La fragilità degli onesti

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Francesco Lisbona

La fragilitĂ degli onesti Romanzo



Francesco Lisbona

La fragilitĂ degli onesti Romanzo

prefazione di Luigi Fontanella

SocietĂ

Editrice Fiorentina


© 2020 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it facebook account www.facebook.com/sefeditrice twitter account @sefeditrice isbn 978-88-6032-577-8 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata Foto di copertina [Jet Cat Studio]/stock.adobe.com/it (prima di copertina) iStock.com/PhotoPippa; iStock.com/NYstudio (quarta di copertina) Copertina a cura di Studio Grafico Norfini (Firenze)


Dedicato a chi si è perso, e a chi ha saputo restare‌



Prefazione

Questo primo romanzo di Francesco Lisbona, laureando in Medicina presso l’Università di Firenze, racconta la storia psico-sentimentale di un giovane borsista Erasmus che si affaccia alla vita adulta attraverso un’esperienza di vita trascorsa insieme con altri compagni di varia estrazione sociale presso un Istituto religioso fiorentino in cui alloggia. Il giovane, Victor Mailleur, di famiglia francese, si trova a dover interagire con un’umanità un po’ squinternata («una gabbia di matti», dirà Chantal, uno dei personaggi;), in mezzo alla quale convivono persone tra le più disparate (e talora disperate); a cominciare dal direttore (Padre Felice), accanito fumatore, «dalla voce baritonale e rauca» e con personalità idiosincratica, arpagonica, contraddittoria ma anche a suo modo “generosa”, e tanti altri figuranti, taluni paradossali, come Cosimo: un folle abbandonato dalla propria famiglia, che «parla alle colonne», giocatore incallito in borsa; Sonia: una donna che prende a cuore la situazione alienante di Victor e lo aiuta per le varie trafile burocratiche universitarie; Baldovino, cugino di Padre Felice, rimasto – ormai attempato – inesorabilmente inchiodato all’Istituto; Igor: il portiere tuttofare; lo squilibrato Amir; Leopolda: la vecchia portinaia, ecc. Ma poi è soprattutto attraverso la personalità timida, nevrotica e vulnerabile del protagonista (che è anche l’io narrante), che si sviluppa il racconto di Lisbona. E, con lui, emergono gli altri protagonisti legati alla sua vicenda, che poi sono, in pratica, soprattutto le sue compagnie fiorentine: Luca, il suo roommate; il siciliano Leonardo, che diventerà il suo confidente più caro e fedele; e, forse su tutti, Anastasia, una giovanetta dal passato tormentato della quale Victor si in7


vaghisce e attraverso la quale ri-trova (in parte) un sentimento di “consanguineità” e di premurosa amicizia dopo la tragica conclusione della sua prima, fallimentare esperienza amorosa a Parigi con Marilène, suo primo grande amore. Tutto questo raccontato da Francesco Lisbona attraverso un dettato mobile, spesso quasi cinematografico, che connota il suo racconto, fin dalle prime pagine, come un Bildungsroman, cioè un romanzo di formazione, con al centro il microcosmo di questo improbabile Istituto Sant’Acario, con i suoi piccoligrandi drammi, le speranze, le attese, le delusioni di vari giovani, alcuni impegnati a far tesoro di questi loro anni “compressi”, altri destinati per inerzia o perfino letargia a essere assorbiti dall’atmosfera apatica e insieme “protettiva” di questo guscio che li ospita, e che tende a incapsularli dentro di sé. Da qui, una sorta di teatrino schizofrenico, una piccola epopea della catastrofe che però segna anche la crescita psicologica di questi personaggi. Ed è dentro questo palcoscenico un po’ folle che viene a trovarsi il fragile, impacciato, onesto, depresso ma curiosissimo Victor, che vive tra sogno e realtà la sua apatica esperienza giovanile; una monotonia interrotta, appunto, dalla leale amicizia con Leonardo e dal graduale invaghimento del nostro giovane verso Anastasia, sorella della «bellissima biondissima» Viviana, altro personaggio sia pure non principale, coinvolta nella tragica situazione familiare di Anastasia. Ma alla personale routine tediosa di questi collegiali fanno da contrappunto i movimentati stati d’animo, insieme con i ricorrenti sensi di colpa, di Victor, la sua difficoltà di comunicazione e, come sottofondo storico, i terribili sconvolgimenti sociali, a cominciare da quelli sanguinari di Charlie Hebdo, la tragedia del Bataclan, o anche quelli rappresentati da singole figure indimenticabili, come quella di Paolo, la cui tragica vicenda esistenziale viene raccontata a Victor da Leonardo, oppure la piccola Lucia «dagli occhi grandi e verdi»: una bambina malata di cancro, una vera «forza della natura», figlia di Sonia. 8


Insomma, siamo di fronte a un’atmosfera vagamente deamicisiana o neoromantica che ricorda un po’ quella di Giovinezza, Giovinezza…, l’indimenticabile fortunatissimo romanzo di Luigi Preti, ristampato più volte. Il giovane universitario Giulio Govoni, protagonista di quella commovente vicenda – fatte le debite differenze d’epoca – ha non poche affinità con il nostro Victor Mailleur. Il quale – come il tormentato Giulio del romanzo di Preti – si tufferà a capofitto negli studi per riprendersi dai suoi scoramenti esistenziali, dalle sue fobie e frustrazioni, che tuttavia, in ultima analisi, lo faranno crescere quando l’Istituto – morto il suo direttore – andrà fatalmente in declino e ognuno dei suoi residenti, giovani o attempati che siano, prenderà la sua strada, vincendo la propria fragilità e rafforzando il proprio carattere. Romanzo di formazione, ma sicuramente con squarci di notevole tensione emotiva, La fragilità degli onesti è una storia accattivante, scritta da un giovane di sicuro talento, narratore autentico, dal quale mi aspetto prove sempre più avvincenti. Luigi Fontanella Long Island, New York, agosto 2020

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La fragilitĂ degli onesti



Prologo

«Ahimooo… Sei il solito imbecille che non capisce una sega!» sentii urlare dalla stanza del direttore da cui dovevo andare per confermare la camera. Un brivido mi percosse la schiena e cercai di fare in modo che dal mio sguardo scomparisse ogni traccia di disagio. Non mi stupii, però, non troppo per lo meno. Mia madre mi gettò un’occhiata di disappunto, ma il mio sorriso la tranquillizzò: dovevo far sembrare tutto il più normale possibile. Quel posto mi serviva e non sarebbe stato per molto. Pensavo. Dalla stanza uscì un uomo alto e ingobbito che rideva come in preda a convulsioni. Camminava lento e alternava momenti di silenzio a strani fremiti di riso che prendevano forma su un viso allungato e dagli occhi strabuzzati. Mi fermai a guardarlo per un attimo, consapevole che mia madre avrebbe fatto altrettanto: lui, sogghignando, ci fissò. Lo associai subito a Gargamella, il personaggio dei cartoni animati che più di tutti m’inquietava. E lui lo rappresentava benissimo. Pensai fosse un “benvenuto” inaspettato, a tratti inquietante, sicuramente interessante. L’uomo mi guardò con i suoi occhi che gli uscivano dalle orbite e continuò a ridacchiare mentre scendeva le scale per andarsene. Mia madre era sempre più sconvolta, così la tirai verso la porta ed entrammo. Ci trovammo in un ambiente che considerai, molto carinamente, bizzarro. Termine che mi sarei ripetuto molte volte nella testa durante il soggiorno a Sant’Acario. Vi erano, a occhio e croce, più di cento libri, molti a tema religioso, altri che spaziavano dalla scienza alla storia medievale. Di fronte a me un’imponente scrivania era piena di oggetti stravaganti: uccellini che cinguettavano quando percepivano rumori for13


ti, cagnolini con la testa penzolante, statue di tutti gli angeli conosciuti e carte di ogni genere. Alla mia destra, c’era un televisore di almeno cinquanta pollici circondato da svariate sedie allineate a formare un rettangolo, al centro del quale sedeva quello che sapevo essere il direttore della struttura. A una prima occhiata sembrava un severo “nonnino” di periferia, di quelli che se dai troppo fastidio ti sferra un calcio per spedirti su Marte. Col passare del tempo dovetti ricredermi: era molto peggio di quel che si potesse pensare. Dietro di lui, un omino basso e stempiato gli stava massaggiando la testa. Non ci videro subito perché il prete continuò a borbottare qualcosa d’incomprensibile, probabilmente sull’individuo uscito poco prima, mentre l’uomo alle sue spalle era ben concentrato sul suo delicato incarico. I due erano avvolti da un alone di fumo che – non ci volle molto a notarlo – proveniva dalla sigaretta che stava fumando il direttore. La cinquantesima della mattinata, a giudicare dal posacenere. «Salve, chi siete e cosa cercate?» disse appena si rese conto della nostra presenza, aggrottando le sopracciglia e sbuffando. «Buongiorno, padre» risposi, cercando di mantenere un certo contegno e di limitare il mio accento fastidiosamente francese. «Ci ha presentato mio zio qualche giorno fa… Sono qui in Erasmus e mi servirebbe una stanza. Si ricorda?». L’uomo rimase a fissarmi per un lunghissimo istante, la mia domanda doveva averlo colto di sorpresa, tanto quanto il colpo di tosse bronchiale che ruppe il silenzio. Magari mi ero espresso male, magari lui non aveva capito nulla. O entrambe le cose. «Si sente bene?» chiese mia madre, abbastanza sconfortata. «Sto magnificamente, signora. Igor, finisci di non fare niente e prendimi quelle carte!» disse, rivolgendosi all’individuo dietro di lui, che eseguì l’ordine senza batter ciglio. «Ora mi ricordo di te. Mi pare di averti detto che una camera c’era, aspetta che controllo bene, qui c’è un po’ di disordine… Ah, ecco! È la 340, si è liberata da poco ed è una 14


doppia. Il ragazzo che la occupa è napoletano, ed è parecchio simpatico. Non c’è mai. Qui ci sono delle regole precise. Niente tv in camera o elettrodomestici vari. Niente ragazze. Apriamo alle otto del mattino. Gli orari di chiusura, invece, sono le tre di notte per i giorni feriali e mezzanotte per i festivi. Ora vi accompagno a vedere la camera». Non aspettò risposta e non gradiva domande, così evitammo di parlare, anche perché il resto lo conoscevamo abbastanza bene: mio zio da giovane aveva abitato lì ed era stato lui a consigliarmi il posto. Con una serie di movimenti poco agili, accompagnati dall’onnipresenza di Igor, il vecchio prete, la cui vocazione sarebbe stata a noi oscura se non fossimo già a conoscenza del fatto che si trattasse di un ecclesiastico, si accostò a noi e, con la più assoluta disinvoltura, si avviò verso l’ascensore poco distante dal suo studio. Ne premette il pulsante e ne attese l’arrivo, con un po’ di ritardo. Bofonchiò qualcosa su una signora che, invece di fare le pulizie a dovere, bloccava l’ascensore con le sue scope per sapere quando lui arrivasse e lavorare di meno. Non capii bene cosa stesse dicendo né la logica del discorso ma sorrisi, annuendo. Mia madre lo guardò rassegnata. I tre piani, saliti con l’ascensore, parvero trecento. Regnava un silenzio imbarazzante, rotto soltanto da qualche colpo di tosse del prete o dai movimenti nervosi del piede di Igor, che ci scrutava con rigorosa scrupolosità. Capii che gli era stato dato il compito di osservare i nuovi arrivati. Dovevo aver superato la prova, giacché, a tratti, pareva compiaciuto. «Questa è la camera, lì c’è il balconcino e questo è il tuo letto, i bagni sono da quella parte» disse, indicando un luogo imprecisato, «e sono in comune con gli altri ragazzi, idem le docce… Signoraaa!» urlò in modo forsennato. Non avemmo il tempo di capire cosa fosse accaduto che una donna di mezz’età, grassoccia e con un grembiule a fiori viola, comparve sulla porta. «Ma cos’ha da urlare? Non sono ancora diventata sorda! Cos’è successo adesso?» chiese quella, scocciata. 15


«Quando ha pulito questa camera l’ultima volta? Durante la Guerra fredda? C’è polvere sulle scrivanie e sull’armadio e quello scansafatiche di Gustavo non ha aggiustato la lampada dello specchio». Il prete continuò a lungo la ramanzina, mentre puntava il dito sui vari angoli della stanza imprecando contro la scarsa voglia di lavorare della signora e minacciò di mandarla dalle suore, che l’avrebbero fatta inginocchiare sui ceci a ogni negligenza. Lei rimase quasi impassibile e lo congedò con sufficienza: «Ho da lavare i bagni, non faccia sempre le solite scenate, sta invecchiando proprio male!» disse, e si dileguò. Il nervosismo fece arrossire l’anziano direttore, che cercò di calmarsi e poi riprese a spiegare, col suo modo piuttosto meccanico, gli orari e i giorni delle pulizie come se non fosse successo alcunché. La camera, almeno, sembrava carina. Era molto grande, dalle pareti bianche e dal soffitto piuttosto alto, con due scrivanie e altrettanti armadi, librerie di legno e letti, questi posizionati agli estremi della stanza, entrambi dotati solo di materasso e rete: il ragazzo che vi dormiva non c’era evidentemente, come ci era stato detto poco prima. Mi piacque molto e tornai nello studio di padre Felice per firmare il contratto. «Sei sicuro di voler stare qui?» mi chiese mia madre quando il prete ci lasciò soli per discutere. «Possiamo trovare un altro posto, mi sembra un luogo strano. Hai visto come ci ha guardato il portiere all’ingresso? Sembrava non sapere nemmeno dove si trovasse. Per non parlare del resto…». Alludeva chiaramente agli strani individui seduti in portineria e all’atteggiamento del prete. Aveva ragione, specie sul portiere che sembrava davvero spiritato, ma non avevo alternative. «Lo so, mamma, ma è solo un appoggio per ambientarmi. Abbiamo saputo della mia partenza dall’oggi al domani ed è già stata una fortuna l’aver trovato questo posto. Mi hanno detto che non è semplice essere presi, hanno molte richieste» 16


spiegai, e non mentivo. «E poi la camera è carina e il coinquilino a quanto pare non c’è mai. È perfetto per me che amo la solitudine… Mi troverò magnificamente, dovrò solo evitare le altre persone del posto e sopravvivrò». Cercai di sdrammatizzare, e conclusi accarezzandole il viso e abbracciandola. Lei mi guardò poco convinta ma l’avevo ormai rassicurata, così firmammo i documenti. Quel lontano 25 novembre 2014 iniziò la mia esperienza universitaria e la mia “nuova vita” all’istituto Sant’Acario.

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Indice

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Prefazione di Luigi Fontanella

La fragilità degli onesti

13 Prologo 18

Primi incontri

23

Il signor Baldovino e il vecchio studente fuori corso

27

L’uomo delle colonne

32

I fantasmi di Anastasia

37

La signora Leopolda

44

L’albero e le foglie

48

I ricordi dentro gli occhi

54

L’educazione di Leonardo

62

La festa dei saluti

69

Hai mai visto un uomo felice?

75

Le mani sul cuore

80

I fiori del diavolo

88

Tutto quello che resta

94

Dove la vita finisce

98

Ritorno alle origini

106

I profumi di Parigi


110

Le menti fragili dei figli della magia bianca

116

L’occhio dello specchio

123

Gli ultimi fiori

129

Il giudizio dell’innocente

135

Le spoglie di chi resta

143

La fragilità degli onesti

149

L’ultimo ritratto

155

Ringraziamenti


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