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Paolo Grando, mica solo ostriche e Champagne

Oste, selezionatore di ostriche e cultore di Champagne, ci racconta la sua storia e la sua visione dell’accoglienza

Il centro di Feltre negli ultimi anni ha visto nascere un posto speciale, in via 31 Ottobre, al numero 26. Un piccolo locale di circa 25 metri quadri, avvolto interamente dalla pietra, creato lavorando la roccia, legno e materiali naturali. A fare da tavolini dei massicci pezzi di pietra levigata incastonati alle pareti, mentre il bancone centrale con la vetrina a vista, ospita bottiglie, ostriche, formaggi e tante altre eccellenze. Fuori c’è scritto Enoteca Contemporanea, dentro c’è il volto di Paolo Grando

Prima ancora di sedersi è inevitabile chiedersi che storia ci sia dietro, vista la particolarità inusuale del format in una località di montagna come Feltre, solita a boccali di birra e piatti della tradizione. La scopriamo, tra un calice e l’altro, dal racconto di Paolo.

Dai romanzi su stoffa ai romanzi in vigna

“Ho una storia particolare, sono autodidatta” - attacca Paolo. “Sono finito in questo settore per necessità dopo aver studiato grafica pubblicitaria a Milano e aver creato un marchio di Streetwear andato però in una direzione diversa da come lo avevo sognato. Ho iniziato poi a muovermi come imprenditore nella ristorazione provando sulla mia pelle errori e traguardi. Non ve la racconto tutta ma ho avuto una cicchetteria, una pizzeria, una gastronomia. Poi ho incon- trato Greta, mia moglie, e la sua famiglia che vive e lavora da sempre nel mondo Design e nell’Arte Contemporanea. Intanto un altro calice, un’altra riflessione di Paolo: “Quando, assieme a Greta e la sua famiglia abbiamo trasformato questo luogo in Enoteca Contemporanea ho capito che la parola d’ordine doveva essere unicità. Abbiamo ragionato sull’accoglienza, sul messaggio che volevamo trasmettere, sullo stile dell’ambiente, e molto sulla proposta. Ho osservato tanto e ho fatto esperienza, è il percorso obbligato per chi capisce mano a mano cosa vuole diventare”.

Guardandosi attorno in enoteca si scorgono ulteriori dettagli, come la grande ghiacciaia dei vini in mescita, anch’essa in pietra lavorata a mano. C’è molta attenzione all’artigianato, all’arte, al design, alla natura anche nell’arredo.

‘L’oste’, vien da dire anticipandolo

“Sì! Avevo capito che volevo fare l’oste in un posto unico e che desideravo dare risalto agli artigiani del gusto. Sono partito anche qui da zero, con un corso di avvicinamento al vino. Il primo che mi ha colpito? Lo Champagne, fu inevitabilmente amore a prima vista”.

Continua allungando un altro assaggio: “Non mi sono mai fermato. Ho studiato, assaggiato, condiviso vini con chi frequenta questo mondo da molti più anni di me, ho viaggiato e scovato tanti bravissimi vignaioli so- prattutto nel mio territorio. Produttori che lavorano nel piccolo e bene ce ne sono, anche nelle mie Dolomiti”.

E tra tanta scelta, confida: “Se la bottiglia viene finita vuol dire che era quella giusta. È uno dei motti infallibili a cui mi affido oggi per scegliere il vino”.

Galeotta fu quell’ostrica

Se non ci sono strade già segnate in partenza possono accadere cose inaspettate. E così, dando ascolto a un suo collaboratore che voleva proporre ostriche in enoteca, Paolo si imbatte in un campo davvero vergine per la ristorazione, non solo di montagna.

“Le ostriche non mi piacevano neppure ma l’ho ascoltato e abbiamo provato a ordinarle. Poi un giorno, per capire come potevamo migliorare il servizio, gli ho detto: fammi vedere come si apre ‘sto sasso! Da lì è stata una continua scoperta corredata da viaggi, assaggi, tanto studio. Mi sembrava uno spazio davvero ricco di informazioni a cui pochissimi facevano caso. A quelli a cui lo raccontavo pareva assurdo che mi stessi così tanto dedicando all’ostrica in un paese circondato dalle Dolomiti. Rispondo sorridendo che è l’ostrica che mi ha cercato, io l’ho accolta e ora vado a cercare lei”.

Riassumere in poche righe il lavoro di ricerca di Paolo sarebbe ingiusto, tanto gli ha dedicato in approfondimento in queste stagioni, battendo le coste francesi ma anche quelle italiane, per comprendere sistemi di allevamento e differenze.

Conviene dunque, anche se non si è degli amanti di questo straordinario mollusco, farsi accompagnare da precise e romantiche spiegazioni. È quasi certo che cambierete approccio anche solo per il fascino con cui ve le presenta.

“Come per il vino anche l’ostrica è figlia del suo allevatore” dice.

“Ogni ostrica ha sfumature gustative e consistenze diverse. Non si può far altro che assaggiarle, provare a capirle, e sicuramente vedere come vengono accudite dagli artigiani del mare. Questa è un’ostrica esclusiva che selezioniamo dalla Normandia. Senti che carattere! Sto codificando l’esperienza con l’ostrica per avvicinare sia le persone che ne sanno sia i clienti che ne sono totalmente estranei. Quasi mi diverto di più quando un cliente mi dice di non amarle affatto, mi ci riconosco quando ero agli inizi!”

Paolo è diventato un punto di riferimento nel Nord Est (e non solo) in materia: è selezionatore ed ha alcuni consigli per i ristoratori.

“Le ostriche non sono un prodotto difficile da vendere. Bisogna però imparare a raccontarle, non servirle in un anonimo plateau dove solo un cartellino ne dichiara la provenienza. C’è tanto da tirare fuori sulla narrazione di questo piccolo miracolo del mare, a me per esempio piace dire che sono anche la storia del nostro passato visto che in questa zona ne sono stati trovati alcuni fossili. Poi non bisogna svenderle, il prezzo è importante; e capire che non gravano sui bilanci di un locale; hanno una shelf life di diversi giorni. Infine l’abbinamento con il vino: va pensato, non banalizzato. L’accostamento talvolta è molto delicato, ma può regalare un’esplosione in bocca e un’esperienza memorabile”.

Un’accoglienza che non ha bisogno di lavagne

Siamo quasi alla fine degli assaggi e della conversazione con l’oste. Ci sarebbe ancora molto da dire, anche sul suo rapporto con il giovane Lucjan, un ragazzo gentile e preparato che affianca Paolo nell’attività e fa le sue veci quando non è presente in enoteca.

“Per un anno da quando è arrivato abbiamo parlato di servizio più che di prodotti. Avrai notato che non abbiamo una lavagna con le proposte, raccontiamo tutto a voce.” Sicuramente, oltre ad aver affinato un pensiero pulito sul vino, le ostriche e i prodotti buoni, Paolo ha acquisito una propria visione dell’ospitalità

“Stiamo vivendo un buco storico nel settore dell’accoglienza. Ho capito che non contano il numero di bottiglie in carta o l’abbondanza di cui ti circondi nel tuo locale. Conta il servizio, la competenza, la presenza, più che il calice venduto. Conta la tua esperienza, ciò che lasci alle persone che vengono, magari perché hanno scelto tra altri posti proprio il tuo. Il fatto di saperle capire e ascoltare decreta, secondo me, l’essere accoglienti o meno”.

Abbiamo incontrato su queste pagine Stefano Canosci, patron di Pizzeria Chicco a Colle Val d’Elsa, soltanto un anno fa e, oggi, lo ritroviamo più maturo, più determinato che mai, profondamente impegnato a fare, come ama definire lui stesso, di Chicco un luogo speciale, unico e inimitabile.

Ha raggiunto il suo obiettivo, un locale tutto suo; ha saputo interpretare la sua attitudine naturale per l’accoglienza e il suo spirito imprenditoriale orientandoli verso un format di pizzeria moderno e identitario; non si ferma e continua la sua crescita armato di un’apertura mentale che lo indirizza verso obiettivi stimolanti in una costante sfida con se stesso.

Insieme è meglio

Stefano Canosci ha costruito una squadra coesa da Chicco, convinto che fare squadra significhi reciproco scambio e collaborazione, significhi rispetto. Secondo lo stesso principio ha fatto delle scelte: metodi di lavorazione, materie prime, ingredienti, selezionati dopo aver incontrato e sperimentato le potenzialità delle aziende produttrici e dei fornitori, condiviso con loro obiettivi e ideali.

Per creare la sua linea, oggi orientata su diversi canali – perché la pizza è vocazione, è creatività e non solo tecnica – Stefano sa che deve mantenere uno standard elevato e studiare le ricette con una visione più ampia del convenzionale, che punti a realizzare obiettivi ispirati a valori importanti: l’etica del lavoro, la sostenibilità ambientale, la salubrità, il piacere edonico. Perché tutto quello che gira intorno alla cucina è cruciale ma un piatto – e una pizza oggi è un piatto a tutti gli effetti – deve soprattutto essere buona, gustosa, deve appagare il palato e i sensi così come l’anima e la coscienza.

Con questo spirito Stefano Canosci continua la sua collaborazioe con il mulino Agugiaro&Figna e le sue farine 5 Stagioni

“Per fare una buona pizza -afferma Stefano - il punto di partenza è la farina. Sono talmente convinto della qualità delle farine 5 Stagioni che ho abbracciato la filosofia del mulino. Ho aderito e sono diventato testimonial del movimento Un Sacco di Cambiamento, un’iniziativa che ha come obiettivo stimolare l’attenzione per i territori e i luoghi e promuovere attraverso buone pratiche e l’esempio il valore della sostenibilità intesa a livello sociale, ambientale, culturale ed economico.

Ho trovato interessante il progetto perché ciò che viene enunciato nel manifesto risponde al mio ideale di comportamento. Abbracciare la filosofia del biologico non vuol dire annullarsi in esso ma attingere e modulare le nostre azioni coerentemente con la situazione personale, cercando di sensibilizzare il cliente che, comunque, ha sempre l’ultima parola. Il termine sostenibilità deve comprendere anche la sostenibilità economica”.

Un menu contemporaneo, il futuro è la scarpetta

La continua ricerca è alla base dei piatti di Chicco. La sostenibilità e la salubrità un im- pegno. Spiega Stefano: “Ho scelto di dividere il menù in due sole stagioni e rivolgermi a diverse fonti di approvvigionamento: dal contadino fino ad aziende serie e affidabili cerco il meglio, perché ho preso un impegno con i miei clienti ai quali cerco di proporre un’alimentazione corretta in tutti i sensi: il miglior modo per educare non è imporre ma offrire capacità di scelta. Spiegare cosa porto in tavola e perché, è un dovere”.

Nascono così, da differenti punti di vista e ideali ben radicati i nuovi menù di Chicco, a partire da quella che è diventato un’icona: la scarpetta.

Scarpetta è piacere oltre le convenzioni, è memoria. Chi non ricorda il godimento provato nell’intingere un pezzo di pane nella pentola del sugo o raccogliere l’intingolo rimasto sul piatto dopo una pietanza particolarmente gustosa? È la memoria infantile ed è un attimo di piacere assoluto. La prima versione è un omaggio ad Antonello Colonna, suo mentore e ispiratore. La focaccia con la trippa era, infatti, la sua entrée di benvenuto. Da qui nascono ricette originali e innovative: “Era il momento giusto per una provocazione – racconta – la pizza non più come cibo di strada e nemmeno piatto gourmet (termine abusato) tanto in voga”. Il momento di cedere alla trasgressione, per fare “scarpetta”. Un piatto fondo largo il doppio del normale, sul fondo un padellino con all’interno una base generosa di sugo ricoperto dagli spicchi di pizza. Sopra gli spicchi, il topping e altre parti di intingolo. Inevitabilmente lo mangi con le mani. Intuizione geniale e tocco da maestro. Una declinazione che trae ispirazione dalle ricette tradizionali italiane, poi la svolta verso nuovi intingoli “all’italiana” con prodotti rigorosamente italiani e, soprattutto, stagionali.

Se una scarpetta non basta…

Allora arriva il nuovissimo menù Salute & Benessere, ideato in collaborazione con aziende che producono materie prime biologiche e di alta qualità. È un menù di livello superiore che segue un ideale etico e realizza il giusto compromesso tra innovazione culinaria e sostenibilità, tra piacere e concretezza. Un modo per offrire al cliente una scelta alternativa basata sulla consapevolezza oltre che sul gusto.

Stefano Canosci, con le sue innovazioni in cucina, urla un vero e proprio inno alla libertà e continua il suo cammino con nuove idee, come la sua pizza fritta, un classico della pizzeria partenopea popolare. Qui si va oltre. “Non mi piaceva l’idea del solito fritto a stuzzichini da mangiare svogliatamente prima della pizza principale e, allora, io la faccio grande come una pizza normale, la servo in un piatto largo 33 cm, tagliata in 4 parti, con sopra un topping caldo: diventa un piatto unico, può essere il fritto di benvenuto, ma condiviso”.

Infine, da Chicco, è arrivata la “scrocchiarella”, è sempre pizza ma quella sottile, fine, croccante che ha il suo pubblico affezionato ma aveva bisogno di un pizzico di vivacità, di essere sdoganata da prodotto di basso livello. La scrocchiarella di Stefano deve la sua particolarità all’impasto, equilibrato, e al condimento, realizzato con ingredienti selezionati con cura.

E per ultima, una novità assoluta per Chicco: la pizza in pala che, spiega Stefano: “è servita in un modo un po’ diverso dal solito. Si chiama i Crostini e viene tagliata a quadratini e servita in 4 pezzi. Sui crostini, non la solita fetta di pane ma una base di pizza, e i sughi classici delle bruschette: fegatini, fagiano ecc. specialità tipiche che in questo modo tornano prepotentemente alla ribalta”. E la rivoluzione della pizza è servita.

Le persone

Autore: Bruno Damini

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