Damnae

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Alessandro Lastra

Damnae Storia di un giovane che divenne re Romanzo

SocietĂ

Editrice Fiorentina


© 2009 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 fax 055 5532085 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it isbn 978-88-6032-091-9 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata

Il disegno di p. 2 è di Francesca Lombezzi. La cartina alle pagine 236-237 è di Alessandro Lastra. Copertina a cura di Andrea Tasso


2. fanciullo e uomo

Quello era un giorno speciale per Aurelio. Per una volta aveva deciso di svegliarsi tardi, ma il sole brillava ardente in quel mattino di primavera e la sua luce invadeva la stanza dalla finestra di fronte al letto, vanificando ogni tentativo di riaddormentarsi; rassegnato, si alzò a sedere. Il sole stava affacciandosi dagli alberi a Est. Aurelio volle dargli il buongiorno. Un sole nuovo, pensava. Il primo sole di una nuova vita. Aurelio viveva a Pellas, con i genitori e il fratello maggiore. Pellas era un paesino di campagna, sorto su di una bassa collina poco oltre i confini del grande regno. Circondato dai monti a Ovest e a Sud, e dal confine meridionale del Bosco di Pini a Est e a Nord, Pellas era un luogo di periferia, che sopravviveva allo strapotere del regno di Aurelia solo pagando grosse tasse sui commerci e l’agricoltura. Tuttavia, nei confini del paesino, il sole si poteva vedere, poiché Vidda non vi aveva ancora stretto il suo cappio. Aurelio amava Pellas. Gli piaceva la semplice vita da contadino e amava camminare per il villaggio con suo padre e suo fratello. Viveva un’esistenza pacifica e mite, crescendo sotto i consigli e gl’insegnamenti di suo padre. Ascoltandolo, Aurelio aveva imparato a vivere con mitezza e semplicità, ma all’occorrenza non si mostrava povero di coraggio. Quel mattino, dunque, il ragazzo scrutava il sole del tredici luglio, giorno in cui avrebbe compiuto diciassette anni. Da quel momento non era più un fanciullo; si avviava nella strada degli adulti. Anche suo fratello festeggiava in quel giorno il suo compleanno, ma era di un anno più grande. Il sole aveva ormai superato le punte dei grossi abeti quando Aurelio decise di vestirsi per la colazione. Indossò i 9


soliti abiti (una camicia di tela e una giacca di cuoio, con dei pantaloni tenuti su da una cintola spoglia) aggiungendo però gli stivali buoni, per apparire più festante. Scese le scale e percorse il breve corridoio. Entrò nella prima stanza, dove trovò suo fratello, ancora steso a letto. «Ciao, Sebastian» disse il ragazzo, sedendosi sul letto. Sebastian non somigliava affatto ad Aurelio. Aveva i capelli neri, contro quelli biondi dell’altro, e i lineamenti più marcati. Aveva il viso abbronzato, e numerosi peli di barba sul mento. Aprì gli occhi, grigi e lucenti, e diede un affettuoso pugno ad Aurelio. «Stavo facendo un bel sogno…» si lamentò, per poi alzarsi. «Quale sogno può essere migliore di vivere? Oggi è il nostro giorno!» disse Aurelio, eccitato «Non vedo l’ora di vedere i regali!». Era infatti quella l’unica occasione in tutto l’anno nella quale i suoi genitori gli facevano un regalo. «Un vero uomo, quando arriva il suo compleanno, non è né entusiasta, né emozionato. Dovresti essere avvilito per un altro anno passato, uno in meno da vivere» ribatté Sebastian, mettendosi la giacca sul dorso nudo; parlava con una maturità che si era convinto di possedere. Tuttavia anch’egli era, nel suo profondo, molto eccitato per i regali che si aspettava di ricevere. Quando anche Sebastian fu pronto, i due fratelli si avviarono verso la cucina, dove trovarono i genitori ad attenderli. Il babbo, Ismaele, era un uomo alto e affascinante. Il suo fisico asciutto indicava una grande forza, che in gioventù possedeva nella pienezza, ma che si affievoliva con il tempo. Aveva gambe molto lunghe, al punto che spesso era difficile tenere il suo passo, e carnato scuro, come del resto anche Sebastian; aveva il viso rasato, occhi grigi e una chioma indomabile di capelli corvini che ricadevano sulla fronte bassa. Tutti lo consideravano una di quelle persone alle quali si dà fiducia già dalla prima occhiata. Era seduto a capotavola, con le braccia distese ai lati del piatto, e tamburellava sul legno con le lunghe dita affusolate. Hila, la madre, armeggiava ancora con la colazione, ma non appena i ragazzi ebbero preso posto a tavola, si voltò per 10


baciarli e riempir loro i piatti. Era una donna amabile, anche lei non più giovane, ma ancora bellissima. I capelli tra il castano e il rosso le scendevano sulle spalle e gli occhi scuri brillavano quando sorrideva. «Buongiorno, ragazzi» li salutò Ismaele con la sua voce profonda. «Come ti senti nel tuo primo giorno da uomo, Aurelio?». Il ragazzo sorrise. «Eccitato, a dirti la verità… anche perché ancora non è successo niente» dichiarò. Anche Ismaele sorrise. «Giusto; ma ora sedetevi. Dopo che avrete mangiato, vostra madre e io dovremo dirvi una cosa importante». Incuriositi, Aurelio e Sebastian mangiarono velocemente. Quando anche Ismaele ebbe finito, Hila si sedette alla sua destra e lui le prese la mano. «Figli miei» iniziò, «quest’oggi, Aurelio, compi diciassette anni, e vedo che di questo sei molto lieto, ma non devi essere troppo felice di diventare un uomo. È una via che dovrai percorrere con le gioie e con i dolori che vi troverai. Avrai grandi responsabilità, e molte volte ti troverai da solo a svolgere i tuoi doveri. Ma sappi, che in questa vita o in quella che verrà, verrai premiato per tutti i tuoi sforzi, e colmato di onori». «In ogni caso» aggiunse Hila «noi siamo fieri di te. Sei cresciuto con gli ideali più giusti che potevamo insegnarti e sappiamo che la strada che sceglierai sarà quella giusta. Ma mettiamo da parte i doveri, e lasciamo spazio ai piaceri. Sappiate, ragazzi, che la vita di un uomo ha, alle volte, un sapore molto dolce. È come un albero con molti frutti, e molti ti piaceranno, ma ne troverai altrettanti che ti saranno indigesti. Come vi dissi, un tempo sono stato soldato e ho guidato gli eserciti in molte battaglie. Poi conobbi vostra madre e decisi di vivere semplicemente, qui a Pellas. A ogni modo voi siete i miei figli e poiché oggi entrambi valicate un importante traguardo, riceverete lo stesso regalo che ricevetti io da ragazzo». E trasse da sotto il tavolo due lunghi involti di tela. Ne porse uno ad Aurelio e uno a Sebastian. I due ragazzi svol11


sero il panno con delicatezza, finché non ne sfilarono due belle spade, identiche. «Sono spade con il manico a due mani, ma dalla lama di media lunghezza» spiegò Ismaele. «Le migliori al mondo, a parer mio. Le ho fatte fare da Derno, il fabbro, su modello della mia. Come avrete visto, le punte delle spade sono smussate; questo per facilitarne l’uso in allenamento. Con i vostri soldi, ottenuti dal lavoro, pagherete Derno affinché ve le affili, non appena diventerete abili spadaccini». I due ragazzi erano euforici. Sebastian accarezzò lentamente la sua lama, come per farsi conoscere da questa, come si fa coi cani. Aurelio invece stava studiando ogni parte della spada e nel maneggiarla si ferì lievemente. «Ah ah!» intervenne Hila, e con un panno pulì la ferita. «Non voglio che usiate quegli affari in casa». Ismaele dunque si alzò, e andò con i figli nell’ampio cortile dietro la casetta. «Quando iniziamo gli allenamenti, padre?» chiese Sebastian. «Beh, stamattina non c’è molto lavoro da fare; appena avremo finito inizierò a insegnarvi come si combatte». «Mi raccomando, non fatevi male!» urlò Hila dalla finestrella della cucina. Come ogni mattina, i ragazzi si recarono nell’orto vicino e svolsero i lavori quotidiani. Era pieno periodo estivo e il raccolto di quell’annata era particolarmente fiorente. In quei tempi gli agricoltori non erano mai troppo ricchi, ma i soldi che Ismaele racimolava bastavano sempre per mantenere la famiglia. Spesso, come pagamento dell’aiuto che Aurelio e Sebastian gli davano nei campi, Ismaele dava loro dei soldi, e poiché in quel periodo cime e radici erano abbondanti, i due giovani si ritrovavano spesso a riscuotere la loro paga. Dopo aver dato acqua alle piante e tagliato le erbacce, andarono a dar da mangiare agli animali. Avevano solo un maiale, due galline, qualche coniglio, un somaro e un cavallo bellissimo, un sauro di nome Turoldo. Esso era appartenuto a Ismaele in gioventù, ed era stato suo compagno in molte 12


imprese. Quando i soldi erano più che sufficienti e ci si poteva permettere qualche lusso, Ismaele comperava sempre la biada migliore per il suo bel cavallo. Alla fine, giunse il momento tanto agognato e quando non vi fu più nulla da fare, Ismaele portò i suoi figli in uno spiazzo vicino all’orto. Si tolse la giacca, restando a torso nudo. Il sole di quel mattino estivo gli illuminava i muscoli, e anche i due ragazzi si spogliarono di maglie e camice. Ismaele aveva preparato in anticipo la sua spada. Non era l’arma di un re, ma per i due fratelli era sempre stata la più bella. L’avevano già vista in qualche rara occasione, ma ogni volta che i loro occhi si posavano nuovamente su di essa, i due restavano sempre a bocca aperta. Aveva l’elsa rifinita in bronzo e la lama splendente e limpida come uno specchio. «Quand’ero soldato, lunghi anni fa» affermò, «questa spada mi fu donata dopo una grande battaglia. Fu l’elfo Blind a forgiarla appositamente per me, poiché la mia era stata distrutta in combattimento e a suo parere mi ero battuto al pari di un elfo. Come sapete, costoro sono i guerrieri più abili del mondo». Ismaele afferrò dunque l’impugnatura con entrambe le mani e i ragazzi fecero ugualmente. «Questa è una tipica posa difensiva. Appena l’avversario sferra l’attacco alzate la spada e spostate la lama verso destra». Attaccò prima Sebastian, poi Aurelio; i due giovani erano molto emozionati. Ismaele insegnò loro i rudimenti di una forma di scherma molto praticata; le sue mosse consistevano in gran parte nella difesa del corpo, non allontanando mai troppo la lama dallo stesso. Era un ottimo metodo per portare attacco, senza esporsi più del dovuto. «Occorrono tempo e pazienza per padroneggiare questo stile. Esso si rivela utile quando si ha a che fare con un nemico abile; basta attendere che questi esponga un punto debole. Vi serviranno concentrazione e buon occhio per essere forti in quest’arte». Ismaele li attaccò di nuovo un paio di volte per vedere la loro reazione; sferrava i suoi attacchi a sorpresa, per misurare i riflessi dei suoi allievi. Seppe cogliere una singolare abilità in 13


Aurelio, maggiore rispetto a quella di Sebastian; il ragazzo doveva possedere un talento naturale. Il sole si levò alto e Hila cominciò a preparare il pranzo quando Ismaele rientrò. «I ragazzi vogliono sperimentare quanto imparato nella prima lezione» disse, appena entrato. «Li ho lasciati ad allenarsi un po’ da soli; tornerò da loro prima che faccia buio. Tranquilla, non si faranno male» aggiunse, notando l’espressione di sua moglie. «Non è di quello che mi preoccupo» rispose lei. Smise di girare il mestolo nella pentola, si volse seria verso suo marito e gli chiese: «Ismaele, sarà il tempo di rispettare la promessa? Dovremmo dirgli la verità, ormai sta diventando un uomo». Ismaele andò alla finestra e si appoggiò al davanzale, guardando i giovinetti che si allenavano. «È singolarmente bravo con la spada» disse. «Molto più abile di quanto Sebastian sarà mai. Ben presto sarà più abile di me; il sangue dei suoi antenati gli scorre nelle vene, e più il tempo passa più egli assomiglia al Grande Re. È la copia esatta del quadro nel palazzo di Nemerha». Hila lo guardò ancor più seriamente. «Non hai risposto alla mia domanda». Lui si voltò con aria profonda, e la guardò negli occhi. «Che posso dirti? È entrato nella maggiore età appena oggi. Non voglio rovinargli la bellezza di questo giorno. E poi…» prese la mano dell’amata nella sua «non voglio lasciarlo. In questi lunghi anni, molto mi sono affezionato a lui. E se volesse andare a Damnae e reclamare il trono? No, è troppo giovane, lo chiuderebbero nella torre-prigione – o peggio ancora, lo ucciderebbero – se andasse in giro a raccontare di chi è figlio. Vidda ha spie ovunque nel regno, lo sai». «Per questo gli abbiamo proibito di andare nel Bosco di Pini» ribadì Hila. «Ma non ritengo giusto che Aurelio non sappia la verità» e ritirò la mano. «Come ti sentiresti al suo posto?». «Finché ne sarà ignaro, non proverà risentimento». «Lo abbiamo promesso, Ismaele! Hai visto anche tu le lacrime sul viso della regina Disia, diciassette anni fa. In que14


sti tempi molti altri hanno pianto a causa del re. Non capisci che l’unico che può salvare il regno è lui?». «Lo capisco perfettamente, Hila. Solo che…». Ismaele non sopportò lo sguardo perentorio di sua moglie, dunque abbassò gli occhi, con espressione malinconica. Non riusciva ad ammetterlo. Hila gli carezzò dolcemente il mento, ed egli si sforzò di guardarla; non era più rigida e seria, quasi sorrideva. «Hai paura di perderlo» ammise per lui. Ismaele la strinse forte a sé; disperse per un attimo i suoi pensieri, e si lasciò inebriare dal profumo dei capelli di sua moglie. Poco dopo, quando si separarono lei proseguì: «Dovremo dirglielo. Forse non oggi, ma nei prossimi giorni lo faremo, d’accordo?». Lui non rispose. «Ti amo» disse, e poi la baciò.

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indice

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Note e ringraziamenti

Damnae. Storia di un giovane che divenne re 3 9 16 22 28 37 43 51 62 73 86 101 115 126 131 145 155 168 179 185

1. Viva Speranza 2. Fanciullo e uomo 3. Buio nel Bosco di Pini 4. Il re Sole Nero 5. L’agguato di Wilhuff 6. La partenza del principe 7. Il ritorno del monco 8. Nestore 9. Il primo maestro 10. Il re Centauro 11. Maestro Chiron 12. Il Cacciatore 13. Gli Elfi 14. Re e mostri 15. Prigionieri del re 16. Famiglie 17. Consiglio di Guerra 18. Alla Città Cimitero 19. La Cavalcata dei Druidi 20. La battaglia di Damnae


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21. I ricordi di Maew 22. Il Drago e il Grifone 23. Epilogo Appendice


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