenaria. L’accresciuta popolazione e la necessità di difendere i borghi che si erano formati nel secolo precedente imposero la costruzione della sesta cinta muraria: venne iniziata nel 1194 e terminata anche se non in maniera completa, nel 1200. Nello stesso anno venne sistemata la “Platea Communis”, cioè l’attuale Piazza Grande, allora molto più grande di come la vediamo oggi. Il perimetro della nuova cinta era di circa 2850 metri, il suo percorso a ovest, sud e sud-est è indicato dalla via Garibaldi, sugli altri lati corrisponde circa a quello delle nuove mura cinquecentesche che ancora oggi si vedono. Secondo il Pasqui, storico aretino del secolo scorso, 13 erano le porte che vi si aprivano: Porta S. Clemente, San Lorentino, dei Lodomeri, Porta Nuova, del Borgo, San Giustino, Colcitrone o Crocifera, Montebono, San Dona-

A pagina 14: Visione aerea di Arezzo Medievale: la Pieve di S. Maria Assunta e Piazza Grande

A pagina 15: Abside della Pieve di S. Maria Assunta

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to, S. Angelo, San Biagio, di Stufo, di Pozzòlo. La città era divisa in 4 quartieri che prendevano il nome da quattro porte: di Porta del Borgo (poi S. Spirito), di Porta Crocifera, di Porta del Foro e di Porta S. Andrea. Se nessun edificio civile (altro è da dire per l’edilizia sacra) del secolo XII ci è rimasto, molti sono invece quelli duecenteschi: «all’inizio del XIII secolo la città doveva presentare un aspetto severo, con torri massicce in pietra, arnesi di riparo e di offesa, anguste e chiuse nel loro solido parametro a bozze»4. La via principale non era più la via Magio, cioè la via Maggiore (via di Fontanella, piaggia di S. Lorenzo, via Pellicceria) ma il Borgo Maestro, l’attuale Corso Italia. In questa città di pietra, irta di case-torri, dalle vie strette e tortuose che si cominciava allora a pavimentare, la vita era intensa e superlativa. Intensa la vita politica: sorsero tra gli aretini i contrasti e le divisioni, presero campo i classici “partiti” del tempo, guelfi e ghibellini (la predominante coloritura ghibellina di Arezzo la si spiega – come per Siena e Pistoia – tenendo conto del guelfismo della nemica Firenze). Il ghibellismo di fondo dell’anima aretina mostra come ad Arezzo il potere vescovile si eclissasse completamente quando un vescovo si faceva ligio al papato (è il caso

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Indice

6 Prefazione di Bernhard Scholz 9 il medioevo aretino 11 Arezzo tra il XII e il XIII secolo 13 La cittĂ nel XIII secolo 21 La Pieve di S. Maria Assunta 25 Schede di approfondimento 29 il tema iconografico dei mesi 31 Un percorso nel tempo 33 Il ciclo dei mesi di Benedetto Antelami nel Battistero di Parma 51 il portale dei mesi nella pieve di s. maria assunta 60 Gennaio 61 Febbraio

64 Marzo 65 Aprile 65 Maggio 68 Giugno 69 Luglio 72 Agosto 73 Settembre 75 Ottobre 75 Novembre 78 Dicembre 80 Conclusione 81 Note 82 Bibliografia


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