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Piero Misuri, un cameriere come si deve
Lo abbiamo scoperto in una trattoria di campagna a fare e a dire le cose giuste
Si dice che un bravo giornalista deve avere un acuto spirito di osservazione. Non so se è vero e non so se riguardi me, ma la sera in cui ero a cena in una splendida trattoria di campagna l’occhio si è posto sul gesto di un giovanissimo cameriere che, in un raro momento di pausa, si è fermato per accarezzare le braccia della proprietaria che poteva essere sua nonna.
Quel gesto, unito alla sincerità con cui si era presentato al nostro tavolo, con buoni consigli al posto del menu, mi hanno fatto venir voglia di approfondirne la conoscenza e ne è scaturita questa semplice ma intensa intervista da condividere.
La trattoria si chiama Le Proposte e l’hanno aperta in un minuscolo paese di poche decine di abitanti, Corano di Borgonovo Val Tidone (PC), vent’anni fa Danila Ratti, una sopraffina cuoca di casa e suo marito Luigi. Doveva essere la loro casa quando sarebbero andati in pensione, è diventata una delle migliori trattorie dell’Emilia-Romagna. Ora ci sono la figlia Manuela, il genero Marco, un giovane cuoco che si chiama Riccardo, Luigi è sempre in sala e Danila inizia presto al mattino per fare tutte le preparazioni e poi le piace stare in mezzo agli ospiti a chiacchierare. Esattamente come deve essere una buona
Ma veniamo a Piero Misuri, il ragazzo dell’intervista: quanti anni hai e quali studi hai fatto?
“Ho ventidue anni, mi sono diplomato al Liceo Scientifico, poi mi sono iscritto all’università. Per pagarmi gli studi ho fatto quello che fanno quasi tutti i ragazzi della mia età, da che mondo è mondo. Ho cominciato a fare il cameriere nei fine settimana in un agriturismo della zona, poi il mio amico Riccardo, che fa il cuoco qui a Le Proposte, mi ha detto che cercavano personale. Sono arrivato due anni fa e non me ne vorrei più andare. Qui ho scoperto la bellezza di questo mestiere, mi sono iscritto ai corsi AIS, sto capendo il vino in tutte le sue sfumature di piacere, mi piace stare in mezzo alle persone ma soprattutto vederle trascorrere ore liete anche con il mio piccolo contributo. A tal punto che ho smesso di frequentare l’università per fare bene questo lavoro”.
Un esempio contrario al sentire comune che vede i giovani allontanarsi dai mestieri della ristorazione: cos’è che ti ha fatto propendere per questa scelta e, secondo te, cosa serve per arrestare l’abbandono di questa professione?
“Non lo so cosa serve, di certo so cosa piace a me. E forse queste condizioni di lavoro che ho trovato potrebbero essere da esempio per molti altri ristoratori. Qui ho trovato una famiglia, vera! Si condivide tutto, i successi, le sere storte, i pasti, gli orari che non sono mai imposti. Danila è veramente una nonna per me, anche se è giovane di spirito come una ragazza della mia età. Lo stipendio è adeguato, puntuale, e se devo fare qualche ora in più mi viene chiesto e non imposto. Ecco, queste condizioni non sono così diffuse nella ristorazione italiana. Un ragazzo di sala non viene quasi mai coinvolto nella condivisione del successo di una serata, anche se buona parte di quel successo è dipesa probabilmente da lui”.
Un’analisi realistica; e qui come si svolge nel dettaglio il lavoro?
“Pur avendolo cerchiamo di non mettere in tavola il menu. Forse è un’arma a doppio taglio perché l’ospite non vede il prezzo ma siamo una trattoria, entrando si capisce subito quale potrà essere la spesa. Raccontare bene i piatti ci aiuta a stabilire un rapporto diretto con l’ospite, capirne lo stato d’animo di quella serata e comportarci di conseguenza. Il dietro le quinte, ad esempio il momento dei pasti per il personale, è sempre una grande gioia, perché mangiamo sano e bene, soprattutto perché, pur confrontandoci, scherziamo molto. Uno degli scherzi che non mi piacciono, però, è quando mi dicono che devo far da mangiare io per tutti: lì vado in panico e cerco di barattare quell’incombenza con mille altri lavori”.
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Hai detto che stai facendo il secondo anno del corso di sommelier: prima quanto sapevi del mondo del vino e quanto oggi?
“Non sapevo nulla. Bevevo qualcosa a pranzo o cena ma senza neppure guardare l’etichetta. Vivere accanto a Marco in sala mi ha fatto capire che dovevo colmare questo divario. Sapevo raccontare perfettamente i piatti ma sul vino era silenzio totale. Il corso AIS e gli insegnamenti di Marco mi hanno cambiato la vita. Ho scoperto quali piaceri assoluti può dare un abbinamento perfetto”.
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Ti piace di più il ruolo di sommelier o quello di cameriere?
“Qui il sommelier è Marco e va benissimo così, perché è davvero molto bravo e contemporaneo. Se vuoi che ti confessi perché mi piace stare in sala è il fatto che non sei mai da solo. Quelli che dicono che non fanno questo mestiere perché sono impegnati nel weekend mi fanno sorridere. A stare in sala hai il mondo intorno, persone diverse e storie diverse ogni sera. È questo che bisogna valorizzare di questa professione: la varietà di situazioni che nessun weekend riuscirebbe mai a dare. E un’altra cosa: le persone che vengono al ristorante ci vengono per avere due/tre ore di tregua dal quotidiano. Noi dobbiamo garantire questa tregua!”
Come si fa, secondo te?
“Vedi, uno dei limiti della ristorazione, specie quella alta, è il modo asettico che, a volte, si vive. Strutture che sembrano chiese silenziose dove ti mettono in mano il menu come un libro di preghiere. Gesti misurati, toni di voce che, spesso, sono talmente bassi che non capisci cosa ti stanno proponendo. Consigli su come tenere le posate e come mangiare quel piatto. Questa non è tregua!”
Come vedi il tuo futuro?
“Per ora e spero per molto tempo ancora qui! Sono giovane, devo imparare ancora tanto e la scuola di questa famiglia è straordinaria. Hai detto bene quando mi hai chiamato dopo aver visto quel gesto. Provo un grande affetto per tutti loro e lavorare dove, oltre alla obbligatoria serietà professionale, ci sono anche sentimenti condivisi che vale la pena di vivere”.