La trilogia dell’Orestea rappresenta, nell’insieme, la prima forma di verbalizzazione di un processo. L’anamnesi corale del sacrificio d’Ifigenia nell’Agamennone costituisce una trage dia nella tragedia. I greci vogliono un’impresa di strage; la loro volontà ottiene la sanzione di Zeus; Artemide si opporrà con vénti contrari, e per placarla sarà necessario un sacrificio umano, secondo il costume; Calcante lo sa, e invita Agamennone a moderare gli scopi del l’impresa, anche a costo di un’abdicazione. Come coi tenori dell’Opera, la sua iniziativa risulta controproducente. La decisione di Agamennone di sacrificare la figlia, d’altra parte, implica una responsabilità: ogni giustificazionismo è qui respinto fin dalle radici filosofiche. Se dunque col capo religioso si tratta di eterogenesi dei fini (nessuna azione sortisce l’effetto voluto), col capo militare noi vediamo il prìncipe conteso fra interessi pubblici e affetti pri vati: due temi della massima tradizione drammaturgica intrecciati con la massima densità. Una posizione speciale assume in questo libro l’esame teorico dei ruoli distinti della compo sizione musicale e della regìa: la musica dovrebbe ritornare a svolgere il compito filologico di approssimazione all’unità dell’antico (dal quale è stata distolta per opera del cinema), mentre alla regìa dovrebbe toccare il compito di suggerire l’unità sentimentale del moderno nei confronti dell’antico mediante un tacito giudizio. Peithō, la divinità della persuasione erotica, dell’arte giudiziaria e della conurbazione politica, può anche diventare il nume tute lare di un possibile talento polifonico del coro. Oltre alle acquisizioni dell’etnomusicologia, l’autore propone di riconsiderare la lezione più congruente dell’opera barocca italiana, e Peithō presiede così anche ad un uso dell’analogia libero da storicismi. La traduzione può essere un’approssimazione alla cosa, oppure un vaglio periegetico del testo, o ancora la ricreazione fenomenologica di un contenuto in una rappresentazione pretestuosa. Da questa terza posizione intellettualistica l’autore prende le distanze, sottoli neando l’incapacità, in generale, della filosofia italiana di affrontare coi mezzi della propria lucidità e del proprio genio, nonché della migliore tradizione moderna (che spazia da Valla e Montaigne fino a Hume e a Leibniz) il quesito generalissimo della percezione indistinta, sentimentale, di una realtà incognita. La trattazione principale è corredata da quattro appendici, nelle quali si conversa di nozioni fondamentali di estetica politica come ‘antico e moderno’, o ‘civiltà e barbarie’. Nello spazio compreso fra il sacrificio di Agamennone e quello di Stilicone noi possiamo vedere tutto il cammino compiuto dalla barbarie per farsi civiltà moderna. Michele Barbieri presta servizio dal 1981 come ricercatore in Filosofia Politica presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Siena. È titolare di un insegnamento di Estetica Politica. Questo libro rappresenta un parziale sviluppo del primo corso di Estetica Politica tenuto nella primavera del 2006. Con la Società Edi trice Fiorentina ha già pubblicato il volume Manierismo di Kant.
€ 20,00
Michele Barbieri
L’Ifigenia di Eschilo Filologia e drammaturgia nell’Agamennone Società
Editrice Fiorentina