monografie
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Il genio femminile Ritratti e istantanee
Liliana Ugolini
sororitĂ
Ritratti dal diario del 2009
Il genio femminile. Ritratti e istantanee collana diretta da Enza Biagini e Ernestina Pellegrini
Comitato scientifico Augusta Brettoni, Martha Canfield, Anna Dolfi, Elisabetta De Troja, Ornella De Zordo, Maria Fancelli, Rita Guerricchio, Rosalia Manno Tolu, Anna Nozzoli, Stefania Pavan, Anna Scattigno, Rita Svandrlik
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Liliana Ugolini
SororitĂ Ritratti dal diario del 2009
SocietĂ
Editrice Fiorentina
© 2014 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it facebook account www.facebook.com/sefeditrice twitter account @sefeditrice isbn 978-88-6032-296-8 issn 2036-3508 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata Le foto presenti nel volume provengono dall’archivio privato della famiglia Ugolini (per gentile concessione) In copertina Marionette della Collezione Liliana Ugolini
Indice
7 i. Introduzione 9 ii. Il passaggio 12 iii. Le origini 14 iv. Le esequie 17 v. La passeggiata 19 vi. Ceneri 21 vii. Il cambiamento 23 viii. Via Senese 55 25 ix. Le assenze 28 x. Diario e memoria 30 xi. Maresca 32 xii. Carteggio 42 xiii. Tentativi 43 xiv. La soluzione teatrale 45 xv. La scrittura 47 xvi. La pittura e la vita 50 xvii. La condizione 52 xviii. La visita 54 xix. La casa/museo di Liliana 60 xx. Lo studio 62 xxi. Le fughe 64 xxii. Diario 66 xxiii. La situazione 68 xxiv. Libri 70 xxv. La storia circolare
72 xxvi. Vita e marionette 74 xxvii. I rapporti 77 xxviii. La cara ombra 79 xxix. Antiche lettere 88 xxx. Il silenzio 90 xxxi. Aprire finestre
93 Postfazione di Ernestina Pellegrini 95 Inserto fotografico
i. Introduzione
L
iliana, dopo essersi alzata dalla scrivania, entrò nella stanza delle marionette e dei burattini. Ce n’erano più di cinquanta, cento se se ne contavano quelli con maschere e costumi. Lì, che era la stanza più grande della casa, era stato fatto teatro (itinerante), che si era allargato alle altre stanze (camera da letto, ingresso, cucina, bagno). Questo era testimoniato dalle locandine alle porte, dai manifesti alle pareti a riproporre ancora ombre vive che riflettevano ombre di morte riflesse nel quotidiano. Le foto sul tavolo basso tra i divani, narravano il passaggio dei volti spariti a testimoniare l’effimero delle presenze. Lei tornava in quella stanza accogliente, dove ancora si facevano progetti di performance e di teatro ad ascoltare il silenzio non silenzio delle somiglianze negli automi, fatti a immagine degli umani, nelle più di mille fogge ed espressioni, nello stupore delle storie che nessuno sapeva, tranne lei, che di tutti gli oggetti vivi ne conosceva il nome mai pronunciato che stava ora nei volti delle foto ombre anch’esse. Nell’aria teatrale che si respirava, c’era il senso finale del suo aver vissuto. Un’atmosfera anche festosa che si specchiava nei volti interroganti dei pupazzi, nel loro stupore proprio uguale a quello che lei sentiva ora all’avvicinarsi della fine della sua storia e di conseguenza di tutte le storie da lei contenute. Una bagarre di avvenimenti che la memoria solo a tratti portava alla luce, confondendo volti di foto e marionette, tempi e costumi, parrucche e oggetti, dove lei si cercava nel passato possibile. Guardò intensamente una delle sue marionette preferite trovata sui banchi d’un mercatino d’antiquariato. Un volto innocente d’un pupazzo senza tempo vestito all’antica con ricercatezza volutamente trascurata, con in mano un libro stampato. La incuriosiva ogni volta l’innocenza di quel volto di pensatore tra le nuvole, con un sorriso di beatitudine e d’ascesi. Ac-
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canto a questo, un quadro dipinto dalla sorella: rappresentava un suo ritratto con marionetta dove solo lì si percepivano le differenze. Liliana sapeva che le marionette, come anche Heinrich von Kleist aveva ascoltato, «presentano inoltre il vantaggio di non essere soggette alla legge di gravità» (da Heinrich von Kleist, Sul teatro di Marionette, Milano, La Vita Felice, 2005) In questo alternarsi di leggerezza e materia Liliana lasciò che la marionetta, come una voce narrante, si sostituisse a lei tra prima e terza persona, come un’ombra.
ii. Il passaggio
G
ilberto lunghissimo nel suo svuotato vestito blu stava nella bara. L’effige cadaverica non gli equivaleva ma le lunga ciglia su gli occhi chiusi erano le sue, così anche le sopraciglia arcuate e castane. La bocca semiaperta si era fermata all’oh… dello stupore e i capelli grigi scarmigliati che poggiavano sul cuscino di raso bianco erano un po’ lunghi come li portava. La sua raffinata bellezza si deformava cedendo ma il rigor mortis l’aveva fermata nella somiglianza. Le mani sovrapposte senza sangue erano ferme e statiche, fredde di quell’assenza che le faceva rigide. I piedi dentro ai calzini scuri battevano al lato basso dell’involucro di legno quasi a forzarlo. (Le sorelle lo vedevano muoversi chiaro vestito col suo gusto innato e andare fra loro sorridente e stanco delle traversie affrontate con l’operosità). Le persone che arrivavano piangenti letteralmente cedevano nelle braccia dei familiari e altri, muti senza lacrime, allargavano le braccia succubi all’imponderabile. Tutto era successo in un’ora. Raccontavano che dopo aver accompagnato la nipotina a scuola alle otto, Gilberto tornato a casa, aveva accusato un malessere, un mal di stomaco. Si era fatto un caffè ma dopo questo, seduto sul divano, aveva reclinato la testa, quasi a voler dormire. Era stato lasciato col cane che dopo poco guaendo aveva dato l’allarme. Compreso il messaggio, i parenti erano accorsi trovando Gilberto riverso che respirava a fatica. La corsa dalla figlia sul pianerottolo, il 118, i tentativi per rianimarlo tutti andati a vuoto. La conoscenza non è tornata e lui se n’è partito così, senza salutare nessuno. La sorella che aveva telefonato per invitarlo a pranzo, ha seguito le ultime fasi vitali del fratello al telefono… fino all’urlo della figlia… Urlò anche lei mentre un flusso di pianto l’ammutolìva. Nell’emozione violenta della notizia sentì la necessità di comunicare con l’altra
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sorella ignara che era in giro per l’ennesima analisi. Percepì un tremito d’un demenziale quasi muto mugolìo e temette per la fragilità della psiche della sorella più piccola che ancora portava i traumi della morte della madre. Con un appuntamento riuscirono ad abbracciarsi incredule. L’unico fratello molto amato, molto stimato nella sua visione della vita, senza arrivismi, con una disponibilità che non lo annullava ma anzi lo faceva crescere nella considerazione. Aveva fatto tanti mestieri nei quali si era sempre distinto. L’argentiere, il rappresentante di vari articoli dai profumi alle vernici ma mai aveva rinunciato alla sua passione: il legno. Lo amava nelle sue nocchie e nelle sue storie rigate e lo recuperava dagli scarti per donarlo a nuova vita, facendo bellissimi mobili con le assi delle casse d’imballaggio o recuperando da ciò che veniva gettato al lato dei contenitori della spazzatura. Ridonava loro dignità e vita facendo oggetti degni dei più raffinati mobilieri. Poi per necessità (e di questo si rammaricava perché avrebbe voluto fare altro) metteva in ordine porte e persiane di legno, riportandole all’origine. Se fosse stato nel mondo dell’Arte e avesse potuto fare installazioni, sarebbe stato famoso ma forse era proprio quello che non voleva convinto a donare le preziosità del suo fare come suo stile di vita. La sua generosità spontanea l’aveva emarginato in un tempo in cui l’ideologia era il profitto ma di questa sua peculiarità ne portava avanti il discorso come un esempio. Amava molto gli animali e ha sempre voluto un cane con sé. Le lunghe camminate la mattina insieme erano il suo relax e il respiro umano della natura. Una persona rara conscia del suo ruolo nella famiglia lasciando sempre per sé uno spazio per non annullarsi in essa. Lo contraddistingueva uno stile innato nella persona e nella vita. Non era mai ingrassato d’un chilo da quando era giovane e prediligeva le verdure crude che ai pasti mangiava quasi sempre. Era anche un bravo cuoco e sapeva sostituirsi in tutto sia in faccende domestiche che in pesanti lavori. Deliziosamente forte e raffinato, biondo con gli occhi celesti, alto, longilineo elegante anche con gli abiti da lavoro. Aveva rischiato di non nascere per una caduta da una scala di mia madre incinta che aveva avuto una emorragia ed era dovuta stare a letto per sei mesi. Quando lui nacque quasi da sé (la levatrice arrivò all’ultimo momento) era un
ritratto dal diario del 2009 11 ammasso di pelli tanto che la madre si rifiutò di guardarlo. Poi, per un miracolo, in pochi mesi, quelle grinzosità si riempirono ed affiorò il più bel bimbo che non si fosse visto tanto che la madre quando passava con la carrozzina era seguita un coro di oh… Tra quel momento ed ora il tempo si annullava. Storie, sofferenze e gioie saranno domani cenere sparsa al vento in montagna tra i boschi, per sua espressa volontà. Pensare alla caducità non aiuta il fare a cui siamo condannati per dolore e delizia. Ma la storia è un’altra ancora… Le due sorelle, ultimo resto d’un nucleo familiare d’origine di cinque persone (padre, madre e tre figli), si presero a braccetto, un po’ curve sotto lo scorrere degli eventi che mai avrebbero pensato di conoscere così come erano avvenuti e si incamminarono nei prati bagnati di pioggia, pesticciando. L’odore dell’erba lo rese a loro ancora vivo.