sala&cucina magazine di ristorazione - Aprile 2022

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sala&cucina n. 58 aprile 2022 - Poste Italiane Spa - CN/BO - Edizioni Catering srl – Via Margotti, 8 – 40033 Casalecchio di Reno (BO) - contiene I.P. - costo copia euro 3,50

Aprile 2022

Il potere sociale del cibo Il nuovo ruolo della ristorazione

Vittorio “Gianni “ Capovilla Dove inizia la libertà

Riccardo Agugiaro

Fare impresa significa anche prendersi cura del territorio




LA REDAZIONE

Mario Benhur Tondini presidente Edizioni Catering srl

Imprenditore nel settore della distribuzione alimentare, gestisce con il fratello Oscar l’azienda di famiglia a Cavriana (MN), dove ha svolto anche l’incarico di sindaco. Le competenze maturate sul piano professionale e su quello amministrativo lo hanno portato alla convinzione che il principio della condivisione sia la miglior modalità di crescita. Molte sue iniziative, anche all’interno del gruppo Cateringross (che detiene la titolarità della casa editrice), di cui è consigliere d’amministrazione, vanno in questa direzione. A questo affianca una forte sensibilità per ogni azione che dia valore al suo territorio.

Luigi Franchi Direttore responsabile

Prima fotografo di cibo e territori, poi comunicatore, autore di numerosi libri di enogastronomia e di turismo enogastronomico. e infine giornalista di enogastronomia. Tra le sue principali pubblicazioni, scritte e/o coordinate: La prima edizione della Guida al turismo del vino in Italia, per conto del Movimento Turismo del Vino, (1997), I parchi e il turismo enogastronomico (2004), Il marketing delle Strade del Vino edizioni Agra – Rai Eri (2005), Atlante Alimentare Piacentino, con Valentina Bernardelli (2007), “cuo chi, due anime in cucina”, con Alessandra Locatelli, GL.Editore (2009), Dalle Terre Traverse al Po, GL.Editore (2010), ideatore e coautore dei Maestri del lievito madre, Edizioni Catering (2014), coautore della guida online dedicata alla ristorazione Meglio Prenotare, Edizioni Catering, Le interviste (2018) editore Mediavalue. Co-direttore di Food & Book, festival nazionale di editoria enogastronomica

benhurtondini@salaecucina.it

luigifranchi@salaecucina.it

Marina Caccialanza

Simona Vitali

Redazione

Milanese, un passato come traduttrice, da diversi anni giornalista e redattrice per riviste del settore alimentare rivolte al mondo dell’artigianato e all’industria, in particolare nel campo della ristorazione, del dettaglio specializzato e della ricerca. Contribuisce alla realizzazione di importanti libri di comunicazione gastronomica in Italia e all’estero diretti ai professionisti e ai consumatori. Collabora con le redazioni di sala&cucina, Ecod e Trenta Editore.

marina.caccialanza@gmail.com

Giulia Zampieri Redazione

Ricorda con esattezza il profumo del primo pane preparato all’età di sette anni. Forse il suo primo traguardo e, soprattutto, l’inizio di una grande passione: per le cose semplici, per la genuinità, per gli alimenti che crescono e prendono forma. Dopo la Laurea in Scienze Gastronomiche, la specializzazione in comunicazione enogastronomica, e un periodo di alternanza nelle cucine, ha chiara la missione: scrivere per comunicare. Come? Utilizzando gli strumenti di oggi e la curiosità di sempre. Gionalista pubblicista, collabora anche con le guide del Gambero Rosso e Identità Golose.

giuliazampieri@salaecucina.it

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Redazione

Laureata in filosofia, ha lavorato nella comunicazione e organizzazione di grandi eventi a Parma. Ha ricevuto una prima inconsapevole educazione al gusto per il cibo grazie all’ indimenticato oste dell’Osteria di Felino (PR), il nonno materno Massimino. Con gli studi umanistici è poi arrivata seconda, consapevole, educazione al gusto per l’utilizzo delle parole secondo il loro significato. La usa a piene mani anche per chi di parole non ne riceve mai troppe. La sua amorevole attenzione va alla linfa della ristorazione, il mondo delle scuole alberghiere, e in generale alle storie intrise di valori e buoni esempi.

s.vitali@salaecucina.it

Gabriele Adani Grafico

Modenese, appassionato di arte figurativa, fotografia e linguaggi di comunicazione visiva. Nel 1992 inizia il suo percorso professionale presso una casa editrice. Lavora poi in uno studio grafico e fonda una piccola agenzia di comunicazione in cui ricopre il ruolo di direttore creativo per 18 anni. Viaggiatore, utilizza i frequenti viaggi a Londra e nel Sud Est asiatico per arricchire il suo bagaglio culturale e placare la sua innata curiosità per le altre culture. Dal 2019 lavora in proprio, occupandosi di fotografia, grafica e consulenze nel campo della comunicazione.

grafica@salaecucina.it

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SOMMARIO 7

LETTERA APERTA|

Essere impresa oggi | Luigi Franchi 9 EDITORIALE Il nuovo ruolo della ristorazione | Benhur Tondini 10 PARLIAMO CON Riccardo Agugiaro | Luigi Franchi 16 L’OLIO AL CENTRO Una cucina laboratorio per l’olio | Luigi Caricato 18 LAVOROTURISMO.IT La video-presentazione per potenziare i contatti professionali | Oscar Galeazzi 20 FARE RISTORAZIONE Il potere sociale del cibo | Giulia Zampieri

sala&cucina n. 58 aprile 2022 - Poste Italiane Spa - CN/BO - Edizioni Catering srl – Via Margotti, 8 – 40033 Casalecchio di Reno (BO) - contiene I.P. - costo copia euro 3,50

Aprile 2022

Il potere sociale del cibo Il nuovo ruolo della ristorazione

Vittorio “Gianni “ Capovilla Dove inizia la libertà

25 FARE RISTORAZIONE Il Rapporto Ristorazione 2021 di Fipe-Confcommercio | Luigi Franchi 28 RITRATTI Dove inizia la libertà | Simona Vitali

Riccardo Agugiaro

Fare impresa significa anche prendersi cura del territorio

32 TREND Il consumo di pesce nella ristorazione: com’è cambiato il mercato | Guido Parri

N° 58 aprile 2022

36 FARE RISTORAZIONE Le nuove abitudini al ristorante | Giulia Zampieri

EDITORE Edizioni Catering srl Via Margotti, 8 40033 Casalecchio di Reno (BO) Tel. 051 751087 – Fax 051 751011 info@salaecucina.it - www.salaecucina.it

39 FARE RISTORAZIONE Genova, una città da scoprire | Marina Caccialanza 44 PERSONE Francesco il fatalista | Bruno Damini

PRESIDENTE Benhur Mario Tondini benhurtondini@salaecucina.it

48 FORMAZIONE Ristorazione sostenibile 360 | Simona Vitali 52 PIZZERIE CuBì South Bakery | Marina Caccialanza

DIRETTORE RESPONSABILE Luigi Franchi luigifranchi@salaecucina.it

54 RISTORANTI Marisco a Marina di Ragusa | Giulia Zampieri

COLLABORATORI ESTERNI Paolo Baracchino, Luigi Caricato, Bruno Damini, Lorenzo Dornetti, Oscar Galeazzi, Guido Parri

56 PRODOTTI Salumi, arte in tavola | Marina Caccialanza 62 PRODUZIONE Api e miele | Giulia Zampieri

FOTOGRAFIE Archivio sala&cucina, Paolo Picciotto, Francesco Zoppi, Matteo Danesin, Helmut Rier * L’editore è a disposizione per eventuali crediti fotografici di cui si ignora la fonte

64 PRODUZIONE La carne irlandese | Luigi Franchi 67 PRODUZIONE La Carne Salada Salumi Reali | Guido Parri 68 PRODUZIONE cameo Professional | Guido Parri

RIVISTA PARTNER dell’Associazione

70 PRODUZIONE Greenology e il mio locale s’impegna | Guido Parri 75 DISTRIBUZIONE Le ostriche | Luigi Franchi

PUBBLICITÀ Tel. 331 6872138 marketing@salaecucina.it www.salaecucina.it

77 NOVITÀ Centro Carni Company | Guido Parri

PROGETTO GRAFICO Gabriele Adani - www.gabrieleadani.it

78 ASSOCIAZIONE GASTRONOMI PROFESSIONISTI Il Gastronomo, un professionista trasversale | Giorgio Maria Zinno

STAMPA EDIPRIMA s.r.l. – www.ediprimacataloghi.com TIRATURA E DISTRIBUZIONE – 28.900 copie Ristoranti, trattorie e pizzerie 20.700 – Bar, pub e birrerie 4.000 – Hotel 3.100 – Grossisti e distributori f&b 1.100 Costo copia mensile: 3,50 euro abbonamento annuo 30,00 euro Per abbonarsi: info@salaecucina.it

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Tutta la buona cucina gira intorno a un grande olio. Un olio che sa legarsi a ogni ingrediente e che sa legare insieme gli ingredienti di ogni piatto. Che sa legare esperienza e creatività, passione e professionalità. Un olio che ha una storia familiare che unisce insieme tradizione e innovazione, vecchie abitudini e nuove tendenze. Nasce dalle materie prime migliori ed è frutto della ricerca e dell’esperienza. Un grande olio è un olio che fa parte di una grande famiglia, quella di Olitalia. Una famiglia affidabile, sempre presente nelle migliori cucine di tutto il mondo. E da oggi anche nella tua.

olitalia.com


LETTERA APERTA Luigi Franchi

direttore responsabile

Essere impresa oggi “Qualsiasi attività imprenditoriale può diventare impresa di interesse generale e non lo fa perché è filantropica, ma perché ha capito che il mercato si fa in questo modo”. Le parole pronunciate da Alfonso Pascale, storico dell’agricoltura sociale, a un dibattito nell’ultima edizione di Olio Officina, mi hanno dato lo spunto per riflettere sul ruolo dell’impresa in Italia, soprattutto nell’ambito di cui ci occupiamo professionalmente: il cibo e la ristorazione. In questo numero della rivista, non a caso, la copertina è riservata a un imprenditore che fa della sostenibilità e dell’etica argomenti concreti nella gestione della propria impresa. Agugiaro&Figna, questo il nome dell’impresa di cui Riccardo Agugiaro è amministratore delegato, è un’azienda molitoria che vanta nei suoi processi produttivi ogni passaggio orientato alla sostenibilità: nessun pesticida; farine pulite, senza alcun utilizzo di miglioratori e di sostanze non naturali; stabilimenti che vengono gestiti da anni solo da fonti rinnovabili. E una grande attenzione nel ridare un significato alla parola lavoro. Devono essere così le imprese se vogliamo che questa parola – lavoro – ritorni ad avere un senso positivo. Se non vogliamo più che, come è successo durante la pandemia, si perdano migliaia e migliaia di posti di lavoro per i più disparati motivi, di cui uno, comunque, è il più grave: solo il 5% dei lavoratori italiani è soddisfatto della propria occupazione. Un dato drammatico, registrato da un prestigioso istituto di ricerca, Gallup, che fa il paio con un altro dato significativo: l’Italia è l’unico paese dell’Unione Europea ad aver registrato

un calo significativo, e comunque uno stallo, negli ultimi vent’anni delle retribuzioni da lavoro dipendente. Nella ristorazione non parliamo delle uscite volontarie, 194.000 in un anno! Come si può far ripartire una visione del lavoro che metta al centro la dignità, il desiderio di contribuire, con il proprio mestiere, alla crescita sociale del Paese? Un Paese che, ricordiamolo, ha sempre dato grande importanza al lavoro come elemento di riscatto sociale. Un Paese che ha vissuto un’emigrazione esterna agli inizi del secolo scorso e una interna, negli anni del boom economico, per la voglia di lavorare che avevano le persone e che ne ha fatto la settima nazione industrializzata del mondo. Ecco, quindi, che le parole di Alfonso Pascale acquistano un significato profondo se messe a profitto. Per le imprese di ristorazione adottando criteri di selezione del personale che mettano al centro la strategia di quel determinato ristorante; una strategia di crescita da esplicitare in maniera chiara dove il lavoratore, cuoco o cameriere o lavapiatti, è considerato una persona con competenze importanti, fondamentali per raggiungere gli obiettivi, oppure è considerato, se giovane alle prime armi, un elemento da formare con l’aiuto di tutta la squadra perché saprà ricompensare, quando avrà imparato bene a svolgere questo complicatissimo mestiere. Per ottenere questo, ossia la partecipazione attiva, è utile dare retribuzioni aggiuntive legate ai successi del ristorante a cui ha contribuito l’intera squadra, non obbligare nessuno a fare lavori che non rientrino nelle sue mansioni, organizzare il lavoro su due turni (un bravo maître di sala, durante un pranzo, mi disse che non è bello vedere in sala, dalla colazione del mattino fino alla cena le stesse facce che servono al tavolo, è un fattore negativo che l’ospite sa rilevare), e soprattutto rendere strategica questa partecipazione coinvolgendo le persone che lavorano in quel determinato ristorante nelle scelte per crescere.

luigifranchi@salaecucina.it | aprile 2022

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L’Italia nel piatto.

Ricetta di Fabio Potenzano

IL ROSSO TRICOLORE. La massima espressione del pomodoro italiano, da sempre. I Pelati Cirio Alta Cucina sono grandi, corposi, dal colore vivo inconfondibile. Icone del gusto che esaltano ogni preparazione, anche la più sofisticata. Largo all’eccellenza che fa la storia della bontà, da oltre 160 anni.

cirioaltacucina.it


EDITORIALE Benhur Tondini

presidente sala&cucina

Il nuovo ruolo della ristorazione Siamo nel pieno di una crisi che non ha precedenti nella storia contemporanea dell’Europa. Una crisi i cui effetti si vedranno negli anni a venire, dal momento che le materie prime agricole come il grano, l’olio di girasole, i cereali per i mangimi rallenteranno in termini di quantità sufficienti per le nostre tavole e per il mondo animale. Per non parlare delll’energia che ha costi insostenibili o della logistica che ha visto saltare ogni regola. Questo cosa potrà significare? Un grande passo indietro a livello sociale, culturale, ambientale! Tutti gli sforzi, l’intelligenza per portare il mondo e le persone verso il benessere precipitano in pochi giorni a causa di una guerra assurda. Significa che dovremo ripensare la società in maniera che le dipendenze gli uni dagli altri non siano più unilaterali ma tengano conto di cosa vuol dire avere a che fare con fornitori che operano in Paesi democratici e cosa comporta invece avere a che fare con forniture che arrivano da Paesi dove non esiste libertà d’impresa. E vuol dire che il progresso ha dei costi da sostenere, da parte di tutti, persone, aziende, governi. È finito il tempo del tutto e subito, sta arrivando il tempo della partecipazione alle scelte, a qualsiasi tipo di scelta. Un tempo che governava, anche se in maniera acerba, le nazioni fino alla fine del secolo scorso. In questi anni,

invece, la partecipazione è stata degradata in cambio dei social, si sono scelte strade di partecipazione troppo virtuali dove si è confuso tutto in un oceano di fake news, di parole senza senso, riducendo quasi al silenzio il pensiero intelligente. Terreno fertile per ciò di cui siamo testimoni adesso. Occorre fare ogni sforzo possibile per ridare voce a persone e governi che sappiano convivere, che non ritengano la globalizzazione solo un fallimento ma che ne sappiano cogliere e valorizzare gli aspetti positivi, che ci sono e sono sotto gli occhi di tutti, a cominciare da un’idea di mondo dove le guerre non possono più esistere. La risposta della comunità europea a questa guerra fratricida è un esempio di come il dialogo tra gli stati possa giovare, di quanta forza genera l’unione di intenti e a difesa della libertà delle persone. Nessuno vuole tornare indietro! Vivere bene è un diritto a cui nessuno, in Italia, vuole più rinunciare, ma per vivere bene è necessario che un’intera società ragioni in questo modo. Una società che vede i ristoratori in prima linea per garantire il benessere delle persone perché andare al ristorante oggi vuol dire molte più cose oltre al mangiar bene. Vuol dire condivisione, confronto, convivialità, salute, divertimento, conoscenza, cultura, racconto, difesa delle produzioni alimentari di qualità, piccole e grandi. Un nuovo ruolo in questa società che si sta delineando spetterà ai ristoratori e, con essi, a tutta la filiera che ruota intorno al settore. Dobbiamo prepararci a dare nuove risposte, dobbiamo essere all’altezza di un nuovo modello di comportamento che comporterà anche sacrifici economici in un primo tempo ma la libertà non è mai gratis, per nessuno!

benhurtondini@salaecucina.it | aprile 2022

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PARLIAMO CON Parliamo con… Riccardo Agugiaro, amministratore delegato di Agugiaro&Figna, azienda leader del comparto molitorio italiano, che vanta il primato di aver dedicato al mondo pizza le farine che, con il marchio Le 5 Stagioni, sono uscite dal concetto di commodity

L’IMPRENDITORE E L’UOMO

Riccardo Agugiaro

Riccardo Agugiaro

Fare impresa significa anche prendersi cura del territorio Autore: Luigi Franchi 10

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Un molino che produce ininterrottamente dal 1400, una famiglia che lo rileva nel 1831, un imprenditore, Riccardo Agugiaro, che rappresenta la settima generazione e, soprattutto, quella capacità di innovazione che fa dell’impresa un elemento fondamentale per una società migliore.

Molino Agugiaro&Figna a Curtarolo (PD)

Riccardo, ci aiuta a ripercorrere la vostra storia d’impresa nelle sue tappe salienti? “L’azienda principale sorge su un sito che macina ininterrottamente dal 1400. È qui, a Curtarolo in provincia di Padova, che i miei avi, nel 1831, fondarono il Molino Agugiaro. Nel 2003 avvenne la fusione con il Molino Figna, di Collecchio (PR), leader nella produzione industriale di farine e nella panificazione che aveva acquisito, nel 1997, la Molini Fagioli di Perugia. Il fatturato del gruppo passò da 48, nel 2003, a 110 milioni di euro e, nel corso degli anni, abbiamo investito 90 milioni di euro negli impianti, in tecnologia, che ci ha permesso di essere, oggi, l’azienda più moderna del settore in Italia. Siamo presenti su tutti i mercati, con il food service, pasticceria, panificazione al centro del nostro core-business, un po’ di GDO e il mercato online, che abbiamo aperto nel periodo della pandemia, per le farine dedicate all’alta ristorazione”. Il mondo delle farine è cambiato moltissimo in questi ultimi anni, trasformando un prodotto commodity in un elemento identitario per i professionisti: come è avvenuto questo cambiamento e perché? “È vero e lo è ancora di più per la nostra azienda che è stata capofila di questo cambiamento perché, fin dagli anni ’70, con il marchio Le 5 Stagioni, ha creato una linea di farine ad elevato valore aggiunto per il mondo pizza. Siamo stati gli unici fino all’alba del terzo millennio. Negli anni 2000 c’è stato un ulteriore sviluppo, a causa della crisi del mercato della panificazione e del fatto che molti piccoli molini non potevano più proseguire la loro attività, perché mancavano delle certificazioni necessarie. I molini rimasti si sono orientati a produrre in modo diverso, dando vita a farine specifiche per ogni utilizzo, andando verso una ricerca accurata. Nel 2010 si è affermato un nuovo modello produttivo dove, chi era dotato di un laboratorio di ricerca, ha fatto da capofila e, ancora una volta, noi eravamo in prima linea con i nostri tre laboratori, uno per ogni molino del gruppo. La nuova consapevolezza che si è affermata tra i pizzaioli ha, inoltre, portato le aziende a dar vita a nuove tipologie di farina e, per noi, a creare l’unico lievito madre secco, Naturkra�, che ancor oggi resta l’unico sul mercato con queste caratteristiche”. Dal 2016 siete partner di Slow Food. Cosa ha significato per l’azienda aver scelto un’associazione internazionale che fa del buono, pulito e giusto il mantra delle sue azioni? “È stata una scelta importante e quasi obbligata, visto che incrociando le nostre strade c’erano molte visioni in comune. Lavorare con Slow Food per noi significa operare per riscrivere la farina del domani. Significa però anche molte altre cose: non siamo sponsor | aprile 2022

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La scatola pizza di Le 5 Stagioni

ma partner tecnico; analizzare e attuare le migliori pratiche produttive per la farina ed essendo noi, con una storia molto lunga e al contempo innovatori, in sintonia con questo principio, vogliamo contribuire e abbiamo sviluppato farine sane e con nuovi moderni criteri di valutazione; pulite, senza alcun utilizzo di miglioratori e di sostanze non naturali; giuste, ovvero vendute al giusto prezzo. I valori che abbiamo condiviso vanno oltre al semplice utilizzo del prodotto e definiscono anche il ruolo che un’impresa ha in termini di responsabilità sociale. Nel 2022 bisogna avere ben

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chiaro il proprio ruolo nella società e quanto le nostre produzioni incidono in questo. Abbiamo fatto nostro il motto che se prendiamo dall’ambiente, dalla terra, dobbiamo restituire di più di quello che ci viene dato. Con Slow Food intendiamo sviluppare concretamente questa visione e, per questo, tra le tante iniziative, quest’anno abbiamo dato vita a un tour di formazione, che partirà ad aprile, con i pizzaioli di sei regioni – Lombardia, Toscana, Campania, Puglia, Sicilia e Piemonte – che si concluderà al Salone del Gusto a Torino a settembre, con 20 pizzaioli che si confronteranno

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sulle buone pratiche, dando vita a un gruppo di maestri dell’arte bianca che possa influenzare altri colleghi sui temi della sostenibilità e dell’etica lavorativa”. Voi siete molto rigorosi nella scelta dei partner distributori, ovviamente in senso positivo; i distributori capiscono appieno la vostra filosofia e il cambiamento che è in atto? “Per noi, da sempre, la rete vendita rappresenta la forza principale di Agugiaro&Figna e quando parlo di rete vendita parlo di partner, clienti e distributori, anche da difendere sul mercato. Questi ultimi due anni, difficilissimi per tutti, ci hanno fatto riflettere molto su questo; sull’importanza di condividere i nostri progetti con i partner; sul valore della filiera per affermare la conoscenza, per dar vita a corrette pratiche commerciali. Abbiamo fatto la scelta di tornare un po’ alle origini quando il cliente era al centro di ogni azione. Non è sempre facile nei tempi odierni dove tutto si muove a una velocità esagerata, ma l’idea di sviluppare strategie commerciali condivise e fare attività di formazione è al centro dei nostri pensieri, perché siamo convinti che queste siano operazioni che, nel tempo, portano a grandi risultati. Questo porterà, in un futuro prossimo, i clienti a capire sempre di più i valori dell’azienda ed è con questi che vogliamo intraprendere il percorso”.

“Abbiamo cominciato a fare ricerca alla fine degli anni ’70 del secolo scorso con le farine dedicate al mondo pizza, abbiamo continuato con il lievito madre e ricordo, a questo proposito, che siamo l’unico molino ad avere internamente un laboratorio per la produzione del lievito madre. Fare ricerca vera non viene sempre capito ma nel lungo periodo fa la differenza e, in questo difficile momento storico, si è rivelato fondamentale per la nostra azienda. In termini di tempo e denaro noi siamo a una percentuale di fatturato dedicata alla ricerca che è forse la più alta di tutte quelle del nostro settore. Abbiamo, come ho già detto, un laboratorio in ognuno dei tre molini dove lavorano complessivamente 20 persone. E poi ci sono le scuole esterne che sosteniamo da sempre: siamo partner della Scuola Italiana Pizzaioli che ci offre anche la possibilità di capire le tendenze sui vari territori del mondo e adeguare le nostre produzioni quando è necessario”.

Ricerca e sviluppo sono nel vostro dna e lo abbiamo capito perfettamente in queste prime battute, ma quanto dedicate a questa parte della vostra attività in termini di tempo e di investimento e quanto è compresa dal mercato?

Molino Agugiaro&Figna a Curtarolo (PD)


Etica e sostenibilità sono parole forse abusate ma necessarie; qual è il vostro pensiero su questo, oltre al fatto che siete partner di Slow Food? “Quello che abbiamo fatto negli ultimi dieci anni ci ha fatto capire che la sostenibilità non è solo ambientale ma anche sociale. La nostra azienda ha la certificazione etica nel rispetto di tutti i dipendenti. Gli stabilimenti vengono gestiti solo da fonti rinnovabili da ben prima che arrivasse Greta Thunberg. Abbiamo avviato un’analisi interna per ridurre al massimo lo spreco. Tutti elementi che ora ci danno forti vantaggi sul piano produttivo. Inoltre, a novembre, nello stabilimento di Collecchio (PR) abbiamo inaugurato il Bosco del Molino, un’area adiacente di 13 ettari, dove sono state collocate 18.000 piante autoctone che compenseranno la CO2 generata in un anno dalle attività dell’azienda, restituendo all’ambiente la sua biodiversità e creando un ecosistema in perfetta armonia con l’ambiente, garantendone la sua conservazione. Ma il bosco avrà anche una funzione sociale come luogo conviviale e di formazione per i ragazzi delle scuole elementari e medie del territorio. In azienda abbiamo investito sulla tecnologia con le selezionatrici ottiche per dividere le varie tipologie di grano. Con i nostri fornitori abbiamo stretto un patto virtuoso per avere materie prime senza pesticidi, unica azienda in Italia. Infine le nostre confezioni sono tutte con un packaging sostenibile dal punto di vista ambientale”.

di fertilizzanti che creano le rese nei campi e questo è un problema molto serio e duraturo. Non arrivano i cereali per i mangimifici e questo significherà l’abbattimento di molti capi. Diventa quindi necessario ampliare al massimo le filiere garantite e certificate verso i mercati e verso i nostri partner. Gli aumenti dovranno ricadere, in modo equo, su tutta la filiera. Questo extra-prezzo, in questo momento, dovrà essere accettato se vogliamo riorganizzare i mercati e difendere la democrazia. Per i nostri dipendenti noi faremo di tutto per salvaguardare il loro potere d’acquisto. Nonostante come azienda dovremmo fare molti sforzi per affrontare questo momento dove il mercato del grano prevede, a livello mondiale, il pagamento immediato”. Ultima domanda, Riccardo. Pizza Stories è il vostro progetto digitale che non parla dell’azienda ma vuole comunicare il mondo pizza: perché questa scelta e come sta andando questo portale? “Pizza Stories nasce nel momento in cui si è fermato il mondo per la pandemia. E nasce per mantenere l’interazione con i nostri tecnici e pizzaioli che giravano per tutto il mondo. Dovevamo rafforzare i rapporti con tutte le persone che ruotano attorno al mondo della pizza. Abbiamo creato il portale per questo. E ci stiamo riuscendo perché Pizza Stories è presente in 90 paesi del mondo e tradotto in cinque lingue, rendendo protagonisti pizzaioli, tecnici, e anche i clienti delle pizzerie per informarli sul valore di questo settore”.

Materie prime alle stelle; grano che cresce a due cifre; il granaio d’Europa distrutto dalla guerra. Come riuscite ad affrontare questa tempesta perfetta? Su chi ricadranno i costi di tutto questo? “Stiamo vivendo un momento unico, incredibile e difficilissimo. Dopo due anni di pandemia dove, oltre agli aspetti sanitari, sono saltate buona parte delle regole sociali e di mercato, entriamo in una dimensione che credevamo non fosse più possibile: quella di una guerra in Europa. In questo scenario logistica e produzione stanno subendo dei contraccolpi di cui nessuno conosce, al momento, l’esatta portata. Non si tratta, infatti, di speculazione bensì di problemi strutturali a cui non si è prestata la dovuta attenzione. Il primo è un problema di approvvigionamento. L’Italia è dipendente per il 60% di materia prima. Dobbiamo migliorare al massimo la produzione italiana ma dipenderemo sempre dall’estero. Per il grano ci sarà un fermo di almeno due anni e le regioni del sud Italia ne patiranno le conseguenze per quanto riguarda il grano duro. La nostra azienda, per fortuna, non acquista da Ucraina e Russia ma questo conta poco nella situazione generale. Ma il problema sono le chiusure all’esportazione, per motivi di sicurezza, anche da parte di altri stati: l’Ungheria che vale il 26% delle importazioni di ottimo grano, non sta consegnando. La Russia ha bloccato l’esportazione 14

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L’OLIO AL CENTRO Luigi Caricato oleologo

Una cucina laboratorio per l’olio Immaginate l’olio extra vergine di oliva nella sua complessità. È necessario informarsi, conoscere, approfondire una materia prima ogni volta diversa. Non basta dire infatti extra vergine. Ogni olio ha le sue peculiarità. Semmai possiamo suddividere gli oli in due grandi famiglie, quelli erbacei e quelli dai sentori vegetali; ma sarebbe una forzatura, perché le sfaccettature che si colgono all’assaggio, soprattutto le sensazioni tattili e chinestetiche, sono in realtà tante. È un po’ come per i vini: ve ne sono tanti e tutti dai profili sensoriali peculiari. Di conseguenza, se si è addetti alla sala, o si sta in cucina, è consigliabile frequentare un corso di assaggio, magari tenendosi allenati con continui approfondimenti. Ma a differenza dei vini gli oli interagiscono direttamente con tanti alimenti, in quanto ingrediente. Cosa apportano gli oli? Come modificano i sapori e l’armonia di una preparazione? Che reazioni chimiche si sviluppano? Quando sul finire degli anni ‘80 feci un corso di assaggio professionale, avevo al mio fianco uno chef, Lino Gagliardi, dell’Antica Osteria La Rampina di S. Giuliano Milanese. Mi sorprese molto la sua presenza e in seguito ho molto apprezzato i modi con i quali si rapporta con gli oli, la sua grande competenza. Ora tuttavia posso dire che non è più sufficiente apprendere le regole dell’assag16

gio, pur fondamentali. Occorre andare oltre. Lo dico da molti anni: l’olio evo va ogni volta interpretato. È necessario trovare le giuste chiavi di lettura e trasformare la propria cucina in un laboratorio. Ovviamente l’ideale è creare un centro dedicato, o una scuola di cucina che si presti a sperimentare, come è stato fatto in Spagna, nel centro di Mas Bové in Taragona. L’Istituto di ricerca e tecnologia agroalimentare ha realizzato un CookingLab dotato di un centro di interpretazione dell’olio da olive e della cucina. Sono decisamente un passo avanti. Studiano i cibi cotti e quelli arricchiti con oli da olive e i suoi derivati. La struttura è dotata di una oleoteca, di una sala di assaggio, uno show room, e ovviamente di una cucina in cui provare e riprovare, non solo a livello empirico, ma con valutazioni scientifiche: cercano di creare una nuova visione gastronomica degli oli da olive. Perché allora non farlo in Italia? Io lo sollecito da almeno vent’anni a questa parte, e forse di più. Per ora ci sono le iniziative di alcune aziende olearie. A Imperia il Frantoio di Sant’Agata d’Oneglia ospita ormai da anni, a rotazione, chef con i quali sperimentare e inventare perfino nuovi prodotti. È un vantaggio per l’azienda e per gli chef, oltre che per chi ne fruirà. A Forlì Olitalia ha ideato OIL, acronimo di Olitalia Innovation Lab, con l’obiettivo di formare gli chef e gli addetti alla ristorazione. Non basta, però. Ci vuole una maggiore progettualità, coinvolgendo scuole alberghiere, accademie, scuole di cucina, ma soprattutto le aziende olearie, le quali devono a loro volta investire energie e denaro, creando sinergie con le organizzazioni di chef e ristoratori. A parte le eccezioni, finora non è stato fatto molto ed è incomprensibile che non si sia avvertita tale necessità. Uno studio olandese ci ha chiarito come poter attenuare l’amaro eccessivo di un olio attraverso la molecola della caseina presente nei latticini. Dobbiamo forse attendere che dall’estero ci insegnino come utilizzare l’olio al meglio?

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LAVOROTURISMO.IT Oscar Galeazzi

amministratore Lavoroturismo.it

La videopresentazione per potenziare i contatti professionali I video sono diventati parte integrante della nostra vita, elemento fondante del successo dei social, strumento professionale di molte persone. Nonostante quest’ampia ‘video-pervasione’, pochi sono coloro che utilizzano il video per cercare lavoro. Eppure è provato che realizzare un video aumenta notevolmente il numero dei contatti, e di conseguenza aumenta le opportunità di lavoro. In LavoroTurismo da alcuni mesi è disponibile anche questo servizio; le aziende ci hanno confermato che nel confronto tra più candidati, nel primo contatto danno la priorità a coloro che hanno una video-presentazione. Salvo situazioni particolari, quando parliamo di video-presentazione, normalmente ci riferiamo a una ripresa fatta con un cellulare, della durata di circa un minuto. Tutti hanno la dotazione tecnica necessaria a realizzare il video, quello che spesso manca è: 1. la considerazione dell’importanza di questo strumento; 2. la voglia di superare normali imbarazzo e difficoltà iniziali; 3. la determinazione nell’impegnarsi a realizzare il video. Questi elementi determinano una percentuale di video-presentazioni bassa rispetto al totale, anche se il trend è in costante aumento. Suggerimenti per realizzare la video-presentazione • Una premessa importante: non è un caso che non ho mai utilizzato il termine un po’ fuorviante di “video-CV”: devi fare un video per presentare te stesso, non devi raccontare tutta la tua vita! • Il video ha la finalità di attirare l’interesse dell’azienda, 18

che poi leggerà i dettagli professionali nel curriculum; quindi non ti preoccupare delle informazioni non dette. • Il video è efficace se breve: la durata ideale è 60-90 secondi, massimo 120; se lo fai più lungo rischi che le persone smettano di guardarlo, ma ti accorgerai che 60-90 secondi… durano tantissimo! • Prima di caricare il video guardalo; se non ti piace fai un nuovo video! Cosa dire Una video-presentazione si compone di norma di: • saluto iniziale + come mi chiamo (prima il nome poi il cognome); • città di domicilio + anno di nascita (l’indicazione dell’età è facoltativa); • sintesi delle esperienze di lavoro, descritte sommariamente accorpandole e evidenziando le più recenti; • migliori competenze, professionali e linguistiche (se ci sono): in cosa sei più bravo o più portato; • (facoltativo) la tua formazione, attinente alla professione per la quale ti proponi; • che mansione/i stai valutando (ti consiglio più ruoli, ed evita di comunicare preferenze); • ringraziamento per l’attenzione e saluto finale. Cosa non dire Nel momento in cui fai il video NON SAI: • che tipo di azienda e persona guarderà il video: titolare, capo servizio, recruiter esterno?; • quando il tuo video sarà visto: subito, fra quale mese…? • per quale posizione l’azienda ti sta valutando: per il tuo ruolo attuale, per un ruolo più elevato/inferiore? Quindi... 1. Rimani sul generico, non ti sbilanciare in nulla. 2. Non comunicare preferenze per ruolo, tipo di azienda e luoghi di lavoro. 3. Non fare riferimenti temporali: prossima estate, quest’anno… Cinque consigli tecnici 1. Scegli un ambiente silenzioso, con una buona illuminazione e uno sfondo neutro. 2. Vestititi come se dovessi svolgere il colloquio di persona. 3. Appoggia il cellulare su una superficie stabile, non tenerlo in mano. 4. Cura il linguaggio del corpo non toccarti viso e capelli, e non gesticolare troppo. 5. Mentre parli… sorridi! Buona video-presentazione a tutti! | aprile 2022



FARE RISTORAZIONE Autrice: Giulia Zampieri

Come reagireste se vi dicessero che una ragazza italiana in una carbonara, al posto del guanciale, ci ha messo dello speck altoatesino? Sono pronta a contare le espressioni indignate, il disappunto della maggior parte dei lettori. Eppure quella ricetta, nata per esigenza e senza premeditazioni, che rispettava tutti i canoni della carbonara tradizionale eccetto che per l’utilizzo del salume, in quell’occasione generò un lodevolissimo lieto fine. Nessuna bocciatura né rivolte romane: la famiglia altoatesina, che tanto desiderava provare quel piatto, lo apprezzò moltissimo. Furono talmente soddisfatti che abbracciarono la cuoca e la accolsero, da quel momento, con un sorriso diverso.

Il punto di contatto Incontro. Questo accade, da secoli, ogni volta che si verifica un’interazione culturale mediata dal cibo. Se ci sono i presupposti buoni, se c’è scambio, c’è accoglienza. Chi ragiona per schemi rigidi e non considera il cibo per il suo significato conviviale si preclude la possibilità di includere. Vale per chi cucina, come per chi è seduto a tavola: rifiutare a priori l’assaggio è una mancata occasione di integrazione tanto quanto lo è rifiutarsi di introdurre in cucina una materia prima nuova. Il cibo è un ponte, un varco, un anello di congiunzione, un punto di contatto, non è mero nutrimento. Non lo è mai stato. Il viaggio accentua sempre queste prodigiose attitudini; ogni volta che incontriamo un sistema gastronomico con codici diversi, che sia in estremo Occidente o in Oriente, oppure in una città vicina, nella nostra regione o nel nostro continente, si genera del movimento, si attiva del dialogo tra identità. Insorge, dunque, l’esigenza di scegliere: se provare o non provare, se farsi includere o farsi escludere, se esprimersi o redimersi. In passato il processo inclusivo di un prodotto avveniva in tempi lunghissimi; pensiamo alla patata e al pomodoro, due secoli da ignoti prima di essere sperimentati nelle cucine europee. Oggi l’introduzione di un nuovo ingrediente in un contesto culinario e gastronomico avviene piuttosto rapidamente, complici la globalizzazione, la veloce diffusione delle informazioni, la maggior predisposizione dei popoli verso la novità. E probabilmente anche l’accoglienza di un alimento o di un individuo avviene con più facilità. Di fatto c’è che il cibo ha un potere sociale sconfinato e con gli strumenti e la conoscenza odierna si possono fare cose straordinarie. Anche al ristorante.

Il potere sociale del cibo

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Rie Otsuka

La cucina di Rie, in Valtellina C’è sicuramente molto di quanto detto finora nell’esperienza di Rie Otsuka, chef del ristorante Orterie a Villa di Tirano, in Valtellina. Rie, di origini giapponesi, si è avvicinata alla cucina da giovanissima: non si riconosceva nel contesto alimentare tradizionale, onnivoro, e per questo ha iniziato a sperimentare la preparazione di ogni sorta di vegetali, creandosi delle alternative personali al cibo di casa. L’esigenza è diventata hobby, poi passione vera e propria, al punto da spingere Rie a trasferirsi in Europa puntando la Francia o l’Italia. La scelta, ricaduta sulla seconda, non ha offerto subito le opportunità sperate: a Firenze, primo atterraggio di Rie, sino a qualche anno fa la carne era pressoché l’unica trama concepita nei ristoranti e nelle trattorie. Insomma, non il posto più gastronomicamente confortevole quando si pratica una dieta vegana e si vuole allargare le proprie conoscenze. E - e a questo ci pensano in pochi - per Rie anche trovare un pasto per il personale conforme alle sue scelte alimentari

La sala di Orterie

(in alcuni casi esigenze) sarebbe stato importante. Ma a Milano c’era già uno chef di grande apertura e rispetto che faceva parlare di sé è della cucina vegetale: Pietro Leemann, al Joia, primo ristorante vegetariano europeo ad aver ricevuto una stella Michelin. Da Pietro, dove Rie si è fermata due anni, c’è stato tanto da attingere, ed è avvenuto pure l’incontro con suo attuale marito, Francesco Andreotta, anche lui militante in cucina. Nel 2015 Rie e Francesco hanno aperto Orterie - un locale, in Valtellina, che nel nome contiene la parola orto: da quello di proprietà raccolgono le materie prime, poi trasformate con la mano pacata e creativa di Rie. “Non cuciniamo né carne né pesce, il nostro menu ruota attorno a piatti vegetariani e vegani, ma non ci piace rientrare in una categoria né escludere alcun tipo di cucina. Orterie vuole essere un luogo inclusivo” - spiega Rie, che trasmette dal tono di voce una grande determinazione. “Pratico una cucina molto fusion, inevitabilmente, con una decisa impronta giapponese. Ma anche in questo

Rie e Francesco

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Mario Porcelli

caso preferiamo non incasellarci. È semplicemente la nostra cucina, che mette insieme prodotti e tecniche per raccontare qualcosa di nuovo”. A Francesco, invece, che ora si occupa della sala, spetta il compito importante di veicolare questo pensiero agli ospiti. “Chi entra qui è come se entrasse nella nostra casa” - apre Francesco. “Il nostro è un ‘abbraccio’ nei gesti sicuramente, ma anche un abbraccio gastronomico. Vogliamo mettere a proprio agio le persone attraverso il cibo di Rie. Proponiamo un menu di sette portate che cambia praticamente in base al raccolto dell’orto, Rie lavora con grande rispetto per il prodotto e per i palati che ci sono in sala. Molti scelgono di comporsi un piccolo percorso di degustazione, altri prendono tutto il menu. La soddisfazione più grande? Vedere chi entra scettico rispetto alla cucina vegetale alzarsi soddisfatto e felice!”

La spesa inclusiva “Cerco di prendere il meglio da ogni luogo”. È questa, in sintesi, la filosofia in cucina di Mario Porcelli, chef all’Alpenroyal Gourmet, ristorante all’interno dell’omonimo hotel a Selva di Val Gardena. Una sintesi, appunto, perché le ideologie e il lavoro che c’è nel dietro alle quinte nella sua quotidianità è decisamente più articolato. Di origini pugliesi, - dove ha vissuto le prime esperienze ai fuochi - Mario si è trasferito dal 2005 tra le montagne del Nord Italia. Per qualche anno ha militato a fianco di Felix Lo basso, a cui è subentrato quando lo chef si è trasferito a Milano per aprire una propria insegna. “Sono pugliese, ho una moglie sarda, vivo in montagna, ho dei collaboratori siciliani e amo provare qualsiasi genere di ingrediente” ci saluta così Mario, instillando 22

non poca curiosità sulla sua identità gastronomica. “La parola viaggio è abbastanza utilizzata di questi tempi, ma non saprei come altro definire il mio modo di vedere la cucina. Attingo prodotti da ogni regione, da qualsiasi territorio. Quando non conosco un cibo lo compro, lo provo, penso a come introdurlo, agli abbinamenti che potrebbero funzionare. È un mio modo di vedere, ma per me la cucina ingloba, mette in relazione”. La sua è spesa che potremmo definire inclusiva, pronta ad accogliere l’ignoto. Una scelta che, scopriamo, genera anche moltissime opportunità di relazione con il cliente. “Qui abbiamo tre menu degustazione: Tradizione in evoluzione, Omaggio alle Dolomiti e Terra, che è vegetariano. Lo spazio per il territorio limitrofo c’è, ma ci sono tantissimi sapori esterofili. Il cliente si stupisce sia se incontra un prodotto sconosciuto (vi cito per esempio l’Abalone del Pacifico, una specie di ostrica davvero particolare), sia di ritrova un cibo particolare della propria terra. Non nell’osteria del proprio paese, ma in un ristorante a migliaia chilometri da casa, a Bolzano. Questo dal punto di vista dell’ingredientistica e della contaminazione gastronomica, ma c’è un’altra opportunità speciale per chi cucina. Sta proprio nell’atto di cucinare. Saper cucinare, a qualunque livello, è un passepartout sociale. A me, e immagino a molti miei colleghi, capita spesso di farlo anche fuori del ristorante, in un contesto sociale, amichevole. | aprile 2022


Quando si ama la cucina, e tutto ciò che esse comporta, non ci si può tirare indietro di fronte a una spaghettata di gruppo. C’è sempre un argomento in comune, un linguaggio condiviso, quando si cucina per qualcun’altro o con qualcun’altro”. Il bello del cibo.

Il cibo da condividere “Non ci invitiamo l’un l’altro per mangiare e bere semplicemente, ma per mangiare e bere insieme” scriveva Plutarco in una delle Dispute conviviali. Che bella parola… insieme! Quando si mangia assieme, nello stesso momento, avvolti dalla stessa atmosfera, si fa parte dello stesso gruppo, della stessa famiglia, si è un elemento di un insieme. La casa e la tavola sono il luogo in cui, per definizione, avviene il ritrovo, si raccoglie la dimensione familiare. È la sede delle discussioni e dei confronti, il terreno fertile dei progetti. Sembra un concetto consolidato, quello del valore della casa e del suo spazio di cucina, inviolabile, eppure dovremmo allarmarci perché i dati degli ultimi anni tratteggiano un’immagine sensibilmente diversa: sempre più persone mangiano sole, in modo frugale e distratto, cibo non cucinato ma acquistato al supermercato o da asporto, davanti a un telefono o alla tv. Questo mangiare solitario suona come un rifiuto della socialità, dell’interazione, della condivisione, esattamente come lo era per gli eremiti che mangiavano isolati cibi non cotti trovati qua e là. Il ruolo che hanno le attività di ristorazione è in questo periodo storico fondamentale: è ormai solo al ristorante che avvengono le interazioni tra le persone. Fa male, molto male, vedere sguardi persi negli smartphone e conversazioni mediate da altri fattori quando si esce a cena. È fisiologico che sia così, l’abitudine dal proprio nido viene trascinata anche fuori. Ma è comunque preoccupante. C’è chi è intervenuto ‘vietando’ l’utilizzo del telefono nel proprio locale; chi ha studiato menu da condividere per sollecitare le persone allo scambio, e spesso funzionano. Anche la pandemia non ha aiutato, certo, ma creare i presupposti per l’incontro sano, vero, bello, a tavola, è ormai una responsabilità per chi fa questo mestiere. Per chi, a

La sala dell’Alpenroyal Gourmet

suo modo, è padrone di casa e deve accogliere persone sempre più sole e smarrite e con l’ingegno più accentuare il godimento.

La tavola, uno spazio da custodire C’è stato un momento cruciale nella storia del mangiare condiviso: l’introduzione della tavola rotonda, al posto di quella rettangolare, per rimarcare l’assenza di gerarchie tra i commensali. Oggi molte abitazioni non hanno più né tavolo quadrato né rotondo, ma un bancone di sosta in cui prendere la colazione o appoggiarsi per un pasto veloce. Altre case, addirittura, non ce l’hanno proprio il tavolo, neppure un accenno, e la cucina è ridotta all’osso. Questa tendenza appartiene soprattutto ad altri Paesi, in Italia è ancora una corrente timida (per fortuna). La maggior parte di noi riserva ancora alla tavola di casa un posto speciale, non tanto per il quotidiano quanto per l’occasione: la ricorrenza, la festa tra amici, l’adunata familiare si consuma lì. Ma se tanto ci da tanto, dobbiamo stare in allerta ed essere protezionisti - in questo caso sì - e opporci a questo stravolgimento che sta iniziando a bussare alle nostre porte. La tavola rappresenta lo spazio più importante di una casa, come abbiamo già detto, non solo perché è la sede del nutrimento. Vale allo stesso modo quando si tratta di mangiare fuori casa. È bellissimo rintracciare in molti locali moderni tavoli conviviali che facilitano il dialogo tra le persone, anche tra estranei. La sensazione di essersi portati via qualcosa di più di una semplice cena, per quanto possa essere stratosferico il menu, dopo aver vissuto un’esperienza così, fianco a fianco a un volto nuovo, è per molti un validissimo motivo per uscire a cena. È altrettanto piacevole avere la possibilità di sedersi a tu per tu con la cucina - in quello che alcuni ristoranti chiamano chef table, altri semplicemente tavolo di fronte alla cucina! - perché osservare il cibo mentre viene preparato, mentre viene cotto e impiattato porta ad interiorizzarlo con più intensità. Si assorbe il gesto, profondissimo, di qualcuno che cucina per noi, prima che iniziare ad assorbire dell’altro. Non smarriamo la tavola e nemmeno la cucina, due potenti spazi di socialità e integrazione!


Una ricetta dello chef

S CO PR I IL G U S TO D E LL A LE NTE Z Z A La linea di salumi Coati ispira la creatività di Mauro Buffo, chef stellato del ristorante 12 Apostoli. Da oggi anche in formato vaschetta: affettata e posizionata a mano, mantiene intatto gusto e sapore. Scopri le ricette Lenta dello chef Buffo sui nostri social.

S A LU M I F I C I O C OAT I.I T


FARE RISTORAZIONE Autore: Luigi Franchi

Il Rapporto Ristorazione 2021 di Fipe-Confcommercio Mai come quest’anno è evidente l’utilità di questa indagine

Il 23 marzo scorso, a Roma, è stato presentato l’abituale Rapporto Ristorazione di FIPE-Confcommercio. I dati illustrati da Luciano Sbraga, direttore del centro studi FIPE, riguardanti il 2021, hanno contribuito, come ogni anno, a tracciare un quadro veritiero dello stato dell’arte della ristorazione in Italia; un’analisi più che mai necessaria per capire cosa significa fare ristorazione, gestire un’attività così complessa, in un periodo così difficile e che non si è mai vissuto dal dopoguerra del secolo scorso.

I risultati più evidenti Il primo dato che balza agli occhi è che, per 6 imprese su 10, il ritorno ai fatturati pre-Covid non arriverà prima del 2023. Prosegue, inoltre, l’emergenza occupazionale, con 194mila professionisti di bar e ristoranti persi nel periodo della pandemia. Le principali motivazioni alla base della difficoltà di reclutamento del personale sono le competenze inadeguate (40,3%), la penuria di candidati (33,5%) e le misure di sostegno al reddito che disincentivano la ricerca di lavoro (32,4%) da interpretare anche alla luce di considerazioni sulla scarsa attrattività del lavoro. Questo dato evidenzia come sia importante, anzi, indispensabile, come ha dichiarato Lino Stoppani, presidente FIPE, “dare la giusta stabilità al settore per dare prospettive e sicurezza sul lavoro”. Tutto ciò significa rivedere il sistema fiscale, i contratti di lavoro e buona parte delle regole che governano il comparto. Un lavoro immane ma necessario per dare continuità a un settore estremamente importante anche per il turismo che, non dimentichiamolo, rappresenta uno dei principali asset del Paese.

L’aumento dei costi Dopo l’emergenza Covid una guerra nel cuore dell’Europa. Una tempesta perfetta che ha avuto le prime ricadute sui costi di materie prime ed energia che hanno subito un’impennata straordinaria: l’87% degli imprenditori ha registrato un aumento della bolletta energetica fino al 50% e del 25% per i prodotti alimentari. Costi che, per il momento, non sono ricaduti sugli ospiti dei pubblici esercizi: infatti nel febbraio 2022 lo scontrino medio è salito solo del 3,3% rispetto a un valore generale dei prezzi aumentato del 5,7%. Il 56,3% di bar e ristoranti non prevede di rivedere a breve il rialzo dei propri listini prezzi.

Il focus su aperture e chiusure Il Rapporto evidenzia come “nel 2021 hanno avviato l’attività 8.942 imprese mentre circa 23.000 l’hanno cessata. Il saldo negativo per quasi 14mila unità. Si conferma, per il secondo anno, la forte frenata della nascita di nuove imprese e la contestuale accelerazione di quelle che chiudono, che nel biennio 2020/2021, toccano la soglia di 45 mila cessazioni. Che il sentiment degli imprenditori non sia orientato all’ottimi22.894

8.942

-13.952 Iscrizioni

Cessazioni

saldo

Servizi di ristorazione: movimprese 2021

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il fatturato della sua impresa nel 2021 rispetto al 2020

smo emerge con chiarezza dalle valutazioni sulle performance economiche delle aziende. Oltre il 71% dichiara di aver registrato una contrazione del proprio fatturato rispetto al 2020. Tra queste ben il 32% ha lamentato una diminuzione che va oltre il 20%. Per appena il 16% delle imprese il 2021 stato l’anno della parziale ripartenza. Per queste imprese il fatturato è cresciuto, anche se per la maggioranza di esse di meno del 10%”.

I consumi e il green pass “L’andamento dei consumi – prosegue il Rapporto illustrato da Luciano Sbraga - resta la cartina di tornasole più efficace di quanto dichiarato dalle imprese. In due anni il settore ha cumulato perdite di domanda per oltre 57 miliardi di euro. La perdita più consistente è quella del 2020, con il doppio lockdown di inizio e fine anno, che ha generato una contrazione dei consumi pari a 33 miliardi di euro. Nel 2021, a seguito dell’allentamento delle misure restrittive sul finire del primo semestre, si è registrato un trend di ripartenza della domanda che, tuttavia, è rimasta al di sotto dei livelli del 2019 di circa 26 punti percentuali quantificabili in più di 23 miliardi di euro. È importante ricordare che il comparto della ristorazione fino a maggio 2021 è stato oggetto di un crescendo di misure restrittive collegate all’evoluzione delle fasce di rischio delle Regioni. Solo a partire dal primo giugno è stato possi-

bile riprendere in pieno l’attività sempre, tuttavia, nel rispetto delle misure di sicurezza previste dalle linee guida dettate dalle Regioni per il contrasto della pandemia. L’introduzione, il 6 agosto 2021, dell’obbligo di green pass per la clientela avveniva non solo in piena stagione estiva ma in un periodo nel quale il numero dei non vaccinati sul totale della popolazione over 12 anni era pari a un terzo del totale. In definitiva a 17 milioni di italiani veniva impedito di entrare in un ristorante o di stare seduti all’interno di un bar. il 72% delle imprese ha dovuto registrare qualche inconveniente, in particolare per la richiesta di esibizione del certificato”. Di conseguenza, quello che doveva essere l’anno della ripartenza, il 2021, ha mantenuto la promessa solo per il 16% delle imprese, i cui fatturati sono cresciuti, mai però più del 10%. Per il 73% degli imprenditori, invece, il calo del volume di affari è stato verticale, a causa delle lunghe limitazioni con conseguente contrazione dei consumi. Gli italiani hanno speso oltre 24 miliardi di euro in meno nei servizi di ristorazione rispetto al 2019, equivalente al 27,9%. Le imprese hanno comunque prestato grande attenzione ai controlli: quasi irrilevante il numero di imprese sanzionate per non aver chiesto il certificato verde ai clienti (solo lo 0,8% è stata multata per l’omissione, a fronte di controlli estesi a oltre il 55% dei pubblici esercizi italiani).

Le principali motivazioni per le quali il fatturato della sua azienda si è ridotto nel corso del 2021 rispetto al 2020

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RITRATTI

Dove inizia la libertà Vittorio “Gianni” Capovilla Autrice: Simona Vitali

Scegliere che vita vivere, e continuare a volerlo a qualsiasi costo, è affermare la propria libertà. Lo sa bene Vittorio “Gianni” Capovilla, considerato dai grandi esperti internazionali - senza esitazione - il miglior distillatore del mondo, che, in quel di Rosà (VC), ha deciso di assecondare il vento della vita, ogni volta che si è alzato a indicargli che era ora di cambiare, finché la sua strada non si è fatta riconoscere, nitida e inequivocabile. E lui l’ha semplicemente abbracciata.

Vittorio “Gianni” Capovilla

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Meccanico di macchine da corsa prestato, per via della sua conoscenza della lingua tedesca, alla vendita di attrezzature per l’enologia per conto di un industriale suo cliente, è frequentando Paesi come Austria, Germania, Svizzera che entra in contatto con una cultura della distillazione diversa e molto ma molto più diffusa rispetto a quella dell’Italia, dove le distillerie sono un numero esiguo (128 contro 30.000 della Germania e 90.000 dell’Austria).

Il primo alambicco Quell’approccio gli apre gli occhi, restituendogli il senso del fare le cose in un certo modo, e sempre meno accetta di vedere la quasi totalità dei suoi colleghi, operai dell’azienda, alle prese con quelli che loro ritengono essere alambicchi, costruiti la sera a casa propria per poter farsi la grappa, che poi si rivela di pessima qualità. “Questi alambicchi non vanno bene - li ammonisce Capovilla – non ci sono i metalli giusti, non c’è la forma adeguata, no all’acciaio inossidabile, ci vuole il rame fino ad un certo punto però...”. Pronta la risposta degli orgogliosi colleghi “Seto sempre tuto ti? Prova ti!” (Sai sempre tutto te? Prova te!) finché non vengono presi sul serio. Gianni Capovilla decide di farsi costruire in Austria un alambicco a bagnomaria da 80 litri e poi si ingegna a farlo arrivare in Italia un pezzo alla volta, “perché allora le frontiere erano frontiere” ricorda divertito. E aggiunge “così ho cominciato a ‘giocare’, distillando 10 anni per hobby, nel mentre chiedevo consigli ai professionisti che incontravo quotidianamente per lavoro, mettevo a fuoco i grandi distillatori d’Europa a cui facevo puntualmente visita, continuavo a studiare e cercavo, cosa non semplice, il posto giusto per partire, che poi ho individuato nei rustici annessi a villa Dolfin Boldù a Rosà. E via via si faceva chiaro il pensiero che era con le mani che volevo lavorare e che questo era il momento di fare il salto, perché quello che stavo facendo – pur dandomi soddisfazioni – non era il mio lavoro. Convinzione e forza fisica erano dalla mia parte. Se avessi rimandato, qualcosa avrebbe potuto venire meno”.

La scelta di distillare frutta a bagnomaria E fin dal primo istante la scelta ortodossa di distillare a bagnomaria: doppia distillazione con un impiego di molto tempo e molta energia che, per chi punta al business, sono considerati folli ma per chi aspira a una qualità eccelsa è un sacrificio indispensabile. C’è poi il riposo in contenitori di acciaio inox per un paio d’anni, a maturare (processo di esterificazione) e infine la diluizione con acqua di sorgente. L’alcool che si ottiene è leggerissimo e digeribile, tutt’altra cosa ri-

Le etichette scritte a mano


spetto a quello ricavato con il sistema industriale certamente più rapido ed economico. Un iniziale approccio con la vinaccia e poi la scelta, decisa, di distillare prioritariamente la frutta, come da immemorabile tempo (fine ‘700/inizio ‘800) si usa fare nei paesi mitteleuropei con tutto ciò che è invenduto, in esubero. Assaggiando quelli che venivano definiti i migliori distillati Gianni Capovilla si domandava “possibile che non si riesca a fare di meglio?”. La sua convinzione era ed è a tutt’oggi che a volere veramente si può riuscire. Certo, costa fatica ma i risultati arrivano. Così si fa strada l’intuizione che la frutta debba essere fresca, di prim’ordine e non trattata. I suoi esperimenti suggeriscono che più è buona e migliore è il risultato. Non solo, ogni varietà va interpretata, ha un suo momento ideale per essere colta e trasformata: c’è quella che dà il meglio di sé quando è molto matura e quella che bisogna raccogliere per tempo, perché poi non avrà più quella freschezza aromatica. Solo l’esperienza lo può insegnare. Ecco uno scatto non indifferente rispetto alla più parte dei distillatori austriaci e tedeschi, che producono distillati rustici, avendo l’abitudine di accatastare la frutta non più vendibile (non fresca) in cassoni, dove inizia una fermentazione spontanea che si protrae fino all’inverno, quando trovano il tempo per distillare. Anche in quei Paesi vocati, i bravi distillatori non sono numerosi ma per fortuna ci sono e per Gianni Capovilla diventano interlocutori importanti.

Cosa significa distillare in purezza La sua scelta è chiara fin da subito: produrre distillati puri, dove l’alcool deriva esclusivamente dalla fermentazione degli zuccheri naturali del frutto (e, tra l’altro, non vi è alcuna aggiunta di zuccheri, aromi, coloranti che la normativa italiana consentirebbe), operazione che richiede ingenti quantitativi di frutta: ne occorrono infatti tra i 30 e i 60kg, e poi - come dicevamo - di qualità eccelsa, per poter fare un solo litro di distillato. E se anche 25 anni fa in Italia c’era poca conoscenza dell’argomento: ”È una grappa alla frutta?” – gli chiedevano - ”No è un distillato” rispondeva Gianni Capovilla spiegando la differenza, didattico come pochi e con quella dovizia di particolari che fa così onore, lui procedeva comunque spedito nei suoi intenti, come il piantare vecchie varietà di frutta, perlomeno quelle che non si trovano facilmente (Mirabelle di Nancy, pesche selvatiche a pasta rossa, vecchie varietà di albicocche, pere moscatello...), in quattro ettari di terreno rigorosamente coltivati a biologico, che nel 1996 hanno portato la distilleria a divenire azienda agricola. Altra frutta la reperiva e reperisce dove cresce al meglio e quella selvatica e le bacche le raccoglie personalmente, spostandosi con il suo inseparabile furgone.

La natura, le relazioni e le sperimentazioni all’infinito La natura lo riconduce con il pensiero all’infanzia: “Sono nato a Crespano del Grappa, dove i boschi e le

I distillati Capovilla

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valli erano il mio parco giochi. Non c’era frutto che, non appena prendeva colore, non fosse già mangiato!” racconta, come se avvertisse di non avere mai smesso di alimentare questo rapporto privilegiato con la natura. Quando è il momento giusto organizza anche qualche spedizione, magari in Toscana, in Maremma, a raccogliere il prugnolo gentile, le pere selvatiche, insieme a un gruppo di amici. È chiaro che i quantitativi raccolti non consentano di realizzare chissà quanti litri di distillato puro, ma questo è il prezzo del lavorare in qualità. Poi arrivano anche segnalazioni di zone da visionare. Insomma è tutto un allargare conoscenze. Alle relazioni Gianni Capovilla attribuisce molto valore. E le coltiva proprio. Anche quelle con bravi colleghi tedeschi e austriaci, ognuno alle prese con la distillazione di frutti locali, che gli allargano le vedute. Lui stesso non si dà limiti nella sperimentazione di varietà di frutta mai distillate prima, perché solo così si capisce. La fermentazione può cambiare gli aromi primari e formarne dei nuovi, pertanto se non si prova non si può sapere. E questo gli dà un senso di futuro ogni giorno: “non saprei come consumare meglio il mio tempo” è solito ripetere. Di fatto ha scelto la strada dell’autenticità che gli consente di parlare con trasparenza, senza mai stancarsi, di quel distillato puro, che non conosce “scorciatoie o aiutini di qualche tipo” come dice lui. Lo ha scelto, e continua a farlo, a discapito della possibilità di realizzare guadagni importanti. Anche questa è libertà.

I particolari parlano sempre In quelle bottiglie che Gianni Capovilla ha scelto per i suoi distillati, pulite, senza etichetta alcuna, ma con carta d’identità scritta a mano!, fermata da un legaccio sul tappo intriso di ceralacca del colore del frutto di quel distillato (ecco la finezza di far materializzare la trasparenza), c’è tutta la sua visione pragmatica ma emozionale, condivisa con la figlia Olivia, figura competente e discreta, che lo affianca da tempo e lo appoggia anche nelle sue nuove scommesse. Come l’entrare, nel 2006, in società con un importatore e grande conoscitore di rhum, Luca Gargano, e un piccolo distillatore di Maria Galante in Guadalupa, Dominique Thiery, per produrre rhum con la stessa metodologia utilizzata per i distillati di frutta. Si tratta di un rhum agricole, ottenuto con il succo puro, e non diluito con acqua, della canna da zucchero pressata (bando all’utilizzo della melassa). Questa particolare tecnica della pressatura che i distillatori locali (caraibici) non utilizzano e l’inconfondibile metodo di distillazione e fermentazione di Gianni Capovilla, consentono di lasciare inalterata la ricchezza della materia prima. Ne esce un rhum sorprendente, che non ha paragoni perché unico nel suo genere e

questo già nella versione di Rhum bianco, figuriamoci l’invecchiato in botti di pregio. Provare per credere! Nel cortile della distilleria svetta un nodoso ed armonico gelso, nato trent’anni fa da un seme caduto nell’aiuola, che spalanca i suoi rami come braccia verso il cielo, raccogliendo sotto la sua ombra molte e diverse storie, perché tutti gli ospiti è lì che sostano. Chissà in quanti lo hanno riconosciuto come il simbolo dell’accoglienza calda di quel luogo... Lo stesso Josko Gravner, quando scende a portare le vinacce, si dedica a rifinire personalmente la sua potatura, e magari qualcuno si chiede anche il perché...questione di sensibilità.

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TREND Autore: Guido Parri

Nella scorsa edizione di Hospitality, la fiera di Riva del Garda dedicata alla ristorazione e all’ospitalità, si è svolto un convegno a cui hanno partecipato Andrea Marchi, presidente di Cateringross, e Benhur Tondini, amministratore dell’azienda di distribuzione F.lli Tondini, associata al gruppo. L’incontro, moderato dal direttore di questa rivista, Luigi Franchi, verteva sul mercato del pesce nella ristorazione e ve ne riportiamo alcuni stralci. Questa crisi, dettata dalla tempesta perfetta tra pandemia e guerra, ha cambiato le regole del mercato in generale: trasporti e logistica con costi alle stelle, stati che per protezionismo non esportano, temi come la salvaguardia dell’ambiente rimessi in discussione: il distributore, oltre alle aziende produttrici, non ha molti margini di manovra per governare il mercato. Anche nell’ittico la situazione è complessa: come riuscite a farvi fronte quando dovete rifornire i ristoranti? Risponde Andrea Marchi – “Commenterei questa domanda con tre parole: volontà, formazione e organizzazione. Volontà perché questo è un mercato che, nella sua globalità, sta diventando sempre più difficile e complesso, visto l’aumento eccessivo e la scarsità delle materie prime e dei costi energetici. In questo scenario il compito primario del distributore dell’HoReCa è quello di essere di supporto fattivo rispetto al cliente ristoratore andando incontro alle se esigenze che significano, per fare un esempio, spazi limitati di stoccaggio merce. E il distributore deve esserne consapevole. È finito il tempo di un ordine alla settimana, oggi il cliente deve essere seguito quasi giornalmente e questo significa avere la volontà di farlo senza far ricadere i costi logi-

Il consumo di pesce nella ristorazione com’è cambiato il mercato

Da sinistra Andrea Marchi, Luigi Franchi, Benhur Tondini


stici sul cliente stesso. Formazione è la seconda parola importante: aiutare il ristoratore a conoscere il mercato, specie nell’ittico, fargli capire che non ci sono solo alcuni mari e poche referenze, formarli sul fatto che ci sono momenti di pesca che comportano un freno al pescato fresco e che quindi occorre una diversa e più matura visione del surgelato; qui entra in gioco il nostro ruolo di distributore che deve garantire un corretto stoccaggio affinché i prodotti non subiscano dei processi di deterioramento. Tanta formazione dedicata al fatto che non si può utilizzare solo il filetto del pesce. Il pesce ha dei tagli anatomici che sono ideali per determinate ricettazioni e questo permette di ridurre lo spreco in maniera considerevole. Infine l’organizzazione. Una parola che noi, prima ancora dei clienti, abbiamo dovuto fare nostra perché oggi la logistica è tutto nel mestiere del distributore. Abbiamo in media tra le 6.000 e le 8.000 referenze nei nostri magazzini, se non c’è un’adeguata organizzazione i costi andrebbero alle stelle e dobbiamo far capire al ristoratore che, anche nel suo piccolo, ad esempio in un uso corretto dei frigoriferi, occorre organizzazione per evitare sprechi, odori sgradevoli, materie prime che scadono prima che lo chef se ne accorga. L’organizzazione è indispensabile quando si ha a che fare con il cibo, ancora di più se si tratta di ittico fresco”. Merluzzo, salmone e gamberi ovunque sui menu, seguiti da tonno, spada, orate e branzini, ma non ci

sono solo queste specie, anzi ce ne sono almeno altre 700 nel Mediterraneo e 10.000 negli oceani del mondo: perché non c’è cultura di prodotto, non si vuole cercare di spingere anche altre specie e cosa può fare un distributore verso i propri clienti ristoratori? Risponde Benhur Tondini – “Si può dire che si stava meglio quando si stava peggio? Non credo! Fino a vent’anni fa si andava in pescheria e c’era solo il palombo. Oggi non è più così. È vero quello che dici, hai citato famiglie ittiche che sono le più altovendenti, ancora poche sono le specie utilizzate. Da un’analisi fatta tra i soci di Cateringross ci sono, infatti, solo dieci famiglie di ittico che fanno l’80% del fatturato e il gruppo, devi considerare, rappresenta appieno il mercato del fuori casa in Italia. Ma qualcosa sta cambiando, è un processo lento ma importante, oggi la cultura ittica è diffusa un po’ dappertutto, le persone prestano attenzione all’etichetta più di prima, il ristoratore, lo chef riconoscono il valore del pesce nelle proposte. Il mare non è una fabbrica, il mare è natura e come tale va considerato. Se mancano alcune specie in determinati periodi o il polpo del Marocco, per fare un esempio, non c’è dobbiamo farlo capire ai nostri clienti, proponendo altre tipologie che vadano ad arricchire la loro proposta gastronomica. Il ruolo del distributore è fare informazione corretta verso la ristorazione formando a sua volta i propri agenti di vendita”. | aprile 2022

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Torniamo un attimo alla situazione attuale: il consumo di pesce oggi vale 27 kg pro-capite e cresce di anno in anno. In questa situazione complicata può valere la pena di puntare solo sull’italianità dei mari? Oppure è l’acquacoltura che può in qualche modo sopperire ai problemi? Risponde Andrea Marchi – “Per quanto riguarda il mercato della ristorazione è estremamente importante ridefinire l’agente di vendita come ‘gestore’ del cliente. Cosa significa questo? Che per l’ittico, per non spaziare oltre, avere un gestore di clienti vuol dire che quel professionista deve sapere tutto del mercato. Per questo facciamo corsi di cucina nelle nostre aziende dove abbiamo gli stessi forni, le stesse piastre e friggitrici che usano i nostri clienti. Questo perché di quel determinato prodotto il nostro agente deve sapere tutto, a cominciare dalla resa nei vari tipi di cottura per aiutare il ristoratore a fare un food cost del piatto che sia corretto. Questo è solo un esempio del grande lavoro di back-office che si fa prima di vendere. Per quanto riguarda la situazione attuale, l’acquacoltura rappresenta uno dei nostri mercati più importanti ma è indispensabile introdurre delle regole per fare in modo che siano sempre di più gli allevamenti sostenibili nel mondo, perché le persone devono poter mangiare sano. Ne va del sistema sociale che attorno al cibo movimenta anche altri fattori, tra cui la salute. L’italianità gioca un ruolo fondamentale ma sembra che siamo bravi solo ad allevare cozze e vongole, invece si deve arrivare a creare allevamenti che possano proporre altre specie. Abbiamo un mare che ha una sapidità che rende il pescato italiano unico per gusto e sapore, occorre valorizzarlo, più di quanto sia stato fatto finora. Piccole acquacolture che diano il giusto tempo di crescita al pesce rappresenta la soluzione ideale”.

Voi avete dato vita a un modello di distribuzione nell’ittico che non ha precedenti, quattro aziende che hanno deciso di fondersi in una sola per uno specifico mercato: come è nata l’idea, quali opportunità offre, come reagisce il comparto della ristorazione? Risponde Benhur Tondini – “Parto dall’ultima delle tue domande. Il comparto sta reagendo benissimo al nostro modello distributivo. Quattro aziende che operano tra Lombardia, Veneto e Alto Adige, hanno messo da parte ogni aspetto legato alla concorrenza, per dar vita a un gruppo che si chiama Roat divisione ittico che si presenta su un mercato di sedici province con un listino unico, le consegne in tempo reale, un fatturato aggregato pari a 100 milioni di euro, una rete di agenti di vendita o ‘gestori del cliente’, come ha precisato Andrea, che sanno consigliare il ristoratore per il meglio del suo locale grazie a un assortimento dell’ittico che tiene conto di come si muove il marcato sia locale sia internazionale. Le quattro aziende sono Marchi spa, RZ Service, Foppa e la F.lli Tondini. Crediamo fortemente in questo progetto e nell’aggregazione che ci consente di essere forti e dinamici allo stesso tempo”.


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FARE RISTORAZIONE

Le nuove abitudini al ristorante Ne parliamo con Matteo Maenza e Juri Chiotti

Autrice: Giulia Zampieri Da tempo stiamo indagando il cambiamento delle abitudini al ristorante. Nessuna supposizione, chiediamo a chi fa esperienza diretta: il ristoratore o il personale.. Tirare le fila è complesso, ci sono moltissime variabili in questo frangente storico, l’incertezza economica in primis, un accenno di timore per il cambiamento climatico (finalmente). Ma la somma di alcune evidenze sta disegnando un profilo netto. Di cosa piace, di cosa si ritiene giusto e considerevole, sia per il cliente che per chi gestisce l’attività. Eccone due esempi.

Matteo Maenza, al ristorante Grual È interessante capire cosa sta accadendo nella dimensione alberghiera, quali sono le tendenze nelle insegne che si affacciano sia agli ospiti interni che esterni e a volte fungono da traino per la struttura stessa. Per anni in Italia il ristorante d’albergo ha avuto un’immagine tutt’altro che positiva; carenza di cura, mancanza di originalità, menu fissi orientati sulla quantità e non sulla qualità sono solo alcuni dei tanti fattori che hanno lasciato in penombra ristoranti di elevatissimo potenziale, destinati però ad essere solo il ricordo di grandi abbuffate nei periodi di vacanza. Non è più così, o non lo è per tutti: da nord a sud sono comparsi luoghi connotati da grande cucina e grande servizio, capaci di contribuire da un lato alla qualità dell’esperienza di pernottamento, dall’altro di attirare il pubblico curioso e interessato all’esperienza culinaria. Un bell’esempio lo troviamo al Grual, il ristorante gastronomico di Lefay Resort & SPA Dolomiti, a Pinzolo, in provincia di Trento. Matteo Maenza, qui executive chef da nove anni, ha un percorso sostanzioso, costruito tra Italia, Francia e Spagna ma volto ad inglobare qualsiasi genere di ingrediente e tecnica compaia sul mercato o nel corso della stagione. Le scelte del Grual sono precise: due percorsi degustazione aprono il menu (il primo, Il Sentiero, è di otto portate; il secondo, La Cima, di dodici) a seguire ci sono le proposte a la carte, contenute nel numero ma pensate per soddisfare qualsiasi desiderio dell’ospite. Il filo conduttore è la montagna, ed è molto originale la scelta di strutturare un menu ispirandosi all’altimetria: dal fondo valle all’alpeggio, sino alle alture.

Sella di Capriolo


Matteo Maenza

Significa poter assaggiare in un’unica esperienza dal pesce di lago al cervo o capriolo, passando per le uova di gallina allevate in alpeggio, osservando il paesaggio circostante dall’alto al basso. “La coerenza è un elemento basilare per la cucina del Grual ed è anche l’ingrediente che dovrebbe sempre caratterizzare un menu degustazione. La stessa idea dovrebbe accompagnare dall’inizio alla fine, anche se cambiano i prodotti, le tecniche, le ispirazioni. Il menu degustazione, anche se di poco, costituisce la prima scelta dei nostri clienti. In Italia c’è ancora molta resistenza, in altri Paesi, come la Francia, da tempo si è capito il senso di questa formula. In generale direi che il popolo straniero è più predisposto all’esperienza prestabilita, eccetto che per gli arabi che sono soliti condividere le pietanze e dunque un menu degustazione, per loro, risulta un po’ limitante. Con tutta probabilità andrà affermandosi anche qui: è il modo migliore per veicolare l’identità di una cucina, consente un servizio preciso e puntuale, riduce gli sprechi e, in questo periodo in cui la carenza di personale è un dato di fatto, aiuta ad organizzare meglio il lavoro”. Venendo al contenuto dei piatti e alle porzioni: “I piatti del menu degustazione - continua Matteo - sono in quantità ridotte per ovvie ragioni. Dovendo far assaggiare più portate c’è bisogno di calibrare adeguatamente le quantità, è fondamentale consentire al palato e alla pancia di arrivare in fondo senza appesantimenti. E poi è cruciale gestire i sapori in funzione della quantità, l’equilibrio tra sapori e porzione è importante. Se proponessi alcuni piatti del mio degustazione nelle misure del menu a la carta non si avrebbe lo stesso effetto, il piatto potrebbe risultare ridondante. Le porzioni piccole del menu degustazione, inoltre, aprono moltissime possibilità: il

La sala del ristorante Grual

ventaglio di sapori che si possono combinare in un piccolo assaggio è decisamente più ampio. Il cliente è sempre meno diffidente rispetto ai piccoli assaggi, sta iniziando a capirne il motivo e a spogliarsi da certi pregiudizi”. Incredibile questa svolta, se pensiamo che fino a qualche anno fa piovevano critiche, proprio riguardo alle porzioni dei ristoranti gastronomici (caratteristica che come ben saprete è stata ereditata dalla Nouvelle Cuisine). Anche sul fronte della natura materie prime impiegate sta avvenendo, da qualche anno, una vera rivoluzione. Ce lo conferma Matteo. “Sono di origini pugliesi, per me la verdura non è una moda… è un’abitudine alimentare! Ma sono anche molto felice di vedere che si sta innestando nelle preferenze delle persone. Sicuramente incide il diffondersi della dieta vegetariana o vegana, ma anche l’attenzione alla propria salute, al benessere fa il suo. C’è chi bada poco a questi aspetti ma predilige comunque più vegetali e pesce al ristorante; il motivo penso sia la non consuetudine domestica a consumare certi alimenti. La carne, i conservati e i sottoprodotti sono inevitabilmente più pratici per il consumo quotidiano. Per preparare pesce e verdure ci vuole più tempo, quindi quando si esce è facile che si abbia voglia di fare esperienza su questi generi alimentari, meglio se sono particolari e inaspettati. Siamo consapevoli di questa nuova corrente e lavoriamo molto in sperimentazione per stimolare la curiosità degli ospiti del Grual!”.

Grual Via Alpe di Grual, 16, 38086 Pinzolo TN - 0465 768800 grual.lefayresorts.com/it | aprile 2022

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Juri Chiotti, il cibo di montagna al Reis Di montagna e abitudini alimentari abbiamo parlato anche Juri Chiotti, un giovane che ha le idee chiare sulla sua missione e sul ruolo che dovrebbe avere la cucina. Potremmo dire molte cose sul passato di Juri, per esempio che a 25 anni ha ottenuto la stella Michelin, ma non renderebbe onore alla conversazione che abbiamo intrapreso. Juri non accenna al passato, parla di presente e di futuro, di contatto con le persone, con gli animali, con l’ambiente. Da poco lui e il suoi Reis si sono trasferiti da Frassino, nel vallone di Valmala, nella piccola località di Chiot Martin, a mille metri d’altezza, in quello che era il fienile di famiglia e ora, dopo oltre un anno di interventi, è diventato un luogo dove entrare in connessione con una dimensione naturale integra. “Da cinque anni stiamo battendo chiodo su alcuni temi per noi primari, su tutti che il cibo non è buono solo quando allieta le papille gustative, è buono quando viene prodotto rispettando una certa etica, è buono quando ha un basso impatto ambientale, è buono quando rispetta un’idea e una filosofia di vita. Ci riteniamo fortunati perché da quando abbiamo aperto Reis, che significa radici, molte persone si sono affacciate dimostrando condivisione di valori e pensieri. Quando c’è sintonia tra chi visita e chi ospita è più bello per entrambe le parti, si trova il senso di questo mestiere. Un risultato importante, per noi, è che i clienti difficilmente rimangono spiazzati quando si trovano di fronte al nostro menu, corto e intimamente legato alle stagioni: vengono qui già informati, già preparati a vivere un certo tipo di esperienza, sicuramente molto diversa da quella offerta da un locale in città, o di un’insegna con altre ambizioni”. Dicevamo, Juri guarda al presente, ma anche al futuro: “Sono cambiate molte cose negli ultimi anni. Credo che il cambiamento nelle scelte alimentari sia stato dettato Juri Chiotti

principalmente da questioni economiche e ancora troppo poco dall’etica. Ho un sogno: che dopo una cena al Reis il cliente, il giorno dopo, nei mesi a seguire, si ponga delle domande sul cibo, sugli acquisti al supermercato, sul suo impatto nel mondo. Sarebbe un traguardo vero! Anche per questa ragione spieghiamo le nostre scelte, pure quelle strutturali: per mettere in piedi il ristorante abbiamo utilizzato solo materiale locale, calce/canapa, legni di recupero e la cucina va con il fuoco a legna. Dietro ad ogni attività ci dovrebbe essere armonia e coerenza”. Parlare di tendenze, a mille metri d’altezza, e in mezzo alla natura, forse non è così immediato. Ma ha senso farlo anche qui. “Siamo in un contesto in cui, a mio avviso, non c’è alternativa a questo modo di fare ristorazione. Se si ama il territorio bisogna rispettarlo. La nostra cucina, dettata dal calendario dell’orto, legata alle piccole produzioni locali, alle carne di pecora e di capra, parte dal rispetto. Il modo di accogliere è informale, la bottiglia la lasciamo sul tavolo così chi è seduto può servirsi quando gli pare, non abbiamo quell’impostazione francese nel servizio che per molti anni ha caratterizzato i ristoranti italiani e ancora oggi in tanti perdura. Le nostre scelte non sono dettate dalle mode ma dal nostro pensiero; e molte combaciano proprio con le preferenze delle persone, sempre più felici di trascorrere del tempo in un contesto leggero, privo di formalismi, in cui ci si sente a casa”. Tornando sulla scelta del menu, a suo modo il Reis conferma ciò che stiamo constatando in molte altre insegne: è la disponibilità del prodotto a definire il piatto, non viceversa. Sono undici le proposte della cucina, divise in due menu, uno più tradizionale, l’altro più ‘divertente’. La maggior parte degli ospiti ha compreso che questo, come tutto il resto qui non è un limite, ma un’opportunità: quella di entrare in un pensiero pulito che merita di essere rispettato e condiviso.

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Carote fermentate, chimichurri alle nocciole, catalogna e crema di caldarroste


FARE RISTORAZIONE Autrice: Marina Caccialanza

Genova, una città da scoprire Genova, tra il povero e l’opulento, tra la carne dalle colline e il pesce dal mare, il tripudio delle verdure e la semplicità di pani e focacce

Il ristorante Santamonica a Genova

Montagne che si gettano nel mare, muretti a secco che moltiplicano le superfici dove l’olivo e la vite spiccano. Un territorio aspro, ricco di biodiversità che improvvisamente esplode nei colori vivaci dei fiori, nel verde intenso delle coltivazioni, tra il bianco e il blu delle onde. La Liguria è così e il suo capoluogo, Genova, ne racchiude la sostanza, la cultura antica, che si esprime con una gastronomia che ondeggia tra il povero e l’opulento, tra la carne dalle colline e il pesce dal mare, il tripudio delle verdure e la semplicità di pani e focacce. I Liguri, e i Genovesi in particolare, non sono altro che l’espressione di un mondo piccolo nelle dimensioni, racchiuso in se stesso perché deve contenere tanto in poco spazio, ma grande nei pro-

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Plin impastati

Gnocchi ripieni di Baccalà

fumi e sapori che spaziano dal mare alla campagna, nella fantasia con la quale elaborano i prodotti che terra e acqua donano loro: un paniere immenso. Sul carattere dei Genovesi si scherza spesso, oggetto di satira da sempre; come non andare col pensiero a spettacoli di cabaret dove l’abitante di Genova viene bonariamente deriso per le sue “parsimonia e riservatezza”. Luoghi comuni, che nascono però da una realtà dove chi vive in un luogo così aspro ha imparato, nel corso della storia umana, a conservare con cura ciò che ha a disposizione perché raro e prezioso e, pertanto, non un difetto ma una dote. Il mondo della ristorazione genovese sta attraversando una fase di rinascita e nuovi locali stanno sorgendo in città grazie all’intraprendenza di molti giovani. È il caso di Life Albaro, a pochi passi dal centro di Genova, approccio salutistico e convivialità equilibrata; piatti studiati per una cucina veloce ma armoniosa, moderna. Richiama la tradizione più genuina e la rende contemporanea, Acciugin: cibo di strada dove 40

le tipiche acciughe genovesi si accompagnano al Gin Tonic. Aspira a vette più ricercate Cucine Ducale col suo pranzo casual, l’aperitivo ricco di sfiziosità e la cena creativa in un contesto non convenzionale, il Palazzo Ducale di Genova. Riapre l’antica Osteria del Bai dove il pesce è sovrano, e sbarcano format alla moda come Poke Scuse, il nuovo fast food che ha conquistato giovani e meno giovani. Solo per citare alcune delle nuove proposte in una città all’apparenza assopita ma in fermento. Genova si apre al mondo e mira a coinvolgere i suoi cittadini con quella che, se non può essere considerata movida sull’esempio di città più aperte, appare come un risveglio.

Ascoltare, comunicare, accompagnare per accogliere Ne è consapevole Monica Capurro, genovese, ristoratrice, donna di grande sensibilità che rispecchia e interpreta la genovesità dei suoi concittadini trasformandola in accoglienza, solarità e sorriso. Il suo Ristorante Santamonica, che gestisce col marito Andrea Giachino, nasce dopo una lunga parentesi di ristorazione tradizionale di territorio dove il pesto, lo stocco e la farinata scandiscono il ritmo della cucina e l’offerta è a buon mercato: “Siamo partiti dalla base con un’osteria tipica e siamo approdati in un locale sul mare, bello, dove la cucina, sempre di territorio perché utilizziamo pesce di Camogli e verdure del contadino, si declina con materie prime eccellenti ed è elaborata | aprile 2022


secondo criteri gourmet per un’offerta più raffinata a prezzi adeguati”. Il Santamonica, dunque, si può considerare l’evoluzione di un sistema di ristorazione che, tradizionalmente, si sviluppa tra piatti rustici, a basso costo, per un cliente di gusti semplici. E la domanda è “che tipo di cliente è, quindi, il genovese?”. Monica Capurro non ha dubbi, lo conosce bene: “È un cliente molto difficile. Il problema del genovese consiste nella sua ritrosia a spendere che non è dovuta, banalmente, ad avarizia pura e semplice, ma alla sua riservatezza innata. Il genovese esce poco, ama restare a casa, non ha l’abitudine di fare l’aperitivo con gli amici, se lo fa preferisce locali alla buona; se cena al ristorante inorridisce davanti a un conto che supera i 35 euro perché gli manca la volontà, o la curiosità, di interrogarsi sul valore delle cose. Il genovese si chiede soltanto ‘quanto spendo in quel posto?’ ma non si chiede ‘perché?’. Non vuole sapere cosa mangia e come si trova nel luogo dove mangia, non si interroga sulla differenza tra una trofia al pesto e un gambero viola. Il genovese sta bene tra casa e lavoro, e fa fatica a lasciare la sicurezza del nido: non ha certo sofferto per le restrizioni del lockdown”. Riservatezza, poca socievolezza, possono sembrare difetti ma sono soltanto l’espressione di un’indole diversa da quella di altri, da capire. E al momento buono il genovese sa rispondere con disponibilità. Bisogna insegnargli ad aprirsi, afferma Monica, che descrive così l’esperienza del Santamonica: “Il nostro compito non è solo quello di fornire una ristorazione di alto livello, è anche quello di accompagnare il nostro cliente alla comprensione di quello che offriamo. Comunicare col cliente è fondamentale o tutto il nostro lavoro sarà sprecato. E poi, noi genovesi dobbiamo imparare a uscire di più, a riempire le strade, secondo le nostre possibilità ma con entusiasmo”. Come si accompagna un cliente riservato e schivo a incontrare la condivisione e la socievolezza? Monica Capurro non ha dubbi: “Col dialogo e l’attenzione ai particolari. Gli ultimi tempi, difficili per tutti, hanno dato origine a due differenti effetti: da un lato ci siamo rinchiusi sempre più nel nostro intimo, dall’altro sentiamo il bisogno di uscire e dare sfogo alla nostra gioia. Siamo tutti combattuti. I genovesi ancora di più. Eravamo già prudenti, figuriamoci adesso”. Al Ristorante Santamonica la qualità è al primo posto, spiega Capurro: “Noi non rinunciamo alla qualità, la qualità ci ha salvato in questo frangente, ne abbiamo la prova nella fedeltà dei clienti di ieri e nell’entusiasmo dei clienti di oggi, e sono convinta che sia la chiave di volta per superare la crisi. Il nostro cliente, vuole proposte originali, abbinamenti insoliti, apprezza la ricerca nel vino: insieme al nostro chef Domenico Volta offriamo l’esperienza e il coinvolgimento. Vuole

essere incuriosito e spronato e tocca a noi fare in modo che trovi le risposte ai suoi dubbi, spiegando, raccontando e, anche, forse soprattutto, ascoltandolo”. Le ansie del periodo storico che stiamo vivendo fanno da sfondo a una ristorazione che evolve e aggiunge valore alle sue scelte. Conclude Monica Capurro: “Torna lentamente l’abitudine al pranzo della domenica con la famiglia. Tornano i clienti delle seconde case, i milanesi in primis, e li accogliamo offrendo loro due ore di serenità, ne hanno bisogno e si capisce. L’accoglienza, la qualità e il sentirsi bene devono essere il nostro biglietto da visita e, allora, anche Genova aprirà le braccia al mondo”.

FOODEXP 2020 Andrea Giachino e Monica Capurro del ristorante Santamonica

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Francesco il fatalista L’enologia eroica di Francesco Carfagna nell’isola del Giglio Autore: Bruno Damini

Francesco Carfagna nel suo vigneto Altura

La sua voce cantilenante, scandita da lunghi respiri, è espressione di un fatalismo contadino che, all’opposto della rassegnazione, è presa di coscienza laica che la natura deve essere assecondata, non oltraggiata e umiliata dall’uomo, così come recita un antico detto contadino: Se dalla terra vuoi di più falle carezze. Francesco Carfagna è persona non comune, come inusuale è la torre in cui vive con la moglie Gabriella, casa e cantina, in guardia alta al mare del Giglio, ricordo incompiuto pare d’un mulino a vento. Lui è un vignaiolo resistente, come le sue vigne che s’incurvano ai venti salmastri e tengono testa agli attacchi di mufloni e conigli selvatici.

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Il Tirreno visto dalla Torre dei Carfagna

La storia sua e del suo vigneto Altura nell’isola del Giglio principia in modo all’apparenza casuale nel 1987, con una vacanza in un albergo raggiungibile solo in barca o a piedi, l’Hotel Hermitage a Cala degli Alberi, ospite di vecchi amici, la famiglia Pardini. Anche Gabriella si trovava in vacanza in quell’albergo e scattò la scintilla che fece prender loro la decisione di lasciare tutto per trasferirsi sull’isola di cui lui subiva il fascino fin da bambino. Da allora sono passati trentacinque anni e sono sempre là. Dall’87 fino al 2008, nel borgo medievale di Giglio Castello aprono il ristorante Arcobalena con l’insegna “Vini Vivi e Cucina”, un accogliente locale con una trentina di coperti. Mentre Gabriella era la regina della sala e preparava i dolci, gli sformati, le torte salate, la cucina che lui definisce ironicamente ‘bestiale’, carne e pesce, solo prodotti locali freschi dal mare e dalla campagna, la faceva lui, con cotture eseguite al momento. E quelli che non mangiavano né carne né pesce li liquidava con una battuta: E che gli diamo il pollo? Il menu si chiudeva con questa sentenza: “Amati da chi ci ama e detestati da chi ci detesta, così e qui siamo. Salute e fortuna, Famiglia Carfagna”. Nel contempo, disattendendo ogni consiglio e andando controcorrente rispetto al fenomeno di abbandono della faticosa agricoltura isolana, acquista cinque ettari di terreno, di cui tre vitati, in stato di semiabbandono su dei terrazzamenti a sud dell’isola, verso Punta Capel Rosso. Lavorando sempre a mano rimette in sesto i muretti e recupera le vigne di Ansonica, uva autoctona gigliese, di Sangiovese e altri vitigni locali con ceppi

La torre-mulino della famiglia Carfagna

che hanno dai trenta ai sessant’anni di vita. Fare vino non era il suo mestiere ma tradizione di famiglia assorbita fin da ragazzo affiancando suo padre nel Molise. La sua prima vendemmia al Giglio risale al 1999. A quei tempi sull’isola c’erano ancora gli irriducibili, così li chiama lui, ai quali essere grati, quelli che hanno conservato ciò che in gergo tecnico si chiama il germoplasma autoctono. Però tutto stava andando in un abbandono crescente, ogni anno le vigne diminuivano. I Carfagna sono stati i primi e per molto tempo gli unici che hanno investito e creduto in un’agricoltura così ardua e difficile. Dopo che hanno visto che funzionava altri ci si sono messi. Un tempo metà della superficie del Giglio, intorno a mille ettari, era lavorata, il resto era principalmente pascolo per pecore, capre, qualche vacca e maiali. Era un’economia che funzionava molto bene. Oggi si arriva a stento a 14 ettari di vigna, e lo chiamano progresso. Il lavoro nei campi e specialmente nella vigna nelle piccole isole era e rimane bestiale, la remunerazione irrisoria. Se si lavora per il proprio consumo è un con| aprile 2022

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to, ma se ci devi anche campare… “Chi è che viene qui a investire in un’attività che deve essere tutta manuale?” si chiede Francesco. Il Giglio si può paragonare a posti come le Cinque Terre, la Valtellina e certe colline di Candia. Pensiamo all’Elba: tutte le terrazze che non sono praticabili da un trattore sono state abbandonate. Nel suo vigneto Altura ci sono terrazze di mezzo metro quadrato con dentro una sola vite, ogni giorno a contendersi i germogli con conigli selvatici e mufloni, quest’ultimi importati a metà degli anni Cinquanta per allevarli e venderli alle riserve di caccia. Divenuti da tempo invasivi e dannosi per coltivazioni e biodiversità nel 2021 e si è determinato di eradicarli in quanto specie non autoctona grazie a un progetto finanziato dalla UE con 1,6 milioni di euro. Così, l’ultima vendemmia è stata abbastanza bella, la penultima è stata tutta distrutta da quei mufloni che non sono certo patrimonio ancestrale isolano. Oltre al rilancio dell’Ansonica, Francesco Carfagna produce un grande rosso, anch’esso di lunga tenitura negli anni. Lui lo definisce un rosso ‘antico’, uguale a quello che faceva suo papà nel Molise, una specie di mistero generato da uve miste, un vino assai tradizionale di queste parti che lui ha ripreso a fare, innestando una parte della vigna con uve nere come Malvasia Nera, Moscato, Sangiovese, Grenache, Trebbiano Nero. Allora i vecchi vignaioli, ormai scomparsi da tempo, quando assaggiavano il vino molisano del padre, gli dicevano: Saverio, questo vino sembra il nostro! E lui rispondeva: è il vostro che sembra il mio! Si somigliavano moltissimo pur nascendo in territori così diversi,

forse perché l’uvaggio era simile. Ai primi imbottigliamenti sull’etichetta c’era scritto Rosso da uve miste, poi ripensando a quella storia del vino di suo papà, che era simile a quello che facevano i vecchi vignaioli del giglio, decise di chiamarlo Rosso Saverio. Ne produce poco più di 1000 bottiglie l’anno, il resto è costituito dall’Ansonaco, poi compra dell’uva nella vicina Maremma, principalmente Sangiovese. Quest’ultimo vino aveva cominciato a farlo per inaugurare la pressa e come vino della casa nel ristorante, poi il loro importatore negli Stati Uniti lo assaggiò quando venne a far loro visita al Giglio intorno al 2010 e ne rimase entusiasta. Così da allora lo imbottigliano con il nome di Rossetto. Da tempo anche sua figlia lo affianca anche se lui nega di esserne il maestro, considerando piuttosto l’ambiente come scuola. Lei ha frequentato moltissimo i vecchi maestri vignaioli del posto e ha fatto anche un sacco di esperienza fuori dal Giglio. L’ultima vendemmia? Adesso stanno aspettando il 2021 dell’Ansonica, verso maggio, il rosso invece lo fa uscire dopo circa tre anni. Alla fine della lunga chiacchierata mi ha salutato dicendo: “prima di tutto dobbiamo ringraziare quei pochissimi che non hanno mai abbandonato, che sono quasi tutti morti tranne uno, finora. Poi, più produttori siamo meglio e più terra lavorata c’è meglio è, anche se nessuno vuole venire qui a fare tutto ‘sto lavoro o a spendere denaro per farlo fare a qualcun altro, perché per curare questa terra bisogna viverci, esserci ogni giorno, non puoi farlo per posta”.

Francesco Carfagna in cantina

Ansonaco

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La nostra idea di olio

La gamma completa degli oli Zucchi porta sulle tavole e nelle cucine della moderna Ristorazione tutta l’esperienza acquisita in oltre 210 anni di storia. Un impegno continuo, un meticoloso lavoro di selezione e di lavorazione delle migliori materie prime, per garantire sempre l’eccellenza di ogni singolo prodotto. www.zucchi.com


FORMAZIONE

Ristorazione sostenibile 360 Sì, ma come? Autrice: Simona Vitali

Da sinistra Alfonso Iaccarino ed Ettore Capri

Ci si può limitare a fare la cronaca di un evento, passando in rassegna – in modo didascalico - i diversi momenti in programma, oppure cercare di capire quale sia il suo retroterra. Siamo in ambiente universitario, precisamente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, dove per la Giornata di Prevenzione dello spreco alimentare viene organizzato l’evento “Volti di contrasto allo spreco nella ristorazione sostenibile”. Un’occasione in cui i docenti del dipartimento di Scienze Agrarie Alimentari e Ambientali comunicano dati importanti relativi all’impatto dello spreco su ambiente, società ed economia e, al tempo stesso, vengono coinvolti più attori della filiera 48

in iniziative che li impegnino, concretamente e a vario titolo, in direzione della sostenibilità. Nell’arco di una sola giornata si assiste ad un concentrato di iniziative: - un contest denominato ‘RicibiAMO, chi ama il cibo lo conserva’ che coinvolge tre diverse categorie (chef professionisti, studenti delle scuole alberghiere e cuochi di casa) sul tema delle ricette da asporto; - un gruppo di ristoratori entra ufficialmente in un percorso di sostenibilità e di comunicazione dei propri impegni a questo proposito, grazie a un progetto denominato Ristorazione Sostenibile 360 (RS360) - un gruppo di fornitori (aziende agricole, cantine, moli| aprile 2022


Progetti in corso per una ristorazione sostenibile

La familiy bag RicibiAMO

ni...) riceve menzioni speciali sulla responsabilità sociale d’impresa. È evidente che siamo oltre quella mera formulazione teorica che si pensa di trovare in un ambito di cultura per eccellenza. A cosa è dovuta quindi questa impronta pragmatica, fattiva, che registriamo con piacere all’interno di un’Università? Ce lo svelano la dott.ssa Miriam Bisagni, sociologa molto attiva nel tessuto piacentino e presidente dell’associazione Piace Cibo Sano APS, e Ettore Capri professore ordinario in chimica agraria e direttore del Master Food & Beverage: gestione e sostenibilità dei servizi di ristorazione in Cattolica, raccontandoci di quando, dieci anni orsono, intuiscono che iniziare a collaborare insieme può dare concretezza ai risultati della ricerca, facendoli arrivare agli interlocutori della filiera agroalimentare attraverso una serie di iniziative. Per questo danno vita ad un’associazione no profit, Piace Cibo Sano APS , la cui mission sarà appunto di promuovere e sviluppare azioni per una filiera agroalimentare sostenibile, in partneship con il Centro di Ricerca per lo Sviluppo Sostenibile in Agricoltura OPERA e l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza.

“È il 2013 quando – ricorda Miriam Bisagni – nasce il progetto RiciBIAMO, che intende promuovere l’adozione di semplici pratiche anti-spreco nella ristorazione ma non solo. Ne consegue un percorso condiviso fra 60 ristoranti emiliani che iniziano a misurarsi su buone pratiche, volte al contrasto allo spreco di cibo nelle diverse fasi: dall’acquisto alla conservazione alla preparazione fino alla dispensazione e al consumo di cibo stesso”. È proprio guardando a questo aspetto partecipativo (rete di ristoratori creatasi con Ricibiamo) che il sodalizio Piace cibo Sano APS/ Centro di Ricerca Opera/ Università Cattolica, nelle figure di Miriam Bisagni, Ettore Capri e Lucrezia Lamastra (professore associato in chimica agraria), inizia a studiare una modalità per accreditare i ristoratori rispetto alla sostenibilità. “Dopo una fase di gestazione di un paio d’anni, a settembre 2021, grazie al contributo della Regione Emilia Romagna – spiega Ettore Capri - vede la luce il progetto Ristorazione Sostenibile 360 (RS360), programma basato su un disciplinare - che tratta tutti e tre i pilastri della sostenibilità: ambientale, sociale ed economica- , validato da un comitato scientifico, cioè composto da membri della comunità tecnico-scientifica del settore”. Un percorso, a tutti gli effetti, che parte da un’adesione spontanea del ristoratore, il quale grazie ad un iter formativo (sette moduli di due ore ciascuno, tra aspetti teorici e aspetti pratici), ha l’opportunità di valutare e misurare le proprie prestazioni di sostenibilità; realizzare un piano personalizzato; individuare le priorità sostenibili su cui attuare azioni correttive e attivare un percorso di | aprile 2022

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miglioramento e implementazione per raggiungere i traguardi (sostenibili) che si è prefissato. L’incipit di questo suo impegno di sostenibilità, che verrà monitorato per due anni, viene riconosciuto con il rilascio di un manifesto (certificato) che attesta, ad opera di un Ente Terzo pubblico, l’inserimento dell’attività ristorativa nella rete RS360. Il processo di certificazione a cui il ristoratore aderisce si avvale di un supporto tecnologico (App e Web App) che lo accompagna step by step al completamento del percorso. Giusto quest’anno, a febbraio, proprio in occasione dell’evento “Volti di contrasto allo spreco nella ristorazione

sostenibile” sono stati consegnati i primi 29 certificati RS360, tutti in Emilia Romagna tranne uno in Toscana, ma c’è apertura anche oltre i confini.

Il master sulla sostenibilità nella ristorazione La strada imboccata sta allargando i propri orizzonti con una più approfondita possibilità di formazione: un Master in Food & Beverage: gestione e sostenibilità dei servizi di ristorazione, che ha l’ambizione di fornire alle nuove professionalità quelle competenze ritenute utili per cambiare il settore.

Master universitario in food & beverage: gestione e sostenibilità dei servizi di ristorazione Direttore: Prof. Ettore Capri Responsabile Learning & development: Dr. Gloria Luzzani A chi è rivolto A tutti i laureati triennali con una passione per l’enogastronomia Sede e modalità di erogazione delle lezioni Piacenza e Cremona, dual mode: con lezioni in presenza e contemporaneamente in streaming Date da ricordare: Inizio delle lezioni: 24 ottobre 2022 Le iscrizioni sono aperte fino a settembre 2022, è possibile accedervi tramite il Portale ammissione Unicatt La durata del corso è pari a un anno Obiettivo del Master Formare i professionisti e responsabili dei servizi di ristorazione collettiva e commerciale (Food and beverage manager), fornendo una solida preparazione tecnica, gestionale e legislativa volta alla riqualificazione dei processi anche sotto l’ottica della sostenibilità. Il piano didattico Insegnamento • Produzione, autenticità e sofisticazione degli alimenti di origine animale e vegetale • Gestione e utilizzo dei prodotti di 4-5 gamma • Gestione delle diete speciali e degli allergeni • Legislazione sulla sicurezza alimentare e rintracciabilità • Gestione dei capitolati d’appalto e degli acquisti • Gestione del rischio e dei rischi emergenti nelle strutture per la ristorazione • Analisi organolettica e tecnologie di preparazione e conservazione degli alimenti • Quadro normativo di riferimento e certificazioni • Food cost e operational management • Ristorazione sostenibile Gli insegnamenti coinvolgeranno attivamente gli studenti tramite lavori di gruppo e project works, attività seminariali, visite guidate e lezioni pratiche di analisi sensoriale. La formazione si chiuderà con uno stage di 450 ore che potrà svolgersi presso una delle aziende partner o associate. I partner aziendali Il Master prevede una costante interazione con il mondo dell’impresa, per garantire agli studenti il contatto diretto con le aziende una formazione altamente professionalizzante. Link al sito del Master: Unicatt.it Per maggiori informazioni Contenuti didattici: gloria.luzzani@unicatt.it Segreteria didattica: uff.master-pc@unicatt.it - tel. 0523 599.134 - 0523 599.200

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PIZZERIE Autrice: Marina Caccialanza Il progetto nasce da un’idea di Francesco Ambruoso che, appassionato di cucina, si avvicina al mondo della pizza grazie all’incontro col maestro Paolo Priore: “La cucina mi ha sempre affascinato – racconta Francesco – ma non l’avevo mai praticata a livello professionale. Dopo aver ascoltato Paolo Priore e i suoi consigli ho deciso che sarebbe stata la strada giusta per me e, dopo aver seguito i corsi della Scuola Italiana Pizzaioli, ho fatto esperienza in diversi ristoranti e pizzerie e mi sono sentito pronto per mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti e raggiungere il mio obiettivo principale: aprire un locale tutto mio”. Siamo nel 2020 e il destino rema contro con pandemia e restrizioni, ma Francesco Ambruoso è determinato e non fa che portare qualche modifica ai piani: “CuBì ha aperto le porte il 13 dicembre 2021. In origine avevo pensato a una pizzeria classica con servizio ai tavoli; la situazione mi ha convinto a cambiare il progetto ma, oggi, posso dire che è stata la scelta migliore che potessi fare. CuBì South Bakery è una pizzeria da asporto di pizza in teglia e ha riscosso molto favore da parte dei miei concittadini”. Siamo a Bari centro e nelle vicinanze ci sono la stazione e l’Università, un’area molto frequentata tra viaggiatori, lavoratori e studenti e la sera animata da diversi pub e locali di intrattenimento. Una buona pizza era quello che ci voleva per completare il quadro: “Mi ero reso conto - spiega

CuBì South Bakery

A Bari è arrivata la pizza in teglia di CuBì, giovane e dinamica, il giusto compromesso tra tipicità e modernità: la pizza per tutti

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Francesco – che a Bari la pizzeria da taglio era pressoché inesistente e credo di aver riempito un vuoto. Per poter offrire un prodotto distinguibile ho puntato subito sulla qualità e i risultati hanno confermato la mia intuizione”. Pizza classica, impasto indiretto con biga, lievito madre e una farina speciale: Mia di 5 Stagioni, ottenuta da un processo brevettato che dà origine a una farina di tipo 1 dalle performance uniche. È il valore aggiunto che serviva per fare di una pizza, una pizza ineguagliabile. “Si ottiene una pizza profumata – racconta Francesco Ambruoso – dalle proprietà superiori. L’impasto ottenuto con Mia, al 90% di idratazione, unito al lievito madre dà origine a una pizza che mantiene invariate le sue caratteristiche di fragranza e sofficità anche consumato dopo uno o due giorni. Spiego ai miei clienti che portando a casa una delle mie pizze possono gustarla anche il giorno dopo perché le sue qualità non si deteriorano. Appena sfornata è impareggiabile”. Oltre all’impasto studiato e lavorato con grande attenzione, la pizza di CuBì offre una varietà di topping di altissima qualità. Materie prime del territorio, fornite da piccole aziende locali per esaltare i sapori e la freschezza. Ricette ispirate ai piatti tipici regionali per celebrare la cultura antica del posto. Racconta Francesco: “Nel menù ci sono 13 pizze diverse che aggiorno secondo la stagionalità: dalle più semplici, ma non banali, alle più elaborate. Ho selezionato alcuni piatti tipici di Bari e li ho rielaborati per diventare topping; le verdure sono predominanti dalla cima di rapa al fungo cardoncello, dalla cipolla al broccolo, non mancano pesce e salumi tipici. La pizza che ha riscosso più successo è ricoperta con crema di cime di rapa, fior di latte, acciughe Albatros, pomodoro alla catalana, cime di rapa e cipolla fritta croccante: il trionfo della cultu-

Il pizzaiolo Francesco Ambruoso

ra barese. Tengo molto a mantenere alta la qualità e cerco di rispettare una filiera il più possibile a km0; cerco di offrire un prodotto che, nelle materie prime e nell’originalità della proposta, rispetti la tradizione e la cultura della nostra terra ma esprima anche la ricerca che, in questi anni, ho cercato di portare avanti, nella teoria e nella tecnica, per dare valore a un alimento, la pizza, che racchiude un potenziale culturale e sensoriale immenso”. La primavera è alle porte, la pizzeria CuBì presto aprirà il suo dehors e, chi vorrà, quel trancio fragrante lo potrà gustare anche appena sfornato: “Ci prepariamo all’estate – conclude Francesco Ambruoso – è sarà grandissima”.

CuBì South Bakery Corso Benedetto Croce 76/c 70125 Bari Tel. 342 762 5904 www.cubibari.it

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RISTORANTI Autrice: Giulia Zampieri

La freschezza del pesce è da Marisco, a Marina di Ragusa, un principio inamovibile. È anche la peculiarità più apprezzata dai numerosi clienti che qui vengono per trovare (e ritrovare) prodotti buoni, sicuri, lavorati con delicatezza e intelligenza. Siamo sul lungomare, in un locale delimitato da grandi vetrate, in cui il bianco si ravviva spesso grazie ai raggi del sole, e il suono del mare entra quando vi è silenzio. La mise en place è curata, così come l’organizzazione e il menu - inevitabilmente bianco e blu - incentrato sul pesce in tutte le sue declinazioni. Della cucina se ne occupa da tre anni Giombattista, siciliano, chef d’esperienza (sia italiana che straniera); uno dal piglio semplice ma pragmatico, affiancato dai suoi giovani figli Giovanni e Vincenzo nella conduzione della cucina e del reparto pizzeria. “La scelta delle materie prime è il nostro primo compito, uno dei più difficili. Acquistiamo da Mazara del Vallo, da Porto Palo e da altre zone valutando attualmente tutto il pescato proposto dal mercato. Quando è ottimo, come spesso accade qui in Sicilia, non serve molto altro: bisogna

Marisco a Marina di Ragusa

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pulire il pesce, i molluschi, i crostacei con cura, quindi conservare avendo altrettante premure. In quanto agli abbinamenti, pensiamo debbano essere pochi e sensati giocando con i prodotti del territorio” dice Giombattista.

La cucina

Da Marisco uno dei pezzi forti, quello per cui l’insegna è diventata famosa, è il crudo: la massima espressione del mare. Scampi, gamberi rossi, ostriche, seppie in tagliatella e tante altre proposte incontrano germogli, sentori agrumati, balsamici, vinosi resi accattivanti attraverso la tecnica di sferificazione, ma non solo. “Valorizzare un pesce crudo significa dargli poco, ma dargli il giusto. Facciamo questo giocando su abbinamenti semplici e dosati che abbiamo messo a punto assaggiando. Poi contano molto i ricordi, ciò che mi hanno trasferito in famiglia quando iniziavo avvicinarmi a fuochi e padelle”. In cucina, da Marisco, hanno anche un particolare sistema di conservazione: i prodotti freschi vengono immersi in acqua di mare microfiltrata, a temperatura controllata, prima di essere serviti in sala. Quest’operazione aiuta i molluschi, per esempio, a un ulteriore filtraggio e conferisce al pesce una salinità incredibile. “Con questo accorgimento sembra di mangiarlo appena pescato. Per esempio le ostriche appena le preleviamo dall’acqua le serviamo, e in bocca generano un’autentica esplosione di freschezza e mare”. Non basta avere un prodotto ottimo e saperlo trattare, ci suggerisce Giombattista, bisogna anche saper accendere la curiosità nelle persone che si siedono al tavolo. “Aggiungiamo spesso delle variazioni o dei nuovi piatti in menu, soprattutto sul capitolo crudi, perché il cliente affezionato ha bisogno di novità. Molti non

si risparmiano con gli apprezzamenti, e noi ne siamo felici, ma capiamo l’importanza di garantire costantemente novità e innovazione. Poi allargare l’offerta rimane un modo per far conoscere la biodiversità marina e le eccellenze di alcune zone costiere. Ci teniamo a specificare la provenienza del prodotto e le sue caratteristiche. Perché il gambero di Mazara del Vallo è così buono, per esempio? In quella zona di pesca s’incontrano due mari, il gambero è delicato, dolce, salino come non potrebbe essere da nessun’altra parte”. Continuando a scorrere la carta del Marisco ci si imbatte in molte altre invitanti proposte. Per esempio il salmone Marisco, marinato a freddo per almeno 24 ore con un mix di profumi mediterranei e poi servito crudo. Un piatto che piace molto, diventato simbolo tra gli antipasti. Oppure i primi, con gli immancabili classici, affiancati da uno spaghetto cacio e pepe con gambero rosso, per poi passare ai pesci al forno, in crosta di sale; la frittura; il pescato del giorno servito con salse o vellutate di stagione. “Dobbiamo molto al mare - continua lo chef - ma anche alla proprietà, ora in carico al giovane Luigi Consiglio che crede nel nostro modo di approcciare al mare. E dobbiamo molto alla nostra terra che ci garantisce in tutti i momenti dell’anno dei prodotti straordinari. È bellissimo pensare che le persone che ci fanno visita possano assaggiare il mare guardandolo!”.

Marisco Lungomare Andrea Doria, 104 97010 - Marina di Ragusa 331 115 8546

Da sinistra Giovanni, Giombattista e Vincenzo

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PRODOTTI Autrice: Marina Caccialanza

Salumi, arte in tavola I salumi moderni sono prodotti di altissima qualità e valore nutrizionale e rappresentano per il consumatore un’alternativa salutare più che in passato. A tavola mantengono una posizione di privilegio, anche al ristorante A cavallo tra nutrizione e cultura. I salumi, per gli Italiani, sono prodotti iconici che superano il bisogno di alimentarsi per entrare nella sfera delle emozioni, della storia e dell’identità del territorio. Negli ultimi anni, inoltre, la crescente presa di coscienza dei consumatori della correlazione tra nutrizione e salute ha generato un’evoluzione positiva della ricerca scientifica e ha definito i principali orientamenti della ricettazione. Il miglioramento delle tecniche di produzione e conservazione, l’attenzione dell’industria di trasformazione alle esigenze del consumatore hanno trovato un punto d’incontro, pur nel rispetto delle tradizioni secolari alla base delle produzioni artigianali. Infatti, se un tempo la trasformazione della carne suina in salumi era riservata ad abili artigiani, oggi que56

sta prerogativa si è evoluta in un’industria salumiera rispettosa dei vincoli disciplinari, delle innovazioni tecnologiche, della sicurezza. L’arte della salumeria italiana, nata per rispondere alla necessità di conservare la carne, bene prezioso ma deperibile, riguarda quasi prevalentemente prodotti trasformati grazie alla salatura e all’essiccazione, con alcune eccezioni come i prodotti cotti o quelli che impiegano l’affumicatura. In Italia, per convenzione, i prodotti di salumeria vengono raggruppati in due macrocategorie: i prodotti crudi stagionati e i prodotti cotti

I salumi tra storia e usanze La storia è antica; resti di ossa di animali di cui il 60% | aprile 2022


appartiene alla specie suina sono stati ritrovati in un sito archeologico etrusco risalente al V secolo a.C., nella zona di Mantova. Le analisi degli studiosi hanno rilevato l’assenza degli arti posteriori, il che farebbe dedurre che le cosce di maiale, già allora, venivano salate o affumicate per la conservazione. Già nel II secolo a.C., Catone fornisce la ricetta del prosciutto crudo a lunga stagionatura, nel suo famoso De Agricoltura. Fiore all’occhiello del Made in Italy, i prodotti di salumeria occupano circa un terzo del patrimonio dei prodotti carnei europei con 43 denominazioni DOP e IGP. Secondo il Rapporto Ismea Qualivita 2021, le prime cinque filiere per valore alla produzione sono Prosciutto di Parma DOP, Prosciutto di San Daniele DOP, Mortadella Bologna IGP, Bresaola della Valtellina IGP e Speck Alto Adige IGP. Complessivamente 1,6 miliardi di euro. Seguono Prosciutto di Norcia, Prosciutto Toscano, Salamini Cacciatori, Coppa di Parma e così via. Gli Italiani si rivelano legati alle usanze e, a parte poche eccezioni, alla territorialità delle diverse specialità prodotte. Unica, forse, eccezione lo Speck Alto Adige IGP che nel 2021 ha registrato una crescente richiesta da parte delle regioni dell’Italia meridionale.

Modalità di consumo, tradizionali o innovative? Le modalità di consumo sono infinite e non si limitano a occasionali spuntini o street food. La versatilità della maggior parte dei salumi italiani li inserisce nei menu di ristoranti gourmet tanto quanto nell’assortimento di locali più rustici.

È rimasta un’icona la proposta provocatoria di Massimo Bottura per la sua Osteria Francescana: “ricordo di un panino alla mortadella”, una spuma di mortadella servita con una focaccia strepitosa, un piatto dal carico culturale gastronomico insuperabile. In generale, sono i salumi della categoria “prosciutto” quelli che meglio di altri hanno superato i confini regionali per conquistare le tavole di tutta Italia e non solo. Insaccati e prodotti tipici restano perlopiù relegati nelle realtà locali dove costituiscono un’attrattiva turistica oltre che gastronomica. Non mancano, accanto alle proposte classiche, iniziative volte a promuovere il consumo di salumi secondo stili innovativi. Per esempio, nell’ambito del progetto europeo Trust Your Taste, Choose European Quality, ASSICA ha invitato a sperimentare, in occasione delle festività natalizie, nuovi modi e ricette per gustarli, da replicare poi tutto l’anno. Dagli abbinamenti con il pesce (rombo e prosciutto crudo) a quelli con la frutta (arista e albicocche), fino alle innumerevoli modalità di arricchire pasta e risotti. Per il quinto anno, ha preso il via Aria di San Daniele, il tour itinerante, di grande successo, con il quale il Consorzio invita a gustare il San Daniele DOP attraverso una serie di eventi organizzati all’interno di locali selezionati – ristoranti, enoteche e osterie – per presentare e promuovere il prodotto ai consumatori e agli operatori del settore ho.re.ca. Testimone di questa fedeltà alla tradizione è Joseph Ghapios che continua il retaggio di Antica Osteria Cavallini a Milano, locale storico dove da quasi novant’anni si danno appuntamento i buongustai milanesi, esempio illuminante dell’universalità della cuci-

Il tagliere antipasto dell Cavallini

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na quando sa interpretarne i valori classici: “Il nostro tagliere Cavallini risulta essere uno degli antipasti più venduti, se i salumi sono di qualità le persone ancora oggi hanno piacere di mangiarli. La personalità del Cavallini emerge dalla proposta di piatti preparati con materie prime selezionate, attraverso criteri di ricerca che si basano sulla provenienza, storicità, innovazione e credibilità del prodotto, che solo successivamente il nostro chef Samuel Boktor interpreta con un suo stile contemporaneo. Oggi come oggi il salume è visto come antipasto. Al Cavallini lo consigliamo come piatto da condividere tra i commensali che vogliono mangiare un menù a base di carne. Nell’offerta e nel gradimento, senza dubbio il prosciutto di Parma è al primo posto ed è, per eccellenza, il salume che ha saputo superare le barriere regionali, è un prodotto apprezzato da chiunque in Italia e nel mondo. Noi scegliamo il prosciutto crudo Gran Tanara, la migliore selezione del prosciuttificio Tanara di Langhirano stagionato circa 30 mesi. Lo scegliamo perché la carne è di provenienza esclusivamente italiana, con una stagionatura lenta ed accurata e una salatura fatta a mano con sale marino naturale, il meglio”.

L’opinione dell’esperto “chef non chef” Daniele Reponi è il re dei panini, colui che ha saputo elevare lo spuntino all’ennesima potenza trasformandolo in gourmet, ma con buon gusto e buon senso. I salumi fanno parte del suo dna, e afferma: “La ristorazione italiana non può fare a meno dei salumi, che possiedono un carico di tradizione unico al mondo. Non esistono culture che, al pari di noi, possano vantare secoli di affinamento perché abbiamo un’artigianalità, nella scelta delle carni, nella lavorazione e nel clima, che sfociano in una forma d’arte impareggiabile. È una peculiarità unica che dobbiamo sempre tenere presente perché ci distingue. Inoltre, se ci dedichiamo alla ricerca di abbinamenti insoliti, scopriamo un universo di sapori, profumi e sensazioni che meritano di emergere. Per esempio, io che faccio panini particolari, trovo che l’abbinamento con la frutta di stagione sia straordinario e permetta di creare un’offerta dinamica e interessante”. Daniele Reponi conferma il ruolo fondamentale della norcineria italiana all’interno dei menu del ristorante ma ammette che il contributo dei cuochi è spesso statico e poco rispettoso del prodotto: “La tradizione va bene ma, oggi, occorre fare un passo avanti e lavorare sulla valorizzazione del prodotto studiando quegli abbinamenti in grado di esaltare le peculiarità. Il salume non è un prodotto da trasformare, va servito tale e quale, e questo significa che puntare sulla qualità altissima è un requisito inderogabile. Anche l’utilizzo deve essere corretto, però. A volte, vedo poca conoscenza del prodotto, usi che lo mortificano invece di valorizzarlo, 58

come la pancetta piacentina (prodotto eccezionale) abbrustolita, per fare un esempio. Occorre individuare, per ogni prodotto, il giusto metodo. Il consorzio della Mortadella Bologna ha ideato un progetto di tapas all’italiana che propone tanti assaggi e abbinamenti insoliti allo scopo di dare a un prodotto spesso banalizzato l’identità che merita: gli abbinamenti giusti danno origine a una proposta fresca, divertente e accattivante. Il prosciutto di Parma o il Culatello sono straordinari ma noto che spesso, in bar e gastronomie, per non parlare della grande distribuzione, si predilige, ancora oggi, il prezzo alla qualità. Il ristoratore medio è fermo a proposte convenzionali mentre il mondo dei salumi in sé è in fermento, specialmente il mondo dei cotti: non solo cosce ma arrosti, affumicati, la spalla cotta, hanno raggiunto livelli di qualità eccellenti che la ristorazione non considera. Il salame è relegato spesso ai locali rustici, con poca visione, ma se considero la selezione e la maturazione delle carni, la sapienza che nasconde la lavorazione, mi accorgo che nasconde un bagaglio di cultura gastronomica unico. Dobbiamo fare un passo avanti, superare i luoghi comuni, trovare idee nuove. Trovate le idee, occorre comunicarle nel modo giusto: la narrazione del prodotto è un passo necessario, da fare senza retorica, con chiarezza. Il cliente del ristorante è curioso e possiamo soddisfare la sua voglia di sapere offrendo una specialità di altissimo livello che, quando affetti, assapori e mangi, ti fa sentire l’energia che sprigiona, mette in evidenza il lavoro di ricerca che hai fatto. Non diamo nulla per scontato, e non dimentichiamo che all’estero impazziscono letteralmente per i nostri salumi, vogliamo sprecare questo potenziale straordinario?”.

Daniele Reponi

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La storia di CONAPI nel magico e silenzioso mondo delle api

Si parla troppo poco di apicoltura in Italia. Eppure nel nostro Paese è un comparto sviluppato, uno dei più avanzati e conosciuti al mondo. Biodiversità, etica di produzione, tecnologia produttiva, diversificazione: finora abbiamo potuto contare su questo e su molto altro per distinguerci, ma si deve lavorare ancora molto per tutelare e accrescere un mondo che, per importanza, va ben oltre il business economico. Fare miele - e farlo bene - giova al pianeta.

L’importanza nell’ecosistema Partiamo dalle api, attrici protagoniste di questo particolarissimo comparto. “Se non ci fossero le api ci rimarrebbero quattro anni di vita” affermava Albert Einstein. Il ruolo delle api nell’ecosistema è, infatti, fondamentale: sono responsabili della riproduzione di moltissime colture e con la loro nobile attività consentono il mantenimento dell’equilibrio in natura. Ortaggi, verdure, ma anche caffè e molti altri prodotti, pure sottoprodotti, non esisterebbero se alle origini non vi fosse il loro zampino. Negli ultimi anni le api non hanno avuto vita facile; 62

il cambiamento climatico, e le estati torride che ne conseguono, sono tra i principali fattori che minano la loro presenza nel pianeta. In molti non hanno colto per scarsa informazione - che se non ci fossero gli apicoltori l’intera popolazione di api sarebbe più a rischio di quanto già non sia. Queste figure proteggono le api, tutelandole anche in momenti in cui trovare fonti nettarifere risulta più difficile. Bisogna sfatare, inoltre, un luogo comune: l’apicoltore che lavora in modo corretto non sottrae miele all’alimentazione dell’alveare, ma ne recupera l’eccedenza.

Conapi Uno dei nomi di riferimento per l’apicoltura in Italia è CONAPI, cooperativa nata nel 1979, oggi composta da oltre 330 soci che rappresentano oltre 600 apicoltori. Di questa complessa ma straordinaria realtà ci ha trasferito una bella presentazione Laura Betti, brand manager per Mielizia, lo storico brand utilizzato da CONAPI sin dagli albori. “Conapi nasce nel 1979. La cooperativa è cresciuta molto nel corso degli anni e oggi contiamo oltre trecento as| aprile 2022


sociati, ma dati alla mano sono molti di più gli apicoltori coinvolti visto che in alcuni casi il socio è un’entità cooperativa o un’associazione. Contiamo oltre 110.000 alveari in tutto il Paese, alcuni anche all’estero, in Ungheria e Spagna. Dunque, vi starete chiedendo di quante api stiamo parlando? Conapi si prende cura sommariamente di oltre cinque miliardi di api. Oltre alla qualità del miele - continua Laura - i consociati di Conapi perseguono buone pratiche di apicoltura e una sana gestione dell’attività. Sono due requisiti indispensabili per aderire al gruppo, così come è richiesta la voglia e la determinazione di farne parte. Più della metà dei soci ha la certificazione biologica che attesta il metodo di produzione conforme alla normativa del biologico. Il consorzio ha avuto un ruolo determinante anche in questo: Conapi paga per la certificazione biologica e monitora tutta la documentazione dei suoi associati affinché proseguano nella medesima direzione”.

Il miele nell’alimentazione e nell’applicazione in cucina Ora parliamo di miele. Perché se è tanto importante l’operato delle api, è altrettanto prezioso il miele come alimento per l’uomo. Le componenti fondamentali del miele sono gli zuccheri: glucosio e fruttosio, presenti in proporzioni diverse a seconda della tipologia del miele. Importante ricordarsi anzitutto proprio questo: esistono tantissime tipologie di miele e ognuna ha proprie peculiarità organolettiche e nutritive. Si tratta di un dolcificante naturale, il più nobile e salubre. Ha un potere dolcificante superiore allo zucchero ma, in proporzione, apporta meno calorie. Se non viene pastorizzato, quindi se non subisce un forte trattamento termico, il miele presenta forti differenze cromatiche, di aroma e sapore, a seconda delle tipologie. La sua composizione è invidiabile: contiene sali minerali, enzimi, polifenoli, tutti microelementi utili per una dieta equilibrata. Una

carta d’identità speciale, insomma, per un ingrediente che riesce a trovare una collocazione versatile nella cucina contemporanea, sempre più attenta alla salute e al benessere dei suoi interlocutori. Se per anni il miele è stato essenzialmente impiegato per dolcificare le bevande o come rimedio contro i malanni di stagione ora gode di ben altro appeal: viene utilizzato in pasticceria (specie nei lievitati come attivatore della lievitazione o per i ripieni), ma anche in cucina, in preparazioni salate. Gli chef si sono recentemente avvicinati al miele e pure ad altre risorse provenienti dall’alveare, come il polline, la pappa reale, la propoli, la cera d’api, dando il là ad abbinamenti originali e talvolta evocativi. Un altro spazio di sperimentazione riguarda la mixology; sono tanti i bartender che hanno colto le potenzialità del miele e dei prodotti correlati introducendoli nei loro cocktail e talvolta dedicando loro vere e proprie preparazioni. “Noi di CONAPI-Mielizia – afferma Laura Betti - lavoriamo per diversificare la gamma di prodotti e per garantire una consulenza ai professionisti che desiderano sperimentare nuove applicazioni nel food&beverage. Come per tanti altri prodotti di elevato potenziale gastronomico non si può prescindere dalla conoscenza dell’ingrediente, dei suoi pregi e difetti, e di tutti i passaggi della filiera”.

Diego Pagani


PRODUZIONE Autore: Luigi Franchi

La carne irlandese Buona per natura

In Irlanda ci sono circa 80.000 allevamenti con una media di 32 ettari e 58 capi per mandria aziendale. Allo stato attuale, lungo una filiera completamente tracciata e controllata, esistono 6,9 milioni di bovini. Su questa produzione governa Bord Bia con un marchio di qualità che viene assegnato agli allevatori secondo alcuni criteri: SBLAS- Sustainable Beef & Lamb Assurance Scheme è il Programma di Qualita` e Sostenibilita` Assicurata per la carne bovina e ovina atto a misurare parallelamente criteri di qualità e sostenibilità ambientale. Da una parte supervisiona il lavoro delle aziende attraverso uno schema operativo che si basa su standard qualitativi rigorosi in grado di identificare le best practice, dall’altra tutela i consumatori e i distributori attraverso ispezioni e controlli periodici sui prodotti e con l’attribuzione del marchio di qualità assicurata solo per quei prodotti che rispettano pienamente i requisiti dello schema qualitativo e con una validità di 18 mesi.

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Come è organizzato l’allevamento grass fed in Irlanda Con un sistema così integerrimo e un paese dove, su cinque milioni di ettari di superficie agricola, l’80% è destinato al pascolo la carne non può che essere buonissima. Infatti, il pay-off che accompagna le carni irlandesi è: buona per natura. Ed è una verità assoluta. Acqua pura, temperature miti, brezze costanti e ampie distese di prati verdi contribuiscono a fare dell’Isola di Smeraldo il luogo perfetto per il benessere dei capi bovini, che vivono liberi e in simbiosi con la natura, grazie a un metodo di allevamento perfettamente sostenibile e in linea con le esigenze attuali delle persone, sempre più attente all’etica e all’animal welfare come elementi che integrano il valore della qualità dei prodotti. Le stesse caratteristiche delle farm irlandesi confermano come il protagonista di questo stile di produzione non sia un sistema industrializzato bensì un approccio di cultura rurale antica e basata sui rapporti

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umani all’interno di una comunità di persone. Infatti il 99% delle aziende agricole è di proprietà familiare; una tradizione che orgogliosamente si rinnova di generazione in generazione. L’obiettivo è produrre carne in totale armonia con la natura e, per raggiungerlo, in Irlanda si è dato vita a un progetto unico nel suo genere: Origin Green! L’ambizione generale del programma Origin Green è che il cibo e le bevande irlandesi siano la prima scelta a livello globale perché sono considerati prodotti sostenibili da persone che si prendono cura di loro. Produzione alimentare sostenibile significa responsabilità condivisa per la produzione, la fornitura e il consumo di alimenti sicuri e nutrienti all’interno di un’industria redditizia che allo stesso tempo protegge e migliora il nostro ambiente naturale e la qualità della vita ora e in futuro. Una scelta premiata dal mercato, perché il 54% dei consumatori globali (fonte: Bord Bia/PWC Sustainability Research 2018) ha affermato che l’allevamento al pascolo, con alimentazione a base di erba, incide sulla loro scelta d’acquisto della carne di manzo, in quanto ritengono che i bovini che seguono questo tipo di alimentazione conducano una vita più ‘naturale’ all’aperto e abbiano maggiori probabilità di ricevere un trattamento etico; il 64% degli intervistati è anche disposto anche a pagare di più per questa garanzia.

La carne irlandese nella ristorazione italiana “Vedere come si alleva e come si produce. Sono le condizioni indispensabili per dare un nome certo a qualità e sostenibilità. Vivere dal vivo queste dinamiche è necessario per trasferire ai nostri clienti, i ristoratori italiani, tutte le caratteristiche della carne che acquisteranno da noi” ha affermato Andrea Marchi, presidente del gruppo Cateringross a proposito della car-

ne irlandese, al termine di un viaggio tra gli allevatori fatto prima del periodo pandemico. Ed è vero, solo calpestando la terra, per parafrasare il grande Gino Veronelli, si capisce da dove nasce la qualità, in questo caso la salubrità degli animali. I campi irlandesi destinati all’allevamento sono bellissimi, il verde dei prati e l’azzurro dei cieli pieni di nuvole conferiscono a questa terra una dimensione speciale, ma oltre a questo è anche il tipo di erba consumata dai bovini che ne esalta il gusto delle carni: non più alta di pochi centimetri, fresca, profumata! Per questo la carne irlandese è così apprezzata nella ristorazione, a tal punto che Bord Bia ha favorito la nascita del CIBC (Chefs’ Irish Beef Club); un’associazione che raggruppa più di cento chef nel mondo e che, in Italia, vede la partecipazione di Francesco Cassarino (Consulting Chef), Filippo Saporito (La Leggenda dei Frati, Firenze, stella Michelin e presidente di jRE Italia), Daniele Repetti (Nido del Picchio, Carpaneto Piacentino, stella Michelin), Stefano Arrigoni (Osteria della Brughiera, Villa d’Almè, stella Michelin), Alberto Canton (Boccon Divino, Camposampiero), Sara Conforti (Consulting Chef) e Andrea Fusco (Giuda Ballerino, Roma), oltre allo chef Simone Rugiati che, invece, riveste il ruolo di brand ambassador per le carni irlandesi in Italia. Abbiamo chiesto a uno degli chef, Daniele Repetti, di esprimere la sua opinione sulla carne irlandese: “Una volta che capisci la carne irlandese, ne apprezzi non soltanto il sapore e la ricchezza nutrizionale, ma anche il progetto di etica e sostenibilità basato su un metodo di allevamento antico, gestito da imprese familiari e piccoli allevatori, che è determinante per il benessere dell’animale. E che ritrovi nel piatto con le sue note erbacee, con la sua tenacità. Una carne davvero unica e gustosa”.

Filetto di carne di manzo irlandese

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SCEGLI I NUOVI PRODOTTI SALUMI REALI

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PRODUZIONE Autore: Guido Parri

La Carne Salada Salumi Reali Sono ormai 75 anni che la famiglia Gasperi produce, nel Salumificio Val Rendena di loro proprietà, la Carne Salada, il prodotto più tipico del Trentino. Era il 3 gennaio 1947 quando i fratelli Gasperi aprirono una salumeria-macelleria con vendita di latte proprio sotto casa. Quella salumeria è cresciuta diventando un preciso punto di riferimento per la salvaguardia delle produzioni tipiche di questa regione. Infatti, oltre alla Carne Salada, al Salumificio Val Rendena le produzioni spaziano dallo Speck ai salami stagionati, ma in questo articolo ci concentreremo sulla Carne Salada che il salumificio produce anche a marchio Salumi Reali per il gruppo Cateringross.

La Carne Salada, tra storia e produzione

Siamo nel Cinquecento e in Trentino alcuni editti, emessi dai principi-vescovi che governavano la regione, imposero l’abbattimento di un capo su cinque che transitavano nei pascoli di alpeggio. Si arrivò, in tal modo, ad avere un eccesso di carne che non poteva andare sprecato. Per conservare la carne e mangiarla nei mesi successivi si pensò al sale come metodo di produzione e, da quel momento, prese forma la carne salada. A quei tempi non si utilizzavano parti specifiche, fu la sapienza dei macellai che individuò un metodo per realizzare a Carne Salada che abbiamo ancora oggi sul mercato, ottenuta dalla lavorazione delle parti pregiate del bovino adulto come la fesa, la sottofesa e il magatello. Il Salumificio Val Rendena utilizza solo la migliore fesa sul mercato, proveniente

da bovini allevati allo stato semi-brado. Il processo produttivo prevede che, dopo averla pulita da parti tendinee in eccesso, sia avvolta in una miscela di sale, erbe e spezie aromatiche che, per osmosi, aiuterà la fuoriuscita dalle carni della salamoia naturale, elemento fondamentale nella produzione. Dopo due-tre settimane la carne avrà rilasciato gran parte della propria acqua e assorbito profumi e sapori di spezie ed erbe di montagna, e sarà pronta per il consumo: tenera, magra, delicatamente saporita e versatile. Infatti la Carne Salada oggi è oggetto di ricette che superano i confini amministrativi, trovando lo spazio che merita nelle cucine professionali di ogni parte d’Italia.

La Carne Salada Salumi Reali

È per questo che il gruppo Cateringross l’ha selezionata proprio dal Salumificio Val Rendena per inserirla nei prodotti a marchio Salumi Reali riservati ai clienti ristoratori forniti dalle 40 aziende del gruppo in tutta Italia. Intera, metà, quarto, intera insaccata, certificata Qualità Trentino, preaffettata a carpaccio in buste per il libero servizio e il take-away, preaffettata un po’ più spessa pronta per essere cotta. Sono davvero tanti, tutti con uno straordinario contenuto di servizio per i diversi utilizzi, i formati in cui viene commercializzata la carne salada e, per il Salumificio Val Rendena, lo storico rapporto con Cateringross rappresenta la possibilità di servire un ampio network di distributori del settore Horeca, importante canale di vendita per i salumi di qualità del suo assortimento. | aprile 2022

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PRODUZIONE Autore:

Guido Parri

cameo Professional

Una nuova rete di vendita diretta, dedicata, specializzata

Nel 1891, in Germania, il farmacista August Oetker introduce per la prima volta il lievito in bustina, dosato esattamente per mezzo chilo di farina. Quella piccola bustina ha dato vita, in 130 anni, a un gruppo multinazionale, gestito oggi dalla quarta generazione Oetker, che produce 4.000 referenze, ha 300 aziende che fanno parte del gruppo, 26.000 dipendenti sparsi nei cinque continenti e un fatturato di circa sei miliardi di euro. La divisione alimentare del gruppo è presente in 43 paesi del mondo, tra cui l’Italia che vanta una condizione particolare: è l’unica nazione con un marchio proprio: cameo. Oetker aprì una filiale in Italia nel 1933, ma solo nel 1953 venne coniato il marchio cammeo, dapprima con la doppia emme e, negli anni ’70, così come lo conosciamo: un marchio che è entrato nell’immaginario collettivo delle famiglie italiane per i suoi prodotti a base di lievito, Bertolini e PaneAngeli prima di tutto, ma anche Ciobar, Vitalis, Pizza Regina (i primi a introdurre la pizza surgelata nel nostro paese). L’azienda, in Italia, ha sede a Desenzano del Garda e nei suoi edifici trovano posto, oltre alla produzione, anche un campus e DolceCasa cameo, uno spazio dedicato che le consente di incontrare i suoi consumato68

ri, le scuole e i partner commerciali per far vivere loro un’indimenticabile esperienza all’insegna dei suoi valori: tradizione, gusto e qualità. In questo spazio interattivo gli ospiti possono conoscere e toccare con mano tutti i segreti dell’azienda e dei suoi prodotti e sperimentare la loro preparazione sotto la guida attenta dei pasticcieri. cameo vanta circa 400 dipendenti e un fatturato annuo di circa 40 milioni di euro.

cameo Professional: la nuova scommessa per il mercato del fuori casa cameo Professional è la divisione di cameo che si rivolge ai protagonisti del Fuori Casa con soluzioni multicanale, studiate nello specifico per i bisogni del settore HoReCa, della ristorazione organizzata, commerciale e del vending, e pensate per soddisfare ogni momento di consumo della giornata. I due pilastri dell’assortimento sono: ingredienti, miscele predosate, prodotti servizio adatti a semplificare o arricchire l’esperienza in cucina; Ciobar, Snack Friends e Vitalis, apprezzati brand di sfiziose specialità prodotte per il consumo extradomestico. “Dopo tanti anni di presenza nell’HoReCa, distribuiti | aprile 2022


a livello nazionale attraverso lo storico intermediario - spiega Manuel Amorini, Responsabile Divisione cameo Professional - a partire dal mese di aprile 2022 cameo Professional si presenta sul mercato di riferimento con un’importante novità: una rete vendita diretta e specializzata, dedicata a distributori e grossisti. La nostra priorità è continuare a garantire il presidio del canale di riferimento, il Fuori Casa, ma guidando e coordinando direttamente le iniziative commerciali e le vendite dei nostri prodotti in tutte le categorie: non solo ambient, ma anche fresco e surgelato”. Obiettivo principale della riorganizzazione è rafforzare e consolidare ancor di più le relazioni, i rapporti commerciali esistenti, intrecciare nuove partnership, trasferire i valori cameo Professional e presentare al meglio ogni nuovo progetto. “Siamo certi che questa nuova strategia ancora più win-win possa apportare ulteriori benefici a tutta la filiera oltre che creare un filo diretto tra i vari operatori. Crediamo infatti - prosegue Amorini - che la presenza diretta sul territorio sia un’opportunità reciproca per comprendere e soddisfare al meglio le esigenze, soprattutto in un periodo di cambiamento come quello vissuto negli ultimi tempi”.

trasformata con la forte ambizione di rivoluzionare la categoria sul mercato. Per raggiungere questo obiettivo, è stata fondamentale la collaborazione con due partner d’eccezione: la chef Ljubica Komlenic e Cast Alimenti, la scuola dei mestieri del gusto, fondata da Iginio Massari e famosa in tutta Italia. “Abbiamo migliorato le ricette, i contenuti tecnici, l’aspetto e la fruibilità del packaging rendendolo ancor più professionale e intuitivo, offrendo formazione e anche ispirazione attraverso immagini particolarmente curate. Fiore all’occhiello di questa partnership: la creazione dei dessert ‘freeze stable’, ovvero resistenti alla congelazione, che consentono di evitare più sprechi possibili in cucina, di avere il food-cost sempre sotto controllo e una resa sicura. Con questi dessert, cameo Professional offre alla pasticceria da ristorazione prodotti ‘convenience’ di qualità superiore sotto ogni punto di vista, primo su tutti il gusto! E non è finita qui. Per il 2022 sono in serbo ancora molte sorprese golose” conclude Manuel Amorini.

La partnership con Ljubica Komlenic e Cast Alimenti cameo Professional negli ultimi due anni ha investito molto in Ricerca e Sviluppo, ampliando ad esempio la gamma dei preparati per dolci e rendendola ancora più mirata alle esigenze dell’operatore finale. Non è stata semplicemente rimodulata l’offerta, è stata

Il Campus Cameo

Manuel Amorini

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PRODUZIONE Autore:

Guido Parri

Greenology e il mio locale s’impegna

Due esempi che fanno di Bonduelle Food Service l’alleato ideale per la ristorazione in Italia

Il Gruppo Bonduelle, con i suoi 3.490 agricoltori partner, da oltre 160 anni propone verdure di qualità nel rispetto delle specificità agronomiche delle diverse zone geografiche per ben 128 mila ettari nel mondo. In sei generazioni Bonduelle è diventato un brand globale con 2,3 miliardi di euro di fatturato e più di 10.000 collaboratori in 100 Paesi. È in questo contesto che, in Italia, è stata creata la divisione Bonduelle Food Service, diventata, in pochi anni, un punto di riferimento nel mondo dei vegetali per il fuori casa. In un momento dove stanno cambiando profondamente gli stili di ristorazione e i desideri della clientela, aziende come questa diventano un partner chiave all’interno della filiera, perché in grado, grazie a competenza e know how, di fornire servizi, soluzioni e prodotti, che rispondono alle esigenze di chef e operatori della ristorazione e in linea con i trend attuali. A conferma del ruolo di riferimento di Bonduelle 70

Food Service nel mondo dei vegetali per il fuori casa, sono nati i due progetti Greenology, l’arte della cucina a base vegetale e Bonduelle s’impegna con il recente lancio dell’iniziativa Il mio locale s’impegna.

Greenology, l’arte della cucina a base vegetale Promuovere l’alimentazione vegetale nei ristoranti, a partire dalle cucine professionali, significa superare alcuni preconcetti che collocano questo tipo di proposta gastronomica nell’ambito del salutistico e del piatto triste. Nulla è più sbagliato di questo: i colori che un piatto vegetale riesce ad esprimere rappresentano quanto di più felice e bello si possa immaginare. Se alla bellezza si aggiunge anche la bontà e la salute, andare al ristorante si trasforma in un piacere assoluto. Ecco perché Bonduelle Food Service ha dato vita a Greenology, l’arte della cucina a base vegetale, il | aprile 2022


progetto che promuove l’alimentazione vegetale nelle cucine professionali, svelandone il potenziale per creare ricette gustose, sane e sostenibili, in linea con i trend attuali. Con il programma Greenology, Bonduelle Food Service unisce la sua competenza nel mondo vegetale e l’esperienza culinaria e li mette a servizio di chef e operatori della ristorazione, che oggi hanno l’esigenza di integrare nei propri menù proposte a base vegetale, parte della nostra tradizione e protagoniste delle recenti tendenze alimentari, per rispondere alle richieste e aspettative dei propri clienti. Oggi infatti sono tanti gli ospiti che al ristorante o al bar scelgono proposte a base vegetale: se una volta erano vegani e vegetariani, circa un milione e mezzo di italiani, oggi si tratta di un pubblico molto più ampio di flexitariani, costituito da 1 italiano su 4, e di reducetariani, che condividono l’obiettivo di ridurre l’apporto proteico della carne; e ancora di climatariani, impegnati nel ridurre il proprio impatto sull’ambiente, anche attraverso un’alimentazione consapevole e sempre più sostenibile. Si tratta di clienti sempre più attenti, che la ristorazione può attrarre e fidelizzare con una proposta a base vegetale, originale e gustosa, traendo utili spunti e conoscenze da Bonduelle Food Service e da Greenology. Il progetto consiste infatti in un sistema integrato di strumenti e attività disponibili anche sulla piattaforma dedicata www.bonduelle-foodservice.it/greenology, al quale chef e operatori del settore possono accedere gratuitamente per scoprire tutto quello che c’è da sapere sull’alimentazione vegetale e le sue po-

tenzialità: formazione, aggiornamenti sui nuovi food trend, ricette di chef stellati, ispirazioni culinarie, pareri nutrizionali, oltre a consulenze professionali personalizzate, masterclass e show cooking. Con Greenology Bonduelle Food Service promuove la cucina a base vegetale non solo attraverso strumenti e attività dedicate, ma anche con un’offerta di prodotti vegetali sempre più completa, versatile e sostenibile, tra verdure, cereali e legumi per ispirare chef e operatori della ristorazione nella creazione di ricette sempre nuove. È recente il lancio della gamma di Cereali e Legumi surgelati Minute® in 5 referenze - Bulgur, Orzo, Quinoa, Lenticchie e Ceci – accompagnata dall’ampliamento della linea Le Grigliate con i nuovi ingredienti Cipolle rosse, Peperoni Julienne e Zucca. Un esempio di come funziona Greenology ci viene dallo chef stellato Christian Milone della Trattoria Zappatori di Pinerolo che ha interpretato Greenology creando una raccolta di ricette esclusive. A proposito della ricetta che pubblichiamo a margine dell’articolo Milone commenta: “Classico abbinamento Grana Padano, uova e Asparagi. In questo caso abbinati all’Orzo, trattato e mantecato come fosse un risotto. In questa ricetta, i prodotti Bonduelle Food Service sono mantenuti più integri possibile, rigenerandoli solamente e mantecandoli per pochi minuti. La parte di rottura con la tradizione è data dal Grana Padano in forma di briciole croccanti e dall’uovo rappresentato da un tuorlo crudo che viene svuotato e farcito con la crema di patate e tartufo. Tecnica che mostro e divulgo con gioia e che tante prove mi è costata nella mia cucina”.

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Bonduelle s’impegna Bonduelle s’impegna è il programma di responsabilità sociale con il quale Bonduelle Food Service si impegna a favorire lo sviluppo di un’agricoltura e di un’alimentazione sostenibili, per contribuire alla salute del pianeta e delle persone: un percorso insito nella storia dell’azienda, che da sempre ha avuto uno sguardo attento verso questi temi. Si tratta di obiettivi perseguibili attraverso azioni quotidiane che riguardano tutte le fasi di lavorazione, dal campo allo stabilimento, per ispirare il cambiamento verso un’alimentazione a base vegetale, con una proposta al mondo della ristorazione di servizi e prodotti di qualità, sani, gustosi e al tempo stesso sostenibili. Nell’ambito di Bonduelle s’impegna è nata recentemente l’iniziativa Il mio locale s’impegna.

Il mio locale s’impegna Sono sempre di più i locali che operano in modo sostenibile e i clienti che scelgono quei locali proprio per il loro impegno verso l’ambiente. Per questa ragione Bonduelle Food Service con l’iniziativa ‘Il mio locale s’impegna’ sceglie di affiancare questi locali e supportarli nel comunicare ai loro clienti e partner la loro attenzione all’ambiente e il loro impegno quotidiano in azioni sostenibili per il benessere del pianeta e delle persone. Questo progetto integrato prende il via con la pubblicazione del Manifesto ‘Il mio locale s’impegna’, un programma di buone pratiche quotidiane a cui ogni locale può aderire, a dimostrazione del proprio impegno verso la sostenibilità. Per inaugurare questo progetto sono stati realizzati due kit di comunicazione messi gratuitamente a disposizione dei professionisti della ristorazione che hanno comportamenti etici e vogliono comunicarli ai propri clienti. Un kit di materiali da esporre nel locale come segna72

menù, poster e locandine, da richiedere compilando un form online, ma anche un kit digitale, con immagini e grafiche da utilizzare sui canali social e sul sito del locale, scaricabile direttamente da bonduelle-foodservice.it. Il Manifesto ‘Il mio locale s’impegna’ si articola in 8 punti: 1. Proponiamo menù adatti alle diverse esigenze e scelte 2. Creiamo piatti con ingredienti sostenibili e di qualità 3. Evitiamo lo spreco alimentare 4. Limitiamo i rifiuti e promuoviamo il riciclo 5. Rispettiamo le risorse ambientali evitando sprechi 6. Agiamo in modo responsabile verso le persone 7. Privilegiamo fornitori che operano in modo etico 8. Promuoviamo la sostenibilità con le nostre scelte quotidiane Scegliere di sostenere ristoranti che fanno della sostenibilità un must di comportamento è un modello forte di come dovrebbe essere vissuta la filiera del fuori casa, condividendo regole e conoscenza.

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La ricetta di Christian Milone Orzotto agli Asparagi verdi mantecato all’olio di nocciola, tuorlo ripieno di patate e tartufo nero... briciole di Grana Padano croccante INGREDIENTI Per la crema di asparagi: 250 g di Asparagi verdi Bonduelle Food Service, acqua di cottura q.b. Per le briciole di Grana Padano 100 g di Grana Padano grattugiato Per la crema di patate e tartufo: 100 g patate bollite e pelate, 250 g panna, 30 g tartufo nero grattugiato molto finemente, sale q.b. Per l’orzotto: 230 g Orzo Minute Bonduelle Food Service, 50 g burro, 50 g olio di nocciola, 100 g Grana Padano grattugiato, 4 tuorli d’uovo, 12 belle cime di cerfoglio, sale q.b. PROCEDIMENTO STEP 1 - Per la crema di asparagi: Suddividere le punte degli Asparagi dal resto del gambo ancora a prodotto surgelato. Cuocere i gambi in acqua salata e bollente fino a renderli morbidi. Raffreddare in acqua e ghiaccio e asciugare il prodotto. Sbollentare le punte per pochi istanti in acqua leggermente salata. Scolare conservando il liquido di cottura avendo cura di raffreddare le punte in acqua e ghiaccio e di asciugarle accuratamente. STEP 2 - Per le briciole di Grana Padano: Cospargere su carta da forno uno strato di circa 5 mm di Grana grattugiato. Inserire in forno a microonde per alcuni minuti in base alla potenza dello strumento stesso fino a che il formaggio sarà completamente fuso e di un colore dorato. Lasciare raffreddare e rompere in briciole più o meno fini in base al proprio gusto personale. STEP 3 - Per la crema di patate e tartufo: Riscaldare la panna con il tartufo. Quando spicca il bollore aggiungere le patate e frullare fino ad ottenere un composto liscio e omogeneo. Mantenere il composto a una temperatura di circa 50°C. STEP 4 - Per l’orzotto: Rigenerare l’Orzo per i minuti indicati in microonde. In una padella aggiungere la crema di asparagi all’Orzo in modo da rendere il tutto cremoso e all’onda. Procedere alla mantecatura aggiungendo il burro freddo di frigo, l’olio di nocciola, il Grana Padano grattugiato e le punte tenute da parte cotte croccanti. Aggiustare di sale se necessario. STEP 5 - Impiattare l’orzotto in una fondina. Disporre al centro del composto un tuorlo d’uovo. Con uno stuzzicadenti effettuare un foro in superficie e con l’aiuto di una siringa da 5 ml senza ago aspirare il contenuto del tuorlo per circa 3/4. Con un’altra siringa inserire la stessa quantità di crema di patate e tartufo tiepida. Decorare il tutto con le briciole di Grana Padano croccanti e i ciuffi di cerfoglio.

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DISTRIBUZIONE Autore: Luigi Franchi

Le ostriche Un’occasione di formazione-evento organizzato da Nigro Catering Oyster Oasis è un’azienda che commercializza in Italia ostriche che arrivano dai migliori allevamenti del mondo come, ad esempio, David Hervé che produce dal 1939 o le ostriche San Michele del Gargano. Prodotti di assoluta eccellenza che sono stati oggetto di una dimostrazione-evento presso il Nigro Lab dell’azienda Nigro Catering di Modica (RG). “Abbiamo realizzato questo momento di formazione verso l’affascinante mondo delle ostriche per alcuni nostri clienti ristoratori perché abbiamo introdotto, tra le nostre referenze di ittico fresco anche questi prodotti che puntano ad essere un complemento del nostro catalogo. L’ittico, infatti, rappresenta per noi un’innalzamento del servizio che diamo alla ristorazione e riusciamo a farlo grazie alla partnership con Red Fish, un’azienda che vanta grande esperienza sul mercato” ha affermato Carmelo NIgro, presidente di NIgro Catering. E sono proprio gli esperti di Oyster Oasis che hanno condotto la lezione facendo assaggiare sei tipi di ostriche selezionate in Francia, irlanda e Italia: l’ostrica Royal della Maison Hervè, carnosissima, allevata nelle claires di Marennes et Oleron; la huitre Fine, sempre di maison Hervè, allevata nel bacino de La Plage de Ronce, un tempo sede delle saline dell’antica Roma e oggi tempio dell’ostricoltura; la Special Pleiade di Maison Thierry Poget, allevata a Utah Beach, una delle cinque spiagge dello sbarco in Normandia che segnò la liberazione dell’Europa e la fine della seconda guerra mondiale, e successivamente trasferita a La Tremplade presso

Marennes et Oleron dove passa quattro mesi nelle claires per assumere una dimensione carnosa; l’ostrica Regal Selection Or che arriva dall’Irlanda, esattamente dalla Cloudy Bay di West Port dove trova un ambiente molto salino e ricchissimo di plancton; l’ostrica La Spéciale di Arnaud Legrand, allevata nella baia di Borgneuf, molto carnosa e dal gusto iodato; e, per finire, l’ostrica di Tarbouriech Italia, dalla sacca di Scardovari in Veneto dove il francese Florent Tarbouriech, il più grande esperto di ostriche da laguna del mondo, ha brevettato quest’ostrica bio nel luogo che è Patrimonio UNESCO e Riserva della Biosfera. “Sono stati momenti di grande emozione che abbiamo trascorso con i nostri clienti. Emozione perché assaggiare queste ostriche non può produrre atro che questo. Elementi che ti riempiono la bocca di mare, facendolo entrare in te, sono un sogno gastronomico che, grazie alla nostra capacità distributiva, sarà possibile condividere la prossima estate in Sicilia” commenta Carmelo Nigro. La degustazione è stata accompagnata dai vini di una cantina siciliana, Horus: il Sole e Terra, un Grillo 100%, e il Catammari, uno spumante extradry composto da Insolia e Moscato. Due vini ideali per accompagnare prodotti molto salini. Regal Selezione Oro

Pleiade Poget



NOVITÀ Autore: Guido Parri

“Piovono polpette!” La carne è uno di quei cibi che si adatta ad ogni tipo di trasformazione gastronomica, presentandosi al mondo della ristorazione in modo sempre differente grazie alla fantasia degli chef e alle richieste di mercato. Dall’antipasto al primo, passando al secondo e al piatto unico “fast”, le pietanze a base di carne piacciono. Piacciono soprattutto le proposte fantasiose e nuove, che fanno di questa materia prima uno dei piatti principali di tanti menù, da quelli più sofisticati a quelli da street food. Oggi vorremmo soffermarci su un prodotto che piace veramente a tutti e che è stato spesso rivisitato mantenendo però la sua identità: le polpette. Sfiziose, versatili, eclettiche, un piatto semplice che è stato capace di conquistare il mondo. Ma chi ha inventato le polpette? Qual è l’origine di questo piatto? Per quanto sembri impossibile, no, non l’ha inventato la nonna! Storia vuole che questo piatto abbia origine persiane e che, a seguito delle conquiste territoriali, si sia diffuso nel mondo arabo e mediterraneo, arrivando poi al resto dei continenti che, a proprio modo e sulla base degli ingredienti tipici, hanno rivisitato in mille modi le polpette così come erano conosciute. Non solo come secondo o unico piatto, ma anche come sugo per la pasta (si pensino ai celebri “spaghetti and meatballs” che ci riportano agli USA), o ancora come “cicchetto” o appetizer.

Le polpette rappresentano, inoltre, un vero e proprio comfort food quasi nostalgico, che ci riporta ai ricordi d’infanzia, ma che ritroviamo anche negli aperitivi più moderni. Un cibo destinato ad essere sempre reinventato e proposto in tantissime varianti, da quelle più classiche a quelle più particolari. Le polpette surgelate a marchio Centro Carni Company, proposte in versione bovino e vitello, sono l’ideale per preparate tantissimi piatti sfiziosi. Si possono cuocere direttamente surgelate, ottenendo un risultato davvero straordinario in poco tempo. Che sia inverno o estate, la polpetta rimane un evergreen capace di appagare tutti i nostri sensi.

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ASSOCIAZIONE GASTRONOMI PROFESSIONISTI

Il Gastronomo

Un professionista trasversale Autore: Giorgio Maria Zinno

Non è necessario rimarcare ancora quanto sia fondamentale assumere personale formato e capace di reagire prontamente alle richieste di un’utenza sempre più esigente e preparata. Tutti sappiamo quanto siano cambiati i paradigmi dell’intero settore food rispetto al passato. A parte le incoerenti dinamiche occupazionali dell’era post covid, la ricerca di personale sufficientemente competente crea spesso numerose problematiche per chiunque voglia implementare il proprio staff con elementi in grado di fare la differenza. E sebbene siamo abituati a riferirci a specialisti che imparano, dopo un lungo periodo di esperienze sul campo, a conoscere il mondo del cibo e gli equilibri che lo regolano, l’universo delle possibili figure competenti è ormai ricco di professionisti in grado di offrire da soli un bagaglio di nozioni globali sul food. L’Università, già più di quindici anni fa, ha avvertito segnali di queste trasformazioni in atto e ha cercato gradualmente di fornire le risposte ad una domanda che presto o tardi si sarebbe presentata. Ebbene la realtà accademica, da una costola dei corsi di laurea in agronomia, almeno inizialmente, ha cercato di scolpire in modo scientifico una figura le cui competenze erano state proprie di grandi giornalisti come Gino Veronelli e Mario Soldati. Partendo da fondamenti di base di chimica e fisica, ma anche di discipline umanistiche come storia e geografia, per poi passare a rudimenti di economia, marketing e 78

gestione di impresa, e poi ancora con materie caratterizzanti e applicative, numerosi atenei italiani hanno strutturato a poco a poco corsi di laurea, di diverso livello, specializzati nelle Scienze Gastronomiche. Quello che, in definitiva, possiamo definire il prodotto della formazione universitaria è diventato quindi un professionista dall’elevata sensibilità, munito di un sapere che sa adattarsi alle realtà più disparate, comprendendone le necessità e le prospettive. Così, dalla ristorazione alla formazione, dalla comunicazione al turismo, dall’organizzazione di eventi fieristici alla sicurezza alimentare, il gastronomo può occuparsi delle mansioni più disparate, vantando una preparazione multidisciplinare tale da permettergli di svolgere anche più ruoli contemporaneamente. In base alla dimensione e alla struttura delle realtà aziendali, l’impiego del gastronomo può essere davvero molto vario, a seconda delle capacità pregresse e di quelle assunte a seguito del percorso accademico. È immediato, ma non scontato, pensare, in primo luogo, al collocamento nella ristorazione. Che sia uno stellato, una trattoria a conduzione familiare o una catena, il ristorante, in tutti i suoi settori è il luogo perfetto per dare spazio alle attitudini creative e comunicative del gastronomo. Egli è il primo ad essere consapevole delle origini storico-culturali del cibo e del vino, ne conosce gli aspetti, le curiosità, le trasformazioni. Naturalmente, sa molto bene quali interazioni sensoriali | aprile 2022


Andrea Amadei

possono nascere tra il prodotto e la persona seduta al tavolo che si presenta come cliente, e che sempre più spesso si pone in attesa di lasciarsi trasportare in un universo di racconti e aneddoti su ciò che può assaggiare. Queste aspettative, oggi, non possono essere trascurate e disattese; in tal caso il gastronomo può fungere da mediatore culturale ottimizzando, in tutto e per tutto, le azioni connesse alla mission della realtà in cui è inserito. E parlando di realtà in cui è fondamentale conoscere e prevedere i bisogni dei consumatori, come i reparti R&D delle aziende alimentari, molti sono i gastronomi che si sono specializzati nella funzionalizzazione di processi di riadattamento o nello sviluppo di nuovi prodotti adeguati alle esigenze del mercato. Nelle grandi aziende poi, oltre alla propria mansione personale, essi si occupano anche di agire come figura di trait d’union tra diversi dipartimenti, coordinando o regolando i processi di relazione tra un settore e l’altro. Grazie al background formativo, è spontaneo per un gastronomo mettere sulla stessa lunghezza d’onda ad esempio la produzione, il marketing e il commerciale, orientandole verso una direzione comune, che sappia interpretare appieno l’identità aziendale. Un altro settore in cui i laureati in scienze gastronomiche possono svolgere al meglio il proprio lavoro è quello dell’accoglienza turistica. Come già accennato, la capacità di leggere l’alfabeto della gastronomia è un requisito proprio dei laureati in questa disciplina e, nel campo dell’hospitality, è fondamentale saper accogliere il pubblico mettendolo a parte di nuove conoscenze, facendolo sentire integrato e, in un certo senso padrone, di un linguaggio che potrà condividere e portare con sé al termine dell’esperienza turistica.

Enrico Bazzani

Molti lavorano come consulenti e formatori a vari livelli e in diversi ambiti del settore, occupandosi di educazione alimentare, nutrizione, controllo qualità, auditing, training del personale (sicurezza, HACCP, controllo di gestione), nel campo della comunicazione tradizionale, del social media marketing, del copywriting e tanto altro. Il gastronomo di cui abbiamo parlato è chiaramente un vero professionista, un tecnico, non un appassionato con la fama del ‘mangiatore raffinato’ senza competenze certificate. Questa è un’esortazione, non abbiamo paura di usare questo nome. Gli attori del settore ormai sanno chi è, a cosa serve, cosa può fare, cosa in più sa dare, che può essere una figura veramente trasversale all’interno di tante realtà. E se c’è bisogno di qualche approfondimento o qualche contatto, basta chiederlo all’Associazione Gastronomi Professionisti, ente che si è proposto di raccogliere tutti i laureati italiani in questa disciplina e che si mette a disposizione come centro di coordinamento per diffondere la cultura enogastronomica e accrescere la reputazione di questa figura professionale. | aprile 2022

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