Oltre la consuetudine. Studi su Gian Pietro Lucini

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Manuela Manfredini

Oltre la consuetudine Manuela Manfredini

un poeta minimo ed oscurato dalle effemeridi effervescenti, reclamate e poco stabili d’Italia nostra e modernissima; un poeta orgoglioso, certo non intonato al coro delle voci rigovernate, ingentilite e direttrici, mal notato per indisciplinatezza anche sui registri delle regie questure del regno, che torna a rappresentarsi anomalo e deciso a rimanerlo. Egli […] vi assicura che difficilmente potrà rimettersi nel gregge; anzi è più deliberato a combatterlo sopra qualunque prateria lo veda a brucare, […] perché si pregia di aver oltrepassato la consuetudine». Oltrepassare, sorpassare, andare oltre la consuetudine: questo il programma poetico che Gian Pietro Lucini lancia dalle pagine del Verso Libero contro tutte le Accademie e contro il principio di autorità «delle leggi, delli altari, delle caserme, delle grammatiche, della prosodia»; un programma che, come testimoniano i saggi raccolti in questo volume, trova applicazione nelle sue opere su diversi piani (metrico, linguistico, tematico). Alieno dalla tabula rasa dei valori del passato, propugnata dal Futurismo e dal suo cantore Marinetti, Lucini procede lungo le vie dell’estenuazione interna dei generi e degli istituti letterari, dello straniamento e del paradosso, per denunciare l’assunzione acritica delle idee dominanti e per proporre una visione decentrata, emarginata ma libera e violentemente critica.

Studi su Gian Pietro Lucini

Manuela Manfredini insegna Linguistica italiana presso l’Università degli Studi di Genova. Suoi saggi sono usciti in volumi e riviste, tra cui «Studi di lessicografia italiana», «Stilistica e metrica italiana», «Studi linguistici italiani», «La rassegna della letteratura italiana», «La modernità letteraria», «Istmi», «Resine». Su Lucini, oltre agli studi qui raccolti, ha pubblicato l’edizione critica e commentata del Libro delle Figurazioni Ideali (Roma, Salerno Editrice, 2005) e ha curato, con Pier Luigi Ferro, il fascicolo quadruplo di «Resine» dal titolo Nei Giardini del Melibeo. Gian Pietro Lucini cento anni dopo (2014).

€ 14,00

Oltre la consuetudine. Studi su Gian Pietro Lucini

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Manuela Manfredini

Oltre la consuetudine Studi su Gian Pietro Lucini

SocietĂ

Editrice Fiorentina


Volume pubblicato con un contributo dell’Università degli Studi di Genova (PRA 2012)

© 2014 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it isbn: 978-88-6032-317-0 issn: 2035-4363 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata


Indice

vii

3

Premessa Oltre la consuetudine: prolegomena alla poesia di Gian Pietro Lucini

19 ÂŤIn giusti versi tradizionaliÂť. Note metriche e prosodiche sui sonetti del Libro delle Figurazioni Ideali (1894)

55

Sulla lingua del Libro delle Figurazioni Ideali (1894)

89

Da Varazze per Messina revulsa. Il Carme di Angoscia e di Speranza (1909)

115

Lucini e Marinetti al vaglio della cronologia

131

Carte luciniane ritrovate: la Seconda Prefazione alla Piccola Kelidonio (seguita da Gian Pietro Lucini, Osservazione importante del Traduttore)

145 Indice dei nomi



Premessa

Foggiarsi al tempo è ripiego d’ingegno: contrastarlo e vincerlo è azione di genio Gian Pietro Lucini, Le Nottole ed i Vasi

Il rapporto con la tradizione e il superamento del passato sono temi che impegnano Gian Pietro Lucini per tutta la vita. Dalla affermazione che Vincenzo A. Aloysio consegna alle pagine del settimanale repubblicano di Napoli «Il 1799», in cui scrive che «l’opera del Lucini sorpassa la consuetudine, e, se non si sorpassa la consuetudine, il giorno dell’applauso non può essere segnato oggi nella memoria»1, Lucini trae quella che presto diventerà una parola chiave della sua poetica. Ben diversa dalla tradizione, che l’arte e la riflessione devono osservare e conservare affinché divengano capaci di “antivedere”, la consuetudine incarna la tirannia del già fatto, l’inerzia delle idee acquisite e dei gusti del pubblico, la forza conformista che obnubila lo spirito critico e induce a guardare con sospetto, quando non apertamente a rifiutare, ogni tentativo nuovo. Delle numerose occorrenze luciniane della parola, puntualmente rinvenute da Edoardo Sanguineti nei Mani gloriosi di Giosuè Carducci (1907), nel Verso Libero (1908), nelle Revolverate (1909), nelle recensioni scritte nel 1909 per la «Giovane Italia» di Umberto Notari, nella Solita Canzone del Melibeo (1910), nell’Ora Topica di Carlo Dossi (1911), nei Filosofi ultimi (1913) e nell’Antimilitarismo2, le più significative compaiono, non a caso, nel fondamentale volume del Verso Libero, un’opera di critica in cui la ricomposizione della propria vicenda intellettuale ed artistica avviene sotto lo sguardo retrospettivo del

Vincenzo A. Aloysio, Poeti repubblicani, «Il 1799», Napoli, 28-29 marzo 1903. Cfr. Gian Pietro Lucini, Revolverate e Nuove Revolverate, a cura di Edoardo Sanguineti, Torino, Einaudi, 1975, pp. 154-155, nota 159. Un’ulteriore occorrenza nella recensione al libro di Epaminonda Provaglio, Le fate in automobile (Roma, Carra & C., 1908): «Ai bimbi delli Italiani conviene la consuetudine» (Gian Pietro Lucini, Libri e cose scritte, a cura di Glauco Viazzi, Napoli, Guida, 1971, pp. 99-101, a p. 100). 1 2


viii    studi su gian pietro lucini

poeta che, «giunto ad un alto grado di integrazione e di coscienza», sente «il bisogno di riguardarsi indietro e di considerare donde sia venuto»3: È un poeta minimo ed oscurato dalle effemeridi effervescenti, reclamate e poco stabili d’Italia nostra e modernissima; un poeta orgoglioso, certo non intonato al coro delle voci rigovernate, ingentilite e direttrici, mal notato per indisciplinatezza anche sui registri delle regie questure del regno, che torna a rappresentarsi anomalo e deciso a rimanerlo. Egli vi si confida con tutta sincerità e non vi domanda che gli crediate: egli crede utile, come un uomo di governo ed un diplomatico, che sappiate il suo programma e conosciate quanto ha fatto nelle sue spedizioni: racconta una storia e non saprà resistere alla polemica, per quanto abbia imparato da Didimo, che i duelli di penna s’hanno a chiamare eunucomachie: ma vi assicura che difficilmente potrà rimettersi nel gregge; anzi è più deliberato a combatterlo sopra qualunque prateria lo veda a brucare, colle malve e le verze selvatiche, anche i fiori, perché si pregia di aver oltrepassato la consuetudine4.

Dunque, superare, oltrepassare la consuetudine: questo l’esplicito programma poetico lanciato da Lucini contro tutte le Accademie e contro i pedanti ligi al principio di autorità «delle leggi, delli altari, delle caserme, delle grammatiche, della prosodia; di tutto ciò che limita, impaccia, rende sterile e deforma»5. Aver saputo interrompere, essere andati oltre la consuetudine diviene un giudizio di valore fondamentale per la critica luciniana, un merito di cui potranno fregiarsi ad esempio, per ragioni diverse, Carlo Dossi, Giovanni Faldella, Umberto Notari, ma non Filippo Tommaso Marinetti, con il quale Lucini ingaggerà una polemica endemica incentrata sul rifiuto della tabula rasa dei valori del passato proclamata dai futuristi e dal loro cantore. Se infatti Lucini non può che condividere l’aggressione futurista all’Italia giolittiana, non può invece aderire alla distruzione di musei e biblioteche, come scriverà senza mezzi termini a Marinetti il 4 febbraio 1909, proprio negli stessi giorni in cui il Manifesto del Futurismo iniziava a comparire sui giornali italiani: Volete distruggere? Distruggiamo: e prima d’ogni altra cose le menzogne, le sciocchezze inutili, le chiesuole, i cenacoli, li ignobili lupanari delle lettere, delle arti, della vita […]; ma i Musei, le Gallerie, le Biblioteche, i Monumenti grandi del nostro passato, rispettali, sai perché ci irritano, perché muovono l’ira nostra, perché vorremmo distruggerli? Perché noi abbiamo vergogna d’essere così infimi e vili quando ci mettiamo in diretto contatto con quei colossi del pensiero, della dignità estetica, del coraggio civile, dell’amore di patria. È inutile: in ciascuno di noi sonnecchia e demenzia il nascosto Erostrato. […] Qui il Manifesto delira come un Yankee ubriaco di whisky e malato di fegato; ragiona similmente come un irresponsabile. […] Tu sai quanto io sia contro la consuetudine; ma se vuoi fare il nuovissimo accetta il Diluvio universale senz’arca di Noè, senza futuro, come proponeva Ibsen al suo amico oratore rivoluzionario. Se vuoi vivere bisogna che tu conceda la memo3 Gian Pietro Lucini, Il Verso Libero. Proposta [frontespizio: Ragion poetica e programma del Verso Libero. Grammatica, Ricordi e Confidenze per servire alla Storia delle Lettere contemporanee], Milano, Edizioni di «Poesia», 1908; ora in rist. an. a cura di Pier Luigi Ferro, Novara, Interlinea, 2008, p. 19. 4 Ivi, p. 47. 5 Ivi, p. 26.


premessa   ix ria al passato che è il modo per cui esso vive nel presente: ciò che è tuo obbligo, è fare diversamente, sorpassare il passato, cioè creare e trovare altri valori, etici, estetici e sociali6.

Agli occhi di Lucini, la furia iconoclasta sbandierata dai futuristi non è altro che ansia di affermare presto una nuova accademia e il suo esecrabile esito sarà quello di mandare il «fondaccio borghese», senza opinioni, senza carattere e senza idee, con «mani e piedi e cervello legati e fasciati, tra le braccia di D’Annunzio»7. Così, come ha scritto Edoardo Sanguineti, dopo aver “attraversato” il Pescarese, con tutte le difficoltà e le tensioni irrisolte che l’attraversamento di un contemporaneo comporta, a Lucini toccherà anche “sorpassare” Marinetti, «trovandosi come costretto, non soltanto a “sorpassare la consuetudine” di ogni arcaismo premoderno, ma le varie consuetudini nuove che venivano emergendo e manierandosi, in quel paio di decenni tra il ’94 e il ’14, che lo vedono costretto ad armarsi, con difficilissima strategia, contro le culture dominanti, ad un tempo, del secolo che muore e del secolo che nasce»8. Sempre attento a cogliere i fermenti di insofferenza e di innovazione che la cultura di fine Ottocento e inizio Novecento andava esprimendo, Lucini ha saputo mantenere una posizione autonoma e indipendente da scuole e conventicole letterarie, pagando a caro prezzo il suo individualismo anarchico9: Purché riesca la mia arguzia, purché esploda la mia bestemia, purché schiaffeggi la mia ingiuria, non mi importa se intorno mi faccio largo di silenzio, di malagrazia, di irriverenza, di disconoscenza. Pessimo carattere, ne convengo: fossi meno intrattabile e più raccomandabile e più compiacente! Intanto le mie cose giacciono e si ammonticchiano, inedite, nei cassetti; non vi invecchiano, perché dice alcuno che ho sorpassato la consuetudine10.

Insomma, un «selvaggio testardo sui generis»11 che ha scelto per sé e per le sue varie incarnazioni (il pastore Melibeo, il modernissimo Giovenale in marsina, l’erudito Filippo Maria D’Arca Santa) di battere le vie dell’estenuazione interna dei generi e degli istituti letterari, dello straniamento e del paradosso, per denunciare l’assunzione acritica delle idee dominanti e per proporre una visione decentrata, emarginata ma alla fine libera e violentemente critica. * Gli studi qui raccolti sono stati pubblicati tra il 2003 e il 2014 e vengono ora riproposti in occasione del centenario della morte di Gian Pietro Lucini. 6 Lettera di Lucini a Marinetti del 4 febbraio 1909; si cita da Gian Pietro Lucini, Prose e canzoni amare, a cura di Isabella Ghidetti, Firenze, Vallecchi, 1971, pp. 450-458, a p. 452 e pp. 457-458. 7 Ivi, p. 456. 8 Edoardo Sanguineti, Introduzione a Gian Pietro Lucini, D’Annunzio al vaglio dell’Humorismo, a cura di Edoardo Sanguineti, Genova, Costa & Nolan, 1989, pp. v-xi, a pp. vi-vii. 9 Cfr. Gian Pietro Lucini, Autobiografia, in Prose e canzoni amare, cit., pp. 85-120, a p. 110. 10 Gian Pietro Lucini, recensione a Luigi Bellini, Di contro al sole (Roma, Carra & C.), in Libri e cose scritte, cit., pp. 155-158, a pp. 156-157. 11 Ivi, p. 156.


x    studi su gian pietro lucini

In modi diversi e con diverse impostazioni, testimoniano come il superamento della consuetudine si sia concretamente realizzato in determinati momenti della produzione luciniana. Alcuni di questi lavori presentano con minimi ritocchi la versione uscita su rivista, ed è il caso dei saggi dedicati alla metrica e alla lingua del Libro delle Figurazioni Ideali, altri invece sono stati oggetto di interventi di integrazione, completamento e revisione che li rendono differenti rispetto alle prime versioni. In apertura ho posto l’ultimo saggio uscito in ordine di tempo, pubblicato, con il titolo Oltre la consuetudine: un’introduzione alla poesia di Gian Pietro Lucini, nel fascicolo quadruplo di «Resine», intitolato Nei giardini del Melibeo. Gian Pietro Lucini cento anni dopo (137-140, luglio 2013-giugno 2014, pp. 3347), curato da Pier Luigi Ferro e da me. Qui il lettore trova anticipati e inseriti nel quadro complessivo dell’opera luciniana molti dei temi che i capitoli successivi indagano e trattano in maniera specifica: gli aspetti formali, metrici e linguistici della poesia di Lucini, la vicenda a suo modo eccezionale del Carme di Angoscia e di Speranza, il sodalizio con Filippo Tommaso Marinetti – primo passo di un più ampio progetto su Lucini che comprende la pubblicazione del carteggio con Marinetti e l’edizione commentata delle Revolverate – la prosa pseudoalessandrina della Piccola Kelidonio. Il secondo e il terzo studio sono strettamente collegati all’edizione critica e commentata del Libro delle Figurazioni Ideali, da me curata nel 2005 per Salerno Editrice, e ne completano il percorso di analisi con particolare attenzione ai fatti prosodici, metrici e linguistici: il secondo, con il titolo «In giusti versi tradizionali»: i sonetti del Libro delle Figurazioni Ideali di Gian Pietro Lucini, è stato accolto su «Stilistica e Metrica Italiana», iii, 2003, pp. 219-263 [© Fondazione Ezio Franceschini onlus, sismel – Edizioni del Galluzzo e Gruppo Padovano di Stilistica]; il terzo, con il titolo Sulla lingua del Libro delle Figurazioni Ideali di Gian Pietro Lucini, è apparso in «Studi linguistici italiani», 2, 2008, pp. 175-212. Il quarto studio riprende con integrazioni e revisioni il testo dal titolo Da Varazze per Messina revulsa. Il Carme di Angoscia e di Speranza di Gian Pietro Lucini, pubblicato su «Resine», 113-114, luglio-dicembre 2007, alle pp. 27-47. Il quinto, Lucini e Marinetti al vaglio della cronologia, propone in una versione completamente rivista e accresciuta il testo compreso nel volume Prima e dopo il 1909. Riflessioni sul futurismo, a cura di Leo Lecci e Manuela Manfredini (Roma, Aracne, 2014, pp. 27-43). In forma ridotta e in traduzione ungherese, i contenuti di questo lavoro sono stati pubblicati, con il titolo Lucini és Marinetti: a futurizmus születésétol a libiai háborúig, in «Helikon. Revue de Littérature générale et comparée de l’Institut d’Études Littéraires de l’Academie Hongroise des Sciences», 3, 2010, pp. 360-369; sulla Rete è possibile reperirne, all’indirizzo http://itadokt.hu, la versione italiana, Lucini e Marinetti: dalla nascita del Futurismo alla guerra di Libia. Il sesto e ultimo studio è stato rivisto e ampliato rispetto alla prima uscita


premessa   xi

su «La Modernità Letteraria», 4, 2011, pp. 149-158, con il titolo La Seconda Prefazione alla Piccola Kelidonio di Gian Pietro Lucini. Le immagini che corredano il volume provengono dall’Archivio Lucini della Biblioteca Comunale di Como che ne ha gentilmente autorizzato la riproduzione. A oltre quarant’anni dalla provocatoria proposta antologica di Edoardo Sanguineti di comprendere Gian Pietro Lucini entro il “Parnaso italiano”, tale il titolo della collana di Einaudi presso cui uscì l’antologia Poesia del Novecento (1969), Lucini non può più essere considerato un “caso”. Se gli studiosi che si sono occupati di lui a partire dagli anni Settanta hanno incontrato oggettive difficoltà nella consultazione delle carte luciniane, da alcuni anni, il completamento del regesto dell’Archivio Lucini della Biblioteca Comunale di Como, compilato da Magda Noseda e la disponibilità della responsabile scientifica della Biblioteca, Chiara Milani, consentono studi prima impensabili. Dall’impressionante numero delle carte d’archivio, appare evidente come Lucini fosse al centro di una rete fittissima di rapporti personali e letterari e rappresentasse un vero e proprio crocevia delle vicende più avanzate della nostra letteratura tra fine Ottocento e primo Novecento. Se, nonostante i lavori di Edoardo Sanguineti, Fausto Curi, Glauco Viazzi e dei “luciniani” che ne hanno seguito le orme, l’ora topica di Gian Pietro Lucini non è ancora scoccata, l’auspicio è che, quest’occasione centenaria, favorita dalle mutate condizioni materiali degli studi, inauguri una fase di duratura “attenzione a Lucini” che rimetta in discussione il canone consolidato del primo Novecento e faccia di Lucini, finalmente, “un poeta da museo”. Nel licenziare queste pagine, il ricordo commosso del magistero di Edoardo Sanguineti si accompagna alla memoria non cancellabile delle sue lezioni su Gian Pietro Lucini. Sono molto grata a Franco Contorbia, per i suoi consigli e per aver favorito la felice collaborazione con la Società Editrice Fiorentina, e a Jacqueline Visconti, per il suo amichevole e generoso contributo. Ringrazio vivamente Pier Luigi Ferro per i suoi suggerimenti, gli scambi e le occasioni luciniane che abbiamo condiviso. Infine la mia affettuosa riconoscenza va a Chiara Milani per la sua collaborazione e a Roberto per il confronto e il sostegno. Dedico questo volume a mia madre, Rita.


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