dorso 14 mm
Biblioteca Palazzeschi
BP
Biblioteca Palazzeschi
15
Per Lanfranco Caretti
Centro di Studi «Aldo Palazzeschi»
€ 35,00
Per Lanfranco Caretti Gli allievi nel centenario della nascita 1915-2015 a cura di Riccardo Bruscagli e Gino Tellini
15 15
università degli studi di firenze dipartimento di lettere e filosofia
Biblioteca Palazzeschi
Collana coordinata dal Consiglio Direttivo del Centro di Studi «Aldo Palazzeschi»
15
Per Lanfranco Caretti Gli allievi nel centenario della nascita 1915-2015 a cura di
Riccardo Bruscagli e Gino Tellini
SocietĂ
Editrice Fiorentina
© 2016 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it isbn: 978-88-6032-383-5 issn: 2036-3516 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata Copertina: Filippo De Pisis, Natura morta con vaso di fiori (1930-1931), olio su tela, Firenze, Museo Novecento (proprietà Università di Firenze)
indice
Premessa dei curatori Le opere e i giorni Autoritratto Album biografico
ix xiii xix xxi
per lanfranco caretti alba andreini, Il mondo di Caretti 3 Laura Barile, L’antologia e il libro di poesia. Qualche nota sulle «Poesie scelte» di Vittorio Sereni a cura di Caretti 13 Roberto Bigazzi, Il Sessantotto di Caretti
29
Arnaldo Bruni, Per «I promessi sposi» nel ricordo delle lezioni di Caretti 35 Riccardo Bruscagli, L’Ariosto di Caretti 51 Antonio Corsaro, Leggere Caretti in classe 65 Renzo Cremante, Sodalizi di provincia: Angelini e Serra (e Caretti) 71 Laura Desideri, Caretti, Bonsanti e il Vieusseux 83 Alessandro Duranti, Quel «Trovatore» del Trentatré 97 Roberto Fedi, Buoni maestri 107
Siro Ferrone, Caro Professore 109 Francesco Fioretti, «Decameron» e marrons glacés 113 Stefano Giovannuzzi, Caretti militante: gli anni del «Nuovo Corriere» 117 Filippo Grazzini, «Filologia e critica» (1952) e i suoi primi lettori 125 Vincenzo Guercio, La scuola di Caretti 165 Elena Gurrieri, Ricordi 171 Paola Luciani, Le correzioni di Caretti 175 Giorgio Masi, Caretti, Cattolica, Bassani: la persona e il personaggio 179 Andrea Matucci, Leopardi era un “tombeur de femmes” 187 Marzia Minutelli, Cartone per un ritratto di Caretti poeta 191 Giuseppe Nava, Caretti interprete di Manzoni 215 Giuseppe Nicoletti, Il Parini di Caretti 225 Corrado Pestelli, Su Caretti studioso di Parini 237 Marzia Pieri, “Minima personalia” dagli anni Settanta 273 †giovanna rabitti, Filologia e critica 281 gino tellini, Corrispondenza con Aldo Palazzeschi 297 Luca Toschi, Una filologia da battaglia 313 Album bibliografico 321 Gli autori 351 Indice dei nomi 363
premessa dei curatori
Già nel 1985, nel momento in cui, con il compiersi dei suoi settant’anni, Lanfranco Caretti lasciava l’insegnamento universitario per andare – come allora si diceva, e le norme prevedevano – “fuori ruolo”, gli allievi allestirono una miscellanea in onore del Maestro: ne uscirono i due imponenti tomi dal titolo Studi di filologia e critica offerti dagli allievi a Lanfranco Caretti, di complessive 952 pagine, un’impresa (senza Tabula gratulatoria, per espressa e categorica volontà del festeggiato) resa possibile dalla devota generosità del direttore della Salerno Editrice, Enrico Malato. L’opera fu presentata all’Accademia Fiorentina della Colombaria, mercoledì 16 aprile 1986, insieme con il numero speciale della rivista «Filologia e Critica» (Omaggio a Lanfranco Caretti, x, fascicoli i-iii, maggio-dicembre 1985, pp. 552), anch’esso dedicato – doverosamente, si direbbe – al “trovatore” geniale del binomio poi divenuto il titolo stesso della rivista. In quella data, presentatori d’eccezione furono Eugenio Garin, Giuliano Innamorati, Giorgio Luti, Claudio Varese: ebbe ben ragione Caretti, nella sua cordiale replica, a definirsi «un uomo fortunato», attorniato com’era nella sua robusta e sempreverde terza età da tanta dovizia di colleghi-amici, e da una corona nutrita di allievi, allora nel primo rigoglio della loro piena assunzione di responsabilità accademiche. Adesso, a trent’anni di distanza da quel festoso pomeriggio, i colleghi-amici non ci sono più, e molti di quegli allievi sono essi stessi sul punto di lasciare l’insegnamento, o l’hanno già lasciato. Pure, questo volume che si offre alla memoria del nostro Maestro, nel centenario della nascita, non vorrebbe essere solo un album devoto alla
x premessa dei curatori
nostalgia e al ricordo di un personaggio che, nella vita e nella carriera degli scriventi, ha lasciato un segno sicuramente indelebile. È ben vero che, organizzando Per Lanfranco Caretti. Gli allievi nel centenario della nascita 1915-2015, non si è voluta replicare l’impresa del 1985, e si sono lasciati i contributori pienamente liberi di scegliere tra il ricordo personale o lo scritto di carattere critico, pur sempre direttamente legato però agli autori e ai temi che hanno caratterizzato il magistero carettiano. Ma, nell’un caso come nell’altro, che si tratti di rievocare l’epoca gloriosa dei seminari del Maestro, o il suo modo di condurre le tesi, o di riprendere in esame il suo Ariosto, il suo Parini, il suo Manzoni, il suo Sereni, o che si facciano riemergere contatti e amicizie preziose (con Aldo Palazzeschi per esempio, o con Alessandro Bonsanti), sta di fatto che il presente volume vuol essere l’occasione per rimeditare e riflettere a distanza, liberamente, ciascuno di noi a propria scelta, sulla figura e l’opera di Lanfranco Caretti. Rimeditare, avendo attraversato di persona l’esperienza ormai annosa della ricerca e dell’insegnamento, il significato della sua eredità umana e intellettuale; saggiare la resistenza del suo metodo e delle sue acquisizioni interpretative; vedere se e quanto, dai marosi delle infatuazioni critico-metodologiche di questi decenni che ci separano da quella miscellanea del 1985, ancora galleggia, ancora è attuale e produttivo, del magistero di Caretti. Si vedrà così che qualcuno, in questo volume, si sofferma a soppesare l’effetto durevole di una pedagogia severa, e talvolta difficile da negoziare; altri, a valutare la persistente originalità di certe posizioni critiche e di certe posture di lettura e di metodo. Ma in tutti quelli che hanno accettato di tornare, in un modo o nell’altro, a ripensare la propria esperienza di “carettiani”, possiamo dire con qualche sicurezza che si è fatto strada lo stesso pensiero. Senza maestri, senza una scuola, senza una palestra, senza l’apprendistato di bottega presso chi, in quel momento, ne sa più di te, non si fa cultura, e non si costruisce una vera ricerca. Stare a bottega, e accettare il ruolo dell’apprendista, può essere duro e faticoso, talvolta anche penoso: ma è proprio questo esercizio che insegna un mestiere, e che distingue i maestri dagli intellettuali brillanti, in fuga solitaria dietro l’ultimo verbo della critica alla moda. Anche questi intellettuali, beninteso, hanno la loro ben riconosciuta funzione, in una società culturalmente viva; ma, crediamo, non è propriamente la funzione che più si addice alle aule universitarie.
premessa dei curatori xi
Se questo volume vede la luce in una collana del Centro di Studi «Aldo Palazzeschi», il motivo non è occasionale. Anzi, è scelta dovuta. Infatti è stato Caretti che nel 1989, nell’allora Facoltà di Lettere e Filosofia, ha voluto costituire una Commissione di cinque docenti con l’incarico di regolamentare le iniziative legate alla gestione del patrimonio lasciato in eredità da Palazzeschi all’Università fiorentina. La Commissione, a distanza di quindici anni dalla morte dello scrittore, nasceva dal bisogno di mettere ordine, secondo un programma condiviso, nell’amministrazione di quell’eredità. Mettere ordine e, insieme, non lasciare nell’inerzia, ma attivamente promuovere la valorizzazione di quelle sostanze. Si deve a Caretti, la presenza di un suo allievo nella cosiddetta Commissione Palazzeschi, per iniziativa del quale, dopo laboriose vicissitudini burocratiche, è stato fondato nel 1999 il Centro di Studi «Aldo Palazzeschi». Il volume che qui si presenta è corredato di due inserti iconografici. Il primo, Album biografico, precede i contributi degli allievi e contiene alcune foto di Caretti, provenienti dal Fondo conservato nella Biblioteca Ariostea di Ferrara (si ringrazia Angela Ammirati per la cortese collaborazione)1. Il secondo inserto, Album bibliografico, è posto dopo i contributi degli allievi e documenta copertine o frontespizi di talune voci d’una bibliografia ben altrimenti ricca e articolata (per le foto, si ringrazia Roberto Cinotti del Centro Palazzeschi). Prima dell’Album biografico si possono leggere alcune essenziali notizie informative sul Maestro: Le opere e i giorni e Autoritratto2. Un grazie cordiale, per l’allestimento redazionale, va all’amico Alessandro Duranti. riccardo bruscagli gino tellini Firenze, 5 giugno 2016 1 Del Fondo Caretti si dispone ora dell’inventario a stampa: Il Fondo Lanfranco Caretti, a cura di Angela Ammirati, Ferrara, Comune di Ferrara, Biblioteca Ariostea, 2015, pp. 306. Cfr. anche Enrico Spinelli, Lanfranco Caretti: i suoi libri e le carte alla Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara, in «Bibliotheca. Rivista di studi bibliografici», iv, 2, 2005, pp. 19-27. 2 Con Le opere e i giorni si ripropone, con qualche integrazione, la Notizia biografica, in Bibliografia degli scritti di Lanfranco Caretti, a cura di Riccardo Bruscagli e Gino Tellini, Premessa di Sebastiano Timpanaro, Roma, Bulzoni, 1996, pp. 169-173. L’Autoritratto riproduce la pagina, senza titolo, in Ritratti su misura di scrittori italiani, a cura di Elio Filippo Accrocca, Venezia, Sodalizio del Libro, 1960, pp. 118-119.
le opere e i giorni
Lanfranco Caretti è nato a Ferrara il 3 luglio 1915, in corso Porta Po 60, nel rione di S. Benedetto, nei pressi di via Mirasole, dov’è la casa dell’Ariosto. I genitori: Renato Caretti, ferrarese del contado, laureato in legge, dirigente del locale Consorzio Idraulico; Antonietta Neri, di ascendenza toscana (Campiglia Marittima), insegnante di Lingua francese. Dopo la maturità conseguita nel liceo classico «Ariosto» della sua città, frequenta dal 1934 a Bologna la Facoltà di Lettere e Filosofia, avendo maestri, tra gli altri, Roberto Longhi, Rodolfo Mondolfo, Carlo Calcaterra. Laureatosi in Letteratura italiana nell’autunno del 1938 con una tesi sull’edizione delle lettere di Olimpia Morata, l’anno successivo è docente ordinario di Italiano e Latino nel suo liceo ferrarese. Il 1° luglio dello stesso 1939 sposa Vittorina Sarasini, di ascendenza veneta. Vinto il concorso alla Crusca (come già negli anni precedenti Gianfranco Contini e Vittore Branca), viene comandato presso il Centro di Studi di Filologia Italiana fondato da Michele Barbi, e nella primavera del 1940 si stabilisce a Firenze. Il direttore del Centro, Luigi Foscolo Benedetto, gli affida l’edizione delle Rime del Tasso, a cui attende fino al 1942, contemporaneamente prestando opera di assistente volontario nella fiorentina Facoltà di Magistero, presso la cattedra di Letteratura italiana di Francesco Maggini. Nell’autunno del 1942 viene richiamato alle armi. L’8 settembre 1943 lo trova in Sardegna: da quella data fino all’agosto 1945 milita, per persuasa scelta, come ufficiale nell’esercito di liberazione. Nell’ottobre del 1945 riprende l’insegnamento a Ferrara presso il liceo «Ariosto», in attesa della riapertura della Crusca. Nel 1946 ri-
xiv le opere e i giorni
torna alle Rime del Tasso e nel 1947 è in grado di pubblicare il progetto Per una nuova edizione delle Rime di Torquato Tasso, presso l’Accademia del Lincei. Stabilitosi di nuovo a Firenze, insegna dal 1946 al 1949 al liceo scientifico «Leonardo da Vinci» (avendo colleghi, fra gli altri, Eugenio Garin, Raffaele Ciampini, Mario Luzi); nel 1948 consegue la libera docenza; dal 1949 al 1951 riprende servizio presso la Crusca nuovamente riaperta. Intanto, e fino al 1951, collabora alla guida e discussione di tesi con Giuseppe De Robertis e Attilio Momigliano presso la Facoltà di Lettere, a San Marco. E De Robertis e Giorgio Pasquali sono, in questo periodo fiorentino, come già Michele Barbi e Luigi Foscolo Benedetto, i maestri più assidui del giovane Caretti. Dal 1949 al 1956 firma regolarmente la rubrica Critica e filologia su «Il Nuovo Corriere» di Romano Bilenchi. Un’analoga rubrica tiene dal 1950 al 1953 su «Letteratura» e dal 1952 al 1977 su «L’Approdo letterario». Tra il 1950 e il 1951, escono i tre suoi primi libri saggistici: Studi sulle Rime del Tasso (Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1950, 19732), Studi e ricerche di letteratura italiana (Firenze, La Nuova Italia, 1951, con scritti su Dante, Sacchetti, Olimpia Morata, Della Casa, Angelo Di Costanzo, Alfieri, Foscolo) e, per mediazione di Benedetto Croce, il Saggio sul Sacchetti (Bari, Laterza, 1951, poi Roma, Bulzoni, 19782). Nel 1951, trentaseienne, vince il concorso universitario. Nel 19511952 è incaricato di Letteratura italiana a Urbino (suoi assistenti sono Piero Camporesi e Neuro Bonifazi). Nella primavera del 1952 viene chiamato a Pavia, sulla cattedra di Letteratura italiana (ma per brevi periodi, e per incarico, insegna anche Storia della lingua e Letteratura italiana moderna e contemporanea). Per due anni, dal 1956 al 1958, tiene il corso di Storia della Poesia per Musica nel Medioevo, presso la Scuola di Paleografia Musicale dell’Università di Parma. Il 17 novembre 1952 pronuncia la prolusione pavese, a stampa con il titolo emblematico di Filologia e critica. La sua saggistica è soprattutto orientata verso questioni di filologia e di tradizione testuale, correlando dinamicamente analisi tecnica e periodizzazione cronologica, arte e storia, ideologia e stile: così per il Giorno di Parini (Nota sul testo del «Giorno», in «Studi di filologia italiana», 1951; dello stesso anno è anche l’introduzione alle Poesie e prose. Con appendice di poeti satirici e didascalici del Settecento, Milano-Napoli, Ricciardi), così per l’Ariosto (del 1954 è l’introduzione al volume ii delle Opere, Milano-Napoli,
le opere e i giorni xv
Ricciardi), così per il Tasso (del 1957 è l’introduzione al volume i delle Opere, Milano, Mondadori), così per l’Alfieri, di cui intraprende l’edizione dell’Epistolario per il Centro Nazionale di Studi Alfieriani (il primo volume esce nel 1963, nel 1981 il secondo, il terzo ed ultimo segue nel 1989: preceduti, e fiancheggiati, da una fitta schiera di interventi critici e filologici, solo in parte raccolti in Il “fidato” Elia e altre note alfieriane, Padova, Liviana, 1961), così per Manzoni (del 1962 è l’edizione delle Opere, Milano, Mursia, poi 19732). La sua bibliografia, nel periodo pavese, si incrementa con Parini e la critica (Firenze, La Nuova Italia, 1953, 19702), Avviamento allo studio della letteratura italiana (Firenze, La Nuova Italia, 1953), Filologia e critica (Milano-Napoli, Ricciardi, 1955, con interventi su Dante, Ariosto, Della Casa, Tasso, Parini, Alfieri, Giacomo Devoto, Giorgio Pasquali). Gli studi ariosteschi e tassiani sono riuniti nel fortunatissimo Ariosto e Tasso (Torino, Einaudi, 1961 e sgg.), mentre nuove indagini confluiscono in Dante, Manzoni e altri studi (Milano-Napoli, Ricciardi, 1964: Dante, Pontormo, Alfieri, Manzoni, Pascoli, «La Ronda», Erich Auerbach, Giuseppe De Robertis). Nel 1964, accettando la chiamata della Facoltà di Lettere sulla cattedra già di Attilio Momigliano e di Giuseppe De Robertis, e poi di Walter Binni, Caretti si rifà fiorentino, e riannoda i legami con l’ambiente intellettuale e accademico della città. Dopo i dodici anni pavesi, prende definitiva dimora a Firenze, con la moglie e i tre figli (Laura, Paolo, Stefano). Tiene corsi e seminari su Sacchetti e la novellistica del Trecento, Ariosto, Machiavelli, Tasso, Goldoni, Foscolo, Manzoni, Pascoli; dedica il seminario per laureandi alla poesia e alla prosa del Novecento (D’Annunzio, Svevo, Gadda, Montale, Gozzano, Saba, Ungaretti, Solmi, Sereni, la Neoavanguardia). Nel 1969 prende viva parte alla ristrutturazione didattica della Facoltà, che avvia di fatto la sperimentazione poi formalmente autorizzata dal Ministero. Nominato, in rappresentanza dell’Università, tra i membri del Consiglio di Amministrazione del Vieusseux, è a fianco del direttore e amico Alessandro Bonsanti (fino alla sua scomparsa nel 1984) e promuove, tra le altre iniziative, il convegno su Aldo Palazzeschi nel 1976, su Giuseppe De Robertis nel 1983, su Giorgio Pasquali nel 1985. Nell’ottobre 1977, in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria fiorentina a Montale, pronuncia in Palazzo Vecchio, presente il poeta, la relazione ufficiale Montale a Firenze.
xvi le opere e i giorni
Scrive su Foscolo (Ugo Foscolo, nella Storia della letteratura italiana, diretta da Cecchi e Sapegno per Garzanti, 1969), su Machiavelli (Machiavelli scrittore, 1970) e ancora su Manzoni (Manzoni e la critica, Bari, Laterza, 1969 e sgg.; Romanzo di un romanzo, introduzione al Fermo e Lucia e all’edizione interlineare dei Promessi sposi, Torino, Einaudi 1971, 2 voll., poi, con altre cose manzoniane, nel sempre ristampato Manzoni. Ideologia e stile, ivi, 1972 e sgg.; edizione della Storia della colonna infame, Milano, Mursia, 1973). Ma anche torna con strenua fedeltà ai suoi classici prediletti, ai grandi personaggi della sua Ferrara: Ariosto (Codicillo, 1974; Autoritratto ariostesco, 1974; Storia dei Cinque canti, 1974) e più tardi Tasso (edizioni delle Rime ‘eteree’, 1990, del Gierusalemme, 1993 e della Lettera dalla Francia, 1995). Nel 1972 commemora Pasquali, a venti anni dalla morte, raccogliendo in volume testimonianze di scolari e sodali del maestro (Per Giorgio Pasquali. Studi e testimonianze, Pisa, Nistri-Lischi, 1972). Continua al tempo stesso a coltivare un proprio selettivo Novecento, con edizioni e letture dedicate a Sereni, Solmi, Govoni, nonché con altri interventi (da Palazzeschi a Michelstaedter, da Campana a Gadda, da Pea a Rebora, da Bilenchi a Landolfi, poi Croce e Vossler, Spitzer e Contini, Gramsci e Sapegno, Terracini e Segre) solo in parte raccolti nel volume Sul Novecento (Pisa, NistriLischi, 1976). Con il titolo Antichi e moderni. Studi di letteratura italiana esce nel 1976, presso Einaudi, un’ampia silloge della sua attività di critico e di filologo, da Dante ai contemporanei. Ma non va dimenticato il “divertimento” di Lingua e sport (Firenze, Nuovedizioni Vallecchi, 1973), legato alle passioni meno accademiche, ma quasi altrettanto seriamente e non intellettualisticamente perseguite, del Caretti calciatore e tennista (memorabili gli incontri giovanili, al circolo Marfisa di Ferrara, con Giorgio Bassani e Michelangelo Antonioni). Nel 1985, per raggiunti limiti di età, è collocato fuori ruolo e gli succede l’allievo Gino Tellini. Intanto nuove ricerche novecentesche sono raccolte in Montale, e altri (Napoli, Morano, 1987: oltre a Montale, Saba, Bacchelli, Solmi, Sereni, Svevo, Cecchi, Bonsanti, Pasquali, «Il Nuovo Corriere», Giovanni Macchia, Ludovico Zorzi, anche ricordi e memorie ferraresi). Collocato a riposo nel 1990, gli è conferito nel 1991 dal Ministero della Pubblica Istruzione il titolo di Professore emerito dell’Università di Firenze.
le opere e i giorni xvii
Ha diretto i «Classici italiani» dell’editore Sansoni e la «Collana dei classici italiani» della Minerva Italica. Dal 1963 è condirettore, con Cesare Segre, della collana «Critica e Filologia» dell’editore Feltrinelli e dal 1965 dirige i «Saggi di varia umanità» dell’editore NistriLischi. Nominato nel 1976 Socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei, è dal 1986 Socio nazionale. Dal 1964 è tornato a vivere a Firenze, prima in via delle Mantellate 8, e dal 1970 in via Carducci 20, nel quartiere di S. Ambrogio. Lanfranco Caretti è morto a Firenze il pomeriggio di sabato 4 novembre 1995. È stato sepolto il 6 novembre nella Certosa della sua Ferrara.
autoritratto
Nato a Ferrara il 3 luglio 1915. Ariosto e Tasso, personaggi di casa: solo più tardi oggetto di “meditazione” critica. Ginnasio e Liceo a Ferrara: letture, calcio e tennis. Due amici che hanno fatto strada: Giorgio Bassani e Michelangelo Antonioni. Università a Bologna: facoltà di lettere. Utilità scarsa (eccezioni: Longhi e Mondolfo), epperò servizio militare ad anni ventuno senza rinvio. Scopo: guadagnar tempo! Tra i quindici e venti anni, poesie d’amore (trascrizione autobiografica). Pubblicate nel 1939 per demònica suggestione del ferrarese Ravegnani. Sergio Solmi le loda in un «Tesoretto», ma non mi inganna. Da allora più nessun peccato del genere. Laurea nel 1938 (sempre Ferrara, nella persona di Olimpia Morata riformata del ’500, cara al Foscolo). Nel 1939, cattedra nei licei e matrimonio con la paziente vittima delle predette poesie. Nel 1940, a Firenze: Accademia della Crusca, e apprendistato filologico. Incontri determinanti: Barbi, De Robertis, Foscolo Benedetto e Pasquali. Amicizia con Bigongiari, Bilenchi, Bo, Luzi, Parronchi, Pratolini. «Letteratura» e Giubbe Rosse (ma con discrezione). Deambulazioni notturne con don Peppino (De Robertis). Dal 1942, alle armi senza entusiasmo. Ma dall’8 settembre 1943 all’agosto 1945 con l’esercito di liberazione per persuasa scelta. Di nuovo a Ferrara, con moglie e tre figli, e quindi a Firenze (1947-1952). Ancora filologia (Tasso) e critica (Sacchetti, Della Casa, Parini). Collaborazione, rimpianta, al «Nuovo Corriere» di Bilenchi. Nel 1948, libero docente; e nel 1952 (per somma benignità dei giudici) vincitore di cattedra universitaria. Breve incarico a Urbino (con Bo, Traverso…) e quindi stabilmente a Pavia, cattedra di letteratura italiana all’Università. E qui dimoro e dimorerò sino a che gli dei disporranno, con mia piena letizia.
xx autoritratto
Sempre «filologia e critica» (una sorta di emblema!), dialetticamente (a farcela, s’intende!). Tasso e Ariosto, Parini e Alfieri, e da ultimo Manzoni. E anche i “moderni”, specie coi giovani studenti a tenere vivi gli interessi militanti. Due premi (esigui di peso, ma sentimentalmente cari) a Ferrara, fondazione Niccolini. Viaggi in Polonia, Svizzera, Francia e Inghilterra, per lezioni e conferenze universitarie. Il tutto un po’ superfluo, se si eccettuano le private avventure, il libero gioco delle scoperte personali. Preferite le opere ancora da scrivere. Di quelle passate, forse salvabili le pagine su Sacchetti, Ariosto e Tasso. L’ambizione è verso una critica veramente “storica”, tecnicamente provveduta, organica. Perciò tornano utili anche gli strumenti empirici (senza riluttanza né feticismo). A chi mi rimprovera d’essere troppo filologo, rispondo che, ahimè, lo sono troppo poco. E forse si vede! Ma il nostro è un paese di geniali ed effusivi inventori; ed io invece credo molto al mestiere, alla modesta pratica di bottega. De Robertis mi ha iperbolicamente definito «un asso per sbrogliare matasse filologiche». Vorrei esserlo veramente, ma per mettere un po’ d’ordine negli accadimenti della mia coscienza molto turbata di dovere vegetare in una società che francamente non mi è molto simpatica.