Trascrizione delle pagine da 254 a 256 relative a Vincenzo Capirola
5. Vincenzo Capirola di Leno. Ignorato musicista del cinquecento. La stampa musicale internazionale ha dato notizia recentemente della scoperta di una dimenticata Sinfonia di Giacchino Rossini, scoperta fatta in Scandinavia da un colto musicista danese, e la notizia ha destato un vivissimo interesse anche in Italia, dove la sbalorditiva musica rossiniana gode sempre una grande popolarità. Non sarà meno interessante ai miei concittadini bresciani, che si occupano di musica e di musicisti locali, il sapere che in America, precisamente nella privata biblioteca Newberry di Chicago, è stata scoperta una importantissima raccolta manoscritta di composizioni musicali per liuto, del principio del Cinquecento (1515 circa), che contiene varie composizioni di un certo “Vincenzo Capirola gentihomo brexano” completamente ignoto, non solo ai dizionari e alla letteratura musicale internazionale, ma anche qui fra noi, nel “natio loco” che avrebbe dovuto conservare la memoria e tramandare almeno il nome e la fama di tale artista. Dobbiamo la scoperta sensazionale al giovane prof. Otto Gòmbosi, un ungherese che insegna storia della musica nella Università di Chicago e fratello minore di quel Giorgio Gòmbosi (19041945) che nel 1943, poco prima di morire mitragliato in un treno di confinati politici ci aveva dato in un dottissimo volume illustrato e documentato la migliore monografia critica sul nostro Moretto (Moretto da Brescia, Basel, Holnbein-verlag, 1943, pag. 126 in 4° su due colonne, e 126 illustrazioni). I due fratelli Gombòsi sono adunque legati a Brescia da particolari e rilevanti benemerenze culturali: uno ci ha dato un nuovo Moretto eccezionale, con indagini e rilievi critici che possono essere discutibili ma hanno sempre una propria originalità personale; l’altro ci darà la rivelazione di un musicista bresciano eminente e geniale ma finora completamente ignorato, un musicista di grande valore artistico e di impronta esclusivamente italiana, quando fra noi, nei grandi centri musicali di Milano, Venezia, Roma, trionfavano i maestri fiamminghi con la loro musica “a singhiozzi”, astrusa, artificiosa, infronzolata di peregrine trovate contrappuntistiche ma arida di sentimento e di espressività. Il prof. Gombòsi ha preparato la esatta trascrizione critica di tutte le composizioni musicali del codice di Chicago, e ne curerà l’edizione con un’ampia prefazione che illustrerà la figura del nostro Capirola “un musicien remarquable et très important” nei tempi di Franchino Gaffurio, di Iosquin de Prè, di Obrecht, di Adriano Willaert e degli altri maestri fiamminghi. Il codice contiene molte composizioni originali di Capirola, cioè 13 Ricercari, 5 Frottole, 7 Danze e Balletti, e varie altre sue trascrizioni di Mottetti e Messe di Albrecht, Agricola, Obrecht, Brumel, Iosquin, tutta musica composta e trascritta per liuto poiché il Capirola era un ottimo liutista e suonava a perfezione questo strumento musicale allora in grande voga nelle corti e nelle case signorili, dove i suonatori di liuto erano ricercatissimi. Uno dei “Ricercari” del Capirola è stato scritto per la gentildonna veneziana Giovanna Contarini, la “Zanna dal Contarini” che forse è stata la musa inspiratrice del nostro musicista. Ora si tratta di indagare e di ricostruire sui documenti la biografia di Capirola, di illuminare quanto è possibile le vicende lieti e tristi della sua vita, compito difficile ma indispensabile per presentare l’artista nella sua personalità umana. Naturalmente, trattandosi di un “gentiluomo brexano” il prof. Gombòsi si è rivolto a Brescia, e dalla lontana America è venuto a cercare i documenti nei nostri archivi, presentandosi con una lettera del prof. Ieppesen, direttore del Conservatorio di Copenaghen e della rivista “Acta musicologica” di fama mondiale. All’egregio musicologo ungherese avevo già segnalato alcuni documenti importanti del nostro Archivio storico civico intorno alla famiglia del Capirola, una delle tante famiglie bergamasche emigrate nel territorio bresciano nel secolo XIV e che aveva molte ramificazioni a Leno e a Porzano. A Leno il cognome dei Capirola resta ancora a un cascinale di campagna nell’antico territorio delle lame, ed è i l ricordo di una famiglia benemerita della bonifica agraria di quel
territorio, come il cognome dei nob. Scovolo è rimasto alla grossa cascina ancora denominata “la Scovola”. I Capirola discendevano da un certo Ghidino, detto Capirola, bracciante che nel 1388 si era inscritto nell’estimo civico della Quadra quinta di S. Giovanni ma era qui emigrato dal paese dell’Onore in val Seriana. Il musicista e liutista Vincenzo era figlio del nob. Pietro Capirola e di una certa signora Flora di cui non si conosce il cognome. Nato intorno al 1473 egli era ancora vivo in Brescia nel 1548 ma in condizioni economiche molto disagiate. Tutta la sua vita del resto doveva essere stata poco lieta e molto avventurosa. Suo padre morendo nel 1477 quando Vincenzo aveva poco più di tre o quattro anni, aveva lasciato una disastrosa situazione economica fallimentare; la vedova e i figli avevano dovuto vendere al comune di Leno diritti di acqua e di proprietà fondiaria, coperte di ipoteche. Nel 1517 e nel 1548 Vincenzo presentò all’estimo civico di Vescia le sue denunce per mantenere i suoi diritti di cittadinanza, ma era povero in canna e le due polizze sono due geremiadi di malanni e quasi due attestati di miserabilità! Eppure questo artista del liuto nel 1517 teneva casa di affitto a Venezia, dove egli entrava in cordiali rapporti col mondo veneziano e si faceva amico di Alvise Arcieri, cantore celebrato e divenuto nel 1519 primo organista della Basilica di San Marco. Nel 1548 Vincenzo, vecchio più che ottantenne, viveva in Brescia, in casa d’affitto nella parrocchia di S. Agata, vicino alla casa dei sommi liutai Gasparo da Salò e i Maggini suoi allievi. Era “senza esercitio alcuno” e aveva fatto vitalizio con messer Baldassare Romano “spiciaro nel borgo de sancto Zoan”, il quale “con maliziosi inganni” cercava di danneggiarlo non pagandogli gli interessi del capitale versato. Vecchio, solo, povero, il grande musicista moriva intorno al 1550 ignorato dai suoi stessi concittadini che ne dimenticarono perfino il nome. Ottavio Rossi, Leonardo Cozzando, lo stesso conte Mazzucchelli che raccolsero notizie intorno ai bresciani più o meno illustri del loro tempo, ignorano completamente Vincenzo Capirola “gentiluomo brexano” che con la magnifica voce del suo liuto e le geniali composizioni della sua musica aveva suscitato dovunque a Venezia come altrove, ammirazioni e applausi. Era la triste sorte toccata ad altri insigni musicisti bresciani del Cinquecento: Giovanni Contini, Luca Marenzio, Costanzo Antenati ebbero poco favore a Brescia, e furono invece più apprezzati e celebrati a Trento, a Dresda, a Roma, in Polonia, in Ungheria, mentre nella loro città natale ebbero incomprensioni e noie. E’ di turno ora, Vincenzo Capirola di Leno. Tocca a uno studioso ungherese emigrato in America per cause belliche e politiche, la sorte di scoprire e rivelare ai musicologi questo insigne artista bresciano, che nella storia della musica, divina arte universale, e nella storia della cultura bresciana, viene finalmente ad occupare un posto di primo piano. Quando potremo leggere in nitida edizione le pagine musicali del Capirola e la erudita prefazione biografica, i bresciani dovranno viva riconoscenza ai due fratelli Gombòsi, che ci hanno illustrato nel Moretto da Brescia e in Vincenzo Capirola da Leno, due delle più luminose figure del nostro Rinascimento.