Paolo Paoletti
Firenze 1944 tutto quello che non è mai stato detto sulla Liberazione
Paolo Paoletti
Firenze 1944 tutto quello che non è mai stato detto sulla Liberazione
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Editrice Fiorentina
© 2016 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it facebook account www.facebook.com/sefeditrice twitter account @sefeditrice isbn: 978-88-6032-389-7 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata L’Editore è a disposizione di tutti gli eventuali proprietari di diritti sulle immagini riprodotte con i quali non è stato possibile mettersi in contatto. Solo per alcune immagini è stato possibile identificare la provenienza In copertina La foto, scattata il 20 luglio 1944, ritrae un soldato di truppa dell’esercito che esibisce il lasciapassare a un gendarme della Luftwaffe. Dopo il posto di controllo fisso di piazza Puccini, questo in piazza dell’unità d’Italia sembra un posto di controllo volante. La foto dimostra che il 20 luglio, da parte tedesca, si applicavano ancora le regole della “città aperta” (Bundesarchiv, Koblenz)
Indice
7 Introduzione 19
i. La questione della dichiarazione unilaterale tedesca di Firenze “città aperta” ovvero indifesa
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ii. Verso la distruzione della città
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iii. Il ruolo del cardinale Dalla Costa
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iv. L’attacco dell’esercito britannico a Firenze
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v. E la chiamarono Liberazione…
107 vi. E la chiamarono insurrezione… 113
vii. I britannici e gli americani furono liberatori o conquistatori?
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viii. Si stava meglio quando si stava peggio
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Appendice Elenco delle vittime del bombardamento americano di Firenze dell’11 marzo 1944
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Indice dei nomi
Introduzione
Winston Churchill pubblicò la sua Storia della seconda guerra mondiale nel 1948 e nello stesso anno uscì la prima edizione in italiano. Fino al 1982 nessun autore italiano ha mai citato quanto Churchill aveva scritto su Firenze. Il primo che menzionò Churchill fu un ex partigiano comunista, Giovanni Frullini, il quale scrisse: «Nelle sue memorie Churchill annoterà soltanto che sui lungarni di sinistra ci sono i Tommies e su quelli opposti i tedeschi»1. Questa frase così banale ci insospettì e andammo a controllare. Ci accorgemmo così che la frase di Frullini era stata estrapolata dal seguente brano: «Da Siena io e Alexander ci recammo a visitare il nostro fronte sull’Arno: occupavamo la riva meridionale del fiume e i tedeschi quella settentrionale. Entrambe le parti fecero notevoli sforzi per distruggere Firenze il meno possibile, così almeno poté essere risparmiato lo storico ponte»2. Ci accorgemmo che Churchill aveva scritto un’altra frase ancora più esplicita e inaccettabile per le istituzioni politiche fiorentine: «L’viii Armata ripulì tutta la zona montuosa a sud di Firenze, mentre i neozelandesi penetrando nelle difese avversarie, costrinsero i tedeschi a ripiegare attraverso la città, dove distrussero alle loro spalle tutti i ponti salvo il ponte Vecchio…»3. In verità era stato proprio Hitler, affascinato da Firenze e dal suo ponte Giovanni Frullini, La liberazione di Firenze, Milano, Sperling & Kupfer, 1982, p. 215. Winston Churchill, La seconda guerra mondiale, Milano, Mondadori, 1979, vol. 11, p. 130. 3 «The 8° Army cleared all the mountain country south of Florence and the New Zealanders, breaking into the defence, forced the enemy to withdraw through the city, where they destroyed behind them all the bridges except the venerable but inadequate Ponte Vecchio»: in Winston Churchill, The Second World War, cit., p. 78. In italiano La seconda guerra mondiale, cit., vol. 11, p. 109. 1 2
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pittoresco a volere che fosse risparmiato il Ponte Vecchio. Su Firenze la politica tedesca era stata quella riassunta nella frase pronunciata il 29 luglio del comandante della piazza, colonnello Adolf Fuchs: «Se gli Alleati non attaccheranno Firenze, i tedeschi non la difenderanno». Cioè rispetteranno la città aperta. L’ammissione di Churchill che i tedeschi avevano reagito ad un attacco britannico era stata sufficiente perché il premier inglese venisse censurato da tutti gli studiosi italiani. Ogni persona di buon senso aveva capito che erano state le mosse britanniche a provocare la distruzione dei ponti a Firenze. Perfino l’azionista ebreo Giulio Supino aveva scritto nel suo diario alla data del 15 agosto 1944: «Anche gli inglesi hanno la loro colpa nella distruzione dei ponti (risulta implicitamente perché se gli inglesi passavano l’Arno da un’altra parte i ponti non saltavano!)»4. Di fronte a queste frasi non è difficile dare un nome al mandante delle distruzioni nel centro storico di Firenze: il Field Marshal The Viscount Alexander of Tunis. Supino si riferiva implicitamente anche al volantino del 30 luglio in cui il maresciallo Alexander si rivolgeva ai «Cittadini di Firenze». Quel messaggio era palesemente controproducente in quanto dimostrava ai tedeschi che quell’appello aveva un unico fine: «salvare i ponti» necessari per poter «inseguire più velocemente il comune nemico». Alexander aveva gettato la maschera! Dopo che il generale americano Clark aveva tradito il patto di Roma, secondo cui i tedeschi si impegnavano a risparmiare i ponti e a lasciare in funzione i servizi essenziali dell’acqua, luce e gas con la garanzia che gli Alleati non avrebbero sfruttato i ponti per inseguire d’appresso il nemico, due mesi dopo ci riprovava il maresciallo Alexander dimostrando ai fiorentini, ai tedeschi e al mondo di voler ripetere a Firenze il vile inganno riuscito a Roma, ma proprio per questo irripetibile. Alexander dava ai tedeschi la riprova che lo scopo per cui l’viii Armata britannica aveva puntato su Firenze era quello di poter utilizzare 6 dei 7 ponti rimasti in piedi sull’Arno. Tutti i fiorentini capirono che quel volantino da solo autorizzava i tedeschi a difendersi distruggendo quei ponti trasformati da Alexander in obiettivo militare. Nel dopoguerra l’obiettivo fu quello di cancellare la memoria di quel manifestino? Non lo si riprodusse, non lo si citò, semplicemente lo si ignorò. Gli storici si sono autocensurati. Tuttavia i politici hanno mostrato indirettamente di sapere la verità: nel 1945-1946 hanno concesso la cittadinanza onoraria a militari americani e brasiliani, a diplomatici rumeni, svizzeri e perfino al console tedesco a Firenze Gerhard Wolf ma non a uno dei “liberatori”, inglesi, neozelandesi, sudafricani, canadesi o indiani. 4 Giulio Supino, Diario della guerra che non ho combattuto, a cura di Michele Sarfatti, Firenze, Aska, 2014, p. 209.
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Anche se non lo potevano dire, tutti sapevano chi aveva davvero distrutto Firenze. Non lo dicevano ma conoscevano un dato che non poteva essere smentito da nessuno: Firenze, al contrario di tutte le altre città italiane, aveva raddoppiato il numero dei suoi abitanti. Ciò significava inequivocabilmente che la dichiarazione tedesca di città «indifesa perché non fosse attaccata», aveva convinto le masse. La si chiamò «città bianca», «città libera» o appunto «città aperta» perché il concetto era semplice: è un’area aperta al vincitore perché la città è vocata alla pace e deve rimanere tale. L’idea di salvare Firenze attraverso lo strumento del diritto bellico internazionale era sempre stata respinta da Churchill non solo perché era partita con l’imprimatur di un genio del male, come Adolf Hitler. Purtroppo ciò ha comportato che ci sia sempre stata, e permane ancor oggi, la prevenzione verso questa proposta di pace. Anche il cardinale di Firenze Elia Dalla Costa, che era uomo di pace, rimase legato allo spirito dell’enciclica di Pio XI Mit brennender Sorge fortemente antinazista, per cui odiava tutto quello che veniva da Hitler. Dal momento che gli Alleati e il Comitato di Liberazione, pur in competizione tra loro, erano d’accordo di prendere Firenze con le armi, i tedeschi rimasero soli nel predicare questa soluzione di pace. Eppure questa dichiarazione tedesca di città aperta aveva dato i suoi benefici effetti: dopo il 25 settembre 1943 Firenze fu bombardata pesantemente solo 4 volte contro le 52 di Roma5; i bombardieri americani rispettarono l’anello interno della città aperta; nonostante il notevole aumento della popolazione, i tedeschi assicurarono una razione giornaliera di 200 g di pane. Quelle centinaia di migliaia di persone che si erano concentrate a Firenze si erano rese conto che l’abitato all’interno dei viali di circonvallazione era stato rispettato a terra e dal cielo. Per questo sine ira et studio diciamo che si è cercato di demonizzare i tedeschi6 e la loro città aperta. Come è stato possibile che le generazioni del dopoguerra crescessero nell’opinione opposta a quelle di Churchill e Supino? Perché oggi l’opinione pubblica è concordemente convinta che ogni responsabilità sulle distruzioni a Firenze debba ricadere sulle spalle del feldmaresciallo 5 In un attacco del 18 gennaio 1944 morirono 10 civili in periferia, mentre l’8 febbraio vennero uccisi 23 bambini del Collegio di Colonnata (Sesto) e l’attrice e cantante Lina Cavalieri nella sua villa dietro il Poggio Imperiale. Queste però vanno considerate incursioni. 6 Carlo Ciullini scriveva in http://www.instoria.it/home/1944_liberazione_firenze.htm: «in realtà, che il comando germanico era intenzionato ad attraversare Firenze al momento della ritirata, malgrado le assicurazioni costantemente ripetute, lo si evinceva vedendo come, proprio in quei giorni, le vie erano state marcate con frecce gigantesche e strisce colorate per tre diverse trasversali passanti per i singoli ponti, trasversali lungo le quali avrebbe dovuto avvenire il deflusso delle truppe germaniche». Lo studioso dimentica che le scritte comparvero in agosto, quando Firenze non era più città aperta.
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Albert Kesselring? Eppure costui aveva dimostrato con i fatti che voleva risparmiare le città d’arte dalle offese della guerra: Roma, Chieti, Anagni, Alatri, Orvieto, Urbino, Assisi e Siena sono le più note città che non videro le tragedie del passaggio del fronte in quanto le truppe tedesche furono ritirate prima dell’arrivo alleato. Questo ribaltamento della verità storica derivava dalla necessità dei partiti politici raccolti nel Comitato di Liberazione Nazionale di giustificare il loro operato: invece di optare per una soluzione non traumatica per la città avevano scelto di portare la guerra civile nel centro storico. Questo per far dimenticare che erano stati gli unici politici in Toscana a optare per far scorrere il sangue tra le pietre di quella città che non apparteneva loro ma alle future generazioni e al mondo. Solo demonizzando i nazisti si poteva giustificare l’assurda scelta del Ctln di rifiutare l’accesso al potere attraverso una mediazione piuttosto che con le armi. Soprattutto il Ctln doveva sovra esponenziare un ruolo militare che non aveva avuto. Questi settantadue anni che ci dividono dal 1944 sono stati spesi per affermare una menzogna di Stato: ovvero che i partigiani avevano liberato la città con la forza delle armi. I testimoni oculari inglesi, americani, indiani, neozelandesi avevano scritto nei loro diari di guerra che i tedeschi continuarono fino al 20 agosto a spadroneggiare nel centro storico di quella città formalmente liberata già dall’11 agosto. I politici continuano ancora a far celebrare il loro insediamento a Palazzo Vecchio e le esecuzioni sommarie degli avversari politici come festa della Liberazione, quando i cittadini e i partigiani cominciarono a morire proprio a partire da quella data. La liberazione dell’11 agosto è un insulto a tutti i morti, alle donne stuprate, a tutti i fiorentini affamati e assetati dopo quella data. Dal 1944 si rifiuta la realtà di fatti incontrovertibili: nel mese di agosto i tedeschi si ritirarono per quattro volte nella notte tra il giovedì e il venerdì, il 4, l’11, il 18 e il 25 per far capire che era stata una scelta loro e non un’imposizione dell’avversario; e invece sui quotidiani si legge che «l’11 agosto i tedeschi furono messi in fuga dalla divisione Arno». Fu per questo che i tedeschi lasciarono, secondo le stime inglesi, scorte alimentari per 22 giorni? Se nessuno ha mai letto questi fatti è perché vige una autocensura nei mezzi di comunicazione. La verità di Churchill e Supino è stata ribaltata applicando il metodo del ministro della propaganda nazista, Joseph Goebbels: «ripeti una menzogna 100, 1000, 10.000, 100.000 volte e diventerà una verità». Dal 1944 si ripete che «Firenze si liberò da sola» dimenticando che il colonnello Nello Niccoli, comandante delle forze partigiane, aveva ammesso già nel 1970 che «tra il 4 e l’11 agosto i paracadutisti tedeschi armati fino ai denti ci impedivano qualunque azione. In tali frangenti non ci
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rimaneva altro che roderci il fegato ed attendere»7. Si può ancora credere ai sindaci di Firenze che non hanno mai letto Churchill, Supino e Niccoli o agli storici istituzionali, funzionali alla «distrazione di massa»? No, bisogna affidarsi ai documenti e alle testimonianze oculari. Il 4 agosto il primo ordine degli Alleati ai partigiani fu quello di non tenere comizi politici e di consegnare le armi. I patrioti riuscirono a mantenerle solo perché si offrirono di dare la caccia ai cecchini rischiando la vita al posto dei liberatori, che accettarono ben volentieri. L’11 agosto i partigiani sull’altra riva dell’Arno si accorsero della liberazione quando si svegliarono al suono della campana della Martinella. La loro prima preoccupazione fu quella di dare la caccia ai fascisti. Nonostante i severi ordini di Angiolo Gracci la brigata garibaldina Sinigaglia si dedicò più alla caccia dei fascisti che a combattere i tedeschi. Senza il controllo alleato i garibaldini si dettero alle esecuzioni sommarie per cui a tutt’oggi non sappiamo quanti furono i franchi tiratori che affrontarono spavaldamente i plotoni d’esecuzione e quelli passati per le armi come fascisti. Il numero di quelli fucilati sul sagrato della chiesa di Santa Maria Novella varia tra una quindicina e una trentina. Solo negli anni ’50 un tribunale ha accertato che in quel mucchio di cadaveri c’era anche un antifascista e un altro cittadino senza opinioni politiche. Esecuzioni sommarie e pestaggi di fascisti, o presunti tali, ebbero luogo ovunque, come abbiamo documentato con foto e testimonianze, anche in Palazzo Vecchio. Nessuno storico ha ancora detto che la prima ordinanza del Governo Militare Alleato sulla riva destra dell’Arno fu quella di proibire ai partigiani, a partire dalle 20.30 del 14 agosto, di circolare armati nel centro storico, all’interno dei viali di circonvallazione. Questa restrizione alleata si giustificava con il perdurare degli eccessi nelle esecuzioni sommarie e delle vendette personali8 dei partigiani garibaldini. Dal 15 agosto i partigiani furono sottoposti al ricatto: se non volevano subire l’umiliazione di essere disarmati, dovevano andare a combattere. Non solo ma per muoversi da una zona all’altra della città dovevano seguire il percorso indicato dagli Alleati. Il disarmo generale di tutti i partigiani avvenne solamente il 6 settembre ma dal 15 agosto i partigiani armati erano già tutti sotto il controllo alleato. Nel 2014 il Consiglio regionale toscano ha sponsorizzato la pubblicazione del diario di Camilla Benaim Supino, che oggi si può leggere on-line. Alla data del 16 agosto 1944 vi si legge: «Bubi [Meneghetti] viene In La Resistenza in Toscana, in «Atti e Studi dell’isrt», n. 8, p. 7. Non tutti i garibaldini vissero la discesa in città con alti principi ideali. Due comandanti azionisti ci hanno raccontato che il primo atto di uno dei vertici militari della divisione garibaldina Arno, G.G., fu quello di andare a uccidere l’amante della moglie. 7 8
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arrestato dagli americani mentre distribuisce il giornale La Libertà (il foglio del Partito d’Azione NdA), il numero portava la liberazione di Firenze per mano dei partigiani». Se l’incaricato del Governo Militare Alleato non reagì con un sorriso alla lettura del foglio di partito, se non si limitò a sequestrare il giornale clandestino ma arrivò addirittura all’arresto di quel semplice attivista, significa che il Governo Militare Alleato nei Territori Occupati, l’amgot, si sentiva l’unico autorizzato a stabilire chi erano i liberatori della città. Se il reato di allora, oggi è diventata una verità ufficiale è merito dell’ossessiva ripetizione di quella falsità. Nonostante la censura e l’imprigionamento di Bubi, le autorità fiorentine hanno continuato ad essere molto deferenti verso i liberatori che si erano aperti la strada con i bombardamenti indiscriminati sulle città italiane. Come abbiamo detto sopra, Firenze si può considerare fortunata rispetto ad altre città d’arte: infatti tutte le vittime di Firenze (circa 700) non ammontano a quelle del primo bombardamento di Roma del 19 luglio 1943. I nostri morti sotto i bombardamenti alleati non sono mai stati contati e il Comune non ha ancora trovato il coraggio di scrivere sotto quali bombe sono deceduti. Si è mai sentito un sindaco di Firenze dire pubblicamente che gli Alleati avevano violato l’articolo 25 delle convenzioni internazionali dell’Aja del 1907 che proibiva «l’attacco o il bombardamento delle città indifese»? Alla fine di luglio e nei primi due giorni di agosto gli Alleati cannoneggiarono le posizioni tedesche con una intensità di fuoco mai vista prima in Italia. Eppure, fino a poche settimane prima, tutto sembrava volgere verso la pace. Il 12 giugno l’aviazione americana aveva lanciato un volantino consigliando agli abitanti della periferia di rifugiarsi nel centro storico di Firenze per poter bombardare nei due giorni successivi senza danni collaterali. Il 21 giugno Kesselring aveva ribadito il mantenimento di Firenze città aperta limitando ulteriormente gli accessi al centro storico. Il 24 giugno si era giunti a un accordo preliminare per il passaggio indolore dei poteri civili tra fascisti e antifascisti. A nostro avviso il Comitato di Liberazione rifiutò l’unica soluzione che avrebbe permesso di soddisfare gli interessi di tutti: sarebbe stata una transizione dei poteri pacifica, senza traumi per le pietre e i cittadini di Firenze. Il 5 luglio Kesselring pose al cardinale Elia Dalla Costa una sola condizione per il ritiro tedesco dalla città: «ricevere dagli Alleati una chiara e valida dichiarazione che essi rispetteranno Firenze come città aperta e cioè di non sfruttare militarmente in nessun modo il territorio della città». In pratica Kesselring aveva offerto al cardinale di farsi garante di questa intesa. A nostro giudizio non era una richiesta irricevibile: si trattava di andare a Siena e prendere contatto con il maresciallo Ale-
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xander. Incomprensibilmente il cardinale giudicò la lettera «ostile»9 e, solo il 26 luglio, quando ormai era troppo tardi, rispose a Kesselring chiedendo «cosa intendesse esattamente per rispettare la città aperta». Il porporato dimostrava così non solo di non aver capito l’esatto significato, pur semplicissimo di città aperta, ma anche di avere pregiudizi antitedeschi. Da quella mancata svolta del 5 luglio Firenze si avviò lentamente verso il suo tragico destino di distruzioni e di morte. Il Comitato di Liberazione, sempre più ossessionato dalla sua sete di potere e dal sangue della vendetta, fece una mossa che favorì il nemico: decise di sguarnire le montagne e di tenere nascosti i partigiani in città in attesa dell’agognata insurrezione e far conoscere a Firenze una nuova pagina di guerra civile. Per difendere la sua scelta autolesionistica di combattere i tedeschi in città, dove il nemico poteva esaltare la sua incomparabile superiorità nella guerra simmetrica e gli Alleati non potevano dispiegare la loro forza aerea e l’artiglieria, il Ctln accusò i tedeschi di non aver trattato Firenze da città bianca, pur avendo preparato un piano insurrezionale che presupponeva il centro storico sgombro dalle truppe tedesche. Sui loro manifesti i partigiani definivano la città aperta una «truffa», anche se la città indifesa era una condizione imprescindibile del loro disegno insurrezionale. La scelta di combattere i tedeschi tra le mura cittadine e vendicarsi per i ventidue anni di regime fascista rappresentò un colpo mortale per Firenze, pari a quello degli Alleati di attaccare la città indifesa di Firenze e violare le convenzioni internazionali per tentare di prenderne i ponti. Il cardinale, invece di farsi portare in auto a Siena il 6 luglio, non si mosse da Firenze, così che il 3 agosto non gli restò che dire: «Firenze è nelle mani di Dio». Il Ctln si era messo in contrapposizione con tutti gli attori in gioco: gli anglo-americani non erano alleati ma concorrenti a chi arrivava per primo a porta Romana e soprattutto perché il Ctln sapeva che i partigiani sarebbero stati disarmati. Il governo del Sud era odiato a tal punto che il Ctln pensò di arrestare il comandante delle bande fedeli al re. Anche il cardinale fu sempre visto come una figura infida perché dialogava con le autorità fasciste e il console tedesco. Così il Ctln restò solo, legato al suo sogno rivoluzionario di una insurrezione popolare che ovviamente non ci fu. Giovani e vecchi studiosi usano questa parola a sproposito: nessuno insorse contro i tedeschi, né in centro, perché non c’erano, e neppure nelle aree occupate, perché c’erano e facevano paura. Semmai bisognerebbe sottolineare che la popolazione fiorentina si comportò sempre all’opposto degli ordini lancia
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Così scrisse nel suo opuscolo Storia vera di Firenze città aperta del 25 aprile 1945.
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ti dal Ctln. Siccome nessuno ubbidì alle ordinanze o agli inviti partigiani, l’unica risposta era vantare una gloriosa insurrezione. In questa tragedia il cardinale Dalla Costa ha la responsabilità di non aver messo alla prova Alexander nel momento in cui poteva fargli cambiare strategia: a Siena Alexander avrebbe potuto optare per una manovra a tenaglia e salvare Firenze, invece si fece tentare da una impresa impossibile: il 30 luglio chiese ai fiorentini di «salvare i ponti sull’Arno» (non sapeva che esistevano anche quelli sul Mugnone e sul Terzolle?) per «inseguire più velocemente il nemico». Invece impiegò una mese per andare da porta Romana a Fiesole. Ci rammarichiamo dell’insipienza militare del maresciallo Alexander solo perché ciò comportò per Firenze la distruzione dei ponti, l’abbattimento delle case torri intorno al Ponte Vecchio che potevano essere restaurate e degli ulteriori danni apportati dai genieri inglesi al ponte a Santa Trinita. I fiorentini hanno negli occhi le immagini dei due alti pennacchi di polvere e fumo alzatisi dalle pigne del ponte a Santa Trinita che sono stati fatti passare come l’effetto delle esplosioni delle mine tedesche. Era facile capire che quelle bianche colonne di polvere non si potevano attribuire ai tedeschi perché avevano fatto saltare le arcate di notte. È toccato a noi svelare la manipolazione della foto nel 2004, ma invano. Non esistono immagini, ma solo documenti dell’irruzione dei paracadutisti tedeschi che, nella notte dell’11 agosto, penetrarono nell’Hotel Baglioni, fino a poche ore prima sede del “tribunale militare” della brigata garibaldina Sinigaglia che mandava a morte cecchini, fascisti e innocenti. I paracadutisti sorpresero nel sonno i garibaldini che, sentendosi nella zona liberata, non avevano messo le sentinelle, ne uccisero alcuni e se ne andarono portandosi via la loro bandiera rossa. Firenze rimase in balia tedesca fino al 20 agosto: di giorno Firenze era tutta imbandierata a festa ma la notte i tedeschi la facevano da padroni, perlustrando i lungarni ancora fino al 14 agosto. Un’altra clamorosa incursione tedesca ebbe luogo nella notte tra il 15 e il 16 agosto. Ovviamente la stampa, la memorialistica e la storiografia resistenziale hanno sempre ignorato questi fatti che rendevano l’orgoglioso «ci siamo liberati da soli» uno slogan senza senso. A Firenze si è scritta una storia artefatta che poteva essere creduta solo senza l’accesso alle fonti estere. Invece per gli Alleati fu uno choc tale che ne parlarono i soldati inglesi, americani, indiani e neozelandesi. In questo caso i paracadutisti tedeschi penetrarono nel palazzo Medici Riccardi bussando al portone e gli uomini di guardia aprirono senza sospettare che si trattasse del nemico, sentendosi anche loro in un’area liberata. Questa volta i tedeschi non si portarono via la bandiera inglese e americana solo perché sventolavano ai piani superiori ma fecero a tempo ad uccidere otto agenti di Pubblica Sicu-
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rezza. Nella notte del 20 agosto furono i blindati tedeschi a spingersi fino in piazza Stazione. Questi fatti incontrovertibili continuano a essere ignorati dalla vulgata che vuole Firenze come «la prima città che si liberò con una insurrezione popolare». Così i tedeschi imposero per tutto il mese di agosto i tempi della loro ritirata e gli Alleati, come i partigiani, li subirono. Il Ctln per giustificare l’errore strategico di aver portato la sua guerra tra le strade di Firenze, un fatto che produsse quasi un centinaio di vittime tra i partigiani e il doppio tra i civili, ha accusato i tedeschi di aver violato la loro città aperta, dimenticando che erano stati i britannici a puntare su Firenze per cui la Wehrmacht si era solo difesa da un’aggressione esterna. Un anno epocale come il 1944 è stato stravolto dalla retorica resistenziale. Nella realtà l’11 agosto per il popolo fiorentino fu l’inizio di settimane di sangue, di sete e di fame. I fiorentini dovettero mettere a rischio la vita per un pezzo di pane e un fiasco d’acqua perché gli inglesi, che controllavano gli impianti dell’Anconella e Mantignano, ignorarono gli appelli del cardinale e non mandarono acqua sulla riva destra dell’Arno attraverso i tubi rimasti intatti sotto la pescaia di S. Rosa. I giorni del post liberazione non furono radiosi come si sperava. Finite le scorte alimentari lasciate dai tedeschi, cominciarono le restrizioni: la razione giornaliera di pane diminuì invece di aumentare, come promesso dal presidente americano Roosevelt: passò da 200 a 150 gr per gli italiani, mentre rimase a 200 per gli stranieri. Così a settembre si videro immediatamente gli effetti della riduzione della razione giornaliera del pane e del peggioramento della sua qualità. Poiché ciò si accompagnò con la scomparsa della carne e il precipitare degli arrivi giornalieri di frutta (10 volte di meno) e ortaggi (20 volte di meno), i decessi tra i civili passarono dalla media di 400 a 1000. Se la battaglia agostana tra le strade di Firenze aveva causato la morte di circa 300 persone tra civili e partigiani, il dopoguerra gestito dai liberatori veri e presunti costò 20 morti al giorno in più tra i vecchi e i bambini. Se in autunno e in inverno «La Nazione del Popolo» non lanciò più alcun allarme c’è da pensare che la mortalità tra i più deboli fosse andata aumentando e non diminuendo. Infatti in autunno e in inverno i rifornimenti alimentari diminuirono e i prezzi aumentarono per molti prodotti che si potevano acquistare solo al mercato nero. Per rendersi conto della reale situazione alimentare, economica e sociale di Firenze nell’ultimo scorcio del 1944 bisogna leggere la relazione del console americano a Firenze. Quando il 15 novembre 1944 ci fu una protesta popolare di circa 250 donne che andarono a manifestare sotto le finestre di Palazzo Vecchio e palazzo Medici Riccardi per fare intendere ai politici italiani e ai governanti americani che si stava meglio quando si
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stava peggio, la stampa cittadina si guardò bene dal riportare la notizia. Non sappiamo se intervenne la censura americana ma propendiamo a pensare che i cinque partiti che dirigevano il quotidiano del Ctln, «La Nazione del Popolo», abbiano preferito autocensurarsi per ingraziarsi i vincitori. D’altra parte il cardinale e il Ctln non ebbero il coraggio di protestare con gli inglesi che si erano subito presentati non mandando l’acqua sulla riva destra occupata e che poi avevano spedito sulla prima linea del tracciato ferroviario-Mugnone le truppe di colore indiane. Quando poi successe quello che era largamente prevedibile, cioè che le truppe indiane stuprarono ragazze e donne in via De Amicis e strade traverse, non è rimasto traccia delle proteste del cardinale o del Ctln. Si hanno riscontri solo sul fatto che i due soggetti furono informati. Tutto è stato tenuto nascosto perché niente doveva turbare la favola dei radiosi giorni del dopo liberazione. Ripetiamo, più che a un intervento della censura alleata, crediamo all’auto censura dei giornalisti de «La Nazione del Popolo»: le nostre istituzioni ci hanno abituato ad avere paura della verità. Tutti sapevano che sulla riva destra dell’Arno la poca acqua potabile veniva dalle sorgenti di Cercina e dai pozzi del Girone e che, nonostante gli appelli tedeschi del 6 e del cardinale del 7 agosto, i rubinetti erano rimasti all’asciutto ma nessuno ha mai detto che la città era stata assetata dai nuovi occupanti. Qualcuno si è mai chiesto in questi settantadue anni come si comportarono gli inglesi dopo il secondo ritiro tedesco dell’11 agosto? Visto che dopo il 13 agosto i britannici portarono blindati e carri armati sulla linea del fuoco, sui viali di circonvallazione, alzando il livello dello scontro perché ci si meraviglia se i tedeschi cominciarono a usare i cannoni? Se gli attaccanti mettevano in campo armi pesanti, i tedeschi non fecero altro che adeguarsi alle scelte del nemico. Oppure si pretendeva che i tedeschi, per dimostrare la loro buona volontà, non si difendessero? Dunque la verità storica è stata regolarmente ribaltata per esigenze politiche. Per esempio, dal punto di vista militare, i terroristi fascisti vinsero la loro battaglia contro i partigiani: il 10 agosto i cecchini ritirarono la prima schiera dall’Oltrarno sfruttando i due tunnel sotto le pescaie di S. Nicolò e di Santa Rosa e poi, sempre sfruttando la rete fognaria, rispuntarono regolarmente alle spalle dei partigiani, nelle aree già “ripulite”. Il 16 agosto la rabbia dei garibaldini che soffrivano la battaglia asimmetrica dei fascisti fu resa esplicita dalla richiesta del commissario politico della divisione “Potente”, Danilo Dolfi, al Comando Unico partigiano perché gli Alleati autorizzassero la fucilazione di 10 supposti complici dei franchi tiratori o fascisti per ogni partigiano o civile ucciso e di 5 per ogni ferito grave. Da segnalare che
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neppure le rappresaglie nazifasciste prevedevano la fucilazione di cinque uomini per ogni ferito tedesco o italiano. Per ribaltare la storia non si poteva prescindere dalla demonizzazione dei nazisti, che nei fatti avevano cercato di salvare Firenze, e dalla esaltazione del cardinale. Il 25 aprile 1945 Dalla Costa pubblicò un opuscolo in cui si presentò come un promotore di Firenze città aperta, tant’è che lo intitolò Storia vera di Firenze città aperta. Il cardinale è proprio l’emblema di questa vicenda dove tutto è stato ribaltato dalle istituzioni: al cardinale che non era andato a Siena dal mar. Alexander per verificare se gli inglesi intendessero rispettare la città aperta, come richiesto da Kesserling il 5 luglio, il Consiglio comunale, espressione di quei partiti che avevano voluto la guerra civile in città, offrì subito la cittadinanza onoraria mettendolo insieme a chi aveva effettivamente operato per salvare Firenze. Il Ctln, che aveva portato in città partigiani male armati a combattere una battaglia persa in partenza, ha fatto credere di avere liberato la città mentre erano stati i tedeschi a rispettare il loro crono programma di graduale ritiro verso Fiesole. L’unico modo per nascondere la verità è ripetere all’infinito la stancante litania della città che si è liberata da sola. A settantadue anni dai fatti ci troviamo di fronte a una storia aggiustata. Kesselring, che aveva ricevuto il pesante riconoscimento da parte del primo ministro inglese Churchill, è stato criminalizzato mentre si è messa la sordina sul nome del maresciallo Alexander, il vero responsabile delle distruzioni nel centro di Firenze. A costui, palese violatore delle convenzioni internazionali, si possono far risalire tutte le gravi conseguenze del passaggio del fronte attraverso la città. Per quanto assolto dagli storici istituzionali italiani a lui si possono far risalire non solo le distruzioni, ma anche gli stupri, la fame e la sete di quell’agosto afoso. Purtroppo i veri liberatori anglo-americani si comportarono da conquistatori: i genieri inglesi trattarono i ruderi della Firenze medievale e del ponte S. Trinita come i vandali, portarono la città alla fame più nera così da umiliare i fiorentini a elemosinare dagli americani gli avanzi dei loro piatti. I filmati americani che mostrano le lunghe file di fiorentini che poggiavano ciotole e scodelle sui prati delle Cascine sono stati acquistati da noi e dalla Rai ma nessuno li ha ancora visti a Firenze. La verità sul 1944 è stata stravolta non perché la storia viene scritta dai vincitori ma da chi si atteggia a vincitore. Se nel 2016 Churchill è ancora ostracizzato a Firenze non è un buon segno dello stato della democrazia in Italia. Le istituzioni sono ancora impegnate ad aggiustare la storia secondo i loro interessi politici. Per far dimenticare che il 15 agosto gli Alleati erano stati costretti a disarmare i partigiani a causa delle esecuzioni sommarie da
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parte dei garibaldini, il governo centrale provvide a regalare a Firenze la medaglia d’oro al valor militare. Come in ogni guerra tutti persero ma la più sconfitta è stata la verità. Un esempio di questa affermazione è quanto è successo in questi giorni. Nel giugno 2016 la commissione presieduta da Sir John Chilcot ha stabilito che il primo ministro inglese Tony Blair ha avallato le prove false costruite dal presidente americano George W. Bush per scatenare la guerra in Iraq. A Firenze nel marzo 2016 abbiamo scritto alla direttrice del British Institute, Julia Race, chiedendo che fosse fatta una conferenza su quanto scritto su Firenze da Winston Churchill nel 1948. Non ci ha neppure risposto.