Correvano con i caprioli

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Giovanni Manuelli

CORREVANO CON I CAPRIOLI Tredici storie “facili”



Giovanni Manuelli

Correvano con i caprioli Tredici storie “facili”

prefazione di Gianni A. Papini

Società

Editrice Fiorentina


© 2022 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it facebook account www.facebook.com/sefeditrice twitter account @sefeditrice instagram account @sef_editrice isbn 978-88-6032-654-6 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata Progetto editoriale a cura di Giorgio Torricelli


Seduti sul tramonto Siamo seduti sul tramonto, presi entrambi nel flusso di battigia, e nel riflusso, che fatalmente si incontrano. Increspature del tempo, che ora come allora ci appare eterno, e forse lo sarà fintantoché la luna bagnerà le acque di quel mare interno che ancora ci appartiene. Nulla sappiamo della sorte. Se l’onda di marea trascinerà al largo quel che resta di noi, quando apparirà, alta sulle acque, la montagna del Purgatorio, e conteremo i passi della salita. G.M. a.D. 2020

A mia moglie Tina



PRELUDIO

Non inganni il lettore quell’aggettivo civettuolo che qualifica questi racconti come facili, quasi esercizi per chi principia a sonare uno strumento musicale. “Facili” s’intenda perché facilmente comunicativi, ma, aggiungo io, ad un alto grado di risoluzione artistica. Né ciò potrà stupire chi già conosca la produzione poetica di Giovanni Manuelli così estrosa, raffinata, elegante; e non già per instaurare confronti interdetti da ragioni estetiche e di genere letterario bensì per accorgersi della presenza nell’autore di una sicura coscienza e conoscenza della “ars scribendi”. Questi racconti sono scritti con penna leggera, con eleganza stilistica, con un lessico puntuale e variato, che va dal descrittivo all’emotivo, dal cotidiano al tecnico: tutto ciò rende la lettura attraente e piacevole (vorrei aggiungere anche istruttiva, se non temessi di apparire fuori moda!). Di questa veste seducente (chi scrive vuol sempre sedurre!) si ammanta la realtà e l’immaginazione giovanile dell’autore. Sono appunto quadri di giovinezza questi racconti, ma senza languide malinconie né laudazioni del tempo che fu, se non, ogni tanto, qualche memoria trasfigurata in emblema: non acquiescenza, insomma, ma, direi, stimoli e spiriti vitalistici. Città e campagne, monti e valli, cielo e mare, sole e nubilo e neve e così andando. E ancora gli studi, gli svaghi, le dame i cavalieri gli amori (le armi no!), le rose e le ciliegie di maggio, le castagne e il vino d’autunno! Oh il dolce paese di Toscana, laddove è più consolato e consolante, in Valdarno (fra i poggi del Chianti e il Pratomagno); e le opere d’arte che ridono qua e là per tutta Italia (l’au7


tore è nel suo campo), con le città del sogno, Firenze, Venezia, Bologna... E così via con tanti altri odeporici rigiri, ma non distrattivi anzi, di solito succosi, animati e animosi. Ma io mi fermo a Bologna, la dolce e a me cara Bologna. Qui c’è Marco che gironzola per aspettare l’ora di cena (è il racconto che si intitola Nebbia). Che Marco sia l’alter ego o la controfigura di Gion (il protagonista, come in un diario, e ovviamente autore) ingaggiata per una maggiore pudica libertà, io lo credo, ma ciò poco importa. In questi racconti i personaggi sono tanti, ma visti tutti con un solo occhio, omologati con fantasia e arte dall’autore-attore. Comunque sia... era troppo presto per andare al ristorante. E allora a Marco «venne l’impulso di rivedere in Santa Maria della Vita... “Il compianto del Cristo morto”, uno dei gruppi scultorei più interessanti del rinascimento, sicuramente il più strano e misterioso, come l’autore», che fu Niccolò dell’Arca. Marco si ferma, e guarda a lungo, ad uno ad uno, quei personaggi che racchiudono, in una bellezza straziante e divina, tutta l’umana sofferenza. D’un tratto sente una voce femminile “provenire dall’ombra” (realtà e simbolo si articolano qui come altrove in questi racconti in maniera saggiamente mescidata). Dice dunque quella donna: «La Maddalena. Mi sono sempre chiesta come sia possibile rinchiudere nella stessa figura tanta sensualità e tanta sofferenza». Non è questo l’eterno abbracciamento di amore e morte? non è questa la chiave ermeneutica di questa e di tant’altre narrazioni della raccolta? Dice qui l’autore: «due persone che si trovano per caso una sera di nebbia in Santa Maria della Vita, a cercare di dare un senso al dolore, o a cercare il segreto di una passione nascosta». Il racconto continua per chiudere il cerchio dialettico, ma io mi fermo qui (non senza una certa emozione). Il lettore andrà avanti da sé, e troverà, a mio avviso, il senso autentico di questo e degli altri racconti (con le loro variazioni e distinzioni), e ne apprezzerà i pensieri e lo stile. Io penso che l’animo suo ne sarà arricchito. Gianni A. Papini 8


Correvano con i caprioli Tredici storie “facili”



TREDICESIMA STORIA

La Banshee1

Gion si era seduto sul lato più fresco della terrazza d’angolo, quello rivolto a nord-est, immerso in una interminabile sera di giugno che trascolorava così impercettibilmente da sembrare sospesa nello spazio e nel tempo. Ascoltava, attraverso la finestra socchiusa, i movimenti leggeri di Tin nella casa in penombra e aspettava che si levasse il primo soffio di brezza. La giornata si era dipanata nell’afa, esasperante, piena di quei piccoli e stupidi contrattempi che sembrano giocattoli rotti buttati sul pavimento da un bambino dispettoso. Si sentiva stanco e confuso, ma con il calare della sera si avvicinava la sua ora, il momento giusto, quando il blu annega il cielo del nord e le montagne si colorano d’indaco. Il suo sguardo era attirato dallo spazio tra due grandi cipressi. Di là si intravedeva il Pratomagno, e di là sarebbe arrivato il vento. Lasciò liberi i suoi pensieri di muoversi come passeri che rientrano a casa tra le foglie, e lo chiamò. Ne conosceva il nome, era un piccolo vento senza importanza, nato alla montagna, fresco d’abeti, che portava il ricordo di acque nascoste. Ma quella sera il vento non si decideva a venire, invece gli sembrò di vedere una figura femminile, quasi la donna di un quadro impressionista, disegnata dalle ombre che si avvicinavano insinuandosi tra i cespugli del giardino, sinuose come donnole. Era un viso dai contorni indefiniti, 1

Banshee: fata, letteralmente donna delle fate, dal gaelico bean, donna e sidhe, che deriva a sua volta da sith (fata). Nel nostro caso non si tratta propriamente di una fata ma di un’entità molto più complessa.

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sfumati… poi lentamente i lineamenti di quel volto si precisarono, emergendo come pennellate d’ombra dall’ombra. La Banshee apparve: un’immagine ultraterrena, con la pelle celeste pallido di grana finissima e i lunghi capelli di un nero profondissimo, con ciocche azzurro carico, che fluttuavano nell’aria. La sua bellezza era così perfetta che Gion non riusciva a contenerla nella sua mente e temette di perdere il senno. Distolse lo sguardo, cercò di alzarsi e di rientrare in casa, al sicuro, nella luce calda del suo appartamento, circondato dalle cose che amava, protetto da Tin. Ma non riuscì a muoversi, come se il legame tra la mente e il corpo fosse stato tagliato con un colpo di forbice. La Banshee, muovendosi con grazia aliena, si sedette sulle sue ginocchia e lo guardò negli occhi. Erano occhi scuri come pozzi di tenebra e cambiavano colore ogni volta che lui cercava di sfuggire al suo sguardo. Gion non era certo un vigliacco ma quando sentì la sua carezza sulla guancia, così simile al vento della sera, provò una stretta al cuore. Gli tornò in mente l’antica leggenda irlandese, letta non ricordava dove e quando, che nessun uomo vivente aveva mai potuto raccontare la bellezza di una Banshee. Lo prese uno sgomento profondo, un timore languoroso, indefinibile, che gli attanagliava la mente. Pensò che forse era la sua anima che si dissolveva per uscire da lui e congiungersi con quella bellezza che sembrava l’archetipo stesso della bellezza, “ma questo significava anche… no, non voleva pensarci”. Il viso della Banshee si avvicinò a quello di Gion e lui sentì il suo profumo di gelsomino, corposo, intenso, che gli annebbiava i pensieri… “Doveva assolutamente resistere… doveva staccarsi”. A questo punto va detto che Gion, negli anni della sua breve o lunga vita, straordinaria o banale a seconda del punto di vista o del punto di fuga prospettico da cui la si potrebbe osservare, aveva sviluppato una facoltà insolita… Fatto sta che, senza esserne del tutto consapevole, piegò un suo braccio immaginario e premette l’invisibile bottone 12


rosso che, in quel momento, pensava di avere dietro l’orecchio destro. Così entrò di colpo in assetto automatico super-razionale e cominciò a considerare la situazione con distacco spassionato. «Una moneta d’oro per i tuoi pensieri», disse la Banshee. “Come inizio mi sembra un po’ banale”, «Pensi che valgano così poco, nonostante l’impennata in borsa del prezzo dell’oro?». «No, ma sai, i pensieri hanno un valore variabile, dipendono dal contesto, e anche da chi ascolta». Le labbra viola della Banshee si incurvarono in uno strano sorriso. «Penso che se sei venuta a cercarmi, ci sia un motivo…», “bene Gion, così, diritto al punto”. «Non direi… metti che sia una visita di cortesia». «Di solito le tue sorelline non si muovono per turismo», “bravo, azzarda, mettila sullo scherzo”. «Diamo una mano dove c’è bisogno, Gion, aiutiamo gli umani a capire il senso del passaggio. Ma tu, non hai mai pensato alla Morte?», “dai, ci siamo, ma ti pareva…”. Ed ecco la paura, che compare dietro un angolino della sua mente, un cantuccio che neanche sapeva ci fosse… «Non lo so… non penso. Ma si dice in giro che la Signora Morte abbia un brutto carattere». «Falsità, malignità messe in circolo dai soliti fabbricanti di fake news. È solo una simpatica vecchia signora. Ha un sacco di responsabilità, sai…». «Non ne dubito. Spero di non essere proprio io a darle qualche pensiero di troppo». «Ma no, che dici!… è già anche troppo occupata, Gion. Forse è meglio che per ora, i tuoi pensieri li tenga per te». La Banshee sorrise di nuovo, stavolta anche con gli occhi, che si schiarirono in un azzurro profondo e si allargarono come quei laghi di montagna che specchiano il cielo, quando viene percorso da veloci nubi bianche. Poi lentamente cominciò a svanire e Gion si ritrovò assopito, immerso nel profumo 13


del gelsomino che assediava la sua terrazza come una giungla in miniatura. Si risvegliò, era di nuovo in modalità standard e non ricordava più il bottone rosso dietro l’orecchio. Il profumo di gelsomino ora era più intenso, sapeva di cipria, di incenso e di sogni. “Perdinci, questo caldo sta facendo sfiorire il gelsomino!”. Gion scese in giardino, il vento si era alzato portando con sé le prime, incerte ombre della notte. Prese la gomma e spruzzò dolcemente la bella pianta che sembrava un unico immenso ricamo di fiori bianchi. *** In quello stesso istante la Mente prendeva una decisione tra i molti miliardi che di solito elabora in un nanosecondo. Se vogliamo essere più precisi, si stava occupando di quella metamorfosi che in maniera impropria e con un certo timore noi umani chiamiamo “morte”, seguendo con occhio un po’ distratto l’evolversi di una frazione infinitesima del tempo einsteiniano, in una insignificante galassia denominata Via Lattea, in un pianeta, molto, molto secondario, chiamato Terra. La Mente dunque, in quell’istante, ricevette in sé una scintilla di consapevolezza da quella misteriosa entità che gli antichi poeti irlandesi chiamavano Banshee, della quale si favoleggia venisse ad accompagnare gli ultimi istanti di vita dei poeti e degli eroi che allietavano la luminosa terra d’Irlanda e altre terre in cui le nuvole ruotano al ritmo del cuore. Questo contatto non può essere rappresentato in immagini, dato che si tratta soltanto dello scambio istantaneo di informazioni tra l’infinitesima parte di un sistema e l’infinita totalità di quello stesso sistema, ma noi, che abbiamo sempre voglia di scherzare, proviamo lo stesso a descriverlo. E allora, tanto per restare nel classicismo fantozziano, proviamo a immaginarci un ufficio grandissimo, tipo direttore 14


megagalattico, completamente bianco, mura, pavimento, soffitto, con una parete formata da una vetrata più grande di un campo da calcio, che si apre su un cielo azzurrissimo percorso da lievi nuvole. Se aveste a disposizione parecchio tempo, diciamo qualche secolo, potreste vedere che le nuvole che appaiono sono le stesse, si ripetono come se fossero disegnate su un rotolo di carta-cielo che gira tra due immensi rulli; ma questo è un altro discorso, e se lo affrontassimo chissà dove ci porterebbe. Dunque… a un tavolo ovale di Saarinen, di fronte a un Macintosh bianco, schermo da 50 pollici, sta seduta una bellissima donna dai capelli corvini, che indossa un tailleur antracite di taglio Armani. Un bussare lieve a una porta che non è inquadrata, poi entra in scena la nostra Banshee, vestita in modo identico alla donna seduta. Osservando meglio, si nota che hanno lo stesso volto. Il loro ruolo è comprensibile soltanto per la lievissima deferenza che la donna appena entrata ha nei confronti della donna seduta. Le due donne non comunicano per mezzo di parole, ma attraverso un linguaggio fatto di impercettibili segni del volto e delle dita. Semplificando, il loro dialogo potrebbe essere tradotto così: «Allora com’è andata?». «Sono riuscita a convincerlo a rimandare il viaggio. Ha buone radici, ce ne vorrà di tempo prima che si secchino, anche con questi cambiamenti climatici». Sul bellissimo volto della Banshee seduta al computer sembra aleggiare un sorriso. «Bene, abbiamo ancora dei progetti su di lui». L’altra Banshee sorride, questa volta apertamente, e mentre sorride l’intera scena si decompone, come una nuvoletta leggera, sciolta da un soffio di vento. ***

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Gion rientrò in casa con uno strano brivido che gli correva lungo la schiena e nella mente solo il ricordo dell’intenso profumo del gelsomino. «Finalmente si è alzata un po’ di brezza», disse a sua moglie Tin. «Usciamo a fare due passi?». «Certo, ho la testa un po’ confusa. Camminare mi farà bene…».

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Indice

7 Preludio di Gianni A. Papini

Correvano con i caprioli. Tredici storie “facili”

11

Tredicesima storia La Banshee

17

Prima storia Neve in ritardo

19

Seconda storia La logica e il mare

23 Terza storia Chiudigliocchiettini 31

Quarta storia Kensington girl

55

Quinta storia La riffa

61

Sesta storia Correvano con i caprioli

67

Settima storia La voce dei morti (tre racconti brevi uniti da un filo di ruggine e oro)


73

Ottava storia Pittura e rivoluzione

81

Nona storia Ben venga Maggio

97

Decima storia A cena col diavolo

109 Undicesima storia Nebbia 119

Dodicesima storia Il mare di Ulisse (tre racconti brevi legati da un filo di luce nell’acqua)


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