Le carte della propositura di S. Stefano di Prato. II. 1201-1300

Page 1

le carte della propositura di s. stefano di prato ii 1201-1300 a cura di Renzo Fantappiè



le carte della propositura di s. stefano di prato ii 1201-1300 a cura di Renzo Fantappiè

Società

Editrice Fiorentina


La pubblicazione è stata realizzata grazie al contributo concesso dalla Direzione generale Educazione, ricerca e istituti culturali del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo

Col contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Prato

© 2022 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it isbn: 978-88-6032-643-0 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata


TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI

Sigle ACF = Archivio Capitolare di Firenze ADP = Archivio Diocesano di Prato ADPI = Archivio Diocesano di Pisa ASF = Archivio di Stato di Firenze ASL = Archivio di Stato di Lucca ASP = Archivio di Stato di Prato ASPI = Archivio di Stato di Pisa ASPT = Archivio di Stato di Pistoia ASS = Archivio di Stato di Siena ASV = Archivio Segreto Vaticano AVV = Archivio Vescovile di Volterra BCSG = Biblioteca Comunale di S. Gimignano BR = Biblioteca Roncioniana di Prato Abbreviazioni usate per le opere manoscritte Sp. Casotti = G. B. Casotti, Spoglio di cartepecore appartenenti alla propositura di Prato che si conservano nell’archivio del Ser.mo Principe Francesco Maria di Toscana, ms. n. 59 (Q’.IV.36), Biblioteca Roncioniana di Prato. Abbreviazioni usate per le opere a stampa L’Archivio del Capitolo = L’Archivio del Capitolo della Cattedrale di Prato (sec. XI-XX), inventario a cura di L. Bandini e R. Fantappiè, Prato, Società pratese di storia patria, 1984. G. Bologni, Lo spedale della Misericordia = G. Bologni, Lo spedale della Misericordia, Signa, Masso delle Fate, 1995.

• v •


Le carte della propositura = Le carte della propositura di S. Stefano di Prato. I, 1006-1200, a cura di R. Fantappiè, Firenze, Olschki, 1977. Le carte del monastero di S. Bartolomeo di Pistoia = Le carte del monastero di S. Bartolomeo di Pistoia (726-1200), a cura di R. Fantappiè, Prato, Società pratese di storia patria, 2020. Le carte del monastero di S. Martino di Coiano = Le carte del monastero di S. Martino di Coiano, 1159-1464, a cura di R. Fantappiè, Prato, Società pratese di storia patria, 1982. Le carte del monastero di S. Salvatore di Vaiano = Le carte del monastero di S. Salvatore di Vaiano, 1119-1260, a cura di R. Fantappiè, Prato, Società pratese di storia patria, 1984. Consigli del Comune di Prato = Consigli del Comune di Prato, 15 ottobre 1252-24 febbraio 1285, a cura di R. Piattoli, Bologna, Zanichelli, 1940. R. Davidsohn, Forschungen = R. Davidsohn, Forschungen zur alteren Geschichte von Florenz, Berlin, Mittler und Sohn, 1896-1908. R. Davidsohn, Storia di Firenze = R. Davidsohn, Storia di Firenze, traduzione di G. B. Klein, rivista da R. Palmarocchi; introduzione di E. Sestan, Firenze, Sansoni, 1956-1968. Documenti dell’antica costituzione = Documenti dell’antica costituzione del comune di Firenze, a cura di P. Santini, Firenze, Vieusseux, 1895. R. Fantappiè, La chiesa di San Giovanni Forcivitas = R. Fantappiè, La chiesa di San Giovanni Forcivitase i suoi rapporti con la propositura di Prato, in «Bullettino storico pistoiese», LXXIII (1971), pp. 79-124. R. Fantappiè, Consoli e potestà a Prato = R. Fantappiè, Consoli e potestà a Prato, 11421270, in «Archivio storico pratese», XCII (2016), pp. 5-149. R. Fantappiè, Da Pieve a Cattedrale = R. Fantappiè, Da Pieve a Cattedrale, in Il Duomo di Prato, testi di C. Cerretelli, R. Fantappiè, B. Santi, prefazione di A. Paolucci, fotografie di A. Quattrone, Prato, CariPrato - Firenze, Le Lettere, 2009, pp. 15-56. R. Fantappiè, Eresia e inquisizione a Prato = R. Fantappiè, Eresia e inquisizione a Prato (secolo XII-XIV), Prato, Società pratese di storia patria, 2017. R. Fantappiè, Nascita d’una terra = R. Fantappiè, Nascita d’una terra di nome Prato, in Storia di Prato fino al secolo XIV, Prato, Cassa di risparmi e depositi, 1980, I, pp. 95-359. R. Fantappiè, Nascita e sviluppo di Prato = R. Fantappiè, Nascita e sviluppo di Prato, in Prato storia di una città, 1*. Ascesa e declino del centro medievale (dal Mille al 1494), a cura di G. Cherubini, Prato, Comune di Prato-Firenze, Le Monnier, 1991, pp. 79-299. R. Fantappiè, Per la storia del Sacro Cingolo = R. Fantappiè, Per la storia del Sacro Cingolo, in «Archivio storico pratese», LXXXVII (2011), pp. 133-177. C. Guasti, Notizie storiche dell’antica chiesa di San Pier Forelli = C. Guasti, Notizie storiche dell’antica chiesa di San Pier Forelli in Prato con la descrizione della nuova chiesa, Prato, Tipografia Guasti, 1860. P. F. Kehr, Italia pontificia, III, = Regesta pontificum Romanorum, ed. P. F. Kehr, Italia pontificia, III, Etruria, Berlino, Weidmann, 1908. G. Lami, Monumenta = G. Lami, Sanctae ecclesiae Florentinae monumenta, Florentiae, ex typographio Deiparae ab Angelo Salutatae, 1758. Liber censuum = Liber censuum comunis Pistorii, a cura di Q. Santoli, Pistoia, Officina tipografica cooperativa, 1915.

• vi •


R. Piattoli, Ricerche intorno alla storia = R. Piattoli, Ricerche intorno alla storia medievale di Prato. II. I podestà e i capitani del Popolo dal 1238 al 1265, in «Archivio storico pratese», XIV (1936), pp. 102-111. Pieri = S. Pieri, Toponomastica della valle dell’Arno, Roma, Accademia dei Lincei, 1919. Potthast = Regesta pontificum Romanorum, inde ab a. post Christum natum MCXCVIII ad a. MCCCIV, ed. A. Potthast, ristampa, Graz, Akademische Druck, 1957. Regesta Honorii papae III = Regesta Honorii papae III, ed. P. Pressutti, Roma, Vaticana, 1888-1895. Regesta Imperii = RI OPAC - Regesta Imperii. Regestum Volaterranum = Regestum Volaterranum, 778-1303, ed. F. Schneider, Roma, E. Loescher, 1907. Les registres d’Alexandre IV = Les registres d’Alexandre IV, ed. MM. C. Bourel de La Roncière, J. de Loye et A. Coulon, Paris, Thorin-Fontemoing, 1895-1902 Les registres de Boniface VIII = Les registres de Boniface VIII, ed. G. Digard, M. Faucon. A. Thomas et R. Fawtier, Paris, Fontemoing, 1884-1939. Les registres de Grégoire IX = Les registres de Grégoire IX, ed. L. Auvray, Paris, Fontemoing, 1896-1955. Les registres de Nicolas IV = Les registres de Nicolas IV, ed. M. E. Langlois, Paris, Thorin, 1886 Les registres d’Innocent IV = Les registres d’Innocent IV (1243-1254), a cura di É. Berger, Paris, Thorin, 1884-1887. Repetti = E. Repetti, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, Prato, Cassa di risparmi e depositi di Prato, 1972 (ristampa). M. Sarti - M. Fattorini, De claris archigymnasii Bononiensis professoribus = M. Sarti M. Fattorini, De claris archigymnasii Bononiensis professoribus a saeculo XI usque ad saeculum XIV, Bologna, Lelio Dalla Volpe, 1769-1772. Schedario Baumgarten = Schedario Baumgarten, Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, 1965-1986. Serianni = Testi pratesi della fine del Dugento e dei primi del Trecento, con introduzione linguistica, glossario e indici onomastici a cura di L. Serianni, Firenze, Accademia della Crusca, 1977. I sigilli pratesi = I sigilli pratesi editi e inediti, per C. Guasti, Firenze, Ricci, 1872. Lo Statuto dell’Arte dei padroni dei mulini = Lo statuto dell’Arte dei padroni dei mulini sulla destra del fiume Bisenzio (1296), a cura di R. Piattoli, Prato, Bechi & C., 1936. Ughelli, III = F. Ughelli, Italia sacra sive de episcopis Italiae et insularum adjacentium, 2a ed., III, Venezia, S. Coleti, 1717. G. Villani, Cronica = G. Villani, Cronica, Firenze, S. Coen, 1845.

• vii •



INTRODUZIONE

Il territorio su cui si estese e si estende il comune di Prato aveva formato già nell’Alto Medioevo una unità a sé entro i vasti comitati, spartiti dal fiume Bisenzio, di Pistoia e di Firenze. Il territorio sulla destra del Bisenzio era soggetto al comitato di Pistoia, al comitato di Firenze il territorio sulla sinistra del medesimo fiume. Per tutto il Medioevo e buona pezza dell’età moderna Prato non fu civitas, poiché non ebbe chiesa cattedrale e un vescovo: infatti anche ecclesiasticamente il territorio di Prato dipendeva dalle diocesi di Pistoia e di Firenze1. Tuttavia, se per la mancanza della sede vescovile Prato non meritò di essere qualificato civitas, ma fu detto semplicemente castrum o terra2, a buon diritto poteva essere chiamato città, alla stregua dei concetti moderni, per il cospicuo numero dei suoi abitanti, per le sue fortificazioni, le sue industrie, i suoi commerci, le sue organizzazioni, la sua autonomia politica. Nel borgo, situato fuori le mura del castello del locus Cornio3 e vicino al piccolo centro murato di Prato, si trovava la pieve (plebs), ossia la chiesa bat-

1 Cfr. R. Fantappiè, Per la storia della diocesi di Prato, in «Archivio storico pratese», LI (1975), pp. 187-209. Nel corso di questa introduzione, la chiesa di S. Stefano di Prato è detta sia pieve sia propositura o collegiata, titoli che ha avuto prima della elevazione (1653) a Cattedrale. Innanzi a tale data la chiesa è chiamata anche Duomo. Parliamo inoltre in questo scritto di Prato città, prima della sua nomina ufficiale (1653). 2 Nel medioevo anche nei trattati internazionali, Prato si qualificava castrum o terra. Cfr. Documenti dell’antica costituzione del comune di Firenze, a cura di P. Santini, Firenze, Vieusseux, 1895, p. 33 n. XXI, 1197 novembre 11 (Lega di San Genesio); Consigli del Comune di Prato, 15 ottobre 1252-24 febbraio 1285, a cura di R. Piattoli, Bologna, Zanichelli, 1940, p. 469 n. 1 dell’appendice, 1212 aprile 2 (Trattato di Prato con Firenze). 3 Documento dell’880 luglio 9, redatto «ad loco Cornio, finibus Pistorie», Le carte della canonica della cattedrale di Firenze (723-1149), a cura di R. Piattoli, Roma, Istituto storico italiano per il Medioevo, 1938, p. 15 n. 5.

• ix •


tesimale4, posta sotto l’invocazione del santo patrono Stefano, il protomartire particolarmente in auge nei primi secoli del cristianesimo e patrono perfino di una dozzina di chiese episcopali della Gallia. Fondata nel corso del V-VI secolo, come denota la sua dedicazione, già in epoca carolingia era stata promossa alla dignità di propositura. Non lungi, sulla piazza della chiesa verso ponente, si elevava il battistero di S. Giovanni, a pianta centrale, detto, per la sua forma rotonda o poligonale, S. Giovanni Rotondo. Poco discosto, dalla parte di settentrione e al di là dell’antico castello del Cornio, fino dal 1100 circa sorgeva lo spedale di S. Stefano, destinato ad accogliere i poveri e i pellegrini5. La preminenza e la giurisdizione della pieve di S. Stefano si estendevano su parecchie villae – le antiche unità padronali che tuttora formavano il quadro della vita rurale –, servite ognuna da una chiesa succursale chiamata cappella. Il primitivo territorio, che si estendeva da Cerreto a Paperino e dal Bisenzio fino alla Bardena, nel corso dell’XI e del XII secolo fu coperto da una fitta rete di chiese, e quindi ulteriormente ampliato con l’annessione delle cappelle di Fabio e dell’Isola nella Val di Bisenzio. La rinascita economica e la fioritura demografica, che furono sempre più accentuate dall’inizio del secolo XI, ebbero come conseguenza la dilatazione del borgo del Cornio e di Prato. I due centri, che finirono per fondersi in un unico nucleo col nome di Prato, richiamarono una numerosa popolazione di piccoli proprietari terrieri, di commercianti, di artigiani e di prestatori di denaro ad alto interesse. Si formarono nuovi quartieri o borghi e crebbero le botteghe, gli ospizi, le abitazioni, le torri6. Così anche l’antico edificio della pieve di S. Stefano non poté più bastare alle necessità religiose, e nei nuovi borghi bisognò edificare altre chiese dove si celebrasse l’ufficio divino e dove si distribuissero i sacramenti. Il proposto di Prato Uberto (1153-1174), che aveva intrapreso, per la gloria della patria in tutti i tempi, la ricostruzione e l’ampliamento della chiesa di S. Stefano, si vide costretto nel dicembre 1163, per la ingente spesa sostenuta nell’acquisto, nella lavorazione e nel trasporto dei marmi forniti dalle vicine cave del Monteferrato, ad ipotecare quasi tutto il patrimonio della pieve, Regesta chartarum Pistoriensium, Alto Medioevo, 493-1000, Pistoia, Società pistoiese di storia patria, 1973, p. 84 n. 102, 994 agosto. 5 Le carte della propositura di S. Stefano di Prato, I, 1006-1200, a cura di R. Fantappiè, Firenze, Olschki, 1977, p. 179 n. 90, 1103 gennaio. 6 Vedi su tutto questo e il seguito R. Fantappiè, Nascita e sviluppo di Prato, in Prato storia di una città, 1*, Ascesa e declino del centro medievale (dal Mille al 1494), a cura di G. Cherubini, Prato-Firenze, Comune di Prato - Le Monnier, 1991, pp. 79-299. 4

• x •


sebbene il creditore, il marmista Carboncetto, gli avesse condonato parte del debito7. Come si addiceva all’aumento e alla prosperità di Prato, non poche furono le chiese minori costruite o rinnovate nella loro forma. Verso il 1140 fu edificata la chiesa di S. Iacopo, che tanto dissidio accese fra il pievano di S. Giusto e i preti di Prato; circa nello stesso tempo, o forse ancor prima, nelle contrade divenute rapidamente popolose di S. Trinita, di Palazzolo e di Calimala, di porta Gualdimare, di porta Fuia erano sorte le chiese di S. Trinita, di S. Marco, di S. Vincenzo, di S. Pier Forelli; non lungi dalla piazza o «sciampio» di Prato era intanto costruita la chiesa consacrata a S. Donato, mentre nel perimetro del castello di Prato, all’ombra di un olmo secolare, si trovava la chiesa di S. Maria. A sud-est del castello e a poche decine di passi, per iniziativa degli Ugorlandi, vassalli dei conti Alberti, era stata istituita una chiesa dedicata all’apostolo Tommaso, chiamata S. Tommaso alla Cannuccia. Intorno al 1180 il vescovo di Pistoia Rinaldo consacrava la chiesa di S. Giorgio fuori di porta Fuia, dipendente dalla pieve di S. Paolo al Petriccio8. Da lungo tempo, nella pieve di Prato, taluni chierici erano incaricati di cantare coralmente il divino ufficio; e poiché vivevano in comunità sotto una regola (canones)9, i chierici che vi dimoravano portavano il nome di canonici. La preghiera canonicale aveva il pregio di essere ininterrotta: notte e giorno i canonici servivano a Dio nella pieve osservando un ufficio suddiviso per tutta la giornata, dal mattutino alla messa e dal vespro alla compieta. Come fratelli che pregavano Dio in comune ed insieme servivano al culto della chiesa, i canonici formavano un corpo organizzato – la canonica o il capitolo come tutt’oggi si designa – soggetto ad una regola. Per attendere nel miglior modo all’ufficio divino erano obbligati alla vita comune: vivendo essi insieme, più facile diveniva il convocarli per gli uffici del coro, anche di notte: bastava una campanella. La regola disponeva che tutti i canonici dovessero abitare in un chiostro (claustrum); richiedeva un dormitorio ed un refettorio, affinché i canonici potessero dormire e mangiare in comunità10. Il numero dei canonici dipendeva dai redditi della pieve: più membri Le carte della propositura, p. 332 n. 181, 1163 dicembre 3. Vedi R. Fantappiè, Nascita d’una terra di nome Prato, in Storia di Prato, I, Prato, Cassa di risparmi e depositi, 1980, pp. 261 ss.; Id., Nascita e sviluppo di Prato, pp. 79 ss.; Id., Il centro storico di Prato fino al medioevo, in La ricerca archeologica nell’area del Palazzo vescovile, a cura di G. Poggesi e A. Wentkoswska, Firenze, Polistampa, 2008, pp. 11 ss. 9 O più precisamente perché erano iscritti nei canones, negli elenchi, nelle tavole della chiesa. 10 Tutte le notizie che seguono, quando non siano citate altre fonti, si fondano sulle Constitutiones plebis Pratensis, ASF, Corporazioni religiose soppresse, Propositura di Prato, n. 1. 7 8

• xi •


comprendeva il capitolo e più la dignità del culto se ne avvantaggiava. Il capo dei canonici, unico e monarchico, si fregiava del titolo di proposto; vigilava sulla disciplina dei canonici ed amministrava le possessioni; sotto di lui altri dignitari erano investiti di particolari funzioni. L’ufficio del cantore (cantor) ebbe sempre una grande importanza in quella comunità, che aveva per scopo di mantenere il canto liturgico. Assistito da due sottocantori, egli dirigeva i canti in chiesa ed era il maestro della schola cantorum. Nella pieve c’era poi la scuola dei giovani discepoli da istruire nelle arti liberali che si preparavano al chiericato. Vi professava un canonico, per lo più chierico, che portava il titolo di maestro (magister)11. Tra i dignitari del capitolo della pieve i documenti fanno spesso menzione dei custodi del tesoro e dei camerari. Con la parola tesoro si intendeva tutta la suppellettile della chiesa, tutto ciò che serviva all’ornamento della casa di Dio e alla degna celebrazione del culto12: vasi sacri, libri liturgici e profani, paramenti, ecc. Ai camerari incombeva di vigilare affinché ogni confratello avesse il necessario per il vitto e il vestiario. Un canonico presiedeva al governo dello spedale di S. Stefano13. A regolare l’amministrazione del patrimonio erano i canonici stessi, che vi provvedevano con le decisioni prese in capitolo ed eseguite dal proposto. Nulla era lasciato all’arbitrio: le razioni del pane, del vino, le prestazioni di calzature e di vestiti, tutto era rigorosamente determinato. Quando, fino dal XII secolo, si andò sempre più diffondendo l’uso di spartire i proventi della chiesa fra i membri del capitolo, ogni canonico in servizio, oltre a godere dei frutti di una prebenda immobiliare particolare, riceveva annualmente 54 staia di grano, 12 barili di vino di piano e 12 barili di vino di collina, 4 paia di capponi, e una certa somma in contanti14 per le necessità del vestire e gli altri agi della vita. La cura del gregge era riservata ai cappellani, coadiuvati, in caso di necessita, da due mansionari. Mentre ai canonici era affidata la celebrazione solenne dei divini uffici e la predicazione, spettava ai cappellani amministrare i sacra11 Cfr. Le carte della propositura, p. XIV. Vedi inoltre i documenti sotto i nn. 4, 7, 9, 18, 24, 28, 32, 36, 52, ecc. 12 Vedi Appendice, documento n. 9. L’inventario, del primo decennio del XIV secolo, descrive lo stato del «tesoro» formatosi nei secoli precedenti. 13 Le carte della propositura, p. 321 n. 173, 1160 agosto. In seguito fu addetto al governo dello spedale un laico, cfr. documento 1248 settembre 12, n. 199. 14 Cioè le distribuzioni quotidiane per la presenza alle ore canoniche. Vedi in proposito Le carte della propositura, p. 478 n. 255, 1197 settembre 6; documenti del 1234 febbraio 17, n. 145; 1278 marzo 14, n. 279.

• xii •


menti e curare i malati. Per il servizio dei chierici addetti alla pieve convivevano nel chiostro un barbiere, una lavandaia e il cuoco. A nessun chierico era permesso di tenere dei famigli o servitori in proprio; nella canonica era severamente vietato ogni sorta di gioco. I trasgressori erano puniti con ammende pecuniarie. L’organico dei canonici addetti alla pieve di Prato per molto tempo rimase incerto; solo nella seconda metà del XIII secolo venne fissato in sei canonici, due cappellani, due mansionari, oltre il proposto e i chierici minori15. Il patrimonio della pieve si accresceva continuamente per le donazioni dei fedeli. Gli autori delle pie liberalità non intendevano che esse venissero stornate a fini profani, ma volevano con tali donazioni assicurarsi preghiere. I benefattori contavano soprattutto sui canonici, specie se numerosi, perché pregassero notte e giorno in chiesa, cantassero la messa o i salmi nell’anniversario della loro morte. I beni erano assegnati anche a servizi diversi dei quali i canonici avevano l’onere, come ospitare i poveri o i pellegrini, o per la luminaria della chiesa. La pieve e propositura di Prato, oltre ai redditi di beni immobiliari, possedeva redditi di natura particolare, i proventi propriamente ecclesiastici, come le decime, le prestazioni volontarie dovute allo zelo dei fedeli e le pubbliche ammende. Anche le oblazioni erano un importante provento per le pievi. Esse erano donativi che i fedeli facevano sull’altare o rimettevano direttamente al prete, in occasioni particolarmente care o in ringraziamento di qualche atto di ministero sacerdotale. Le offerte per i funerali e la cessione dei posti di sepoltura erano riguardate come un reddito regolare della pieve. Da tempo anche in Prato e nelle pievi circonvicine il clero tendeva a richiedere per tali atti una tassa determinata, il dono dei ceri e una quota sulle disposizioni testamentarie per l’anima. Nel piviere di Prato vigeva la consuetudine di richiedere per le esequie una tassa in contanti e la metà delle candele. Voleva l’uso che al rito della sepoltura fossero accese molte torce: quanto maggiore era il patrimonio del defunto, tanto più numerosi dovevano essere i ceri, i quali spettavano poi alla chiesa che gli concedeva la sepoltura16. Sul letto di morte ogni fedele era solito lasciare una parte di eredità alla chiesa; alla propositura, di diritto, spet15 ASF, Diplomatico, Propositura di Prato, 1278 marzo 14, n. 279: costituzioni della pieve promulgate dal proposto Alcampo. 16 In un lodo arbitrale del 1198 venne statuito che gli abitanti del popolo di Cerreto potessero farsi seppellire, come volevano le consuetudini tramandate dai maggiori, o al cimitero della pieve di S. Stefano in Prato o a quello parrocchiale posto sotto la giurisdizione della pieve di Usella. Al rito funebre, a seconda che il defunto appartenesse alla giurisdizione della pieve di Prato o a quella di Usella, doveva assistere un rappresentante dell’una o dell’altra pieve e doveva ricevere, in rimunerazione del servizio, una parte di eredità lasciata alla chiesa (Le carte della propositura, p. 481 n. 257).

• xiii •


tava la quarta parte sui legati disposti per l’anima anche dai fedeli residenti nelle parrocchie della sua giurisdizione17. La ricchezza e l’importanza della pieve di Prato erano notevolmente accresciute dai diritti di patronato che esercitava su almeno una ventina di chiese. Il patrono della chiesa aveva il diritto di nominare e di insediare il prete addetto alla parrocchia, e la consegna o investitura della chiesa, come d’uso per qualunque sorta di concessione nell’ambito del regime feudale, era un beneficio: il prete deteneva la sua chiesa per una liberalità del suo signore e, di conseguenza, anche con certi oneri. Se il proposto capitava nella parrocchia, il prete era tenuto a dargli ospitalità; questo dovere porgeva al proposto l’occasione di manifestare le sue esigenze: egli allora reclamava vivande per sé e il suo seguito, chiedeva pure biade e alloggi per le sue cavalcature18. All’investitura era collegata un’altra cerimonia. Immediatamente dopo essere investito della chiesa, il novello prete doveva prestare al proposto, insieme con l’obbedienza, riverenza, l’osservanza rispettosa cioè, nei confronti del suo signore, del pagamento delle tasse e dei contributi divenuti obbligatori per consuetudine19. Il prete doveva attestare la sua fedeltà come un vassallo, o mettendo le sue mani nelle mani del proposto in forma di omaggio, o simbolicamente per mezzo del libro sacro20. Oltre ad esercitare i diritti di signoria sulle chiese sottoposte, molte altre erano le prerogative del proposto di Prato sul territorio della sua pieve. La sua autorità non era soltanto direttiva e morale: egli era ancora legislatore e giudice. Il suo tribunale aveva una propria cancelleria, nonché giudici, notai e messi; poteva citare al suo cospetto chierici e laici; irrogare pene e ammende: la sua competenza si estendeva anche alle cause riservate al vescovo, quali le cause matrimoniali e quelle relative ai testamenti, alle usure, ai crimini. Egli aveva un proprio vicario, promulgava costituzioni e bandi, costituiva nuove cappelle con proprio territorio e parrocchiani. Nominava e investiva i rettori delle chiese della sua circoscrizione e ne riceveva giuramento di fedeltà, mentre poteva deporre e privare del beneficio i fedifraghi: erano insomma i suoi poteri di tale ampiezza, che solo l’autorità del vescovo, quando ne aveva la capacità, poteva limitarli21. Cfr. R. Fantappiè, Nascita d’una terra, pp. 267 ss. Vedi, per tutti, il documento 1243 agosto 23, n. 177. 19 Cfr. documenti nn. 2, 21, 42, 43, ecc. 20 Documenti 1212 aprile 17, n. 43; 1225 settembre 9 e 11, n. 105. Nell’atto dell’elezione del rettore della cappella di S. Maria di Capezzana (Prato) si legge: «Donnus Laurentius pro predicta cappella, mictendo manus suas in manus abbatis et cum libro et cum stola, promisit abbati obbedientiam» (ASF, Diplomatico, Rocchettini di Pistoia, 1260 ottobre 21). 21 Su tutto questo e quanto segue, vedi più ampiamente R. Fantappiè, Nascita d’una terra, pp. 275 ss.; Le carte della propositura, pp. VIII ss. 17

18

• xiv •


Le principali manifestazioni della vita religiosa si svolgevano nella pieve e propositura. Qui si amministrava il battesimo e si compivano gli altri più importanti atti pubblici, mediante i quali il battezzato manifestava la sua appartenenza alla comunità dei cristiani. Presso la pieve era obbligo inumare i defunti nel cimitero attiguo alla chiesa. In questo luogo di riposo, i morti potevano dormire in terra sacra nell’attesa della risurrezione. Per scongiurare i pericoli della dispersione e mantenere l’unità del distretto plebano, i proposti avevano adottato misure di carattere preventivo e conservativo. Mentre per ogni nuova costruzione di chiese o cappelle era richiesto l’assenso del proposto e dei suoi canonici, per le chiese già esistenti assai stretti erano i legami con la propositura. I rettori delle cappelle dovevano così partecipare alle solennità della propositura, in particolare nei giorni di santo Stefano, di san Giovanni Evangelista, di san Giovanni Battista, di san Lorenzo e di santa Maria di settembre; alla messa solenne per il lunedì di Pasqua, per l’Ascensione e per la Pentecoste; dovevano altresì intervenire al capitolo di Quaresima il martedì di Carnevale e, insieme ai propri parrocchiani, alla benedizione dell’ulivo la domenica delle Palme, alla messa di Quaresima per la consegna ai catecumeni del Simbolo e ai battesimi solenni del sabato santo e della Pentecoste. Durante le Rogazioni i rettori delle cappelle, unitamente ai propri fedeli, portavano alla propositura degli oboli, che già fin dai tempi antichi erano divenuti un obbligo. Periodiche contribuzioni e talune obbligazioni riverenziali venivano quindi a rinsaldare i vincoli con la chiesa madre. Oltre ad invitare il proposto alle feste patronali, ogni tre anni i rettori delle cappelle della circoscrizione dovevano versare alla propositura una imposta diretta dell’ammontare di dodici denari, chiamata circla o cerca; inoltre dovevano pagare, secondo le antiche consuetudini, un tributo in cera e altri oboli in occasione di particolari festività. Erano inoltre obbligati a contribuire alla colletta che il proposto faceva in favore del vescovo quando questi riceveva la benedizione della consacrazione o quando era convocato dal papa al concilio22. Nella ricorrenza della visita pastorale, i cappellani si univano al proposto per passare al vescovo varie derrate, cavalcature, grano, vino in quantità stabilite. I cappellani del distretto plebano partecipavano, in una coi canonici della propositura, all’elezione del proposto e godevano dei proventi di uova e di cera recati dai fedeli alla chiesa. Prima della celebrazione del sinodo diocesano, tutti i cappellani si riunivano in assemblea presso la propositura per 22

Vedi documento 1225 novembre 10, n. 110.

• xv •


trattare ed esaminare preventivamente gli argomenti da portare all’ordine del giorno nelle più grandi assise, presiedute dal vescovo23. La propositura non era soltanto un centro religioso: in essa veniva a confluire tutta la vita civile. Nella chiesa si tenevano i consigli del Comune, si conservavano i pesi e le misure, presso l’altare del Protomartire si affrancavano i servi, nei chiostri si redigevano gli atti, le donazioni, le vendite. Siffatta attività profana pareva naturale agli uomini del tempo, per i quali la chiesa era la casa comune. La vita intellettuale si era mantenuta e aveva trovato protezione all’ombra della propositura: se non si può determinare con sicurezza che la scuola della canonica accettasse anche allievi non destinati a portar l’abito ecclesiastico, v’è tuttavia ogni ragione di crederlo; in non pochi atti si accenna, infatti, agli allievi che studiavano presso le pievi e le altre chiese minori24. Fin quasi ai tempi moderni, la chiesa pratese visse questa sua attività e questa sua organizzazione sulla scia dei secoli precedenti, nel mantenimento delle proprie tradizioni, della propria vita ecclesiastica, nei suoi aspetti religiosi e devozionali. Nonostante l’asprezza della guerra del 1107 che portò all’assedio e alla distruzione di Prato25, nella canonica prosperava la vita religiosa e culturale. Si andò intensificando l’istruzione del clero e del popolo con sermoni e omelie che accompagnarono la celebrazione della Messa nelle feste; si divulgarono a scopo di propaganda vite di santi e racconti di miracoli; fu costruito un ospizio per i pellegrini e i poveri; più pressanti dovettero sentire i chierici i loro doveri nell’amministrazione dei sacramenti. Nella scuola della canonica s’insegnava a scrivere in bella minuscola carolina26 e si studiava il diritto caPer maggiori particolari, vedi R. Fantappiè, Nascita d’una terra, pp. 278 ss. Convenzioni tra i canonici di Prato e i fedeli della cappella di S. Giorgio in porta Tiezi, documento del 1218, n. 64. 25 MCVII. Castrum montis Gualandi destructum fuit a Florentinis. Eodem anno obsedium Prati fuit et destructum (Annales Fiorentini II, in «Quellen und Forschungen zur ältesten Geschichte der Stadt Florenz», a cura di O. Hartwig, II, Halle, Niemeher, 1880, p. 40). «MCVII. I fiorentini disfecono Monte Orlandi. E in questo medesimo anno assediarono Prato e vinserlo ed ebbero la terra e disfecerla, et tornarono sani e salvi a chasa» (Gesta Florentinorum, a cura di B. Schmeidler, MGH, Scriptores, nova series, VIII, Berlino 1930, p. 246). Per la partecipazione della contessa Matilde all’assedio, cfr. A. Overmann, Gräfin Mathilde von Tuscien, Innsbruck, Wagner, 1895, p. 179, n. 103/a, 104 e 105, e p. 256, S. 179, reg. 105; R. Davidsohn, Storia di Firenze, Firenze, Sansoni, 1965, I, p. 531 e ss.; F. Carlesi, Origini della città e del comune di Prato, Prato, Alberghetti, 1904, pp. 53-62; R. Fantappiè, Consoli e potestà a Prato, 1142-1270, in «Archivio storico pratese», XCII (2016), pp. 5-149. 26 Come viene confermato dalle sottoscrizioni dei preti del collegio canonicale in calce a numerosi documenti dell’archivio della propositura (e dalla scrittura di alcuni contratti stesi nella stessa canonica, cfr. figg. 4 e 6 in Le carte della propositura, le osservazioni preliminari al n. 118, p. 232, 1125 marzo (ibid.). 23

24

• xvi •


nonico: opere destinate ad avere un influsso considerevole, come il Decreto di Burcardo di Worms, un Liber canonum e altre note collezioni canoniche dell’epoca vennero proprio in quel tempo ad arricchire la biblioteca dei chierici addetti al servizio della propositura27. Il che autorizza a credere che fra la massa dei canonici vi fosse una élite più colta e preparata anche sul piano giuridico e legale. Omiliari, passionari, libri sacri e liturgici, raccolte canoniche e soprattutto una Bibbia, che tuttora si conserva nella più antica biblioteca pratese, sebbene richiesti per scopi pratici del culto e della scuola o per esigenze di edificazione religiosa, esprimevano anche un vero intento d’arte28. Scritti con grafia chiara ed elegante, furono ornati di iniziali e decorati di miniature da valenti maestri. La preparazione di questi manoscritti costituiva per la canonica un’attività importantissima, che esigeva un personale addestrato e un lavoro accurato e preciso. Durante tutto il XII secolo crebbe il peso politico della pieve pratese e l’aspirazione all’indipendenza ecclesiastica. Un privilegio del papa Innocenzo II al proposto di Prato Ildebrando (1126-1144), del 21 maggio 1133, – uno dei più importanti per la storia della chiesa pratese e del suo territorio in quanto stabiliva in maniera inequivocabile una posizione di singolare autonomia

27 Questi manoscritti, insieme con altri testi giuridici della prima metà del XII secolo, si conservano nella Biblioteca Roncioniana di Prato. Vi pervennero dall’archivio dei canonici di Prato per donazione del vescovo Giovambattista Rossi nel 1845. Cfr. L’archivio del Capitolo della Cattedrale di Prato (secolo XI-XX), a cura di L. Bandini e R. Fantappiè, Prato, Società pratese di storia patria, 1984, pp. XLV ss. Vedi inoltre un inventario dei primi del XIV secolo, ibid., pp. XXX-XXXI. Il «Liber canonum et decretorum sanctorum patrum», più noto come «Collezione di S. Maria Novella», si trova invece alla Biblioteca Nazionale di Firenze, Manoscritti, Conventi soppressi, A 4 269; su di esso cfr. P. Fournier-G. Le Bras, Histoire des collections canoniques en Occident depuis les fausses Décrétales jusqu’au Décret de Gratien, II, Parigi, Recueil Sirey, 1932, pp. 151-155. La raccolta, del primo quarto del XII secolo, fino al XIII secolo fu a Prato presso la propositura, come risulta anche da sette documenti papali, del XII secolo, trascritti nel codice, tutti relativi ad affari della chiesa di Prato, e dalle annotazioni stilate a c. 1v. e c. 227v. 28 Cfr. R. Fantappiè, Nascita d’una terra, p. 190. Intorno alle miniature che decorano i manoscritti pratesi del XII secolo, vedi gli studi di E. B. Garrison, Studies in the History of Mediaeval italian Painting, II, Firenze, Olschki, 1956, pp. 213-216; III, 1957, pp. 33-46; IV, 1962, pp. 300-302; K. Berg, Miniature pistoiesi del XII secolo, in «II romanico pistoiese nei suoi rapporti con l’arte romanica dell’occidente. Atti del I convegno internazionale di studi medioevali di storia e d’arte», Pistoia, Ente provinciale per il turismo, 1966, pp. 143-162; Id., Studies in Tuscan Twelfth-century Illunination, Oslo-Bergen-Tromsö, University Press, 1968, pp. 186-193 e p. 63; Manuscrits enluminés d’origine italienne, 1, VIe-XIIe siècles, par F. Avril et Y. Zaluska, Paris, Bibliothèque Nationale, 1980, pp. 52-55; I manoscritti medievali della provincia di Prato, a cura di S. Bianchi, F. Gallori, G. Murano, M. Pantarotto, G. Pomaro, Firenze, Regione Toscana-Sismel, 1999; Pistoia. Un’officina di libri in Toscana dal Medioevo all’Umanesimo, Pistoia, Cassa di risparmio di Pistoia e Pescia, 2011.

• xvii •


della chiesa di S. Stefano nei confronti del vescovo di Pistoia29 – segnava ufficialmente l’inizio della quasi millenaria controversia che, dopo infinite contese della città di Prato con i suoi pastori, si concluderà, solo ai nostri giorni (1954), con l’assegnazione di un proprio vescovo residenziale alla diocesi di Prato30. La formazione in Prato di un libero Comune con suo contado, iniziatasi nella prima metà del XII secolo a spese dei comitati di Firenze e di Pistoia, era indice ben sicuro anche della separazione politica e spirituale della chiesa di Prato da quella di Pistoia31. Il progressivo imporsi della chiesa di Prato come soggetto politico ebbe nuovo impulso con la costruzione di una splendida chiesa che ospiterà una singolare reliquia, destinata a diventare il vessillo dell’identità cittadina. Le attività economiche tipicamente urbane, come il commercio, la finanza, l’artigianato, non costituivano elementi «caratterizzanti» della città medievale. La città si distingueva soprattutto per le grandi chiese, le reliquie di santi potenti, le mura. Nel corso del XIII secolo Prato avrà una chiesa superba che ospiterà una famosa reliquia, mura, selciati di pietra e di mattoni, torri e campanili, grandi edifici, piazze, nuove strade, ricchezza, abitanti in gran numero32. Ma sarà una città senza titolo legale33. Durante il Duecento e nei primi del Trecento l’architettura religiosa si arricchisce di fabbriche che conferiscono a Prato un carattere monumentale di notevole rilievo34. L’antica pieve di S. Stefano si ingrandisce e si abbellisce, assumendo l’aspetto che tutt’oggi ne fa «una delle più nobili e armoniose chiese della To-

Le carte della propositura, p. 258 n. 133. Circa i burrascosi avvenimenti e i particolari che seguirono alla concessione del privilegio papale, vedi Le carte della propositura, pp. VIII-XI; E. Fiumi, Demografia, movimento urbanistico e classi sociali in Prato dall’età comunale ai tempi moderni, Firenze, Olschki, 1968, pp. 12-14; F. Carlesi, Origini della città e del comune di Prato, pp. 63-92; S. Ferrali, Le temporalità del vescovado nei rapporti col Comune a Pistoia nei secoli XII e XIII, in Chiesa e clero pistoiese nel Medioevo, a cura di G. Francesconi e R. Nelli, Pistoia, Società pistoiese di storia patria, 2005, pp. 117-158; M. Ronzani, Lo sviluppo istituzionale di Pistoia alla luce dei rapporti con il Papato e l’Impero fra la fine del secolo XI e l’inizio del Duecento, in La Pistoia comunale nel contesto toscano ed europeo (secoli XIII-XIV), a cura di P. Gualtieri, Pistoia, Società pistoiese di storia patria, 2008, pp. 19-72. Per le vicende della chiesa di Prato nei secoli successivi, vedi R. Fantappiè, Da Pieve a Cattedrale, in Il Duomo di Prato, a cura di C. Cerretelli, R. Fantappiè, B. Santi, Firenze, Le Lettere, 2009, pp. 15-56. 31 Cfr. R. Fantappiè, Nascita e sviluppo di Prato, pp. 112 ss.; Id., Consoli e potestà a Prato, pp. 8-21. 32 L’ideale città medievale è raffigurata anche nel dipinto di Agnolo Gaddi nella cappella della Cintola del Duomo di Prato nella scena dell’arrivo di Michele con la cassetta della Cintola a Prato. 33 Ma per i pratesi, la loro era città da molto tempo e come tale la vivevano. 34 Vedi R. Fantappiè, Nascita e sviluppo di Prato, p. 163. 29

30

• xviii •


scana»35. La fabbrica della pieve all’aprirsi del XIII secolo doveva essere ancora circondata dalle impalcature, perché l’ampliamento iniziato mezzo secolo prima attendeva il suo completamento. Fu scelto per condurre a termine l’impresa «il maestro Guido, marmorario del S. Martino di Lucca»36. Il maestro, che s’era acquistato gran fama nell’architettare la facciata del Duomo di Lucca, il 4 giugno 1211 s’impegnò con il proposto Enrico, i canonici della pieve, i consoli del Comune e quelli dei mercanti e con l’operaio addetto all’Opera della pieve, a lavorare, di persona e con l’aiuto di allievi e d’altri maestri di suo gradimento, alla fabbrica della chiesa fino al compimento del progetto. Fu pattuito che Guido non dovesse mai mancare sul lavoro, salvo quattro licenze all’anno per recarsi a Lucca. La mercede stabilita con l’architetto fu di tre soldi il giorno o, in alternativa, di ventisei denari, il letto e il cibo. Alla firma del contratto, redatto nel chiostro dei canonici dal notaio pratese e giudice imperiale Ildebrando, la costruzione della chiesa era già determinata dai muri perimetrali. Il fianco sinistro, con le finestrelle dal forte strombo e l’apertura minima e con gli ornati rozzi dell’archetto e della mostra, era stato completato circa il 1150 ad opera del marmorario pratese Carboncetto. Costruiti erano anche il paramento liscio d’alberese alla base della facciata e parte del fianco destro ad archeggiature cieche, di derivazione pisana e lucchese. Guido dovette condurre a compimento tutte queste parti, e anche in queste lasciò la sua impronta, coronando i muri perimetrali di archetti pensili policromi. Ma fu all’interno della chiesa che egli poté mostrare la sua concezione architettonica nuova e originale, «d’alto valore poetico», quale rivela appunto l’architettura «di una perfetta unità stilistica» delle tre navate37. Il rinnovamento della fabbrica della chiesa, attuato da Guido, innalzò la pieve di S. Stefano al ruolo di monumento urbano per eccellenza. Le forze ecclesiastiche, politiche ed economiche che avevano voluto e finanziato la grandiosa impresa, certamente anche per la febbre dell’emulazione con le città toscane, avevano inteso dotare la patria di una caratteristica tipica della città medievale. La costruzione della chiesa coincideva con lo sviluppo della vita urbana e dell’attività commerciale, e testimoniava la pietà dei laici in un’epoca in cui gli affari terreni li interessavano vivamente. La chiesa appagava la loro E. Fiumi, Demografia, movimento urbanistico, p. 250. Vedi documento n. 36, 1211 giugno 4. Sulla chiesa e la storia artistica, si vedano G. Marchini, Il Duomo di Prato, Milano, Electa, 1957; Id., Il tesoro del Duomo di Prato, Milano, Electa, 1963; Il Duomo di Prato, testi di C. Cerretelli, R. Fantappiè, B. Santi, Firenze, Le Lettere, 2009. 37 M. Marchini, Il Duomo di Prato, pp. 27 e 28. Vedi ora C. Cerretelli, L’architettura della chiesa, in Il Duomo di Prato, pp. 62 ss. 35

36

• xix •


ambizione e il loro orgoglio, soddisfaceva il loro confuso bisogno di bellezza e di grandezza, e il loro desiderio di conoscere e avvicinarsi a Dio. Rappresentava il meglio di sé stessi: era un atto di fede e di amore38. Proprio in quegli anni la pieve di Santo Stefano fu pervasa dalla mistica leggenda e dal fascino della Cintola della Madonna. «La storia et la leggenda come la Cintola venne in Prato»39 nacque e si sviluppò come specchio dell’anima popolare e delle sue aspirazioni nei decenni successivi e, dopo essersi rivestita dell’elemento meraviglioso, del miracolo, ricevé l’approvazione ufficiale da parte del clero della pieve, che da allora venerò la Cintola come reliquia sacra di provata potenza divina. Il riconoscimento della Chiesa alla reliquia, che i pratesi piamente e semplicemente veneravano nella loro chiesa maggiore, fu concesso nel 1255 con una lettera del vescovo di Pistoia Guidaloste40. Nel 1298 Matteo d’Acquasparta, generale dell’Ordine dei frati Minori e cardinale vescovo di Porto, legato per la Lombardia, la Toscana e la Romagna del papa Bonifacio VIII, concedeva una «perdonanza» a coloro che avessero visitato la pieve di Prato nel giorno dell’ostensione al popolo della «preziosa Cintola della Beata Maria vergine, ivi custodita». Nel 1318, a richiesta del cardinale Niccolò da Prato, il papa Giovanni XXII, confermava da Avignone con l’autorità suprema della sede apostolica il culto e la santità della reliquia41, e i pratesi a essa, con giustificato orgoglio, affidavano la propria celebrità. Cfr. R. Fantappiè, Nascita e sviluppo di Prato, pp. 163-171. Storia della Cintola, in C. Guasti, Bibliografia pratese compilata per un da Prato, Prato, Pontecchi, 1844, p. 244. Per la bibliografia recenziore, vedi Una cintura tra Gerusalemme e Prato. Storia, teologia e devozione in tre narrazioni del Medioevo latino, a cura di B. Petrà, F. Santi, M. Pratesi, Prato, Edizioni Libreria Cattolica, 2015; Historia Cinguli gloriose virginis Marie. Una storia del XIII secolo, a cura di M. Pratesi, Firenze, Sismel Edizioni del Galluzzo, 2018. Alcune di queste opere hanno un’impostazione essenzialmente conservatrice, spesso acritica, che finisce per parafrasare il testo leggendario, arricchendolo di materiali non pertinenti. Si è minimizzata l’eventualità che la “storia” sia una costruzione posteriore, pseudostorica e quindi artificiosa, tendente a conferire prestigio alla propria comunità, un prodotto della fantasia usato per fini apologetici. La fedeltà storica non è un criterio costitutivo della leggenda. I vari episodi, presentati in chiave agiografica piuttosto che storica, hanno un posto nella pedagogia tradizionale come narrazioni edificanti e formative per le generazioni posteriori, ma non sono verificabili da altre fonti, non offrono resoconti credibili, notizie su personaggi esistiti e fatti avvenuti o almeno verosimili, e riflettono una notevole ignoranza su avvenimenti importanti in campo politico, sociale e economico. Con tutto ciò, una cosa deve apparire chiara: la Cintola è parte integrante della storia di Prato. 40 R. Fantappiè, Il centro storico di Prato fino al Medioevo, p. 44 nota 75. 41 L’archivio del Capitolo della Cattedrale di Prato, p. 13 n. 26; R. Fantappiè, Storia e “storie” della Cintola, in La Sacra Cintola nel Duomo di Prato, Prato, Martini, 1995, p. 54 nota 19. 38

39

• xx •


La leggenda aveva un carattere schiettamente comunale e patronale: l’immagine pubblica che la città offriva di sé non era fatta solamente di cinte murate, di ricchezza, di chiese, di abitazioni numerose, ma anche di un «dono celeste che l’alma Madre di Dio, che siede sopra gli astri, decise che avesse dimora in Prato», «acciò fosse ornata et essaltata» e la chiesa e la città42. La reliquia divenne il cuore e il centro della città; intorno ad essa si sviluppò il sentimento civico e fiorirono opere letterarie e opere d’arte d’incomparabile valore. La sua custodia e la sua gestione furono regolate con leggi del Comune, severissime nel garantire la salvaguardia dell’oggetto, che poteva essere toccato soltanto dai preti addetti al suo culto quando era tratto fuori dal suo ricetto blindato per fare la «mostra» al popolo43. Come già riferiva la lettera del 1255 del vescovo di Pistoia Guidaloste, la festa di santa Maria di settembre, che da tempo richiamava molta gente da vicino e da più lontano per assistere alla «mostra della Cintola», fu sfruttata anche dal punto di vista economico con l’istituzione da parte del Comune della celebre «fiera di Prato»44. Al principiare del XIII secolo, nel tempo della costituzione degli Ordini mendicanti, quando la carità e la solidarietà cristiana presero nuovo vigore, iniziò la sua attività, sotto la dipendenza del proposto di S. Stefano45, fuori del castrum, in porta Fuia, nella località di Gricignano, lo spedale che si volle chiamare della Misericordia «per le opere di misericordia e di pietà che vi si dovevano compiere a vantaggio del prossimo»46. Fino allora, sul piano sociale, il movimento caritativo aveva dato vita a piccoli ospizi che provvedevano all’assistenza dei poveri e dei malati e al ricovero dei pellegrini. Con lo sviluppo urbanistico che, insieme coi lati positivi, cagionò anche nuove miserie, quegli ospizi furono nell’impossibilità di far fronte a tutti i bisogni e, quindi, non tardò a farsi strada l’idea di uno spedale principale della città, specializzato, affidato ad una apposita comunità ospedaliera. In questo centro di accolta «si dovevano nutrire e vestire tutti i malati e gli infermi senza beni di fortuna, che si trovassero nel castrum di Prato, e curarli sino a che non avessero recuperata la sanità; i pargoletti senza cure materne e i bambini abbandonati o orfani si dovevano allattare da alcune nutrici che ivi servivano a Dio e ai fratelli, o Cfr. ibid., p. 42. R. Fantappiè, Per la storia del Sacro Cingolo, in «Archivio storico pratese», LXXXVII (2011), pp. 133-177. 44 Id., Una cintura di lana finissima di Prato, in Legati da una Cintola. L’Assunta di Bernardo Daddi e l’identità di una città, a cura di A. De Marchi e C. Gnoni Mavarelli, Firenze, Mandragora, 2017, pp. 30-39. 45 Cfr. documento 1240 ottobre 6, n. 168; privilegio del papa Innocenzo IV, 1245 agosto 21, n. 187. 46 Sull’argomento e sulla documentazione, vedi R. Fantappiè, Nascita e sviluppo di Prato, pp. 194-195. 42 43

• xxi •


dare a balia dietro compenso del Luogo pio sino a che non fossero svezzati: si dovevano quindi crescere nello spedale e come figli dal rettore e dai familiari amare; vi si dovevano inoltre compiere, secondo i tempi e le necessità, le altre opere di pietà e fare elemosine ai poveri e ai bisognosi»47. Il papa Onorio III con lettera del 26 novembre 1218 prese sotto la protezione apostolica il priore e i fratelli dello «spedale detto della Misericordia di Prato»48. Il vescovo di Fiesole, Ildebrando, e il vescovo di Firenze, Ardingo, rispettivamente l’8 agosto 1244 e il 6 maggio 1246, inviavano ai propri fedeli una lettera per invitarli a «avere la mano larga di carità» verso lo spedale di Prato49. Nel 1220, accanto allo spedale, i canonici di Prato avevano costruito la chiesa di S. Barnaba, di cui resta il portale romanico policromo e il vano interno coperto a volte e con frammenti di affreschi vicini all’esempio di maestri fiorentini come Meliore o il Maestro della Maddalena. Nel 1254 lo spedale cessò di essere sottoposto alla propositura e passò alla «dipendenza» del Comune di Prato50. Nelle lotte tra Guelfi e Ghibellini come nei contrasti tra Bianchi e Neri, che ebbero una così drammatica incidenza nella vita cittadina toscana, anche la propositura di Prato e il suo clero restarono implicati in vicende di rilievo. Dal 1239 fino al crollo della potenza e alla scomparsa dell’imperatore Federico II, Prato fu, al pari di tante città toscane, veramente devota dell’imperatore, in dipendenza incondizionata da lui, anche dopo la scomunica papale51. Non abbiamo notizia di alcuna opposizione, neppure da parte dei preti di S. Stefano, agli ordini ininterrotti di versare somme alle casse imperiali52. Nel 47 ASF, Diplomatico, Spedali di Prato, 1244 agosto 8. Si è riportato il testo in traduzione italiana. Prato fu la prima città toscana che abbia adibito a ospizio di trovatelli o «gettatelli» il proprio spedale. Tale pietosa opera fu seguita da Siena nel 1257, da Pisa nel 1279, da Firenze nel 1294. Cfr. R. Davidsohn, Storia di Firenze, VII, p. 95. 48 Il documento è edito sotto il n. 63. Fu richiesto evidentemente dal proposto di Prato, Enrico. 49 ASF, Diplomatico, Spedali di Prato, alle date. 50 Riguardano lo spedale i documenti 1240 ottobre 6, n. 168; 1241 febbraio 6, n. 169 (con le costituzioni dello spedale); 1250 giugno 8, nn. 203 e 204. Per il passaggio dello spedale alle dipendenze del Comune, vedi Consigli del Comune di Prato, p. 7 n. V, 1254 marzo 24. Sugli affreschi della chiesa di S. Barnaba, di gusto prettamente romanico-occidentale, resta preferibile l’avvicinamento al Maestro della Maddalena per opera di G. Marchini, Affreschi inediti del Dugento a Prato, in «Rivista d’Arte», IX (1937), pp. 163-169. 51 Questa fu la seconda scomunica dell’imperatore, pronunciata dal papa Gregorio IX, il 20 marzo 1239, domenica delle Palme. 52 Collette e imposizioni versate alle casse imperiali: 1234 agosto, n. 146; 1239 e 1240, n. 167; 1247, n. 196.

• xxii •


febbraio 1247, mentre le chiese del distretto di Prato dovettero pagare una somma molto elevata quale «salario» per l’attività del figlio dell’imperatore, Federico d’Antiochia, il proposto e i canonici di S. Stefano furono esentati dal pagamento, perché si erano rifugiati sotto la protezione non del papa ma dell’imperatore53. Nel giugno di quell’anno, il Capitolo dei canonici di Prato al completo incorse nella scomunica del papa Innocenzo IV per avere eletto proposto (era morto appena da due giorni il proposto Zonghello) Rainaldo, figlio del senese Aldobrandino Cacciaconti, seguace dell’imperatore, e per aver celebrato una solenne funzione religiosa davanti a Federico d’Antiochia a dispetto degli ordini del papa e dell’interdetto ecclesiastico54. La cacciata dei ghibellini da Prato e la morte dell’imperatore (1250), indussero il Comune e il Capitolo di Prato ad abbracciare la parte guelfa. Da allora, e per i secoli futuri, la nomina del proposto di Prato fu imposta dalla Curia papale. Nel 1254 Innocenzo IV elesse proposto – contro il parere del Capitolo – il canonico fiorentino Alcampo55. Apparteneva alla famiglia Abbadinghi; suo fratello Arengo era banchiere del papa e, nel 1243, aveva anticipato denaro a Innocenzo IV per la difesa di Viterbo. In gioventù, Alcampo era stato un acceso seguace di Federico II e di suo figlio Federico d’Antiochia. Non era neppure gratuita la voce che lo voleva segreto simpatizzante delle dottrine degli eretici, già seguite da suo padre e anche dal fratello Arengo56. Tuttavia, grazie alla protezione del papa Innocenzo IV, gli fu assegnata la carica di proposto di Prato e, in più, anche quella di cappellano del cardinale Guglielmo Fieschi dal titolo di Sant’Eustachio e, più tardi, quella di cappellano di Ottobuono Fieschi, che fu in seguito papa Adriano V e, infine, la più prestigiosa di cappellano del papa. Alla morte di Alcampo, avvenuta nel 1296, fra Remigio di S. Maria Novella tessendone l’elogio funebre aveva pronunciato uno dei suoi più alati sermoni. Il panegirico fatto dal Cfr. R. Fantappiè, Nascita e sviluppo di Prato, pp. 190 ss. Per il privilegio di Federico di Antiochia ai canonici di Prato, vedi i documenti 1247 febbraio 21, n. 192, e 1247 marzo-aprile 4, n. 194: «cum prepositus et canonici Pratenses sub protectione Imperii consistant …». 54 Documento del 1247 giugno 22, n. 195. Sulle vicende di Prato durante la prima metà del Duecento, vedi R. Fantappiè, Consoli e potestà a Prato, pp. 25-39. 55 Sulla contestata nomina a proposto di Prato, vedi documenti 1251 marzo 7, n. 206; 1252-1253, n. 211; 1254 aprile 1°, n. 212; 1254 luglio 2, n. 215; 1254 luglio 14, n. 216. Sulla figura di Alcampo, vedi R. Davidsohn, Storia di Firenze, II, p. 626 ss., VII, pp. 14-15; F. Cardini, La cultura, in Prato storia di una città, 1**, pp. 845-846. 56 Cfr. documento del 1252-1253, n. 211. 53

• xxiii •


frate domenicano a messer Alcampo non commosse più di tanto l’inquisitore francescano fra Alamanno da Lucca, il quale volle inquisire sulla vita del defunto canonico e finì per condannarlo con l’accusa di aver favorito gli eretici, mirando certamente, più che a colpire l’anima sua e il suo cadavere, a porre le mani sulla sua eredità57. Ghibellino e poi guelfo dei più intransigenti, ma soprattutto affarista abile, nel 1274 Alcampo fu nominato dal papa Gregorio X collettore della decima per la Terra Santa in Toscana e Maremma, e questo posto di fiducia egli occupò almeno fino al 1287 con zelo instancabile e, com’era facile prevedere, tra il cumulo delle difficoltà incontrate58. Prelati e rettori di chiese lo accusarono davanti al papa di essersi approfittato del denaro raccolto, dandolo a mutuo agli amici, i quali lo avrebbero commerciato a proprio vantaggio e, perfino, della sua poca correttezza di collettore riguardo al denaro della decima restato nelle sue mani. Una ambasceria inviata al papa nel 1295 da parte dei suoi sudditi, col Comune di Prato in testa, con la quale se ne chiedeva la destituzione da proposto di Prato, dà l’ultima pennellata spiacevole avvolgendo la figura di questo proposto in un’ombra poco simpatica59. Resse la propositura di Prato per ben quarantadue anni. Per un migliore servizio del culto divino riformò le costituzioni dei canonici60 e, per fini di pastorale, concesse ai rettori delle chiese soggette alla propositura il diritto di associare e seppellire i morti nella loro parrocchia61. Tra le amicizie coltivate da Alcampo troviamo Andrea de’ Mozzi, vescovo di Firenze e poi di Vicenza, il quale, non diversamente dal medesimo Alcampo, doveva all’appartenenza a una grande famiglia di banchieri l’avvio della sua brillante per quanto tormentata carriera ecclesiastica62, e il prelato politi57 Sulla condanna per eresia di Alcampo, vedi R. Fantappiè, Eresia e inquisizione a Prato (secolo XII-XIV), Prato, Società pratese di storia patria, 2017, pp. 8, 25, 42-48. 58 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIV-XV, Tuscia, I, La decima degli anni 1274-1280, a cura di P. Guidi, Città del Vaticano, Biblioteca apostolica vaticana, 1932, pp. XVII-LIII. Alcampo fu anche canonico della chiesa di Saint Géry di Cambrai (Francia). Les registres de Boniface VIII, I, p. 474, n. 1316, 1296 settembre 17: «Collatio canonicatus. Dilecto filio Theobaldo, nato dilecti filii Iacobi Gemme militis Anagnini, canonico ecclesie Sancti Gaugerici Cameracensis. Tue devotionis. Ei confertur canonicatus vacans in ecclesia Sancti Gaugerici Cameracensis per mortem quondam Alcampi prepositi Pratensis. Datum Anagnie, XV kalendas octobris, anno secundo». 59 ASP, Archivio storico del Comune, n. 58 quad. 1, c. 29, 1295 aprile 8. 60 Documento del 1278 marzo 14, n. 279. 61 Documento del 1294 novembre 8, n. 326. 62 Dante ebbe modo di conoscerlo in giovinezza e forse colpito dall’eco delle voci su questa figura, lo pose nell’Inferno nel cerchio dei sodomiti, bollato con parole sprezzanti (XV, 110-115).

• xxiv •


co Stefano de Broy o Etienne de Busilli, venuto al seguito degli Angioini dalla sua patria, Lione, a Firenze. Stefano iniziò la sua prestigiosa carriera nel 1291 come canonico di Firenze63, fu procuratore di Alcampo, che lo nominò anche canonico di Prato64, carica che gli serviva solo a fargli percepire le rendite della prebenda. Nel 1305 Stefano citò in giudizio l’allora proposto di Prato, Bartolomeo, perché non gli pagava i frutti della sua prebenda. Il proposto si giustificò asserendo che il canonico era incorso nella scomunica lanciata da Giovanni, vicario del vescovo di Firenze Lottieri della Tosa, ex eo quod dictus Stephanus arma deferebat, contra prohibitiones dicti domini Iohannis, per civitatem Florentie65. Per quanto amico dei Guelfi neri, Stefano seppe molto bene girar le vele a seconda del vento, così che, quando il cardinale Niccolò da Prato per incarico di Benedetto XI cercò d’intervenire a favore dei Bianchi, egli riuscì a ottenere dal legato la nomina a proprio cappellano, la conferma di numerose prebende e il permesso di vacare a sua volontà agli studi letterari o di vivere alla Curia66. La scomparsa di Alcampo facilitò la strada alle ambizioni del giovane Giovanni, non ancora quindicenne, figlio del maestro pistoiese Accorsino, medico e familiare del papa Bonifacio VIII67. Il nuovo proposto si interessò ben poco di Prato: nel 1300 il papa fu costretto a sostituirlo con un altro raccomandato: Bartolomeo, anch’egli figlio di maestro Accorsino e fratello di Giovanni68. Il nuovo proposto visse quasi sempre a Roma nella casa paterna, in contrata Turris Comitis69, e a Prato fu presente per mezzo dei suoi vicari. Nel 1318 si decise a chiedere al vescovo di Pistoia Ermanno di essere promosso al suddiaconato, ma non poté essere esaudito perché, a parere del vescovo, era pluribus G. Lami, Sanctae ecclesiae Florentinae monumenta, Florentiae, ex typographio Deiparae ab Angelo Salutatae, 1758, I, p. 302. 64 Documento 1292 novembre 16, n. 317. 65 ASF, Diplomatico, Propositura di Prato, 1305 aprile. 66 Su questo abile diplomatico e giurista, vedi R. Davidsohn, Storia di Firenze, III, 602 ss.; VII, pp. 15-17; G. W. Dameron, Florence and its church in the age of Dante, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2004, pp. 93-96; Rome across time and space. Cultural transmission and the exchange of ideas c. 500-1400, a cura di C. Bolgia, R. McKitterick, J. Osborne, Cambridge, Cambridge University Press, 2011, pp. 334-336. Si vedano altresì i documenti del 1327-1328, in ASF, Corporazioni religiose soppresse dal governo francese, Badia di Passignano, n. 179, fascicolo 47. 67 Documento del 1296 settembre 11, n. 331. 68 Documento del 1300 novembre 19, n. 346. Il nuovo eletto era già canonico del Duomo di Padova, pur avendo ricevuto solo gli ordini minori e non ancora compiuto diciassette anni. 69 Documento del 1298 maggio 14, n. 337; ASF, Diplomatico, Propositura di Prato, 1313 settembre 18, 1318 aprile 16, 1331 settembre 9. 63

• xxv •


excomunicationibus tam de iure quam ab hominibus latis inretitus et innodatus70. Le scomuniche ventilate dal vescovo di Pistoia riguardavano non tanto la persona del proposto quanto piuttosto la propositura e tutto il clero di Prato, che ritenendosi nella pratica autonomi dall’autorità del vescovo, erano da questo considerati come scomunicati. L’assenza sistematica del proposto, le vicende della politica toscana e italiana, le discordie intestine – nel 1304 i pratesi chiusero in faccia al cardinale Niccolò le porte della città nativa –, non impedirono la crescita dell’attività artistica e culturale. Giovanni Pisano lavorò, oltre che da architetto, da scultore; sommi pittori come Maso di Banco, Bernardo Daddi e Bonaccorso di Cino lasciarono tracce notevoli della loro arte71; il fiorentino Pacino di Buonaguida illuminò di miniature i corali per il servizio del coro72; orafi fiorentini e senesi confezionarono splendide oreficerie per il culto della chiesa73; nel corpo del Capitolo professavano canonici che esercitavano l’avvocatura nei processi canonici74 e la professione del notariato75. All’aprirsi del XIII secolo governava la propositura il diacono Pievano, eletto a tale carica fin dal giugno 118276. È ricordato tra i viventi per l’ultima volta nel novembre 1206. Tutti i papi del suo tempo lo onorarono con privilegi e lettere, da Lucio III a Urbano III, da Celestino III a Innocenzo III. Fu altresì 70 Ibid., 1318 aprile 2. Una sorella del proposto aveva sposato il pratese Datino d’Andrea Guazzalotti. Il cognato fu fatto procuratore dal proposto Bartolomeo nella rinnovata lite col vescovo di Pistoia, Ermanno, a riguardo della giurisdizione sulla propositura di Prato, lite già assegnata dal papa al giudizio dell’abate di Pacciana, del noto giurista Cino da Pistoia e del canonico pistoiese Giovanni di Truffa (ibid., 1318 aprile 16). 71 Su questi pittori, su Taddeo Gaddi, il Maestro di Mezzana, Bettino di Corsino, ecc., vedi ora il volume sulla mostra Legati da una Cintola, Prato 8 settembre 2017-14 gennaio 2018. 72 Cfr. R. Fantappiè, Pacino di Bonaguida, Antiphonarium de tempore et commune sanctorum, in I tesori della città di Prato. Tre-Settecento. Catalogo della mostra tenuta a Tokyo, Gifu e Hiroshima, 2005-2006, Tokyo, Art planning Rey, 2005, pp. 102-103; Id., Pacino di Bonaguida, in Legati da una Cintola, pp. 156-157. 73 Vedi un inventario del 1383 in L’archivio del Capitolo del Cattedrale di Prato, pp. XXXI-XXXV. Un fantasioso ostensorio architettonico, del secondo-terzo decennio del Trecento, di bottega senese, proveniente dal Duomo di Prato, si conserva al Victoria and Albert Museum di Londra, n. 7546-1861, cfr. M. M. Gauthier, Émaux du moyen age occidental, Fribourg, Office du livre, 1972, p. 212 e n. 164 p. 386. 74 Vedi note 63-66. 75 Come risulta da una lettera del proposto Bartolomeo al consiglio generale del Comune di Prato, del 30 giugno 1322 (ASP, Archivio storico del Comune, n. 73, c. 162). Vedi anche le premesse al documento 1292 luglio 24, n. 313. 76 Le carte della propositura, p. 407 n. 222. In un atto del 1195 aprile 30 è detto «Dei gratia ecclesie et plebis Sancti Stefani prepositus et yconomus» (ibid., p. 461 n. 246); «Plebanellus» nel documento 1204 giugno 4, n. 11. Quasi sempre si fregia del titolo di «dominus» o «donnus». La sua scrittura è chiara e ferma (ASF, Diplomatico, Propositura di Prato, 1198 maggio 19).

• xxvi •


nominato cappellano imperiale da Enrico di Maastricht, vescovo di Worms, legato dell’imperatore Enrico VI77. Il capitolo dei canonici allora era costituito da sette presbiteri: tutti quanti erano uomini di cultura. Il prete Schiatta lo troviamo arbitro in questioni di rilievo, come nella definizione dei diritti sulla chiesa di Cerreto, sulla corte di Fabio in Val di Bisenzio, sulla «ordinatio» della chiesa di S. Salvatore in Prato78. Alcuni ebbero il compito di «camerarius» in seno al capitolo, mentre altri tre canonici si professavano «magistri»: Uguccione, Bonaguida e Enrico. Bonaguida fu arbitro per la soluzione di varie cause civili e canoniche, e giudice delegato dal papa Onorio III79. Dopo la breve parentesi di poco più di un anno, durante la quale fu preposto il prete Iacopo80, spettò al «magister» Enrico la carica suprema della pieve di Prato81. Era stato vicario del proposto Pievano82. Il 4 giugno 1211, insieme con i suoi canonici, i consoli del Comune, quelli dei mercanti e l’operaio addetto all’Opera della pieve, affidò al maestro Guido, marmorario del S. Martino di Lucca, la costruzione o meglio il completamento della fabbrica della pieve83. Circa il 1220, i Levaldini, una antica famiglia che visse il suo momento migliore tra la fine del XII e i primi del XIII secolo, nel sopraelevare alcune loro abitazioni che possedevano vicino alla pieve, avevano coperto il «chiasso» che correva fra il campanile e il muro del loro «terrato››, e si erano appoggiati, dall’altra sponda, al campanile84. Nello stesso periodo anche i Dagomari, una stirpe che diventerà famosa per la leggenda alimentata da documenti apocrifi sulla reliquia della Cintola85, avevano ampliato le proprie abitazioni, situate dietro la pieve, occupando parte del cimitero e un terreno annesso spettante ai canonici, e vi avevano scavato un pozzo86. Il proposto Enrico e i canonici dovettero intentare una causa per ridurre alla ragione gli usurpatori. Tanto i Levaldini che i Dagomari non si presentarono al processo, celebrato in Firenze per ordine del papa Onorio III87, e furono condannati in contumacia. Le carte della propositura, 1194 giugno 23, p. 454 n. 243. Ibid., 1181 agosto 2, p. 400 n. 218; 1182 novembre 4, p. 408 n. 223; 1188 giugno 27, p. 437 n. 236. 79 Documento del 1216 ottobre 23, n. 51. 80 Appare proposto dal 1206 dicembre 1° al 1208 febbraio 28. 81 Ricordato come proposto nell’atto del 1208 luglio 1°, n. 23. 82 Documenti 1201 febbraio 21, n. 2, e dicembre 1°, n. 4. 83 1211 giugno 4, n. 36. Il contratto fu redatto nel chiostro dei canonici dal notaio pratese e giudice imperiale Ildebrando. 84 Documento del 1221 luglio 17, n. 80. 85 Cfr. R. Fantappiè, Una cintura di lana finissima di Prato, p. 31. 86 Documento 1221 agosto 19, n. 81. 87 Documento 1220 aprile 29, n 71. 77 78

• xxvii •


Per la sua scienza e il suo prestigio, il proposto Enrico ebbe incarichi notevoli e frequenti dal papa Innocenzo III e dal suo successore Onorio III. Nel 1211 insieme col vescovo di Fiesole decise della questione tra il vescovo Giovanni di Firenze e la badessa del monastero di S. Maria a Mantignano88; nel 1212 fu incaricato di dirimere la contesa tra il pievano di Signa e la canonica di Gangalandi89; nel 1216 condannò come falsario, per ordine del papa Onorio III, Sigardo, frate dello spedale di S. Giovanni di Firenze90. Nel 1219 fu di nuovo giudice tra Giovanni da Velletri, vescovo di Firenze, la Badia di Firenze e il monastero di S. Martino a Mensola91; nel 1221, insieme con i suoi condelegati, dopo che il potestà e gli altri ufficiali del Comune di Prato avevano fatto ammenda, li assolse dalla scomunica in cui erano incorsi92. Nel 1213 era stato giudice in una vertenza fra il priore della badia di S. Salvatore in Agna e l’abate di S. Salvatore di Fontana Taona93. L’ultimo atto compiuto da proposto fu la scomunica fulminata contro il prete di S. Michele a Cerreto, perché fedifrago94. Alla morte del proposto Enrico, le sorti della chiesa di Prato furono affidate a Zonghello95. Era ascritto nel numero dei canonici di Prato dal giugno 1204, e fin d’allora era stato arbitro di cause civili ed ecclesiastiche96. Il papa Onorio III, che l’aveva elevato alla carica di arciprete di Colle Val d’Elsa, già nel 1219 si rivolgeva a lui per alcune missioni di rilievo97. Dal 1220 al 1229, prima Onorio III e poi Gregorio IX lo coinvolsero in quella lunga stagione di conflitti e di tensioni che durò per oltre due decenni, durante i quali non fu mai fatta pace, tra l’arcivescovo di Pisa Vitale (1217-1252) e i membri del Capitolo98. In qualità di giudice papale fu chiamato, nel 1220, per questioni riguardanti lo spedale dell’Altopascio99; l’anno di poi ad esaminare la riforma delle costituzioni decisa dai canonici di S. Reparata di Firenze100. Nel 1225 sanzionò 1211 aprile 9 - giugno 4, n. 35. 1212 marzo 10, n. 40. 90 1216 ottobre 23, n. 51 e 1216 novembre 23, n. 52. 91 1219 aprile 27, n. 68. 92 1221 febbraio 10-11, n. 76. 93 1213 luglio 3, n. 46. 94 1225 novembre 10, n. 110. 95 Proposto di Prato, 1226 maggio 17, n. 111. 96 1204 giugno 7, n. 12; 1209 marzo 17, n. 30; 1219 marzo 13-25, n. 67. 97 Documenti 1219 gennaio, n. 65; 1219 febbraio 8, n. 66. 98 Questi i documenti che lo riguardano: 1220 dicembre 21, n. 74; 1224 giugno 29, n. 93; 1224 luglio 1°, n. 94; 1224 circa, n. 95; 1225 marzo 11, n. 102; 1227 ottobre 9, n. 106; 1228 settembre 27, n. 117; 1228 dicembre 6, n. 119; 1229 gennaio 19 e 20, nn. 120 e 121; 1229 febbraio 22, n. 122. 99 Lettera del papa Onorio III, del 1220 aprile 17, n. 70. 100 Documenti 1221 agosto 30, n. 82; 1225 ottobre 9 e 23, nn. 106 e 107. 88

89

• xxviii •


la rescissione del contratto di vendita tra il monastero di S. Antimo e il vescovo di Pistoia, con il quale, dietro la forte somma di 2000 libre di denari pisani, avevano dispogliato il monastero di S. Amato presso Montale101, mentre favorì la vendita di beni della Mensa vescovile di Firenze, resi poco redditizi dalle locazioni consuetudinarie102. Nel 1232 era ancora chiamato a decidere su una vertenza di decime tra la canonica di S. Maria e di S. Iacopo della Sambuca e il monastero di Passignano103. Difese i diritti della propositura di Prato contro le pretese del vescovo di Pistoia sul monastero di S. Martino a Coiano104 e, più di ogni altra cosa, la preminenza della chiesa di Prato su tutte le altre chiese della diocesi di Pistoia105. Dal papa Gregorio IX si fece confermare le decisioni del predecessore Celestino III sull’obbligo della residenza dei capitolari, perché i canonici non consumassero le loro prebende fuori di Prato106, e dal papa Innocenzo IV ottenne il privilegio di conferma delle chiese sottoposte alla propositura107. Governò con autorità e competenza e, più volte, dovette ricorrere a irrogare la pena canonica della scomunica108. Il papa Gregorio IX lo aveva insignito del titolo di suddiacono papale109, fatto che fa pensare che Zonghello avesse avuto modo di stabilire rapporti personali con la Curia romana e con il papa. Nel marzo 1234 era a Roma, presso la basilica di S. Martino ai Monti, come testimone ad una sentenza pronunziata dal cardinale prete di S. Lorenzo in Lucina, Sinibaldo Fieschi, futuro papa col nome di Innocenzo IV110. A Colle Val d’Elsa, dove – come abbiamo visto – rivestiva la carica di arciprete, nel 1224, dovette procedere severamente contro Alberto da Ricasoli, potestà, il camerario e i consiglieri del Comune di Colle, perché avevano favorito la predicazione di un certo Paolo, già frate minore, apostata, eretiCommissione del papa Onorio III, 1225 marzo 23, n. 103. Documenti 1232 febbraio 20, n. 131; 1232 ottobre 26, n. 136. 103 Alle date 1231, n. 128; 1232 febbraio 29, n. 132. 104 Lettera del papa Gregorio IX, 1233 giugno 25, n. 141. 105 Documento del 1238 aprile 2, n. 160. 106 Documento 1234 febbraio 17, n. 145. Per una conferma alla chiesa di Prato dei suoi beni e diritti da parte del papa Gregorio IX, vedi 1229 marzo 8, n. 124. 107 Privilegio del 1245 agosto 21, n. 187. 108 Documenti 1224 giugno 18-19 e luglio 13, n. 95; 1235 gennaio 1°-marzo 24, n. 150; 1238 agosto 4, n. 163. 109 Lettera del papa Gregorio IX a Zonghello, 1234 febbraio 17, n. 145. 110 Les registres de Grègoire IX, n. 2480, 1234 marzo 16: «Ibi fuere testes: Zonghellus, Pititensis (= Pratensis) prepositus …». 101

102

• xxix •


co e scomunicato. L’ex frate, benvoluto dall’autorità laica, aveva addirittura esposto le sue dottrine nel palazzo del potestà, dinanzi alle più alte magistrature del Comune e a molti abitanti di Colle. Nelle accese dispute, non solo verbali, che ne erano seguite, un chierico era stato percosso dal camerario del Comune111. In quegli anni alcuni canonici di Prato giunsero a posizioni molto elevate. Giandonato del fu Tedici da Agliana, «dominus» e «presbiter», canonico di Prato fino dal 1218, insieme con Zonghello rappresentò l’eccellenza del clero della propositura112. Dotato di beni di famiglia era accudito da un servitore113. Nel 1224 lo troviamo delegato papale insieme col vescovo di Firenze Giovanni da Velletri114; quindi a dirimere una disputa aperta davanti al papa dall’abate della Badia fiorentina115, e nel 1232 a decidere nella estenuante lite tra i canonici di Firenze e il prete e il popolo di Ronta116. Grazie alla protezione del cardinale prete di S. Maria in Trastevere, Stefano Conti, di cui era cappellano, nel 1236, il papa Gregorio IX lo investì proposto della cattedrale di Pistoia, in deroga allo statuto di quel capitolo sul numero dei canonici117. Tenne l’alta carica fino al 1259 circa118. Altro canonico chiamato dal papa a svolgere mansioni di pacificazione nelle frequenti liti che si agitavano nel clero e nei conventi fu il «magister» Giovanni di Donato119. Nel 1239 fu richiesto come arbitro per la risoluzione di una controversia fra Bartolomeo, abate della badia di S. Maria di Firenze, e Rustichello, pievano della pieve di S. Ippolito in Piazzanese120. Sembra sia stato anche pievano di S. Vincenzo a Torri (Firenze). Col titolo di pievano è ricordato infatti fra i canonici che si opposero alla nomina di Alcampo a proposto di Prato121.

Documento 1224 giugno 18-19 e luglio 13, n. 95. Documenti 1223 gennaio 10-febbraio 22, n. 87; 1225 settembre 9 e 11, n. 105. 113 Atto del 1225 settembre 9 e 11, n. 105; 1243 agosto 23-24, n. 178. 114 Documenti 1224 settembre 2-8, nn. 96-99. 115 Commissione del papa a Giandonato, del 1224 settembre 23, n. 100. 116 1232 marzo 4, n. 133. 117 Lettera del papa Gregorio IX, 1236 agosto 20, n. 155. 118 È ricordato nei documenti ASF, Diplomatico, Capitolo di Pistoia, 1259 gennaio 14, 1259 marzo 31, e nelle bolle papali del 1259 maggio 30 e giugno 1°. Nel 1262 luglio 18 era proposto «dominus Hermannus». 119 Documento del 1234 settembre 24, n. 148. 120 1239 settembre 14-ottobre 12, n. 165. 121 1250 giugno 8, n. 203; 1252-1253, n. 211; 1256-1257, n. 241. 111

112

• xxx •


Sempre in quel torno, si distinse nel clero di Prato il maestro di grammatica Giovanni, che il proposto Zonghello nominò prima canonico e quindi rettore e pastore della chiesa di S. Maria in Castello di Prato, col consenso del capitolo della pieve e il volere e il plauso dei popolani della chiesa riuniti in assemblea122. Nell’agosto 1231, Giovanni era stato chiamato insieme con Niccolò, priore di S. Fabiano di Prato, e Rodolfo, priore di S. Martino a Gangalandi, a placare e risolvere le discordie insorte tra l’abate di S. Salvatore di Settimo e il pievano di S. Giuliano di Settimo123. Vasta notorietà dovette godere in quegli anni il «magister Iohannes de Prato, gramatice facultatis professor», che troviamo presente nei cerimoniali sulla nomina e l’insediamento del priore della chiesa di S. Giovanni Forcivitas di Pistoia in rappresentanza del proposto e dei canonici di Prato124. Di Prato fu anche il «magister Raynaldus», ricordato nelle carte del Capitolo della cattedrale di Pistoia per una missione, del maggio 1274, al concilio di Lione125. Nella lettera del maestro Ardiccione, primicerio della chiesa di Milano e cappellano del papa, inviata dal concilio ai canonici di Pistoia, Rainaldo è detto «discretus vir dominus Raynaldus, archipresbiter dicte ecclesie Pistoriensis». Con la qualifica di «magister» è presente in due atti di vendita di beni del Capitolo di Pistoia, del 1274 e del 1281126. L’origine pratese del «magister» è precisata dal Salvini, nel Catalogo croDocumenti del 1231 giugno 7-10, n. 126; 1232 dicembre 29 e 30, nn. 138 e 139. 1231 agosto 27-30, n. 127. 124 Documenti del 1243 agosto 23 e 24, nn. 177 e 178. 125 ASF, Diplomatico, Capitolo di Pistoia, 1274 maggio 21. Questo il testo della lettera: «Magister Arditio de Comite, primicerius Mediolanensis, domini pape capellanus et ipsius palatii causarum generalis auditor, discretis uiris canonicis et capitulo cathedralis ecclesie Pistoriensis salutem in Domino. Lugduni in quo sacrosantum generale concilium, per sanctissimum patrem dominum Gregorium papam decimum extitit in kalendis presentis mensis maii congregatum, discretus uir dominus Raynaldus archipresbiter dicte ecclesie Pystoriensis, procurator uester ueniens se loco uestri, in ipso concilio presentauit litteras procurationis huiusmodi nobis, quem idem dominus papa ad recipiendo procurationes ipsas deputauerat presentando, quas recepimus, dictoque procuratori restituimus postquam in eodem concilio procuratoribus recedendi licentia fuit data. In cuius rei testimonio presentes litteras fecimus fieri et nostro sigillo muniri. Datum L[ugduni] .XII. kalendas yunii pontificatis domini Gregorii pape decimi anno tertio. Millesimo ducentesimo septuagexino qua[rto]». 126 Ibid., 1274 marzo 22: «de consensu et uoluntate dominorum magistri Ra[inaldi …]; 1281 febbraio 11: «in ecclesia maiori Pistoriensi coram domino Rainaldo archipresbitero et domino Bartolomeo preposito … Post hec autem Pistorii, infra domos canonice ecclesie Sancti Çenonis Pistoriensis, in quadam camera archipresbiteri Pistoriensis, coram presbitero Melio sanctese dicte ecclesie et Castellano notario quondam Tedeschi et Belloforte Arrigi Caselle, testibus rogatis. Die veneris .XIIII°. mensis februarii. Dominus magister Rainaldus archipresbiter consensit omnibus predictis et fecit idem in omnibus et per omnia ut alii fecerunt superius». 122 123

• xxxi •


nologico de’ canonici della chiesa metropolitana fiorentina127, e da uno dei soliti processi, senza fine, di rivendicazione di possesso di prebenda, instaurato da Lotto di Brunetto Alfani, canonico e arcidiacono fiorentino, «contra magistrum Raynaldum de Prato et archipresbiterum de Pistorio et capitulum Florentinum»128. La prebenda, un tempo goduta da Viviano de’ Catellini da Castiglione, era stata assegnata all’Alfani dal cardinale Latino, legato pontificio in Toscana, mentre il papa Giovanni XXI l’aveva conferita al maestro pratese Rainaldo. La morte di Rainaldo, avvenuta nel 1283, mise fine anche alla controversia. In questo scorcio del Duecento tra i canonici di Prato sedeva il notaio Giovanni di Cambio da Montemurlo, che fu anche maestro di grammatica nella scuola pubblica129. Nel giugno 1280 era stato inviato insieme con l’esercito del Comune in aiuto a Siena contro i suoi fuorusciti, i ghibellini esiliati. Teatro del conflitto furono la Maremma e la Val d’Orcia. Al ritorno, verso la fine d’agosto, il padiglione con le insegne del Comune, che aveva accompagnato l’esercito, ritornò danneggiato130. Ser Giovanni, che ne aveva la custodia e la responsabilità, fu però assolto da negligenza dannosa131. Nel 1297, come canonico e «operaio», era addetto ai lavori di restauro alla pieve132. Le sue imbreviature, per delibera del consiglio generale del Comune di Prato, furono affidate ad un altro notaio con l’obbligo della conservazione e della pubblicazione133. 127 Catalogo cronologico de’ canonici della chiesa metropolitana fiorentina compilato l’anno 1751 … Con l’aggiunta de’ canonici ammessi nel detto capitolo dall’anno 1751 fino al presente tempo, Firenze, Cambiagi, 1782, p. 12: «Maestro Rinaldo da Prato. Arciprete di Pistoia. Per morte di Viviano Catellini. † 1283». 128 ACF, Diplomatico, 540/C18, 1281 agosto 14. Sono undici pergamene cucite insieme. Il processo iniziò il 1281 aprile 16, e termina, senza conclusione, nel 1282 giugno 10. Lotto Alfani accusava, tra l’altro, Rainaldo «quod uos dictus magister Raynaldus omnes quasi arbores ipsius prebende, quantumcumque arbores fructiferas, tamquam uastator et sacrilegus depopulator agrorum cum securibus incidendo, et ianuas domus, super ipsa prebenda posite, manu armata et uiolenta securibus et ascia deiacendo ex potentia laycali, uos dico propter tam enorme dampnum et factum sacrilegum, legittime merito excomunicatum …». 129 R. Fantappiè, Nascita e sviluppo di Prato, p. 295 nota 815. 130 «Camerarii comunis non dicant nec petant aliquid ser Iohanni notario de Montemurlo eo quod non reduxit ferestros trebache comunis de exercitu Senensium» (Consigli del Comune di Prato, p. 279 n. CCXXIX, 1280 agosto 27). Sulla parola feristo, la trave che regge il padiglione, cfr. Tesoro della Lingua Italiana delle origini, alla voce. 131 Consigli del Comune di Prato, p. 237 n. CXCI, 1280 giugno 22. Il notaio non è da confondersi con l’omonimo notaio e giudice da Montemurlo, che si firma «Ego Iohannes filius Cielli de Montemurlo auctoritate imperiali iudex ordinarius et notarius» (ASF, Diplomatico, Propositura di Prato, 1301 giugno 11). 132 1298 febbraio 7, n. 334. Vedi anche le premesse al documento 1297 novembre 1°, n. 333. 133 ASP, Archivio storico del Comune, Diurni, n. 73 c. 162r, 1322 giugno 30. Alla data, ser Giovannino era deceduto «iam sunt plures anni».

• xxxii •


Prima che a Firenze134, e forse prima che negli altri centri della Toscana135, nacquero a Prato gli studi grammaticali per iniziativa del governo della città. L’istruzione primaria per lungo tempo era stata impartita soprattutto dal clero, anche se aperta a secolari136. Anche i notai provvedevano all’educazione dei fanciulli e dei giovani. Giustamonte o Monte di Toringo Pugliesi, uomo di grandi ricchezze, fondatore nel 1282 del Ceppo Vecchio di Prato, affidò il giovanissimo fratello Bandelluccio al notaio Bernardo del fu Benvenuto Piaciti affinché gli insegnasse il Salterio, il Donato – il testo ufficiale dell’insegnamento primario del Medioevo – e altre discipline, sì da essere in grado di comporre «pactiones bene condecenter»137. Della scuola pubblica a Prato ne abbiamo notizia certa fino dal 1270138. Era gestita dal maestro Strenna139, che in quell’anno impartiva il suo insegnamento nei locali presi in affitto da Bandinello, «ubi docet pueros gramaticam». La notizia è legata ad un fatto di cronaca. Due sbanditi erano entrati in città e, tra le altre ribalderie, tentarono perfino di entrare nella scuola con lo scopo di violare «quosdam pueros morantes ibidem ad discendam gramaticam». Un tumulto popolare impedì a quei delinquenti di compiere il loro scellerato disegno140. L’anno di poi, nel 1271, il Comune assunse il «magister Gilius, professor gramatice», che s’impegnò a «stare et morari continue in terra Prati et ibi suos scolares docere bene et legaliter gramaticam»141. Aveva preso dimora in S. Trinita in una casa dei Mergugliesi lanaioli142. Nel 1276 teneva scuola d’abbaco il «magister Puccius albachista», figlio del notaio Dietaiuti del fu Guido da Fabio in Val di Bisenzio143.

R. Davidsohn, Storia, VII, p. 214: «[a Firenze] non abbiamo notizia certa di maestri laici prima del 1275». Il maestro ricordato dal Davidsohn era un privato: «lo Stato cittadino si curava dei maestri quasi esclusivamente in quanto li faceva oggetto delle sue tasse» (ibid., p. 212). 135 Per San Gimignano, vedi Id., Forschungen, II, pp. 312-315. 136 Convenzioni fra i canonici di Prato e i parrocchiani della cappella di S. Giorgio in porta Tiezi, documento del 1218, n. 64. 137 ASP, Spedali di Prato, 7022, Imbreviature di ser Iacopo di Pandolfino, c. 41v, 1249 marzo 8. 138 Cfr. anche R. Fantappiè, Nascita e sviluppo di Prato, p. 295, note 815 e 816; Id., Consoli e potestà a Prato, pp. 62-63. 139 Il maestro nel 1276 era insegnante a San Gimignano (R. Davidsohn, Forschungen, II, p. 313). 140 ASP, Archivio storico del Comune, Atti giudiziari, n. 1054, foglio volante, 1270 novembre 26. 141 Ibid., n. 1726, quad. 4, c. 76v, 1271 maggio 16. 142 ASP, Spedali di Prato, n. 7023, Imbreviature di ser Iacopo di Pandolfino, c. 76v, 1271 dicembre 15. 143 1276 agosto 31, n. 269. Il figlio di Puccio, ser Carmignano, proseguì la scuola del padre (R. Fantappiè, Nascita e sviluppo di Prato, p. 295 nota 815). 134

• xxxiii •


Lo Studio di Bologna che, come quello parigino, aveva un’importanza mondiale, ebbe nel corpo accademico due ragguardevoli canonisti di Prato. Nei primi decenni del Duecento vi insegnò Bondie da Prato, cappellano del vescovo di Bologna. Nella breve biografia del maestro riportata nel De claris archigymnasii Bononiensis professoribus, è detto: «vir clarus aetate sua fuit, et inter professores iuris canonici non parum celebris»144. Insieme con Tancredi da Bologna, altro canonista più di lui noto e autorevole, svolse incarichi per conto del papa Onorio III; fu presente in numerosi negoziati tra il cardinale Ugolino d’Ostia e i Comuni dell’Italia centrosettentrionale; fece parte della commissione arbitrale deputata a comporre le controversie tra i comuni di Bologna e di Pistoia e tra il comune di Pistoia e il suo vescovo. Nei documenti bolognesi è ricordato dal 1213 al 1233145. Nel 1225 Tancredi e Bondie erano chiamati dal papa a svolgere una autorevole commissione «per raffrenare l’audacia del Pretore de’ Fiorentini»146. In qualità di canonista, negli ultimi decenni del XIII secolo, insegnò a Bologna Giovanni da Montemurlo. Studiò legge in quella città, dove poi iniziò il suo insegnamento. Ebbe due figli, Filippo e Giovanni. Morì prematuramente nel 1301147. Compose alcune «Quaestiones»148, segnalate già da Tommaso Diplovatazio e ricordate nel De claris archigymnasii Bononiensis professoribus. Fu consulente della controversia sull’arbitrato, del 18 novembre 1287, relativo all’omaggio del delfino Umberto I al conte Amedeo V di Savoia, insieme con tre giuristi dell’Università di Bologna: Ottaviano Ubaldini, Gerardo di Cornazzano, vicario del vescovo di Bologna, e Alberto di Odofredo, rettore del collegio dei giudici e degli avvocati di Bologna149. Il «consilium» sull’in144 De claris archigymnasii Bononiensis professoribus a saeculo XI usque ad saeculum XIV, edita da M. Sarti e M. Fattorini, Bologna, Lelio Dalla Volpe, 1769-1772, t. I, p. I, p. 319 (ed. 1888-1896, Bologna, Merlani, I, p. 395). Vedi inoltre le premesse ai documenti 1224 febbraio 17, n. 91, e 1225 ottobre 31, n. 109. 145 Cfr. le premesse al documento 1224 febbraio 17, n. 91. Ivi è ricordato anche il soggiorno a Bologna del «magister Pascalis, canonicus Pratensis». 146 Vedi i preliminari al documento papale del 1225 ottobre 31, n. 109. 147 De claris archigymnasii Bononiensis professoribus, I, p. 415-416. 148 Cfr. J. F. von Schulte, Die Geschichte der Quellen und Literatur des Kanonischen Rechts von Papst Gregor IX bis zum Concil von Trient, Stuttgard, Enke, 1877, p. 164; Bio-Bibliographical Guide to Medieval and Early Modern Iurists, n. a299. 149 Cfr. G. Giordanengo, Consilia feudalia, in Legal Consulting in the Civil Law Tradition, ed. M. Ascheri, I. Baumgärtner, J. Kirshner (Studies in Comparative Legal History), Berkeley, University of California, 1999, pp. 162-163. Ivi è segnalata la recensione a V. Chomel, Conservateur aux Archives départe­ mentales de l’Isère, Une consultation inédite de Dinus Mugellanus au sujet d’un arbitrage entre Humbert Ier, dauphin de Viennois, et Amédée V, comte de Savoie (vers 1288), riportata in «Revue Historique de droit Français et Étranger», 4a serie, 44 (1966), pp. 696-698. Inoltre G. Murano, I consilia giuridici dalla

• xxxiv •


terpretazione dell’arbitrato fu però pronunciato da un giurista toscano, Dino del Mugello150. La propositura di Prato, nel XIII secolo, doveva disporre di una rendita annuale, certo non eccessiva, ma in grado da mantenere il servizio divino e tredici canonici, oltre il proposto e i cappellani151. A questi ultimi era riservato il compito di celebrare agli altari, dare l’ultimo conforto ai morenti ed accompagnare i morti all’estremo riposo. Negli anni del governo del proposto Rainaldo (1247-1254), lo stesso proposto e sei canonici erano però assenti da Prato e si limitavano al solo godimento delle prebende. Il vescovo di Pistoia aveva cercato di mettere ordine nell’amministrazione dei beni della chiesa di Prato e aveva disposto che i capitolari non fossero più di otto, oltre il proposto, e il papa Innocenzo IV aveva confermato le sue decisioni152, ma le cose rimasero come prima. Anzi la condiscendenza papale giunse a tanto da nominare canonici altri suoi favoriti e da perdonare agli stessi la mancanza di cultura. Nel 1255 Alessandro IV ordinò di accogliere fra i canonici di Prato, che erano tredici, un suo raccomandato, Cavalcante153, mentre Innocenzo IV l’anno prima aveva d’autorità imposto come proposto Alcampo, notoriamente deficiente di cultura e d’altri requisiti154. L’importanza e i buoni redditi della propositura costituirono la sua rovina, ché i papi da allora in poi l’assegnarono in commenda, sebbene la propositura avesse la cura delle anime, ai loro prediletti e perfino a dei ragazzi155.

tradizione manoscritta alla stampa, in «Reti Medievali Rivista», 15, 1 (2014), p. 6 dell’estratto. L’arbitrato, come è precisato dalla Murano, è conservato a Grenoble, Archives départementales de l’Isère, B 3858. Per Alberto di Odofredo, ibid. B 3857, per Giovanni da Montemurlo, B 3859, per Gerardo di Cornazzano, B 3860. Altri due documenti sulla controversia sono segnati B 3856 e B 3861. 150 Per il consilium di Dino del Mugello e Lambertino Ramponi al Comune di Prato sugli eretici pentiti, cfr. R. Fantappiè, Eresia e inquisizione a Prato, p. 239 n. 2, 1292-1298, e la bibliografia citata. 151 Documenti del 1252-1253, n. 211; 1256 ottobre 7, n. 238. 152 Vedi documento del 1256 ottobre 7, n. 238. 153 1257 marzo 30, n. 239. 154 Documento del 1252-1253, n. 211. Nel 1248 Raniero Capocci, cardinale diacono di S. Maria in Cosmedin, famoso per essere stato un implacabile avversario di Federico II, su richiesta di Innocenzo IV, scriveva che fosse assegnato nella chiesa di Prato al chierico Salmon da Fucecchio un «personatum seu plebanatum», poiché «a nuntiis Federici quondam imperatoris spoliatus sit, ut asserit, omnibus bonis suis, et non habeat beneficium de quo valeat comode sustentari» (MGH, Epistolae saeculi XIII selectae, II, p. 373 n. 533). 155 Vedi le bolle di papa Bonifacio VIII a favore dei figli di maestro Accursino di Pistoia, del 1296 settembre 11, n. 331; 1300 novembre 19, n. 346. Stoldo dei Buondelmonti fu canonico di Prato a 14 anni, 1299 ottobre 6, n. 339.

• xxxv •


Non pochi sono i documenti, del XIII secolo, del Diplomatico della propositura di Prato, nei quali si raccoglie risonanza dei fatti e delle tensioni che animarono la cittadina nel Duecento156. Oltre alla magnifica costruzione della chiesa maggiore, sorta col concorso del clero, delle forze politiche e mercantili, e di un popolo partecipe e consapevole, emergono nei documenti le singolari personalità dei proposti, il culto per la reliquia della Cintola, la nascita del primo spedale toscano per trovatelli, le lotte politiche, l’eresia, gli insediamenti degli Ordini mendicanti, l’accrescimento urbanistico e, per le sue connessioni con il commercio e l’industria, l’usura. Gli Ordini mendicanti che durante tutto il XIII secolo si insediarono nella periferia urbana di Prato con il complesso di chiese, oratori, associazioni, Terz’Ordini, che ad essi facevano capo, erano diventati veri centri di vita sociale e religiosa, ed avevano preso su di sé gran parte della cura delle anime che il clero secolare trascurava. Le antiche chiese parrocchiali del centro di Prato, incapaci di competere con gli enormi complessi dei Mendicanti, ricchi di lasciti e di contributi e soprattutto di frati, sempre ardenti di zelo e spesso validi predicatori, e di laici, uomini e donne, loro devoti, perdevano ognor più prestigio e soprattutto perdevano fedeli e offerte157. Di qui le liti aspre, ma giustificate, fra il proposto Alcampo, capo e custode delle autonomie parrocchiali, e gli Ordini mendicanti. Clamorosa fra tutte quella con gli Agostiniani che, con spregiudicata arroganza, non intendevano piegarsi alla forza del diritto, e per più anni tenne in subbuglio gli animi dei pratesi158. Molti atti del Diplomatico della propositura di Prato della seconda metà del Duecento riguardano la restituzione delle usure estorte sui contratti di mutuo. Le questioni relative al credito e all’usura, come alle liti matrimoniali, erano infatti di competenza del tribunale ecclesiastico del proposto di Prato159. I concili celebrati nei secoli XII-XIV inasprirono la condanna canonica dell’usura: il concilio del Laterano, presieduto nel 1179 da Alessandro III, 156 Sugli avvenimenti politici di Prato, del Duecento, fino all’avvento di Carlo d’Angiò, vedi R. Fantappiè, Consoli e potestà a Prato, pp. 21-66, e l’appendice documentaria, ibid., pp. 67-149, con numerosi regesti tratti dal Diplomatico della Propositura di Prato. 157 R. Fantappiè, Nascita e sviluppo di Prato, pp. 196-209. 158 Sulla penosa vicenda, cfr. documento 1292 dicembre 19-1293 febbraio 4, n. 319. 159 Nel secondo decennio del Trecento il vescovo di Pistoia, Ermanno Anastasi, aprì una feroce controversia contro il proposto di Prato con l’intento di sottrargli la giurisdizione sulle usure e le cause matrimoniali, ma senza successo. Cfr. ASF, Diplomatico, Propositura di Prato, alle date archivistiche 1316 dicembre 9, 1316-1317, 1317 febbraio 20, 1317 ottobre 3, ecc. Vedi anche nota 70.

• xxxvi •


comminò la scomunica e il divieto di sepoltura, e i concili del Laterano del 1215 e di Lione del 1274 rinnovarono le sanzioni ecclesiastiche e le norme repressive dell’usura160. Solo raramente il tribunale del proposto procedette contro i prestatori durante la loro vita; furono invece le vittime a reclamare talvolta la restituzione dell’interesse161. La giustizia ecclesiastica faceva validamente sentire la sua autorità sul letto di morte degli usurai. Non si dovevano infatti concedere i sacramenti e la sepoltura ecclesiastica, se l’usuraio non avesse prima riconosciuto il proprio peccato, e non avesse disposto, davanti ad un notaio, lui o i suoi eredi, provvedimenti adeguati per il risarcimento delle vittime. L’usuraio doveva inoltre promettere, se guarito e scampato alla morte, di non praticare mai più l’usura. Le dichiarazioni e le obbligazioni assunte dovevano essere sempre convalidate da fideiussori solvibili162. Se l’usuraio non era in grado di testare, i parenti, i soci o gli eredi, preoccupati della salvezza dell’anima dell’usuraio, si obbligavano, sempre con atto pubblico, a restituire a coloro che erano stati danneggiati le somme che egli aveva conseguito mediante la «malvagità usuraria». Alcuni usurai nel testamento riportavano i nomi di coloro a cui avevano prestato denaro in modo ingiusto e proibito e ordinavano ai loro eredi di restituire le somme che vi erano segnate; inoltre chiedevano che in espiazione dei propri peccati venissero distribuite somme ai poveri. Le restituzioni promesse sul letto di morte, come sembrano manifestare i documenti, erano talora in un rapporto modesto con quanto era stato guadagnato durante una lunga vita di affari. Altri prestatori, invece, per risarcire quanto si erano procurati con l’usura, impegnavano tutto il loro patrimonio e obbligavano i loro figli e nipoti alla riparazione dei danni arrecati. Altri ancora chiedevano l’assoluzione per i propri peccati e la remissione per quelli commessi nel commercio dal padre, dai fratelli e da altri parenti. Il figlio di donna Imelda, vedova di messer Tommaso, si obbligò di far bandire nelle chiese di Prato che le usure perpetrate dalla madre sarebbero state rimborsate a cura del proposto163. Se gli eredi non si davano pena della volontà espressa nel testamento, la loro malizia veniva punita con la scomunica164. Nel documento del 1279 gennaio 25, n. 285, sono citate le prescrizioni del concilio di Lione del 1274. Cfr. Eresia e inquisizione a Prato, p. 67, n. 19, 1337 dicembre 17. 162 Per tutto questo e quanto segue, si rimanda ai numerosi atti di restituzione di usure, della seconda metà del XIII secolo, pubblicati in questa edizione. 163 Documento del 1257 maggio 11, n. 240. 164 ASF, Diplomatico, Propositura di Prato, 1301 (= 1302) marzo 6. 160 161

• xxxvii •


Nelle disposizioni testamentarie non si parla soltanto dell’usura, ma anche di «mala ablata, maltollecta, rapina, dampna data, alia subtracta vel malo modo extorta», con il che molto spesso dovevano essere menzionate le illecite appropriazioni con affari di prestito, le penali eccessive aggiunte ai contratti, i comportamenti di violenza nel riscuotere i debiti o le condanne ottenute in giudizio. Le restituzioni alle vittime taglieggiate con l’usura erano effettuate dal tribunale del proposto con celerità, ma era imposto il peso della prova165. A Prato, dove generale e spiccata – come dappertutto – era la tendenza all’usura, gli usurai erano considerati semplicemente dei mercanti. Nei contratti, – sempre, senza eccezioni, stilati da notai – né i laici, né gli ecclesiastici si curavano affatto dell’impraticabile divieto della chiesa di contrarre prestiti a interesse, e parlavano apertamente di «lucrum, meritum» o di «prode», dei frutti cioè del capitale prestato. Il termine in seguito prese il significato di «provvigione». Gli interessi venivano indicati in denari per mese e per libra166. La media comune degli interessi era il 25%; in pochi casi, e certo per circostanze speciali, troviamo l’interesse del 20% e perfino del 12%. In altri casi c’imbattiamo in documenti che parlano di interessi del 30, del 45, del 50% e talvolta anche di più. Quando gli interessi non venivano indicati come tali, venivano detratti dal pagamento e in tal modo occultati. Per le sue relazioni con il commercio e l’industria, il prestito con interesse o, per usare la parola di allora, l’usura si estese e prosperò in Prato e, fino dal XII secolo, fu un elemento potente nella società. Tra la fine del 1100 e il principio del 1200, esercitavano l’usura a Prato almeno una cinquantina di prestatori di professione167. Alcuni artigiani la praticavano come un’attività accessoria, e nel 1203 la badessa Sofia del monastero di S. Martino a Coiano, oberata da gravi debiti usurari, dovette mutuare senza posa denaro da calzolai, da barbieri e addirittura da pie donne, le quali dunque, per amore delle povere monache, avevano imparato ad esercitare il mestiere tutt’altro che sacro di dar quattrini

Vedi 1294 novembre 10, n. 327. Il documento, riportato in Appendice al n. 8, mostra in qual modo avveniva il rimborso degli interessi usurari estorti ai clienti. 166 «cum lucro et merito quinque denariorum in omni libra et mense» (1208 luglio 1°, n. 23); «cum lucro pro omni libra et mense .IIII. denariorum» (1223 agosto 5, n. 89); «pro debito quactuor librarum et octo soldorum Pisanorum denariorum et eorum lucri cursi et cursuri» (ASF, Diplomatico, Rocchettini di Pistoia, 1236 (= 1237) marzo 21). 167 R. Fantappiè, Nascita e sviluppo di Prato, p. 133. 165

• xxxviii •


a prestito168. Tra il 1192 e il 1196 anche il prete di Capezzana concludeva accordi di tal genere con altre donne169 e nessuno sembra si sdegnasse dei forti interessi sui quali si fondavano tutti i loro affari170. Nel 1195 troviamo ricordo di più soci riuniti per esercitare operazioni bancarie171. Gli inizi di questi «banchieri» dovevano essere stati modesti, ma alla fine del XII secolo essi già avevano una parte importante nella vita commerciale e nella politica cittadina. A Prato tenevano il banco di presto i Belchiari, i Bolsinghi, i Cianfanelli mercanti di panni, i Grifi lanaioli e banchieri, i Mazzamuti, gli Ugorlandi, gli Scrigni, i Saccagnini, i Guiglianti, i Rinaldeschi, ecc., e soprattutto i Pugliesi172, noti per aver concluso negozi e operazioni usurarie con gli Alighieri173. La professione e gli incarichi politici ricoperti da costoro rivelano il loro elevato livello sociale, cui spesso faceva riscontro una posizione economica altrettanto considerevole. Durante tutto il XIII secolo, ma anche nel secolo precedente, la propositura di Prato, più volte, dovette cedere in pegno le rendite dei propri beni, non essendo in grado di coprire in altro modo gli anticipi ricevuti. Dovette fare mutui per acquistare grano e per provvedere ai bisogni dei propri preti174, per pagare le spese delle frequenti liti175, per versare somme alle casse imperiali e papali176, e perfino per comprare carri agricoli e buoi177; troppe volte si trovò gravata da pesanti debiti usurari178.

168 Le carte del monastero di S. Martino a Coiano, a cura di R. Fantappiè, Prato, Società pratese di storia patria, 1982, pp. 12-13. 169 ASF, Diplomatico, Rocchettini di Pistoia, 1192 dicembre 11, 1194 settembre 1-23, 1196 settembre 11. Ora vedi Le carte del monastero di S. Bartolomeo di Pistoia (726-1200), a cura di R. Fantappiè, Prato, Società pratese di storia patria, 2020, p. 195 n. 87, p. 199 n. 89, p. 220 n. 99. 170 Vedi R. Fantappiè, Nascita d’una terra, pp. 297-298. 171 «Martinus Pieri Lupi» dà in mutuo 8 lire al prete di Capezzana; fra i testimoni «Argomentus socius creditoris». Il contratto è stipulato «Prati, in porta Gualdimari, in apoteca ubi moratur creditor» (ASF, Diplomatico, Rocchettini di Pistoia, 1195 marzo 29; Le carte del monastero di S. Bartolomeo di Pistoia, p. 201 n. 90). Vedi inoltre documento edito alla data 1217 marzo 8, n. 53. 172 R. Fantappiè, Nascita e sviluppo di Prato, p. 134. Per una idea più precisa della diffusione del mutuo ad interesse in Prato nel XIII secolo, anche e soprattutto per le attività feneratizie spicciole, rivolte ai ceti popolari, piccoli proprietari, artigiani, ecc. si vedano i due registri di imbreviature di ser Iacopo di Pandolfino, conservate nell’ASP, Archivio degli Spedali, nn. 7022-7023. 173 Documento 1232 dicembre 23, n. 137. 174 Documenti 1208 luglio 1°, n. 23; 1227 marzo 27, n. 112. 175 Per le spese nella lite contro il proposto Alcampo, furono ipotecati il fitto di un molino e la pensione di due case fino all’estinzione del debito, vedi 1255 gennaio 9, n. 219. 176 Documento del 1201 dicembre 1°, n. 4. 177 1204 giugno 7, n. 12; 1208 luglio 1°, n. 23; 1223 giugno 28, n. 88. 178 1217 marzo 8, n. 53; 1256 febbraio 26, n. 229.

• xxxix •


Due documenti, tra quelli ora pubblicati, rivestono particolare importanza, perché fanno luce sulle origini del cardinale Niccolò da Prato179. Altri documenti riguardano i Galigai o Tignosi, ghibellini, che nel 1271 ebbero a subire il sequestro dei beni con la perdita della patria e dei diritti civili. Nel 1282 li incontriamo esuli «propter guerrarum discrimina», ossia perché sbanditi, a Bagnolo di Montemurlo e a Pistoia. Erano patroni della chiesa di S. Lucia e S. Tommaso alla Cannuccia di Prato, e dal confino dovettero delegare il prete Veronese di S. Trinita col compito di eleggere il nuovo pastore di quella chiesa180. Tre documenti hanno importanza per la storia dei sigilli: quello del proposto Alcampo e dei canonici di Prato Tebaldo e Pipino181. Alcampo usava un sigillo in cera rossa, con le figure di due uomini, forse i diaconi Stefano e Lorenzo, al centro era la Vergine, in alto la .✠.; tutt’intorno la legenda: «.s. alca(m)pi. p(re)positi. praten.»182. Il canonico Tebaldo si fregiava di due sigilli, ambedue in cera verde, l’uno di canonico di Prato, l’altro di priore di S. Maria in Castello di Prato183. I notai e i giudici che rogarono e operarono nell’arco del secolo, tutti o quasi di nomina imperiale, ebbero rapporti professionali con la propositura e con l’apparato giurisdizionale del Comune. Le scritture documentarie dei primi decenni con le varianti tipiche del «corsivo», assumono col tempo un andamento posato per adeguarsi al volgersi del secolo alla libraria. Entrano sempre più nel dettato dei notai nuove formule di garanzia, di rapporti obbligatori e di sanzioni penali, in relazione agli statuti comunali e alle esigenze richieste da una società e da una economia in crescente espansione. Gli usi cronologici seguiti, senza eccezioni, dai notai pratesi sono lo stile dell’Incarnazione, che più tardi ebbe nome da Firenze, e l’indizione Bedana. Nei trattati internazionali sottoscritti dai plenipotenziari dei comuni di Firenze, Prato, Lucca, ecc., l’anno sarà dato «more Florentino et more Preliminari ai documenti 1280 febbraio 15, n. 287, e 1299 maggio 17-18, n. 338. Documenti del 1282 maggio 16, 17 e 24, nn. 293-295. 181 Il sigillo del canonico Pipino è solo menzionato, ma non descritto, cfr. 1271 aprile 25, n. 256. Vedi anche 1270-1271 aprile 24, n. 255, dove è rammentato anche il sigillo del Capitolo. 182 1278 giugno 11, n. 282. Il sigillo del proposto è così descritto: «Quorum unum erat cere rubee, in quo erat ymagines duorum hominum et unius mulieris, et in summitate sigilli erat crus et erant lictere circumscripte S(igillum) Alcampi prepositi Pratensis». 183 Documento del 1279 gennaio 20, n. 284. La descrizione: «Que littere sigillate erant duobus sigillis cere uiridis, in uno quorum erat ymago sancte Marie habentis filium in bracchio, et cuiusdam presbiteri stantis ad altare, et erant hee littere circumscripte .✠. S(igillum) Tebaldi de Guidalottis canonici Pratensis; in alio erat Agnus Dei et erant hee littere circumscripte .✠. S(igillum) T. prioris Sancte Marie de Castello». 179

180

• xl •


Pratensi». I notai forestieri, al seguito del potestà durante la sua potesteria, dateranno l’indizione e l’anno «secundum cursum» e «secundum morem terre Prati»184. Per la trascrizione e l’edizione dei documenti si è preferito seguire i criteri esposti nel primo volume delle Carte della propositura, pubblicato nel lontano 1977. Con l’elevazione della chiesa di Prato a Diocesi e della “terra” di Prato a città, nel 1653, le scritture che componevano l’archivio dell’antica propositura furono trasportate a Firenze dal cardinale Carlo, figlio del granduca Ferdinando I. Dal suo archivio pervennero in quello dell’altro prelato e principe di casa Medici, Francesco Maria. Ambedue i cardinali ebbero, infatti, in commenda il patrimonio della soppressa propositura, ridotto a beneficio semplice col titolo di abbazia nella chiesa di S. Maria in Castello della città di Prato. All’archivio del principe Francesco Maria poté accedere, negli anni intorno al 1710, l’erudito pratese Giovan Battista Casotti, che così lasciò ai posteri uno «Spoglio di cartapecore appartenenti alla propositura di Prato», tuttora conservato nella Biblioteca Roncioniana di Prato (ms. 59, Q’.IV.36). Le pergamene pratesi, entrate nell’orbita delle carte medicee, non ebbero per allora alcuna sistemazione, finché passarono nell’Archivio Diplomatico Fiorentino, istituito con motuproprio del granduca Pietro Leopoldo del 24 dicembre 1778, e quindi nell’Archivio di Stato di Firenze, dove sono custodite insieme con le carte più antiche della propositura di Prato. Frutto di sottrazioni a scopo erudito fu un gruppo di 114 pergamene, che dal conte Giuseppe Maria Casotti (1679-1740) passò ai Verzoni-Muzzarelli, dai quali fu venduto, circa il 1880, all’Archivio di Stato di Firenze. Le briciole sfuggite, per incuria, alle varie sottrazioni e dispersioni, sono conservate presso l’Archivio storico diocesano di Prato nel diplomatico dell’archivio del Capitolo della Cattedrale di S. Stefano. È stato accolto nella raccolta anche il materiale che per varie cause emigrò altrove o che compare in altri fondi d’archivio, e quello riguardante le notevoli e frequenti commissioni papali fatte ai proposti e ai canonici di Prato per sanare litigi fra ecclesiastici, frati e monache, e per sedare questioni e contrasti con i poteri civili. Per i relativi documenti ho attinto all’Archivio Segreto Vaticano, all’Archivio Capitolare di Firenze, agli Archivi di Stato di Lucca, Pisa, Pistoia, Prato e Siena, agli Archivi Diocesani di Pisa e Volterra, alla Biblioteca comunale di S. Gimignano e alla Biblioteca Roncioniana di Prato. 184

Cfr. Le carte della propositura, p. XXVII.

• xli •


Ringrazio il dott. Francesco Sensoli, della Società Editrice Fiorentina, che ha permesso la pubblicazione di questo volume, i funzionari della Sala di studio degli Archivi di Stato, degli Archivi Diocesani e delle Biblioteche, per la gentilezza con cui hanno facilitato le mie ricerche. Un grazie particolare al prof. Piero Fiorelli per i suoi preziosi consigli.

• xlii •


le carte della propositura di s. stefano di prato 1201-1300



1 1201 gennaio 20, Prato Martino Maleseti offre se stesso e i suoi beni alla chiesa di S. Stefano di Prato. Originale, ASF, Diplomatico, Propositura di Prato, 1200 gennaio 20, mm. 225 x 230 [A]. Sp. Casotti, p. 573. Edizione: G. Bologni, Lo spedale di Maliseti, in «Prato, storia e arte», V (1964) n. 9, p. 54. Stile dell’Incarnazione, computo Fiorentino. Sul v e r s o , in basso e in senso contrario alla scrittura del testo: «Donatio ospitalis Maleseti facta», e «Martino Maleseti», del XIII secolo. Sullo spedale di Maliseti, vedi Le carte della propositura, p. 473 n. 252, 1197 agosto 14.

(SN) In Christi nomine. Breue memorie oblationis, quod factum est [in claustro ecclesie et plebis Sancti Stephani de]a Prato, in presentia Meliorati | quondam Melii et Tassimanni et Fabiani filii del Cosa Fecciandolo et [……….. et Rusticcii] Menandai et aliorum plurium. | Martinus Maleseti, amore et timore Dei omnipotentis et Sancti Stephani, obtulit et dedit se ipsum et omnia sua bona et iura | et actiones inreuocabiliter in manu donni Plebani, prepositi eiusdem ecclesie Sancti Stephani, quecumque eidem Martino | Maleseti aliquo modo competebant in dicta canonica Sancti Stephani et in hospitale Maleseti et in eorum locorum possessionibus, | ut libere sint in potestate dicti prepositi et eius capituli Sancti Stephani. Et si contra hec uenea

Macchiata la pergamena qui e più oltre.

• 3 •


rit aliquo tempore, suprascriptus Martinus | careat ex pacto omni beneficio, quod petere posset a dicto preposito uel ab eius capitulo aut a dicta canonica | et a iamdicto hospitali Maleseti. Et his modis suprascriptus Maleseti rogauit | Bouaccianum iudicem et notarium hanc | oblationem et dationem publice ad rei memoriam scribere. | Factum est hoc anno dominice incarnationis millesimo ducentesimo, .XIII. kalendas februarii, indictione quarta; feliciter. | (SN) Ego Bouaccianus iudex et notarius huic publice complectionem inposui. 2 1201 febbraio 21, S. Lucia in Monte Il prete Rainerio refuta a Giovanni, pievano di S. Lorenzo in Val di Bisenzio, e a Enrico canonico, ricevente per conto del proposto e del capitolo della pieve di S. Stefano di Prato, tutti i diritti che gli competono nella cappella di S. Michele a Cerreto, alla quale era stato eletto senza il consenso e la licenza del proposto di Prato e del pievano di S. Lorenzo. Originale, ASF, Diplomatico, Propositura di Prato, 1200 febbraio 22, mm. 250 x 220 [A]. Sp. Casotti, p. 200. Cfr. R. Fantappiè, Nascita d’una terra, p. 280. Stile dell’Incarnazione, computo Fiorentino. Sul v e r s o , in senso contrario alla scrittura del testo: «Pacta ecclesie de Cerreto», del XIII secolo. Per l’«instrumentum», redatto dal notaio Pasquale, ricordato nell’atto, vedi Le carte della propositura, p. 481 n. 257, sotto la data 1198 maggio 19.

(SN) In nomine domini Dei, amen. Anno ab incarnationis eius millesimo ducentesimo, nona kalendas martii, indictione | quarta; feliciter. Ex hac publica licterarum serie omnibus euidenter clareat, quod ego presbiter Rainerius | refuto et renuntio in manibus Iohannis, plebani Sancti Laurentii de ualle Bisenzonis1, et Henrigi, canona|ci plebis Sancti Stephani de Prato, uice prepositi 1

Pieve di S. Lorenzo a Pisignano, oggi Usella, Repetti, V, 609; Pieri, 20.

• 4 •


et totius capituli recipientis, omni iuri quod mihi competit | uel competere uidetur in cappella Sancti Michaelis de Cerreto ex ingressu et aministratione tam tem|poralium quam spiritualium, celebrata ibi nuper a me sine consensu et licentia predictorum prelatorum prepositi | et plebani. Insuper promitto uobis me obseruaturum et persoluturum omnes rationes et reuerentias utrique | plebi, sicut et qualiter instrumento continetur, quod de comuni consensu prepositi et plebani factum est | per manum Paqualis iudicis et notarii infra duos annos presentes retro. Insuper bonam ideranzam et non ream | faciam utrique plebi in omnibus earum rationibus. Item non dimittam dictam cappellam de Cerreto occupatam de | aliquo clerico, sine licentia domini prepositi et domini plebani habita simul, cum decessero uel inde discessero. | Quod si contra fecero et omnia, ut dictum est, semper firmiter non obseruauero, tunc nomine pene omne ius et actionem | in dicta cappella mihi conpetentem uobis plenarie dimitto et nunquam ulterius eam causabo. | Factum est hoc in ecclesia Sancte Lucie2, in presentia et testimonio presbiteri Iohannis cappellani eiusdem ecclesię et Oddolini quondam Gerardinelli de Cerreto, rogatorum testium. | (SN) Ego Bouaccianus iudex et notarius huic publice complectionem inposui. 3 1201 giugno 4, Prato Bonamico del fu Vallino promette a Pievano, proposto della chiesa di S. Stefano, di pagare ogni anno a Natale sei denari di moneta Pisana a titolo di pensione per la compra fatta dai figli del fu Soffredi da Iolo di alcuni sedii posti sotto il palazzo della curia. Originale, ASF, Diplomatico, Propositura di Prato, 1201 giugno 4, mm. 237 x 156. Sp. Casotti, p. 573. Cfr. R. Fantappiè, Nascita e sviluppo di Prato, pp. 212 e 273 nota 491. Sul v e r s o , in alto, in senso opposto alla scrittura del testo, di mano del XIV secolo: «Carta contra Bonamicum de censu denarios .VI.». In basso, di mano del notaio: «Scriptum plebis Sancti Stefani». 2

Chiesa di S. Lucia in Monte, Repetti, II, 911; 6, 132.

• 5 •


(SN) In Christi nomine. Breue memorie pro futuris temporibus, quod factum | est Prati in claustro Sancti Stefani, in presentia Strinati filii quondam | Forminelli et Bernardini Marinelli et Iunii spetialis et aliorum plurium. In | eorum et aliorum presentia Bonamicus, filius quondam Uallini, pro se suis­ que heredibus et posteris, | promisit domino Plebano, tunc dicte ecclesie et canonice Sancti Stefani preposito, reci|pienti uice et procuratorio nomine pro eadem canonica et plebe et eius successoribus, dare | annuatim apud eamdem plebem, in edomada Christi natiuitatis, eidem preposito | uel certo eiusdem ecclesie nuntio, nomine pensionis denarios bonos expendibiles | Pisanos sex, nominatim pro illo adquisto et compera quam idem Bonamicus dicebat se | fecisse et fecit a filiis quondam Soffredi da Iolo1 de quibusdam sediis, positis subtus | palatium curie, partim in casatis et partim non, quibus ab occidente ripa uetus, | ab oriente filie Talcionis et Calendinus et filii Bagesi, ab aquilone ****a | ****b, ab meri(die) ****c, et si qui alii confines sunt. Pro quibus sediis | et rebus, infra dictos fines et si quos alios habent, emptis a dictis filiis quondam Soffredi, | promisit dictam pensionem annuatim in dicta edomada dare eidem plebe, reci|piendo tunc dictam pensionem portans unum manducare. Quam pensionem si, ut | dictum est, annuatim non soluerit eidem preposito et eius successoribus, promisit idem | Bonamicus, pro se et suis heredibus et posteris, dictam pensionem nomine pene duplamd, | silicet .XII. denarios dare dicte plebi et hoc quando fefellerit, et hanc promisionem fecit | eidem domino preposito, stipulanti pro eadem plebe, pro se et suis heredibus, et omne damnum et ex|pensas in iure competituras incomptinenti tam pro simplo quam pro duplo restituere et emendare, | sub districtu et obligo illius regimenti, quod pro tempore Prati erit. Renuntiando in omnibus | suprascriptis omni iuri et exceptioni et legum auxilio. Et his omnibus modis et condictionibus | hoc instrumentum scribere sic Mainectum iudicem et notarium publice rogauit. | Facta sunt hec anno dominice incarnationis millesimo ducentesimo primo, pridie nonus iu|nii, indictione quarta; feliciter. | (SN) Ego Mainectus iudex et notarius hoc instrumentum publice roga|tus scripsi. Spazio in bianco per otto lettere.  b Altro spazio in bianco per otto lettere.  c Spazio in bianco per circa tredici lettere.  d In A duplare. a

1

Iolo o Aiolo, Repetti, II, 578; Pieri, 302; Serianni, 685.

• 6 •


Indice

Tavola delle abbreviazioni

v

Introduzione

ix

Le carte della propositura di S. Stefano di Prato 1201-1300 1 Appendice 615 Indice dei nomi propri e delle cose notevoli

641


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.