Assaggi di Novecento Letterario

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Arnaldo Di Benedetto

Assaggi di Novecento letterario Ezra Pound, Eugenio Montale, Giuseppe Tomasi di Lampedusa studi 48



studi 48



Arnaldo Di Benedetto

Assaggi di Novecento letterario Ezra Pound, Eugenio Montale, Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Società

Editrice Fiorentina


© 2022 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it isbn: 978-88-6032-644-7 ebook isbn: 978-88-6032-656-0 issn: 2035-4363 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata


Indice

vii

Premessa

EZRA POUND 3

Un saggio non scritto: Ezra Pound, poeta

13

Su Ezra Pound e l’Italia: intorno al carteggio Pound-Pea

37

Gli Scheiwiller e Pound, Pound e Dante (con finale non dantesco)

47

«Il vecchio Croce». Su Ezra Pound e Benedetto Croce

53

Tre poeti e il Futurismo: Ezra Pound, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale (con un cenno su Saba)

75

L’Alto Adige nei Cantos

EUGENIO MONTALE 83

Cartoline dal Tirolo. Eugenio Montale in Val Pusteria (e una gita del giovane Solmi)

91

Montale fuori di casa: la Grecia

109

Due lettere di Montale

121

Ricordare Montale…


Giuseppe Tomasi di Lampedusa

127

Da bestseller a classico della modernità: Il Gattopardo

135

«Non so fare l’Ulysses». La parte prima del Gattopardo, la tragedia di Concetta, le pulci al romanzo

149

Note sulla Sirena di Tomasi di Lampedusa

157

Elementi d’onomastica della narrativa di Tomasi di Lampedusa

IDENTITÀ 165

«Identità italiana» e altro

173

Ciò che è vivo e ciò che è morto del Risorgimento italiano

177

L’Italia dal 1796 a oggi

181

Indice dei nomi


Premessa

I saggi qui raccolti sono stati pubblicati per la prima volta in: Un saggio non scritto: Ezra Pound, poeta, nell’opera collettiva Elaborazioni poetiche e percorsi di genere. Miti, personaggi e storie letterarie. Studi in onore di Dario Cecchetti, a cura di Michele Mastroianni, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2010, pp. 363-372; Su Ezra Pound e l’Italia: intorno al carteggio Pound/Pea, in «Giornale storico della letteratura italiana», clxxxv, 2008, pp. 371-398; Gli Scheiwiller e Pound, Pound e Dante (con finale non dantesco), in «Critica letteraria», xlv, 2017, pp. 151-161; «Il vecchio Croce». Su Ezra Pound e Benedetto Croce, in «Giornale storico della letteratura italiana», cxciv, 2017, pp. 38-43; Tre poeti e il Futurismo: Ezra Pound, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale (con un cenno su Saba), nell’opera collettiva Lo studio, i libri e le dolcezze domestiche. In memoria di Clemente Mazzotta, a cura di Claudio Griggio e Renzo Rabboni, Verona, Fiorini, 2010, pp. 711-741; L’Alto Adige nei «Cantos», in «Il cristallo», lix, aprile 2017, pp. 115-119. (Cartoline dal Tirolo è inedito). Montale fuori di casa: la Grecia, in «Strumenti critici», n.s., xxvii, 2012, pp. 355-373; Due lettere di Montale, in «Giornale storico della letteratura italiana», clxxxix, 2012, pp. 590-601; Ricordare Montale…, nell’opera collettiva Non chiederci la parola… Gozzano, Sbarbaro, Montale, Atti del convegno di Cengio, 9 maggio 2015, a cura di Giannino Balbis, Mallare (SV), Matisklo, 2015, ebook (pagine non numerate). Da bestseller a classico della modernità: «Il Gattopardo», nell’opera collettiva Giuseppe Tomasi di Lampedusa. A sessant’anni dalla pubblicazione del «Gattopardo», a cura di Arnaldo Di Benedetto, Torino, Accademia delle Scienze, 2020, pp. 5-11; Non so fare l’«Ulysses». La prima parte del «Gattopardo», la tragedia di Concetta, le pulci al romanzo, nell’opera collettiva Dalla Sicilia a Mompracen e altro. Studi per Mario Tropea in occasione dei suoi settant’anni, a cura di Giuseppe Sorbello e Giuseppe Traina, Caltanissetta, Lussografica, 2015,


viii    ASSAGGI DI NOVECENTO LETTERARIO

pp. 143-156; Note sulla «Sirena» di Tomasi di Lampedusa, in L’«incipit» e la tradizione italiana. Il Novecento, a cura di Pasquale Guaragnella e Stefania De Toma, Lecce, Pensa MultiMedia, 2011, pp. 447-456; Elementi d’onomastica della narrativa di Tomasi di Lampedusa, nell’opera collettiva I nomi da Dante ai contemporanei, Atti del iv convegno internazionale di Onomastica & Letteratura (Pisa, 27-28 febbraio 1998), a cura di Bruno Porcelli e Donatella Bremer, Viareggio-Lucca, Baroni, 1999, pp. 117-123. Aggiungo che miei precedenti interventi su Montale (Intertestualità montaliane) e su Tomasi di Lampedusa (Tomasi di Lampedusa e la letteratura) si leggono nel volume: Poesia e critica del Novecento, Napoli, Liguori, 1999. Allego ai saggi sui tre scrittori le pagine, pubblicate nel 2010 sul «Giornale storico della letteratura italiana» (pp. 269-275), «Identità italiana» e altro. Di identità culturale si è discusso molto negli ultimi anni, che hanno visto la nascita di nuovi nazionalismi. E si è discusso anche del concetto di letteratura nazionale, da molti contestato (lo fu già a suo tempo da Benedetto Croce) ma da altri sostenuto. Sul «Giornale storico della letteratura italiana» del 2011 (pp. 138-141) è stato pubblicato L’Italia dal 1796 a oggi. Inedito è Ciò che è vivo e ciò che è morto del Risorgimento italiano. Chiudo questa Premessa riportando ciò che pubblicai alla fine del volumetto Libri che hanno fatto (e disfatto) gli italiani (Torino, Aragno, 2012): Si sostiene talvolta che il Risorgimento italiano sia stato interamente compreso nell’àmbito del nazionalismo volontaristico, ed estraneo o quasi totalmente estraneo a quello naturalistico. Una figura come Francesco Crispi, ascrivibile a quest’ultimo, è citata come un’eccezione. Ma lo stesso Chabod dell’Idea di nazione invitava a non segnare rigidi confini tra i due campi. In realtà le affermazioni relative al sangue, al territorio, alla lingua, ormai intesa anch’essa come un retaggio naturale, non mancano tra gli autori e gli ideologi del Risorgimento. Mi limito qui a citare uno dei più insospettabili: il già menzionato Manzoni. Nel suo Marzo 1821 si legge che gli italiani sono un’unica gente: unica, in quanto «una d’arme, di lingua, d’altare, | di memorie, di sangue e di cor». Se molto ci sarebbe da eccepire anche su quell’unico altare condiviso da tutti – ma c’è chi ancora oggi sostiene essere il cattolicesimo l’elemento “identitario” degli italiani (quasi che protestanti, ebrei e “laici” non siano parte della storia d’Italia) –, non può sfuggire il cenno al sangue. E anche la lingua è qui ridotta a elemento naturalistico – su questa base, Mazzini profetizzò l’imminente disgregazione della plurilingue Svizzera, e in un altro testo pretese di ristrutturare politicamente l’Europa. Echi di queste diffuse concezioni risuonano ancora nella retorica di Cuore di De Amicis. Ma nel Risorgimento, o in qualche sua fase o personalità, ci fu anche altro. Il più celebre dei «manifesti» del Romanticismo italiano usciti nel 1816, la Lettera semiseria di Giovanni Berchet, sostiene fra l’altro che i grandi poeti non sono espressione dei popoli a cui appartengono, e che d’altra parte la presenza d’un grande poeta non garantisce della grandezza del popolo da cui egli proviene. Shakespeare o Goethe sono tanto inglesi o tedeschi quanto italiani, ecc. Un pensiero analogo espresse anche Carlo Cattaneo (e fu goffamente rimbrottato dal positivista Emilio Bertana). Posizioni come queste sono tanto più apprezzabili, in quanto sostenute in anni nei quali si affermava in Europa il concetto di «poesia nazionale».


PREMESSA   ix Sono posizioni che condivido, ricordando inoltre che a partire dal 1827 proprio Goethe trattò ripetutamente di Weltliteratur, di letteratura mondiale o universale, e non solo nazionale o europea. Di quest’ultima lo stesso Goethe aveva in precedenza parlato; e tornerà a parlarne il giovane Mazzini nel 1829. Ma allo scrittore tedesco neanche il concetto di letteratura europea bastava più. La Weltliteratur è un bene di tutti, di cui tutti – purché vogliano o siano in grado di farlo – possono sentirsi parte. Un concetto affine espresse Renan nella conferenza del 1882 Che cos’è una nazione?: «Prima della cultura francese, della cultura tedesca, della cultura italiana, c’è la cultura umana. Guardate i grandi uomini del Rinascimento; non erano né francesi, né italiani, né tedeschi. Essi avevano ritrovato, con la loro frequentazione dell’antichità, il segreto della vera educazione dello spirito umano, e vi si dedicarono anima e corpo».

La famiglia Di Benedetto ringrazia il caro amico professor Mario Chiesa per il gentile supporto offerto nella fase finale di realizzazione di questo libro.



EZRA POUND



Un saggio non scritto: Ezra Pound, poeta1

Ezra Pound fu un grande poeta del Novecento, e come tale anzitutto lo ricordiamo. Ma in realtà fu un genio poliedrico: fu anche uno dei più interessanti critici letterari del secolo. Fu un connaisseur e critico d’arte di valore. Fu inoltre un critico e compositore musicale; scrisse anche un Trattato di armonia, e fu autore di brani per violino e di due opere, Le Testament de Villon e Cavalcanti. Il Testament, eseguito per la prima volta a Parigi nel 1926, fu riproposto nel 1964 a Spoleto, nell’àmbito del Festival dei due Mondi2. Pound fu anche, mi sia consentito dirlo, un artigiano e uno scultore. E non penso ai suoi vani tentativi compiuti sull’onda delle frequentazioni di effettivi scultori quali Henri Gaudier-Brzeska e Constantin Brancusi; ma alle sue monumentali sedie, ora conservate a Brunnenburg, presso Merano. Fu inoltre una guida e uno scopritore di talenti artistici. Generoso nell’aiutare con suggerimenti e consigli, ma anche economicamente, gli amici scrittori e scultori. A lui devono molto, si sa, Thomas Stearns Eliot, James Joyce, Ernest Hemingway, e altri. Anche il più anziano William Butler Yeats grazie alla frequentazione di Pound intraprese una svolta nella sua carriera artistica; e la sua ultima fase poetica è comunemente considerata la più importante e innovatrice. Eliot da parte sua gli dedicò, con formula dantesca («For Ezra Pound | il miglior fabbro»), The Waste Land, un’opera considerata tra le supreme ed emblematiche dell’intero Novecento letterario; e non fece mistero degli 1 È, con alcune aggiunte, la rielaborazione degli appunti stesi in funzione della presentazione d’un recital di poesie di Ezra Pound – a cui si unirono alcune testimonianze della figlia Mary de Rachewiltz e dei due figli di Mary – tenutosi il 4 ottobre 2008 a Merano, nell’eclettico, ovvero neoclassico-Jugendstil, Stadttheater/Teatro Puccini, per iniziativa dell’assessorato alla cultura di quella città, in occasione del cinquantenario dell’arrivo del poeta a Brunnenburg, castello sito nel comune di Tirolo, sopra Merano. Assessora alla cultura era allora la prof.ssa Daniela Rossi. 2 Su Pound e la musica vd. Mattia Rossi, Ezra Pound e la musica. Da Omero a Beethoven, Massa, Eclettica, 2018.


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importanti interventi di Pound sul testo del suo poemetto. Ora quegli interventi li possiamo leggere, perché sono pubblicati. «Un vulcano pedagogico» – così il pittore e scrittore inglese Wyndham Lewis definì il poeta americano. «EZuversity» definirono il suo magistero gli amici. Lo stesso Eliot dichiarò nel 1928: ho spesso maledetto Mr. Pound; perché non sono mai sicuro di poter chiamare miei i miei versi; proprio quando sono molto contento di me, scopro che ho colto qualche eco d’un verso di Pound.

Hemingway probabilmente esagerava quando nel 1933 affermò di avere imparato da lui «come si deve scrivere e come non si deve scrivere»; ma è altrettanto probabile che, in materia di ars dictandi, qualche debito anche con lui lo avesse. Lo stesso Hemingway, che gli fu sempre amico fedele e grato, di lui scrisse: dedica, diciamo un quinto del suo tempo alla sua poesia. Tutto il resto lo dedica a promuovere le fortune, materiali e artistiche, dei suoi amici.

*** Il 18 aprile del 1958, la Corte suprema degli Usa dispose che fosse ritirata l’accusa di tradimento formulata a suo carico. Nel luglio di quello stesso anno, Pound s’imbarcò per l’Italia e raggiunse Brunnenburg, il castello del genero Boris de Rachewiltz e della figlia Mary, nel comune di Tirolo («Tiralli», in Dante). Pochi mesi dopo, per festeggiare il suo settantatreesimo compleanno fu allestita, appunto a Merano, una mostra di suoi manoscritti, libri e cimeli; la mostra fu riproposta, due anni dopo, dall’Università di Urbino di cui era allora rettore Carlo Bo. Erano gli anni nei quali il giovane editore milanese Vanni Scheiwiller, prosecutore dell’attività del padre Giovanni (che ancora a settant’anni era solito raggiungere Brunnenburg in bicicletta, da Milano!), frequentava Tirolo e Merano. E in quella città, coadiuvato da meritorie intelligenze locali, organizzò notevoli mostre. Luigi Serravalli, nel suo bel libro A Merano in attesa di Ezra Pound del 2002 (edito a cura dell’assessorato alla cultura del Comune di Merano), ha rievocato quel periodo, che fu uno dei culturalmente più fecondi della città. Ma merita d’essere ricordata anche un’altra ricorrenza: quel 1908 definito un «anno cruciale» per Pound in un elegante scritto di Mary de Rachewiltz. L’anno precedente, dopo quattro mesi d’insegnamento (letterature spagnola e francese, perché gli inizi di Pound sono di accademico romanista), il poeta fu indotto a dimettersi dal Wabash College di Crawfordsville, nell’Indiana. Il suo comportamento fu ritenuto troppo bohémien e poco confacente al posto che


UN SAGGIO NON SCRITTO: EZRA POUND, POETA    5

occupava. Pound attraversò una crisi d’insicurezza, ma all’inizio del 1908 lasciò gli Stati Uniti e venne in Europa, e nel giugno di quello stesso anno pubblicò a sue spese, a Venezia, in cento copie, il suo primo libro di poesie, dal titolo dantesco: A lume spento. Aveva ventitré anni. In Europa e in Italia, e nella cosmopolita Tangeri, era già stato dieci anni prima, con la madre e una prozia ricordata in Indiscrezioni e nell’lxxxiv dei Cantos; e in Europa e in Italia era tornato in anni successivi. Nello stesso 1908, dopo un breve soggiorno a Parigi, si stabilì a Londra. Un secolo ci separa dal vero esordio in pubblico di uno dei massimi poeti del Novecento3. Se la sua carriera universitaria non fosse stata interrotta in quel modo, probabilmente Pound sarebbe diventato ugualmente un poeta, ma sarebbe vissuto forse negli Stati Uniti, e la sua poesia avrebbe avuto, forse, una storia e caratteri diversi. *** C’è nell’attività letteraria di Ezra Pound una coerenza e una continuità, aldilà dei mutamenti di rotta della sua poetica, che non è ripetizione. Tanto meno è quella coerenza di superficie, alla quale Walt Whitman oppose il suo celebre: «Mi contraddico? Ebbene, mi contraddico». Scriveva Pound, per esempio, nel 1911, nel saggio Ricompongo le membra di Osiride: «dobbiamo essere semplici e diretti quando ci esprimiamo, ma in modo diverso dalla semplicità e dalla schiettezza della lingua quotidiana». Anche scriveva che il poeta deve «identificare qualcosa che veramente illumini un’opera d’arte […]. L’artista individua il Particolare Luminoso e lo presenta. Non lo commenta». Quello del Particolare Luminoso («Luminous Detail»), ossia rivelatore, rimarrà un principio fondamentale in Pound, anche se diversamente formulato nel tempo. A ben guardare, in parole come queste, si è osservato, è già in nuce quello che – dopo aver conosciuto, curandone l’edizione (1920), l’opera del sinologo americano Ernst Fenollosa L’ideogramma cinese come mezzo di poesia – chiamerà il metodo dell’ideogramma. La scrittura cinese come sintesi di lingua e visione, «basata su una vivida pittura stenografica delle operazioni naturali» (parole di Fenollosa). Poco dopo, Pound fonda insieme ad alcuni amici poeti e al filosofo T.E. Hulme, nel 1913, l’Imagismo, un movimento volto a valorizzare la comunicazione densa e istantanea, l’immagine capace di imporsi, come un piccolo shock, nella mente del lettore. Nel manifesto del movimento, dovuto a lui, si legge: Un’Immagine è ciò che presenta un complesso intellettuale e emotivo in un istante di tempo. 3

Così dicevo nel 2008 a Merano. Oggi siamo ben oltre il secolo.


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E anche: Non si adoperi alcuna parola superflua, alcun aggettivo che non riveli qualcosa.

Nel 1914, con altri amici, artisti visivi e letterati, fonda un nuovo movimento, espressamente antifuturista: il Vorticismo (il termine è di sua invenzione). Sua è la definizione: Vortex è il punto di massima energia.

E nell’articolo Vorticism, di pochi mesi dopo (ristampato nel suo libro su Gaudier-Brzeska), si legge: L’immagine […] è un nodo o un groviglio di radiazioni.

Si capisce che Pound si sia interessato anche allo haiku giapponese, e sia stato uno degli artefici della sua fortuna nella cultura occidentale novecentesca. Lo haiku, breve lirica dalle regole formali ferree e fondata su un’unica immagine, stimolò anche in Italia libere variazioni; secondo qualche studioso (ma la cosa è tutt’altro che certa), anche l’Ungaretti dell’Allegria dovrebbe qualcosa a quel genere poetico, a lui non ignoto. È celebre, di Pound, il componimento In a Station of the Metro, compreso nella raccolta Lustra (1916), e da lui stesso commentato nel citato articolo Vorticism. La presenza del titolo è essenziale per l’intendimento della situazione; siamo in una stazione del métro di Parigi (cito la breve poesia, due versi, nella traduzione di Vittorio Sereni): Questi volti apparsi tra la folla: Petali su un ramo umido e nero.

Nel testo originale: The apparition of these faces in the crowd; Petals on a wet, black bough.

*** Quelli enunciati da Pound sono principî che possono forse essere accostati al concetto di epifania di Joyce, senza per questo dover parlare di «influenze». Le epifanie del narratore irlandese sono rivelazioni di qualità delle cose, momenti in cui gli oggetti e le situazioni più comuni appaiono radianti (diceva Joyce, riprendendo un termine della filosofia medievale), cioè detengono un significato che li trascende; e la bravura dell’artista consiste nel saperle riconoscere e ricostruire. Come non andare al Luminous Detail del poeta americano?


UN SAGGIO NON SCRITTO: EZRA POUND, POETA    7

E sono, quei principî, elementi che contano nella composizione dei Cantos. Composizione che chiamerei metaforicamente musicale, e a cui il poeta già tendeva nelle raccolte precedenti, tra le quali va ricordata in proposito soprattutto la già menzionata Lustra. Il periodo dei primi Cantos è anche quello di opere come Omaggio a Sesto Properzio (una liberissima parafrasi di poesie dell’autore latino con riferimenti alla società attuale) e Hugh Selwyn Mauberley (un poemetto che è una sorta di romanzo scarnificato e ridotto all’osso; e considerato uno dei punti più alti della poesia di Pound), rispettivamente del 1919 e del 1920. Ma, all’altezza del Properzio e del Mauberley, la sua attenzione si andava ormai concentrando sui Cantos. Già il titolo rinvia ai canti di cui è composta la Commedia di Dante. Ma Dante racconta un viaggio: un viaggio letterale e uno allegorico. Pound nei Cantos non segue invece un racconto lineare. Il poeta vuol essere un evocatore, non un narratore. Dopo un accenno diegetico iniziale (il primo canto è un libero rifacimento dell’xi libro dell’Odissea, la nèkyia, l’andata di Ulisse al mondo dei morti), egli procede per immagini, citazioni allusive, riferimenti storici frammentari, aneddoti riguardanti personaggi famosi e meno famosi, antichi e moderni, morti e ancora viventi. Il poeta stimola l’intuito e la memoria del lettore. Immagini, nomi, allusioni si inseguono da un canto all’altro; la memoria del lettore è sollecitata a creare i collegamenti omessi dal procedere sincopato, direi quasi jazzistico, del poeta. Yeats raccontò nel 1928 che Pound gli aveva detto d’essersi ispirato alle fughe di Bach. Perforatrice di roccia (RockDrill) è il titolo con cui fu pubblicata la sezione lxxxv-xcv dei Cantos, e allude a una volontà di comunicare per flashes, folgorazioni, oltre che di incidere sulla Storia. È un titolo – desunto da una delle più importanti sculture di Jacob Epstein – estensibile all’intero poema. Inoltre: i Cantos vanno anche visti, non solo letti. Anche la grafia ha il suo ruolo, e l’hanno gli spazi; neanche per Pound il Futurismo è passato del tutto invano. E poi, ci sono gli ideogrammi cinesi, grafia araba. A un certo punto, entrano anche i geroglifici egiziani, ingresso in cui ha avuto certo la sua parte la frequentazione del genero egittologo Boris de Rachewiltz. Non solo. Il canto lxxv richiederebbe, dopo la lettura dei pochi versi iniziali, l’esecuzione della partitura musicale trascritta. E il commento è talvolta indispensabile. In realtà, ci sono canti o brani che non lo richiedono di necessità; tale è l’intero xlv, il più celebre: quello contro l’usura (ripreso nel li). In altri luoghi, anche se l’allusione sfugga, poco importa per la comprensione. Ma se Pound enuncia, nel canto lxxiv: «Monsieur Jean scriveva ogni tanto una commedia…», è opportuno sapere che Jean è lo scrittore e pittore Jean Cocteau, da lui frequentato a Parigi, e che non mancò negli ultimi anni di rendere pubblicamente omaggio all’amico americano. O si prenda il citato canto lxxv. Si apre coi versi:


8   EZRA POUND Dal Flegetonte! dal Flegetonte, Gerhart a noi sei giunto dal Flegetonte? con Buxtehude e Klages nel sacco, col Ständebuch di Sachs nel bagaglio – non d’uccello solo, ma di molti [Out of Phlegethon! out of Phlegethon, Gerhart art thou come forth out of Phlegethon? with Buxtehude and Klages in your satchel, with the Ständebuch of Sachs in yr/ luggage – not of one bird but of many].

Sono versi già di per sé suggestivi. Un certo Gerhart appare come un’ombra tornata da un luogo che richiama l’aldilà (evocato dal nome: Flegetonte). Ma il commento di Mary de Rachewiltz e di Maria Luisa Ardizzone ci informa utilmente che «Gerhart» è l’importante pianista e compositore Gerhart Münch (1907-1988), amico di Pound, il quale aveva partecipato ai concerti organizzati dal poeta a Rapallo. Richiamato durante la seconda guerra mondiale nell’esercito tedesco, fece visita a Pound durante una licenza. Il suo ritorno dal fronte sembra un’apparizione dall’oltretomba. Porta con sé, nello zaino, le partiture di Dietrich Buxtehude, il grande compositore e organista seicentesco danese di scuola tedesca, le opere del filosofo e psicologo novecentesco Ludwig Klages, e le poesie di Hans Sachs, il più celebre dei Meistersinger di Norimberga. Segue i versi citati la partitura della Canzone degli uccelli di Clément Janequin, nella trascrizione per violino dello stesso Münch, compiuta (conviene aggiungere) per la violinista americana Olga Rudge che era solita suonarla: una delle chansons più apprezzate del compositore francese del primo Cinquecento. Si rivada ora a quei pochi versi; certo riusciranno meglio intelligibili. Nel canto xxvii leggiamo (trad. di M. de Rachewiltz): Una vecchia lavandaia che battendo sull’asse, Circa il 1920, con voce stridula, Cantava «Stretti!» e quella fu l’ultima Fino a quest’anno ’27, Hotel Angioli, a Milano…

Il commento avverte che Pound riudì a Milano nel 1927 una canzone già udita nel 1920, cantata da una lavandaia, e, per la prima volta, nel 1908 a Venezia (era stata composta nel 1906), e la cui fortuna (aggiungo) si protrasse fino alla metà del Novecento. La sola parola Stretti! – in italiano, nel testo – un tempo poteva pertanto bastare a evocarla (un cenno è anche all’inizio del canto iii). Ma quanti, oggi, sono pronti a riconoscerla da quella sola parola?


UN SAGGIO NON SCRITTO: EZRA POUND, POETA    9

Sono le stesse difficoltà, o almeno simili, che incontriamo in alcuni luoghi della Commedia di Dante. Lo stesso Pound scrisse: «Il giornalismo di Dante è un grande ostacolo alla sua lettura». La frase è ovviamente estensibile ai suoi Cantos; e anche questo è un aspetto di quella «inclusività» di cui ha positivamente parlato il poeta Giovanni Raboni, il quale dichiarò di dovere alla lettura di quest’opera una svolta nella propria carriera poetica. «La letteratura diventa sempre più noiosa con la limitazione del soggetto», scrisse in effetti Pound. *** Rileggiamo l’inizio del canto viii: Questi frammenti hai scaffalato (posti a sostegno). [These fragments you ave shelved (shored)].

È evidente l’allusione (non è l’unica a quell’opera e a quel poeta contenuta nei Cantos) a un luogo del finale della Terra desolata di T.S. Eliot: Questi frammenti ho posto a sostegno delle mie rovine… [These fragments I have shored against my ruins…].

Anche i Cantos nacquero dal disagio diffuso in Europa, e in Occidente, durante la prima guerra mondiale e nel dopoguerra. Il loro avvio, la loro concezione va vista sullo sfondo di opere all’incirca coeve quali, appunto, La terra desolata (1922), o il romanzo Il sole sorge ancora, ovvero Fiesta, di Hemingway (1926) o anche il suo successivo Addio alle armi. Quali parziali equivalenti, possono essere ricordate, ad esempio, la produzione pittorica di Otto Dix e quella grafica e pittorica di George Grosz. Ma Pound, pur vivendo lo stesso disagio, intese andare oltre. La crisi è evidente anche nella sua opera; ma lui cercò una via d’uscita. Indicò nel passato eventi e figure che seppero muoversi fattivamente: la promozione del Monte dei Paschi di Siena, Sigismondo Pandolfo Malatesta, John Adams, Thomas Jefferson, Napoleone, fino al controversissimo Muss. o Ben, o The Boss (come chiamava Mussolini), ecc. Frammenti scaffalati («shelved»), tentativi di puntellare con essi le rovine di una civiltà. Ma il disegno iniziale di cento canti (cifra ovviamente dantesca) subì modifiche. La storia, la seconda guerra mondiale, la prigionia imposero il proprio peso. Da qui nacque la serie degli undici Canti pisani (lxxiv-lxxxiv), carichi d’un nuovo pathos. Allora scrisse tra l’altro i memorabili versi del canto lxxxi: «What thou lovest well remains, the rest is dross…» (trad. di M. de Rachewiltz):


10   EZRA POUND Ciò che sai amare rimane, il resto è scoria Ciò che tu sai amare non ti sarà strappato Ciò che tu sai amare è il tuo vero retaggio […] Deponi la tua vanità, non è l’uomo Che ha fatto il coraggio, o l’ordine o la grazia, Deponi la tua vanità, dico, depònila! La natura t’insegni quale posto ti spetta Per gradi d’invenzione o di vera maestria, Deponi la tua vanità […] Deponi la tua vanità Sei cane bastonato sotto la grandine Tronfia gazza nel sole delirante […] Ma avere fatto piuttosto che non fare questa non è vanità […] Avere colto dall’aria una tradizione viva o da un occhio fiero ed esperto l’indomita fiamma Questa non è vanità. L’errore sta tutto nel non fatto, sta nella diffidenza che tentenna…

È un’affermazione d’onestà, e insieme una rivendicazione del proprio «avere fatto piuttosto che non fare» («to have done instead of not doing»), che impedirà al poeta di soccombere, e lo spingerà a proseguire nella sua impresa, pur tra le difficoltà. *** Con questi versi del canto lxxxi prendo congedo. Non senza prima ricordare, però, che a un certo punto nei Cantos trovano spazio anche le arti e il folclore sudtirolesi, o spunti attinti alla storia di quella terra. Nel canto xlviii, ad esempio, si narra della festa fatta a Gais, in val Pusteria, in occasione della prima messa d’un sacerdote. O si legga, nel canto lxxiv (trad. di M. de Rachewiltz): Ma il padre di Herr Bacher faceva ancora madonne tradizionali sculture di legno che troveresti in qualsiasi cattedrale e un altro Bacher ancora scolpiva intagli come quelli di Salustio ai tempi d’Isotta da dove vengono le maschere, nel Tirolo, d’inverno vanno frugando ogni casa per scacciare i demoni.

«Herr Bacher» è lo scultore Heinrich Bacher (1897-1972), di Gais, figlio di Alois e fratello di Franz, anche loro scultori. L’accenno a Isotta degli Atti e a


UN SAGGIO NON SCRITTO: EZRA POUND, POETA    11

Salustio Malatesta rinvia alla Rimini di Sigismondo Malatesta e in particolare al Tempio Malatestiano. Nel canto lxxxiii torna il riferimento: E che una Madonna del Novecento possa essere come una Madonna del Quattrocento l’ho imparato in Tirolo e così perfetta dove affrescano le facciate delle case con figure e i cortili interni si triplicano…

Nel canto xxxv, pubblicato nel 1933, Pound aveva giustificato, contro le recriminazioni di una «Fräulein Doktor», l’annessione del Tirolo meridionale all’Italia dopo la prima guerra mondiale come un’ovvia ritorsione. Un ironico cenno è anche nel canto xxxviii; e in entrambi i canti – come nei xvi e l – non mancano le frecciate contro la Mitteleuropa e l’imperatore Francesco Giuseppe. Da ultimo, Pound mutò però opinione frequentando, negli anni Venti e Trenta, la Val Pusteria, e per ragioni che non erano meramente turistiche; e tracce di tale positiva frequentazione si avvertono, oltre che nel citato canto lxxiv, nel lxxvi, nel lxxviii, nell’lxxxiii, nel civ. Inoltre nel canto lxxvii, compreso nei Pisan Cantos, accusò gli italiani di innata disonestà amministrativa: «quel bastardo d’italiano non è, con le dovute eccezioni, | onesto nell’amministrazione più di quanto sia sincero il britanno» (cito dalla traduzione di Alfredo Rizzardi): «the dog-damn wop is not, save by exception, | honest in administration any more than the briton is truthful». Il che spiega, tra l’altro, l’ostilità della popolazione sudtirolese (gli «allogeni», com’erano allora chiamati). Nello stesso canto lxxvii è ricordato infatti con approvazione l’episodio della valigia piena di dinamite posta nel settembre del 1943 ai piedi del monumento all’alpino, a Brunico: un invito a sgombrare il campo4. «Cose analoghe accaddero in Dalmazia», aggiunge inoltre il poeta, «per mancanza di quel tesoro d’onestà | che è il tesoro degli stati»: and similar things occurred in Dalmatia lacking that treasure of honesty which is the treasure of states.

Ma dopo pochi versi, mutando registro, è rievocata anche la voce «limpida come le note d’un clavicordo» («clear as the notes of a clavichord») d’una ragazza tirolese – amica della figlia del poeta – che accudiva i conigli. 4 Cfr. in proposito il racconto di Mary de Rachewiltz nel suo bellissimo Discrezioni, trad. it., Milano, Rusconi, 1973, pp. 242 e 248. Su Gerhart Münch, p. 203. Su Heinrich Bacher, soprattutto le pp. 238-241 (racconta la Rachewiltz che il padre pensò persino di farsi assumere come apprendista da Bacher).


12   EZRA POUND

Molto ci sarebbe inoltre da dire, e molto è stato già detto, su Pound e la letteratura italiana: non solo quella dei primi secoli (san Francesco, gli amatissimi Cavalcanti e Dante, la poesia umanistica rinascimentale), ma anche quella ottocentesca (Leopardi), e novecentesca: l’ultimo D’Annunzio, Federigo Tozzi, la traduzione di Moscardino d’Enrico Pea, i suoi rapporti con Montale e altri; e Benedetto Croce. Totale fu la sua svalutazione di Petrarca e della poesia in volgare del Rinascimento – con l’eccezione di quella di Michelangelo. E in una lettera del 1934 così s’esprimeva: «concezione italiana della poesia: qualcosa di opprimente e da riverire». Due Cantos sono scritti in italiano; e versi italiani (non parlo delle citazioni) sono inseriti qua e là. Interessante anche il suo rapporto con l’arte italiana medievale e del primo Rinascimento: del primo Rinascimento, perché già il Cinquecento segna per lui – in ciò, originale prosecutore dei preraffaelliti – l’avvento della decadenza. Non solo. Con Olga Rudge, diventata segretaria dell’Accademia Musicale Chigiana di Siena, Pound collaborò attivamente, negli anni Trenta, anche alla Vivaldi-Renaissance, quella riscoperta della musica del Prete Rosso, che è uno dei grandi eventi artistici del Novecento non solo italiano. Grazie alla sua mediazione, la Rudge poté consultare e studiare l’allora inaccessibile e importantissimo fondo Vivaldi della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino; e musiche di Vivaldi furono eseguite nel corso dei concerti promossi da Pound a Rapallo.


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