Giuseppe Notaro
Lo Statuto del Comune di Arezzo del 1327
Giuseppe Notaro
Lo Statuto del Comune di Arezzo del 1327 presentazione di Giuseppe Tartaro
SocietĂ
Editrice Fiorentina
© 2015 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it facebook account www.facebook.com/sefeditrice twitter account @sefeditrice isbn 978-88-6032-339-2 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata È vietata la riproduzione o duplicazione, con qualsiasi mezzo, delle immagini contenute nel volume In copertina Piero della Francesca, Il ritrovamento della croce e il suo riconoscimento, particolare, Chiesa di San Francesco, Arezzo (su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo – Soprintendenza Belle arti e paesaggio per le province di Siena Grosseto e Arezzo)
A Paolo Bucciarelli Ducci, uomo esemplare, notaio e presidente dell’Ordine prestigioso, aretino illustre.
indice
9 Presentazione 15 Introduzione
19
Il Quadro storico
29
Il “Comune-Stato” di Arezzo e la Toscana
33
Sul testo dello Statuto
39 Norme esemplari
51
Norme tipiche medievali ed episodi di vita del tempo
59 Conclusione
65
Principali accadimenti dell’anno 1327
69 Bibliografia essenziale
Presentazione
Nel 1940 si compiva la disfatta della Francia: due francesi, accomunati dalla stessa origine ebraica, ma con storie personali e convinzioni ideali diversi, si impegnavano, ognuno seguendo differenti itinerari, in una riflessione nella quale emergeranno singolari consonanze. Marc Bloch scriveva la sua Apologie pour l’histoire ou metièr d’historien nella quale due capitoli si intitolavano, significativamente, Comprendere il presente mediante il passato e Comprendere il passato mediante il presente. «L’incomprensione del presente» scriveva Bloch «nasce fatalmente dall’ignoranza del passato. Forse però non è meno vano affaticarsi a comprendere il passato, ove nulla si sappia del presente»1. Pressoché negli stessi anni l’ebrea-cristiana Simone Weil scriveva dal suo esilio a Londra L’énracinement. Prélude a une déclaration des devoirs envers l’être humaine, il saggio in cui essa individuava come causa della sconfitta francese lo “sradicamento” culturale subito dal popolo in quel periodo storico: «È cosa vana distogliersi dal passato per pensare soltanto all’avvenire. È un’illusione pericolosa persino credere che sia possibile. L’opposizione fra avvenire e passato è assurda. Il futuro non ci porta nulla… siamo noi che, per costruirlo, dobbiamo dargli tutto, dargli la propria vita. Ma per dare, bisogna possedere, e noi non possediamo altra vita, altra linfa che i tesori ereditati dal passato e digeriti, assimilati ricreati da noi. Fra tutte le 1 M. Bloch, Apologia della Storia o mestiere di storico, Torino, Einaudi, 1969, p. 54.
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esigenze dell’anima umana nessuna è più vitale di quella del passato»2. E quanto la ricerca portata avanti da ambedue gli studiosi avesse una medesima connotazione civile e morale (estranea a ogni autoreferenzialità di tipo “accademico”) è testimoniato dal fatto che sia Bloch che la Weil portarono avanti il loro impegno fino all’estremo sacrificio di sé. Il primo, ritornato a combattere, nonostante avesse la possibilità di esimersi, fu torturato e fucilato dai nazisti. La seconda morì a soli trentaquattro anni, sfinita dagli stenti ai quali volle sottoporsi in solidarietà alle sofferenze del suo popolo. Si legge spesso anche in pagine di autorevoli e raffinati studiosi che la storia non è “magistra”, tanti sono stati e continuano a essere i disastri, le atrocità, le scelleratezze che gli uomini hanno compiuto e che continuano a compiere, ma si può rispondere che nell’eterno dialogo fra la storia e gli uomini la “magistra”, come ogni maestra, narra, consiglia, guida e che il suo racconto, i suoi ammonimenti, le sue indicazioni cadono nel vuoto se non c’è chi ascolta. L’autore di questo gustoso libretto si è posto in ascolto della storia e porge in libertà le sue osservazioni di uomo del XXI secolo. È vero che l’attualizzazione o il confronto di vicende diverse e distanti nel tempo è sempre un terreno incerto e malsicuro: diversi i tempi, diversi i contesti culturali e politici, diversi i soggetti. Proprio il Medioevo continua a essere oggetto di un vero e proprio abuso nella narrativa, nel cinema, nelle rievocazioni popolari, nei videogiochi. Così nell’immaginario collettivo c’è posto per visioni decisamente estreme: l’una che evoca torture e tenebre (roba da Medioevo!), l’altra che si arrischia a idealizzare Alberto di Giussano a tal punto da ergerlo a simbolo di un improbabile, quanto antistorico contraltare dello stato nazionale.
2
S. Weil, La prima radice, Milano, Edizioni di Comunità, 1973, p. 49.
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Anche tanti altri innocui revivals possono far storcere il naso a palati troppo raffinati. Ma come afferma uno che di queste cose se ne intende, Franco Cardini, il nuovo interesse per il Medioevo, con tutte le sue variabili, non è un male «Basta tener distinte la scienza dall’invenzione, la realtà storica dal fantastico. E poi, anche divertirsi con le nostre radici, magari reinventandole, è legittimo. Anzi, costituisce la prova che di quelle radici si ha bisogno, che non si può vivere senza. Basta saper sempre con esattezza quel che si fa e mantener intatte onestà intellettuale e capacità di scelta»3. Ci sembra che questo abbia fatto l’Autore. Si è divertito con le nostre radici (in questo caso esaminando lo Statuto di Arezzo del 1327) argomentando, con la curiosità di chi è abituato a interrogarsi su ogni vicenda umana (sempre Bloch affermava: «Il buon storico somiglia all’orco della fiaba: là dove fiuta carne umana, là sa che è la sua preda»)4, ma soprattutto sorretto dalla sua formazione di uomo di legge. Con questi strumenti (la curiosità dello storico e la sapienza giuridica) Giuseppe Notaro si è avventurato a riannodare i fili che legano il presente con il passato, con la precisa coscienza che questo documento, come tanti simili documenti, è il punto di arrivo di un lungo travagliato processo che aveva come meta finale il difficile raggiungimento di equilibri senza i quali ogni convivenza umana diventa impossibile… equilibrio fra interessi privati e interessi pubblici… equilibrio fra diritti e doveri; riflessione questa tanto più utile oggi a noi, attori spesso passivi e inconsapevoli di quella che viene definita una società liquida, dove è sempre più a rischio l’immenso patrimonio culturale che i nostri antenati ci hanno consegnato. L’esperienza degli Statuti, come è risaputo, nasceva dal superamento di assetti di potere a base personale e rispondeva alla 3 F. Cardini, Dall’Europa agli States troppo falso Medioevo, in «Vita e Pensiero», n. 4, 2006, p. 101. 4 M. Bloch, Apologia della Storia o mestiere di storico, cit., p. 41.
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domanda di partecipazione dal basso. Ma non si limitò a prendere in considerazione le esigenze di un vissuto quotidiano che premeva con la sua infinita casistica: alcuni esempi di questo vissuto riportati da Giuseppe Notaro sono di particolare attualità: le norme sull’igiene, l’assistenza pubblica, la gestione della giustizia… Ma l’Autore fa capire che l’epoca degli Statuti medievali riuscì soprattutto a delineare una nuova etica politica le cui componenti – secondo anche autorevoli esperti – divennero le basi legislative e amministrative dello stato moderno. Non a caso un economista, Franco Spinelli, negli anni ’90 poneva come sottotitolo di un suo ponderoso saggio sugli Statuti della sua città l’espressione Alle radici dell’Umanesimo Civile e del Razionalismo Economico5. Appunto questa etica politica e questo umanesimo civile rischiano oggi di incrinarsi. Pensiamo solo alla caduta negli ultimi decenni della partecipazione dal basso, all’erosione del concetto di bene comune nelle dimensioni culturali e antropologiche, all’evocazione continua e inquietante dei cosiddetti “poteri forti”, alla riproposizione nelle istituzioni di dinamiche di tipo feudale e di casta, alla difficoltà di instaurare normative virtuose per la gestione del territorio. Eppure nei primi anni ’90 del secolo appena passato, quando la legge n. 142, disciplinò l’autonomia di comuni e province dando il via a un decennio prolifico di riforme, sembrò rinascere un nuovo interesse per quei valori che hanno ispirato gli Statuti medievali su fino alla nostra Costituzione: fiorirono iniziative e furono stesi gli Statuti dei Comuni; la stessa fioritura di Statuti che il grammatico e retore toscano, Boncompagno da Signa, nato nella seconda metà del XII secolo, amico della famiglia del nostro Guido Guerra, registrò intitolando una sua opera Cedrus, 5 F. Spinelli, Gli Statuti del Comune e delle Corporazioni della Brescia medievale. Alle radici dell’Umanesimo Civile e del Razionalismo Economico, Brescia, Gruppo Editoriale Delfo, 1997.
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a sottolineare la grande e rigogliosa produzione di Statuti nell’Italia del suo tempo. Il nuovo “Cedrus” che sembrò radicarsi negli anni ’90, appassì ben presto. Gli Statuti degli anni ’90 sono lì, anche nel nostro Valdarno dimenticati in qualche armadio e attendono che qualcuno li rianimi e li valorizzi. C’è da augurarsi che queste pagine dettate all’Autore dall’amore sincero per la terra che lo ha accolto, contribuiscano, per la parte che può loro competere, a riportare l’attenzione su aspetti e valori essenziali per un armonioso e civile sviluppo anche nell’hic et nunc della comunità in cui ci è dato di vivere: sempre che vi siano la volontà di fermarsi a riflettere e lo sforzo di sollevare la sguardo da un contingente talvolta squallidamente vuoto di significati. Giuseppe Tartaro