Laboratorio Geografia Culturale 2010/2011

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M O DELLI DI RAPPRESENTAZIONE

DEI PAT R I MONI CULTURALI Laboratorio di Geografia culturale A.A. 2010/2011

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M O DELLI DI RAPPRESENTAZIONE DEI PAT R I MONI CULTURALI Laboratorio di Geografia culturale

A.A. 2010/2011

Premessa di metodo Il metodo impiegato è un modello semplificato della TDR di Claude Raffestin, che, nel caso esaminato, viene utilizzata per esaminare l’intreccio tra tradizione e modernità nelle immagini che i territori scelgono per rappresentare i propri patrimoni culturali. I concetti implicati nel modello sono: Territorio: Il territorio è il prodotto della territorialità, come insieme di relazioni, e non si riduce allo spazio, ma implica il progetto politico (nel senso più ampio) che un soggetto collettivo (un gruppo, una comunità, uno stato) pone in essere interagendo con l’ambiente definendo i limiti entro cui hanno validità i propri codici culturali. Territorialità: «La territorialità è il sistema di relazioni che una collettività intrattiene — e di conseguenza un individuo che vi appartiene — con l’esteriorità e/o l’alterità per mezzo di mediatori» (RAFFESTIN, Claude, Remarques sur les notions d'espace, de territoire et de territorialité, «Espaces et sociétés», 1982, no. 41, p. 170). Territorio astratto: «Bisogna intendere per territorio astratto, l’organizzazione sociale…» Territorio concreto: «e, per territorio concreto, l’organizzazione spaziale» (RAFFESTIN, Claude, La territorialité : miroir des discordances entre tradition et modernité, «Revue de l'Institut de Sociologie», 1984, no. 3-4, p. 444). Il territorio astratto implica dunque la rappresentazione, le immagini, che la collettività produce per dar forma al proprio progetto di evoluzione, progetto che produrrà l’organizzazione territoriale, il territorio concreto. Tradizione/modernità: «Si è vissuto, nel passato, sulla base di tradizioni del corpo, della natura e della società. Tradizioni che che hanno alimentato l’azione e organizzato il lavoro. Lo specchio di tali tradizioni è quasi sempre stato il lavoro, nel quale si concentravano le capacità e le abilità consacrate dall’ “esperienza”. Mediatore originario, il lavoro rifletteva in egual misura la territorialità. La mobilitazione di tale tradizione era molto legata a delle condizioni determinate dall'eco-logica e dalla socio-logica di un luogo, di un determinato momento e di un gruppo. Al sopravvenire di modifiche in queste “logiche”, la tradizione poteva rivelarsi inefficace; le pra-

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tiche, fino a quel momento coronate dal successo, entravano in crisi. La quotidianità poteva allora essere sconvolta da mutamenti inesplicabili, tanto più tragici in quanto i gesti “tradizionali” non davano più i risultati attesi. Di fatto, la quotidianità subiva i mutamenti intervenuti nel sistema di relazioni che costituiva la territorialità […] la tradizione non consentiva più di fronteggiare l’imprevedibile; la lacerazione della territorialità non poteva tradursi che in una quotidianità tragica... fino a che le cose ritrovavano un nuovo equilibrio. La rigidità della tradizione derivante dalla confusione tra pratica e conoscenza compromette innegabilmente l'autonomia del gruppo, un gruppo impotente di fronte ai mutamenti cui la non-esplicitazione delle conoscenze impedisce di comprendere. L'esplicitazione delle conoscenze, o meglio, la dicotomia tra conoscenze e pratiche, è proprio quel che caratterizza la modernità che può essere forse definita come un processo di fissione caratteristico del pensiero occidentale. Tale fissione si è realizzata tra il XVI ed il XVII secolo […] La modernità è la possibilità di combinare delle pratiche e delle conoscenze che fino ad allora non erano state confrontate e combinate […] Il mondo contemporaneo, o più precisamente la quotidianità contemporanea mescola molto intimamente tradizione e modernità. Ne risulta che non vi è una territorialità, ma in ogni caso due territorialità: una che si nutre di tradizione e l’altra che è segnata dalla modernità. Di fatto, le cose sono più complicate poiché è necessario considerare che la territorialità, che riguarda ad un tempo il territorio concreto e il territorio astratto, deriva dall’utilizzo di mediatori che attengono alla tradizione e alla modernità. Vi sono quindi quattro modalità possibili di mediazione» (RAFFESTIN, Claude, La territorialité : miroir des discordances entre tradition et modernité, cit., p. 441, 442, 443).

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«Le modalità I e IV sono di certo totalmente teoriche o, in caso contrario, non rappresentano territorialità di cui si hanno frequentemente esempi. Le situazioni II e III sono quindi particolarmente interessanti. Se si considerano le cose a scale diverse, tanto dal punto di vista spaziale che temporale, si constata innanzitutto che in materia di territorio concreto costruito, la nostra società urbana si è dapprima si è colata nelle forme urbane ereditate. La società industriale ha costruito delle città, chiamate nuove, ma il numero di queste in confronto alle città ereditate è quanto meno irrisorio. Non abbiamo davvero creato le città nelle quali abitiamo, abbiamo ristrutturato le città antiche, le abbiamo proiettate fuori dalle loro mura, le abbiamo “ingrassate”, ma non le abbiamo costruite nel senso pieno del termine. Le abbiamo adattate e modernizzate. È ciò che pressappoco si potrebbe rappresentare con la situazione III. Al contrario, nei paesi del Terzo Mondo, si può incontrare la situazione II» (RAFFESTIN, Claude, La territorialité : miroir des discordances entre tradition et modernité, cit., p. 443-444).

Steps applicativi L’esempio verrà studiato applicando il modello descritto seguendo degli steps precisi: 1. Individuazione del territorio da analizzare e scelta dell’immagine o del programma iconografico (che si potrebbe definire, con Jean Gottmann, iconografia regionale, cioè il complesso di simboli, immagini, codici culturali che una collettività riconosce e in cui si riconosce) tramite cui viene pubblicizzato il patrimonio culturale relativo. 2. Raccolta di materiale documentario (scritto, illustrato, multimediale, ecc.) che illustri il contesto storico-geografico in cui è stato prodotta l’iconografia locale. 3. Applicazione del modello e individuazione della modalità (I, II, III, IV) a cui appartiene l’esempio in questione (o se l’esempio appartiene ad una situazione ibrida). 4. Conclusioni personali dello studente.

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M O DELLI DI RAPPRESENTAZIONE DEI PAT R I MONI CULTURALI Laboratorio di Geografia culturale Agostinelli Sara

Il patrimonio nascosto A.A. 2010/2011

Presentazione esempio scelto L’esempio da me prescelto riguarda il paese in cui risiedo: Santa Maria Nuova. Paese situato al centro della provincia di Ancona sul dorso di una collina a 249 metri di altitudine. È un piccolo paese di circa 4100 abitanti con una densità di 231,76 ab/Km². Ho deciso di occuparmi di questo luogo poiché, ritengo di poter valutare abbastanza consapevolmente la presentazione del paese attraverso il sito internet istituzionale. Di seguito riporto alcune immagini con le quali si presenta il paese, nel sito: 1. Gonfalone comunale; 2. Palazzo comunale; 3. Chiesa di S. Antonio di Padova, patrono del paese; 4. Pagina web dedicata al patrimonio artistico. 321

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Contesto

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Il sito internet sul quale ho basato le mie ricerche è quello istituzionale del Comune di Santa Maria Nuova. È un sito piuttosto contenuto e rivolto in particolar modo ai servizi al cittadino che si possono svolgere via web. La parte dedicata al patrimonio culturale è molto esigua e presentata nella pagina web intitolata arte e cultura, alla quale si accede attraverso la parte dedicata alla Città.

Analisi Analizzando il sito internet ed essendo a conoscenza della storia di Santa Maria Nuova la collocherei all’interno della terza categoria, quella cioè in cui il territorio astratto è moderno e quello concreto è tradizionale, come è per la maggior parte delle città italiane. Questo perché, nonostante le ristrutturazioni e gli ampliamenti avvenuti nel corso degli anni il paese si è sviluppato da un agglomerato più volte spostato e rifondato, ma la cui data di fondazione si fa risalire al 1472. Al tempo stesso, tuttavia, il territorio astratto è in continuo mutamento, cercando di restare, per quel che è possibile, al passo con le richieste che provengono dall’esterno.

Conclusioni Ripercorrendo il sito internet e confrontando la presentazione del patrimonio culturale con beni realmente presenti in questo territorio, la valutazione spontanea è che non è con questo ambito che il paese si rappresenta. Infatti, seppur non ricchissimo, il territorio di Santa Maria Nuova offre più elementi artistici di quelli presentati all’interno della pagina web, come la Chiesa di S. Rocco, recentemente restaurata e dei dipinti, conservati all’interno della Chiesa della Sacra Famiglia di Collina (una frazione), creati da un artista locale, Ivo Batocco,

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conosciuto in tutto il territorio marchigiano. Inoltre, non si dà alcuno spazio all’attività concertistica che si svolge ogni anno in occasione del “900 musica festival” che ha visto partecipare artisti di fama anche internazionale, come il pianista Lorenzo Di Bella, medaglia d’oro al concorso pianistico internazionale “V. Horowitz” e la suonatrice d’arpa Floraleda Sacchi. Festival al quale assiste sia la cittadinanza comunale che quella proveniente dai paesi e dalle città vicine. Tuttavia, l’immagine di Santa Maria Nuova che traspare dal sito internet non la ritengo una buona rappresentazione dell’idea che sia la cittadinanza che l’amministrazione comunale ha del paese. Infatti, negli ultimi anni, ad esempio, si è puntato molto, sulla ristrutturazione della Chiesa di S. Rocco facendo una pubblica inaugurazione in occasione dei festeggiamenti per il 150° anniversario dell’autonomia da Jesi e presentandola come gioiellino del paese in un servizio svolto dal TG3 regionale sul paese. A mio avviso, invece, l’ambito culturale (con i suoi monumenti, le bande musicali, i concerti) è uno di quegli elementi, insieme alle associazioni sportive, in cui la cittadinanza si rappresenta maggiormente. È un peccato non sfruttare questa opportunità, il sito web, infatti, dovrebbe essere utilizzato per promuovere il patrimonio culturale, le feste di paese, le attività culturali e sportive che vi si svolgono e, perché no, i ristoranti e le altre attività economiche che potrebbero interessare un possibile turista.

B I B L IOGRAFIA URIELI,Costantino. “Santa Maria Nuova, tra memoria e storia”. Jesi: Azienda Grafica Stampa Nova, 2001. RAFFESTIN,

Claude, Remarques sur les notions d'espace, de territoire et de territorialité, «Espaces et sociétés», 1982, no. 41, pp. 167-171.

RAFFESTIN,

Claude, La territorialité : miroir des discordances entre tradition et modernité, «Revue de l'Institut de Sociologie», 1984,

no. 3-4, pp. 437-447.

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M O DELLI DI RAPPRESENTAZIONE DEI PAT R I MONI CULTURALI Laboratorio di Geografia culturale Benini Andrea A.A. 2010/2011

Il comune di Rocca San Casciano è un comune italiano di 2.128 abitanti della provincia di ForlìCesena in Emilia-Romagna. Il paese di Rocca San Casciano poggia le basi della propria rappresentazione territoriale su un’iconografia legata soprattutto a quelle che sono le tradizioni che il paese conserva e nelle quali i propri cittadini si riconoscono.

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Lo stemma Comunale e il Castello Il principale modello di rappresentazione stà proprio nel simbolo che rappresenta l’identità e l’origine del paese. Infatti le tre torri sono il simbolo dell’antico castello che sovrastava il paese, di proprietà signorile, che dall’alto controllava la vita del centro abitato. Ancora oggi è rimasta intatta una torre, identificata come “CASTELLACCIO”, simbolo dell’identità rocchigiana nella quale ogni cittadino rocchigiano si riconosce e sulla quale si cerca di basare le iniziative per il turismo verso il paese.

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La Torre Civica.

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Come possiamo notare, l’immagine che accompagna l’home page nel sito del Comune è quello della Torre civica, altro importante simbolo della comunità rocchigiana. La torre civica, o “Campanone”, è risalente alla fine del '600. La sua posizione già lo rende simbolo, essendo situato nel centro vero e proprio del paese ossia in piazza Garibaldi. Qui, tra '700 e '800, si svolgevano i mercati della seta a cui affluivano i produttori dalla Toscana e dalla Romagna. Sulla piazza si affacciano palazzi cinque-seicenteschi appartenuti alle nobili famiglie rocchigiane ed antiche osterie. Negli ultimi anni è diventato simbolo dei concerti classici e delle opere liriche portate in scena in Piazza Garibaldi.

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La Vergine Addolorata. Nella nicchia ricavata sul fronte della Torre civica è custodita questa statua settecentesca in terracotta. La spada che trafigge il cuore della Vergine, la quale sembra piangere per le sventure toccate al paese (il terremoto del 1661 che lo distrusse quasi completamente) è invece molto più antica essendo stata realizzata da un armaiolo bresciano nel 1542.

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Festa dei Falò

La tradizionale festa dei falò è forse il simbolo che più lega il rocchigiano al proprio territorio, rito di tradizione pagana che infiamma il paese di fuochi e di feste. Il senso di appartenenza che lega ogni abitante ad uno dei due rioni contendenti fa sì che l’immagine dei due falò avvolti dalle fiamme, eretti grazie alla raccolta delle ginestre nei mesi di preparazione (tradizione che va avanti da secoli), rende questo simbolo ad oggi la maggiore fonte di rappresentazione rocchigiana al di fuori delle “mura” paesane.

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Contesto Rocca San Casciano si trova a 27 Km a sud di Forlì, sulla strada statale n.67 (tosco romagnola) in direzione Firenze. La conformazione collinare del territorio ha costretto l'espansione delle zone edificate e delle attività economiche a fondo valle, lungo il percorso della ss. 67, circondata da boschi che seguono il corso del fiume e disegnano il piccolo centro abitato. E' giudizio concorde degli storici che qui (V e IV secolo a.C.) si insediarono popolazioni galliche provenienti dalla pianura padana. Ma anche i romani, un secolo più tardi, risalirono il corso del fiume Acquacheta (o Montone), che all'epoca era detto Casatico. Quest'ultimo toponimo si ritrova in un documento del 882 nel quale si fa riferimento al popolo della Pieve di San Casciano in Casatico, a dimostrazione che un centro si sviluppò intorno alla Pieve. Passò quindi ai Manfredi di Faenza e ai De' Calboli di Forlì, l'ultimo dei quali, in cambio di onori e cariche, la cedette per testamento a Firenze (1382). Ne divenne Podesteria con giurisdizione civile e nel 1660 fece parte della Provincia minore. Fu aggregata alla provincia di Forlì nel 1923.

“Il castellaccio”"

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“Veduta del paese”

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“Piazza Garibaldi anni

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Analisi Alla luce del modello di RAFFESTIN, riguardante le mediazioni tra tradizione e modernità, l’esperienza di Rocca San Casciano si avvicina al modello n. III, vi si trova cioè un territorio moderno astratto ed un territorio tradizionale concreto. In effetti, in paese, gli elementi della modernità sono parte della vita di tutti i giorni, e sono divenuti ormai abitudinari. Però ciò non cambia il fatto che la rappresentazione da parte di questo piccolo paese appenninico di sé stesso all’esterno, cioè al di fuori del suo territorio concreto, sia prettamente e strettamente legata a simboli ed elementi tradizionali, e quindi questo mi spinge a non inserire questa realtà in una precisa categoria ma ad indicarla come un ibrido.

Conclusioni Il passato, il presente e il futuro di un piccolo comune sono sicuramente differenti dalla storia di una metropoli, o dal cammino di città universalmente storiche ricche di musei e di monumenti, che hanno vissuto eventi importanti per la storia della nazione e che sono quindi pilastri del patrimonio culturale italiano. Penso però che non bisogna sottovalutare l’importanza di realtà come quella del mio paese natale, poiché in essa accanto alla modernità, elemento essenziale per la vita e lo sviluppo, risiede la storia di una comunità, testimoniata dalle chiese, dai piccoli monumenti e dalle feste paesane, e la viva tradizione di un rapporto con la propria terra e con le proprie radici, che rende questo piccolo paese assieme a tutte le altre realtà simili sparse per l’italia, fondamento della nostra identità e del nostro patrimonio culturale.

BIBLIOGRAFIA Armando Romagnoli-I quaderni de%’Acquacheta(memorie e attualità di Rocca San Casciano e de%a Valle del Montone)-edizioni di presenza romagnola www.comune.roccasancasciano.fc.it www.comuni-italiani.it

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M O DELLI DI RAPPRESENTAZIONE DEI PAT R I MONI CULTURALI Laboratorio di Geografia culturale Nicola Bussi

Marina di Ravenna: la contraddizione A.A. 2010/2011

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Presentazione esempio scelto

La scelta di prendere in analisi l'esempio di Marina di Ravenna, e in particolar modo della zona della “Fabbrica Vecchia”, ricade principalmente nel fatto che esso rappresenta il nucleo originario (geografico, storico e culturale) dal quale si è evoluto nel tempo il paese in cui abito.

! Al di là delle personali motivazioni che mi spingono a questo genere di scelta, credo fermamente che il caso che andrò ad approfondire abbia una particolare valenza in funzione della marcata dicotomia fra tradizione e modernità in un paese che, nel giro di pochi secoli dalla sua fondazione, è diventato una delle principali mete turistiche della riviera romagnola. )

Contesto La bibliografia, la sitografia e le immagini relative alla zona della “Fabbrica Vecchia” sembrano tutte orientate verso un unico fine: evidenziare l'importanza storica e culturale di questo sito. Risulta perciò importante tracciare un sintetico excursus storico riguardante l'evoluzione dei tre edifici che hanno dato le origini al paese in cui vivo. Nel 1763 la Comunità di Ravenna diede inizio ai lavori per l'edificazione, presso il porto Corsini, del Casone della Sanità (meglio noto semplicemente come FABBRICA VECCHIA). La co-

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struzione era finalizzata alla domiciliazione della sede fissa del Deputato della Sanità del porto e all'alloggio di alcuni ufficiali con le rispettive famiglie. Otto anni dopo i marchesi CAVALLI commissionarono un nuovo fabbricato (denominato MARCHESATO) nelle vicinanze del Casone, per trasferirvi le proprie attività portuali. Nel corso dei decenni le due strutture si andarono sovrappopolando, soprattutto a causa dello sviluppo del mercato ittico, e fu perciò necessario costruire nuovi complessi di edifici. Per questo motivo, nel 1836, su iniziativa del Cardinale Agostino RIVAROLA, vennero edificate quelle che saranno poi conosciute come CASE LUNGHE (o Case Nuove): abitazioni adibite a dimora dei pescatori provenienti dal nord-Adriatico (in particolar modo da Chioggia). Così col passare degli anni, l'intera zona della Fabbrica Vecchia assunse un ruolo fondamentale per la comunità locale, in quanto epicentro della vita economica e sociale del sobborgo marinaro. Il periodo che va da fine Ottocento ai giorni nostri ha visto un lento degrado dell'area in questione; ciò è dovuto in gran parte a causa del progressivo mutamento degli obiettivi economici della comunità. Infatti, principalmente nel corso del XX secolo, l'epicentro commerciale si è spostato verso la zona litorale, in sintonia con le aspirazioni turistico-balneari del paese. Ai tre edifici storici si aggiunsero in questo modo alberghi, osterie, spacci, nuove strade, abitazioni. A partire dal secondo dopoguerra, gli stabilimenti balneari della giovane Marina di Ravenna diventarono meta turistica di mezza Europa. Questo processo di modernizzazione ha portato all'inesorabile spostamento della vita cittadina e, di conseguenza, all'estenuante logoramento del nucleo originario del paese, la Fabbrica Vecchia. )

Analisi

Il XXI secolo è per Marina di Ravenna il secolo dell'affermazione a livello internazionale: la creazione del “Porto Turistico Internazionale di Marinara”, la diffusione dei locali notturni e delle Happy Hours, le gare internazionali di vela sono tutti esempi di modernizzazione dell'offerta turistica del paese. In particolare, la costruzione di un centro commerciale (Marinara), laddove prima esisteva solo il mare, potrebbe risultare un chiaro esempio di territorio appartenente alla IV tipologia de modello, ma non è su ciò che verte questa ricerca. Sorgono spontanee alcune domande: che fine a fatto il nucleo originario del paese? Che cosa sono diventati quei monumenti emblematici del NOSTRO patrimonio culturale? La risposta è quantomai amara. Se si analizza la situazione da un punto di vista territoriale concreto, allora essi esistono ancora fisicamente, ma sono in un tale stato di abbandono da passare quasi inosservati. Se esistessero visite guidate ai tre edifici-simbolo, ecco che probabilmente il turista si troverebbe d'innanzi ad anonime mura imbrattate di graffiti e scritte. Vi è però una nota dal sapore nostalgico: molti anziani del luogo hanno acquistato vari capanni e palafitte co-

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struiti nell'area circostante la Fabbrica Vecchia. Queste costruzioni erano un tempo la dimora di molti pescatori e la loro permanenza sta quasi a simboleggiare come i vecchi abitanti di Marina siano ancora legati ai ricordi e ai valori che quel suggestivo luogo rappresenta. Va di fatto precisato che i residenti di una certa età hanno da sempre rifiutato la nuova immagine che il paese ha assunto dopo il boom economico del dopoguerra. In questo senso, sotto nuovi aspetti, la Fabbrica Vecchia torna ad assumere un rinnovato, importante aspetto sociale. Essa rappresenta ora un “locus amoenus” dove estraniarsi da una realtà che si sta evolvendo a ritmi sempre più vertiginosi. Il territorio astratto è però mutato. L' organizzazione sociale dell'area in questione è totalmente diversa. Essa infatti non è più abitata da pescatori. I proprietari delle poche costruzioni occupate non hanno alcun legame lavorativo con la Fabbrica Vecchia; sono semmai vincolati da un legame emotivo e culturale con il luogo in questione. I documenti analizzati, iconografici o storiografici che siano, mostrano chiaramente come la funzione dei monumenti descritti finora si sia evoluta nel tempo. La modernità (le nuove tecnologie di pesca, le varie strategie commerciali, ecc...) ha senza ombra di dubbio trasformato radicalmente l'organizzazione sociale del territorio, ma mai ha impedito che la tradizione si rispecchiasse nella fisicità dei monumenti, nonostante il tempo si sia “divorato” buona parte di essi. Per questo motivo posso fermamente affermare che la situazione della Fabbrica Vecchia appartenga alla III tipologia di mediazione (ovvero territorio moderno per quanto riguarda l'astrazione e tradizionale per ciò che concerne la concretezza). )

Conclusioni

Devo tristemente ammettere di aver trovato una forte contraddizione tra la documentazione e la pubblicità che Marina di Ravenna fa di se stessa. Da un lato abbiamo un “Comitato di Salvaguardia della Fa b b r i c a Ve c c h i a e del Ma r c h e s a t o ” (http://www.racine.ra.it/fabbrica/comitato/index.html) che si batte per la valorizzazione e la ristrutturazione dei monumenti; dall'altro si nota invece un'incentivazione del turismo balneare e delle strutture all'avanguardia. Anche le immagini pubblicate sui vari siti internet in realtà non rispecchiano a pieno una coer e n z a l o g i c a . Ta n t o è v e r o c h e i l s i t o u f f i c i a l e d i Ma r i n a d i R a v e n n a (http://www.marinadiravenna.org/home.php?Lang=it) concede pochissimo spazio alle informazioni riguardanti il paese, per concentrarsi maggiormente sulle attrazioni turistiche. In conclusione l'area della Fabbrica Vecchia, se inquadrata in un paese quale è Marina di Ravenna, rappresenta alla perfezione quella dicotomia fra tradizione e modernità di cui parlavo nella presentazione. Colgo infine l'occasione per lanciare una provocazione: Raffestin afferma che, durante i periodi di grande cambiamento, la tradizione “non consente di affrontare l'im-

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prevedibile […] fino a che le cose non ritrovano un nuovo equilibrio; ma come è possibile trovare un equilibrio laddove i ritmi con cui le innovazioni entrano in circolo stanno progressivamente accelerando e le nuove tecnologie si susseguono in maniera angosciosamente ossessiva?

BIBLIOGRAFIA

S t o p p a , P e r i c l e . “ P o r t o C o r s i n i , M a r i n a d i R a v e n n a : u n a s t o r i a ” . R a v e n n a : c ooperativa Capit, 1998. R a f f e s t i n , C l a u d e , R e m a r q u e s s u r l e s n o t i o n s d ' e s p a c e , d e t e r r i t o i r e e t d e t e r r i t o r i alité, «Espaces et sociétés», 1982, no. 41, pp. 167-171. R a f f e s t i n , C l a u d e , L a t e r r i t o r i a l i t é : m i r o i r d e s d i s c o r d a n c e s e n t r e t r a d i t i o n e t m oder nité, «Revue de l'Institut de Sociologie», 1984, no. 3-4, pp. 437-

SITOGRAFIA h t t p : / / w w w. r a c i n e . r a . i t / f a b b r i c a / c o m i t a t o / i n d e x . h t m l

( n o t i z i e r e l a t i-

v e a l C o m i t a t o d i S a l v a g u a r d i a d e l l a F a b b r i c a Ve c c h i a )

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magini di corredo)

h t t p : / / w w w. m a r i n a d i r a v e n n a . o r g / h o m e . p h p ? m I t e m = 1 & L a n g = i t & I t e m =home (notizie relative al turismo)

ICONOGRAFIA h t t p : / / w w w. r a c i n e . r a . i t / f a b b r i c a / i n d e x P. h t m − A n t o n i o F e d i , V e d u t a d e l p o r t o d i R a v e n n a t r a l l e l a g u n e ( 1 7 8 8 ) − F a b b r i c a V e c c h i a e M a r c h e s a t o , f o t o g r a f i a d e l S a v i n i ( 1 9 0 4 ) − L ' a r e a d i r i s p e t t o a i f a b b r i c a t i , a n o n i m o p e r a v e r e u n ' i d e a d e l l o s t a t o d e l l a z o n a d e l l a F a b b r i c a Ve c c h i a e s i s t e u n s i t o di r i f e r i m e n t o : h t t p : / / w w w. 3 6 0 c i t i e s . n e t / i m a g e / f a b b r i c a - v e c c h i a - d e l - m a r c

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M O DELLI DI RAPPRESENTAZIONE DEI PAT R I MONI CULTURALI Laboratorio di Geografia culturale Marijan Erste Cres-Cherso A.A. 2010/2011

Presentazione esempio scelto La mia attenzione cade sull’isola di Cherso e grad Cres (città di Cherso), da cui io provengo. L’isola e situata nel nord Adriatico, nel Golfo di Quarnero, fra la penisola d’Istria a ovest e la costa croata ad est. Il clima è condizionato dalla posizione geografica (45º parallelo) in relazione alla terraferma e all’influenza del mare. Il terreno è carsico, per ciò, indifferentemente dalla quantità delle precipitazioni, l’acqua non riesce a trattenersi a lungo sulla superficie, causa la porosità del terreno. La vegetazione è molto diversa: al nord ci sono boschi di querce mediterranee, castagni e lecci. Andando verso sud diventano pascoli di salvia intercalati con pascoli pietrosi e nelle zona estrema a sud diventa macchia mediterranea.

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La piazza

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Le masiere

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La pesca

La tosatura delle pecore

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Contesto Il lavoro dell’uomo ha segnato il territorio già dall’antichità, ciò è evidente specialmente dalle “masiere”, muretti a secco che dividono le diverse proprietà; in primo luogo impediscono l’erosione ed in oltre liberano dai sassi l’avaro terreno isolano e formano terrazze coltivate. I primi nuclei umani erano presenti già in età neolitica. Gli Illiri, più precisamente la tribù dei Liburni, furono i primi a costruire case in pietra; si distinsero come esperti navigatori e fondarono i primi abitati di Cherso e di Ossero. Dopo le lotte tra Illiri e Romani (II e III secolo a.C.) si arrivò alla completa dominazione di questi ultimi avvenuta nel I secolo a.C. Poco tempo dopo la caduta dell’impero Romano d’Occidente, l’isola si trovò sotto la dominazione di Bisanzio. Alla fine del VI secolo ci fu una grande migrazione e sull’isola giunsero le tribù dei Croati. Nell’anno 1000 i Veneziani si impadronirono dell’isola. Nei secoli successivi si alternarono l’egemonia di Bisanzio, di Venezia, dell’Ungheria e del Regno Croato. Nel XV secolo si stabilì la dominazione della Repubblica di Venezia che durò per quasi quattro secoli e lasciò tracce indelebili improntando di sé l’architettura, il dialetto e le consuetudini di vita della popolazione. Dopo la sconfitta di Napoleone il dominio passò all’Austro-Ungheria. Alla fine della Prima guerra mondiale con il trattato di Rapallo (1920) l’isola viene affidata all’Italia, e nel 1947, dopo la Seconda guerra mondiale e la capitolazione dell’Italia, viene assegnata alla Croazia. Questo avvicendarsi delle dominazioni, lasciò le sue tracce nell’isola che, tuttavia, per la lontananza dalla terraferma, non subì grossi mutamenti. Fin dai tempi antichi la pastorizia è stata l’occupazione principale. Le pecore pascolano libere all’aperto durante tutto l’anno. La conformazione del territorio non permette una agricoltura intensiva, tranne per l’olivicoltura e la viticoltura che erano già sviluppate perché l’isola disponeva di grande quantità di mano d’opera a basso costo, fornita da famiglie molto numerose. Altra parte di sostentamento, derivante dalla tradizione, è fornita dalla pesca, che veniva e viene tutt’oggi, effettuata con piccole imbarcazioni. Ciò ha fatto si che si sviluppassero un modesto cantiere navale e una fabbrica di conservazione del pesce. Dagli anni sessanta ha inizio lo sviluppo del turismo che vanta come punto di forza la bellezza e l’integrità del mare e una natura incontaminata.

Analisi Considerando l’immagine di questa isola fornita dalle informazioni date, si può affermare che la collettività appartiene alla modalità seconda, in quanto la tradizione rimane alla base dell’agire del presente.

Conclusioni Oserei dire che l’isola vive con un ritmo d’altri tempi, traendo dalla modernità solo quello di cui ha bisogno per vivere meglio. Ciò è dovuto anche al fatto che, con il trattato di Osimo (1954), la popolazione dimezzò, non solo per ragioni politiche, ma piuttosto per questioni eco-

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nomiche: chi a scelto l’Italia era disposto ad un cambiamento, chi sceglieva di rimanere, a mio avviso, era molto più legato alla tradizione e alla sua conservazione.

BIBLIOGRAFIA RAFFESTIN,

Claude, Remarques sur les notions d'espace, de territoire et de territorialité, «Espaces et sociétés», 1982, no. 41, pp. 167-171.

RAFFESTIN,

Claude, La territorialité : miroir des discordances entre tradition et modernité, «Revue de l'Institut de Sociologie», 1984, no. 3-4, pp. 437-447.

Fučić, Branko, Apsyrtides, Mali Lošinj, Turistička zajednica Mali Lošinj, 1995 Mavrović, Nadir, Cherso e Lussino: passeggiata sulle isole, isolette e scogli, Nerezine: Televrina, 1997

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M O DELLI DI RAPPRESENTAZIONE DEI PAT R I MONI CULTURALI Laboratorio di Geografia culturale Bianca Maria Mancini

Remin Presentazione esempio scelto La mia scelta cade sulla città di Rimini perché, essendo il mio comune natale, credo di poter avere una visione completa delle dinamiche cittadine.

Contesto Il sito comunale offre una panoramica generale incentrata sulla cultura e sul turismo sia marittimo che fieristico attraverso immagini in sequenza e banners, per poi deviare la ricerca sui menù interattivi a lato della schermata. Cliccando su queste pagine si può avere il modo di osservare che il comune di Rimini punta equamente sia sulla “Domus del chirurgo”, esempio unico nel suo genere

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riguardo gli attrezzi medici ritrovati, sia sulle mostre internazionali tenute a Castel Sigismondo. Il turismo di massa invece si riversa sui vari impianti balneari e nei nuovi centro fieristico e palacongressi, facendo così apparire Rimini come una città che guarda con un occhio al suo passato di colonia romana e con l’altro al centro balneare e turistico del futuro.

Analisi Rimini si rispecchia a buon diritto nel terzo modello di rappresentazione del territorio . Territorio moderno astratto in quanto sono presenti il nuovo impianto fieristico che richiama persone da tutt’Italia (Meeting, Fiera del wellness…) e dai paesi esteri; la nuova darsena con annesso un complesso edilizio d’avanguardia; il recente palacongressi. Territorio tradizionale concreto perché all’antica città romana poi medievale è stata accostata quella più moderna comune ai turisti.

Conclusioni Per quanto il sito mostri una città rispettosa e attenta al proprio patrimonio artistico, per chi ci vive la prospettiva è al quanto diversa. Fin quando il bene è posto sotto osservazione l’attenzione rivoltagli è alta, ma appena l’euforia del momento scema così pure la sua cura. Se questo accade con i monumenti più importanti della città si può immaginare cosa possa succedere a quelli più marginali come possono essere un segnamiglio romano o un arco gotico attribuito agli amanti Paolo e Francesca. Per tanto concludo dicendo che la città di Rimini rispecchia perfettamente la maggior parte dei suoi abitanti: menefreghisti su ciò che riguarda la cultura e più in generale quello che non porta un guadagno immediato, molto propositivi e attenti nell’ ambito delle discoteche e del divertimento a basso prezzo.

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M O DELLI DI RAPPRESENTAZIONE DEI PAT R I MONI CULTURALI Laboratorio di Geografia culturale

! Sara Paterlini A.A. 2010/2011

Brescia, Leonessa d’Italia

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Presentazione esempio scelto

L’esempio che ho scelto è Brescia, la città in cui sono nata. Quella che meglio conosco e alla quale, quindi, mi sento di appartenere.

Contesto Per capire come la città si rappresenta ho preso in considerazione il sito istituzionale del Comune di Brescia, dal quale emerge che l’innovazione tecnologica e la modernizzazione delle infrastrutture sono punti fondamentali della politica di gestione del territorio.

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Allo stesso tempo, però, la storia di Brescia è tenuta in grande considerazione in quanto sono ben visibili per le vie i resti delle epoche che si sono susseguite, con le vicende che hanno segnato la vita della città; come emerge anche dal fatto che tra le notizie “in primo piano” si parla del progetto “RIVALUTARE BRESCIA” promosso dall’amministrazione comunale nato per dare una risposta al problema di ripulire, restaurare e conservare il patrimonio d’arte e di storia rappresentato dalle architetture e dai monumenti cittadini. Questo dimostra che è molto importante l’aspetto esteriore della città che il biglietto da visita per chi la vede per la prima volta.

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Inoltre si è voluto ulteriormente cercare di accrescere il prestigio della città candidando il complesso di San Salvatore e Santa Giulia e l’area archeologica monumentale del Capitolium per la lista del patrimonio mondiale dell’Unesco.

Analisi Brescia appartiene al modello III, ha un territorio concreto tradizionale e un territorio astratto moderno, in quanto la città attuale è frutto delle trasformazioni delle epoche che ha attraversato con le continue ristrutturazioni e gli adattamenti di edifici preesistenti.

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Un esempio è dato dal Castello che sovrasta la città dal colle Cidneo, costruito sulle rovine del Tempio di Vespasiano dai Visigoti nella prima metà del Trecento, poi ampliato dai Veneziani verso la metà del Cinquecento (per quattro secoli Brescia ha fatto parte della Repubblica di Venezia). Divenuto sede degli Austriaci sotto il dominio Austro-Ungarico, è servito da roccaforte a quest’ultimi quando il popolo è insorto nelle famose X Giornate che valsero alla città l’appellativo di Leonessa d’Italia attribuito da Aleardo Aleardi e reso celebre da Giosuè Carducci nelle odi barbare.

<< D’un de’ tuoi monti fertili di spade, Niobe guerriera de le mie contrade, Leonessa d’Italia, Brescia grande e infelice. >> (Aleardo Aleardi, Canti Patrii, 1857)

<< Lieta del fato Brescia raccolsemi, Brescia la forte, Brescia la ferrea, Brescia leonessa d’Italia Beverata del sangue nemico. >> (Giosuè Carducci, Odi Bardare, 14-16 maggio 1877)

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Nel 1930 vengono poi demoliti interi quartieri per volontà dei fascisti che hanno costruito l’attuale Piazza Vittoria con l’edificio delle Poste.

Il volto della città è poi ulteriormente cambiato a seguito della Seconda Guerra Mondiale, a causa della quale la città subisce pesanti bombardamenti anche per la scelta di Mussolini di resistere proclamando la Repubblica Sociale Italiana a Salò.

La rappresentazione che Brescia fa di se stessa è quindi quella di una città con alle spalle una lunga storia (nata all’incirca nel IV secolo a.C.) con siti degni di appartenere al patrimonio mondiale, ma che è in continua evoluzione con il miglioramento e l’ampliamento dei quartieri storici ma anche di quelli più recenti e moderni, con particolare attenzione alle infrastrutture e ai collegamenti come sono d’esempio i vari cantieri per la metropolitana in costruzione.

Conclusioni Nel complesso penso che la mia città valorizzi al meglio il suo patrimonio anche con numerose iniziative volte a promuovere il centro storico, non solo per quanto riguarda l’arte e l’architettura, ma anche per invogliare i cittadini, e non solo, a viverlo e farne un punto di incontro e di svago. Infatti alcuni dei locali più frequentati nel week-end, soprattutto dai giovani, si trovano in una zona centralissima che ruota attorno a Piazzale Arnaldo e Piazza Duomo (due delle maggiori piazze della città dopo Piazza della Loggia).

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Penso che noi bresciani ci identifichiamo molto nella rappresentazione che ho dato di Brescia in questa relazione, in quanto ci piace vantarci di vivere in una città che ha fatto dell’industria e dell’innovazione tecnologica i suoi punti di forza, ma nonostante ciò siamo legati alla nostra storia e amiamo vivere soprattutto i posti che testimoniano il passato su cui si fonda il presente di una città che è ancora orgogliosa e che tutt’oggi si sente una Leonessa.

Episodio delle X Giornate di Brescia- combattimento in Contrada Sant'Urbano di Faustino Joli!Olio su tela - cm 32,5x40,5. (1849)

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BIBLIOGRAFIA

Sito Internet: www.comune.brescia.it Aleardo Aleardi, Canti Patrii. 1857 Giosuè Carducci, “A#a vittoria tra le rovine del tempio di Vespasiano in Brescia” – Odi Barbare. 1877

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M O DELLI DI RAPPRESENTAZIONE DEI PAT R I MONI CULTURALI Laboratorio di Geografia culturale Pazzaglia Anna

Il Paese innovativo A.A. 2010/2011

Presentazione esempio scelto L’esempio che ho scelto è quello del comune a me più vicino, Santarcangelo di Romagna. E’ un comune di 21.118 abitanti con una superficie di 45,19 Kmq, nella provincia di Rimini, posto sulla via Emilia, al confine con la provincia di Forlì-Cesena. Santarcangelo è situata sul colle Giove ed è bagnata da due fiumi: l’Uso (a nord) e il Marecchia (a sud), da cui prende origine l'omonima vallata: la Val Marecchia. I simboli che ho scelto come rappresentativi di questo comune sono:

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Le prime due immagini rappresentano rispettivamente: la vista di Santarcangelo di Romagna, presa del sito internet del Comune; il Gonfalone comunale, che ho trovato sul sito del Comune stesso. La terza rappresenta le caratteristiche grotte in arenaria e argilla scavate nel centro della Santarcangelo Vecchia, quella cioè che sorge sul Monte Giove. Le altre due immagini, invece, rappresentano le iniziative più popolari prese dalla Pro Loco e dal Comune nel corso dell’anno; rispettivamente: “I Calici di Stelle” che si tiene ogni Agosto e dove tutte le Aziende Agricole della zona mettono in fiera i loro prodotti, specialmente il vino. San Martino è una fiera che si tiene l’11 novembre e la sua festa è anche chiamata “dei Becchi” che significa “ de caproni” o “dei cornuti”. Infatti inizialmente questa fiera era il momento in cui i contadini della zona facevano la compravendita del nuovo bestiame; col tempo però la tradizione si è spostata verso il simbolismo del toro e cioè le corna, ad oggi durante la fiera sotto l’Arco Trionfale di Clemente XIV vengono appese delle corna di toro e si dice che, chi passandoci sotto le faccia oscillare, è un “cornuto”.

Contesto La storia del comune di Santarcangelo di Romagna parte dall’età romana, quando la cittadina rientra nella centuriazione di Ariminum ( Rimini); di questo periodo sono stati ritrovati numerosi reperti ( oggi conservati nel Museo di Storia e Archeologia a Palazzo Cenci) e soprattutto famose sono la fornaci. Dopo la fine dell’Impero Romano il territorio passò all’Esarcato ravennate fino alla metà dell’VIII secolo. Dopo le varie invasioni barbariche, la città passò sotto il dominio della Chiesa; infine dal XIII secolo fu dominata dai Conti Balacchi, poi spodestati dai Malatesta. Nel 1462 i Malatesta vennero spodestati dai Montefeltro. Infine nel 1860 fu annessa al Regno d’Italia.

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I luoghi di interesse di questo Paese sono parecchi e ben rappresentati nei vari siti internet; sicuramente però le cose più interessanti e più conosciute sono le Grotte, che essendo ben valorizzate dal Comune e dai singoli proprietari sono meta di molti turisti. Inoltre il Borgo, anche se ristrutturato, non ha perso la caratteristica tipica dell’impianto medievale e questo perché all’interno delle varie strutture, le Grotte sono visitabili perché annesse a locali adibiti a ristoranti, osterie, ecc..così da unire un interesse culturale a quello gastronomico tipico romagnolo. Il Campanone è un altro monumento tipico della città, costruito nel cuore del borgo nel 1893, è stato ripreso da molti artisti del luogo come scorcio simbolico nella rappresentazione del Paese. L’altro monumento principale è l’Arco eretto dai cittadini santarcangiolesi in onore del loro concittadino Lorenzo Ganganelli, diventato Papa Clemente XIV.

Analisi La mia ricerca si è basata, oltre che alle frequenti visite personali, sul sito della Pro Loco il quale spiega in dettaglio i vari eventi folkloristici nel corso dell’anno e i vari monumenti di interesse storico. Il sito del Comune invece è rivolto soprattutto ai servizi verso i cittadini stessi, non dando molto peso agli aspetti culturali del Paese. In base a questa ricerca il Comune di Santarcangelo di Romagna rientra nel III modello, cioè quello in cui il territorio moderno è astratto, mentre quello tradizionale è concreto e dove cioè la città antica è stata ripresa e riutilizzata in ambito moderno.

Conclusioni Rientrando nel III modello si nota bene, come il paese tenda a conservare il centro storico intatto e sempre più isolato dall’invasione della modernità, anche grazie a limitazioni di traffico e divieti di interventi edilizi non coerenti con il contesto. L’abitato moderno e i vari servizi, infatti, si stanno espandendo fuori da quella che era la città antica, perché all’interno del borgo gli abitati sono quasi scomparsi e al loro posto sono rimaste soltanto strutture di ritrovo e accoglienza turistica, come ad esempio ristoranti o osterie. Infatti la maggior parte delle nuove costruzioni nasce nelle frazioni limitrofe e lungo la via Emilia . Una particolarità di Santarcangelo di Romagna è che al contrario di molti altri paesi, negli ultimi anni si è ris-

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contrato un aumento demografico che privilegia i giovani, i quali preferiscono restare entro i confini comunali. Analizzando i vari siti in cui si parla di questa città , si nota bene che il Comune abbia voluto puntare ad un ritorno alla tradizione mescolato però a qualche carattere moderno. Se prendiamo infatti il sito della Pro Loco si nota come la Fiera di San Martino e quella del Patrono San Michele ( chiamata fiera degli uccelli) siamo sponsorizzate in tutta la Romagna, naturalmente senza mai dimenticare che in quelle occasioni si possono visitare quelle famose Grotte, che gli studiosi stanno ancora analizzando, per cercare di capire oltre al loro utilizzo, chi le ha create e perchÊ.

B I B L IOGRAFIA www.comune.santarcangelo.it www.wikipedia.org/santarcangelo_di_romagna www.iatsantarcangelo.com

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M O DELLI DI RAPPRESENTAZIONE DEI PAT R I MONI CULTURALI Laboratorio di Geografia culturale Rocio Mariel Serafini A.A. 2010/2011

Siracusa Ho deciso di parlare della città di Siracusa perché, essendo la città dove vivo da tempo, credo di conoscerla meglio. Il sito della città punta soprattutto all’aspetto, non solo artistico – storico, ma anche naturalistico e paesaggistico dato il suo recente inserimento nell’UNESCO. Con una storia che risale a l’VIII secolo a.C. la città ha visto il susseguirsi di diversi eventi, ma soprattutto culture e popoli che hanno contribuito in modo non indifferente alla creazione della sua identità. La città è in qualche modo Hiera del suo passato e della sua origine greca e te-­‐ stimonianza di ciò sono, non solo i diversi monumenti quali il Tempio di Apollo, ma soprattutto il ciclo di rappresentazioni clas-­‐ siche dove vengono mesi in scena sin dagli inizi del 900, le grandi tragedie greche nel Teatro Greco, unico nel suo genere. Siracusa punta molto anche sul paesaggio, con la creazione di un area marina protetta, il Plemmirio, o la riserva naturale di Vendicari. Come in quasi tutte le città italiane il modello di rappresenta-­‐ zione al quale si avvicina di più è il III in quanto si tratta di una città il cui territorio concreto è tradizionale mentre il suo terri-­‐ torio astratto è moderno o almeno cerca di esserlo, con ad esempio la realizzazione del nuovo porto turistico, la cui co-­‐ struzione è iniziata da un anno circa; oppure la sistemazione delle infrastrutture. Nonostante la pianiHicazione dei diversi progetti, non sempre vengono portati a termine e la deHinizione di città moderna, anche se in modo astratto, non sempre è adeguata.

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M O DELLI DI RAPPRESENTAZIONE DEI PAT R I MONI CULTURALI Laboratorio di Geografia culturale Nicholas Zavalloni

Ravenna: introspezione su popolazione e territorio A.A. 2010/2011

Presentazione esempio scelto L’esempio da me scelto prevede l’analisi nei termini indicati da questo laboratorio della città di Ravenna. La mia scelta ricade proprio su questa città in quanto qui sono nato e qui tutt’ora vivo. Descrivere la mia città è dunque più agevole per me, ma allo stesso tempo ciò mi consente di esplorare aspetti su cui prima mi ero raramente soffermato, mi riferisco a come il mio comune si presenta e si auto rappresenta.

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Come mostra l’immagine dello screen, che è la home page del sito del comune di Ravenna, è subito chiaro individuare su cosa punta la città e come essa vuole rappresentarsi. L’idea che ci si fa è appunto quella che questa città si rappresenti in maniera evidente rifacendosi alla sua tradizione storico-artistica, ed in particolare al periodo bizantino, fase storica di massimo splendore per la città, quando fu anche capitale imperiale. A questa deduzione si giunge osservando i mosaici presenti non appena si accede al sito comunale, alternati con fotografie di monumenti dello stesso periodo storico, quello bizantino. La città vuole dunque da subito mettere in mostra agli occhi del visitatore il proprio patrimonio culturale, puntando in maniera chiara su quel patrimonio che riguarda una determinata fase storica. A testimonianza delle immagini collocate in home page troviamo anche una brevissima descrizione che il comune fa di se stesso alla voce “Informazioni generali sulla città” dove così si rappresenta: “Ravenna, la Bizantina, ricca di mosaici è la città perfetta per vacanze e weekend pieni di cultura”. Il tutto a ribadire ancora una volta quanto questa città sia ancorata al suo passato bizantino, fatto di mosaici e di splendore, e puntando fortemente su questo aspetto vuole presentarsi ed auto rappresentarsi. Navigando nel sito internet non vi è traccia di informazioni relative la città in altri periodi storici, nonostante Ravenna abbia comunque avuto un ruolo, seppur meno rilevante di quello avuto nel periodo imperiale e bizantino, anche in fase romana, nel medioevo e nel rinascimento. Unica fase storica menzionata oltre a quella bizantina è quella relativa la liberazione dal fascismo. Si sottolinea appunto il fatto che Ravenna è Medaglia d’Oro al valore militare, e questo aspetto lo troviamo in home page. In una apposita sezione del sito viene descritto in maniera più o meno dettagliata la resistenza e conseguente liberazione di Ravenna, raggiunta il 4 dicembre del 1944. Ultimo importante aspetto su cui il comune punta, sempre analizzando la home page del sito internet, è la candidatura di Ravenna a capitale europea della cultura. Troviamo infatti in alto a sinistra nella pagina da me descritta questa informazione.

Contesto La città di Ravenna si trova in Emilia-Romagna, ha una popolazione di circa 158.000 abitanti concentrata in una superficie comunale di 654 Kmq con una densita di circa 240 persone per Kmq. L’altitudine è di 4m s.l.m., la distanza dal mare dal centro storico è di 8 Km. Ravenna è stata capitale tre volte: •

dell’Impero Romano d’Occidente (402 – 476)

del Regno degli Ostrogoti (493 – 553)

dell’Esarcato bizantino (568 – 751)

Ravenna è una delle pochissime città del mondo a vantare ben otto monumenti dichiarati patrimonio dell’umanità dall’Unesco.

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Le origini di Ravenna sono incerte in quanto mancano le testimonianze archeologiche necessarie per affermarne una data di fondazione, ma si è certi del fatto che i primi insediamenti nella zona furono opera di Tessali, Umbri ed Etruschi. Il territorio ravennate era in origine lagunare, e così sarà per secoli, fin dalla preistoria infatti il tratto della Val Padana in cui sorse Ravenna era caratterizzato da frequenti esondazioni di brevi fiumi che dall’Appennino scendevano fino al Mare Adriatico. Ciò portò alla formazione di ampie zone lagunari e, per tale motivo, il primo abitato cittadino consisteva in palafitte distribuite su una serie di piccole isole situate all’interno della Valle Padusa, valle che era l’insieme di tutte le zone lagunari dell’antico territorio ravennate. Caratteristica fondamentale di Ravenna per tutta l’antichità fu proprio quella di essere circondata dalle acque, e raggiungibile solo via mare. Tale peculiarità non passò inosservata ai Romani, che qui fondarono un importante porto militare, poi divenuto anche porto commerciale: il porto di Classe. Questa struttura era capace di contenere oltre 250 triremi e almeno 10000 marinai, così scriveva Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), scrittore romano. Ai tempi dell’impero romano la città crebbe dunque notevolmente d’importanza e il porto di Classe in breve tempo aveva rapporti commerciali aperti verso tutto il Mediterraneo. Nel 402 l’imperatore romano d’Occidente Onorio spostò da Milano a Ravenna la residenza imperiale per sfuggire alle pressioni di Alarico, re dei Visigoti. In questa fase la città visse un periodo di grande espansione urbanistica, con l’edificazione dei terreni presso la zona nord di Ravenna, all’epoca ancora soggetta ad un territorio lagunare e paludoso. Tuttavia, nello stesso periodo, l’interramento della laguna causato dagli apporti alluvionali dei fiumi, rese progressivamente inutilizzabile il porto di Classe. Nel 476 a Ravenna si giocarono le sorti dell’Impero romano d’Occidente: Odoacre, re degli Euli, depose l’ultimo imperatore, Romolo Augusto. Il regno di Odoacre ebbe tuttavia vita breve, gli Euli furono scalzati nel 493 da Teodorico, re dei Visigoti. Questo sovrano si distinse per una politica di distensione sia a livello culturale che a livello religioso. A Ravenna durante il suo regno vivevano pacificamente cittadini romani e cittadini goti, e data la numerosa comunità cristiani inevitabilmente presente in città, Teodorico fece costruire numerose chiese cattoliche, nonostante fosse di religione pagana. Teodorico morì nel 526, durante il suo regno diede lustro alla città, arricchendola di opere e cultura. Nel 527 diviene imperatore d’Oriente Giustiniano che si impone un piano politico secondo il quale era necessario riconquistare quegli antichi territori dell’Impero romano caduti sotto il controllo di popolazioni barbariche. Gran parte dell’Italia rientrò dunque ben presto sotto il controllo dell’Impero d’Oriente. Giustiniano fece dei territori d’Italia riconquistati un protettorato, e Ravenna ne sarà la sede. Verrà posto a controllo della città Massimiano, suo uomo di fiducia, che sarà il primo arcivescovo di Ravenna nella storia. Ravenna diviene dunque Esarcato dell’Impero d’Oriente. I territori esterni ai confine dell’Impero, ma sotto suo stretto controllo, costituivano appunto l’Esarcato. Nel 751 Ravenna cade in mano dei Longobardi, e nel 754 passa in mano al Papa per mezzo di un trattato stipulato dai Franchi. Il trattato però di fatto non fu mai operativo in quanto la Chiesa di Ravenna, forte della sua autocefalia, una sorta di indipendenza dal papato di Roma, conserverà i privilegi di cui godeva anche ai tempi dell’Esarcato ed anzi entrerà in forte scontro con i papi di Roma, appoggiando quasi in ogni occasione gli imperatori, dagli Svevi agli Ottoni. Ravenna costituiva di fatto un soggetto politico-religioso pressochè a sé stante.

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Nel Medioevo Ravenna ebbe un ordinamento comunale, dapprima ancora sotto il controllo degli arcivescovi locali, e successivamente sotto il controllo delle famiglie nobiliari ravennati, che ambivano alla Signoria. La prima di queste famiglie cronologicamente fu quella dei Traversari, che resse le sorti della città fino al 1275, seguita poi dai Da Polenta. Fu proprio in questo periodo che Dante Alighieri trovò ospitalità a Ravenna, e qui morì per la malaria contratta a Venezia dove si recò per portare un’ambasceria proprio per conto dei Da Polenta. La città passa sotto il controllo dello Stato Pontificio nel 1509 e questa condizione resterà tale per i successivi 350 anni. In questo periodo venne risolto il problema del progressivo innalzamento del letto dei fiumi Ronco e Bidente, che causarono numerose alluvioni. I due fiumi vennero deviati e fatti confluire nel canale dei Fiumi Uniti, a sud della città. Sul percorso seguito dal vecchio fiume Montone sarà costruita la darsena cittadina. Dopo una breve dominazione napoleonica la città torna in mano allo Stato Pontificio finchè, nel 1859 in seguito ad un plebiscito popolare, viene annessa al Regno di Sardegna, che nel 1861 diverrà Regno d’Italia. Ravenna fu insignita del titolo di Città decorata al Valor Militare per la Guerra di Liberazione, in quanto insignita della Medaglia d’Oro al Valor Militare per i sacrifici della sua popolazione durante il corso della Seconda guerra mondiale e per la sua forte attività nella lotta partigiana, capitanata da Arrigo Boldrini detto Bulow, che il 4 dicembre del 1944 entrò trionfante in città con la sua 28° Brigata Garibaldi, liberando Ravenna. Nel dopoguerra Ravenna ha vissuto di un fortissimo sviluppo industriale, grazie alla creazione di una raffineria di petrolio, di un impianto petrolchimico e allo sviluppo delle attività di estrazione del gas naturale del vicino entroterra. Nei primi anni ’50 a Ravenna viene aperta l’Anic, azienda operante nel settore petrolchimico, la quale porterà anche alla costruzione di un quartiere operaio composto da case popolari situato proprio nei pressi dello stabilimento, oltre che alla possibilità per la cittadinanza di usufruire di numerosi posti di lavoro. Il tutto fece si che la città di Ravenna abbia avuto una ripresa piuttosto rapida nel primo dopoguerra.

Analisi Alla luce di quanto emerso alla voce “contesto” di questa scheda di laboratorio, in cui si sono analizzati gli aspetti geografici e storici della città di Ravenna, si può affermare che l’esempio da me scelto rientra nel caso III (Tma/Ttc) del metodo semplificato della TDR elaborata da Claude Raffestin. A mio avviso la prova di quanto ho affermato è riscontrabile nelle parole utilizzate dallo stesso Raffestin quando dice che “non abbiamo davvero creato le città ne%e quali abitiamo, abbiamo ristrutturato le città antiche, le abbiamo proiettate fuori da%e loro mura, le abbiamo “ingrassate”, ma non le abbiamo costruite nel senso pieno del termine. Le abbiamo adattate e modernizzate.” Questa sua affermazione individua in pieno l’esempio della città di Ravenna, che è composta da due territorialità: una è quella astratta e che riguarda l’organizzazione sociale del territorio, la

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quale è segnata dalla modernità. L’altra, quella concreta, riguarda l’organizzazione spaziale del territorio, questa è invece segnata dalla tradizione. Riassumendo non siamo noi che oggi abitiamo Ravenna ad aver costruito la nostra città, noi non l’abbiamo fondata. Però, vivendola, gli abbiamo dato un ordinamento sempre diverso nel tempo in base alle fasi storiche che si sono susseguite, l’abbiamo ingrandita come dice Raffestin proiettandola fuori dalle mura, creando nuovi spazi, facendola progredire e cambiare nei secoli sempre al passo coi tempi. Ma quel nucleo storico che a Ravenna è presente permane, con parte delle antiche mura, con i suoi monumenti che ricordano vecchi fasti del passato. Ma anche con le sue strade, molte delle quali oggi seguono lo stesso percorso che seguivano secoli fa quando furono costruite, ma poi nel tempo sono chiaramente state rese moderne ed efficienti.

Conclusioni Per concludere si può dire che, specialmente nel caso di Ravenna, le città cambiano, si evolvono, si espandono, ma quel collegamento diretto con la tradizione e con il passato resta indissolubile. A Ravenna ciò non solo è riscontrabile in quanto, passeggiando per le vie del centro è visibile agli occhi di tutti, ma è anche ciò su cui punta fortemente il comune per autorappresentarsi. Nonostante questa scelta sia discutibile, in quanto come abbiamo osservato precedentemente si è deciso di puntare su una sola fase storica della storia di Ravenna, quella bizantina, si deve ammettere che è la scelta più efficace che la città potesse fare. Su cosa puntare se non il periodo in cui la tua città è stata capitale del più importante impero della storia antica? A questo va aggiunto anche il fatto che quel periodo storico è quello che in città ha lasciato maggiormente il segno anche dal punto di vista artistico, con le sue basiliche e soprattutto con i suoi mosaici. Dunque è anche il più semplice da rappresentare e da stereotipare. Aspetto che però delude abbastanza e che a mio avviso non era da trascurare è quello relativo gli spazi che la città offre ed i servizi. Per essere più chiaro: si fa pochissima pubblicità all’università di Ravenna, visitando il sito del comune questa pare quasi inesistente. Per un ragazzo che vive in questa città risulta anche difficile informarsi e scoprire quali facoltà e quali corsi siano presenti. Lo studente deve trovare informazioni da sé in quanto il comune non ha mai pubblicizzato questo aspetto. Ne tramite il sito internet e ne tanto meno tramite volantini, cartelli e quant’altro potesse servire per incrementare l’interesse attorno all’università. Le strutture stesse universitarie inoltre sono spesso piuttosto lontane e dislocate dalle fermate dei bus e anche dalla stazione, il che rende difficili le cose anche per chi è uno studente proveniente da fuori città. La vicina Forlì ad esempio, per non parlare della città di Cesena, hanno puntato decisamente su quest’aspetto un pò troppo trascurato dal nostro comune. D’altro canto bisogna però considerare che a livello storico, specialmente la città di Forlì, offre un patrimonio di gran lunga più scarno di quello offerto da Ravenna, ed è inevitabile la scelta di quel comune ricada sull’aspetto universitario.

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Passando all’aspetto che riguarda la popolazione noto un forte riscontro tra quest’ultima ed il suo territorio. Il ravennate è spesso etichettato come una persona piuttosto chiusa e piuttosto fredda, ripensando a quel lontanissimo passato della città, fatto di lagune, paludi, fiumi soggetti a frequenti esondazioni e palafitte, che facevano di Ravenna un luogo del tutto inospitale e difficilmente accessibile, viene facile pensare al perché il ravennate sia sempre stato piuttosto chiuso con chi viene da fuori. Nonostante ciò possa sembrare buffo, a distanza di numerosi secoli si possono trovare riscontri tra il ravennate di quell’epoca e quello dei giorni d’oggi. Lo storico Agnello Ravennate, vissuto nel IX secolo, racconta come in epoca antica i ravennati avessero la strana abitudine di scontrarsi a pietrate tra abitanti di diversi quartieri, lasciando sul campo morti e feriti. Secondo quanto sostiene Dario Fo nel suo libro “La vera storia di Ravenna”, questo conflitto sanguinoso sarebbe determinato proprio dall’assetto fisico-geologico della città: Ravenna era di fatti un insieme di piccole isole, a suo avviso questa situazione generava una psicosi da difesi ed ingabbiati allo stesso tempo. Prosegue sostenendo che, come tutti sappiamo, le paludi che circondavano Ravenna sono state prosciugate col tempo, i fiumi che l’attraversavano si sono interrati ed il mare si è allontanato, ponendo Ravenna nell’odierno contesto di una città di terra ferma. L’antica aggressività dei ravennati è scomparsa, facendo subentrare però al suo posto l’indifferenza, unita ad un notevole distacco verso le cose sia della comunità, che della propria storia. Quest’ultimo quadro dipinge alla perfezione l’impressione che hanno i forestieri del cittadino ravennate. E devo ammettere che è anche l’impressione che mi sono fatto io stesso della comunità con la quale convivo ogni giorno. Ravenna inoltre è situata al di fuori della via Emilia, che collega tutte le principali città dell’Emilia-Romagna da Rimini a Piacenza, e probabilmente anche questo, nei secoli a venire, ha fatto di Ravenna una delle città più isolate della regione, nonostante comunque avesse commerci fiorenti specialmente via mare. Concludo ribadendo ciò che poco sopra ho sostenuto, ossia che Ravenna è una città che ha molto da offrire, specialmente per ciò che riguarda l’ambito artistico-culturale, ciò è testimoniato dal fatto che ben otto monumenti cittadini siano ritenuti Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Troppo spesso però un’amministrazione discutibile, unita ad uno scarso interesse di tutta la cittadinanza, ha fatto sì che questa città appaia in ombra.

Concludo infine con una poesia, in cui Gabriele D’Annunzio celebrò Ravenna nel 1903 con la raccolta Elettra nelle città del silenzio. Ravenna, glauca notte rutilante d’oro, sepolcro di violenti custodito da terribili sguardi, cupa carena grave d’un incarco imperiale, ferrea, construtta di quel ferro onde il Fato è invincibile, spinta dal nau+agio ai confini del mondo,

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sopra la riva estrema! Ti loderò pel funebre tesoro ove ogni orgoglio lascia un diadema. Ti loderò pel mistico presagio che è ne%a tua selva quando trema, che è ne%a selva,ia febbre in che tu ardi. O prisca, un altro eroe renderà l’arco dal tuo deserto verso l’infinito. O testimone, un altro eroe farà di tutta la tua sapienza il suo poema. Ascolterà nel tuo profondo sepolcro il Mare, cui ’l Tempo rapì quel lito che da lui t’a%ontana; ascolterà il grido de%o sparviere, e il rombo de%a proce%a, ed ogni disperato gemito de%a selva. «È tardi! È tardi!» Solo si partirà dal tuo sepolcro per vincer solo il furibondo Mare e il ferreo Fato.

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B I B L IOGRAFIA BENDAZZI Wladimiro, RICCI Riccardo, “Ravenna: mosaici, arte, storia, archeologia, monumenti e musei”. Ravenna: Edizioni Sirri, 1992 FO, Dario, “La vera storia di Ravenna”. Ravenna: Franco Cosimo Panini Editore, 1999. RAFFESTIN,

Claude, Remarques sur les notions d'espace, de territoire et de territorialité, «Espaces et sociétés», 1982, no. 41, pp. 167-171. RAFFESTIN,

Claude, La territorialité : miroir des discordances

entre tradition et modernité, «Revue de l'Institut de Sociologie», 1984, no. 3-4, pp. 437-447.


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