Corto - Sulle rotte del disincanto prattiano

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Tre parole per cominciare Credo che i fumetti siano una cosa diversa: diversa dalla letteratura, dall’arte plastica, dal cinema. Il fumetto è stato una cosa diversa fin dalla sua nascita. Hugo Pratt

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1. Una delle cose più divertenti della geometria euclidea è la sua apparente contraddizione. Se consideriamo le figure geometriche nelle loro proprietà metriche, dobbiamo per forza rappresentarle attraverso il disegno. Funzione che, in quanto riduzione grafica di oggetti fisici collocati nello spazio, è strettamente legata a una condizione di staticità. Rappresentiamo quindi gli oggetti della geometria come figure immobili nel piano. Eppure, in quelle stesse figure è implicita l’idea di movimento. Sarebbe infatti impossibile dimostrare i quattro criteri di congruenza dei triangoli senza far muovere uno dei due triangoli verso l’altro. Euclide si serve continuamente del movimento. E il movimento porta necessariamente con sé il concetto di tempo. Senza il concetto di tempo


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non ci è possibile rappresentare il movimento. Grazie a René Descartes, che in un’appendice al suo Discours de la méthode, intitolata proprio La geometria, introdusse il sistema delle coordinate, possiamo visualizzare questo movimento mettendo sulle ascisse del piano cartesiano il tempo e sulle ordinate lo spostamento. Dalle mappe geografiche ai grafici delle fluttuazioni del mercato azionario, tutte le rappresentazioni del movimento nello spazio tridimensionale sono possibili sul piano bidimensionale grazie a un’idea semplice e geniale come quella avuta da Descartes. I personaggi dei fumetti non sono che figure geometriche le cui ‘relazioni spaziali’ con altre figure geometriche sono rappresentate nel sistema di riferimento cartesiano costituito dalla tavola. Un sistema cartesiano è un sistema matematico formato da n rette ortogonali; n corrisponde al numero di misure necessarie a rappresentare il modello di realtà preso a riferimento. Il fumetto è una cosa incredibile. Può prendere a riferimento anche realtà che non esistono (in verità non solo lui). Certo, la geometria euclidea è una descrizione astratta del mondo reale. Eppure, nel bellissimo Flatlandia di Abbott diventa la descrizione di un mondo impossibile.


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Nel suo saggio sui limiti dell’interpretazione, Umberto Eco sostiene, nel capitolo dedicato ai requisiti necessari per costruire mondi narrativi, che si debba prima di tutto distinguere tra mondi possibili, mondi impossibili, mondi concepibili e mondi inconcepibili. Non è detto che tutti i mondi possibili siano anche concepibili e che tutti i mondi concepibili siano necessariamente possibili. Quella che ci interessa è la categoria dei mondi inconcepibili, che a livello visivo si concretizzano, ad esempio, nelle incisioni di Escher. A un’occhiata superficiale, un qualsiasi oggetto fisico rappresentato da Escher ci sembra possibile, ma quando lo osserviamo attentamente ci rendiamo conto che

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Quando leggiamo un fumetto facciamo un esercizio di interpretazione di tutte queste n misure impossibili. In una storia a fumetti non ha particolare rilevanza chi fa cosa e dove la fa, ma quando la fa. Il momento in cui avviene l’azione in un fumetto è l’azione stessa, e questo segna il discrimine. Interpretarlo ci costa fatica. Ma è il destino del lettore di fumetti, quello di fare la parte più dura del lavoro. A questo punto è chiaro, spero, che il fumetto non è arte sequenziale (buttiamola in discarica una volta per tutte, questa definizione!) quanto piuttosto potenzialità isomerica.


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è impossibile: il mondo in cui un oggetto simile può esistere è al di là della nostra capacità di comprensione. Eppure esiste un mondo dove l’inconcepibile costruisce continuamente le coordinate della propria possibilità, ed è il fumetto. Questo perché, mentre nei linguaggi verbali non possiamo prescindere dalla linearità temporale (anche solo la sequenza di lettere che forma la parola), nel fumetto i segni sono mostrati spazialmente e temporalmente tutti insieme: una vignetta, una tavola addirittura cade sotto il nostro sguardo complessivamente nello stesso momento. Il fumetto è forse l’unico sistema di segni non governato dalla reversibilità. Se nel sistema verbale acqua sta per H2O e H2O sta per acqua, seppur con valenze interpretative diverse, nel sistema iconico del fumetto il segno Corto Maltese sta solo e univocamente per Corto Maltese. Possiamo azzardarci a dire, contraddicendo Korzybski, che il fumetto è l’unico sistema narrativo in cui la mappa è il territorio. 2. La forma privilegiata dagli artisti neoclassici per esprimere la loro idea di bellezza è stata, senza alcun dubbio, il nudo. Quando, nel 1762, Anton


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Raphael Mengs pubblica a Zurigo il suo trattato, che in tedesco suona più o meno come Riflessioni sulla bellezza e sul gusto nella pittura, ha in mente il preciso progetto di superare una volta per sempre il Barocco e di buttare nella spazzatura la tradizione pittorica Rococò. Non c’è da dargli torto. Infatti, la sua equazione nudo = bello = buono trovò perfetta applicazione nelle opere di artisti come Canova e Ingres. Basti pensare, su tutte, alla scultura di Canova Napoleone Bonaparte come Marte pacificatore, che si può andare a vedere nel cortile interno di Brera, nella quale la nudità dell’imperatore assume il valore di categoria morale. Anche Jean-Auguste-Dominique Ingres disegnava e dipingeva il nudo maschile con la stessa maestria di Canova, ma ne era profondamente annoiato. Per sua personale inclinazione preferiva ritrarre giovani ragazze di strada, ovviamente nude – per questo adorava e dragava tutta Roma, e ne aveva fatto una scuola di pensiero unendo all’equazione di Mengs la teoria di Winckelmann, secondo il quale, se il nudo maschile aveva un forte carattere etico, solo attraverso quello femminile si poteva aspirare alla vera bellezza. Ingres fu tra i più influenti esponenti della scuola neoclassica e fu grazie alla sua autorevolezza che le donne sostituirono presto gli uomini come


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modelle per la posa e gli studi di anatomia nelle scuole di Belle Arti. Dice Jack London, mentre conversa con un collega giornalista sotto il fuoco dell’artiglieria russa sul finire della guerra russo-giapponese in Manciuria nel settembre 1905 (lo racconta Hugo Pratt in Corto Maltese, La Giovinezza), che la madre di Corto Maltese, splendida prostituta andalusa, fu la modella prediletta di Ingres, nonché musa ispiratrice del suo ideale di bellezza. Il problema è che quando Corto Maltese nasce, intorno al 10 luglio del 1887, Ingres è già morto da vent’anni. Per essere stata, anche giovanissima, metti pure bambina, modella e ispiratrice dei dipinti di Ingres in cui più forte ci si presenta la sua idea di bellezza (penso alla Sorgente o alla Grande Odalisca), la Niña di Gibraltar, quando dà alla luce Corto, dovrebbe allora avere tra i sessanta e gli ottantacinque anni. Abbastanza improbabile. Ma non impossibile. Riflettiamoci un attimo. Quando Corto torna a Cordoba a trovare sua madre (succede in una bellissima sequenza di acquerelli pubblicati sull’ultimo numero della rivista CortoMaltese nel 1993), presumibilmente quando si trova in Andalusia, a Tarifa, poco prima dell’avventura di Mu, lui ha circa trentotto anni ma sua madre appare


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(e apparire nei disegni significa essere) persino più giovane. In fondo se, come abbiamo cercato di dimostrare prima, il fumetto non è rigore sequenziale ma disordine probabilistico, non è assolutamente detto che nel suo sistema di riferimento sia il passato a determinare il futuro; può benissimo essere il contrario. In un libro che tutti dovrebbero aver letto (Fisica e probabilità), Ludwig Boltzmann, uno tra i più grandi fisici teorici vissuti nel XIX secolo, sostiene che gli esseri coscienti possono esistere da entrambe le parti di un ADESSO e che tutti possono ritenere quell’adesso appartenente al loro passato. Per Boltzmann il tempo è una linea, solo che a differenza di quella newtoniana non ha direzione. La direzione del tempo è dettata dal racconto che ne facciamo. Il fumetto potrebbe quindi essere un complesso sistema cartesiano di n ‘adesso’ organizzati arbitrariamente dall’autore/lettore. Il racconto del personaggio London dà la direzione trasformando l’adesso in cui racconta nel passato di quando la Niña di Gibraltar fa la modella per la Grande Odalisca di Ingres. Nel 2012 è uscito uno dei libri a fumetti più belli degli ultimi anni: La Grande Odalisque di Vivès, Ruppert e Mulot. Le anime semplici lo hanno interpretato come un omaggio alla serie


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manga Cat’s Eye di Ho jo Tsukasa. Vero, certo. In realtà è il primo capitolo (il secondo è uscito in Francia nel 2015: Olympia) di una lunga riflessione senza eguali sulla natura del fumetto. Non sto qui a raccontare come sia anche una rilettura di tutta la saga prattiana; vedremo invece nei prossimi capitoli come, tra le altre cose, in Pratt spesso il futuro determini il passato. Il quadro che le protagoniste del fumetto di Vivès, Ruppert e Mulot rubano all’inizio della storia, l’unico – in realtà – che rubano, è il Déjeuner sur l’herbe di Édouard Manet: il momento in cui di tutte le giustificazioni etiche neoclassiche viene fatta giustizia e alla nudità femminile restituito il suo ambiguo valore erotizzante. Determinato dal furto del futuro, il passato (La Grande Odalisca) non è più possibile e sarà presente solo in assenza; assenza che caratterizza tutto il volume, spingendo sul tasto dell’improbabilità fino al doloroso finale. Quella stessa improbabilità possibile però, per cui la madre di Corto Maltese sarebbe proprio La Grande Odalisca. Possiamo ora quindi stabilire un primo punto fermo: anche quando una storia a fumetti è raccontata concatenando i suoi eventi in progressione lineare, non c’è nessun vincolo ineluttabile tra


quegli eventi. Come abbiamo visto, i segni e i fatti che la raccontano sono irreversibili, ma non c’è nulla di inevitabile nelle storie, né di temporalmente determinato. Parafrasando Godard: ogni storia a fumetti non ha un inizio, non ha un centro e non ha una fine, non necessariamente in quest’ordine. Ogni fumetto è un periplo.

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3. Periplo. Alla lettera, per come l’ho usato sopra, significa circumnavigazione. Ma periplo è parola che risale alla più antica terminologia scientifica greca e serviva ad indicare un preciso genere letterario: quello delle descrizioni nautiche e geografiche di tutti i porti di un determinato mare. Gli antichi peripli specificavano distanze e accessibilità dei vari porti, dando notizie dettagliate sulle loro città, sugli abitanti e su tutto ciò che poteva servire di orientamento al navigatore. Il periplo è una guida scientifica e non ha nulla di magico, di mistico, di incantato, di romantico. Non so quante volte ho sentito definire l’opera di Pratt incantata, fantastica. Aggettivi che generano uno stridente fraintendimento che purtroppo contribuisce ad alimentare quell’infondata aura


di romanticismo deteriore che alcune letture critiche superficiali attribuiscono ai personaggi prattiani, in particolar modo a Corto Maltese, fino al punto di arrivare ad arruolarlo in schieramenti ideologici quanto meno discutibili. C’è tanto di immaginario, di ideale e di irrazionale, nell’opera di Pratt, ma non c’è nulla di romantico. Basterebbe leggerli, per rendersi conto che non è l’incantamento la ragione d’essere dei suoi fumetti, quanto piuttosto quel discrimine di cui dicevo poco sopra: l’azione.

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Nel 1974 il biologo libertario Henri Laborit pubblica un libro importante, La nouvelle grille, con il quale divulga al grande pubblico le sue teorie socio-biologiche e di cui purtroppo non c’è edizione italiana, al quale farà seguire due anni dopo un più agile pamphlet che avrà duratura fortuna, L’elogio della fuga, che invece si può leggere in italiano, continuamente ristampato da più di vent’anni. Sostiene Laborit che l’unica ragione d’essere di tutte le strutture viventi è ESSERE. Nel senso di vivere. Per farlo ogni struttura adopera un solo mezzo: il programma genetico della propria specie. Nell’uomo questo programma dipende dal sistema nervoso e risponde primariamente a quelle necessità che permettono il mantenimento della struttura stessa: le pulsioni,


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quelle complesse funzioni che ci permettono di agire. L’azione è talmente essenziale al mantenimento in vita degli esseri viventi che quando sono costretti all’inattività ne soffrono fino, addirittura, a morirne. L’uomo però ha un vantaggio sugli altri esseri viventi; può rifugiarsi nell’immaginazione (come capita a Darrell Standing, protagonista del Vagabondo delle stelle, romanzo di Jack London del 1915, che, per fuggire alla prigionia, vive con l’immaginazione tutta una serie di altre vite; ed è noto quanto London abbia influenzato Pratt). L’immaginazione è un meccanismo perfetto, specificamente umano, che permette, attraverso il moto di deriva della narrazione, di giungere ai limiti estremi di rottura della realtà senza muoversi dal proprio divano. E questo è quanto traspare da ogni fumetto di Pratt; persino quando i suoi protagonisti, Corto Maltese su tutti ma anche Koinsky o Jesuit Joe, sembrano sospesi nei tempi morti delle attese e delle convalescenze, la retorica narrativa prattiana non ci permette mai di dimenticare che quel momento di pausa è possibile solo grazie alla sua causa prima: l’avventura. Accanto al pensiero c’è sempre l’azione. Ora. Nel momento in cui, per giungere ai confini critici della realtà sociale che ci va stretta


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(cioè per vivere pienamente e in libertà il principio di piacere che di tutte le pulsioni è quella predominante), è necessario fuggire nell’immaginazione, si può decidere di essere creatore o consumatore di quelle storie utili a tale viaggio. Pratt era soprattutto creatore d’immaginario. Ma essendone anche consumatore coltissimo (si racconta che nel suo studio nella casa di Malamocco custodisse più di 35.000 volumi), racchiudeva in sé perfettamente i due livelli che, sempre secondo Laborit, assume l’individuo quando fugge nell’immaginazione. Il primo, quello dell’astrazione creativa, quindi della fuga in un appagante mondo immaginario; il secondo, quello concreto che nasce dalla fruizione mediata – critica – dell’opera prodotta dall’immaginazione e che comporta il ritorno in quella realtà sociale da cui vorremmo andarcene o che vorremmo cambiare. Nell’arcipelago di questa cultura, nel suo ruolo sociale, tra tutti gli ammennicoli e cianfrusaglie (sovrastrutture, si diceva una volta) che la caratterizzano, quali filosofie, ideologie, religioni, scienze ed esoterismi, Pratt si muove con il suo sguardo DISINCANTATO. 4. Ad ogni modo, un periplo è comunque e soprattutto un viaggio. Ogni viaggio dipende sempre


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da una scelta. Odisseo la dichiara con le prime parole che Omero gli fa pronunciare (circa a metà del V canto): «Ma anche così io voglio e sospiro un giorno dopo l’altro di tornare in patria, e di vedere il giorno del ritorno». Non è una scelta facile. Odisseo è ‘prigioniero’ della bellissima Calipso che lo trattiene sull’isola di Ogigia (forse, guarda caso, l’isola di Gozo nell’arcipelago maltese), dispensandogli piaceri e immortalità. Ma decide di partire lo stesso. Non è l’amore per Penelope a spingerlo, ma la nostalgia di casa. Nostalgia che è la sua stessa ragione di vita. Dopo un cammino tormentato, Odisseo torna a Itaca. Qui non può più provare quel sentimento di nostalgia, e senza di esso Odisseo è perduto, non esiste più. A Itaca Odisseo scopre di essere tornato solo per poter ripartire; solo desiderando il ritorno Odisseo realizza la propria natura. Non si può negare che questo comportamento sia caratterizzato da una profonda ambiguità psicologica che ha influenzato prepotentemente l’immaginario di tutti i narratori venuti dopo. Da un’ambiguità simile è caratterizzato Corto Maltese. Anche lui come Odisseo fugge da Calipso (nell’episodio intitolato Per colpa di un gabbiano, ma lo vedremo distesamente più


avanti) perché anche lui ha la sua Penelope (che si chiama Pandora Groovesnore – l’abuso di riferimenti mitologici non è casuale) ma non è per dare tregua alla nostalgia di lei che vaga di avventura in avventura. Come vedremo, è proprio la specifica natura del fumetto come sistema narrativo a impedire cedimenti nostalgici.

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Il discorso letterario-genealogico sul topos narrativo del viaggiatore fa risalire la sua origine a tempi biblici, al conflitto tra Caino e Abele. L’uno contadino, dalla cui stanzialità derivano i concetti di città, legge e sovranità nazionale; l’altro pastore, nomade e cosmopolita, indifferente ai confini e alla proprietà. La cosa paradossale è che nel racconto biblico è il contadino che uccide il pastore ed è il contadino che viene condannato all’erranza perenne per espiare. Ogni viaggiatore è della razza di Caino. Come Caino, come Odisseo, ogni viaggiatore desidera il ritorno alla propria terra, ma non può fare altro che andarne in cerca per tutta la vita. Altro dettaglio non casuale è che il cugino di Pandora Groovesnore si chiami Cain. Per sempre viaggiatore, quindi straniero – come fa notare Cristante nel suo bel saggio Corto Maltese e la poetica dello straniero.


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Il concetto di straniero contiene in sé, nelle lingue indoeuropee, il repertorio di tutte le varianti semantiche dell’alterità: l’estraneo, il migrante, il nemico, il diverso. Per Aristotele (nella Politica) lo straniero, cioè colui che vive fuori dalla comunità statale per natura e non per un caso, o è un essere abietto o è un essere superiore che può esistere privo di patria, di leggi, di casa. L’analisi puntuale di Cristante evidenzia come l’evoluzione della poetica dei personaggi prattiani sia partita da un’alterità più vicina alla prima opzione aristotelica (in Jungleman El Muerto è un criminale; Sgt. Kirk è un disertore; il Girty di Wheeling un rinnegato; Zane di Anna nella giungla una specie di emigrato) con i personaggi caratterizzati dall’esclusione dalla comunità di appartenenza, per giungere all’alterità utopica di Corto Maltese. Personaggio che, per scelta, non appartiene a nessuna comunità. E addirittura, pur provando nostalgia, non desidera nessun ritorno. Ecco. Fin dal suo primo apparire Corto Maltese si colloca in questa linea di ambiguità nomadica, caricata però di un’eccezionalità prometeica a sua volta così assolutamente ambigua da sconfinare in una normalità epimeteica. E sul mito di Prometeo e di Epimeteo ci torniamo per forza, appena cominciamo a parlare della Ballata del


mare salato. La messa in crisi del discorso mitologico in Pratt è fondativa di tutta la sua opera. 5. Mais les vrais voyageurs sont ceux-là seuls qui partent Pour partir; coeurs légers, semblables aux ballons, De leur fatalité jamais ils ne s’écartent, Et, sans savoir pourquoi, disent toujours: Allons! Charles Baudelaire, Le voyage

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Bene. Ora abbiamo tre parole chiave con cui iniziare questo viaggio critico attorno a Corto Maltese, uno dei personaggi più popolari del fumetto d’autore: ADESSO, DISINCANTO e AMBIGUITÀ. Segniamocele, ché sono il bagaglio più importante che abbiamo, e andiamo.


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