Finzione e alterità dell’io: presenze nella scrittura femminile tra XX e XXI secolo

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quaderni aldo palazzeschi

Con forte sensibilità teorica e un’imponente campio­ nario di letture questo libro indaga l’autodiegesi nei romanzi femminili italiani dell’ultimo trentennio, interrogandosi sulle diverse tipologie attraverso le quali l’io si racconta. L’immedesimazione con l’ionarrante, la descrizione della vita degli altri per ritro­ vare all’improvviso la propria in biografie altrui o in personaggi completamente inventati, sono solo al­ cune delle tipologie che consentono a Oleksandra Rekut-Liberatore di seguire figure di donna sul complesso e affascinante terreno che vede in gioco storia e invenzione, verità e autofinzione, estraneità e appartenenza. Fino a spingere l’indagine ai limiti dello sforzo, velleitario e centripeto, della coinciden­ za o dell’allontanamento dall’io. Provando come nel concetto di autofinzione sia incluso il bilanciamen­ to, il dosaggio, la contraddizione – da letteraria di­ venuta metafisica – che porta a riflettere su cosa si­ gnifichi l’essere e il non-essere contemporaneamente se stessi.

Finzione e alterità dell’io: presenze nella scrittura femminile tra XX e XXI secolo

Finzione e alterità dell’io: presenze nella scrittura femminile tra XX e XXI secolo

Oleksandra Rekut-Liberatore si è laureata all’Università «Dragomanov» di Kiev e lì, tra il 2003 e il 2007, ha insegnato Letterature comparate, pubblicando saggi sulla civiltà letteraria del Novecento. Trasferitasi in Italia, ha conseguito la seconda laurea in Filologia moderna all’Università di Firenze. Dal 2007 collabora con la rivista ucraina «Vsesvit» curando la rubrica Seguendo i sentieri sconosciuti della letteratura italiana, sulla quale è uscita recentemente una sua traduzione di San Silvano di Giuseppe Dessí. È attualmente dottoranda in Letteratura e filologia italiana a Firenze. A partire da un forte interesse per l’ermeneutica, le sue ricerche vertono sui registri narratologici e finzionali del testo, con particolare attenzione agli incroci interdisciplinari tra letteratura e fisio-patologia.

Oleksandra Rekut-Liberatore

Oleksandra Rekut-Liberatore

ISBN 978-88-6032-264-7

E 18,00

9 788860 322647

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centro di studi «aldo palazzeschi» Università degli Studi di Firenze Facoltà di Lettere e Filosofia

quaderni aldo palazzeschi nuova serie

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La collana ospita ricerche di area italianistica compiute da allievi della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze, giudicate meritevoli di pubblicazione dal Consiglio Direttivo del Centro di Studi «Aldo Palazzeschi». La Facoltà fiorentina intende in questo modo onorare la memoria e la patria sollecitudine di Aldo Palazzeschi, che l’ha costituita erede del suo patrimonio ed esecutrice della sua volontà.


Oleksandra Rekut-Liberatore

Finzione e alterità dell’io: presenze nella scrittura femminile tra XX e XXI secolo

Società

Editrice Fiorentina


© 2013 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it isbn: 978-88-6032-264-7 issn: 1721-8543 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata In copertina: Litografia di Roberto Barni (per gentile concessione dell’autore)


À la mémoire de Valentine Fesenko, ma première muse littéraire

A Rinaldo, Rainer, Misciutka, uno che si è fatto in tre per me


Innanzitutto voglio esprimere sentimenti di profonda riconoscenza e stima per la professoressa Anna Dolfi che, con la sua attenta e illuminata supervisione, ha seguito, partecipe, il travaglio e il venir alla luce di questo volume, trasformando ogni mio iter critico-letterario in una coinvolgente, appassionata e indimenticabile avventura della mente. E poi un grazie di cuore alla prof. Enza Biagini – che ha immediatamente percepito il carattere prevalentemente teorico e narratologico-formalista della ricerca, sufficiente a giustificare e a comprendere alcune scelte discrezionali e opinabili dei testi analizzati – e alla prof. Ernestina Pellegrini – che, oltre svariati e ricchi consigli personali, ha contribuito vieppiù con le sue pubblicazioni e le numerose iniziative dedicate alla scrittura femminile. Un pensiero grato va alla prof. Maria Carla Papini per i suggerimenti iniziali, al dott. Magherini per il suo aiuto tecnico-professionale nella fase conclusiva del lavoro e ad Aldo Pasquali per l’oculata correzione delle bozze. Non posso qui non ricordare uno stimolante, fruttuoso, seppur breve, incontro con Giulio Mozzi. Da rimarcare, altresì, la gentile disponibilità di alcune scrittrici presenti su queste pagine – in particolar modo Dacia Maraini, Sandra Petrignani, Stefania Nardini e Melania Mazzucco. A Tetiana Riazantseva e ad altri soci corrispondenti dell’Istituto letterario “Scevcenko” dell’Accademia delle Scienze Ucraine e al dipartimento di Teoria e storia della letteratura mondiale dell’Università linguistica di Kiev va una menzione speciale per avermi incoraggiata a intraprendere la scoperta di una terra incognita e vergine qual è il Novecento italiano in Ucraina. Una dedica davvero speciale e la condivisione della gioia di questa monografia va a Valentina Ivanivna che, purtroppo, non è più con me e a Rinaldo che, sperabilmente, ci sarà, per sostenermi, nei prossimi cinquant’anni nella faticosa e finzionale discesa nell’abisso di me stessa. Da ultimo, spassibo anche a Zita e Alia che facevano, fanno e faranno sempre parte di questo mio, come del resto di tutti, inesplorabile e inestricabile “io”.


INDICE

Introduzione 11 Io (non) sono io nel romanzo autobiografico 21 1. Le metamorfosi dell’io nell’Altra verità e in Bagheria (Alda Merini - Dacia Maraini) 2. Esegesi e polisemia della morte 3. Vari affreschi del tempo

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L’io-mittente nel romanzo epistolare 59 1. L’assenza del destinatario in Va’ dove ti porta il cuore e in Come fratello e sorella (Susanna Tamaro - Sandra Petrignani) 2. La famiglia postmoderna tra mutilazioni e perversioni 3. Attorno al discorso epistolare

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Io-femmina come un altro oppure un’autofinzione di genere 99 1. Modi finzionali in Aracoeli e in Barbara (Elsa Morante - Paola Capriolo) 2. Tra corporalità magico-edulcorata e ripugnanza del corpo 3. Labirinti e altri labirinti

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L’io nel tempo o la trasposizione nel romanzo storico 137 1. Il Cinquecento nel Rinascimento Privato e nella Lunga attesa dell’angelo (Maria Bellonci - Melania Mazzucco) 2. Il vagare tra i giorni di febbre e la stanza degli orologi 3. L’epoca e il contesto storico

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Sono una straniera senza esserlo 177 1. Il patto con una straniera in Alonso e i visionari e nella Donna che visse per un sogno (Anna Maria Ortese - Maria Rosa Cutrufelli) 2. I componenti dell’immagine straniera 3. La cosmogonia del reato e della punizione

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Sono un personaggio di un altro libro 211 1. La transfinzione nei Tre cavalieri del Graal e nel Diario di Lo (Laura Mancinelli - Pia Pera) 2. Dall’iper- all’ipotesto 3. Discrasie paratestuali

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L’io-narrante impensabile e non-umano 245 1. Ombrologia e botanica letterarie nella Radura e nello Sguardo dell’ombra (Marisa Madieri - Chicca Gagliardo) 251 2. Antropomorfizzazioni o la profanazione dell’immagine umana 252 3. Bildungsroman tra guru e code 264 Conclusioni 283 Indice dei nomi 289


Introduzione

Per parlare del problema centrale della nostra ricerca abbiamo ritenuto opportuno stabilire sette ragioni con le quali raggiungere tale obiettivo. 1. La prima è meramente geografica, quindi limitata al paese della nostra indagine. Un modo, oseremmo dire, di segnare un territorio letterario e dare dei confini all’altrimenti sterminato mondo della letteratura. 2. La seconda è altrettanto ovvia e potrebbe essere definita temporale. Abbiamo deciso dunque di concentrare, per la più parte, l’attenzione sul periodo che va dagli ultimi decenni del Novecento ai giorni nostri, alla luce dell’insufficienza della critica italiana e straniera sui testi recenti che non rappresentano ancora un canone. 3. La terza ragione potremmo definirla di genere, pur essendo consapevoli che i confini del genre littéraire, oggigiorno, sono sempre meno definibili e più vaghi. Abbiamo scelto di dedicarci esclusivamente alla prosa, escludendo poesia e teatro, e in particolare al romanzo o a forme di scrittura estese. 4. Ci siamo sentiti di privilegiare la narrazione delle scrittrici, non necessariamente destinata a lettori dello stesso sesso (da non confondersi con la letteratura femminista dai risvolti rivendicativi e politici degli anni post ’68). Abbiamo optato per il romanzo femminile onde limitare il campo della nostra osservazione, senza la minima intenzione di sottolinearne la superiorità o la peculiarità, almeno a livello strutturale. Le prime quattro ragioni definiscono bene il materiale dell’analisi. La quinta, sesta e settima, a seguire, sono invece di carattere metodologico, legate alla scelta dell’ottica adatta allo studio del materiale. Queste e simili valutazioni hanno favorito la selezione del­


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l’approccio polimetodologico che vorremmo applicare al nostro lavoro, concentrandoci sul concetto di “io” come sema esistenzialnar­ ratologico-antropologico. Passando al vaglio l’io-narrante, Gérard Genette stabilì per primo la distinzione netta tra le categorie del “modo” e della “voce”, cioè di chi vede (le mode) e di chi parla (la voix). 5. Così, sondando la “voce”, risulta evidente che la narrazione può essere, salvo rare eccezioni, in terza persona (hétérodiégétique) e in prima persona (homodiégétique) oppure via “cinepresa soggettiva o oggettiva” riprendendo i termini di Jost. La scelta di una modalità è in qualche modo ideologica e ha un suo scopo finale diverso. L’ioracconto serve a puntellare il carattere soggettivo e individuale dell’universo descritto nel testo. Una constatazione, questa, che si rivela chiave per la quinta ragione, fondamentale per la scelta dei romanzi. Abbiamo selezionato i cosiddetti io-romanzi, escludendo per motivi di comodità e di funzionalità tutto il resto. 6. Il “modo”, secondo Genette, include due sottocategorie: la intradiégétique (il narratore è il protagonista della storia che sta raccontando) e la extradiégétique (il locutore è il testimone della storia di un altro). Noi abbiamo deciso di sviscerare il modo interdiegetico che rappresenta uno snodo esiziale tra la narrativa, l’ontologia, la psicanalisi e la critica. 7. Soppesando successivamente i romanzi e passando in rassegna la critica che riguarda l’autonarrazione (il raccontare di sé) abbiamo dedotto che questo filone evidenzia l’oscillazione del soggetto narrante tra la creazione verbale dell’immagine autentica del sé e l’impossibilità di realizzarla, altrimenti detta “autofinzione”. Il termine “autofinzione” è stato introdotto da Serge Doubrovsky per indicare la narrazione in prima persona e per definire il progetto per il suo nuovo romanzo Fils (1977). L’obiettivo era di creare fiction, d’événements et de faits strictement réels1 ossia il realismo della soggettività. Secondo Doubrovsky, autofictioner significa avoir confié le langage d’une aventure à l’aventure d’un langage en liberté 2. Nella teoria

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Serge Doubrovsky, Fils, Paris, Gallimard, 2001, Prière d’insérer, p. 10: «“finzionare” raccontando le vere vicende e i fatti della propria vita». Ibidem: «l’avventura libera del linguaggio diversa dall’avventura espressa dal linguaggio».


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della letteratura questo termine è stato consolidato da Gérard Genette nel 1982 nel suo saggio Palimpsestes. La littérature au second degré, dove l’autore definisce la strategia autofinzionale di Proust come «l’invenzione di una vita e una personalità che non sono proprio (non sempre) le sue»3. Nel 1989 Vincent Colonna sostiene una tesi di dottorato intitolata: L’Autofiction. Essai sur la fictionnalisation de soi en littérature e propone la definizione di autofinzione come «l’opera dove l’autore inventa le identità e l’esistenza del personaggio conservando la sua reale identità»4. Il personaggio e il narratore possono quindi avere lo stesso nome dell’autore e usare il pronome “io” e però vivere una vita inventata e immaginata. La finzione non prevede nessuna didascalia o disvelamento per essere intuita. È l’opera stessa che permette di creare un legame referenziale tra il testo e la vita vissuta dello scrittore. Il lettore accetta quella che Coleridge chiama “la sospensione dell’incredulità” – e sa che gli viene raccontata una storia immaginaria, senza per questo ritenere che l’autore dica una menzogna5. Nella teoria di oggi il termine autofinzione occupa un posto dominante tra gli altri che pretendono di avere un significato simile: “automitobiografia” (Luis-Combet), “curriculum vitae” (Butor), “nuova autobiografia” (Robbe-Grillet), “autobiografia di mio padre” (Pachet), “biografia imperfetta” (Magris). Negli lavori teorici di Doubrovsky e Robbe-Grillet si mostrano i prodromi della “narrazione nuova” definita autofinzionale, che appare quasi contemporaneamente, e per combinazione, agli albori delle lotte rivendicative femministe. Qualsiasi autobiografia si trasforma inevitabilmente in autofinzione, alla luce del nesso che pervade il discorso letterario e la realtà6. La raffigurazione retrospettiva della propria esistenza è ingannata dalle particolarità della mémoire. A proposito del legame tra memoria umana e racconto dei fatti, Primo Levi, nei Sommersi e i salvati, nota: «un ricordo troppo spesso evocato, ed 3

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Gérard Genette, Palinsesti. La letteratura al secondo grado, Einaudi, Torino, 1997, p. 303. Vincent Colonna, L’Autofiction. Essai sur la fictionnalisation de soi en littérature, Thèse sous la direction de Gérard Genette, in http://tel:ccsd/cnrs/fr/documents/archives (consultato il 3 marzo 2012). Umberto Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi. Harvard University, Norton Lectures 1992-1993, Milano, Bompiani, 1994, p. 91. Serge Doubrovsky, Parcours critique, Paris, Galilée, 1980, p. 55.


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espresso in forma di racconto, tende a fissarsi in uno stereotipo, in una forma collaudata dall’esperienza, cristallizzata, perfezionata, adorna, che si installa al posto del ricordo greggio e cresce a sue spese»7. Per la necessità di scegliere i fatti, l’autobiografia si trasforma in una sintesi dell’esistere che rappresenta inevitabilmente l’immagine semplificata della vita8. Genette definisce l’io-narrazione una “finta”: «l’io di un Narratore che non è effettivamente nessuno, né l’autore né qualsivoglia d’altri»9. Il limite tra narrazione autobiografica e autofinzionale è molto labile, e la divisione tra storia vera e finzione diviene estremamente difficile perché quasi incontrollata dall’autore, visto che si forma, per la maggior parte, a livello inconscio. Il narrare letterario unisce prevalentemente gli elementi della finzione e della narrazione fattuale. La comprensione di sé si realizza tra la vita reale e quella inventata, e quindi la ricerca della propria identità deve svolgersi fra l’autobiografia e l’autofinzione10. Il piano immaginario si oggettiva, per Lalla Romano, nella matita blu mentre quello della realtà nella rossa, come testimonia il diario in prima stesura delle Parole tra noi leggere11. La fusione tra res facta e res ficta, nell’ambito della New Italian Epic è definita docufiction12. Bisogna però, preliminarmente, stabilire la differenza fra l’autofinzione involontaria (prevalentemente il discorso autobiografico) e l’autofinzione realizzata artatamente (la storia inventata, fictif pur)13. Thierry Laurent rimarca la prevalenza nella letteratura di oggi di testi che usano il patto autofinzionale: l’autore confessa che non ha potuto o

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Primo Levi, I sommersi e i salvati, Torino, Einaudi, 1986, p. 14. Alain Robbe-Grillet, Le Miroir qui revient, Paris, Minuit, 1984, p. 101. Gérard Genette, Figure II. La parola letteraria, Torino, Einaudi, 1972, p. 13. Paul Ricoeur, Sé come un altro, Milano, Jaca Book, 1993, pp. 202-203. Laura Di Nicola, Le parole tra noi leggere di Lalla Romano, in Letteratura italiana. Il secondo Novecento. Le opere dal 1962 ai giorni nostri. Diretta da Alberto Asor Rosa, Torino, Einaudi, 2007, p. 280: «I diari sono per Lalla Romano il luogo della ricerca e della conoscenza di sé e della propria memoria; la scrittrice li legge e li sottolinea con una matita dal doppio colore, blu e rossa, che distingue il piano del pensiero, della contemplazione, del silenzio, dell’immaginario da quello della parola, dell’azione, della realtà». Corso di laurea magistrale Sguardo alle recenti teorie e forme di “finzione” letteraria, tenuto da Enza Biagini, a.a. 2010-2011. Laurent Jenny, L’autofiction, in http://www.xiti.com/xiti.asp?s=93676 (consultato il 4 aprile 2009).


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non ha voluto essere sincero narrando la sua storia14. L’aumento della quantità di pagine finzionali nella letteratura occidentale contemporanea è stata favorita dallo sviluppo degli effetti audio-visivi, dall’apparizione dei giochi interattivi, dei media, delle tecnologie elettroniche e dei viaggi virtuali che imitano il passaggio nel mondo dell’altro, molto diverso dalla vita quotidiana. Intrattenersi e vivere in un mondo narrativo ha la stessa funzione che riveste l’attività ludica15. La possibilità di produrre una finzione collettiva o artistica, chiara, leggibile e comprensibile a tutti, basandosi su vicende personali, dimostra il legame stretto tra l’invenzione e il quotidiano. Quindi il bisogno interiore di “finzionare” non è sempre e solo desiderio di fuggire dalla realtà. Aristotele distingueva la capacità antropologica di imitare e la selezione culturale delle imitazioni più riuscite. Un percorso che ci conduce all’evoluzione della mimèsis (il termine semanticamente più vicino al concetto di “finzione letteraria” rispetto a quello fictio da cui la parola è derivata), alla sua trasformazione e a un aumento costante, come risulta abbondantemente dalla narrazione diventata il canone della letteratura. La versione contraria nega ogni legame tra narrazione e realtà (dimensione orizzontale) definendo la finzione fenomeno autonomo legato solo al rapporto con altri testi e strutture finzionali, secondo il principio verticale (intertestualità). Entrambi gli approcci risultano non contraddittori, perché analizzando la tecnica del narrare autofinzionale, diventa ovvio il suo mimare altre opere, mentre la tematica sovente segue situazioni e modelli della vita reale16. La finzione, a sua volta, è formata dal: 1.) plot; 2.) dall’identità del narratore e 3.) del protagonista17. La prima si realizza con l’invenzione o la trasformazione consapevole degli avvenimenti narrati. Quella dell’identità del narratore o del protagonista ovvero l’autofinzione, che rappresenta l’oggetto principale della nostra ricerca, può essere ad esempio, il racconto di eventi di un tempo non coevo allo scrittore/scrittrice, lo scritto di uno straniero/straniera che personalizza e rende propria una realtà a lui/lei lontana, il narrare maschile (nel caso di un’autrice) o femmi Thierry Laurent, L’oeuvre de Patrick Modiano: une autofiction, Lyon, Presses universitaires de Lyon, 1997, pp. 20-21. 15 Jean Marie Schaeffer, Pourquoi la fiction?, Paris, Seuil, 1999, p. 231. 16 Ivi, p. 261. 17 Laurent Jenny, L’autofiction, cit. 14


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nile (nel caso di un autore), il testo narrato da un animale o da un protagonista intertestuale. Esiste un numero infinito di modi di percepire, auscultare e rendere la realtà che si trasforma in una quantità illimitata di universi finzionali. Ogni fabula è un’illusione diversa a seconda che il racconto sia in prima o in terza persona. John Searle è convinto che la scelta dell’“io”, a differenza del “lui” o “lei”, sia legata alla finzione dell’identità del narratore, pur non negando che anche il narrare del soggetto inventato può essere serio e contenere pensieri validi. Käte Hamburger associa la finzione solo a le je-origine d’une tierce personne e nega la definizione della narrazione in terza persona come “inganno”. Tale invece si può definire l’impostazione in prima persona che cerca di imitare (bleffando) il reale. A questo proposito Jean-Paul Sartre sosteneva: «se devo giocare ad essere cameriere per esserlo, avrei un bel giocare al diplomatico o al marinaio, non lo sarei mai»18. A differenza dell’autofinzione autobiografica involontaria qui siamo davanti a un gioco consapevole di mistificazione della propria identità, al tentativo di accreditare il proprio io come fosse un altro, al rivivere da parte dell’io-narrante una vita che non appartiene all’autore. L’autofinzione, spesso, non è niente altro che l’intenzione di scoprire e focalizzare, compitando, le proprie paure, complessi, speranze o desideri mancati che si possono definire, in questo caso, “autobiografia che non ha avuto luogo”. A proposito del linguaggio adottato dalla narrazione in prima persona, Dorrit Cohn, seguendo il pensiero della Hamburger, osserva acutamente: Contrairement au discours spécifiquement fictionnel qui crée l’esprit d’un “il” ou d’une “elle” imaginaires, le discours d’un “je” imaginaire n’a rien de spécifiquement fictionnel. La seul marque de sa fictionalité est l’étiquette d’identité non référentielle attachée à la personne, à l’esprit et à la voix du locuteur19. Oltracciò, la Cohn disapprova le definizioni parziali del testo letterario come “plus ou moins fictionnel” o “plus ou moins factuel”, affermando la tendenza netta di appartenere a uno dei due registri: la fiction, qu’elle soit à la première ou à la troisième personne, n’est pas une question de degré mais de genre20. Jean-Paul Sartre, L’essere e il nulla. Saggio di ontologia fenomenologica, Milano, Il Saggiatore, 1980, p. 128. 19 Dorrit Cohn, Le propre de la fiction, Paris, Seuil, 2001, p. 56. 20 Ivi, pp. 60-61. 18


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Diversi punti di vista contraddicono il concetto di autofinzione. Uno di questi, nonostante sia precedente all’apparizione del termine in questione, va citato qui se non altro per l’autorità e la fama dell’autore. Proust nel Contre Saint-Beuve ricordava che l’io vero dello scrittore non si svela che nei libri, e che un livre est le produit d’un autre moi que celui que nous manifestons dans nos habitudes, dans la societé21. Philippe Lejeune distingue, oltre “il patto autobiografico” (che richiede il contratto tacito tra l’autore e il lettore sulla verità descritta, e funziona solo per i testi a priori leali e sinceri), “il patto romanzesco” oppure “autofinzionale” (che si caratterizza per i nomi diversi dell’autore e del narratore-personaggio oppure per l’attestazione esplicita della finzione il cui scopo è convincere il lettore a non cercare il nocciolo vero del testo), “il patto referenziale” (che stabilisce il tipo di relazione tra il narratore e il modello dell’autore) e “il patto fantasmatico” (il lettore si convince che la verità resa nel romanzo è superiore alla verità della vita). Quest’ultimo nega, in qualche modo, la teoria dell’autofinzione e si avvicina all’idea di Proust22. La possibilità di arrivare all’io vero attraverso la finzione è confermata anche da Antonio Tabucchi: «a parte il valore che ha la menzogna, volontaria o involontaria che sia. Perché la menzogna ha comunque una certa utilità: serve a definire i confini della verità»23. Altrove l’autofinzione è associata piuttosto al modo di narrare: «Ci sono scrittori che raccontano “dall’esterno”. Altri “dall’interno”, come se ciò che raccontano appartenesse alla loro vita: posseggono cioè un alambicco che riesce a trasformare l’io narrante in io autobiografico, la vita del loro personaggio diventa la loro stessa vita. Si tratta di una linea di demarcazione di due diversi modi di fare letteratura, indipendentemente dalla rispettiva qualità o dal fatto che il protagonista si esprima in prima o terza persona»24. Un’altra negazione dell’autofinzione l’abbiamo esperita da un incontro personale con Dacia Maraini che sostiene di scrivere sempre la verità nei suoi testi autobiografici per il fatto di esserne responsabile davanti gli altri: amici, paren Anna Dolfi, Postfazione, in Giuseppe Dessì, Un pezzo di luna. Note, memoria e immagini della Sardegna, Cagliari, Edizioni della Torre, 2006, p. 263. 22 Philippe Lejeune, Moi aussi, Paris, Seuil, 1986, p. 44. 23 Antonio Tabucchi, Autobiografie altrui. Poetiche a posteriori, Milano, Feltrinelli, 2003, p. 12. 24 Id., La fabbrica delle coscienze, in «Repubblica», 19 ottobre 2010. 21


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ti coinvolti nella sua vita e quindi spesso nei suoi romanzi: «Non sarebbe giusto verso gli altri tradire la realtà, trasformando artatamente i fatti accaduti». Noi personalmente, pur essendo d’accordo, in linea di massima, con la Maraini, constatiamo l’approccio finzionale della scrittrice, almeno nella scelta dello sfondo temporale dei suoi romanzi. Ad esempio, in Bagheria l’azione si svolge in due tempi: talvolta descrive la sua infanzia siciliana e talaltra, post quarantenne, il legame spirituale con la madre scomparsa, sottraendo o quasi dal romanzo, per ragioni personali e in un certo senso autofinzionali, tutto il periodo intermedio. Esaminando tutto un complesso di romanzi femminili italiani in prima persona ci siamo accorti che, a seconda del narratore prescelto, appaiono e si mostrano diverse tipologie di ciò che Tabucchi chiama, con un ossimoro, “autobiografie altrui”, riconoscendo come un punto d’appoggio solo le scritture autobiografiche e di tipo diaristico-epistolare. Le “autobiografie altrui” sono le storie dove l’autore pensa di immedesimarsi con l’io-narrante, ottenendo il risultato che uno dei lettori si riconosca nella storia come se fosse la sua autobiografia. Da qui sono nati i primi due capitoli della nostra ricerca. Però in molti altri testi, abbiamo osservato un fenomeno esattamente contrario a quello descritto; le scrittrici partono consapevolmente dalla descrizione della vita altrui – l’io-narrante è solo artefice d’un discorso che ha la sua sorgente altrove – e scoprono all’improvviso una verità inaspettata che le riguarda e della quale erano ignare, o addirittura si immedesimano con un loro personaggio completamente inventato. La narrazione in prima persona si divide dunque in due tipologie fondamentali: l’io che cerca di coincidere con se stesso rappresentando l’autore, il narratore e il protagonista del testo e l’io che si allontana da sé, quando l’esistenza dell’autore non corrisponde per nulla a quella del narratore. Il primo gruppo si avvicina, almeno di primo acchito, al discorso autobiografico, ma non esclude gli elementi finzionali, mentre la scrittura del secondo tipo tende a essere autofinzione pura, nonostante le verità contenute. Da questa seconda osservazione, considerando anche le diverse tipologie dell’altro, hanno preso vita gli altri cinque itinerari che si addentrano nei microcosmi delle virilizzazioni immaginate, dei lontani antenati e delle estranee geografie, fino all’approdo alla ri-écriture e all’affabulazione fantastica e inaspettata. Il primo e l’ultimo capitolo ov-


introduzione   19

vero il narratore autobiografico e il non-umano rappresentano i due poli, l’alfa e l’omega dell’oscillazione dell’io: da una parte lo sforzo velleitario e centripeto di coincidere e/o avvicinarsi al proprio sé, dall’altro il tentativo centrifugo, frustrato e impossibile, di adoprarsi per allontanarsene. Ma è solo il concetto di autofinzione che contiene già nel suo significato primario e abbastanza intuitivo il bilanciamento, il dosaggio giusto tra essere e non-essere contemporaneamente se stessi.


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