Silvio Prota
L’incanto di ogni giorno Riflessioni sulla pittura di Monet
SocietĂ
Editrice Fiorentina
Ringraziamenti L’autore desidera ringraziare tutti coloro che lo hanno aiutato a realizzare queste pagine. In modo particolare Elena Pontiggia per l’apprezzamento e l’incoraggiamento dimostratomi; Cristina Fiorini e Orlando Mazzetti per l’apporto determinante in fase redazionale e Francesco Marchitti per i preziosi e illuminanti consigli sia nella impostazione generale sia in quella dei singoli capitoli.
© 2010 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it blog www.seflog.net/blog facebook account www.facebook.com/sefeditrice twitter account www.twitter.com/sefeditrice isbn 978-88-6032-137-4 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata In copertina Claude Monet, La passeggiata, particolare, Collection of Mr. and Mrs. Paul Mellon, image courtesy of the Board of Trustees, Washington, National Gallery of Art, 1875.
Indice
Premessa
7
Introduzione
9
Il fare pittorico come processo conoscitivo Il disvelamento della realtà Una luce nuova nell’arte La luce/conoscenza nell’arte greca Un giovane ramo sul vecchio tronco dell’arte
15 15 17 19 20
Il tema della natura L’invenzione del “plein air” Il periodo di Giverny La natura nell’arte greca
25 25 27 28
Il tema del tempo Il tempo della bellezza L’attimo fuggevole Un nuovo sentimento del tempo Il tempo nella scultura greca e rinascimentale
33 33 34 37 38
Nota biografica
48
Bibliografia
53
Elenco delle immagini
58
A Iavo
Premessa
Questo libro è una sorta di viaggio nel tempo e nello spazio, nella memoria e nei luoghi fisici e mentali, il cui punto di partenza è l’incanto che ha suscitato in me l’opera pittorica di Monet. Non vuole essere perciò un testo di storia o di critica d’arte, ma un omaggio a un artista che mi ha insegnato a guardare in modo diverso. Conservo nella memoria con vivezza di impressione il momento in cui, per la prima volta, ho visto un suo dipinto: tale esperienza rimarrà indelebile nella mia mente. Da quel giorno è nato un interesse per il pittore francese che è proseguito negli anni successivi e si è arricchito di ogni nuova mostra o museo visto. Perché si cerca un pittore e non un altro, alcune opere e non altre? Perché alcune immagini rimangono dentro di noi? Perché davanti ad alcune opere d’arte succede qualcosa in noi? È difficile dirlo. Ma a volte non è necessario tentare una risposta, o cercare di spiegare ciò che si vede. L’aspetto più interessante di un’opera d’arte consiste proprio nel fatto che non è mai possibile definirla completamente. E anche se tentiamo di contestualizzarla con riferimenti storici e critici per tentare di capire di più, in realtà rimane sempre una parte sconosciuta, un dato misterioso, che è il suo proprium, il suo segreto.
Allora perché scrivere un ennesimo libro “sull’arte”? Per comunicare questo sentimento di “sperdutezza” (termine caro a Giovanni Testori) che provo davanti ad alcune opere. È molto simile a ciò che si prova quando si guarda il panorama del mare durante il tramonto: è tutta la persona che viene investita da qualcosa di bello, di nuovo e di grandioso che sta accadendo davanti ai suoi occhi. È quel sentimento misterioso che suscita l’ascolto di alcune musiche o di alcuni canti legati a episodi particolari della propria vita oppure quello struggimento che si prova quando la memoria va a persone care che non ci sono più. La grande arte è quella che apre il cuore, spalanca la ragione e ti fa accorgere che la tua persona è più vasta e profonda di quello che tu stesso pensavi. Custodire le opere di Monet dentro di me, durante questi anni, è stato come conoscere un po’ meglio una parte di me, quella parte che si interroga sul tempo che passa, che guarda tutto cercando di “vedere” dentro. Quella parte misteriosa che non si accontenta mai. La domanda che sempre mi ha accompagnato in questi anni davanti alle opere di Monet è stata: «Ma lui che cosa cerca veramente? Qual è il vero soggetto di questo dipinto?». 7
Di volta in volta mi rispondevo: «La luce, la natura, il paesaggio, il tempo, l’aria…», ma tutte le risposte mi sono sempre sembrate parziali finché mi sono accorto che il soggetto dei suoi quadri è sempre lo stesso, vale a dire l’immagine stessa. Cosa significa? Che ciò che lui vedeva mentre dipingeva, tutto il suo campo visibile, costituiva un’immagine in sé: non gli interessava tanto il soggetto dentro l’immagine quanto l’immagine stessa che diventava il soggetto del quadro. Così mi sono accorto che si può osservare un dipinto di Monet nello stesso modo in cui l’artista osservava la realtà, cioè con quella tensione a cercare innanzitutto l’immagine come valore in sé. Porsi di fronte a un quadro di Monet significa quindi mettersi in una precisa posizione dello sguardo che può anche diventare il modo abituale di vedere tutta la realtà. È un procedimento di immedesimazione con il suo sguardo. Questo metodo presenta però un inconveniente non da poco, dal momento che il processo di immedesimazione richiede un impiego di tempo non trascurabile. Cioè: tutto il tempo che Monet impiegava nel rapporto con la natura, nelle lunghe sedute en plein air, nella ripetizione ossessiva del motif, diventa per noi il tempo necessario per guardare le sue opere, il tempo giusto, il tempo che ci chiede l’immagine stessa, cioè occorre in definitiva la pazienza del guardare. C’è però un altro dato di metodo. L’approccio all’opera d’arte è personale e anche soggettivo perché mette in gioco tutta la persona, ma si chiarisce in una dinamica di amicizia. Mi spiego meglio. In questi anni, sollecitato da amici e conoscenti, sono tornato più volte a rivedere la stessa mo8
stra o lo stesso museo e ciò che emergeva dall’osservazione e dal dialogo con gli amici è stato ogni volta sempre diverso e sempre nuovo anche di fronte alle stesse opere. Mi sono allora accorto che la modalità giusta per introdursi alla conoscenza di un fatto artistico è una amicizia, cioè il paragone critico con persone che come te si confrontano con ciò che hanno davanti e il dialogo che ne nasce chiarisce sempre di più la realtà che è davanti agli occhi. Quando un’opera trasmette una conoscenza nuova di alcuni fatti si avverte il bisogno di ritornare a vedere quell’opera, di porsi nuovamente di fronte a essa, di mettersi di nuovo in ascolto, nasce cioè un rapporto. Dall’opera di Monet si impara che guardare un dipinto significa entrare in stretta relazione con una realtà misteriosa. Monet è l’emblema della ricerca e della tenacia di questo rapporto con tutto ciò che gli capitava sotto gli occhi perché sentiva che in ogni immagine è presente un rimando a qualcosa di sconosciuto. Ritornare a guardare le sue opere, anche quelle appena viste, suscita come l’impressione di ritrovare un amico, un compagno di cammino. Mi auguro che queste pagine contribuiscano semplicemente a mettere in moto il lettore, a destargli il desiderio di gustare le opere d’arte guardandole dal vivo, a suscitargli quella curiosità che è la premessa indispensabile per ogni nuovo fatto di conoscenza. I ringraziamenti vanno a tutte quelle persone, amici e conoscenti, che in questi ultimi anni hanno condiviso con me questa passione: attraverso il loro sguardo appassionato hanno arricchito il mio.