Charles Péguy. Non ti ho ancora detto tutto

LE STAFFETTE

le staffette collana digital native promossa dal Centro Culturale di Milano

Le prime copie stampate di un libro prendono, nel gergo tipografico, il nome di “copie staffetta” perché precedono quelle che saranno poi a disposizione dei lettori in libreria.

La collana «Staffette», promossa dal Centro Culturale di Milano, intende “consegnare” ai lettori, come l’atleta in una corsa sportiva passa il “testimone”, persone, artisti, scienziati, filosofi, scrittori che hanno accettato di percorrere la strada della cultura come ricerca del senso ultimo in ogni ambito del sapere.

Le «Staffette» saranno anche staffetta dalla tradizione del libro di carta, da possedere e collezionare, al libro digitale da scaricare in un click.

Charles PĂŠguy.

Non ti ho ancora detto tutto Nel centenario della morte a cura di Giampaolo Pignatari testi di Alain Finkelkraut, Luca Doninelli, Fabrice Hadjadi, Camillo Fornasieri, Flora Crescini, Hans Urs von Balthasar, Jean Danielou

SocietĂ

Editrice Fiorentina

© 2014 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it facebook account www.facebook.com/sefeditrice twitter account @sefeditrice isbn 978-88-6032-303-3 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata Copertina a cura di Studio Grafico Norfini (Firenze)

Indice

Introduzione

i. charles péguy 1872-1914. per la ricorrenza del centenario Il debito verso Péguy. Conoscenza e avvenimento di Alain Finkielkraut e Luca Doninelli Modernità contro modernismo di Fabrice Hadjadj ii. non si è parlato mai così cristiano di Camillo Fornasieri e Flora Crescini con testi inediti di Péguy e immagini iii. saggi e testimonianze Estetica e santità di Hans Urs von Balthasar Attualità di Charles Péguy di Jean Danielou Il suo posto nella letteratura Maurice Blanchot, Marcel Raymond, Henri Daniel Rops, Leo Spitzer, Giuseppe Ungaretti, Karl Vossler Note biografiche degli Autori Il curatore

Introduzione

«Péguy pone al centro della sua riflessione l’avvenimento, qualcosa che irrompe dall’esterno, di imprevisto: questo è il metodo supremo di conoscenza. L’uomo moderno rifiutando la realtà come si offre ai nostri occhi di carne, non tenta più di formarsi una ragione modellata sull’immagine del mondo, ma di costruire un mondo sull’immagine della ragione. L’esperienza viene abolita. Bisogna ridare all’avvenimento la sua dimensione ontologica di nuovo inizio».

Alain Finkielkraut Per questo leggiamo Péguy, per questo amiamo Péguy.

Questo volume, corredato da numerosi e autorevoli contributi, è ideato e composto a cura del Centro Culturale di Milano nell’anno del centenario della morte dello scrittore francese, 1914-2014, e si presenta quale occasione privilegiata per scoprire Péguy.

Il suo posto nella letteratura

maurice blanchot Il suo stile così sconcertante deriva in parte da questo ritmo che regolò i suoi pensieri. Ciò che si chiama ripetizione è solo il ritorno indefinito di una forma che cerca di farsi più ricca attraverso la sua insistenza, la sua unione con la durata, il fatto che si impone e trae da sé, a forza di pazienza e di tempo, altro più che se stessa. Quelle grandi pagine in cui le frasi girano e rigirano attorno a poche parole che colpiscono migliaia di volte, sono soltanto l’immagine di quell’appello all’avvenire di cui aveva fatto una delle proprie leggi; esse traboccano di un’attesa ostinata e implacabile maturano avanzando in un tempo quasi puro, si direbbe che la durata ha preso a carico quei due o tre periodi che talora compongono l’essenziale di un lungo sviluppo, che la sua missione è di confonderli nel suo movimento, di arricchirli mediante la creazione che rappresenta, per ottenere il frutto che sembrano incapaci di produrre. «Parole», dice Péguy, «io non vi lascerò identiche parole, e non vi darò requie finché avrete ancora qualcosa da dire. Noi non ti lasceremo, Signore, finché non ci abbia benedetto».

(Maurice Blanchot, La solitudine di Péguy, in Passi falsi, Milano, Garzanti, 1978, p. 305)

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marcel raymond Se è esatto che la poesia del XIX secolo ha trasmesso (…), secondo il detto di Giuseppe Ungaretti, una «speranza insaziata d’innocenza», si potrebbe dire che Péguy partecipa alla vita sotterranea del suo tempo. La miseria e la vecchiezza del mondo lo abbattono, e anche lui tenta di dar corpo a un sogno di esistenza paradisiaca. Ma la sua crociata è cristiana. Tutto il suo sforzo consisté nel resistere all’«invecchiamento», all’«indurimento» (all’abitudine, avrebbe detto il suo maestro Bergson) per tentare di ritrovare questa leggerezza e questa allegria sovrumana che dev’essere la salute. Quando egli si rivolge a Geneviève, la sua frase s’invola, aerea, liberata da ogni peso di colpa: Sainte qui rameniez tous le soirs au bercail Le troupeau tout entier, diligente bergère, Quand le monde et Paris viendront à fin de bail, Puissiez-vous d’un pas ferme et d’une main légère Dans la dernière cour par le dernier portail Ramener par la voûte et le double vantail Le troupeau tout entier à la droite du Père.

Questo mistico è anche un realista e un sensuale. I miracoli avvenuti, i misteri secreti, tutto ciò che accade oltre la portata dei nostri sensi, insomma non v’è riposo (e alle parole egli non lascia riposo) che non sia reso da lui presente e tangibile. Solo, egli ignora i segreti dell’alchimia poetica.

(Marcel Raymond, Paul Claudel cantore del mondo totale in Baudelaire al Surrealismo, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, 1968, p. 184)

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henri daniel rops Quando ci si avvicina al Péguy cristiano, sia che si tratti di un primo incontro, sia al termine di uno studio, si sente subito che si giunge al punto culminante di quell’essere: tutto sbocca nel suo cristianesimo: la sua esistenza sembra aver per polo la croce: il suo pensiero si completa nel dogma: le sue qualità si attuano intere nelle virtù teologali. Qui soprattutto importa resistere all’episodio, scartare l’ammasso di documenti, di cui diciott’anni di gloria hanno già costituito un sedimento. Del Péguy cristiano talvolta si è parlato in modo tutto esteriore, disegnando, sia pure con arte, la curva da lui tracciata intorno all’altare (è il miglior modo, perché in quella vita c’è tanto fervore che la semplice esposizione dei fatti è già per se stessa efficace); tal altra si è discusso pubblicamente la più segreta delle sue lotte. (…)

La sua «conversione» è essenzialmente un approfondimento; leggendo la sua opera (e in modo particolare Zangwill), lo si vede bene. È ritornato al cristianesimo per fedeltà a se stesso, e non solo all’essere individuale ch’egli era, ma a tutto ciò a cui si lega la persona umana: per fedeltà alla sua famiglia, alla sua razza, alla sua lingua, alla missione storica della sua patria. Per amore di realtà, e anche perché solo nella sua religione riusciva a placare il grande tormento, che lo assillava quando rivolgeva il pensiero al male e alla nostra comune complicità colla colpa. Il credente aggiungerà qui: perché il suo coraggio, la sua povertà, la sua vita intera avevano meritato che Dio lo chiamasse.

(Henri Daniel Rops, Il Cristiano in Charles Péguy, Brescia, Morcelliana, 1951, pp. 163-164)

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leo spitzer Se Péguy combatte la rigidità e la morte della morale, nella scienza e nella filosofia, allo stesso modo egli rifiuta ogni stile rigido, morto, fatalmente convenzionale, e invece lo allarga e lo arricchisce, e crea l’immagine di un movimento eternamente creatore. Ora ci rendiamo conto perché Péguy appartiene agli scrittori «motori», per dirla con Vossler, che trasformano la lingua, e non rifuggono, forse dal gusto bizzarro dell’originalità (non diverso era l’uomo Péguy: «nature ardente… mais anarchique, impulsive, orgueilleuse, solitaire, démesurément, confiante en elle même et en elle seule», Lasserre, p. 145): il logoro materiale della vita quotidiana non gli basta, egli vuole comunicare al suo stile un élan vital, e accrescere, elevare, portare all’estremo la normale espressività. Lo slancio del discorso che per via delle ripetizioni retoriche, questi elementi ritardanti, prorompe impetuosamente sulla corrente linguistica, urge e preme ancor più a causa della violenza del passato, «qui s’ensère dans l’avenir et l’entamant sans cesse» (Bergson). (…)

Lo stile di Péguy rispecchia dunque una tragica tensione fra le diverse direzioni del suo spirito. Una ispirazione popolaresca lotta, in lui, con quella dotta scolastica; un semplice misticismo con le sue tendenze intellettualistiche; la tensione della vita e della realtà con quella verso la verità, la distinzione e l’astrazione; il suo temperamento poetico con una natura polemica. Ed ecco che il suo stile accavalla un francese popolaresco a latinismi dotti, e mescola metafore ed enfasi, slancio verso la totalità e divisioni e partizioni atomizzanti, poesia e prosa. Péguy credeva di appartenere a una «génération sacrifiée», e ha «sacrificato» sia la coerenza del suo essere con quella del suo stile. Ma il

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lato più tragico di Péguy è che egli stesso ci ha insegnato le leggi, in base alle quali possiamo giudicarlo: Le profond et le mystérieux n’est pas forcément sombre et tourmenté. Rien n’est pur comme le pli du manteaux de la priére antique.

Péguy non raggiunge dunque con la sua lingua la naturale e perfetta purezza, senza pieghe e senza affanni, del sentimento mistico: la sua natura è troppo scientifica e razionalista per permetterglielo. (…)

Péguy non ha mai cercato nulla più ardentemente della verità (dire la vérité, tout la vérité, rien que la vérité…); ma la verità è nemica della vita, e porta con sé un atteggiamento più o meno ostile alla vita. Chi agogna la verità «misura», e secondo Bergson «misurare» è un criterio che porta lontani dalla corrente vitale. Péguy controlla continuamente le parole della lingua sulla sua nozione di verità, e a questo esame incessante e affannoso, che egli compie durante lo scrivere, partecipiamo anche noi. Anche se questa tensione verso la parola precisa infonde slancio alla prosa, i continui distinguo la incrostano di razionalità: i je ne sais pas – je pourrais même dire, si je puis dire sembrano come un contrattare e un ponderare l’espressione esatta, segno che la ragione non è stata colta di sorpresa. Lo scrittore è continuamente in guardia, attento a impedire che nel torrente verbale gli sfugga una parola falsa ed ingiusta, ed è cosciente dei suoi doveri di scrittore e, della sua responsabilità morale verso la parola.

(Leo Spitzer, Lo stile di Charles Péguy, in Marcel Proust e altri saggi di letteratura francese moderna, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, 1959, pp. 74-75)

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giuseppe ungaretti Quello stile pieno di zeppe di Péguy, che fa pensare, più che a similitudini marine, al modo, sotterraneo di moltiplicarsi di tuberi. Ciò che è profondo nello stile di Péguy, è la nozione della terra. Il che vale a dimostrare che, in arte, procedere da uno, appartenere a una data scuola, o che so io, non conta nulla. La natura dell’individuo, immancabilmente prevale.

(Giuseppe Ungaretti, Lo stile di Bergson [1924], in Vita d’un uomo. Saggi e interventi, Milano, Mondadori, p. 87) karl vossler «I movimenti del suo stile avvengo per via di permutazioni successive. A spinte e a scosse, la frase penetra nel cervello di chi legge. Di norma, la seconda espressione non fa che mutare e correggere la prima, e segna la direzione nella quale lo scrittore tenta una sortita oltre i confini di quest’ultima, di modo che la tensione espressionistica penetra impressionisticamente nella sensibilità del lettore. La premessa stilistica per queste continue permutazioni è una ripetizione altrettanto uniforme ed accentuata. Per mezzo di questa volontaria fatica linguistica, le parole vengono accentuate e innalzate di tono. Péguy le strappa dal loro naturale ed universale senso linguistico per trasferirle in una sfera affatto personale. Je puis diventa je dois; années, periode de vie; seul, dernier; ami, confident; contrebande, littéraire; saboter, dénaturer; méconnaître, inconnaître, empolitiquer; idée, sentiment, expérience, épreuve, connaissance; échangé, mutuel, parfait; désillusion, désabusement. Si può

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toccare con mano come, attraverso queste permutazioni linguistiche, lo scrittore tenti nuove strade e cerchi di rendere assolutamente personale il proprio pensiero linguistico sfuggendo ad ogni convenzione».

(Citato in Leo Spitzer, Lo stile di Charles Péguy, in Marcel Proust e altri saggi di letteratura francese moderna, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, 1959, pp. 74-75)

Note biografiche degli Autori

flora crescini Docente di Letteratura italiana, traduttrice, della redazione del Centro Culturale di Milano. Collabora con il mensile «Tracce» e con diverse case editrici. jean danielou (1905-1974) Teologo francese, entra nella Compagnia di Gesù nel 1929. Docente presso l’Institut Catholique a Parigi, nominato Cardinale nel 1969 viene eletto nel 1972 all’Acadèmie française e nello stesso anno diviene Socio straniero dei Lincei. Figura centrale nel rinnovamento teologico degli anni Cinquanta, affrontò nei suoi numerosi studi il rapporto tra natura, grazia e libertà dell’individuo, l’immutabilità della verità, la relazione tra la fede e la cultura contemporanea, la Bibbia, la Storia della Chiesa. luca doninelli Luca Doninelli è critico teatrale, giornalista di importanti testate, narratore, docente di Etnografia narrativa presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Tra i suoi romanzi più importanti citiamo La revoca (Premio Campiello), La Mano (divenuto spettacolo teatrale) e i racconti Le decorose memorie (Supervincitore del Premio Grinzane Cavour). Fa parte del Comitato Scientifico del Centro Culturale di Milano, dirige la Scuola di Scrittura

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“Flannery O’ Connor”, cura la Collana “Le Nuove meraviglie di Milano”. alain finkielkraut Docente di Cultura generale e Storia delle idee al dipartimento di Scienze umanistiche e sociali dell’Ècole Polytechnique. Ideatore e conduttore della trasmissione radiofonica “Repliques” su France Culture. Fra le sue opere in italiano L’ebreo immaginario, L’umanità perduta.

Saggio sul XX secolo, Nel nome dell’altro. Riflessioni sull’antisemitismo che viene, Noi i moderni, Donaci un cuore intelligente e in particolare sulla figura di Péguy, L’incontemporaneo. Di recente è stato nominato Membro della prestigiosa Académie Française. camillo fornasieri Direttore del Centro Culturale di Milano, nato e cresciuto a Milano in una numerosa famiglia di professori, artisti e musicisti, è manager e ideatore di eventi culturali, letterari, scientifici, storici e curatore di arte contemporanea.

Presidente e Consigliere Delegato per l’Arte e la Cultura della Fondazione Stelline. fabrice hadjadj Scrittore e filosofo francese di genitori tunisini. Dopo un periodo anarchico e nichilista giovanile, approda al cristianesimo nel 1998, nella chiesa di Saint Séverin nel centro di Parigi.

Da questo cambiamento spirituale e umano prende nuovo vigore lo studio intellettuale con saggi di natura filosofica e letteraria. Nel 2009 vince il Prix du Cercle Montherlant - Académie des Beaux-Arts e nel 2010 il Prix de littérature religieuse. Fra le sue opere in italiano Mistica della carne. La

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profondità dei sessi, La fede dei demoni, Che cos’è la verità, Giob\be o la tortura degli amici. Attualmente insegna filosofia e letteratura a Tolone ed è Direttore dell’Istituto Philantropos. Institut européen d’études anthropologiques a Friburgo. hans urs von balthasar (1905-1988) Teologo e filosofo costituisce una delle menti più vive del nostro tempo. Entra nella Compagnia di Gesù e viene ordinato sacerdote nel 1936. Importanti e fondamentali gli studi sulla Chiesa, benché alcune sue posizioni siano a suo tempo state contestate. Riabilitato, riceve il premio Paolo VI per la teologia ed è considerato uno dei precursori del Concilio Vaticano II benché non sia stato invito a parteciparvi. Nominato cardinale nel 1988 da papa Giovanni Paolo II. Numerosissimi i suoi libri, tra cui ricordiamo la monumentale trilogia: Gloria. Un’estetica teologica; Teo-drammatica e Teo-logica edita da Jaca Book che pubblica l’Opera Omnia.

Il curatore

giampaolo pignatari Giornalista pubblicista, ha collaborato a varie riviste e ha pubblicato interventi critici riguardanti la letteratura italiana in specie contemporanea, la didattica e la metodologia di scrittura. Ha inoltre curato la realizzazione di mostre presso la Biblioteca Comunale di Milano.

Docente presso il Liceo Scientifico dell’Istituto Leone XIII, attualmente collabora con il Centro Culturale di Milano. Per la Sef ha curato la pubblicazione di Dante.

Inquietudine e certezza.