Maurizio “Riro” Maniscalco
Sono finito in Minnesota (invece che alle Hawaii)
Dello stesso autore Mi mancano solo le Hawaii. Appunti di vita e viaggio di un italiano trapiantato in America Dal Ponte all’Infinito. The Way of the Cross over the Brooklyn Bridge Musica, parole e storie. Ovvero: come si diventa un finto vero musicista God bless America. Un diario a stelle e strisce NYC Subway. Cronache metropolitane
Maurizio “Riro” Maniscalco
Sono finito in Minnesota (invece che alle Hawaii)
Società
Editrice Fiorentina
© 2022 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it facebook account www.facebook.com/sefeditrice twitter account @sefeditrice isbn 978-88-6032-640-9 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata Le foto pubblicate nel libro sono di Riro Maniscalco (per gentile concessione) Copertina Grafica a cura di Studio Grafico Norfini, Firenze
Filo diretto con l’autore email riromaniscalco@gmail.com facebook account www.facebook.com/maurizioriro. maniscalco instagram account @riromaniscalco
Indice
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Introduzione
18
Leaving New York City…
34
Un mondo dentro un mondo
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Nel mezzo di niente. O no?
67
Home, Sweet Home…
89
Fauna… in senso ampio
96
Sports vari
108
Il virus, la politica, l’ideologia, il bello e altre facezie
129
Il disgelo
137
Epilogo
Introduzione
Ebbene sì, sono finito in Minnesota. C’è chi ancora non ci crede. Certe volte non ci credo neanche io. Forse ho sbagliato strada senza accorgermene? Per completare lo sbarco in tutti e cinquanta gli Stati mi mancavano solo le Hawaii, ma il Minnesota ce l’avevo già, abbondantemente visitato. In compenso le Hawaii mi mancano ancora. Se la vita fosse un album delle figurine io la pagina del Midwest americano credevo di averla già completata da un pezzo. Mi sembrava non ci fossero figurine mancanti, una particolare lacuna, né una urgenza, né uno specifico bisogno di capitare nuovamente da queste parti. Men che meno per venirci a vivere. Questa è la teoria – poi c’è la pratica. La pratica, che poi sarebbe la realtà, grazie a Dio è molto più sorprendente e affascinante di un album di figurine. Cosi, album o non album, sono finito in Minnesota e non perché ho sbagliato strada. Non avete idea di quante volte ho sognato a occhi aperti di arrivare alle Hawaii più che per poterle visitare per poterne scrivere, mettere insieme un bel libro tutto per loro per raccontare di esserci finalmente arrivato. Il fulfillment, il compimento di una storia e il sigillo finale sul mio primo libro. Invece adesso mi ritrovo qui, in Minnesota e delle Hawaii neanche l’ombra. Quel libro lì è rinviato a data da destinarsi, ma nulla mi impedisce di farne un altro nel frattempo. Se intendevate impedirmelo, beh, siete in ritardo. 7
Riprendendo un attimo il discorso sulle Hawaii, non è mica che non c’ho provato ad andarci. Posso confessarvi che qualche anno fa mi era sembrato di essere a due passi dal farcela. Cercai di convincere mia moglie che non è mai stata tanto della quale. Una vacanzina, tanto per darmi la scusa di scrivere quel benedetto libro che avrei potuto intitolare qualcosa tipo Non mi mancano più neanche le Hawaii. Niente, non ce l’ho fatta. Per consolarmi avevo preso in considerazione di scrivere Stavo quasi per andare alle Hawaii, ma mi è andata buca, che sarebbe stata la tappa intermedia di una trilogia memorabile. Il libro non l’ho scritto ma il “mi è andata buca” è un fatto e resta. Anche se tecnicamente, essendomi mosso verso west, mi sarei avvicinato all’Aloha State (soprannome delle Hawaii). Oh, poi a parte la questione del libro non è mica che arda dal desiderio di andarci alle Hawaii. Ma come sono finito in Minnesota? Si potrebbe rispondere con un laconico – ma sempre valido – “le vie del Signore sono infinite” e aggiungervi però la legittima osservazione che essendo “infinite” resta in ogni caso non chiaro come tra tanta infinitudine di vie si sia pescata proprio quella per il Minnesota. Da New York City a Saint Cloud, Minnesota, è un bel salto! Per ventisei anni ho parlato e scritto da New York e di New York… Sì, anche del resto dell’America, ma soprattutto da e di New York City. Ventisei anni, che non sono pochi, e si sarebbe potuto continuare a raccontare e scrivere per almeno altri ventisei. New York è New York, non ti fa mai mancare cose da raccontare. Con il Minnesota ce la sbrighiamo in un quarto d’ora? Beh, calma. Prima di farvi venire brutti pensieri, lasciate che vi rassicuri. Posso anticiparvi che son contento di essere qui – in the middle of nowhere J. Anche non ci credeste. Fatta questa premessa possiamo procedere felici e sereni. 8
Qualche tempo fa, arrivato fresco fresco dalla costa dell’est, mentre mi godevo un giro in canoa in uno dei laghi di questa terra tutta sforacchiata da 11.842 «affossamenti terrestri naturali, nei quali le acque (per lo più dolci) permangono» (cit. Enciclopedia Treccani) a un tratto mi sono sentito tirato dentro, letteralmente ingoiato dal ricordo di un sogno di fanciullezza. Un daydreaming, un sognare a occhi aperti da ragazzino tredicenne che mi prendeva tutto ogni volta che si intonava un vecchio canto scout: Terra di betulla, casa del castoro, là dove errando và il lupo ancora. Vorrei tornare ancor là sul bel lago blu Bum bidiai di bum bidiai di bum bidiai di bum La mia canoa scivola leggera sulle lucenti vie del grande fiume. Vorrei tornare ancor là sul bel lago blu… Un lago blue, le bianche betulle tutte attorno, la canoa che scivola leggera sull’acqua come solo gli Indiani che una volta erano qui sapevano farla scivolare… i castori che non amano farsi vedere, ma ci sono e rendono molto visibile quel che fanno con le loro opere di ingegneria idraulica… i timberwolves, i lupi di queste parti che si aggirano nei boschi… Se New York City era (ed è!) tutta come nei film, il Minnesota sembra tutto racchiuso e amorevolmente tratteggiato in quel canto scout. E se proprio la volete tutta, a rendere il mio daydreaming ancora più realistico l’altro giorno per la prima volta in vita mia ho pure visto un castoro vero che nuotava in un lago (vero anche lui)! Ma lo sapete dov’è il Minnesota? Come già in altre occasioni vi invito cordialmente e caldamente a tirar fuori una cartina degli Stati Uniti e farvi una iniezione di geografia che male non fa. Siamo nel mondo più globalizzato di sempre e nessuno dai cinquant’anni in giù ha 9
un’idea dei continenti né tantomeno dei Paesi che ci sono dentro a questa globalità. Comunque, prendete questa benedetta cartina degli Stati Uniti e guardate nel mezzo, all the way up north, tutto a nord, al confine con il Canada. Ci siete? Quel prosciuttozzo disegnato in buona parte col righello, circondato da Wisconsin, Iowa, Sud e Nord Dakota, e da quel meraviglioso colosso di lago che è il Superior, ecco, quello è il Minnesota, la terra dei 10.000 laghi, come recitano le targhe di tutte le auto minnesotiane (anche se abbiamo appena detto che i laghi in verità sono 11.842). Provate a mettere in fila undicimilaottocentoquarantadue laghi e laghetti e poi mi dite che effetto fa. Minnesota, ovvero “cloudy water” o “sky-tinted water”, “acque nuvolose”, o “acque dipinte di cielo” nell’immaginifica lingua Dakota-Sioux, quegli Indiani che assieme agli Ojibwe (famosi per le loro canoe fatte di corteccia di betulla) abitavano questa terra. By the way, Indiani non si deve più dire, come neanche pellerossa (considerato addirittura offensivo) e tante altre cose. Adesso si dice First Nation, ultima versione che ha mandato nel ripostiglio anche quella di Native Americans – cosa che in verità un senso ce l’ha visto che quando c’erano solo loro, gli Indiani, l’America non si chiamava neanche così e quindi non si capisce perché chi c’era già prima che ci fosse l’America si dovrebbe chiamare “Nativo Americano”. Adesso i quattro gatti rimasti se ne stanno in una decina di reservations sparse qua e là nei 225.000 kilometri quadrati di territorio di questo Stato (l’Italia, se non lo sapete, di km2 ce ne ha 302.000 – ma su questi paragoni torneremo tra poco). Territorio di cui un dieci per cento sono “acque dipinte di cielo”, ovvero laghi e fiumi, e tra questi soprattutto il Mississippi. Già, il Mississippi perché parlando d’acqua non si può dimenticare il Mississippi, il Mighty Mississippi che nasce proprio in Minnesota. Quel serpentone di fiume che si svolge pi10
La sorgente del Mighty Mississippi
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gro e potente con le sue muddy waters per quasi quattromila kilometri e va a sfociare nel Golfo del Messico via Louisiana, comincia proprio qua! Per la precisione dal Lake Itasca, roba di origine glaciale, insomma roba che è lì da un pezzo. L’uomo bianco, sempre molto bravo a intromettersi nelle questioni altrui, ha dato il nome a quel lago. E anche se “Itasca” sembrerebbe suonare come una parola indigena in verità è la combinazione di due parole latine, “veritas” e “caput” (“itas” + “ca” = Itasca), come dire “vera origine” che Henry Schoolcraft, geografo, forgiò quando scopri le headwaters del fiume, le sorgenti. Come se gli Indiani non le avessero già scoperte. Comunque, se i Dakota-Sioux hanno dato il nome a questa terra, gli Ojibwe hanno battezzato il fiume: Messipi o Meezee-see-bee, ovvero “Grande Fiume” o “Padre delle Acque”. «Terra di betulla, casa del castoro…». Per non dire che per un innamorato perso del blues come me vedere quelle muddy waters ogni volta fa venire un brivido al cuore… Quando vado a prendere i nipoti a scuola e passiamo su uno dei ponti che attraversano il grande fiume, annuncio sempre ad alta voce, «Ladies & Gentlemen…» e loro all’unisono, loud and clear… «The Mississippi River!!!». Quindi… I should have seen it coming… l’avrei potuto capire, me ne sarei dovuto accorgere, avrei dovuto vedere che stava arrivando, che sarebbe finita così, che ci sarebbe stata una nuova avventura. In una terra come questa. Non si scherza mica con il richiamo di una vera terra indiana, soprattutto per uno che è stato scout per tanti anni, lupetto, esploratore, rover, maestro dei novizi, capo reparto… Semel scout, semper scout. Si può fare l’esploratore anche a New York City – e penso di averlo fatto per ventisei anni… – ma farlo nella “terra di betulla” è un’altra storia, la sfida è diversa. Se mi avete seguito attraverso le narrazioni di questi anni, tra libri e articoli di giornale, forse ricorderete che il Minneso12
ta fu uno dei primissimi posti dove mi capitò di andare dopo lo sbarco in terra d’America, nonché, come accennavo sopra, uno dei posti che ho visitato più volte, in lungo e in largo. Ma non avrei mai pensato che un giorno ci sarei arrivato per starci. Cominciare, ricominciare… non perché si dovesse scappare da qualcosa, ma semplicemente seguendo le tracce di un sentiero misterioso, in caccia, proprio come capitava di fare agli Indiani. Ma arrivarci per starci e ricominciare, oltre a essere, almeno fino a qualche tempo fa, imprevisto e imprevedibile, è stato anche piuttosto complicato. Il 2020 è stato impegnativo per tutti. Noi in mezzo a un anno così complicato c’abbiamo infilato anche il trasloco da Brooklyn, New York, a Saint Cloud, Minnesota. Non so se mi rendo conto… «L’unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre ad ogni istante». Pavese mi ha sempre affascinato. Già da piccolo mi piaceva. Non avevo ancora idea di chi fosse e di cosa avesse scritto, ma il fatto di aver tradotto Moby Dick me lo rendeva estremamente simpatico. Poi se aveva tradotto Moby Dick voleva dire che sapeva l’Inglese, perché Melville scriveva solo in inglese e anche io avrei voluto sapere l’inglese! Quello americano però, come quello di Melville, di Ismaele, di Ahab e di tutti a bordo del Pequod nel suo Moby Dick. E se impararlo come Melville non sarebbe mai stato possibile, magari come Pavese sì. In verità non avevo ancora letto neanche Moby Dick, ma per le balene ho sempre avuto una certa passione. Per quelle bianche poi… La fascinazione per i cetacei cominciò quando nel piazzale Carducci, davanti alla mia casa di infanzia a Pesaro, arrivò un carrozzone con dentro una balenottera sotto formalina. Si pagava un biglietto per entrare sotto il tendone dove il bestione era esposto… avrò avuto sei anni…roba da fiera di paese, ma il ricordo dei fanoni (imparai allora quella parola), la spiegazione di cosa fossero e soprattutto il pensiero che nel mare potessero vivere animali come quello… 13
Ma le avete mai viste le balene “dal vivo”? Io due volte, una a Cape Cod, in Massachusetts, e poi in Maine. Che spettacolo! Ma in Minnesota le balene non ci sono. Sai com’è, non essendoci il mare. Infatti non siamo venuti qua per questo. Le carpe nei laghi ce le puoi mettere, le balene no. Vi posso assicurare che per scoprire la bellezza del “cominciare”, del “ricominciare” o meglio del “continuo nuovo inizio” non c’è bisogno di andare in America a trentanove anni o in Minnesota a sessantacinque. A me però è andata così, e ne sono molto grato e pure un pochino orgoglioso, anche se so bene che non è merito mio. C’è poco da andarne fieri. Che siano le viuzze di Pesaro, i navigli di Milano, i colori di Brooklyn, i grattacieli di Manhattan o gli sconfinati orizzonti del Minnesota rende le cose diverse solo all’apparenza. Sono tutti nuovi inizi. Basta che il cuore dica di sì. Un altro libro. Coronavirus permettendo e sempre che si trovi un editore disposto a pubblicarlo. Il coronavirus non lo si può ignorare né nella vita quotidiana né in qualunque cosa si scriva di questi tempi. E così salterà fuori spesso nelle pagine che seguono e salterà fuori con tutta la sua misteriosità, così come appariva mentre mi sedevo al computer per continuare questo racconto. Prendetele come riflessioni fatte lungo questo cammino sconosciuto. Perché per tante ragioni sono andato avanti un po’ di tempo a scrivere questo libro, e ogni giorno se ne sentiva una diversa a proposito del coronavirus. Tutto e il contrario di tutto. Magari a Dio piacendo quando leggerete queste pagine sarà tutto passato, ma per ora non lo è. Stiamo solo imparando a conviverci. Ma con la guerra no. La guerra… sì, perché nel frattempo ne è scoppiata una anche in un angolo di Europa, ma con quella non vogliamo imparare a convivere. Non si può essere così sciocchi o intenzionalmente irragionevoli come è stato Trump. Potrà sembrare che non sia 14
più presidente da un secolo, ma sempre più americani lo rimpiangono e con Biden che mostra segni di grande debolezza il fantasma dell’uomo dai capelli color carota continua ad ardere sotto la cenere (e anche sopra). Per cui stiamo attenti, preghiamo, diamo retta a chi ci capisce e speriamo di farcela e speriamo che una volta che ce l’abbiamo fatta noi ce la faccia anche qualche casa editrice così magari riusciamo a pubblicare anche questo libro qui. Insomma, che il virus passi, che impariamo tutti qualcosa da quello che abbiamo vissuto e che sia noi che i libri si sopravviva, pronti a un nuovo inizio. Ricominciando con più umiltà, più coscienza dei propri limiti e più gratitudine per quel che si ha. Without taking things for granted, senza più prendere nulla per scontato. Intanto io e mia moglie ci siamo vaccinati e plurivaccinati tra i primi. Uno dei vantaggi – so to speak – dell’età avanzata. Un altro libro, dicevamo. Cosa ci mettiamo dentro? A cosa ci ispiriamo? Buttiamo giù una rivisitazione di The Call of the Wild di Jack London (Il richiamo della foresta), io faccio la parte di Buck che passa dalla vita metropolitana di New York City a quella selvatica del Midwest e il Minnesota fa la parte del Klondike? Io solitamente scrivo quel che non sono capace di dire. Che siano articoli, libri o canzoni per me è sempre un ironico tentativo di praticare il famoso «Intellectus cogitabundus initium omnis bonis», riflettere su quel che mi trovo a vivere. Una delle cose belle della scrittura, uno dei suoi benefits – anche questo non mi sono mai vergognato di dirlo – è che la pratichi per i fatti tuoi. Anche se in tempi di Covid non ci sarebbe bisogno di scrivere per isolarsi. E poi non è che scrivo per stare per i fatti miei – per carità, ci mancherebbe! Diciamo che scrivendo mi capita di stare per i fatti miei. E io gradisco. Inoltre mentre son lì a scrivere, spero di “cogitare” un po’, riflettere e cavar fuori qualcosa di buono, bello e vero da quel che vedo, sento e tocco con mano. 15
Almeno ci provo, quella è l’intenzione. Ho imparato a provarci, mi sono trovato bene e così insisto. E come nella barzelletta del nonno, se non mi tirate con lo schioppo non smetto, perché io di mio non ho motivi per smettere. Magari ogni tanto rallento un po’, ma smettere no. Un altro libro sull’America. Sulla “mia” America. Finché ho ancora dell’America vera, reale da scoprire non ho nessuna ragione di dedicarmi alla fiction. Quel che c’è è più fantasioso della mia fantasia. Stranger than fiction l’avete mai visto? Guardatelo. Credo che il titolo italiano sia Vero come la finzione. E quel che c’è di più affascinante della fiction è la “mia America”. “Mia” perché sono qui, vivo qui, cerco di sopravvivere al virus qui, il mio cuore è qui, invecchio qui, persino il mio conto corrente in banca e il supermercato dove facciamo la spesa sono qui e da ventotto anni mi sbatto e arrabatto da queste parti cercando di imparare a capire e a farmi capire in una lingua che amo, ma con cui non sono nato. Arrivare qui in questo Paese all’età in cui ci sono arrivato io è un po’ come entrare in una sala cinematografica per vedere un film dall’inizio del secondo tempo. Entri e sei un po’ perso, stai lì tutto teso a cercare di capire cosa è successo prima per poter comprendere quel che sta succedendo adesso e magari farti un’idea di quello che verrà poi. Non è facile. Eppure, anche se sono arrivato qui dal primo tempo di un altro film è come se fossi finito dentro a una di quelle storie d’amore che sembra non capitino più: quelle in cui passa il tempo e l’affezione cresce. I protagonisti invecchiano, ma la loro storia resta giovane, e si vogliono sempre più bene. E con l’affezione cresce anche il senso di struggimento per le cose che non vanno, per le tante piaghe incurabili di questa terra, della sua storia e della sua gente. Piaghe che continuano a sanguinare più di sempre e che tante volte penso proprio non guariranno mai. 16
L’uomo non riuscirà mai a sconfiggere il male dell’uomo. Guardare, ascoltare, annusare, cercare di capire, non dimenticare, raccontare, custodire… Per cos’altro si scrive? Quello che ci è dato di vivere è un tesoro immenso. È anche l’unico tesoro che posso lasciare a figli e nipoti. Quando verrà il momento e si chiederanno cosa ha lasciato il nonno… canzoni, libri, articoli… Magari si metteranno a leggere e ascoltare e a Dio piacendo ci troveranno qualcosa! Allora, visto che voglio scrivere, vediamo un po’ di capire come e dove siamo finiti, cosa abbiamo trovato e come si vive in un posto come questo, soprattutto in tempi come questi. Come sempre lo farò a modo mio. È l’unico modo di scrivere e raccontare che conosco. Vediamo se il mio sguardo su questa “terra di mezzo” e sulla sua gente riesce a comunicarvi qualcosa e farvi toccare con mano un pochino questo mondo altrimenti così lontano e diverso. And yes, come sempre anche questo libro dovete prenderlo come un atto di amore perché non è altro che un atto d’amore. L’ennesimo atto d’amore verso l’America con cui mi sono accompagnato dall’ormai lontano 8 marzo 1994, e una nuova dichiarazione, magari ancora un pochino “verde”, fragile, verso questa nuovo angolo di terra d’America con cui ci si frequenta quotidianamente da non tanto tempo. Tempo e condivisione per lasciar fiorire un nuovo amore. Quando si vuol bene ci si può sentire un po’ più liberi nel dire le cose che si vedono e si intuiscono, anche quelle un po’ “aspre”. È quello che ho provato a fare qui nella mia scoperta del nuovo mondo dove siamo arrivati. Non è proprio The Call of the Wild, ma un po’ ci somiglia. Ce l’avete un quarto d’ora? J
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