Aleksandr Filonenko
ELENA MAZZOLA ALEKSANDR FILONENKO
L’OCEANO DEL MISTERO
è nata a Desio nel 1974 Laureatasi in lingue e letterature straniere presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano dal 2002 vive e lavora stabilmente a Mosca. Nel 2005 ha conseguito il dottorato di ricerca in linguistica comparativa presso l'Istituto di Linguistica dell'Accademia delle Scienze Russa e dal 2008 collabora con l’Università Ortodossa San Tichon dove attualmente è docente di letteratura italiana ed europea. È traduttrice e curatrice dell'edizione italiana dei libri di Tat'jana Kasatkina.
è nato a Kislovodsk il 18 ottobre 1968 Dopo essersi laureato in fisica nucleare ha continuato gli studi specializzandosi in filosofia e teologia. Attualmente è professore di teoria della cultura, filosofia della scienza e teologia presso l’Università Statale di Kharkov e in altre università in Ucraina, Russia e Belorussia. Nel 2011 Aleksandr ha fondato l’agenzia socio-culturale Emmaus che si occupa dell’inserimento sociale di ragazzi orfani e disabili e di progetti educativi e culturali. Nel 2014 a Emmaus si affianca il centro di cultura europea Dante nato per portare nella società ucraina testimonianze di vita nuova attraverso la realizzazione di eventi culturali
20. 00 €
ANNA CARMINATI
è nata a Monza nel 1988 Si è laureata in letteratura moderna presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, portando avanti parallelamente lo studio della lingua e letteratura russa. Nel 2013 ha iniziato un dottorato in antropologia filosofica, seguita dal professor Aleksandr Filonenko presso l'Università Statale di Kharkov, città in cui attualmente vive. Collabora stabilmente con il centro di cultura europea Dante.
Elena Mazzola
n un avventuroso susseguirsi di avvenimenti il filosofo ortodosso ucraino Aleksandr Filonenko incontra squarci d’Italia e di mondo cattolico offrendo al pubblico la sua testimonianza e dialogando appassionatamente con piccoli e grandi. Questo libro affronta – con tremore e decisione – le domande eterne dell’uomo e riporta in primo piano parole oggi spesso svuotate della loro forza originale: stupore, bellezza, amicizia, gratuità, umiltà, pazienza e compassione acquistano nel suo discorso lo spessore di volti concreti che le avvicinano al cuore di chi ascolta rendendole nuovamente vive e attraenti. Elena Mazzola si è assunta il compito di raccontare questi avvenimenti di amicizia dando spazio e voce ai loro protagonisti che sembrano invitare il lettore a immergersi con loro in quell’oceano del Mistero che è la realtà.
Aleksandr Filonenko Elena Mazzola
a cura di Anna Carminati
prefazione di Francesco Braschi
Aleksandr Filonenko, Elena Mazzola
L’oceano del Mistero a cura di Anna Carminati prefazione di Francesco Braschi
© 2014 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it facebook account www.facebook.com/sefeditrice twitter account @sefeditrice isbn 978-88-6032-311-8 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata Grafica e impaginazione Andrea Tasso Copertina Oleksiy Chekal (PanicDesign)
Indice
Prefazione di Francesco Braschi
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Nota di edizione di Elena Mazzola
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1. dalla mia vita… Prato la salverà la bellezza
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2. …alla vostra vita La bottega dello stupore «Abbiamo deciso di aiutarci»
27 29 74
3. difensori della bellezza La ricerca della bellezza Un Imprevisto D’improvviso la bellezza Bellissime veramente!
91 93 107 110 124
4. lo stupore e la gratuità: un metodo Vivere nella verità In che cosa facciamo la differenza? L’educazione: ridestare l’umano La gratuità ci sorprende
143 145 161 179 197
5. la bellezza della pace, orizzonte totale del cuore Il superamento della violenza, la pace e la “coltura” del giardino La rivoluzione dell’umano. L’Ucraina… e noi?
215 217 224
Indice tematico
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Prefazione
«Il fuoco sulla terra»
Quando ci annoiamo noi cerchiamo di uscirne in tanti modi diversi ma per me è stato fondamentale capire che la via d’uscita non sta nel guardare dentro se stessi e nemmeno nel cercare di avere successo con gli amici (o con gli altri in genere) ma nel trovare una persona che per te è così viva che tu sei pronto a seguirla e ad ammirarla, tanto che non vorresti mai staccarle gli occhi di dosso. E questo, per qualche ragione, ti rende vivo. E accade anche un’altra cosa, che mentre sei lì tutto preso a guardare quella persona viva, improvvisamente perdi interesse per te stesso, perché non sei più al centro tu, ma allo stesso tempo sei tu che diventi più vivo, e gli amici intorno a te se ne accorgono.
Queste parole di Aleksandr Filonenko mi paiono la migliore spiegazione di ciò che si trova in questo libro. Tutte le parole che vi sono contenute sono in realtà un racconto: il racconto della scoperta della vita da parte di una persona – l’Autore – che narra la sua storia e il suo passaggio dalla fisica nucleare alla filosofia e poi alla fede, negli anni che stanno sul crinale tra il tramonto dell’epoca sovietica e l’indipendenza dell’Ucraina fino alla stagione del Majdan, non ancora conclusa. Ma questo racconto non è solo un’autobiografia a puntate che, per quanto interessante, vuole focalizzare l’attenzione sugli eventi della vita di un solo uomo e che si sostanzia delle vicende – tristi, liete, fondamentali, “di colore” – da cui una vicenda personale è stata costruita nel tempo: perché in questo libro il lettore si vede posto davanti a una storia che ha tanti protagonisti, e non solo quelli ricordati da Aleksandr Filonenko mentre dispiega la propria narrazione. Se fossimo in un film, potremmo dire che – a un certo punto – gli attori escono dallo schermo, per diventare personaggi in carne e ossa che si mettono a interagire con gli spettatori. Infatti, i diversi capitoli di questo libro sono essi stessi delle storie, tutte diverse tra loro: perfino le introduzioni e le domande del dialogo che si intreccia tra Saša e i suoi interlocutori diventano qualcosa di vivo che ti accade sotto gli occhi e ti
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lascia sempre più stupito, senza che tu nemmeno te ne accorga. E così ti sorprendi a scoprire che la trascrizione di una conferenza in giro per l’Italia si è trasformata essa stessa in un racconto nuovo e inatteso, che ti fa toccare con mano la generazione di nuove amicizie, di nuove domande, di nuove persone che si sentono ridestare dall’incontro con un uomo che non ha più bisogno di mettere davanti a tutti i propri titoli accademici (che pure non sono né pochi, né banali), ma che solo si contenta di dire a tutti quello che gli è capitato: essersi lasciato provocare dalla vita e dagli incontri fatti a spalancare sempre più gli occhi sulla realtà, divenuta parlante luogo in cui si manifesta Chi è in grado di far rinascere la speranza nell’uomo. E perfino nell’“uomo sovietico”, cioè nell’oggetto del più temibile esperimento di annientamento dell’io; un esperimento tragico che per durata, raffinatezza e dimensioni ha potuto superare ogni altro totalitarismo del XX secolo, tanto che ancora oggi ne vediamo le conseguenze in milioni di persone. Ma nemmeno in questa capacità di aprire squarci inattesi e insospettabili di profondità e di sguardo su una realtà che si apre dalla vicenda personale di Filonenko per giungere alla storia dell’ultimo secolo, possiamo considerare esaurita la forza di questo libro. Perché, se così fosse, quello che abbiamo in mano rimarrebbe ancora solo un volume avvincente, una sintesi singolare e attraente di pensiero e di esperienza, ma assomiglierebbe a tanti altri libri che tutti abbiamo visto e letto. L’ultimo, decisivo, passo che viene chiesto a chi legge questo libro è quello che lo spinge a decidere di entrare in una storia che continua, e che è proprio per lui. Perché ciascuno di noi, lasciandosi penetrare dalle parole di questo fisico e filosofo cristiano ucraino e dalle vicende sue e dei suoi amici, potrà verificare quanto egli stesso sia fatto per una storia e per uno sguardo così sulla realtà: uno sguardo capace di desiderare e di trovare motivi di speranza, e non solo per se stessi, ma per condividerli nell’inizio di una nuova realtà da condividere con altri. «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49), ha detto un giorno Gesù Cristo. Mi sembra che non si possano trovare parole migliori per descrivere il compito di questo libro: mostrare come anche oggi questo fuoco possa divampare nella mente e nel cuore degli uomini e, così, riscaldare la vita ed espandere il calore e l’incendio. Per questo dono – che è esso stesso un avvenimento di vita – sono grato all’amico Saša e a quanti hanno voluto trasformare in un libro vivo una ricca stagione di incontri, rendendoli così disponibili a tutti. Perché l’incendio non si fermi! mons. Francesco Braschi presidente dell’Asssociazione Russia Cristiana
Nota di edizione
Mi permetto di dire due parole sulla natura di questo libro suggerendo al lettore di affrontarlo preparandosi più a un ascolto che a una lettura. La caratteristica fondamentale di quest’opera, infatti, in tutte le sue componenti, è sempre e volutamente una coralità. Non possiamo dire infatti che ci sia un autore, gli autori sono molti e intervengono con tutta la specificità del loro timbro di voce; ci sono dei solisti, certo, e il primo è chiaramente Filonenko, ma non è il solo. Sono evidentemente dei solisti anche Franco Nembrini, a cui sono stati affidati molti brani, e Silvio Cattarina che ha dei temi suoi. Ma questo libro non ha neanche un traduttore perché anche i traduttori sono molti: perché ci sono quelli che hanno tradotto gli incontri, come Caterina Corbella che si è cimentata con Filonenko negli incontri comaschi, ci sono tanti protagonisti che hanno trascritto da subito le traduzioni simultanee orali e c’è chi – io e Anna – quelle prime partiture ha ripulito e riscritto. L’opera in sé, poi, è sinfonica: ci sono dei temi che si ripetono (stupore, amicizia, bellezza, gratuità, fede, pazienza, speranza, desiderio, sofferenza, amore e molti altri) e si ripetono anche dei brani interi e alcune storie. Ma se nei libri le ripetizioni appesantiscono, nelle sinfonie diventano variazioni sul tema, variazioni che comunicano e approfondiscono il senso stesso dell’opera. Aleksandr Filonenko (che gli amici, come vedrete, chiamano semplicemente Saša) sostiene che con questo lavoro abbiamo creato un genere nuovo; io penso che qualcosa di simile l’ho già visto, e non una volta sola, ma rimane il fatto che il risultato che ci siamo trovati davanti agli occhi ha in sé qualcosa di misterioso e difficilmente “classificabile”. E la realizzazione di questa sinfonia ha avuto anche – e forse bisognerebbe dire soprattutto – una sua fase “organizzativa”. Perché potesse esistere si sono mossi in tanti e qui se dovessi mettermi a ringraziare tutti ne uscirebbe un altro libro. Dirò invece sinteticamente che la
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fase “organizzativa” è stata in realtà tutta amicizia. E tra i molti vorrei ringraziare Letizia Bardazzi, presidente di AIC, perché l’idea di fare dei tour incontrando la realtà dei Centri Culturali di tutta Italia ha servito umilmente e preziosamente questa Amicizia regalando a tanti, e a noi per primi, una ricchezza impensata. E devo ringraziare – e lo faccio con sempre rinnovata meraviglia – anche Alessandro Santi, un nuovo grande amico, perché senza il Mistero di quello che è accaduto a lui questo libro, molto semplicemente, non ci sarebbe stato. Una precisazione ancora circa la struttura del libro. Il secondo capitolo ha un titolo strano – …alla vostra vita – che va inteso come completamento e compimento del titolo del capitolo precedente: Dalla mia vita… «Dalla mia vita alla vostra vita» è un’espressione che don Giussani usò nel 2001 parlando a un gruppo di universitari di CL a cui, tra l’altro, disse: I rapporti tra di noi – tra l’uomo e l’uomo, e le cose –, tutti quanti i rapporti sono mediati da una capacità di fascino, da una capacità di prepotente esigenza, esigenza di essere soddisfatti, satis facti. Io non credevo che essa giungesse, potesse giungere a una tale iniziativa di cuori, che, assunta una posizione di simpatia per la mia vita, fossero così d’accordo sulla mia intenzione di sguardo affettivamente intenso alla loro vita. Dalla mia vita alla vostra vita.
Parole che descrivono con una bellezza rara lo spettacolo di quell’oceano del Mistero in cui ci siamo trovati immersi e di cui abbiamo desiderato in molti potessero sentire il suono. I titoli dei diversi incontri che, con l’eccezione di un articolo, costituiscono la parte più consistente del testo, sono spesso quelli degli eventi stessi ma in alcuni casi abbiamo preferito usare parole che rendessero l’idea del contenuto in modo più evocativo. E se, infine, vi venisse la tentazione di pensare che il maestro del coro sia io, sappiate che non è così. Io sono forse più simile a un registratore che si è trovato impresso sui suoi nastri mille prove e mille esecuzioni e ne ha goduto tanto che ha desiderato farli sentire ad altri. Il Maestro del coro, evidentemente, è un Altro. Elena Mazzola
1. Dalla mia vita‌
Prato la salverà la bellezza Le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell'uomo
Il centro culturale Prato Encounter si è costituito nel 2011 a partire dal desiderio di un gruppo di amici di scoprire e proporre a tutti ciò che di buono, bello e vero c’è nella realtà, rischiando un giudizio che permetta una conoscenza vera delle cose e del mondo1. «Vagliate tutto e trattenete il valore» è il principio ispiratore dell’attività culturale dell’associazione. Tutto, infatti, è incontrabile e affrontabile tenendo come criterio la chiarezza sull’uomo portata dalla rivelazione cristiana, e di tutto, in forza di tale criterio, si può trattenere e valorizzare ciò che è vero e buono. Da qualche anno alcuni amici pratesi hanno incominciato a collaborare con l’associazione Emmaus di Kharkov organizzando tra l’altro iniziative di raccolta fondi per sostenere l’opera. In questo rapporto è nata una vera e importante amicizia caratterizzata fin da subito da un’esperienza di umanità e di fede che ha inciso profondamente in molti di noi. Il desiderio di organizzare un incontro pubblico è nato per testimoniare e rendere pubblica l’esperienza umana e di conversione del prof. Filonenko che è all’origine dell’opera sociale di Emmaus e di questa amicizia che lega persone che vivono a migliaia di chilometri di distanza. È un’esperienza di novità che abbiamo sentita ben descritta dalla famosa espressione di Dostoevskij «Il mondo lo salverà la Bellezza» che abbiamo posto a titolo dell’incontro perché, come abbiamo imparato da Tat’jana Kasatkina, Dostoevskij afferma «che il mondo sarà salvato dalla bellezza, cioè da una delle proprietà immanenti al mondo stesso. La prerogativa della bellezza non è quella di salvare il mondo ma quella di permanere in esso inesorabilmente ed è in questa immanenza inesorabile della bellezza nel mondo che 1 Prato Encounter nasce nel solco dell’esperienza dell’Associazione Italiana Centri Culturali (AIC), opera nata nel 1983 per iniziativa di un gruppo di docenti universitari, scienziati, giornalisti, critici letterari e uomini di teatro che, per l’amicizia con don Luigi Giussani, fondatore del movimento di Comunione e Liberazione, sono stati mossi dal desiderio di mostrare a tutti la pertinenza della fede con la vita. AIC ha promosso due cicli di incontri con Aleksandr Filonenko, uno nel 2013 e l’altro nel 2014.
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è riposta la sua sola speranza. La bellezza, quindi, non è una forza trionfante che incombe sul mondo con funzione salvifica. No, la bellezza è qualcosa che è già presente nel mondo ed è poi proprio in virtù̀ di questa sua presenza che il mondo sarà salvato»2. Il luogo scelto per l’incontro – che si è svolto nell’ottobre 2013 ed è stato introdotto da Filippo Bettarini – è stato il palazzo vescovile di Prato. Siamo molto grati a monsignor Agostinelli perché permettendoci di svolgere l’incontro nella “casa del vescovo” ha reso possibile esplicitare l’unità nell’esperienza della fede esistente in questi rapporti con tanti amici ortodossi. Il presidente, Lorenzo Neri Bettarini: Il prof. Filonenko, per capire i titoli, si è laureato in fisica, poi, non contento – dopo ci spiegherà anche perché –, ha studiato filosofia e teologia e attualmente è professore di filosofia all’università statale di Kharkov. Mentre la professoressa Mazzola insegna letteratura italiana all’università San Tichon di Mosca dove abita insieme alla nostra amica Tiziana, la prima pratese che abbiamo mandato in avanscoperta in Russia. Filonenko: Buonasera. Vorrei partire da una storia legata alla citazione di Dostoevskij (un uomo che ha cambiato la vita di Filippo ancora più di quanto l’abbia fatto io) che avete posto a titolo dell’incontro. All’inizio del XX secolo un altro grande scrittore russo, Tolstoj, usò tutti i soldi guadagnati con il romanzo Resurrezione per sponsorizzare dei contadini che avevano deciso di andare a vivere in Canada. Negli anni ’90 dei miei amici decisero di prendersi un week-end per andare a cercarli: si misero in macchina e dopo un lungo viaggio in mezzo ai boschi trovarono un cartello con il nome di un villaggio scritto in russo, lo sorpassarono e dietro l’angolo videro comparire delle antiche izbe russe. Nel villaggio nessuno parlava russo, si parlava solo in inglese, ma nel paesino c’era un club e quando vi entrarono scoprirono che conteneva una grande biblioteca piena di libri russi di cui la maggior parte erano libri di Tolstoj. E su una parete c’era una scritta con la nostra citazione di Dostoevskij che però era firmata: Lev Tolstoj. Ho voluto raccontarvi questa storia per dirvi che quando si tratta di una storia d’amore perfino gli errori non rovinano niente. Oggi vi racconterò brevemente la mia vita solo per dirvi come ac2 Tat’jana Kasatkina, Dal paradiso all’inferno, Castel Bolognese, Itacalibri, 2012, p. 101.
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cade la scoperta della fede nei Paesi post-sovietici. Io sono nato nel 1968 e ho finito la scuola nel 1985, un anno importante perché segna l’inizio dell’epoca di Gorbačev, e in quell’anno io ho iniziato l’università. Avevo vissuto tutta l’infanzia in una piccolissima cittadina del Caucaso, molto famosa per la cultura russa, di cui in Italia ho scoperto una cosa divertente: che prima di me nell’unica sala parto della città erano nati due premi Nobel: Gorbačev e Solženicyn. Un risultato niente male! Un altro fatto importante che ha segnato la mia infanzia è che ho studiato in una scuola estremamente ideologica, una scuola dedicata a Lenin, dove venivano sempre a trovarci il capo del partito comunista e altri grandi esponenti del partito. Un giorno, ad esempio, inaspettatamente – davvero senza nessun preavviso – è entrato in classe Luis Corvalan3 che, liberato dal Cile di Pinochet fu mandato in Unione Sovietica, e dove viveva? Nella nostra piccola cittadina. Insomma, da noi c’era tutto, tranne la fede. I muri della scuola erano pieni di citazioni di Marx, Engels e Lenin e persino la lingua inglese l’abbiamo studiata sulla biografia di Lenin. Recentemente ho scoperto che dalla nostra scuola sono usciti perfino due professori di teologia: uno sono io e il secondo è un professore dell’Accademia Teologica di Mosca. E la madre di questo professore – cioè la mia vecchia insegnante di chimica – ora è la direttrice di un liceo ortodosso. È tutta una storia molto interessante! L’atmosfera in cui io sono cresciuto, quindi, è quella di una società atea in cui il governo per settant’anni ha combattuto una guerra contro la Chiesa che ha raggiunto il suo apice nel ’37 – anno che è stato chiamato del grande terrore – quando si è proprio provato a distruggere completamente la Chiesa, ad annientarla: in quell’anno sono stati uccisi più cristiani che in tutta l’epoca delle prime persecuzioni cristiane tanto che alla fine erano rimasti in libertà solo tre vescovi. La Chiesa è sopravvissuta ma di norma era molto lontana dalla vita dello Stato e della gente e non poteva assolutamente, ad esempio, occuparsi dell’educazione dei bambini: ogni tentativo di rapporto tra la Chiesa e i bambini era considerato un delitto, e per tutta la mia infanzia è stato così. In Unione Sovietica la società stabiliva un rapporto con la gente volto a ucciderne la speranza e se la fede consistesse soltanto in una tradizione che si tramanda di generazione in generazione la sua sopravvivenza in circostanze simili sarebbe impossibile. Esisteva anche una Chiesa catacombale, e lì la fede vera si è conservata, ma io di 3 Luis Nicolàs Corvalan Lepe (1916-2010), giornalista e politico cileno, membro del partito comunista cileno. Fu arrestato sotto il regime di Pinochet nel 1973 e rilasciato nel 1976 per un accordo tra URSS e Cile, in cambio di Vladimir Bukovskij.
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questa Chiesa non ne sapevo nulla e a quel tempo non mi interessava nemmeno. Il momento più importante della mia vita è quando ho scoperto la forza della scienza. Mi è successo quando avevo circa tredici anni durante una lezione di fisica in cui, come sempre, mi annoiavo a morte e per passare il tempo leggevo le scritte di cui erano piene le pareti dell’aula: Lenin, Marx ed Engels sono riusciti a parlare troppo anche della fisica e a dire, sostanzialmente, tante idiozie… che da noi erano tutte esposte! Ma tra queste scritte ce n’era anche una molto strana e molto lunga che apparteneva a una persona a me sconosciuta. Sotto il ritratto di un uomo in parrucca dallo sguardo cattivo che mi fissava sempre – e vi dico subito che si trattava di Newton – erano riportate queste parole: «Non so cosa il mondo dica di me, ma io mi vedo come un bambino piccolo che cammina sulla riva dell’oceano, raccoglie alcune pietruzze, le paragona, guarda come sono belle, trova rare conchiglie, mentre davanti a sé l’enorme oceano misterioso si stende ignoto e sconosciuto»4. Allora io ho pensato a come doveva essere diversa la mia mattina rispetto a quella di Newton, perché io mi svegliavo ogni mattina davanti a un oceano di noia, mentre quell’uomo dagli occhi cattivi si svegliava ogni mattina davanti all’oceano del mistero. E io volevo imparare a svegliarmi così. Dopo un po’ di tempo ho capito che era la scienza che aveva educato così lo stupore di quell’uomo e che, quindi, fare lo scienziato avrebbe significato essere un uomo che ha sempre la possibilità di vivere in un mondo intriso di stupore. Così mi sono liberato dalla coscienza ideologica e per anni mi sono occupato solo di fisica e matematica. Ma al secondo anno di università ho avuto una grande delusione perché a un certo punto ho capito che stavo studiando tantissimo – e proprio quello che volevo – ma lo stupore iniziale l’avevo perso e ne soffrivo immensamente. In quel dolore ho fatto un’esperienza nuova che si può spiegare brevemente attraverso una storia chassidica, la storia di un folle di Dio, il maestro Zusja. Zusja, un uomo sempre molto allegro, un giorno si mise a piangere a dirotto, tanto che tutti i suoi amici provavano in tutti i modi a consolarlo cercando di capire perché fosse così disperato. Quando glielo chiesero lui rispose:
4 «I do not know what I may appear to the world, but to myself I seem to have been only like a boy playing on the sea-shore, and diverting myself in now and then finding a smoother pebble or a prettier shell than ordinary, whilst the great ocean of truth lay all undiscovered before me». David Brewster, Memoirs of the life, writings and discoveries of Sir Isaac Newton, Edinburgh, Edomonston and Douglas, 1860, vol. ii, p. 331.
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«Perché tra poco morirò e Dio mi chiamerà a giudizio e mi chiederà una cosa a cui io non saprò rispondere». «Ma cosa mai ti potrà chiedere? Perché non hai vissuto la vita di Mosè? O la vita di Abramo?». «No – disse – io a queste domande so rispondere. Il problema è che non mi chiederà questo, mi chiederà un’altra cosa, a cui io non so rispondere. Mi dirà: “Zusja, perché non hai vissuto la vita di Zusja?”»5. E questa è una domanda incredibile, perché l’uomo è una creatura così meravigliosa che può vivere una vita che non è la sua, esserne infelice, piangere per questo ma non sapere come fare per vivere la sua propria vita. Un grande mistico, Thomas Merton6, una volta ha detto che un santo è semplicemente una persona che è riuscita a vivere la sua propria vita, e questa affermazione aiuta a cogliere il livello profondo della questione. Questa storia nella mia vita ha significato la nascita della filosofia, perché un uomo che conosce queste lacrime è un filosofo. E io le ho conosciute al momento giusto, perché in quel periodo mi hanno mandato a fare la leva militare e lì ho avuto due anni interi di tempo per pensare. A quell’epoca, nel 1988, il partito comunista aveva stabilito di celebrare una festa religiosa: si festeggiavano i mille anni del battesimo della Russia. Per farvi capire quanto quella festa fosse assurda vi racconto una storia: per l’esercito erano stati pensati appositi e “adeguati” momenti celebrativi e a organizzarli, chiaramente, erano degli ideologici comunisti. Ma visto che il tema era particolarmente solenne, i nostri “esperti” non se la sentirono di prendersi anche la responsabilità di parlare e decisero che era meglio invitare qualcuno da Mosca. E di fatto da noi venne un grande professore che tenne una Lectio Magistralis dal titolo: La Bibbia è un libro falso. Fu in quegli anni che io mi imbattei in padre Pavel Florenskij, un grande scienziato, un grande matematico ma, allo stesso tempo – cosa per me incomprensibile – un sacerdote. Di Florenskij mi colpiva il fatto che da piccolo non era stato educato alla fede – come me – e che fosse diventato sacerdote pur essendo davvero un grandissimo scienziato. Il cammino di martirio di Florenskij iniziò con la rivoluzione e con la sua decisione di non emigrare: Florenskij rifiutò di lasciare l’URSS perché aveva deciso che la sua vita e la vita della sua famiglia potevano consistere pienamente nel servire Cristo rispondendo alle Cfr. Martin Buber, Storie e leggende Chassidiche, Milano, Mondadori, 2008. Thomas Merton (1915-1968), scrittore e religioso statunitense dell’ordine dei Trappisti. 5
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sfide quotidiane anche nella società sovietica. E per questo iniziò a occuparsi delle cose più strane: era un sacerdote, ma fu anche membro della commissione che lavorò all’elettrificazione della Russia; scrisse dei manuali di fisica; insegnò teoria della prospettiva agli artisti di sinistra. Quando poi nel 1934 lo arrestarono e lo deportarono in Siberia, dovette vivere in condizioni insostenibili e con il pensiero costante dei cinque figli che aveva lasciato a Mosca. Ma il modo in cui visse la prigionia è realmente impressionante. Si lasciò colpire, ad esempio, dalla bellezza del ghiaccio e si mise a studiarlo molto seriamente, o, ancora, si imbatté in una popolazione locale (era la zona del lago Bajkal) che lo affascinò moltissimo, tanto che ne studiò la lingua, scrisse un poema sulla sua storia e coltivò il desiderio di aprire un museo memoriale che la testimoniasse. E a un certo punto scrisse addirittura ai suoi cari invitandoli a raggiungerlo, perché vivere lì era bellissimo mentre a Mosca era pericoloso. In seguito lo arrestarono nuovamente e lo destinarono al lager delle isole Solovki, il più tremendo di tutto il GULag. Guardare le sue fotografie di quegli anni fa fisicamente male perché ci mostrano un uomo fisicamente distrutto, martoriato. Ma lui viveva perfino lì: un giorno in riva al mare vide delle alghe, capì che si poteva ricavarne dello iodio e costruì una fabbrica per produrlo (che poi, durante la seconda guerra mondiale, divenne la più grande fabbrica sovietica in grado di rifornire di iodio le truppe al fronte). Nel ’37 Florenskij fu ucciso e ancora adesso non si sa come e neppure si sa dove sia stato sepolto il suo corpo. Per altro, la sua famiglia ebbe la conferma che il decesso era avvenuto nel ’37 solo molto tempo dopo, negli anni ’807. Quando io ho scoperto che esistevano dei destini umani così, che un uomo poteva venir ucciso ma essere molto più vivo di me perfino mentre lo stavano uccidendo, la mia concezione della religione è andata in pezzi. Io avevo una concezione della religione che in Unione Sovietica era molto popolare e che si fondava su una teoria della compensazione per cui: se un uomo è tanto debole da essere costretto a vivere come un invalido, è chiaro che ha bisogno di appositi strumenti che possano compensare la sua invalidità. La religione, per me, era uno di questi strumenti di compensazione. E da noi gli atei dicevano che, essendo persone sane, di queste “stampelle” non ne avevano bisogno, mentre i credenti concordavano sul fatto di essere deboli e che per questo loro della religione avevano bisogno, ma il tipo di concezione era esattamente lo stesso. 7 Cfr. Pavel Florenskij, Non dimenticatemi. Le lettere dal gulag del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, Milano, Mondadori, 2006.
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Ma all’improvviso io incontrai quest’uomo che aveva una sovrabbondanza di vita immensa – tale da superare qualsiasi misura umana – e desiderai capire da dove gli venisse, quale ne fosse la sorgente. Florenskij non ne faceva mistero: per lui questa sorgente era il rapporto con Cristo. Ma se per lui era chiaro, per me non lo era affatto. Quello che però mi diventò subito assolutamente chiaro è che se Florenskij era un invalido, allora io volevo stare nel gruppo degli invalidi e non in quello degli atei, sani e annoiati, che ben conoscevo. Ma dovevo scoprire a cosa Florenskij guardava, e quindi dovevo andargli dietro, seguirlo. C’era solo un problema: Florenskij era morto. E in me allora nacque una domanda: è la Chiesa a generare uomini così? E avevo il desiderio fortissimo di poterlo verificare e cioè di incontrarne almeno uno vivo. E sono stato molto fortunato: in un momento in cui cercare un cristiano vivo era praticamente un lavoro da “archeologo” (perché le chiese erano state distrutte, la Chiesa era in rovina) mi è venuta in soccorso la televisione. Adesso dalla televisione nessuno si aspetta niente di buono, io oramai non la guardo quasi più mentre allora la guardavamo tanto e a un certo punto in un programma è apparso padre Aleksandr Men8, e io ho capito subito che era un uomo vivo come Florenskij e che non aveva niente in comune con gli stereotipi delle persone religiose che tutti avevamo in mente. Dovevo andare a vedere come viveva, per me era fondamentale, ma ho rimandato un po’ troppo il mio viaggio e a un certo punto hanno ucciso anche lui. Da quel momento ho capito che quando hai il desiderio – la sete – di seguire qualcuno, non si può rimandare, bisogna andare subito. Sono passati poi alcuni anni e io ero già battezzato – mi sono battezzato con mia moglie e mio figlio nel 1991 – ma non avevo ancora trovato una persona che potessi seguire quando un giorno venne da me un mio amico con un’audio-cassetta e mi disse: «Questa dobbiamo ascoltarla insieme!». Iniziammo ad ascoltarla e sentii la voce di un uomo che parlava con un russo di una bellezza impressionante, che raccontava storie stupefacenti e intesseva nel suo discorso una concentrazione incredibile di pensieri nuovi. Per me era anche troppo! Allora io e il mio amico ci siamo guardati e ci siamo detti: «È lui! Dobbiamo andare». Ma poi mi han detto che era impossibile, perché si trattava di un uomo anziano che viveva stabilmente a Londra e che aveva già detto addio all’Unione Sovietica: di fatto non ci sarebbe più tornato. Era il metropolita Antonij di Surož9, un uomo – russo – che Padre Aleksandr Men (1935-1990) grande sacerdote e teologo ortodosso. Metropolita Antonij di Surož (1914-2003), primate della Chiesa ortodossa russa in Gran Bretagna. 8
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ha avuto una vita drammaticamente intensa: aveva perso la fede da piccolo ma a quattordici anni aveva incontrato Cristo e deciso di farsi monaco; di professione faceva il chirurgo ma dopo la guerra si era fatto sacerdote e aveva fondato la Chiesa ortodossa russa in Inghilterra. E, appunto, quando io mi imbattei in quella registrazione lui viveva a Londra. Dissi al mio amico che era evidente che dovevamo andare a Londra e ricordo ancora adesso quanto quell’idea apparisse semplicemente ridicola. Perché in quel periodo il nostro Paese era praticamente alla fame – stavamo attraversando una crisi profondissima – e dire «vado in Inghilterra» era come dire «vado sulla luna». Ma poi il Signore mi ha “combinato uno scherzo” e per qualche strana ragione nella nostra città è comparso un cattolico inglese che essendo, come me, innamorato del metropolita Antonij ha capito immediatamente quanto per me incontrarlo fosse vitale; si è preso carico lui di tutta la vicenda e io sono potuto andare a Londra e l’ho conosciuto. La questione fondamentale per me era verificare se quell’uomo – il metropolita Antonij – si limitava a parlare in quel modo assolutamente meraviglioso e profondo o se viveva anche così. Per capirlo leggere i suoi libri non bastava e a quel tempo – era il 1997 – non esisteva ancora internet, perciò io non sapevo nemmeno che faccia avesse; conoscevo solo la sua voce. In seguito ebbi modo di scoprire fino a che punto la vita del metropolita Antonij fosse stupefacente, provo a darvene un’idea raccontandovi due storie. La prima è sul periodo in cui aveva smesso di frequentare la Chiesa. Quando era piccolo aveva iniziato a sembrargli che andare alla liturgia ogni domenica fosse una perdita di tempo – siamo a Parigi, nel contesto dell’emigrazione russa – ma sua nonna lo portava in chiesa e lui quando entrava sentiva un “odore strano” e aveva imparato che se inspirava profondamente quell’aria, sveniva, e lo riportavano subito a casa. Il metodo funzionava sempre e lui lo usò per un po’ di volte finché un bel giorno la nonna si stufò e smise di portarlo in chiesa. Quando aveva quattrodici anni aveva deciso che un giorno sarebbe tornato in Russia a liberare il Paese e per prepararsi a questa missione frequentava dei campi scout russi, in Francia. Per lui la Chiesa era solo un qualcosa che lo distraeva dal suo scopo. Ma un giorno al campo arrivò un sacerdote mandato da degli sponsor e il capo scout gli disse che quello bisognava ascoltarlo per forza. Antonij andò alle sue lezioni, ma si portò dietro un libro per starsene in fondo all’aula a leggere. Solo che quel prete parlava a voce molto alta e disturbava la sua lettura dicendo, per altro, delle cose orrende: che bisogna amare i nemici e bisogna porgere l’altra guancia; esattamente il contrario di quello per
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cui lui si stava così impetuosamente preparando. Era furioso e tornato a casa chiese alla nonna: «In casa abbiamo un Vangelo?». Voleva leggerlo per convincersi che quelle cose fossero realmente scritte lì e disse a sua nonna che se avesse scoperto che era vero non avrebbe mai più avuto nulla a che fare col cristianesimo. A casa il Vangelo c’era e lui, che aveva solo quattordici anni, si chiuse in camera a leggere ed essendo un ragazzo intelligente si accorse in fretta che di Vangeli ce n’erano quattro ma la storia raccontata era sempre la stessa. Scelse il Vangelo più corto, perché non voleva perdere tempo (ma poi per tutta la vita dirà che Dio l’aveva fatto apposta, perché solo grazie al Vangelo di Marco era possibile prendere dei “barbari” come lui – riteneva infatti che il Vangelo di Marco fosse stato scritto per quei Romani che si annoiavano a leggere i dialoghi e le descrizioni naturali ritenendo che in un buon libro dovesse esserci solo azione! E infatti il Vangelo di Marco è tutta azione) e a un certo punto, mentre era immerso nella lettura, sentì dietro alle spalle che nella stanza c’era qualcuno che lo guardava, e lo sentì in modo così forte che pensò fosse la nonna. Si girò a cercarla ma nella stanza non c’era nessuno e si disse: è Cristo. E in quell’attimo comprese una cosa che per un ragazzino di quattordici anni è davvero impressionante: «se è vero che è Cristo che mi sta guardando vuol dire che Cristo è vivo e questo significa che tutto quello che c’è scritto nel Vangelo è vero». E se era vero doveva accettarne le conseguenze. La prima era che quei terribili teppisti che a scuola lo picchiavano sempre e da cui l’unica cosa che sapeva fare era difendersi erano in realtà suoi fratelli; se loro non lo sapevano, lui ora lo sapeva e quindi da quel momento doveva smetterla di considerarli dei nemici e accoglierli come fratelli. La seconda cosa che lo stupì fu l’idea che si trattava di un Dio che si poteva non solo amare ma anche stimare per la sua infinita fede nell’uomo: Cristo era un Dio di cui lui poteva aver stima. La terza cosa che lo colpì furono le parole di Cristo sulla croce «Dio mio, perché mi hai abbandonato»: quel ragazzino aveva capito che quel grido di Cristo era la salvezza per gli atei, perché se Lui aveva condiviso la nostra morte, aveva fatto l’esperienza di sentirsi abbandonato da Dio ed era stato anche fin là dove gli atei avevano paura di trovarsi allora questo significava che Lui portava una speranza davvero per tutti. E Antonij poi fece tutta la sua strada che lo portò a diventare vescovo. L’incontro con lui per me è stato assolutamente decisivo e di quell’incontro io ho vissuto, con i miei amici, fino al 2002, anno in cui partecipando a una conferenza a Minsk ho incontrato Giovanna Parravicini che mi ha proposto di fare un salto con lei al Meeting di Rimini. Io le risposi di schianto che con lei ero pronto ad andare ovunque ma in realtà non avevo la minima idea di dove mi volesse portare
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e durante il viaggio provai più volte a chiederglielo. Ma lei mi dava risposte vaghe: diceva che sarei dovuto intervenire all’incontro di presentazione di una mostra chiamata I ragazzi di piazza Majakovskij10, una mostra che parlava della poesia sovietica degli anni ’50-’60, e io ero disponibile a farlo ma non riuscivo capire a chi in Italia potesse interessare la poesia sovietica di quegli anni; e su cosa fosse il Meeting continuava a dirmi solo «lo vedrai quando sarai lì». Ma anche quando sono arrivato ho visto che la mia preoccupazione non diminuiva perché dovevo parlare e non capivo a chi. A un certo punto chiesi quante persone ci sarebbero state all’incontro ma anche lì la risposta fu vaga, mi dissero solo che dipendeva dalle volte. Io però mi ero fatto un’ipotesi di massima: se anche fossero venuti tutti gli amanti della poesia sovietica – amanti italiani e, quindi, con tutta la famiglia al seguito, compresi nonni e bambini – ci sarebbero potute essere al massimo trenta persone! La sala strapiena l’ho vista solo quando ormai ero sul palco, cioè quando per aver paura era già troppo tardi. Così sono intervenuto e ho detto semplicemente quello che avevo preparato per quella circostanza ma alla fine dell’incontro mi si è avvicinato un signore anziano che mi ha detto: «Voglio darle un consiglio. Lei ha parlato molto bene ma a mio avviso don Giussani l’ha letto e dato per compreso troppo velocemente». E io gli ho chiesto: «Chi è Giussani?». È andato via senza salutarmi! Lì in me è nata una domanda fondamentale e con questa domanda nel cuore vivo ormai da dieci anni: che cosa aveva riconosciuto quell’uomo nelle mie parole? Perché quello di cui avevo parlato erano cose per me molto importanti che io avevo capito grazie al metropolita Antonij, mentre lui nelle mie parole aveva sentito le parole di don Giussani. Era una sinfonia a due voci, e questa sinfonia è decisiva. Da allora ho cercato di capire cosa è il movimento di Comunione e Liberazione e ho scoperto che quello che accade in Italia grazie a don Giussani è qualcosa di molto simile a quello che noi stavamo cercando di vivere all’interno della nostra tradizione ortodossa. In questo senso per me il fatto che molti miei amici italiani nelle parole del metropolita Antonij riconoscano l’esperienza del Movimento ha un’importanza capitale. Dico solo una cosa che li unisce: sia don Giussani che il metropolita Antonij hanno sempre insistito sul fatto che l’incontro con Dio accade in ogni incontro con gli altri uomini. Non è affatto una cosa 10 I ragazzi di piazza Majakovskij. La poesia alle origini del dissenso in URSS (19581965), a cura di Fondazione Russa Cristiana e Associazione Memorial, «La Nuova Europa», 4, 2002.
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banale perché di incontri ne facciamo mille al giorno e l’uomo moderno è disponibile ad accettare il fatto che nella vita possano accadere incontri grandi ma non è pronto a riconoscere che in ogni incontro è celata una profondità evangelica. Perché se è così il cristianesimo è l’arte di vedere questa profondità, e allora c’è bisogno di una scuola, di imparare a vedere così. Io ho cercato di imparare a vedere e ho visto tantissime cose. Il regalo più grande che mi ha fatto il Movimento – per fare un esempio – è stato quello di farmi capire che l’amicizia è il primo segno della presenza di Cristo. Per me è stato molto importante capirlo perché io ero uno di quei ragazzi sovietici che erano stati martoriati dal collettivismo: avevo passato tutta l’infanzia in organizzazioni di vario tipo e per questo, come tutte le persone della mia generazione, avevo sviluppato una forte allergia a tutti i tipi di gruppi. Ed è grazie al Movimento che, all’improvviso, ho scoperto il mistero della comunità, non come il mettersi insieme in un’associazione ideologica in cui tu devi servire qualcosa di comune, ma come luogo in cui puoi fare quello che da tanto desideravi fare ma che, per qualche ragione, avevi paura di fare: realizzare quello che ti rende vivo. Io ho scoperto che la comunità è il luogo di questa vita viva e quello che da allora è iniziato con i miei amici è proprio un cammino di comunità in cui, nel tempo, sono nate molte cose tra cui anche un’organizzazione socio-culturale che si chiama Emmaus. Ve ne parlo molto in breve. Da noi ci sono dei bambini orfani e invalidi – che non hanno quindi né una casa né dei genitori – a cui la nostra società offre solo una possibilità di vita: dopo la scuola dell’obbligo vengono mandati in una casa per anziani. E questo vuol dire mandarli a morire. È una cosa mostruosa, soprattutto quando tra questi ragazzi ce ne sono alcuni che sono diventati tuoi amici. Emmaus è nata dal fatto che questa sfida ha toccato personalmente noi nell’incontro con due ragazzine che si sono trovate in questa situazione e abbiamo iniziato a pensare che se ci fossimo messi con loro a studiare matematica e letteratura loro avrebbero potuto passare gli esami di ammissione per continuare a studiare in istituto e che questo significava ancora due anni di “vita libera”. Se poi avessero voluto, potevano anche provare a continuare a studiare e quindi avere un tempo importante e adeguato in cui nella loro vita sarebbe potuto accadere qualcosa di radicale. Questa è la nostra speranza, che ancora oggi ci sembra un po’ folle, perché nella società post-sovietica non esistono istituzioni che sostengano questo tipo di bambini dopo la scuola dell’obbligo, e questo vuol dire che questa vita per loro dobbiamo proprio inventarcela. Tutti i nostri ragazzi di Emmaus hanno una caratteristica molto semplice: per loro non ci sono vie di mezzo, possono scegliere solo tra la santità
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e la morte. Ma la santità non si può vivere in solitudine, è una cosa che si può vivere solo grazie all’amicizia, e non si può vivere un’amicizia se non c’è una casa. Per me è molto importante dire questa cosa a Prato, perché solo grazie a degli amici di questa città – grazie a Filippo, Leda e a voi – noi abbiamo potuto non solo sognare questa casa, ma anche realizzarla. Quest’estate abbiamo raccolto dei soldi e a settembre abbiamo aperto una casa in cui ora vivono Lena e Tanja insieme ad altri nostri amici che le aiutano a scoprire un mondo nuovo: Lena si è iscritta all’università e Tanja frequenta un istituto. E in tutto questo abbiamo visto nascere una forma di vita assolutamente nuova a cui abbiamo dato il nome di Casa volante11. In conclusione, vorrei spiegarvi in che senso la nostra casa è “volante”. All’inizio del XX secolo un grande teologo, Karl Barth12, spiegò che la sua decisione di occuparsi di teologia era legata alla scoperta che il cristianesimo stava correndo un grande pericolo: i cristiani rischiavano di perdere il sale del Vangelo perché pur sforzandosi di parlare a tutto il mondo di Cristo come di qualcosa di assolutamente stupefacente avevano essi stessi smesso di stupirsi, e ormai da molto tempo. Quando gli chiesero di spiegare cosa intendesse dire lui usò un’immagine molto forte, un’immagine che mostra come, a suo avviso, il cristianesimo dovrebbe ogni giorno stupirci: immaginatevi di essere una sera a casa vostra, tranquilli, già pronti ad andare a letto, e che mentre siete lì a sistemare le ultime faccende domestiche a un certo punto una pietra spacchi un vetro e dalla finestra vi voli in casa. Ognuno può immaginarsi i sentimenti che proverebbe. Ecco, Barth afferma che il Vangelo entra nella nostra vita in modo ancora più forte e che se quello che sperimentiamo incontrando il cristianesimo non è qualcosa di simile a questo shock occorre ricominciare da capo a provare a viverlo perché quello che stiamo vivendo è un’altra cosa. Quando ho letto questo paragone ho pensato che quando le persone iniziano a costruire una casa pensano alle pietre di cui hanno bisogno e spesso si immaginano di aver bisogno di quelle pietre che si trovano “per terra”, nelle fondamenta, e da questa convinzione na-
La pietra “volante”
11 Il concetto di casa volante è entrato nell’orizzonte di Aleksandr attraverso l’esperienza di alcuni amici dei Memores Domini che gli hanno raccontato come per un certo periodo di tempo avevano vissuto l’esperienza comunionale della vita della loro casa nella fraternità tra loro mentre le mura della loro futura casa non esistevano ancora. L’espressione colpì moltissimo Aleksandr che subito la sentì consona all’esperienza di fraternità che stava iniziando a vivere con molti amici. 12 Karl Barth (1886-1968), teologo e pastore svizzero.
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sce il fondamentalismo. L’errore più semplice del fondamentalismo è che le pietre su cui noi dobbiamo costruire non si trovano “in terra” – non si trovano “nel terreno” della tradizione – ma sono questa pietra che vola dentro entrando dalla finestra, e noi dobbiamo costruire su questa pietra dello stupore, su questa pietra volante. Sono pietre che ci vengono portate dallo stupore dell’incontro, dall’amicizia, e che ci permettono di costruire una casa in cui vive l’ospitalità. Questa è la casa che noi stiamo cercando di costruire grazie a voi, e per questo io volevo ringraziarvi. Bettarini: Ovviamente non c’è nessuna conclusione, se non un’immensa gratitudine per questa amicizia. Penso che il cuore di ciascuno di noi possa trarre la sua conclusione, dove per conclusione si intende il riconoscimento del vero che abbiamo sentito. E più si va avanti, più l’entusiasmo aumenta perché il cuore batte sempre più forte e si aprono sempre più porte. Non si chiude niente.