Pierangelo Mazzeschi
Monte Oliveto Maggiore
Gli affreschi di Signorelli e Sodoma
«C’è qualcuno che desidera la vita e brama lunghi giorni per gustare il bene?» (Salmo 33,13) con testi di Roberto Donghi
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Impaginazione Francesco Sensoli
Stampa Dicembre 2022, Gegraf (Bertinoro - FC)
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Introduzione
All’uomo di oggi, dopo alcuni anni di pandemia caratterizzati dalla solitudine e dal dolore per la perdita di molti cari, di fronte all’incertezza del domani minacciato dall’ombra della morte e del male che la guerra porta con sé, cosa può dire il racconto della vita di tre giovani della nobiltà senese, Bernardo Tolomei, Ambrogio Piccolomini e Patrizio Patrizi? Il 26 marzo 1319 il vescovo di Arezzo, Guido Tarlati di Pietramala, concesse loro di poter fondare un eremitaggio e poi un monastero, «Santa Maria di Oliveto in Acona».
E cosa poteva dire a quei tre giovani, che erano in cerca della vera felicità, l’esperienza di un altro giovane, nobile, di nome Benedetto, che presero come modello da imitare? Nato a Norcia e vissuto circa ottocento anni prima, in quell’Impero romano giunto oramai alla fine, tanto somigliante al loro tempo e ancora più somigliante al nostro, Benedetto sentì il bisogno di «lasciare quel mondo per
ritrovarlo», consegnandosi definitivamente a una presenza carica di speranza e di promessa, «perché egli desiderava la vita e bramava lunghi giorni per gustare il bene».
Da quel giovane prima e dagli altri poi, nei diversi secoli, nacquero esperienze educative, opere di carità, opere agricole, opere architettoniche e artistiche che hanno cambiato il volto dell’Europa e della nostra stessa nazione.
Fu la fatica disciplinata e incessante dei monaci che arrestò la marcia della barbarie nell’Europa occidentale e che rese di nuovo alla coltura terre che erano state abbandonate e spopolate al tempo delle invasioni. In un passo assai conosciuto sulla missione di san Benedetto, Newman scrive che il santo «trovò il mondo sociale e materiale in rovina, e la sua missione fu di rimetterlo in sesto, non con metodi scientifici, ma con mezzi naturali, non accanendosi con la pretesa di farlo entro un tempo determinato o facendo uso d’un rimedio straordinario o per mezzo di grandi gesta; ma in modo così cal-
mo, paziente, graduale, che ben sovente si ignorò questo lavoro fino al momento in cui lo si trovò finito. Si trattò di una restaurazione più che di un’opera caritatevole, di una correzione o d’una conversione. Il nuovo edificio, ch’esso aiutò a far nascere, fu più una crescita che una costruzione. Uomini silenziosi […] sterrando e costruendo, e altri uomini silenziosi, che non si vedevano, stavano seduti nel freddo del chiostro, affaticando i loro occhi e concentrando la loro mente per copiare e ricopiare penosamente i manoscritti ch’essi avevano salvato. Nessuno di loro protestava, nessuno si lamentava, nessuno attirava l’attenzione su ciò che si faceva; ma poco per volta i boschi paludosi divenivano eremitaggio, casa religiosa, masseria, abbazia, seminario, scuola e infine città. (Dawson, 1997)
Anche Bernardo, Ambrogio e Patrizio, verso la fine del 1317, decisero di “abbandonare il mondo” – fuga mundi – per seguire una nuova esperienza religiosa di stampo penitenziale-comunionale, ritirandosi nella solitudine di Acona, un possedimento della famiglia di Bernardo, nelle crete senesi.
Basta affacciarsi ad una delle logge del Monastero, e riguardare, oltre gli anfratti, gli strapiombi e le boscaglie che lo circondano, l’infinita distesa dei poggi e delle crete che coi lori dorsi più dolcemente modulati a somiglianza di un morbido fondo marino si inseguono fino alle azzurrine lontananze del Monte Amiata, per comprendere quanto questo romito e selvatico angolo di mondo sia adatto alla
contemplazione e alla preghiera, e come per questi supremi esercizi dell’intelletto e del cuore umano esso fosse già predisposto, prima ancora che il beato Bernardo e i suoi nobili compagni vi si stabilissero. Qui venendo, essi diedero il crisma di una santità specifica, quella che la loro fede assumeva nel nome di Cristo, a un luogo che già era santo nella sua solitudine, nella severità dei suoi lineamenti fisici, nella vastità dei suoi orizzonti, nella luminosità dei suoi cieli: poiché non v’è spirito sensibile che da un ambiente come questo non tragga stimolo alla meditazione, al proprio elevarsi, quale che sia la religione da esso professata. (Carli, 1961)
Dalla loro amicizia e obbedienza alla Regola benedettina nacquero opere e frutti, in tutti i campi della vita – sociale, religiosa, culturale e artistica – fino alla creazione di un capolavoro di edilizia monastica che, per la ricerca armonica delle sue proporzioni e per la genialità delle sue soluzioni, diventa arte. Tantissime opere, soprattutto pitture a fresco, adornano il complesso abbaziale di Monte Oliveto Maggiore, la sua chiesa, le sue cappelle e molte altre ancora ve ne dovevano essere, oggi distrutte o disperse o migrate altrove. Ma quello che ha reso universalmente famoso l’archicenobio è la decorazione pittorica del Chiostro grande, con l’ampio ed esauriente ciclo delle Storie di san Benedetto, affrescato dal Signorelli e dal Sodoma, tra la fine del
Quattrocento e gli inizi del Cinquecento. È questa opera pittorica, centro del complesso monastico, il tema del presente volume.
Cosa possiamo imparare noi, uomini di oggi, vedendo in quelle pareti affrescate scene di vita quotidiana vissuta da uomini che tutto sottopongono alla preghiera e al lavoro, sostenuti da una Regola che tutto ordina?
L’unico bisogno, anche oggi, sempre necessario all’uomo, è il richiamo di un desiderio di silenzio, di un atteggiamento di silenzio e della consapevolezza che il silenzio vuol dire ascolto, vuol dire aprire, come dice san Benedetto nel Prologo alla sua Regola, «l’orecchio del cuore». San Benedetto inizia la Regola così:
Ascolta, figlio mio, i precetti del maestro, inclina l’orecchio del tuo cuore, accogli con docilità e metti
concretamente in pratica gli ammonimenti che ti vengono da un padre pieno di misericordia; cosicché tu possa per laboriosa obbedienza tornare a Colui dal quale ti eri allontanato per l’inerzia della disobbedienza. (Regola, Prologo, 1-2)
Il silenzio che ascolta, che desidera la vita da un Altro, se penetra nella vita, se si fa spazio nella vita, nel tempo, nelle cose da fare, nelle preoccupazioni, nelle gioie e nei dolori della vita, di tutta la vita, il silenzio che penetra anche solo un pochino la vita, diventa la strada maestra attraverso la quale la vita penetra tutta nel silenzio, cioè penetra nell’ascolto, si inclina, si inchina a domandare e accogliere la vita. Nulla testimonia Cristo e la pienezza che è per l’uomo più di una compagnia di persone unite in questa verifica, in questa esperienza di sentirsi chiamati dall’Unico necessario a verificare che veramente il cuore e la vita non hanno bisogno d’altro che Lui. (Lepori, 2022)
IntRoDuzIone
Diventa ora importante ripercorrere con “rapidità”, ma allo stesso tempo con ponderatezza, più assimilabile all’atteggiamento contemplativo e al silenzio caro ai monaci, tutte le 36 storie della vita di san Benedetto. Il Signorelli, chiamato per primo a eseguire questo importante lavoro, partì da alcuni episodi della vita matura del santo; il Sodoma cominciò dall’episodio più significativo della fanciullezza di Benedetto e, seguendo con fedeltà i fatti secondo una successione cronologica, si ricongiunse alla storia già narrata dalla mano del suo predecessore, arricchendola di accenti di differente provenienza culturale e diverso temperamento e completandola con altri episodi, dando quelle indicazioni necessarie al lettore/visitatore per facilitare la comprensione e immedesimazione, e permettere così che i fatti della vita del santo possano diventare specchio e paragone per ogni vita.
Il ciclo, ispirato al Libro secondo dei Dialoghi di san Gregorio Magno, inizia all’estre -
mità sinistra del braccio occidentale del chiostro, e le storie sono separate da pilastri a grottesche pieni di fantasiose invenzioni qualche volta di fattura affrettata, ma in taluni casi – come ad esempio nei piccoli medaglioni a chiaroscuro con soggetti storici, biblici e mitologici (Curzio nella voragine , Ercole e l’Idra, David e Golia, Il Battesimo di Cristo) – di squisita eleganza. Si dice che in questi arabescati capricci il Sodoma sia stato influenzato dal celebre architetto, intagliatore e intarsiatore fra Giovanni da Verona (che in quegli anni aveva compiuto il coro ligneo della chiesa abbaziale) e che dal Veneto poteva aver portato a Monte Oliveto qualche esemplare di quelle incisioni di soggetto mitologico che si andavano diffondendo nell’ambiente umanistico padovano. Un bellissimo fregio a chiaroscuro, raffigurante il Trionfo di Nettuno, sotto una delle finestre tra il chiostro e il De Profundis, rievoca infatti con singolare energia di tratto queste
Le storie di san Benedetto
composizioni mantegnesche. Sotto a ciascuna storia poi il Sodoma aveva dipinto, entro medaglioni accoppiati, i ritratti dei Generali dell’Ordine: immagini dipinte naturalmente di maniera, che presto si deteriorarono, tanto che l’abate Bentivoglio (1538-1540) le fece togliere, e oggi le vediamo sostituite da una decorazione ottocentesca, che inquadra dei cartigli sui quali si leggono i soggetti delle storie così come qui vengono trascritte.
Temporalmente, la visita del Chiostro grande olivetano dovrebbe avere inizio davanti al primo affresco del Signorelli, ma per meglio comprendere i fatti nella loro origine è fondamentale iniziarla da quello del Sodoma che è storicamente l’inizio della vita di san Benedetto. Il muro dipinto del Chiostro grande di Monte Oliveto si sviluppa su quattro lati, è diviso in lunette (ciascuna di circa 280x270 centimetri sopra il dado) dalla linea di imposta che origina arcate che formano una camminata coperta. Per ben comprendere le singole descrizioni, si considerano le figure e le varie azioni, non già nella posizione murale, ma nella posizione relativa allo sguardo del visitatore. Se si accede dalla chiesa, si trova subito il primo affresco sulla sinistra, oltre l’arco che immette nel chiostro; se invece si entra
dalla portineria, lo si trova in fondo al corridoio affrescato, che s’apre subito sulla sinistra non appena usciti dall’androne d’ingresso. «C’è qualcuno che desidera la vita e brama lunghi giorni per gustare il bene?»
La frase è tratta dal Salmo 33,13 ed è ripresa nel Prologo alla Regola di san Benedetto:
Il Signore rivolto alla moltitudine degli uomini, cerca il suo operaio e dice: Chi vuole la vita e desidera che i suoi giorni trascorrano beati? Se tu, che questo intendi, rispondi: Io lo voglio; Iddio ti dice: Se vuoi possedere la vera e perpetua vita, vieta alla tua lingua il male e le tue labbra non pronunzino menzogna; fuggi il male e fa’ il bene; cerca la pace e perseguila. E se farete questo, i miei occhi saranno attenti a voi e le mie orecchie alle vostre preghiere: prima ancora che mi invochiate dirò: Son qui. Che cosa è più dolce, o carissimi fratelli, di questa voce del Signore che ci invita? Ecco, poiché ci ama, ci mostra il cammino della vita.
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San Benedetto dà la «Regola» ai monaci olivetani (Sodoma)san benedetto dà la regola ai monaci olivetani (sodoma)
Questa prima immagine, che si presenta apparentemente decontestualizzata (distante) dall’inizio cronologico della vita di san Benedetto, in realtà offre a chi si avvicina alla comprensione dell’origine del carisma dei monaci olivetani la chiave utile e corretta per capire tutto il resto della loro storia. Bernardo Tolomei (Siena, 1272-1348) non diede una sua regola alla Congregazione, ma quella del patriarca del monachesimo d’Occidente: «Ascolta, figlio mio, i precetti del maestro, inclina l’orecchio del tuo cuore, accogli con docilità e metti concretamente in pratica gli ammonimenti che ti vengono da un padre pieno di misericordia; cosicché tu possa per laboriosa obbedienza tornare a Colui dal quale ti eri allontanato per l’inerzia della disobbedienza» (Regola, Prologo, 1-2).
Davanti a una architettura in prospettiva, perfettamente rinascimentale, domina centralmente in primo piano, seduto sul seggio abbaziale, un maestoso e paterno san Benedetto, vestito della bianca cocolla e soprattutto compreso nel largo gesto delle braccia che preparano l’offerta di due copie della sua Regola, ai Fondatori dell’Ordine, circondati da due gruppi di compagni meravigliati e pieni di gratitudine. Sotto, l’iscrizione latina che
Le storie di san Benedetto
ricorda l’inizio della Congregazione Olivetana, nel giorno 26 marzo 1319, essendo sommo pontefice Giovanni XXII e vescovo Guido Tarlati di Pietramala, di Arezzo.
come benedetto lascia la casa paterna e recasi a studio a roma (sodoma)
parleremo oggi di un uomo veramente insigne, degno di ogni venerazione. Si chiamava Benedetto questo uomo e fu davvero benedetto di nome e di grazia. Fin dai primi anni della sua fanciullezza era già maturo e quasi precorrendo l’età con la gravità dei costumi, non volle mai abbassare l’animo verso i piaceri. Se l’avesse voluto avrebbe potuto largamente godere gli svaghi del mondo, ma egli li disprezzò come fiori seccati e svaniti. Era nato da nobile famiglia nella regione di Norcia. Pensarono di farlo studiare e lo mandarono a Roma dove era più facile attendere agli studi letterari. Lo attendeva però una grande delusione: non vi trovò altro, purtroppo, che giovani sbandati, rovinati per le strade del vizio. (San Gregorio Magno, Dialoghi, Vita di san Benedetto)
La scena, inquadrata da un gruppo di case, che definiscono a sinistra, prospetticamente, lo spazio, rappresenta in primo piano Benedetto nel pieno della sua apollinea bellezza e giovinezza, gentile e sana, come deve essere quella di un discendente dei proconsoli di
Roma, sicuro sul suo bianco destriero, che riecheggia leonardeschi ricordi, e allo stesso tempo commosso e malinconico, nel lasciare la casa paterna e i cari affetti, con un ultimo addio. Il paesaggio alle sue spalle, circondato da un maestoso fiume, rievoca sulla destra una immaginaria e ideale Norcia, appare aperto e ridente come a sottolineare l’invito alla partenza che lo condurrà sulla soglia di nuovi mondi. Al fianco di Benedetto, seduta sulla mula, la fida nutrice Cirilla dialoga e rassicura, con la sua materna presenza e il suo saluto, i malinconici familiari con la piccola sorella Scolastica, avvicinata da un giocoso cagnolino. Il gruppo è preceduto e guidato da un giovane palafreniere in corsa, vestito in abiti alla moda che indica speditamente la via. Il ridente paesaggio che completa la cornice appare operoso nella rappresentazione delle attività di una giornata qualunque, come mostra il passaggio di due muli carichi di bagagli con i loro proprietari: uno che beve a garganella al fiasco per dissetarsi e l’altro seduto, esausto, sopra il carico del suo mulo; il Sodoma, per dimenticanza o stravaganza, non ha dipinto le zampe anteriori di uno dei due animali. È innegabile e plausibile che l’artista in questa scena abbia avuto come riferimento l’episodio della Partenza di Enea Silvio Piccolomini per Basilea del ciclo, contemporaneo
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Come Benedetto lascia la casa paterna e recasi a studio a Roma (Sodoma)
Le storie di san Benedetto
all’opera del Sodoma e del quale egli ebbe modo di vedere solo i disegni preparatori, della Vita di Enea Silvio Piccolomini, opera del Pinturicchio.
come benedetto abbandona la scuola di roma (sodoma)
Era ancora in tempo. Aveva appena posto un piede sulla soglia del mondo: lo ritrasse immediatamente indietro. Aveva capito che anche una parte di quella scienza mondana sarebbe stata sufficiente a precipitarlo intero negli abissi. Abbandonò quindi con disprezzo gli studi, abbandonò la casa e i beni paterni e partì, alla ricerca di un abito che lo designasse consacrato al Signore. Gli ardeva nel cuore un’unica ansia: quella di piacere soltanto a Lui. Si allontanò quindi così: aveva scelto consapevolmente di essere incolto, ma aveva imparato sapientemente la scienza di Dio. (San Gregorio Magno, Dialoghi, Vita di san Benedetto)
Questo episodio è stato rappresentato solo a Monte Oliveto ed è assente dagli altri cicli benedettini. La parte centrale della scena appare di forma convessa sormontata da un’architrave che accoglie tre amorini danzanti e inquadra una grande e solenne aula scolastica cassettonata, a modello di quella greca, di impianto bramantesco, le cui ampie arcate nel fondo, dietro l’ornata cattedra oc-
cupata dal severo maestro, lasciano intravedere un ampio paesaggio caratterizzato dal fiume Tevere, nei pressi di Castel Sant’Angelo che amplifica l’intera vista prospettica. Benedetto, posto all’estremità del lato destro, con un gesto deciso, come dettato da una voce misteriosa, sembra mostrare la sua decisione di allontanarsi da quel luogo che avverte pieno di pericoli, corrotto nei costumi e contrario ai suoi ideali. Quella voce misteriosa, ma risoluta, le rivelerà che solo la vita dura del deserto e la meditazione delle divine scritture infonderanno nel suo spirito e nella sua carne la forza della resistenza. Egli abbandona per sempre quella scuola alla quale era stato inviato dalla volontà dei genitori. La sua figura, delicata, sembra quasi staccarsi vivacemente dal fondo della parete.
come benedetto risalda lo capistero che era rotto (sodoma)
Abbandonati dunque gli studi letterari, Benedetto decise di ritirarsi in luogo solitario. La nutrice però che gli era teneramente affezionata, non volle distaccarsi da lui e, sola sola, ottenne di poterlo seguire. E partirono. Giunti alla località chiamata Enfide, quasi costretti dalla carità di molte generose persone, dovettero interrompere il viaggio; presero così dimora presso la chiesa di San Pietro. Qualche
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Indice
5 Introduzione 9 Il fondatore di Roberto Donghi 17 La storia dell’abbazia e il fabbricato di Roberto Donghi 27 Gli affreschi del Chiostro grande 43 Le storie di san Benedetto 111 Signorelli e Sodoma: le vite 119 Bibliografia essenziale