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La scienza nell’evoluzione della cucina contemporanea
from MADIA_luglio2023
Un dialogo con il professor Davide Cassi
Davide Cassi è professore di Fisica della Materia presso l’Università di Parma, dove ha fondato e dirige il Laboratorio di Fisica Gastronomica e lo spin-off Future Cooking Lab È stato il primo presidente del primo Corso di Laurea in Scienze Gastronomiche dell’Università italiana.
Da oltre 30 anni studia la cucina e la gastronomia da un punto di vista scientifico e collabora con i migliori chef e pasticceri del mondo, mettendo a punto nuovi prodotti e nuove tecniche di cucina basate sulla ricerca scientifica.
Nel 2002, insieme allo chef Ettore Bocchia, ha introdotto l’idea di cucina molecolare, definita nel libro Il gelato estemporaneo ed altre invenzioni gastronomiche (2005), primo manuale sul tema a livello mondiale (tradotto in spagnolo con il titolo “La ciencia en los fogones”), in cui viene presentato il Manifesto della cucina molecolare italiana.
Per la sua attività di ricerca su scienza e gastronomia gli sono stati conferiti il Premio Internazionale Caterina de’ Medici, il Premio Tarlati e il Grand Prix de la Science de l’Alimentation de l’Académie Internationale de la Gastronomie.
Oggi, oltre ad essere il responsabile del Future Cooking Lab e insegnare all’Università di Parma, tiene lezioni all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e un corso all’Università di Barcellona.
Abbiamo avuto il piacere di conversare con lui sul palco di Testo… e pretesto, l’evento culturale del comune di Fidenza di cui questa rivista è stata partner. Ma cominciamo con un incipit che lo rappresenta: “La vera rivoluzione non consiste nell’osservare la cucina dal punto scientifico, ma nel vedere la scienza dal punto di vista gastronomico”.
Cosa intende con questa frase?
“Questa frase è di molti anni fa, quando scrissi il mio primo libro. Fino ad allora si parlava di scienza in cucina ma solo per spiegare la scienza agli studenti, con numerosi esempi che arrivano dalla cucina. È una prassi abituale ancora oggi ma la logica che pratichiamo noi è diversa; quando mi trovo davanti ai fornelli per costruire un piatto devo avere in mente dove voglio arrivare e cosa devo ottenere, quindi si parte da questo per vedere come la scienza mi può aiutare. Si tratta di un pensiero completamente diverso, dove metto in campo processi e conoscenze diverse. Da lì è nato un nuovo modello di divulgazione che ha trovato in Spagna i primi sostenitori. Faccio un esempio: voi prendete un libro di chimica degli alimenti e trovate i capitoli suddivisi in acqua, vitamine, proteine, grassi, carboidrati, in pratica le tabelle che trovate nelle etichette. Sapere, ad esempio, quanti carboidrati ci sono in un ingrediente è difficilissimo perché la loro composizione è molto complessa. Invece mi serve sapere qual è la loro funzione quando io creo una ricetta. Cambia tutto leggendo le cose in questo modo, nel vedere la scienza dal punto di vista gastronomico”.
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La tecnica in cucina è sempre servita solo a risparmiare lavoro al cuoco ma adesso, almeno da quello che ho visto nel vostro Laboratorio all’università, ha molte più funzioni, mi può fare qualche esempio di quello su cui state sperimentando?
“Indubbiamente la tecnica ha avuto e ha tuttora questa funzione di far risparmiare tempo al cuoco. In questa settimana, ad esempio, ho dovuto ordinare un setaccio meccanico dove butti le polveri e, in pochissimo tempo, vengono tutte setacciate. Immagina quante ore risparmiate di un lavoro meccanico e privo di soddisfazione. La tecnica però ha un secondo approdo molto importante che è quello di fare le cose meglio. Se io tempero un cioccolato a mano non otterrò mai il risultato perfetto di una temperatrice. Ci sono decine di esempi che si possono fare. Per esempio la mostarda artigianale non sarà mai buona come quella fatta con la tecnologia che equilibra la densità dello sciroppo, il grado zuccherino. O ancora la macinatura del caffè; se voi macinate i chicchi con un macinino di casa vi viene fuori una quantità di polveri di dimensioni diverse che restano poi sul fondo della tazzina, se invece lo macinate con un macinino professionale riuscite a regolare al micron queste polveri e su un chilo di caffè mi lasciano soltanto 450 milligrammi di polvere fine. La scoperta più importante degli ultimi anni è stato il sifone, in Germania ha risolto il problema di mettere la panna montata dappertutto, nel caffè, nella Sacher-torte. Non si poteva montare la panna se non con difficoltà notevoli, con il sifone si monta in un minuto e si può conservare dentro al sifone in frigo agevolando così il lavoro dei baristi. Inoltre la panna non è montata dentro al sifone, lo diventa nel momento in cui lo azioniamo. Fantastico non trovi? Quanto risparmio di tempo, di stress e di denaro. Ma è quando Ferran Adrià ha scoperto l’uso del sifone in cucina che ha cambiato la vita a quell’oggetto e alla cucina stessa. Nel 1994 inventa la minestra di verdure in texturas, una sorta di minestrone destrutturato dove, giunto alla barbabietola, si chiese come poteva trattarla. Prova a metterla nel sifone e ne esce una cosa impresentabile. Riprova aggiungendo un po’ di colla di pesce e da lì comincia la rivoluzione della cucina contemporanea”.
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Nel vostro laboratorio cosa fate esattamente?
“Prendiamo macchine tecnologiche pensate per fare solo determinate cose e le usiamo per fare tutt’altro. Un altro esempio, spruzzare il limone sulla sogliola, un gesto che facciamo tutti ed è bruttissimo perché dove cade brucia la bocca. Se invece prendete limone, acqua, lecitina di soia e le mettete in un mini-pimer avrete un’aria di limone da mettere sul pesce ottenendo un effetto delicatissimo. Se però devo farlo per cento persone impazzisco, allora cosa abbiamo fatto? Prendo un acquario, collego la pompa dello stesso e ho fatto cento litri di aria in due minuti”.
Andiamo avanti: quando iniziate una ricerca, una sperimentazione, che sensazione si prova e dopo quanto tempo si ottiene il risultato, positivo o negativo che sia?
“Ci sono delle volte che hai una botta di fortuna, ti viene per caso quel risultato. Altre volte puoi andare avanti per anni. Poi ci vuole un’altra attitudine, oltre alla curiosità iniziale, che purtroppo adesso non si trova quasi più: la capacità di osservare. Tornando a ciò che facciamo in laboratorio, attualmente stiamo sperimentando un’essenza di caffè, una crema concentratissima di caffè amaro che si sta rivelando adattissima come abbinamento con i formaggi. Inizialmente con il torrefattore pensavamo a tutt’altro: a una crema di caffè dal sapore di Nutella. Questo per spiegare come la sperimentazione percorra strade sconosciute fin dall’inizio. Il ruolo della scienza è "guarda che si può fare questo per creare un piatto", ad esempio, e non il contrario: cioè il cuoco che ha un’idea e lo scienziato la realizza. Così non può funzionare”.
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Parliamo di salute: nell’immaginario esiste un pensiero, abbastanza radicato, che la ricerca, insieme alla chimica o alla fisica, applicata agli alimenti non sia poi così salutare. Come si fa a sgombrare il campo da questo equivoco?
“È in effetti un equivoco e si dovrebbe comunicare di più ciò che stiamo facendo. Con lo chef Ettore Bocchia, vent’anni fa, per fare un esempio, abbiamo fatte le prime salse alla lecitina di soia senza uova ottenendo le prime maionesi senza colesterolo. In questo momento stiamo notando una transizione fortissima verso il vegetale, al punto che un’azienda come Barry Callebaut sta producendo un cioccolato vegano, dove al posto del latte come copertura ha messo del vegetale. E noi dobbiamo essere sempre attenti al nuovo. Spostarsi sul vegetale implica ricerca e tecnologia molto complicate. Noi siamo riusciti a realizzare i biscotti vegani, senza burro e senza uova ma non è stato facile. Altro tema, legato in parte alla salute e molto di più alla sostenibilità. Stiamo sperimentando tecniche innovative legate alla sostenibilità nell’ittico. Ci sono aziende che, anche grazie ai nostri primi esperimenti, hanno messo in commercio il pesce già cotto per la ristorazione. Cuocere il pesce in acqua significa consumare un sacco di calore, buttando via l’acqua calda utilizzata si spreca moltissima energia. Tutti i rimasugli di pesce sono poi immondizia. Abbiamo provato cotture in bassa temperatura e i risultati sono eccellenti, non si spreca più nulla. Viviamo in un momento storico dove trasferire conoscenza diventa essenziale”.
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