E quindi uscimmo a riveder le stelle

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DANIELE GRASSI

E QUINDI USCIMMO A RIVEDER LE STELLE

Educazione letteraria e sentimentale

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Lettere 1936/1941

La gloria di Colui che tutto move

per l’universo penetra e risplende

in una parte più e meno altrove. In un prospetto con tanto di foto del collegio dei Redentoristi così un noto predicatore domenicano iniziava un ditirambico elogio di Lettere, dove ero diretto nell’autunno del 1936. L’avrei letto senza capirci molto qualche mese dopo. Per ora a quel privilegiato luogo, in cui risplendeva la gloria del Creatore, mi stavo avvicinando, salendo alla collina di media altezza dall’ubertoso agro nocerino. In carrozzella a due ruote, gli zii Luigi e padre Schiavone sul sedile posteriore, io su uno strapuntino anteriore con due valigie tra i piedi e il cocchiere Pasquariello a cassetta, trottavamo per le strade polverose della campagna o quelle a lastroni lavici dei paesi che facevano sobbalzare il veicolo traballante e imbestialivano il cavallo quanto la ressa della gente gesticolante e le vetture di ogni genere che ci venivano incontro. Dopo Pagani, Angri e S. Antonio Abate in pianura, per Gragnano e Casola affrontammo la salita verso Lettere.

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Al richiamo di zio Luigi mi fu dato vedere per la prima volta in lontananza una vasta distesa azzurra che confinava con il cielo : il mare ! di cui tanto avevo sognato in un viaggio sempre promesso e mai avvenuto a Napoli. Già prima, interrompendo lo scarso parlottare con padre Schiavone, egli mi aveva indicato il pennacchio bianco del Vesuvio che fumava e che ora lasciavamo alle spalle, avendo di fronte una serie di colline che accavallandosi portavano verso i torrioni dei monti Lattari. Ero tutto occhi : per quelle curve e giravolte ad ogni passo si apriva una nuova prospettiva con diverso paesaggio. Conoscevo castagneti e vigneti, ma gli aranceti, i limoneti, il vulcano, il mare ? Mentre con i miei occhi di povero caruso irpino undicenne bevevo stupefatto quelle meraviglie, a cosa pensavo e da che sentimenti ero dominato ? Avevo lasciato nelle tenebre della notte il natio paesello per prendere il primo treno-­‐una littorina-­‐ da Morra ad Avellino, poi un treno a vapore da Avellino a Nocera Inferiore, dove al ristorante della stazione lo zio mi aveva fatto gustare le celebri sfogliatelle calde, poi un altro mezzo fino a Pagani e qui, dopo un’ascetica rifocillazione con padre Schiavone dai Redentoristi, ora la carrozzella e l’aria dolce e fine del pomeriggio d’inizio settembre su per le colline. Nutrivo qualche rimpianto per quel che mi ero lasciato dietro, paese, famiglia, infanzia ? Avevo apprensione per quel che mi aspettava, collegio, compagni ed insegnanti nuovi ? E la vocazione religiosa, scoperta per me in quattro e quattr’otto negli ultimi due mesi, che cosa significava e a che vita mi destinava ? Intanto avrei

potuto studiare e non subire l’apprendistato di un mestiere quale quello di calzolaio, iniziato già da tempo e intensificato negli ultimi tempi : « O studi o farai il calzolaio « era il ritornello e verso cosa io fossi più portato lo si poteva immaginare anche da quello che il mio maestro preferito e più autorevole, don Ettore, aveva detto a mia madre : « Concettella, vendi quel che non hai, ma fa studiare Daniele. » Da vendere, però, non c’era niente e per farmi studiare restava solo la vocazione religiosa. Che questo poi significasse vendere me stesso e la mia giovinezza era un altro discorso, incomprensibile e incompreso dalla mia famiglia e pure dal diretto interessato, ora allegro perché andava a studiare. Perfino i due vestiti da monachello , che mi aveva confezionato mastro Rocco Berardi e che erano lì fra i miei piedi nella valigia, mi avevano eccitato solo in parte e più che altro incuriosito durante le prove, come l’abito nuziale eccita una ragazza , cui si propone all’improvviso il matrimonio per il quale si vede in un mare di spuma bianca, ignorando però cosa sarà veramente il nuovo stato. Questa strana atmosfera di candidato a non si sa che, eccetto lo studio, aveva occupato i miei pensieri durante gli ultimi due mesi e non mi aveva fatto sentire il distacco da famiglia e compagni, tutto proteso com’ero verso quel tentante avvenire. La carrozzella saliva tra vigneti-­‐ rinomato il vino di Lettere e celebri i pastifici di Gragnano di cui intravedevo attraverso le finestre aperte le lunghe matasse di spaghetti appesi sulle pertiche ad asciugare-­‐ ; subito dopo e dietro ai vigneti verdeggiavano folti i castagneti con i giovani alberi quasi attaccati l’uno all’altro e che servivano più a 3


dar pali e legname che castagne. Quando di fronte a noi si eresse un’edicola di maioliche colorate con la Madonna e sant’Alfonso, Pasquariello prese a sinistra per un viale di terra battuta e breccia, in fondo al quale torreggiava un grosso edificio tra il rosa ed il giallino con ampia piazza sul davanti. Il cocchiere tirò la maniglia di una campanella, il portone si aprì, un frate laico apparve e c’introdusse attraverso una grande porta vetrata in un parlatorio sulla destra. Dopo pochi minuti entrarono un religioso con colletto bianco e dietro mio fratello Celestino, intonacato un po’ diversamente e che mal celava sotto una compostezza di maniera l’eccitazione d’incontrare me e zio Luigi. Il frate laico prese in consegna i due pacchi di taralli e salumi che mia madre inviava a mio fratello e che furono subito confiscati perché i doni ricevuti dovevano essere distribuiti fra tutti i ragazzi, che non avevano diritto a possedere nulla, salvo la biancheria personale. Mentre io e mio fratello cercavamo imbarazzati le parole per un discorso che non voleva venire, il colloquio di una ventina di minuti fra il padre direttore, padre Schiavone e zio Luigi, che aveva tirato fuori dal portafoglio vari bigliettoni per pagare la retta arretrata per mio fratello e anticipare quella mia e del cui ammontare il religioso non era per nulla contento, fu piuttosto animato. Zio Luigi proponeva un mensile di cento lire per me, chiedendo di tener conto che la famiglia avrebbe dovuto pagare duecentoventi lire tra me e Celestino. Padre Schiavone aggiunse che di quelle cento lire lui si offriva di pagarne venti, attinte da quel poco che riusciva a

mettere insieme con le messe e altri piccoli introiti occasionali. Quelle venti lire erano state già motivo di alterco fra gli zii a Pagani, con una bestemmia scappata nel calore della disputa a zio Luigi, il che aveva mandato su tutte le furie padre Schiavone che voleva metterci alla porta. Risultato : centoventi lire per Celestino e cento per me, di cui venti a carico di padre Schiavone. Concluso a malincuore il patteggiamento, gli zii ripartirono per Pagani, dovendo l’uno rientrare in collegio e l’altro correre a Nocera per prendere l’ultimo treno per Avellino. Io e Celestino seguimmo il direttore al primo piano, dove in un locale senza finestre mi fu assegnato un loculo numerato per la biancheria, poi mio fratello fu mandato via ed io accompagnato in una vasta camerata con una cinquantina di lettini : uno di sbieco di fronte alla porta era per me. Accanto al lettino c’erano una sedia e un comodino : la sedia era per il singolo educando, il comodino per due. Mi fu spiegato come svestirmi la sera e rivestirmi la mattina : per ora dovevo levarmi la giacca, da deporre sulla spalliera della sedia, slacciarmi le scarpe da sistemare in vista sotto al lettino dal lato del corridoio, infilarmi sotto le lenzuola e lì sfilarmi i pantaloni da mettere sul piano della sedia, quindi in mutande e camicia, dopo le preghiere in silenzio passare la notte. La mattina al suono della campanella e sempre sotto le lenzuola rimettermi i pantaloni, poi le scarpe ed in camicia andare nella sala comune da bagno, dove lavarmi e fare i miei bisogni. Potevo fare prima l’una o l’altra cosa secondo la necessità e l’affollamento davanti ai lavandini e ai gabinetti. Far tutto con rapidità , perché, tornato in dormitorio e finito di vestirmi, al 4


secondo suono della campanella dovevo esser pronto per mettermi in fila e scendere alla cappella per la meditazione, messa e comunione. I grossi pezzi di sapone erano in comune, come pure gli asciugamani appesi ai lavandini. Le porte dei gabinetti non potevano essere chiuse dal di dentro : se la feritoia di una ventina di centimetri dal suolo non bastava a far capire se qualcuno fosse dentro a fare i suoi bisogni, si bussava chiedendo : «C’è qualcuno ? « ; se non si ispondeva « Occupato », si poteva entrare. Il localino e le operazioni in esso eseguite erano nobilitati dalla parola licet. Dovendo quindi recarvisi, si chiedeva il permesso « Posso andare al licet ? » Per indicare varie funzioni si andava dal semplice nuovo termine a più complesse circonlocuzioni e metafore. Così Pasquariello non era solo l’automedonte che ci aveva portati in carrozzella, ma nella frase Se no, vai a finire da Pasquariello c’era la minaccia di essere a lui consegnati quasi fosse un Caron dimonio, traghettatore di anime dannate, quali erano quelle di coloro che erano mandati via perché avevano perso la vocazione. Durante la ricreazione del giorno dopo questa prima possessione del povero caruso, correndo in giardino dietro ai neofiti come me ancora in abito secolare in una specie di gioco a guardie e ladri, mi si fece subito notare di stare attento a sfiorare soltanto il ladro perché era proibito metter le mani addosso. Cosa questo significasse ed implicasse fu spiegato dal direttore nel primo predicozzo che ci tenne nella cappella dopo la messa della domenica successiva. Non bisognava toccare il proprio corpo se non

lo stretto necessario -­‐e in privata sede mi fu inculcato di urinare prendendo il fallo non fra le nude dita, ma con queste ricoperte da un lembo di camicia-­‐. Il proprio corpo e quello dei compagni erano sacri e pericolosi, sacri perché templi dello Spirito Santo e quindi da rispettare, pericolosi perché possibile invito al peccato ed alle amicizie particolari, circonlocuzione per rapporti omosessuali. Bisognava guardarsi, dunque, non dico dalle donne, per noi da ora in poi inesistenti, ma dai compagni e, dimenticando il passato, dalla famiglia, possibile fonte di distrazione, pentimenti e ricaduta nel passato. Anche i contatti con mio fratello dovevano essere ridotti allo stretto necessario e questo da subito. Così, quando dopo la ricreazione mettendomi in fila per andare nella cappella e poi al refettorio per la cena mi affiancai a Celestino, ne fui immediatamente allontanato. Si doveva stare in fila secondo la classe, davanti quelli della prima, in fondo quelli della quinta, prendendo posto a caso nella fila, ma rispettando l’ordine delle classi. Cosa ci fosse sotto questo ordinamento, che mi sorprese ed offese, lo capii parecchio tempo dopo : temendo l’insorgere della sessualità con la pubertà, si era molto guardinghi a che i puberi non avessero molti contatti con gl’impuberi. La domenica seguente, dopo il predicozzo del direttore si procedette alla rilevazione delle trasgressioni e dei mancamenti dei singoli educandi : in piedi questi dovevano ascoltare i rimbrotti e le penitenze loro affibbiate in base a quanto il direttore sapeva, alle loro autoaccuse in una specie di confessione pubblica e a quanto il 5


censore della classe, una specie di pubblico ministero, aveva paura, ho un libro eccetera invece di tengo paura, tengo un libro rivelato delle loro malefatte. Venni così messo al corrente che non eccetera. Più facile mi fu svicolare da casino verso masseria e da che solo bisognava esser sinceri nel confessare e riconoscere le proprie me ne fotte verso che me ne importa. colpe, ma che bisognava anche denunziare i compagni se si era Le amnesie e le persistenze furono però capricciose, seguendo leggi venuti a conoscenza di loro trasgressioni. occulte che sfuggivano al controllo della coscienza. Così le dialettali Diffidare di se stessi e del proprio corpo, diffidare dei compagni, pescia e mecca ( muco ) riafforarono dopo una quindicina di anni in eventuali spie o fonte di peccati, diffidare della famiglia una poesia e stranamente sia nelle poesie che nel diario manca la dimenticandola, diffidare del mondo che ci circondava, abbassando parola vulva : la ignoravo in un primo tempo ? e perché non volli gli occhi quando s’incontravano donne durante le passeggiate fuori impiegarla in un secondo ? del collegio, diffidare del proprio passato se si ripresentava nei Durante i primissimi giorni di collegio mi capitarono un paio ricordi o in vecchie abitudini come l’uso del dialetto o il desiderio di d’infortuni a base linguistica.Tra i compagni della mia classe erano piatti della cucina paesana. Via dunque questa fonte di golosità, via cominciate a sorgere simpatie e antipatie. Antipatico mi fu subito quella persistenza di conoscenze immodeste e volgarità depositate Cimino, di Giugliano, che claudicava e compensava questo suo in termini, che andavano sostituiti con quelli della lingua italiana, difetto con una aggressività eccessiva non solo nei miei confronti, nella cui purezza avremmo dovuto saperci esprimere a perfezione litigando spesso con me per una sua presunta superiorità anche come futuri predicatori del verbo del Signore ! Nel caso mio, napoletana rispetto a me, povero montanaro irpino. Ribattendo per esempio, sapevo che il pene in morrese si chiamava pesce e la dovette scapparmi in dialetto una parolaccia, che fu riferita al vulva pescia o fessa, il copulare fottere, il rapporto extraconiugale direttore, cui però non fu riferita un’altra mia ricaduta nel dialetto, tenere una femmina. Non conoscevo il femminile fica per vulva, quando parlando delle donne venni fuori vantandomi di essere al perché in morrese esso indicava il frutto del fico e nel significato corrente di una loro professione nei casini o postriboli, di cui avevo sessuale l’imparai per interposta messa in guardia del direttore in una conoscenza tutt’altro che precisa. Me la cavai con una leggera quarta, quando lo citò come parola oscena da evitare. Molta fatica lavata di testa per il primo caso e con una persistente paura di feci quando nel mettere a fronte su due colonne il termine essere denunciato per il secondo. dialettale e quello italiano, apprendendo l’italiano quasi fosse una Intanto tutta la terminologia morrese veniva man mano sostituita da quella italiana, specie nei settori più familiari delle arti e dei lingua straniera, dovetti scervellarmi e lottar per lungo tempo per metter in pratica il sostitutivo avere per tenere, per esempio ho 6


mestieri, della cucina, del mobilio, dei giochi eccetera. Ma più profondo fu il cambiamento quando vecchi termini cambiarono significato o quando nuovi si aggiunsero. La modestia e l’immodestia erano termini a me ignoti ed ora mi furono noti in una sola accezione che molto aveva a che fare con il sesso e i suoi pericoli. Il concetto di amicizia fu stravolto : impossibile nei fatti e nel significato corrente, essa era addirittura peccaminosa se combinata con l’aggettivo particolare. La sincerità slittava verso l’autodenunzia e il tradimento dei compagni, i cui segreti e malefatte erano da spiattellare al confessore e al direttore, tradendo quindi la reciproca fiducia. E l’amore ? Neanche a parlarne, inculcato solo nel senso spirituale verso Dio, Madonna e santi, da reprimere se verso se stessi. E qui si andava dall’egoismo all’impurità. Se riferito al prossimo, poteva essere solo spirituale o caritativo, altrimenti era peccaminoso e doveva essere evitato e denunziato. La denunzia non era tradimento, ma vero amore del prossimo. La castità era per noi il vero sostituto dell’amore e la sola e più alta possibilità di viverlo : casti e puri con assolutezza, severità e ferocia. Tutti i termini che avevano a che fare con la famiglia erano da dimenticare nel loro significato corrente, sostituiti da concetti più nobili e pertinenti. Il vero padre era Dio e in sott’ordine S. Alfonso, quindi i superiori dal direttore ai professori, per non parlare del confessore. La vera madre era la Madonna e in sott’ordine la Congregazione, di cui si cominciava a far parte. I fratelli o confratelli erano i compagni, ognuno di noi essendo diventato fratello tal dei

tali col solo cognome : io non ero più Daniele, ma fratello Grassi. Le sorelle erano le anime , e, se proprio si voleva qualcosa di concreto, le religiose dell’ordine femminile delle Redentoriste. Fame e appetito potevano ancora avere a che fare con lo stomaco, ma conobbero nuove accezioni : gli appetiti sensuali, la fame delle anime da redimere. Con la lingua cambiarono i cibi, cambiò l’ambiente, cambiò il paesaggio. Niente più fuoco e focolare, ma tanto fuoco dell’Inferno e Purgatorio e fresche aure del Paradiso contro il freddo cane dell’inverno con levatacce la mattina presto senza riscaldamento e sudatacce l’estate , chusi nelle tonache e oppressi dai colletti di celluloide. Niente più animali, cani, gatti, asini, galline, conigli e uccelli da catturare, che fossero piccioni, passeri o merli. Solo qualche lucciola le sere d’estate in giardino e qualche spaurito pipistrello, entrato al buio dalle finestre aperte, al quale davamo la caccia con gli asciugamani. Al posto degli uccelli canterini cantavano gli angeli e i beati alla maggior gloria di Dio e cantavamo noi con le canzoncine spirituali di S. Alfonso. Il paesaggio era cambiato, ma il suo concetto restò identico se questo è possibile quando muta radicalmente il modo di sentirlo e viverlo. Altrettanto, se non più bello, di quello di Morra, dovevo apprenderlo a spizzichi e bocconi e dall’esterno, mentre al mio paese faceva parte integrante di me e della mia vita, essendo io immerso in esso senza discontinuità. Era però vero che in quello di Lettere la gloria del Creatore penetrava e risplendeva in modo particolare. 7


Da alcune colline di media altezza addossate a montagne oltre i mille metri si godeva un panorama mozzafiato. Le colline ridenti tra vigneti e castagneti cedui scendevano a tratti ripide , a tratti dolci verso la pianura a frutteti ed ortaggi. Un nastro argenteo poco serpeggiante l’attraversava, scorrendo lento dai monti Picentini e lambendo Sarni e Scafati si gettava in mare sotto Torre Annunziata poco discosto da un gruppo di scogli. Nella pianura popolata, ma non ancora soffocata da fitte costruzioni, si notavano i cubi delle case coloniche a terrazza e i canali d’irrigazione, alimentati dal fiume e da pozzi, il che permetteva tre o quattro raccolti l’anno di verdure d’ogni specie. Cercando si potevano individuare il campanile della basilica di Pompei e la chiazza grigioscura degli scavi e un po’ più indietro a sinistra una piccola altura con un santuario. Ma queste quisquilie cedevano il passo all’imponente massiccio del Vesuvio con le punte dei due coni ed il grande pennacchio biancogrigio che seguendo il vento si spiegava a vessillo verso varie direzioni o puntava dritto al cielo. Di notte era possibile vedere le fiammate e talvolta le colate di lava che scendevano singole o multiple lungo i pendii. Sulla sinistra il mare. Secondo che spostandoci lo contemplassimo di fronte o da sinistra, dal basso o dall’alto del collegio, dal primo piano o dalla grande terrazza al terzo, cambiava di forma e dimensione, con il segmento d’ arco della spiaggia fra Torre Annunziata e Castellammare in primo piano e poi per piani successivi di vario azzurro fino in fondo con Torre del Greco, Pozzuoli e Napoli sulla destra e Nisida, Capo Miseno, Procida ed Ischia a chiudere lo scenario, ben visibili nel dopopioggia

o mezzo avvolti nella foschia dei caldi giorni d’estate. Sempre vario e a volte scenografico lo spettacolo delle nuvole, dal grigio denso dei giorni piovosi, al rosa delle albe, al fuoco dei liquidi tramonti. Di frequenza giornaliera erano le barche da pesca con o senza vele ( e qui imparai il vocabolo paranza che figurava nella poesia di un professore, dalla quale venne fuori anche la pietra pomice, la cui abrasività soccorreva a pulire e lisciare le superfici ruvide, compresa quella dell’anima, come invece non facevano i lapilli, scovati questi non nei versi del buon professore, ma nei densi accumuli tagliati nei pendii che fiancheggiavano i sentieri delle montagne) . Non ricordo con che facessi rimare nei miei primissimi tentativi poetici la parola paranza. Forse ricorsi al diminutivo paranzella, di più facile rima. I piroscafi e le grandi navi, frequenti fino allo scoppio della guerra, si notavano subito per le enormi sagome scure o chiare sull’azzurro dell’acqua, ma soprattutto per le lunghe scie di spume bianche. Non mancarono spettacoli unici come quello di tutta la flotta da guerra , diretta a Napoli per una parata all’arrivo di Hitler. In seguito ogni volta che avrei seguito cigni, oche ed anatre solcanti la superficie di stagni e laghetti e lascianti dietro di sè ciascuno un’impronta a V, avrei pensato a quelle navi nel golfo di Napoli. I primi tempi il mare era quella lontana distesa azzurra, poi l’avrei visto anche da vicino e perfino navigato su un battello da Castellammare alla Punta della Campanella, dove osai immergervi solo i piedi . Per lunghi decenni mi sarebbe mancata l’esperienza unica della comunione con esso in un’immersione completa. 8


Sulla destra della collina dove sorgeva il collegio, su un’altra collina dall’intrusione od aggressione di sguardi di estranei confinati in troneggiava un castello in rovina del secolo X, ampliato in epoca fabbricati , le cui sagome modeste ed i tetti bassi spuntavano angioina ed aragonese. Di là, seguendo sentieri boschivi in direzione superando appena la linea delle piantagioni. Le grandi finestre di Corbara sopra S. Antonio Abate e verso Angri, si arrivava ad una senza tendine od altri schermi lasciavano entrare liberamente il grotta con tracce di affreschi, della quale si favoleggiava che fosse il paesaggio circostante e dalle terrazze lo si dominava a perdita ritiro di un eremita. d’occhio. Chi aveva scelto quel posto per impiantarvi il collegio Subito dopo l’abitato di Lettere per una mulattiera si saliva verso il l’aveva fatto ubbidendo a questa quasi civettuola voglia di monte Tenda, lasciando sulla destra l’altopiano di Agerola e i complicità con l’ambiente e la sua ridente solitudine. torrioni dei Tre Pizzi dei monti Lattari. Il collegio consisteva di due parti, una più antica a due piani con La prima impresssione , che in un incontro è per molti la più campanile merlato e chiesa aperta al pubblico e che dava sul autentica e permanente, fu che quanto mi circondava superava per piazzale d’ingresso, riservata ai religiosi, ed una parte moderna , varietà e bellezza il pur vario e incantevole paesaggio morrese. I l’educandato, con due corpi di fabbrica ad L, con tre piani che primi moti di ammirazione furono poi sviluppati e devo riconoscere davano da un lato su un cortile interno semiaperto da due parti e che i cambiamenti che in quel lustro ci furono andarono nel buon dall’altro sui vigneti ed orti del collegio, digradanti verso i castagneti senso di una quasi comunione con il nuovo paesaggio. La ferrea che scendevano dalla collina fino alla pianura. A pianterreno del disciplina che mi stava cambiando non fece sentire i suoi effetti per corpo centrale dell’educandato c’era il refettorio, al secondo piano quanto riguarda la natura, lasciando libero campo a più di una c’erano il dormitorio grande, la camera del direttore ed alcune aule, carezza nei nuovi contatti ed esperienze. Le passeggiate al terzo piano le camere di alcuni professori.. Nel corpo laterale bisettimanali nelle adiacenze e le escursioni estive su per i monti c’erano la cappella che prendeva il volume di due piani ricavati dal non esigevano la modestia per quanto riguardava il paesaggio e, se terreno in forte pendenza, su di essa le aule per l’insegnamento e al qualche sottolineatura ci fu alla gloria di Dio che attorno terzo piano il dormitorio piccolo, riservato agli educandi delle risplendeva con più fulgore, questa non oppresse la capacità di ultime due classi. percezione e penetrazione in esso naturaliter. Nel vecchio edificio sul piazzale davano il campanile, la chiesa e Anche il collegio s’inseriva naturaliter nel paesaggio. Circondato da l’ingresso con foresteria a pianterreno ; al primo piano c’erano le orti e vigneti in parte di sua proprietà e da castagneti non aveva camere del rettore e di alcuni padri anziani , più alcuni vani per bisogno di grate e serrande per schermare i suoi inquilini attività in comune. Sul lato verso il cortile seminterno c’era una sala 9


per riunioni di vario genere, anche per le lezioni di musica ; ad essa si accedeva da un largo corridoio in comunicazione con quello prospiciente il dormitorio grande. Nel largo corridoio c’erano un pianoforte e un grammofono. L’educandato era coperto da una grande terrazza, cui accedevamo d’estate la sera per goderci l’aria fresca ed il panorama. I padri avevano una terrazza più piccola al primo piano dietro la chiesa e che dava sul grande giardino che a noi serviva per la ricreazione. Dal basso potevamo vederli passeggiare conversando o silenziosi recitare l’uffizio, confortati anche dal profumo di alcuni limoni che nell’angolo protetti dal muro portavano fiori e frutti tutto l’anno. Prospicienti un lato del giardino c’erano al primo piano l’infermeria e al pianterreno il cellario, dove si faceva e conservava il vino. Altri vani di servizio e ripostigli erano situati a pianterreno della parte dell’edificio che dava sull’orto e vigneto verso i castagneti e la pianura. I lavori agricoli erano svolti da un paio di contadini al servizio del collegio e da qualche frate laico : si producevano uva, frutta ed ortaggi ; niente animali da allevamento o domestici, per lo meno nella cinta della proprietà cui avevamo accesso e che si limitava al cortile semiaperto in facciata e al grande giardino di terra battuta sul retro per le corse, anche sui trampoli, per le partite a bocce , il gioco della palla e quello dell’altalena e dell’otto volante. A questa precisa suddivisione degli spazi corrispondeva una precisa suddivisione del tempo : otto ore di riposo, otto di studio e otto per le preghiere, i pasti e le ricreazioni.

Ecco l’orario : 6-­‐6,30 Sveglia e pulizia personale 6,30-­‐7,30 Cappella ( meditazione, messa con comunione ed eventuale confessione ) 7,30-­‐8,30 Studio 8,30-­‐9 Colazione 9-­‐10 Studio 10-­‐12. 2 lezioni 12-­‐13. Pranzo 13-­‐13,30 .Piccola ricreazione all’interno 13,30-­‐14 Rosario 14-­‐16 Studio 16-­‐18 Grande ricreazione con eventuale passeggiata all’esterno 18-­‐20 2 lezioni 20-­‐21 Cena 21-­‐21,30 Piccola ricreazione all’interno 21,30-­‐22 Cappella 22-­‐6 Riposo La domenica , mancando le lezioni, c’era più tempo per la preghiera con messa , predicozzo , accusa e lavata di testa. Per lo studio si avevano quattro ore tra mattina e pomeriggio per il compito d’italiano, più due il pomeriggio per le versioni da e in latino. Durante le vacanze estive le ore di lezione e studio erano in parte sostituite da quelle di lettura ( libri di avventure e vite di santi ), più un’ora di riposo pomeridiano che si sottraeva alle otto di quello 10


notturno. Questo orario poteva essere sconvolto per escursioni di mezza giornata o di un’intera su per i monti o altrove. Dopo una quindicina di giorni dal mio arrivo io e gli altri neofiti in una cerimonia solenne smettemmo l’abito secolare per indossare la sottana religiosa : al vecchio Adamo si era così sostituito il nuovo, seguace e discepolo di Cristo. Fatta pelle nuova, si trattava di costruire sotto di essa l’aspirante alla vita religiosa, cui si era stati chiamati per grazia speciale. La vocazione, termine ormai ricorrente ad ogni passo, era qualcosa di prezioso , data gratuitamente a pochi eletti, della quale bisognava mostrarsi degni con ogni mezzo tendendo sempre più in alto nella vita spirituale. Guai a perderla ! Questo spauracchio della perdita era continuamente agitato sotto i nostri occhi al minimo mancamento. Il concetto della vocazione, che in un primo tempo per me significava poter continuare gli studi, veniva ora ingrandendosi, si approfondiva e chiariva, m’era inchiodato in testa giorno per giorno, assumendo la grandezza e l’assolutezza di un novissimo da Massime eterne, uno dei libri del fondatore della Congregazione che ci fu messo nelle mani insieme al Direttorio, manualetto pratico che conteneva le prescrizioni, gli orari e le preghiere più correnti. Morte, giudizio, inferno e paradiso erano i soggetti di predilezione per la mezz’ora di meditazione mattutina, cui mi abituai man mano lottando contro il sonno che m’invadeva nel raccoglimento e relativo calduccio della cappella dopo la levataccia delle sei con abluzione d’acqua gelida dei primi mesi autunnali e dell’ inverno. Il

direttore o uno degli educandi anziani leggeva per una diecina di minuti un brano da libri devoti e noi dovevamo meditare su quell’argomento per una ventina di minuti. Che si trattasse della vita e passione di Cristo o di Maria ; della descrizione drammatica della morte, specie quella del peccatore ; del terrore del successivo giudizio individuale o universale, dove niente si poteva nascondere e tutto era propalato e sanzionato per l’eternità ; degli orrori dell’inferno descritti crudamente tra fuoco e ghiaccio eterni o delle gioie un po’ mielose del paradiso, la nostra giovane fantasia era malmenata dalle rappresentazioni di quel severo e quasi feroce cattolicesimo spagnoleggiante, cui mal si contrapponeva il sentimentalismo tutto napoletano del culto di Maria. Alla meditazione si accompagnava indissisolubilmente l’esame di coscienza anche se questo per sé faceva parte e precedeva sempre la confessione. La coscienza cos’era ? La coscienza è na pellecchia che se stira, se retira e deventa na fetecchia sarei tentato di dire , ricorrendo a quel dialetto immaginifero che dovevo dimenticare. Per ora essa era qualcosa di meno tangibile, una specie di vuoto dove penetravo cercando di far venire a galla e 11


afferrare questo o quel grumo peccaminoso, dato che ad essa si scrollandomelo di dosso nonostante in collegio si affermasse ch’era accompagnava il termine esame. Gli esami sapevo cosa fossero come il battesimo che, una volta ricevuto, te lo portavi dietro per tanto più che ora erano frequenti con l’anno scolastico diviso in tre tutta l’eternità. Ed effettivamente sarebbe stato così se non si trimestri con due esami trimestrali scritti ( compito d’italiano e riusciva a venir fuori dal totalitarismo del sistema, che come in ogni versioni da e in latino ) cui si accompagnavano i voti cosiddetti orali religione o si accetta o si rifiuta in toto et in partibus. in queste ed altre materie, assegnati dai professori in base alla I giorni scorrevano per lo più sereni tra pratiche religiose, studio e media di quelli ottenuti nelle normali interrogazioni. L’anno lezioni. Ogni tanto, però, quel mondo tranquillo era scosso da scolastico terminava il terzo trimestre con esami scritti e orali più piccoli e grandi terremoti. impegnativi. Era direttore padre Di Meo, della famiglia di Alessandro, del quale si Alla lettura della pagella alla presenza di tutti i professori nella favoleggiava per i quattordici o sedici volumi della Storia del regno cappella si accompagnava il commento del direttore con rimproveri di Napoli, da lui scritta nel ‘700. Era una persona tutta sorrisi e più o meno forti per i più deboli o bocciati e lodi e premi per il buone maniere, che praticava anche nei rapporti con gli educandi, primo della classe se con la media del nove e del secondo se con la sui quali riversava il fervore di una religiosità melliflua , senza media dell’otto. Qui la mia rivalità con De Concilio assumeva forme accorgersi che alcuni di essi, presi nelle spire della pubertà, già concrete secondo che lui od io ottenessimo la medaglia del primo cercavano il miele in esternazioni più o meno spinte di amicizie detta d’oro o quella del secondo detta d’argento, che erano particolari al limite della omosessualità. Verso i quattordici-­‐quindici appuntate sul petto dal direttore ed erano di varia forma secondo anni la scoperta della propria ed altrui sessualità segnava il punto che fossero trimestrali o finali. Nei cinque anni del ginnasio ne critico che metteva in crisi la vocazione. A parte altri fattori, era la raccolsi un bel mucchietto che mi portai dietro al noviziato e di cui pubertà che decimava il numero degli aspiranti alla vita religiosa, mi disfeci dopo le prime settimane quale inutile segno di vanità. La dando molto da fare a Pasquariello con partenze quasi stessa fine fecero i diplomi ad acquerello su falsa pergamena , dati settimanali.Questa volta fu una vera ecatombe : in pochi giorni da padre Ruggiero, che con tanto amore e maestria li aveva partirono una diecina di ragazzi. Il bravo padre non si era accorto di disegnati con tutti quei viticci, fiori ed angioletti. niente, il sistema di sorveglianza e denunzia non aveva funzionato. La meditazione con esame di coscienza mi restò come abitudine per Quindi dal padre provinciale, un certo Parlato dell’omonima il resto della mia vita e mi fu proficua anche quando mi sbarazzai famiglia di falliti proprietari di pastifici di Gragnano, il direttore fu dell’armamentario religioso che me l’aveva appresa, destituito e al suo posto arrivò padre Marinaro, un piccoletto 12


asciutto con un avvallamento sul naso ed occhialetti con montatura metallica e piccoli vetri a mandorla scorniciati. La partenza di padre Di Meo avvenne fra le lacrime del poveretto, dovute al disastro non evitato, alla punizione ricevuta, ma anche all’affetto che nutriva per noi. Di tutto questo mi accorsi per modo di dire perché tante cose non le capivo e le prediche del nuovo direttore, che facevano augurare poco di buono, mi riguardavano abbastanza da lontano, preso com’ero dall’entusiasmo degli studi appena cominciati. Diverso fu il caso quando la carrozzella di Pasquariello dovette prenderla mio fratello Celestino, ch’era all’inizio del quinto ginnasio ed io del secondo. I contatti in quella dozzina di mesi che stemmo insieme furono rari e controllati. Così io facevo la mia vita e lui la sua. Solo di riflesso ci furono delle reazioni, per esempio alla lettura delle pagelle trimestrali e finali, costatando che i miei voti erano migliori dei suoi pur buoni, o quando dovetti vederlo in ginocchio durante il pranzo a pane ed acqua perché , facendo cadere polvere pirica da una boccetta su un fiammifero acceso per provocare una cascata di scintille, la polvere prese fuoco mandando in frantumi la boccetta di vetro, alcuni dei quali penetrarono nella mano e dovettero essere estratti con le pinzette dal medico. Lo vedevo naturalmente tutti i giorni , ma come su un altro pianeta : lui aveva il suo ed io il mio e fra i due non c’era comunicazione. Perfino la rara corrispondenza con la famiglia , previo controllo del direttore all’arrivo e alla partenza, era consegnata e ricevuta separatamente : ognuno di noi scriveva il suo foglietto e il direttore li metteva in

busta affrancandola. In quelle letterine o cartoline per i genitori e zio Luigi impiegavo il voi, benché avessi appresa l’esistenza del lei come pronome di rispetto e cortesia, che restò napoletanamente nel regno dei possibili. Anche il fascismo negli stessi anni tentò romanamente d’imporre il voi, eliminando la terza persona come formula di decadenza. La partenza di mio fratello che aveva perso la vocazione mi fu comunicata dal direttore qualche ora dopo con un predicozzo. Un ultimo saluto tra fratelli fu ritenuto pericoloso più che superfluo. Cosa avesse combinato mio fratello per essere rinviato non lo seppi allora e non lo chiesi al diretto interessato neanche dopo ; probabilmente i soliti problemi della pubertà. Di quell’anno passato sotto lo stesso tetto mi è rimasto il ricordo della costante apparizione di mio fratello alle accademie che si celebravano, tra l’altro, per gli onomastici dei superiori. Per avere oltre il solito bicchiere di vino, concesso la domenica e in tali festività, anche un altro Celestino si presentava in refettorio a declamare in latino maccheronico una poesia d’occasione che terminava sempre con un brindisi, per il quale doveva avere in mano un bicchier di vino, per lui il secondo, fonte indiscussa del suo poetare. Questo suo amor del vino gli fu fatale quando in un altro collegio religioso dove fu mandato dopo Lettere, durante una cerimonia religiosa allorché il coro dei condiscepoli terminò di cantare, lui alticcio continuò a farlo per conto suo, destando scandalo più che ilarità. Il poco otodosso seguace di Bacco 13


fu quindi rispedito in famiglia. Nell’attesa di dimostrare la mia superiorità negli studi, gareggiavo Da noi ci fu anche chi nel timore o nell’aspettativa di prendere la con i compagni per questi per noi non futili motivi, non riuscendo carrozzella affrontò il direttore, che concionando in cappella aveva ancora i predicozzi ad eliminarli. Anche il dialetto che cominciavo a accennato a comportamenti gravemente riprovevoli, facendo a voler sostituire con l’italiano, faceva parte di questi litigiosi volte il nome del delinquente. Fu il caso di un certo Leone, magro, confronti. Anche se in irpino si avevano la u finale per articoli, tutto nervi e di carnagione olivastra, del quale si temevano sostantivi e aggettivi e la doppia d per le liquide, per me nei litigi gl’impatti di palla, da lui lanciata con forza e precisione a colpire con Cimino e De Concilio lu curtieddu o l’aucieddu non erano meno qualcuno della squadra avversa e che dopo il bruciore lasciavano il nobili di curtielle e aucielle e in quelli con Cantarella la nobiltà del livido. Si alzò dal suo posto nell’ultima fila in cappella – doveva suo conzese rispetto al morrese era tutta da dimostrare. Qualche esser dunque in quinta ginnasio-­‐ e tenne testa al direttore, lume a ignorare, se non dirimere, tali dispute sarebbe potuto minacciandolo perfino, con sommo spavento di noi tutti che mai venirmi da quanto succedeva a Morra , dove tra ragazzi del paese avremmo immaginato, nonché osato, una cosa simile. alto e quelli del paese basso si pretendeva di parlare addirittura un o stesso fece, più brevemente e meno minacciosamente anche se diverso-­‐e più o meno nobile-­‐ dialetto. Ma lo spirito di emulazione altrettanto pallido e tremante di rabbia, un mio compagno di classe, non conosceva limiti in collegio come non li aveva conosciuti nel Davide – che lui pronunciava Devide-­‐ Cantarella , di Conza, natio borgo e la voglia di primeggiare a qualsiasi costo era presente cresciuto un po’ troppo rispetto alla media e con un naso o latente in tutto. Ridicolo era Cimino che all’otto volante imponente, il quale dopo la scenata , com’era da prevedere, prese pretendeva di saper fare meglio di me e in volo mi guardava la carrozzella come l’aveva presa Leone. Se con altri compagni, dall’alto in basso, dimenticando che nell’immediata sequenza sarei come il quasi napoletano Cimino e il quasi salernitano De Concilio, stato io in alto e lui in basso. Badasse piuttosto il claudicante a dar io difendevo la mia irpinità, con Cantarella dovetti difendere la mia bene la spinta al gioco , d’accordo con gli altri, quando toccava terra morresità : per essere di Conza, cittadina già romana e già sede e doveva come gli altri accelerare i passi per fare accelerare il vescovile, pretendeva di avere origini più importanti delle mie, che meccanismo che ci avrebbe sollevati dal suolo e portati in alto per uno o due giri. controbattevo vantandomi della casa principesca dei Morra e del critico De Sanctis. 14


All’altalena c’erano due sospensioni alla trave centrale a qualche metro di distanza l’una dall’altra. Anche se all’inizio un compagno dava la prima spinta, poi bisognava cavarsela da solo, badando a non sbilanciarsi troppo in senso orizzontale urtando contro l’altra sospensione. Oltre che di flessioni di gambe era questione di aggancio delle mani alle due funi, specie quando si raggiungeva un’altezza quasi parallela alla trave, correndo il rischio che i piedi perdessero contatto con la tavola, sulla quale, se stanchi, ci si lasciava cadere per godere seduti gli ultimi altalenamenti. I virtuosi riuscivano addirittura in pieno volo a cambiar direzione, facendo abilmente dietrofronte con un rapido spostamento da destra a sinistra o viceversa di piedi e mani. C’era anche chi sapeva far attorcigliare le due funi, che snodandosi ti facevano girare come una trottola. Nuovo per me erano anche il tiro alla fune e i trampoli. Nel primo divisi in due squadre tiravamo, tiravamo e si avanzava o retrocedeva di qualche passo finché una delle due squadre prevaleva sull’altra, che mollava mandando spesso a gambe all’aria i vincitori. Per aver più presa, dimenticando le istruzioni dei superiori, mi sputavo nelle mani, che l’attrito della fune contribuiva poi ad asciugare , lasciando però l’odorino tipico della saliva. Nel secondo c’erano le corse o passeggiate singole e le partite a squadra, in cui due squadre si affrontavano giocando a palla sui trampoli. I colpi mancini, sgambetti compresi, per appiedare un avversario non erano esclusi e qualche volta si arrivava a procurargli un capitombolo. Anche se ci scappava qualche gomitata o spintone,

ciò era proibito perché la lotta doveva avvenire per legno interposito non toccando mai il corpo dell’avversario, purezza comandando. Come il gioco, anche il cibo era diverso da quello paesano e familiare dell’infanzia ; non più povero, anzi più ricco, ma insipido o per lo meno così mi sembrava. L’idiosincrasia per alcune pietanze era tale che mangiarle era una vera sofferenza. La carne, servita varie volte la settimana come secondo, era per lo più bollita e a me il bollito proprio non andava giù. Il pesce, in genere quello azzurro, ma a volte anche triglie o altro pesce pregiato, era fresco : servito d’obbligo il venerdì non poteva per il mio gusto gareggiare con il baccalà alla gualanegna, mancando i peperoni sottaceto, ma neanche con quello in bianco, condito con olio, prezzemolo ed aglio, di cui si era parsimoniosi per evitare l’alito puzzolente. In più il pesce era accompagnato da verdura insipida bollita, spinaci, cavoli, cicoria coltivata. Facevo un’eccezione per le cime di rapa o broccoletti, che crescevano nell’orto del collegio e sotto Natale erano una delle mie leccornie. Come sotterfugio avevo una mia trovata : riducevo il pesce a una poltiglia che nascondevo sotto la verdura del contorno. Dopo le prime reprimande venne la punizione : in ginocchio in mezzo al refettorio a guardare di sottecchi i compagni che ai loro posti continuavano tranquilli a mangiare. Restavano la pastasciutta, sempre di mio gradimento anche se non fresca, e la mozzarella, servita a cena dopo la solita pastina in brodo il lunedì e il mercoledì ed in infermeria per consolare gli stremati 15


dalle sudatacce sotto una montagna di coperte per mandar via la pergamene dei codici medievali. Ad acquerello su cartoncino esse febbre. Al rinvigorimento dei malati contribuiva anche l’uovo alla obbedivano ad una fantasia decorativa, come del resto le cocque, una novità per me abituato all’uovo sodo, in frittata o al grottesche di Raffaello, e facevano la pari con i ricami in filo d’oro e limite all’uovo freschissimo, tolto quasi di sotto alla gallina e che d’argento su paramenti ecclesiastici, opera questi delle monache. andava succhiato facendo un buco alle due estremità. Il professore aveva una bella voce tenorile che faceva valere nelle Ero talmente ghiotto della mozzarella che le prediche contro il cerimonie religiose e nelle accademie musicoletterarie , dove peccato di gola restavano lettera morta e più di una volta destai le primeggiava come solista , né si sapeva a chi dare la palma, se al risa dei compagni e del professore fregandomi le mani durante tenore Ruggiero o al baritono Sorrentino. Nella scala delle sue l’ultima ora di lezione. « Grassi, che fai ? « Ed io già con l’acquolina preferenze io occupavo però solo il secondo posto, il primo essendo in bocca :» Padre, stasera mozzarella ! « del rivale De Concilio, altro motivo d’invidia da parte mia. Questa Questa impertinenza potei permettermela dopo qualche tempo mala pianta , fosse l’ambiente chiuso con poche distrazioni, fosse quando in cattedra c’era padre Ruggiero, che allora coniò al mio altro, in quegli anni di collegio si sviluppò con una virulenza che non riguardo i versetti Grassi, Grassi, come te la spassi. avevo conosciuta durante l’infanzia in paese, dove pur l’avevo Mi facevano gola anche i fichi secchi con la mandorla al forno di vissuta per gli stessi motivi di concorrenza con i compagni. Per me Francavilla Fontana, che la famiglia di un compagno di quella città era inconcepibile che qualcuno mi superasse in bravura. Mi sarei mandava e che erano distribuiti a tutti durante la grande portata dietro questa malattia per il resto della vita. Che in essa ci ricreazione, due coppie a testa. Diversa fortuna ebbero i cachi, a me fosse anche un lato positivo nel senso che mi spronava a dar il graditi o sgraditi nelle stesse circostanze secondo che fossero meglio di me è innegabile, ma ciò non leniva la mia sofferenza e maturi e succolenti di una specie o duri e poco zuccherini di non cancellava, se pur mascherato, il lato odioso della gelosia e un’altra, che faceva pure allegare i denti. Le simpatie e antipatie dell’invidia, che poteva giungere fino a desiderare la morte o la scomparsa dell’antagonista, il che avvenne con De Concilio. riguardavano anche le angurie di mio gusto e i meloni di mio disgusto. I miei rapporti con padre Ruggiero erano ambivalenti. Stimato per la mia intelligenza e diligenza ero tra i suoi alunni preferiti e per i miei successi in italiano e in napoletanofrancese, oltre a buoni voti, ricevevo da lui anche pergamene al merito, ispirate dalle 16


L’insegnamento religioso di praticare la virtù dell’amor del prossimo non riuscì mai ad estirpare questo vizio, alimentato anche dal rapporto tra padre Ruggiero e De Concilio, sulla cui natura non mi ponevo molte domande annoverandolo tra le semplici preferenze. Ma il padre era stato per molti anni malato, aveva perso quasi tutti i capelli, di cui restava solo qualche ciuffetto che lui spandeva accortamente sul cranio a nascondere la calvizie. Un po’ artista e molto sensibile era espansivo più del normale : aveva la malattia incentivato questa tendenza più del dovuto e del consentito ? Nonostante il divieto severissimo di toccare gli altri, si lasciava andare a prender le mani nella mano e a tenerle così per qualche tempo, ricevendo e dando calore : era soltanto manifestazione innocente di un bisogno di tenerezza o qualcosa d’altro oltre i limiti del lecito? Ciò avveniva pure con me, ma soprattutto con De Concilio, il cui primeggiare era forse dovuto anche a questo ? Domanda esplicita ora e soltanto ombra di confuso sospetto allora. La gelosia includeva oltre i professori anche le materie d’insegnamento. De Concilio con padre Ruggiero era più bravo di me in italiano, io però con padre Masone ero più bravo di lui in latino. Negli anni successivi e con altri professori le materie in cui primeggiare s’invertirono ed io fui più bravo in italiano e lui in latino. La gara di bravura si estendeva anche ad altri campi. De Concilio in seconda fu scelto da padre Ruggiero per tenere la predica di Natale in chiesa, il che era una grande distinzione. Ma in terza padre Masone scelse me per tale compito. All’ora di latino all’inizio di novembre egli mi dava a spizzichi brani della predica in

una calligrafia minuta quasi indecifrabile, con correzioni e ricorrezioni del testo, che io man mano mandavo a memoria e gli recitavo per prova. E qui cascava l’asino. Se non tartagliavo più come in paese, mangiavo ancora le sillabe delle parole che invece bisognava spiccicare bene accompagnandole con i gesti dovuti dal pulpito la notte di Natale. Al predicatore in erba, giunto alla cosiddetta mozione degli affetti, qualcuno salito dal di dietro del pulpito metteva fra le mani un Gesù Bambino di terracotta su un cuscino ricamato. Finita la perorazione, il predicatore scendeva nel presbiterio con il Bambino Gesù, ch’era consegnato al celebrante della messa cantata che lo presentava al bacio dei fedeli fra nuvolette d’incenso e canti del coro alternati ad assoli del tenore, padre Ruggiero o del soprano, De Concilio. Io facendo esattamente i gesti convenuti , avevo spiccicato bene le parole, solo a un certo punto avevo perso il filo del discorso, ma invece d’impappinarmi o restar muto, ripetendo la frase precedente mi feci rivenir la memoria del seguito e continuai come niente fosse successo. Si era accorto il pubblico del piccolo stratagemma ? Passando dal sacro al profano, in quarta padre Petagna, che insegnava italiano, organizzò delle recite teatrali, affidando le parti principali ai migliori alunni. Dalla sua famiglia,che faceva teatro ambulante nonostante la presunta origine nobilesca spagnola ( Petana ), il padre aveva ricuperato quinte, fondiscena, costumi, spade, corazze, elmi, barbe finte ed altri requisiti per travestirsi. In due serate successive si recitarono I masnadieri di Schiller e La calunnia di S. Gerardo, quest’ultima una composizione del 17


professore su misura per noi e la Congregazione, di cui il santo era stato membro. Per Schiller ci si servì di un raffazzonamento per educandi in cui le parti femminili erano trasformate in maschili od eliminate. Di simili versioni espurgate di classici, specialità non solo dei Gesuiti per i loro alunni, avrei avuto fra le mani in collegio parecchi altri esempi. Come per attizzare anche se inconsapevolmente la gelosia fra me e De Concilio, nel dramma di Schiller lui ebbe la parte del protagonista, Karl von Moor, ed io quella secondaria del traditore Herrmann, ma nella Calunnia il santo protagonista fui io e De Concilio dovette accontentarsi della parte del diavolo tentatore, che suggeriva la calunnia all’accusatrice, naturalmente assente. Stranamente dal diluvio che in seguito sommerse le testimonianze della mia vita in collegio si è salvata una foto dei Masnadieri : sul recto contro un fondoscena tipo pineta ci sono in costume di masnadieri dieci ragazzi, sette in piedi in seconda fila e tre seduti nella prima. Sotto i caschi teutonici i baffuti più e meno impettiti tentano di avere un’aria guerriera : chi stringe l’elsa della spada, chi addirittura una doppietta da caccia. Sul verso c’è scritto I masnadieri-­‐Schiller-­‐Herrmann servo traditore e masnadiere-­‐ 10.9.41 Lettere. Dei tre in prima fila con De Concilio al centro, un compagno di cui non ricordo il nome a sinistra e me a destra, il più aitante sono io : supero De Concilio di vari centimetri, ho i baffi come lui ma un po’ meno pronunciati e ne annullo quasi la figura con la mia spada, che stringo nella destra e avanzo verso l’alto di traverso, tagliando tutto

il torace del competitore. Se non avessi il ricordo preciso di quella recita e non ci fosse la scritta chiarificatrice, non so se sarei capace d’identificare la scena ed alcuni personaggi. Frammenti di ricordi galleggiano nella memoria, ma per ricostruire l’insieme, pur avendone una testimonianza fra le mani, dopo tanto tempo ci vuole un filo conduttore, altrimenti la memoria continua ad affaticarsi inutilmente, tentando di acchiappare il frammento per farlo entrare nell’insieme. Mi riconosco ora in quell’Herrmann, riconosco De Concilio nel Karl von Moor ? Sì, no, sì, in parte, la quale ora inconfutabile devo aggiungere a quel poco o molto che era rimasto del passato. Ancora più misterioso e cifrato un altro frammento di una storia posteriore, quella del mio primo amore a Pisa. Di quella ragazza conservo parecchie foto che bastano abbondantemente a rivificarla. Ma quel frammento resiste ad ogni tentativo. Si tratta di un calendarietto tascabile del 1950, piegabile in due, con all’esterno su una faccia la riproduzione di una stampa setteottocentesca dei monumenti del Prato dei Miracoli e sull’altra la pubblicità dei prodotti dell’industria dolciaria del celebre caffè Salza ; all’interno i dodici mesi, ogni giorno col nome del santo ed eventuali simboli dei giorni festivi e del ciclo lunare. Ma da aprile a dicembre i singoli giorni sono contrassegnati da una crocetta e intere settimane sono affiancate da una linea continua. Come se non bastasse, in basso noto sett. 6 ott. (9) 13 nov. 9. Avevo e avrò l’abitudine di segnare su calendari giorni e ore di appuntamenti amorosi e di eventuali coiti. Però anche concedendo l’incompletezza di tali indicazioni, non ne 18


vengo a capo qualora volessi precisare e completare l’iter sessuale cinematografica con una vecchia macchina da proiezione. Ricordo le di quell’anno. E sì che doveva avere un’importanza particolare e due bobine del film che si spezzava e le rotelle della macchina che non solo per una registrazione dei cicli di fecondità e quindi della s’inceppava nonostante i tentativi del padre che s’indaffarava senza pericolosità o no dei rapporti avuti. molto successo. Più scorrevole invece era il vecchio giradischi del La conservazione di questi due frammenti del mio passato non è grammofono, dalla cui tromba veniva a noi un po’ di musica stata solo casuale, ma evidentemente voluta a un certo momento profana che mi travolgeva, come la cavalcata delle valchirie di della mia vita. Ma cosa direbbe De Concilio , cosa direbbe Franca se Wagner. ora avessero come me fra le mani questi frammenti ? La gara di Queste relative distrazioni , più e meno impegnative, non mi supremazia sarebbe annullata da quel taglio di spada trasversale ? distraevano dallo studio cui mi dedicavo con passione. L’intensità del primo amore sarebbe congelata dal rebus di quel Il direttore, padre Marinaro, in prima insegnò i primi rudimenti di calendarietto con mentalità di quasi contabile ? Come spesso nei latino con apprendimento della grammatica e traduzione di frasi da sogni e in quel che poi se ne ricorda, la concatenazione delle e in latino attinte da un’antologia e fu sostituito sempre in prima da sequenze manca o, se c’è, se ne ignora il significato. Esse restano padre Maiorino, che doveva correggersi quando qualcuno di noi gli allora come segnali impazziti di un percorso cifrato. La precisione faceva notare le sue contraddizioni e s’impappinava dei ricordi o di frammenti di sogni è inoltre sfocata rispetto a quella nell’insegnamento come nei rapporti con noi, quando nanerottolo di un fotogramma della fantasia : l’irrealtà di cose mai avvenute, ma con una grande testa e piccole mani tentava d’imporre una qualche spesso fantasticate, la vince sulla realtà di altre avvenute, in realtà o disciplina nei giochi, non sapendo neanche far trillare bene il in sogno. E’ l’intensità del desiderio a far pendere i piatti della fischietto, in bocca a lui sfiatato e non imperioso come in quella del bilancia a favore della fantasia attuale contro l’inattualità, anche se direttore, nè più felice fu con le favole di Fedro, che noi relativa, dei ricordi e dei sogni ? Eppure la dolcezza di questi è tanta traducevamo con sicurezza, interpretando a volte meglio di lui il rispetto all’amarezza del desiderio. fabula docet finale. In collegio avevamo anche una lanterna magica con cui mediante Per il latino in seconda ebbi padre Masone con approfondimento diapositive si organizzavano degli spettacoli, commentati da padre della grammatica e versioni dalle vite di Cornelio Nepote per Sorrentino : si trattava di paesaggi o di momenti salienti di opere giungere in terza alla Congiura di Catilina di Sallustio e al De bello letterarie illustrate, come la Divina Commedia di Doré o la Gallico di Cesare. Padre Masone aveva un piccolo lato militaresco di Gerusalemme Liberata. Una volta avemmo perfino una seduta uomo asciutto e severo, il che non impedì che mi prendesse a 19


benvolere perché ero particolarmente bravo in latino, dando dei Per i classici italiani, pur scorrendo in lungo e in largo la punti anche al rivale De Concilio. Così i compagni meno dotati Gerusalemme Liberata e imparando a memoria l’episodio di parlavano di me come il preferito di padre Masone e di De Concilio Erminia tra i pastori, l’accento fu posto sul pio Goffredo e sul come il preferito di padre Ruggiero, che insegnò italiano in prima e valoroso Tancredi, il cui duello con Clorinda servì ad illustrare col seconda e francese in quarta e quinta. battesimo in extremis la conversione dell’eroina, tralasciando i Professore di storia e geografia fu il padre Santoli, piuttosto vivace e focosi amori di Rinaldo e Armida, le cui fiamme mancanti lasciavano perfino allegro. Erano materie da me amate , specie la storia, e libero campo a quelle infernali della congiura dei demoni. l’amore accoppiato a una memoria fenomenale faceva sì che Si recitavano a memoria poeti e prosatori e non solo in italiano, ma imparassi i testi a memoria in pochissimo tempo ed a memoria li anche in latino e perfino in greco ( discorso di Catilina di Sallustio, recitassi se interrogato, fra l’ammirazione dei compagni che, perorazione contro Silla di Cicerone, battaglie di Cesare in Gallia, seguendomi sul libro, quando da vicino alla cattedra tornavo al mio brani dell’Anabasi di Senofonte e qualche poesiola in lode del vino banco, mi sussuravano : Grassi, hai saltato una parola. di A nacreonte.) Questa capacità straordinaria mi serviva bene anche Dei classici italiani sempre a memoria brani dei Promessi Sposi ed nell’apprendimento di brani a memoria dei classici, che venivamo Inni sacri ( Il Natale, la Resurrezione, la Pentecoste), ma anche cori man mano leggendo anche se in testi espurgati o in versione dai drammi ( Ermengarda eccetera ) e l’immancabile Cinque italiana, per esempio l’Iliade in quella del Monti, l’Odissea in quella maggio ; di Foscolo quasi per intero I Sepolcri e alcune poesie ; di del Pindemonte, l’Eneide in quella del Caro. Se l’Iliade potemmo Parini brani del Giorno con l’immancabile Aìta, Aìta…e l’impietosita seguirla senza tagli pur non comprendendo certi aspetti dei eco della cagnetta, più alcune odi ( Aborro sulla scena un canoro personaggi, come il rapporto fra Achille e Patroclo, la cui natura mi elefante che si trascina a pena su le adipose piante, oppure Torna a fu messa sotto al naso solo cinquanta anni dopo da un fiorir la rosa che pur dianzi languìa e molle si riposa sopra i gigli di omosessuale, che predicava contro l’educazione cattolica, prìa) ; ma anche Chiabrera ( Ruscelletto orgoglioso, ignobil figlio di dell’Odissea si lessero solo gli episodi di Polifemo e del cane Argo, non chiara fonte ), Rolli e Metastasio, le cui canzonette facevano la pari con le migliori canzoncine di S. Alfonso. ignorando del tutto Nausicaa, Circe e la storia dei Proci e dell’ Eneide, saltando a piè pari Didone, ci si attardò su episodi minori, come la caduta in mare di Palinuro e l’amicizia tra Eurialo e Niso. 20


Dei poeti dell’ottocento la parte del leone la faceva Leopardi, Quanto odiavo quei punti sospensivi delle mutilazioni ! Il padre seguito da Carducci e Pascoli con qualche circospetto assaggio del Petagna, cedendo alla mia fame di avere opere intere o prima del D’Annunzio. tempo s tabilito, f ece u no s trappo a lla r egola e già in quarta Di questa enorme congerie cito solo l’episodio dell’addio di Ettore e sottobanco mi dette I Promessi Sposi e Il Giorno del Parini, Andromaca alle porte Scee. Mentre sfilzavo senza pausa le varie raccomandandomi di non farli vedere dai compagni. Il Parini lo lessi centinaia di versi, i compagni guardavano l’orologio appeso al muro e rilessi e, prima di consegnarlo, lo ricopiai tutto in un quaderno. dietro la cattedra per poi sussurrare Tre minuti e mezzo o qualcosa Affastellavo, infatti, in vari quaderni tutte le poesie ricostruite da di simile, ch’era il tempo record della mia poetica mitragliata. me o che temevo di non più riavere. La lettura dei classici era non soltanto limitata ed amputata, ma Per la Divina Commedia sollevai l’ingegno scoprendo che la salvezza anche postecipata. Così i Promessi Sposi potevano essere letti solo poteva venirmi dal rimario., in cui tutti i versi della Divina in quinta e la Divina Commedia solo al liceo. Per me che bruciavo Commedia sono ordinati alfabeticamente secondo la rima. Di esso dalla voglia di venirne in possesso quanto prima quelle restrizioni si servivano i poeti in erba per le varie accademie letterariemusicali. erano inaccettabili tanto più che avevo cominciato già a far le prime Per queste c’erano i semplici declamatori di poesie altrui, in genere prove come poeta e non solo in italiano, ma anche in latino e dei professori, e gli autori-­‐declamatori : tra i primi si distingueva un francese. Di questi tentativi niente è rimasto e se ancora ricordo certo Maiella dalla istrionica virtuosità vocale e mimica e dei dall’antologia francese Pourquoi, mon doux agneau, belez d’un ton secondi facevo parte anch’io, poco brillante o addirittura difettoso si triste ? De ma petite mère ah ! j’ai perdu la piste oppure Ci-­‐ dicitore perché mangiavo le sillabe e muovevo appena il braccio a dessous Antoine repose, il ne fit jamais autre chose, è perché del sottolineare quanto venivo declamando. Tra i professori poeti o primo tentai di riprender rime e ritmo e del secondo perché applicai dicitori si distinguevano padre Ruggiero e padre De Gregorio, una l’epitaffio, cambiando nome, a un compagno poco brillante. specie di nume letterario perché, dopo avere insegnato italiano in Molto più numerose dovettero essere le mie poesie in italiano e, se quinta, aveva curato un’edizione critica del Canzoniere di S. nulla è rimasto di quelle del ginnasio, vuol dire che non le Alfonso. Qualche burlone come mio fratello pensava più a Bacco considerai abbastanza compiute. Ma la mia voracità di lettore negli che ad Apollo e qualche sciagurato strapazzava le rime come quel stessi anni non conobbe limiti, ricorrendo ad accorgimenti e ragazzo che per l’onomastico di padre Pasquale venne fuori con In sotterfugi che hanno dell’eroico. Attingevo dalle antologie tutti i questo felice giorno noi stiamo a te d’intorno : oggi è San brani che m’interessavano e li cucivo insieme per avere il tutto. Pasqualorno. 21


Di padre De Gregorio con molta convinzione leggemmo e i più ascoltavamo, curiosando di tanto in tanto come scolte dietro i merli cantarono un oratorio, composto per un centenario di S. Alfonso. di una torre, la banda dei reali carabinieri, che suonava non solo Mi rivedo seduto tra le prime file nella basilica di Pagani, mentre i raffazzonamenti di opere liriche come a S. Rocco a Morra, ma di compagni, tra i quali il rivale De Concilio, su una elevata pedana in sinfonie di Beethoven. Passare dalla tromba del grammofono di piedi seguivano la bacchetta del direttore , il maestro Fugazzola, Lettere a quelle di lucido metallo della più rinomata banda d’Italia della basilica del Rosario di Pompei. Costui aveva accettato a non era un piccolo avvenimento, come poi passare dal ricordo dei malincuore quell’incarico : lui, che era uscito dal conservatorio di S. fuochi artificiali paesani a quelli ben altrimenti colorati e compositi Pietro a Maiella di Napoli, aveva dovuto metter ordine nella musica dei fuochisti napoletani verso la mezzanotte del due agosto, con affazzonata di padre Sorrentino, che da mancato compositore ora si immense cascate di stelle che sembravano pioverci addosso e guizzi consolava, dopo aver istruito il coro di studenti ed educandi, nel di topi infocati-­‐ più tardi avrei detto scoiattoli-­‐ che si rincorrevano brillare come baritono nell’esecuzione dell’opera. In quell’occasione in aria fischiando. la parte di soprano solista non fu affidata a De Concilio, ma a un A Pagani, oltre a godere dei frutti del grande giardino del collegio, quasi nano venuto da Roma, dove cantava sotto il maestro Perosi potemmo approfittare anche del frutteto di famiglia di un nostro nella cappella pontificia di San Pietro. Quei trilli innaturali poco mi compagno. All’ombra degli spessi filari di peschi, aranci,mandarini, convinsero allora, fosse o non fosse castrato-­‐ ignoravo la pratica limoni e cachi potevamo passare sotto i rami stracarichi , sorretti esatta di tale operazione mutilatrice nel passato come ignoravo la spesso da pali per non farli spezzare. Particolarmente ambiti erano possibilità di cantar con la voce di testa da parte di un non castrato-­‐ le pesche dette percuochi co pizze e i cachi maturi, la cui polpa e poco mi sarebbero piaciuti anche in seguito, preferendo per filante liberavamo dai grossi semi e dalle screpolate bucce, così quelle parti la voce di una donna, o al limite, di un ragazzo. zuccherini e m aturi che stavan quasi per cadere, infittendo i mucchi Quelle festività segnarono anche una piacevole tappa delle vacanze. a tappeto sul terreno. Si era alla vigilia della guerra e si cominciava Eravamo agli inizi di agosto e ospitati per vari giorni nel collegio di ad avvertire l’effetto delle prime restrizioni alimentari. Benvenuti Pagani, oltre a partecipare ad occhi bassi in lunga fila con una allora quei frutti, il cui valore nutritizio si diceva corrispondesse a candela in mano a una interminabile processione per le vie quello di due uova. Quando eravamo a Lettere analogo ben di Dio cittadine con il feretro del santo, la sera dopo cena , inerpicati su potevamo goderlo in lunghe passeggiate che ci portavano fino ad una specie di corridoio che correva lungo il tetto dietro un muretto Angri nel giardino di famiglia di un altro compagno o a S. Antonio Abate in quello di un prete che aveva molto successo e con i soldi a strapiombo sulla facciata del collegio e l’antistante piazza, 22


dei fedeli stava costruendo un tempio non ricordo per che santo o Cuor di Gesù, del quale allora si vedevano le mura imponenti spuntare dal suolo e il tiburio quasi ultimato. Analoghe scampagnate nei dintorni di Gragnano ci portavano d’autunno nel giardino di un benefattore, che metteva a nostra disposizione gli alberi di fico. Si partiva la mattina presto in modo da essere sul posto prima delle nove. Cogliere i fichi nella guazza del mattino, scegliendo quelli con la boccuccia mellita aperta e col ventre inciso da linee profonde prossime all’apertura e assaporare specie quelli beccati dagli uccelli ancora sull’albero era una delizia. Altrettanto delizioso era liberarli dalla buccia e spalmarli sul pane di cui ognuno di noi aveva ricevuto un terzo di sfilatino, ora aperto a libro e richiuso, badando a che la polpa dei fichi non fuoruscisse dallo spacco laterale man mano che mangiavamo. Il gaudio dei nostri palati aveva commosso l’Eterno a favore del benefattore ? I benefattori erano amici del collegio e l’amicizia era basata su benefici che essi avevano ricevuto o speravano di ricevere grazie alle nostre preghiere, che dovevano inflettere a loro vantaggio gli eventi, per esempio cause intentate contro soci o familiari per motivi di divisioni o successioni. Nell’attesa dell’eredità o dello sblocco della proprietà sequestrata anche per cause di fallimento, noi pregavamo e facevamo novene a favore di X, che nel frattempo ci metteva a disposizione il suo frutteto. In altri casi mancando il frutteto, a causa vinta il benefattore ci gratificava con un lauto pranzo, cui lui stesso partecipava nel refettorio. Mentre noi anime innocenti intercedevamo con preghiere, i padri

intercedevano con messe, il cui onorario impinguava la cassa del collegio e doveva contribuire a inflettere il giudice terrestre, come infletteva quello celeste. Che questi benefattori prima o poi scomparissero dalla nostra vista era meno doloroso della scomparsa dei compagni dei cui frutteti avevamo approfittato e con i quali avevo talvolta intessuto i fili di una prima amicizia perché intelligenti o a me simpatici per altri motivi. Fu il caso del ragazzo di Angri, assente per circa un anno per malattia, poi brevemente riapparso e quindi definitivamente scomparso. Aveva perso la vocazione ? Non so, anche se questo era in genere il motivo delle scomparse. Altrettanto successe con il ragazzo di Pagani e sarebbe successo anni dopo con quello dei fichi di Francavilla. Con Landi, di S. Severino Rota il mio rapporto fu più breve e meno stretto. Era un ragazzo strano che si permetteva cose ai miei occhi strane. Riuscito a procurarsi un pomodoro di San Marzano dal giardino o a refettorio dal cestino della verdura da cui attingevamo per far l’insalata, se lo metteva in tasca con un po’ di sale in un pezzetto di carta e in aula durante lo studio pomeridiano, dove sedeva su un banco vicino al mio, tirava fuori il pomodoro, l’apriva con un pennino, ci metteva il sale e compunto se lo mangiava con devozione. Era carente negli studi e il padre barbiere, quando veniva a visitarlo, dopo il rapporto negativo del direttore e relativi rimproveri, nell’abbracciarlo in foresteria per il commiato gli strofinava le guance con le sue, ispide di una setolosa barba nera di più giorni, fino a fargliele sanguinare. Dopo questo insolito addio il povero Landi tornava in aula, da noi guardato con sorpresa e 23


ribrezzo. Anche Landi a un certo momento scomparve. Così il gruppetto dei compagni di classe si riduceva e, se qualche partenza perfino mi rallegrò, come quelle di Cimino e alcuni anni dopo di De Concilio, le reiterate amputazioni dei pochi e guardinghi rapporti con i compagni contribuirono ad approfondire il mio isolamento e la chiusura di me in me stesso. Queste deformazioni giovanili influiranno anche in seguito sulle mie reazioni in casi di distacco dai compagni, accusando frigidità e disinteresse da parte mia a continuare e coltivare quei rapporti , e siano pure con amici e perfino membri della mia famiglia. Ognun per sé e Dio per tutti. Del resto incontri di questo genere somigliano a quelli con vecchie amanti : se per queste è il fisico a giocar dei brutti tiri, con i compagni è la diversa situazione sociale e la diversa mentalità. Il confronto porta raramente alla felicità di una riscoperta ; più spesso si costata la voglia da entrambe le parti di evitar questa resa dei conti. Ora come ora dopo settant’anni sono meno alla ricerca di qualche vecchio compagno che a quella dell’ubicazione esatta di un paio di alberi di fico, che ricordando colloco sotto l’infermeria e non tanto perché i loro frutti gareggiassero con quelli del frutteto del benefattore, quanto perché sui rami spogli a fine novembre rosseggiavano i fichi neri, che compensavano in parte la dolcezza di quelli bianchi a settembre.

Ma torniamo alla mia attività di disperato lettore di poesia e cultore delle patrie lettere. Dopo un quarto d’ora al massimo avendo imparato la lezione, cosa fare dei restanti tre quarti d’ora ? Leggevo libri extra o copiavo nei quaderni i poeti da me preferiti, aiutandomi con tutti i mezzi e inventando anche qualche sistema degno di un carcerato nel fondo buio della sua cella. La domenica strafacevo nel compito d’italiano, che poteva raggiungere venti pagine , o addirittura facendone due al posto di uno e il professore, non entusiasta di queste mie prodezze, alle volte ne correggeva solo uno, consegnandomi il secondo non letto e senza voto, il che era per me il peggiore affronto che potesse farmi. I superiori inoltre contavano i quaderni da concedere a quel fanatico ch’ero io e non ci vedevano chiaro per quale attività ne avessi bisogno, non supponendo che in me bruciasse l’incendio del sogno di diventare un letterato, anche se al servizio del Signore. Per le poesie c’era il pretesto delle accademie musicoletterarie -­‐ed era noto che per comporle ci servivamo del rimario-­‐ ; ma questo era solo la punta dell’iceberg, sotto la quale c’era la massa celata e illecita di voler ricostruire testi, dei quali trovavo monconi e accenni nelle antologie. Come fare per avere il canto del Conte Ugolino, di Paolo e Francesca, di Farinata o Pier Delle Vigne ? Nel rimario ogni verso figurava ordinato alfabeticamente secondo la rima : per esempio La bocca sollevò dal fiero pasto era sotto asto con a fianco I-­‐33-­‐1 , cioè prima cantica, trentatreesimo canto, primo verso. Scorrendo tutto il rimario, copiavo in un brogliaccio i versi di I-­‐33 e 24


da 1 in poi tutti i successivi. Avevo così tutto il canto. La seconda operazione consisteva nel ricostruire le terzine mettendo di seguito i numeri 1,2,3 ; passavo quindi in bella il canto nel quaderno, in cui con altri mi dava un nucleo della Divina Commedia. Per Leopardi, Carducci eccetera, mancandomi il rimario, dovevo in base al senso cucire insieme tutti i brani che trovavo nelle antologie. Se avevo fortuna, potevo disporre della Ginestra o del Passero solitario, se no dovevo accontentarmi dei monconi. Come se questo lavorio da formica non bastasse, leggevo e rileggevo i quaderni fino a sapere a memoria le poesie trascritte. Credo che Dante, Leopardi, Carducci ed altri avesssero raramente nella storia delle lettere un devoto più fervido di me e questo esercizio disperato fece sì che mi scorresse nelle vene, allora elastiche e poi anche calcificate, il fiume della poesia classica italiana come qualcosa di congenito, cui più tardi si aggiunsero rivoli più recenti , Montale, Ungaretti ecc. , pervenutimi per vie più facili, ma assorbiti con la stessa devozione e fanatismo. L’appropiazione passiva di questa eredità fu accompagnata da quella attiva del poetare : non c’è difatti modo migliore di appropriazione di questo esercizio per gareggiare con i padri e maestri , tentando in proprio di avere un’eco sia pur debolissima del loro canto. Quasi per miracolo degli anni del liceo son rimasti due quaderni di poesie ed un diario che bene illustrano questo lavorío.

Un terzo elemento che contribuì all’appropriazione dei classici fu la declamazione. Questa pratica, inculcata dalla ratio studiorum dei Gesuiti, serviva anche alla preparazione dei futuri predicatori che avrebbero declamato dal pulpito, giungendo durante le missioni a servirsi del tuono, una specie di recitativo, che la diceva lunga sulla radicazione anche religiosa della pratica operistica nel ‘700 napoletano. Un effetto collaterale fu che declamando tanta poesia, ci si impregnava del ritmo e della sonorità di essa con quelle rime obbligate e quei metri cosí accentuati di senari, settenari, ottonari e decasillabi. L’endecasillabo, il mio preferito nel poetare degli anni maturi, era negli anni del ginnasio meno preponderante. Bisognava aspettare il liceo perché la sua ricchezza di accenti e l’adattabilità ai contenuti più complessi trovassero pronto il mio orecchio che avvertiva il suo ritmo quasi fisicamente. Del resto perfino le clausole della prosa di Cicerone mi mettevano su tale strada. Dilucolo della pubertà aiutando, con Leopardi coltivavo un certo pessimismo, incoraggiato anche dalle prediche e letture sulla vanità del mondo e da un sentimentalismo, cui non bastavano le bellezze delle stagioni e del paesaggio, né l’affettività mielosa del culto di Maria e di Gesù Bambino. L’amor patrio, già tanto inculcato nell’infanzia, fu continuato ad esserlo nel collegio, dove se non venne messo in primo piano il lato guerresco del fascismo, non ne fu rinnegato il nazionalismo spinto. Avanti dunque con Leopardi di O patria mia, vedo le mura e gli archi a braccetto con Italia mia, benché il parlar sia indarno di Petrarca e poi in altro campo con Vergine bella, che di sol vestita di costui con 25


Lungi dal proprio ramo, povera foglia frale di colui, insistendo sul motivo del pentimento del primo e su quello della fragilità delle cose terrene del secondo. Ciò non attutiva però il martellare del Suona a destra uno squillo di tromba, a sinistra risponde uno squillo del Manzoni nel Carmagnola o, nel pur episodico pessimismo dei Cipressi di Bolgheri con nonna Lucia o del Melograno, l’imperversante nazionalismo postrisorgimentale del Carducci. Per Pascoli, a parte gli inevitabili Romagna solatia ,Valentino, la Cavallina storna e l’Aquilone con tanti richiami all’analoga vita di collegio, dall’uscita a schiera alle voci della camerata, al rosso dei ginocchi per tanto pregare, al gioco dell’aquilone che s’innalza pian piano e ruba il filo dalla mano, per la Digitale purpurea bisognava aver qualche immagine più recente e precisa della vagina per essere turbato dal simbolismo sessuale del fiore. Avevo la testa piena di Silvie e Nerine, ma quando padre Ruggiero mi dette imprudentemente da sfogliare un libro sulla Baviera, la foto di una giovane, che sfrecciava facendo sci d’acqua su un placido lago alpino, suscitò in modo particolare la mia curiosità turbandomi. Era nuda, non era nuda ? Probabilmente non lo era, ma l’attillato costume da bagno sottolineava più che nascondere le sue floride forme, in cui rischiai di naufragare più che nel mare dell’Infinito e non sotto lo scintillìo delle vaghe stelle dell’Orsa, ma sotto quello più a portata di mano di una teutonica naturista, che mi veniva incontro come un’Afrodite fra quelle bianche spume, cancellando per più giorni l’immagine delle donzellette col mazzolin di rose e di viole , anch’ esse del resto da rimuovere come fonte di possibili

tentazioni. Di padre Muccino, professore di latino e greco in quarta e quinta, andava per la maggiore in collegio una sintassi latina, anche se non aveva avuto gli onori della stampa. Benché fosse rettore, non faceva trasparire la sua autorità, contento di esercitare quella grammaticale, confortata su di noi dalla lettura e traduzione di orazioni di Cicerone, di cui mandavamo a memoria anche dei brani. I suoi furori catalinari si concentravano sulla casistica della consecutio temporum e del periodo ipotetico, per i quali non contento della pur complicata trattazione del libro di testo, dettò due lunghi capitoli, ch’erano il condensato di una quarantina d’anni di sue riflessioni sull’argomento, martoriandoci con proposizioni principali, dipendenti e dipendenti di dipendenti e con congiuntivi presenti , imperfetti e futuri. Alla fine la matassa era così complicata che alle volte anche lui perdeva il bandolo, esitando fra le varie soluzioni quando uno di noi -­‐io o De Concilio-­‐ osavamo fargli notare in una frase di Cicerone l’uso diverso da quello da lui inculcato. Quod licet Jovi non licet bovi, se la cavava il buon padre. A parte questi rompicapi sintattici e il farci imparare a memoria anche passi dell’Anabasi e qualche poesia di Anacreonte, in quinta padre Muccino, violando i confini del carcame scolastico, ci lesse d’un fiato la trilogia di Eschilo : furono ore d’intenso stupore, cui seguì anche la lettura di qualche tragedia di Sofocle. Nello stesso tempo padre Petagna ci leggeva il Guglielmo Tell di Schiller, il Re Lear e il Macbeth di Shakespeare. 26


Mentre la mia fantasia era scossa da tali potenti ventate per gli avevo avuto paura dei morti o spiriti che potevano apparire intrecci mozzafiato ricchi di apparizioni di spettri più terrificanti di terrorizzandomi, non della morte mia, cui non pensavo neppur quelli diabolici dei libri di devozione, per la forma restavo lontanamente. Con la morte era associata l’idea del peccato e del prigioniero dei moduli leopardiani e carducciani, anche perché conto da rendere a Dio nel Giudizio individuale e in quello quelle traduzioni del Maffei, del Romagnoli ed altri seguivano per la universale. Più che dai peccati e dal Giudizio prima di allora io ero forma gli stessi modelli . spaventato e restio alla confessione, cioè al dover dire i fatti miei ad Fui tentato di comporre qualche dramma, come componevo le un altro, confessore che fosse o no. Anche la comunione, che liriche ? Non ricordo, ma temo di sì, data la mia mania di lanciarmi seguiva la confessione, più che l’unione con la carne e il sangue di in tutti gli esperimenti. Però il tentativo dovette subito abortire Cristo, mi era ostica in quanto, essendomi mal confessato, ero in allora e in seguito perché, mentre per la lirica e il poemetto allora e peccato mortale e ne commettevo un altro peggiore , di cui dovevo in seguito fiato sufficiente e materia personale ne avevo, per i poi render conto al confessore la volta successiva. Con il peccato drammi la materia mancava e, anche quando al liceo ci fu, non erano collegati i diavoli, di cui avevo la solita raffigurazione di brutti avevo il coraggio ed il piglio di drammaturgo.Per ora i miei giorni esseri cornuti con o senza forca. Quanto all’inferno, purgatorio e scorrevano sereni, riempiti dall’amore per lo studio, ma anche dalle paradiso, non mi ci vedevo in nessuno di essi, che ora erano i più pratiche religiose, che adempivo se non con eccessivo fervore, con suggeriti come spauracchio di pene o luogo di ricompensa eterne. indiscussa convinzione. Sottintesa a tutto questo armamentario era la riflessione sul tempo Quali erano le pratiche e i concetti alla base di esse ? e sull’eternità, il primo in quanto trabocchetto che poteva Essi erano contenuti nei libri del fondatore della Congregazione, S. spalancarsi alla prima occasione, la seconda in quanto spauracchio Alfonso dei Liguori, la cui religiosità poggiava su due pilastri : la di una situazione che non potevi modificare, essendo fissata per paura e l’affettività. sempre nella dannazione o beatitudine. Fra tempo caduco ed Il primo era cementato dalla meditazione, cui forniva ricco eternità c’era la provvisorietà del purgatorio, concetto prima materiale il libretto delle Massime eterne. La meditazione, detta alquanto astruso o assente ed ora chiaro e frequente, temuto e anche orazione mentale, consisteva nel fermare l’attenzione su un manovrabile. La Chiesa ci aveva costruito sopra un edificio molto pensiero, esaminando la propria vita alla luce di esso, facendo redditizio. Infatti le messe celebrate per le anime purganti erano la buoni propositi e terminando con preghiere. fonte precipua degli introiti dei preti, cui i superstiti o gli stessi Il primo pensiero su cui fermarsi era quello della morte. Fino allora defunti nei testamenti avevano ordinato dietro compenso in beni o 27


contanti –cinque lire in genere, dette obolo-­‐ di recitarne un certo numero per abbreviare il tempo della purgazione. Le novene e le elemosine anche vi contribuivano. Individualmente ci si poteva garantire in tal senso in anticipo con penitenze, fioretti, giaculatorie ed approfittando di indulgenze parziali o plenarie , messe a disposizione dalla Chiesa in determinate occasioni. Si andava in purgatorio per i peccati veniali, quasi inevitabili ; per quelli mortali non assolti c’era l’inferno. L’eternità era un concetto di cui si tentava di dare una rappresentazione concreta, tra cui ricordo quella di una sfera di acciaio grande come la terra : una formica, percorrendone la circonferenza in migliaia e migliaia di anni e lasciando una minima traccia, sarebbe riuscita a spaccarla in due quando l’eternità era appena cominciata ! Dunque l’eternità di pene o di contenti non finiva mai e il peccatore incallito o ravveduto sarebbe stato punito o premiato secondo il tenore della sua vita, di cui il punto di morte segnava lo stop immodificabile. Quel punto imprevedibile –ti corichi stasera e non sai se ti sveglierai domattina ; commetti l’ennesimo peccato rimandandone la confessione o il pentimento alla prossima volta e questa prossima volta non ci sarà-­‐ è un momento capitale di grande responsabilità e grandi battaglie : debole di corpo e di mente, distratto da medici e parenti litiganti per l’eredità, terrorizzato dalla paura della fine, in preda ad un esercito di diavoli che tentano d’impedirti di pentirti e son pronti a portarti all’inferno, che farai ? Dovevi pensarci prima, preparandoti a una buona morte.

L’inferno è il luogo di ogni pena. La fantasia più sbrigliata si divertiva quasi a dipingere le pene eterne : un abisso di fuoco di sopra, un abisso d’intorno, un abisso di sotto. Fuoco negli occhi, fuoco nella bocca, fuoco per tutto. Gli occhi accecati dal fumo e dalle tenebre ed atterriti alla vista degli altri dannati e dei demoni. Gli orecchi odono giorno e notte continui urli, pianti, bestemmie. L’odorato è appestato dal fetore di quegli innumerevoli corpi puzzolenti. Il gusto è crucciato da ardentissima sete e fame canina, senza poter ottenere mai una goccia d’acqua, né un tozzo di pane… La memoria sarà sempre tormentata dal rimorso della coscienza. Questo è quel verme che sempre roderà il dannato : il pensare al perché si è dannato volontariamente per pochi gusti avvelenati… La volontà sarà sempre contraddetta e non avrà mai niente di quel che vorrà ed avrà sempre quel che non vorrà, cioè tutti i tormenti. L’intelletto conoscerà il gran bene che ha perduto, cioè il paradiso e Dio. …nell’ora della morte ti troverai steso su un letto. Ti sentirai con la testa addolorata, gli occhi oscurati, la lingua riarsa, le fauci chiuse, il petto aggravato, il sangue raggelato, la carne consumata, il cuore trafitto ; lascerai ogni cosa e povero e nudo sarai gettato a marcire in una fossa : quivi i vermi e i sorci ti roderanno le tue carni e di te non resteranno che quattro ossa spolpate e un po’ di polvere fetente e niente più. Nel Giudizio il giudice è un Dio onnipotente, da te maltrattato, adirato al sommo. Gli accusatori sono i demoni nemici, i processi i tuoi peccati, la sentenza è inappellabile, la pena un inferno… Sarai esaminato sopra i peccati di pensieri, di parole, di compiacenze, 28


d’opere, di omissione e di scandalo… A quell’amaro inontro l’anima Sacramento con varie pratiche che andavano dalle frequenti visite maledirà il corpo e il corpo maledirà l’anima, sicché l’anima e il alla cappella , dove era conservato nel tabercolo, alla comunione corpo che si accordan in cercare piaceri proibiti, si uniranno a forza spirituale e corporale. Noi avevamo il privilegio di coabitare con dopo morte per essere carnefici di se stessi… Lui, senza doverci quindi rendere altrove per adorarlo. Per il Paradiso restavano poco spazio e scarsa fantasia : se ti salvi, La comunione spirituale consisteva nel desiderio ardente di questo tuo corpo risorgerà tutto bello, impassibile e risplendente, ricevere Gesù sacramentato ed in un abbraccio amoroso come se così anima e corpo sarai fatto degno della vita beata. già si fosse ricevuto. Qualche santa la faceva duecento volte al Tutta questa paura passava sotto il nome di timor di Dio, il cui giorno e qualche altra asseriva che facendola riceveva ogni volta occhio onnipotente e onnipresente non ti lasciava mai, vedendo una grazia simile a quella della comunione corporale. Ogni visita al anche i tuoi pensieri più intimi. Più a portata di mano e concreta era Sacramento ed ogni comunione spirituale era accompagnata da la presenza dell’angelo custode, una specie di compagno buono che una preghiera a Gesù, da un’altra a Maria e da varie giaculatorie. ti stava a fianco – e quasi lo vedevi-­‐ ispirandoti il bene e facendoti Queste erano da pronunciare ad ogni pié sospinto, come pure le fuggire il male, proteggendoti contro il demonio, presenza generica invocazioni, tra le quali ricordo ancora quella di S. Ignazio : e appannaggio non individuale, mancando un diavolo custode. Anima di Cristo, santificami L’altro pilastro che reggeva la nostra spiritualità era quello affettivo Corpo di Cristo, custodiscimi e consisteva in una spiccata devozione al S.S. Sacramento ed a Sangue di Cristo, inebriami Maria Santissima, il primo in ordine gerarchico presente Acqua del costato di Cristo, purificami corporalmente nell’eucaristia, la seconda presente spiritualmente Passione di Cristo, confortami come soccorritrice e salvatrice. O buon Gesù, esaudiscimi Gira e rigira la religione serviva peculiarmente a salvarsi l’anima e Dentro le tue piaghe nascondimi e non permettere che io sia a garantirsi il paradiso, era cioè una costruzione egoistica per separato da te assicurarsi la felicità eterna, evitando l’infelicità, pure eterna, Dal nemico diabolico difendimi dell’inferno . Amor di Dio, di Gesù, di Maria sì, ma in fondo amor di Nell’ora della morte chiamami e comandami di venire presso di te se stesso e del proprio tornaconto. A questo scopo serviva tutto affinché t i l odi i nsieme a i t uoi a ngeli e ai tuoi santi per gl’infiniti l’armamentario di pratiche devote, astinenze e penitenze. secoli dei secoli. Amen Per l’amore a Gesù Cristo veicolo essenziale era la venerazione del Nella comunione corporale si raggiungeva l’unione vera e propria 29


con l’anima e il corpo di Cristo. Essa, ricalcata sui versetti del Cantico dei cantici, era l’unione della sposa con lo sposo, cavallo di battaglia della mistica cristiana. Se una donna poteva facilmente identificarsi con la sposa ed emettere sospiri e desideri simili a quelli dell’amore carnale, difficile era per uomini -­‐ e figuriamoci per ragazzi-­‐ mettersi in quei panni, anche se si ricorreva al trucco dell’anima, femminile e quindi sposa. A queste difficoltà d’immedesimazione si rimediava in parte con la devozione al Cuore di Gesù, culto che risaliva nel secolo decimosettimo a S. Margherita Alacoque e che ai miei tempi aveva trovato un campione nel padre De Feo, che inculcava la pratica del primo venerdì del mese : chi si fosse comunicato a tale data per nove mesi consecutivi era certo di salvarsi, qualunque cosa facesse dopo, perché si sarebbe pentito in punto di morte, andando quindi in paradiso. Questo culto feticistico nel nostro caso era scontato, data la comunione quotidiana ; ma bisognava stare attenti a non saltarne nessuna e a formulare quella intenzione particolare . Per sicurezza si ripeteva la pratica di tanto in tanto. Al culto del Cuore di Gesù si accompagnava quello del Cuore di Maria . Ritenuto sede dei sentimenti e dell’amore il cuore, in realtà semplice muscolo destinato a pompare e distribuire il sangue , era l’emblema di ogni affetto terreno –vedi festa di S. Valentino-­‐ e per noi, che tali affetti dovevamo reprimere, restava quello a Cristo e a Maria , essi che tanto ci avevano amati proprio con il loro cuore ! Il culto di Maria era un pezzo forte della batteria devota di S. Alfonso. Il suo libro Le glorie di Maria fu, se non il più diffuso, certo

il più letto e amato dei libri mariani, considerato come una somma teologica e devozionale di Maria. S. Alfonso con metodo in lui abituale presenta quanto è stato pensato e detto sulla Vergine, passando dai brani biblici, letteralmente e analogicamente interpretati, ai Santi Padri, ai teologi medievali, ai santi e devoti successivi fino a quelli del suo tempo. Il tutto è confortato da esempi tratti dalle biografie , cronache e tradizioni orali di santi e non santi con una credulità che non esclude le cose più fantasiose e inverosimili. Nella prima parte in dieci capitoli si commenta il Salve Regina, nella seconda si esaminano le feste principali con gli episodi più salienti della vita di Maria, dalla immacolata concezione all’assunzione, ed infine i suoi sette dolori e le sue virtù. L’asse portante di questa concezione è il seguente : quando una sentenza è in qualche modo onorevole alla S.S. Vergine, ed ha qualche fondamento e non ripugna né alla fede, né ai decreti della Chiesa, né alla verità, il non tenerla e contraddirla a cagione che la sentenza contraria anche può essere vera, denota poca devozione alla Madre di Dio. È credibile, dunque è vero ! Quanto ciò porti lontano si può immaginare tanto più che S. Alfonso e altri santi prima di lui si erano sbizzarriti nelle asserzioni più spinte , ridicole ed assurde. Così Maria, concepita immacolata, sin dal primo istante , in cui l’ovulo di S. Anna fu fecondato dallo spermatozoo di S. Gioacchino, fu illuminata con tutti i lumi della divina sapienza e fu più ricca di meriti e più santa di tutti I santi messi insieme. Durante I nove mesi che passò nell’utero della 30


madre acquistò merito su merito, essendo fin dal primo momento dotata dell’uso perfetto della ragione ; e Dio le concesse grazie maggiori di quelle concesse a tutti gli altri santi ed angeli. A tre anni Maria fu dai genitori chiusa in una cella del tempio ed offerta a Dio, dopo un lungo viaggio da Nazareth a Gerusalemme. A tre anni fece pure voto di verginità e nel tempio era docile, parlava poco, stava sempre composta, senza mai ridere e senza mai turbarsi. Perseverava nell’orazione, nella lezione delle Sacre Scritture, nei digiuni e in tutte le opere virtuose. Si arrivò perfino a fissare l’orario delle sue giornate : dalla mattina alle nove orazione per tre ore, poi sei ore di lavoro manuale fino alle tre, poi di nuovo orazione finché un angelo non le portava da mangiare – sarà stato verso le sei del pomeriggio-­‐ . Non mancavano lagrime e penitenze : a mezzanotte si alzava per andare all’altare del tempio a fare orazione e come la tortorella del Cantico sempre gemeva. Nel tempio fu visitata dai genitori ? Forse, perché fuggiva la loro conversazione per non esser distolta dalla memoria di Dio. Mentre si abbonda in particolari di pura fantasia, si eludono aspetti e particolari che pur dovevano riguardare la concezione e la nascita di Gesù, di cui si precisa solo che fu per nove mesi nell’utero di Maria, che lo concepì per opera e virtù dello Spirito Santo. Ma ci fu ovulazione? Anche se vergine, fu soggetta Maria a mestruazioni e il suo imene si lacerò nel parto ? Questi particolari furono accuratamente elusi perché ritenuti poco opportuni in un’opera che doveva andare in mano a tutti, mentre essi erano stati largamente trattati in opere di maggior impegno, come la Somma teologica di S.

Tommaso. Tutte le storie e storielle, attinte alle fonti già indicate, erano servite senza alcun senso del ridicolo con ricco apparato di citazioni che lardellavano il testo – se ne potevano contare fino a trenta a capitoletto-­‐. Così Maria si divertiva a scendere dal cielo in aiuto dei suoi devoti, riattaccando teste a decapitati, dando schiaffi ai diavoli eccetera. Si sarebbe ingiusti se Le glorie di Maria si riducessero a questi aspetti inverosimili e ridicoli, dei quali io inoltre allora ero incapace, dati l’ambiente e l’età, di rendermi conto. No, attraverso ogni capitolo –tripartito in discorso, esempio e preghiera-­‐ scorre un tenero e genuine flusso di sentimenti e devozione per la Vergine, anche se tutto poi tende a chiedere fra le varie grazie quella di salvarsi l’anima e garantirsi il paradiso. Per me ragazzo che nel collegio ero stato staccato dalla famiglia e dall’affetto materno, le cui manifestazioni concrete erano state ben poche e mi avevano lasciato solo un generico sentimento, l’insistenza sull’aver trovato una nuova madre – anzi la vera-­‐ avrebbe dovuto in parte risarcirmi di quel distacco e di quella scarsezza e darmi nel contempo il contrappeso affettivo al rigore e agli spaventi della meditazione dei novissimi, sbandierati nelle Massime eterne. Cresciuto poco sentimentale di carattere e piuttosto ritenuto, se non freddino, nelle esternazioni affettive, ora tentavo di far nascere e sviluppare questo sentimento senza troppo riuscirci. Ascoltavo nelle prediche e riflettevo nelle meditazioni sugli argomenti paurosi o teneri e praticavo le varie devozioni, come i 31


primi venerdì del mese, e portavo lo scapolare in onore della Madonna del Carmine, altro feticcio che doveva garantire la perseveranza nel bene e quindi la salvezza. Mi stavo cioè completamente integrando nel sistema e ne mettevo in pratica gli imperativi con convinzione, cercando di essere virtuoso, anche se soggetto più del dovuto alla passione per lo studio e già sensibile a qualche richiamo della carne con sviamenti nel campo delle amicizie particolari. Nel settembre del 1939 era scoppiata la seconda guerra mondiale, di cui sentimmo parlare solo sporadicamente anche se le restrizioni che il fascismo imponeva si facevano sentire pure da noi, portando a qualche episodio grottesco come gli zoccoli di legno e la lavanda dei piedi. Al cuoio che scarseggiava ed era di preferenza destinato ai militari si cercò di sostituire il legno e il cuoio artificiale : vennero così di moda , e non solo per le donne, suole e tacchi di legno. A noi in collegio furono affibbiati sandali di legno sotto e di tela di canapa sopra. Anche le calze si rarificarono e noi in quei sandali camminavamo a piedi nudi. Il sudore dell’estate e delle corse aiutando, avvertibile era il cattivo odore che da noi emanava. La risposta per rimediarvi fu la lavanda dei piedi. Due volte la settimana sul terrazzo piccolo dovevamo con le gambe nude fino al ginocchio liberarci di quel cattivo odore. Il rito, inaudito per un collegio religioso di educandi, ma con indubbio risultato positivo per l’igiene, mi espose alla prima provocazione della carne nuda. Ero all’alba della pubertà e come già avevo senza rendermene veramente conto cercato i primi contatti tra il mio corpo e quello di

un compagno, ora di questo stesso compagno vedere le gambe nude suscitò in me curiosità morbosa e turbamento sessuale. Mi attirava specialmente e mi eccitava la pelosità esibita. Era dalla fantasia messa in rapporto con altra più segreta pelosità ? Non credo. Mi sarei portato dietro questo turbamento per vari anni e quel compagno restò per me oggetto di tentazione anche quando io e lui pensavamo di aver superato quel trabocchetto. La sua bellezza efebica fu per me a lungo il sostituto di quella femminile. Se si fosse sviluppato un rapporto omosessuale fra noi due –e non lo fu-­‐ lui sarebbe certamente stato il mio succube. La tentazione della carne cacciata dalla porta rientrava dalla finestra e questo la dice lunga sulla deformazione della szssualità giovanile della religione cristiana. Più si proibisce e si nasconde il corpo e più esso è oggetto irresitibile del desiderio. Perfino oggi sull’ottantina il non vedere di una donna nota o ignota una certa parte del suo corpo fustiga il desiderio e accende la fantasia. Di una violinista intenta a dimenare il braccio con l’archetto spio , quando sollevandolo fa nereggiare il cavo dell’ascella, una eventuale pelosità di cui inalo l’afrore. Che poi un noto e debosciato cantante s’inginocchi davanti all’amante a cosce larghe – Brigitte Bardot-­‐ mirando e fiutando sotto lo slip il suo inguine, trova tutto il mio apprezzamento, perché così riesce a dare un’immagine di carattere sessuale più forte di qualsiasi più svelata rappresentazione. In questo e simili casi intervengono tutti e tre gli elementi scatenanti dell’eccitazione : la cavità , la pelosità e l’afrore, con la differenza del ricercare nel caso della violinista e del fantasticare in quello del 32


cantante. richiamo del padre che lo voleva in famiglia per aiutarla con una Stranamente anche le gambe nude del non efebico De Concilio mi nuova e redditizia professione. Non ricordo se ciò fosse dato come turbarono. Dati però i nostri rapporti di concorrenza e gelosia da motivo esplicito o se sotto ci fosse altro, a noi taciuto. Lo stesso fu parte mia, il rapporto sarebbe stato, se ci fosse stato, uno scontro di per capitare anche a me quando con una menzogna fui chiamato due incubi. all’inizio del noviziato al letto di mio padre per così dire moribondo La rivalità con De Concilio fu anche all’origine del mio rifiuto di e che moribondo non era. Ci si era serviti di quel pretesto solo per studiar musica. Escluso dal coro dei ragazzi perché stonato, chiesi di avermi a casa e dirmi che la mia famiglia avrebbe visto volentieri poter studiare pianoforte come già faceva il mio rivale, il che mi fu che abbandonassi il collegio per restare in paese , fosse pure per rifiutato. Motivo : non potendo cantare, non potevo neanche diventar prete e aiutare così la famiglia bisognosa. Rifiutai suonare. L’armonium, cui portava il pianoforte, era riservato a chi decisamente e dopo tre giorni tornai a Ciorani. sapeva cantare, specie in chiesa. Quando in seguito Il passaggio da Lettere a Ciorani era stato per me decisivo più di nell’assegnazione dei compiti per le cerimonie, in particolare quelle quello da Morra a Lettere. L’educando diventando novizio era della settimana santa, fui incaricato di fare il cerimoniere, guidando membro della Congregazione a pieno titolo. In un colloquio il celebranti e inservienti durante le funzioni, ne fui piuttosto provinciale, padre Parlato, doveva appurare la fattibilità di tale amareggiato che onorato, considerando quell’incompenza una passaggio. Non era una confessione, ma ne presentava tutti i perdita di tempo, non dandomi occasione di coltivare e sviluppare caratteri e sfociava in una decisione che andava molto al di là di una attività intellettuali ed artistiche, com’era il caso con la musica e gli semplice assoluzione. Diversamente dalla confessione, ma con lo strumenti musicali. L’attività intellettuale era al centro dei miei stesso obbligo assoluto di dire la verità, in questo esame il giudice interessi e badavo bene a che nessuno avesse qualche vantaggio su disponeva d’informazioni da varie fonti, che andavano dal rapporto di me nell’apprendimento La mia gelosia non si era fermata del direttore alle rivelazioni dei compagni, sottoposti allo stesso neanche di fronte alla malattia : quando De Concilio alla fine del scrutinio, a quanto il medesimo candidato confessava. I dati ginnasio per malattia rientrò temporaneamente in famiglia, ne incrociati e all’insaputa del candidato, che non sapeva che accuse ci provai una gioia segreta perché il terreno della competizione era fossero e da parte di chi a suo carico, permettevano al provinciale così sgombro del mio rivale. Alla gelosia venne meno il nutrimento ragionevolmente di saper tutto, anche quello che il singolo avesse solo allorché in primo liceo il rettore annunziò che De Concilio taciuto. aveva perso la vocazione ed era rientrato a casa, forse seguendo il Fatto l’esame di coscienza prima del colloquio, mi autoassolsi , 33


annoverando il troppo amore per lo studio fra le virtù, superiori non servivano a niente. Poi a un certo momento il cavallo sottovalutando l’invidia per De Concilio, relegando il turbamento imbizzarrito riprendeva la corsa della lettura, ma ad occhi chiusi. per la carne nuda nella lavanda dei piedi fra le tentazioni, Poteva dunque vedere non vedendo, anzi in alcune prove era dimenticando o considerando acqua passata -­‐erano trascorsi riuscito a leggere una fotografia , tenendola fra le mani, ma ad occhi cinque anni-­‐ le piccole manifestazioni di amicizia particolare con chiusi. Vedeva con le mani ? Il suo nervo ottico si dislocava ? Non so l’efebico compagno. A queste però il provinciale accennò cosa dicesse lo specialista ebreo, in seguito però lessi di casi genericamente, venutone forse a conoscenza attraverso il diretto altrettanto strani come quello del tipo che poteva leggere il giornale interessato. Ma quell’acqua passata era probabilmente molto meno o un libro tenendoli dietro le spalle. Il medico ebreo, nonostante le torbida di quanto io pensassi e la mia condotta altrimenti era stata leggi razziali del fascismo, poté continuare ad esercitare anche se in esemplare, la mia eccellenza negli studi facendo d’altronde nutrire sordina, risparmiato perché era membro del partito e aveva le migliori speranze al mio riguardo. Quindi il giudizio fu positivo. addirittura p artecipato a lla m arcia su Roma. A chiarire queste tentazioni e questi fenomeni d’incipiente Degli avvenimenti bellici e non bellici noi educandi sapevamo ben omosessualità più che i confessori o i superiori sarebbero serviti i poco, anche se fummo parecchio sorpresi dall’arrivo fra di noi di un medici, tanto più che si conosceva uno specialista in materia, un ragazzo ebreo, che si fece passare per cattolico e che però primario ebreo del manicomio di Nocera, che fu chiamato a abbandonò l’educandato dopo alcuni mesi : i genitori o chi per essi consulta non sui casi di omosessualità o autoerotismo verificatisi in avevano evidentemente trovato altro rifugio per il poveretto, non collegio – era seguace delle teorie di Freud e come tale da tenere più costretto a seguir le pratiche devote a noi imposte. all’oscuro di quanto avveniva per non fornirgli materiale a riprova La cronologia è una delle colonne che reggono l’edificio della delle sue erronee convinzioni-­‐, ma su uno strano fenomeno di cui cronaca e della storia, dando al flusso degli avvenimenti una salda era vittima un educando. Costui, dovendo come gli altri leggere dal ossatura di riferimento che li mette in prospettiva e ne fa capire lo pulpito durante i pasti libri devoti che noi –eccetto la domenica-­‐ sviluppo. ascoltavamo in silenzio come cibo spirituale, all’improvviso La topografia è l’altra colonna e l’esatta collocazione di fatti e s’impuntava, cominciava a balbutire, tentava di leggere una frase e persone in un ambiente ben determinato ne fa capire meglio la lasciava in tronco, dando segni evidenti di essere in preda ad un possibilità e condizionamenti. attacco nervoso che gli faceva chiudere gli occhi, tremar le mani ed Dal 1925 al 1936 a Morra mi ero sviluppato ragazzo povero, agitarsi in tutta la persona . Incoraggiamenti e rimproveri dei intelligente, rissoso, di carattere non facile anche se non ostico a 34


ricevere una prima formazione intellettuale che mi faceva chiudeva il perimetro del porto potei alzare gli occhi, che la primeggiare fra i compagni, e abbastanza malleabile per aprirmi ad modestia mi aveva indotto a tenere abbassati lungo le vie della abbracciare nuove forme di vita che mi permettessero di uscire città, su quello spettacolo prefelliniano. In precedenza si era visitato dalle ristrettezze di un paesino dell’Alta Irpinia : periodo, tutto il monastero dei Camaldoli, raggiunto con una passeggiata su per la sommato, felice in cui la famiglia, la scuola, l’ambiente paesano e collina verdeggiante : nelle cellette disposte a schiera su un gli abitanti tutti intervennero, senza impormi uno schema rigido di pianoro-­‐da cui si godeva un panorama mozzafiato-­‐ c’erano una formazione unilaterale. La cronaca e la storia, pur deformate dal ventina di monaci, tra i quali un ex generale polacco, sulla cui nazionalismo e dal fascismo, furono in me attive, anche se in rinunzia al mondo dopo la tragedia della’invasione tedesca ci fu versione vernacolare. Dall’autunno 1936 a quello del 1941 per tenuto un predicozzo. La finestrella che dava all’esterno e dalla cinque anni frequentai nel collegio redentorista di Lettere le classi quale i monaci-­‐eremiti ricevevano il cibo mi rimase nella memoria del ginnasio, rinnegando in gran parte storia, persone ed esperienze quanto in un’altra visita all’abazia di Cava dei Tirreni la diversa e della mia infanzia, schiacciate dai massi di un edificio compatto tipo quasi mondana opulenza della grande biblioteca con incunaboli e bunker che non lasciava nessuno spiraglio sul mondo esterno. codici benedettini e il presunto Raffaello in cui figurava un L’estraniamento dal mondo e l’imprigionamento nelle maglie personaggio per terra , le cui gambe giravano in direzione di chi fittissime di una rete specifica mi lasciarono ben poco intravedere muovendosi lo osservava, come faceva anche una Madonna in del mondo circostante e dei tragici avvenimenti, che ebbero inizio trono, il cui sguardo ti seguiva da destra a sinistra e da sinistra a proprio in quegli anni con lo scoppio della seconda guerra mondiale destra. nel settembre 1939, l’entrata in guerra dell’Italia nel giugno 1940, Che fosse in una gola di montagna come a Cava, o in cima a una l’annessione dell’Albania, l’invasione della Grecia, le campagne in ridentissima collina come ai Camaldoli, o quasi su uno scoglio come Africa Settentrionale e la svolta capitale nel quadro bellico con dai Gesuiti a Vico Equense (collegio e terrazze erano punteggiati l’apertura del secondo fronte con l’invasione della Russia nel giugno da una rete di parafulmini che vedevo per la prima volta ) ed anche 1941. da noi a Lettere i religiosi si erano di preferenza insediati dove la In connessione con la guerra potei vedere di persona un natura concorreva col suo splendore a lodare il Creatore, sia transatlantico tutto illuminato, rientrato in fretta nel porto di limitando e quasi ostacolando la visione, sia spalancandola su Napoli, dove ci eravamo recati per una processione in occasione di orizzonti illimitati, che gli eventi bellici riuscivano a turbare, ma non non so quale centenario redentorista. Là contro l’inferriata che a deturpare come nel dopoguerra avrebbero fatto gli speculatori. 35


Così dalla collina di Lettere potei vedere una dozzina di aerei in Spagna aveva inoltre dato al fascismo una specie di sacralità, la formazione , che poi si seppe che accompagnavano il generale lotta di Franco contro i Repubblicani essendo considerata lotta del Balbo in Libia, ed in seguito di tanto in tanto punteggiare il cielo uno bene contro il male: non avevano forse i comunisti profanato e o due caccia che andavano incontro o inseguivano aerei nemici che distrutto chiese e conventi e trucidato preti e frati ? bombardavano Napoli. La guerra era per ora quasi spettacolo, di lì a Si vivevano gli insuccessi militari italiani con disappunto ed poco sarebbe stata tragedia. amarezza, che però scalfivano solo in superficie la nostra serenità. Da un padre che era stato cappellano militare in Polonia avemmo L’ubicazione del collegio sulle colline di Lettere contro i monti qualche accenno a fatti poco edificanti che là si erano verificati e Lattari e con lo spettacolo del Vesuvio, del golfo di Napoli e della non precisò di che natura fossero. Né l’arrivo fra di noi di un padre pianura campana offriva più di una consolazione, con varianti che ruteno, che celebrava la messa con rito nazionale ortodosso che andavano dal profumo delle ginestre leopardiane annusate comportava la comunione sotto le due specie e vesti talari diverse durante una gita fra i massi di lava sopra Torre del Greco alle da quelle di rito romano, ci chiarì molto la situazione in Polonia ed scarpinate fra i castagneti di quelle montagne, da cui si tornava Ucraina occupate. Dai suoi discorsi e da accenni di altri padri sudati e felici, ai trilli notturni di un violino, la cui dolcezza scendeva sapemmo che la Rutenia aveva salutato con entusiasmo l’invasione su di me dalla radio che si faceva sentire attraverso la finestra tedesca, come del resto continuava a salutarla quel biondo aperta della camera di un padre al terzo piano del collegio. I voli fuggiasco, che i superiori avevano creduto prudente allontanare amici e nemici degli aerei non turbavano il volo degli aquiloni che dalla zona facendolo venire in Italia, dove quei mesi di con passione avevamo costruito con cannucce e carta velina per poi stravolgimenti erano bastati a fargli dimenticare la lingua materna, lanciarli al vento che dai monti scendeva sulla collina. I boati dei di cui affermava di non ricordare più quasi niente, deludendo la cannoni e delle bombe erano ancora lontani e ci divertivamo un nostra curiosità di ascoltare strani suoni. mondo, specie a Natale e Capodanno, non solo giocando a tombola Gli insuccessi militari italiani, che ci raggiungevano filtrati dai nel refettorio, ma anche sparando botti e trictrac, di cui un certo discorsi dei superiori, misero a dura prova il nostro nazionalismo e quantitativo era stato distribuito a ciascuno di noi, per non parlare quello dei padri perché, se non si era fascisti nel senso di delle quasi bombe a mano che padre Sorrentino , gridando Viva S. un’appartenenza al partito, tutti lo eravamo indirettamente, Alfonso lanciava contro i muri di tufo del collegio vecchio, causando accettando senza discutere la sua politica d’invasione e di grossi buchi. Due anni dopo avrei visto i razzi traccianti alla cui luce aggressione di altri paesi, a cominciare dall’Etiopia. La guerra di gli aerei alleati bombardavano di notte Benevento. 36


Per ora mi lasciavo andare a qualche gesto inconsulto, come quello di strofinare una lucciola sulla sottana del direttore che reagì con malagrazia, ritenendo quell’atto irrispettoso. Questi benedetti superiori volevano educarci ed istruirci, ma mantenendo sempre le distanze e con qualche riserva , come quando il precedente direttore trovò presso le sorgenti in montagna un ovolo, di cui ci decantò bellezza e rarità senza farcene però assaggiare la carne profumata, che arrostendo sul posto riservò a se stesso. La vita in comune sviluppava desiderio e pretesa di uguaglianza che non si limitavano ai compagni : per esempio, vedere a refettorio il direttore e il suo vice istallati su una pedana che da sola occupava un lato della sala e là essere serviti per primi con piatti in parte diversi dai nostri , mentre sul tavolo troneggiava con la bottiglia d’acqua la bottiglietta da un quarto di vino, di cui a noi era dato solo un bicchiere la domenica , urtava il nostro sentimento come una discriminazione, non eliminata nemmeno quando il venerdì facevano il fioretto di non berlo. Ma queste erano quisquilie rispetto a quello che stava per accadere nel 1940-­‐41, anche se di quei tragici avvenimenti ci giungeva solo un’eco, che per allora non riusciva a turbare la vita che serenamente conducevamo.

LA RIVISITAZIONE Settanta anni dopo, iniziando da Ciorani, ho voluto rivisitare i luoghi della mia giovinezza, Lettere e dintorni e la costiera amalfitana ( S.

Angelo a Cupolo l’avevo rivisitata qualche anno prima ). Perché l’ho fatto ? Desiderio di verifica dei ricordi, volontà di rivivere l’intensità di quelle esperienze, riparazione dell’oblio in cui per anni avevo sepolto quel periodo quasi vergognandomene ? Eppure sapevo che sollevando quel velo correvo il rischio di lacelarlo e perfino d’imbruttirlo. E questo vale non soltanto per me nel mio presente, ma anche per gli altri e nel futuro se consegno questi ricordi alla stampa, che da un lato fissa gli eventi, dall’altro li espone alla trasformazione e deformazione che ogni lettore fa e farà di essi leggendoli. Ecco le note che ho preso in questa rivisitazione, fatta in compagnia di mia moglie e di mia figlia Marina. Martedì, 23 giugno 2009 Partenza da Roma in macchina con sosta a Capua per acquisto mozzarella di bufala e torta di pane imbottita con melanzane e pomodori al forno, per la colazione al sacco. Tarda mattinata Ciorani. Noviziato e chiesa in parte rifatti dopo il terremoto del 1980. Nel grande edificio a due e tre piani con due cortili interni e giardino laterale negli anni ’40 erano ospitati una diecina di padri e fratelli laici e una ventina di novizi, provenienti dalle province siciliana, romana e napoletana ( una dozzina questi ultimi ). Ora ci sono quattro padri e cinque novizi, tra cui un francese. Al posto dei fratelli laici due ausiliarie che si occupano anche dei visitatori. Chiesa quasi intatta, celle ora divise in due piccoli vani, uno con lavandino, water e bidet, l’altro con lettino, sedia e tavolino. Ai miei tempi la cella era un monolocale senza servizi igienici, con lettino, 37


sedia e tavolo, su cui c’era un teschio. ritiro spirituale, non di Ciorani. Vari locali storici e devozionali ( Cella di S. Alfonso con quasi grotta Cimitero non visitato : pochi padri ivi sepolti, i più preferiscono in fondo e celle-­‐museo con documenti e quadri, tra cui un Cristo esserlo a Pagani dove c’è il Fondatore. Maledetta fretta ! Forse nel crocifisso su tela piagatissimo). Ai miei tempi al terzo piano del cimitero avrei ritrovato tombe di compagni e padri dei miei tempi. noviziato in fondo al corridoio prima della cappella – e che ora non Il vigneto antistante il collegio trasformato in parcheggio e posso visitare-­‐ c’era una scultura lignea dello stesso piagatissimo giardinetti, adiacenti case a schiera del dopoterremoto. Cristo. Forse c’è ancora. La si attribuiva a S. Alfonso. Da una delle assistenti laiche acquisto tre opere di S. Alfonso che In fondo a un corridoio del secondo piano, da cui si accedeva al serviranno a rinfrescarmi la memoria per caratterizzare la sua spiritualità. terzo ( la mia cella era al secondo ) c’era una tela dell’Addolorata, trafitta da spade metalliche, con sotto una scritta riferentesi al Martedì pomeriggio del 23 e mercoledì, 24 giugno 2009 padre Di Meo, il noto storico, che in procinto di lasciare la Congregazione passando davanti a quel quadro si sentì apostrofare Lettere, agriturismo del signor Vicedomini. Suo nonno, che lui non dalla Madonna : Figlio mio, se lasci la Congregazione, sei dannato. ha c onosciuto, ai miei tempi era medico condotto del paese e Nella cappella c’era un orrendo quadro moderno del Sacro Cuore, medico del collegio. Lo chiamavamo dottor nasone. Al muro della ma sull’altare c’era una Natività settecentesca di ottima fattura saletta da pranzo sua fotografia. Prescriveva magnesia bisurata San ( dono dei Borboni). Pellegrino per grandi purghe e sudatacce sotto una montagna di Giardino sul lato destro per la ricreazione dei novizi trasformato : coperte dopo ingestione di una bevanda bollente per far calare la pergolato sul viale centrale scomparso ; ora ai due lati palme e in febbre. Ospite abituale ai pranzi per accademie musicoletterarie. Vi fondo edicola in maioliche con S. Gerardo ( la stessa di prima? ). partecipava anche don Onofrio, che aveva casa ed orto sotto il Chiostro interno dei padri verdurizzato con alberi : mi era castello. scomparso dalla memoria. Paese completamente trasformato con diecine di alberghi e Refettorio visitabile: pulpito laterale scomparso, tavoli e banchi ristoranti. Benessere dei letteresi arricchiti dal turismo di massa rimasti con aggiunta di tavolini al centro, ora forse occasionale sala ( grandi case e ville ). da pranzo per visitatori. Vicedomini fotografo per matrimoni e prime comunioni, moglie Monastero delle monache di clausura ( Visitandine?) chiuso, balena, figlia carina, ma già eccedente ( vuol diventare animatrice monache scomparse, ora occasionalmente adibito per padri in 38


culturale, quindi studia storia dell’arte e fotografia). sottostante pianura ed entravano all’imbrunire falene ed altri Accesso all’educandato, una volta di terra battuta, ora asfaltato e insetti : rivedo il pipistrello infilatosi sotto la mia sottana, appeso a slargato, edicola di ceramica colorata – S. Alfonso e Madonna del una tasca dei pantaloni ; catturato e nutrito con mosche, soccorso-­‐ spostata sull’altro lato della strada. Me la ricordavo molto acchiappate in volo dall’abilissimo Battigaglia, per un paio di giorni più grande: la memoria e l’infanzia ingrandiscono, il tempo e la e poi liberato ; ora chiuse quelle finestre con sbarre di ferro per maturità riducono. A fianco la solita statua brutta di padre Pio. Sui impedire fughe o suicidi dei nuovi inquilini. Scendo da questo lato terreni già a vigneto alberghi fin sotto al collegio ; albergo-­‐ fino in fondo dove c’è il tiburio dell’ex cappella ; detriti ed ristorante Paradiso confinante con l’allora giardino laterale del immondizie dovunque. Con la cappella confina il già menzionato collegio ; collegio quasi intatto, salvo sui due lati con aggiunto terzo albergo Paradiso. piano : è ora adibito a ricovero malati mentali, come pure lo I boschi di castagni fino a valle in parte eliminati per strada studentato di S. Angelo a Cupolo ( sembra sia il destino dei collegi e panoramica asfaltata e con forte traffico. Dove ora sferragliano monasteri dismessi per la crisi delle vocazioni ed ora svenduti alle camion e auto c’erano una volta appezzamenti di boschi che Usl locali od abitati ancora da quattro gatti e gatte). tagliati ogni ventina d’anni lasciavano aiuole di vario verde e Chiesa chiusa con catenaccio. Dal fondo a sinistra del piazzale marrone con i tronchi giovanili snelli a ciuffi sulle ceppaie e alberelli ( ricordo palco eretto per messa all’aperto con vescovo e noi in crescita. inservienti che cedette per sovrappeso : strana sensazione di Tentativo andato a vuoto di visitare l’interno del collegio. Forse è ondulazione laterale e poi col sedere a terra fra tavole e travetti) meglio così. Oppressione del carico di ricordi che arieggiano appena attraverso un portone aperto si accede ora all’ex giardino-­‐palestra, uno degli inquilini mi accosta ed osservandomi mi apostrofa : Il riadattato con alberi di medio ed alto fusto a giardino ( per gli ospiti vostro volto non mi è nuovo ; ci dobbiamo conoscere. Eh ! già, ci o i ricoverati ?) Scomparsi altalena ed otto volante, scomparso dobbiamo conoscere, lui nella sua follia ed io nella mia di voler muretto da cui si distribuiva talvolta una colazione pomeridiana, ricostruire il passato. scomparso il pergolato, scomparso o riadattato il cellario. Cos’è Dal basso sembra che un pezzo della favolosa terrazza da cui si diventato l’ex vigneto, dov’è finita l’uva bianca da tavola, dove sono dominava pianura nocerina, Vesuvio, mare, Ischia, Procida eccetera andate le cime dei broccoli di rapa ? sia ancora intatto dal lato albergo Paradiso. Proseguo la visita sul lato dove c’era il dormitorio grande ( finestre Passeggiata al castello. Ex strada sterrata ora asfaltata, dell’antistante corridoio da cui si godeva il panorama della fiancheggiata da ristoranti e pizzerie ( pizzeria anche la casa del mio 39


compagno D’Auria, che abbandonò l’educandato perché ritenuto da quei tipi poco raccomandabili. non idoneo , tartagliando fortemente). Proprio sotto al castello Gli alberghi e i ristoranti, frequentati solo a fine settimana da torme nuovo borgo con case, ville e ristorante di lusso. L’ex orto di don di napoletani, si arrampicano fino a dove una volta cominciava la Onofrio senza le celebri massime in varie lingue , biancheggianti mulattiera che portava alle sorgenti, al monte Tenda e quindi sulla ruggine delle lamiere : La propreté est à l’esprit ce que la grace bosco bosco scendeva sull’altro versante verso Scala . Come allora, est au visage/ Panta rei/ Solo vive il leone, l’aquila vive sola perché si notano sezioni di castagneti tagliati. I tronchi, fischiando sulle la grandezza è solitaria. Noi sostituivamo perché don Onofrio è nostre teste, scendevano a valle in tre tempi per una teleferica. solitario. Attaccati a nodo scorsoio con un gancio scivolavano sul cavo Chiesa e campanile romanici restaurati, castello cintato ed in d’acciaio andando a sbattere contro una palizzata. Staccati erano restauro ( biglietto d’ ingresso ! ). Al di sotto officina meccanica e riappesi per una seconda e terza scivolata, sempre meno ripide, e vigneto. I castagneti verso S.Antonio Abate in parte ridotti; sulla alla fine accatastati accanto a una segheria per la lavorazione destra inizio del sentiero che portava attraverso i boschi alla grotta definitiva. di un eremita e poi costa costa fino ad Angri e Pagani. Sulla piazza della Chiesa madre convento delle Domenicane, che Che fine avranno fatta i tunnel che circondavano il castello e le tre avevo del tutto dimenticato, con grandi grate all’esterno e nella cinte di fortificazioni che esploravamo e nel cortile interno al cappella. Dietro l’altare tombolo per passare gli oggetti tra clausura primo piano l’abside della cappella con ombre di affreschi ; e la ed esterno, al centro della chiesa lastra tombale per la sepoltura muraglia dalle cui aperture sbrindellate, reggendoci ai massi, delle monache. contemplavamo tremando lo strapiombo ripidissimo sulla pianura ; Alla partenza Vicedomini ci regala due bottiglie del vino di sua e gli scalini sbocconcellati della scala a chiocciola della torre di produzione e due pacchi di pasta di Gragnano (essiccazione graduale e lavorazione a mano). destra, di cui ai miei tempi raggiungevamo il secondo piano? Poi gli scalini poco a poco precipitarono e noi dovemmo accontentarci del Giovedì 25 e venerdì 26 giugno 2009 primo piano. Immondizie attorno al castello, immondizie nel borgo, immondizie La mattina presto partenza per costiera amalfitana via passo di dovunque. Al ritorno gruppo di giovinastri in motoretta ; qualcuno Chiunzi. Dopo il passo greggi di pecore e capre attraversano la fissa con insistenza l’apparecchio fotografico che mi pende dal strada bloccandoci ( latticini dei monti Lattari). collo : mia figlia allarmata dice di affrettare il passo ed allontanarci 40


Scala. Albergo da zi Ntonio, camera e bagno sommari, colazione e cena buone. Prima sera pasta fatta in casa con sugo ai gamberetti, seconda sera trofie agli zucchini con rughetta e provola affumicata ; ordino extra una bottiglia di aglianico di Mastroberardino. Collegio dei Redentoristi : al citofono donna m’informa che i padri sono fuori per cura anime ( scarseggiano i preti e i religiosi devono sostituirli). Come a Ciorani scomparsi i frati laici. Monastero-­‐casa madre delle Redentoriste di Maria Crostarosa. La chiesa si potrà visitare l’indomani verso le diciotto quando vi scendono le religiose per la preghiera , cui si possono associare i fedeli. L’indomami in chiesa solo noi e sette-­‐otto monache, fra cui un’africana che suona l’armonium sulla destra ; su un banco a sinistra una chitarra. Due giovani un po’ mascoline : l’una al leggio quasi corifea legge testi sacri e litanie, cui rispondono le altre ; canti guidati dall’africana ; monache anziane distratte si voltano verso di noi curiosando ; altare sovrastato da strana scultura di rame al muro ( un cuore fiammeggiante) ; monaca anziana da me interpellata m’informa che altre monache sono nel coro dietro la grata e che la Crostarosa è sepolta in altro monastero a Foggia ; canto poco misterioso ben diverso da quello argentino che scendeva dall’alto dove erano le monache invisibili, durante la mia visita da educando durante la quale, partiti la sera da Lettere e superato il monte Tenda, scendemmo verso Scala, dove pranzammo al sacco nel cortile del piccolo collegio, raggiungendo poi Ravello ed Amalfi sotto l’inclemenza del sole estivo imbacuccati

nelle sottane. Per strada un tale tra spavento ed ammirazione ci chiese se lo facessimo per penitenza ; ritorno la sera a Lettere per la montagna con un compagno svenuto nell’ultimo tratto e portato a spalla da padre Sorrentino. Di gita in gita su per i monti Lattari mi rivedo durante una colazione al sacco gustare la mozzarella ancora calda fatta in loco dai pastori o cogliere grosse fragole molto profumate sotto le felci d’agosto a più di mille metri d’altitudine. Apro una parentesi con una mia poesiola Monte Tenda, scritta a Lettere nel settembre 1945, in un’atmosfera ben diversa eppur simile a quella degli anni di educandato: O chine, precipiti selve novelle, sul dorso del monte che scaglia nel cielo la cima ribelle ! Il tenue sol di settembre

che brilla nel vento che innumere tocca le foglie lucenti, scintilla ne l’anima affranta. Ne accenna, tremando d’un brivido il mar di Ravello e l’onda perpetua, sognando. 41


Ch’io posi qui sotto l’azzurro

Massalubrense, agriturismo La Lobra in limoneto di vari ettari, più adiacente uliveto e vigneto, più orto ( fagiolini, pomodori, vivace, zucchine), più pollaio, porcile eccetera. Produzione limoni che cantino a sera pei colli ( limoncello) ed olio; vino per consumo agriturismo. Ottima colazione con marmellate padronali ( al limone, alle amarene le squille, suadendomi pace. eccetera), cena con pasta al ragù fatta in casa, mozzarella, salumi, Visita a Ravello alla villa Cimbroni (17 ettari di giardino sul mare). Da melanzane e carne. educando visitai solo la terrazza di villa Rufolo, ignorando il Gita in barca alla Punta della Campanella, dove da educando andai soggiorno di Wagner, Nietzsche e altri e la composizione di Tristano in piroscafo da Castellammare ( ricordo approdo difficile su tavola e Isolde. altalenante retto per il braccio da marinaio, poi colazione al sacco A Ravello prevale il turismo d’élite: alberghi a cinque stelle e sul greto e visita dei dintorni ). Nella gita odierna mare mosso, presenza anglosassone ( sposa inglese con famiglia in piazza, lei beccheggio e rullio specie nei tratti sotto le due punte; compagnia trentenne discreta in bianco, la parentela maschile e femminile in malvagia e scempia di famiglia grossetana ( due figlie, una sedici, abiti da cerimonia, tube e cappellini un po’ ridicoli). l’altra diciotto anni, padre e madre-­‐padrona che decide tutto senza Amalfi. Vigilia del patrono S. Andrea; processione con statua consultarci : si va e si torna quindi senza sbarcare nell’insenatura , d’argento del santo portata a spalla, banda di Neocattaro ( Puglia) e dove noi volevamo sostare un paio di ore. Passaggio della barca fuochi d’artificio. Città invasa dal turismo di massa e deturpata in sotto una cascatella. Di fronte Capri; i faraglioni sembrano a portata alto da alberghi e ristoranti che si arrampicano dovunque di mano. Costa alta , rocciosa, molto frastagliata con grotte devastando il paesaggio e creando le condizioni per disastri (stalattiti). ecologici. Visita al paese, anonimo. Positano devastata ancora di più da congerie spaventosa di nuovi Giorno successivo, domenica, visita a Sorrento, quasi una città. Villa villaggi. In chiesa matrimonio di americani con celebrante giovanile comunale con veduta sui bagni, ricavati dal mare con dighe e americano che si estenua in una lunga e confidenziale predica agli scogliere artificiali ( bagnanti visti dall’alto come insetti presi sposi. nell’ambra, di una trasparenza azzurra ). Sabato 27 e domenica 28 giugno 2009 La sera cena a S. Agata dei due golfi da don Alfonso, sfiziosissima, con balletto di una dozzina di camerieri-­‐re e una dozzina di cuochi, 42


ognuno che prepara la sua specialità. Visita alla biblioteca con la Jaccarino, moglie di don Alfonso, tutta manierosa, sorrisi e inchini, prodotto locale con fare internazionale. Due miei passi falsi: le chiedo se sia la figlia di don Alfonso e poi se sia inglese, tedesca o americana. Cantina su cinque livelli in una grotta e migliaia di bottiglie di tutte le annate e provenienze. Al termine della visita busta-­‐regalo con bottiglietta d’olio, barattolo di conserva di pomodori e pasta di Gragnano.

il filo conduttore della mia vita e l’affermazione di oggi di ricordi nutrito e ancor famelico, non è cambiato niente, ieri, oggi e sempre è in linea con e l’onda perpetua, sognando di allora, uscito dal ventre di una balena per cascare in quelli di altre – e che altre!-­‐ balene.

CIORANI 1941-­‐1942

Mentre infuriava la guerra e le potenze dell’Asse vedevano complicarsi la situazione militare e profilarsi la sconfitta, io nell’autunno del 1941 passavo a Ciorani e vi restavo fino al Lunedì 29 giugno 2009 partenza per Roma con sosta a Capua per novembre del 1942, lo stesso mese in cui gli Alleati sbarcavano in acquisto latticini di bufala. Marocco e Algeria, preparando l’invasione della Sicilia nel luglio Il paesaggio delle località visitate era quindi cambiato e in parte del 1943. deturpato, io sull’ottantina ero cambiato e, in preda ad altri Non ricordo con quali mezzi e in quante tappe da Lettere andammo interessi in prevalenza goderecci, forse pure deturpato. Come a Ciorani, dove fummo accolti dal padre Farfaglia, maestro dei conciliare topografia e cronologia tanto diverse e soprattutto come novizi. rivivere il passato? Iniziammo il nuovo cursus con quindici giorni di ritiro spirituale: I buoni padri in cinque anni non avevano sentito il bisogno di farci silenzio assoluto e varie penitenze, che dovevano prepararci alla visitare Sorrento, preferendo le venti fontanelle di acque minerali vestizione, nella quale avremmo deposto la divisa da educando per delle terme di Castellammare alla poetica sorgente del luogo di ricevere in una cerimonia solenne in chiesa l’abito della nascita di Torquato Tasso e spingendoci da questo lato fino a Vico Congregazione, che consisteva in una sottana con apertura laterale, Equense per visitare il collegio dei Gesuiti. Le grotte ed i boschi chiusa e retta da ampia fascia alla vita, dalla quale pendeva un dovevano dirci di più perfino dell’ambone del pur visitato duomo di rosario di quindici poste con medaglia. Nell’apertura a livello del Ravello. Ma una supertemporale continuità in me ci sarebbe stata petto era a metà inserito un crocifisso di legno e metallo retto da giacché alla poesia già citata di me ventenne sarebbe successa altra una cordicella al collo, chiuso da un colletto bianco di stoffa poesia di me più che ottantenne sul pistrice di Ravello. Era la poesia inamidata. Anche se l’abito non fa il monaco, esso significava 43


l’arruolamento mediante divisa nella Congregazione dei era implicati in quel meccanismo. Anche i riti erano stati studiati in Redentoristi e a sottolinearlo da questo momento in poi tutte le modo da anticipare sempre sulle tappe dell’implicazione in esso. spese, abito compreso, sarebbero state a carico della Tornando all’immagine del matrimonio, ci si sarebbe aspettati un Congregazione. Avemmo in dote due sottane, una di stoffa incontro con graduale e reciproca conoscenza degli innammorati, corrente, l’altra di lanetta, una zimarra contro il freddo con promessa di matrimonio con portata del corredo della sposa in casa mozzetta incorporata e un cappello a larghe tese, il tutto di color dello sposo, scelta dell’abito nuziale e poi celebrazione vera e nero. La berretta o tricorno, come la cotta, era indossata solo propria del matrimonio. Invece, già dalla vestizione qui la sposa durante le cerimonie religiose, dove secondo il rituale si metteva o duettava con lo Sposo, riduettava con i voti temporanei, si sgolava toglieva, come faceva anche il celebrante. con quelli perpetui e continuava a farlo cocciuta nei tre tempi I testi latini letti o cantati durante la vestizione erano quasi tutti successivi–ordini minori, diaconato, sacerdozio-­‐ senza che mai si presi dal Cantico dei cantici: stesi sul pavimento bocconi noi, cioè la capisse se e quando potesse smetterla. nostra anima, era la sposa che duettava con lo Sposo celeste, che La giornata del novizio cominciava la mattina presto e, salve le otto come in uno sposalizio l’accettava in matrimonio. ore di sonno e una e mezza di ricreazione, tutto il resto era Della mia famiglia tra il pubblico in chiesa c’era solo zio Luigi, che impiegato a pregare, meditare e lavorare. rimase impressionato e commosso da tanta solennità. Un’ora era dedicata al lavoro manuale durante il quale sempre in L’anno di noviziato, durante il quale non si studiava e che silenzio si confezionavano rosari con grani di fiori di cocco e ferro cominciava con la vestizione e terminava con la pronunzia dei voti filato, cilici con ferro filato e stoffa grossolana da cui spuntavano temporanei di tre anni di povertà, castità ed obbedienza, era la setole di maiale e discipline o flagelli. I rosari erano per uso interno cartina di tornasole da cui i superiori più che i novizi costatavano se o venduti ai fedeli, nei cilici le maglie alquanto elastiche , che da un si era davvero adatti a diventare membri della Congregazione. Non lato lasciavano affiorare le punte acuminate, consistevano in che si potesse tornare indietro a piacere: il meccanismo era bracciali e cosciali, quelli più stretti che serravano tormentando congegnato in modo che l’ingranaggio girando ti portava all’altezza dei bicipiti, questi più larghi che stringevano e necessariamente da un dente all’altro della ruota.Teoricamente eri tormentavano le cosce. Quelli di stoffa e setole erano riservati ai libero di uscire dall’ingranaggio, praticamente era impossibile, salvo progrediti nell’ascesi e sconsigliati ai principianti anche perché a fare il passo di Giuda, tradendo una chiamata divina e spesso c ausa d ’infezioni. I p ettorali e le panciere molto larghi erano autocondannandosi alla dannazione eterna. Più si avanzava e più si destinati, come i nomi lo indicano, a queste parti del corpo. Le 44


discipline s’impugnavano da una specie di peduncolo, intrecciato notturno. con vari capi di grosso spago, che si prolungavano in singoli Il silenzio dominava tutta la giornata, interrotto solo dalle preghiere staffiletti con nodi che si succedevano fino alle capocchie, della e dalla poca conversazione, dedicata di preferenza ad argomenti grandezza di un grosso cece. Il tutto era imbevuto di cera calda che edificanti. Delle volte si rischiava il ridicolo come quando il solito poi s’induriva raffreddandosi. A noi si sconsigliava d’intrecciare alle censore, in questo caso un siciliano, durante l’accusa pubblica dei punte pezzi di metallo, che arrugginendo causavano infezioni nelle mancamenti propri e dei compagni, citò il povero Battigaglia, che ferite aperte e sanguinanti. durante il passeggio in silenzio in giardino avrebbe canticchiato una Due volte la settimana, il mercoledì e il venerdì, c’era la canzoncina profana. L’accusatore che conosceva quel motivetto flagellazione in comune: padri, fratelli laici e novizi, riuniti in un della Vedova allegra ignorava ch’esso era stato riadattato per una largo corridoio, recitavano il miserere e alla fine, spente le luci, si canzoncina alla Madonna ed era questa che Battigaglia calavano i pantaloni e si flagellavano le natiche. Odo ancora nel canticchiava, ignorando la Vedova allegra. Padre Farfaglia, ch’era silenzio il sibilo dei flagelli e gli schiocchi sulle natiche. anche zio del colpevole, forse alle rimostranze di costui rettificò il La flagellazione, su suggerimento e controllo del confessore e del quiproquo. maestro dei novizi, poteva anche essere eseguita singolarmente Padre Farfaglia, un asceta pelle e ossa con calvizie precoce e che nelle celle. Anche i cilici erano lasciati al fervore dei singoli, mal in equilibrio camminava di traverso come un asino bastonato, consigliati nel loro uso e durata dal padre maestro. parlava a scatti come acqua che esce da un rubinetto guasto, ed Bisognava castigare la carne per impedirle di insorgere con fantasie aveva fama di santo. Anche se non lo era, faceva di tutto per e moti impuri, come se non bastassero digiuni, ore di preghiera in diventarlo e probabilmente castigava la poca carne che gli era ginocchio-­‐ ormai con i calli-­‐ e meditazioni in comune in chiesa e rimasta con cilici a setole di maiale e discipline a punte metalliche. nella cappella e in privato nella cella, in ginocchio davanti a un Oltre che maestro dei novizi era confessore delle monache del teschio, manipolato anche durante la lettura di libri devoti per vicino convento di clausura, delle quali di tanto in tanto accennava infervorarci tastando la sua scarnita superficie. alla fervorosa vita ascetica e mistica. La preghiera, oltre la messa e comunione quotidiane, includeva la Durante il colloquio settimanale che ognuno di noi doveva avere recita di tutto l’Uffizio – mattutino, terza, sesta, nona, vespero e con lui per fare il punto sulla situazione spirituale in cui ci si trovava, compieta-­‐. Queste ore canoniche erano in parte raggruppate in dovevamo confessarci ed accusarci dei mancamenti, rivelar le modo da salvaguardare la continuità delle ore destinate al riposo tentazioni e chiedere lumi e permessi per digiuni, cilici e 45


flagellazioni. Nelle sue mani finivano anche le lettere che ogni mese Per Gesù Bambino e la Madonna si facevano anche i fioretti, dovevamo scrivere a Gesù Bambino, la cui devozione ci era astenendosi a tavola da qualche boccone preferito. Dopo la pubertà inculcata perché particolarmente adatta a noi che dovevamo avevo cambiato gusto ed ora preferivo il pesce e la verdura che rinascere a nuova vita. Che un giovane sui sedici-­‐diciassette anni prima aborrivo. Mangiavamo nello stesso refettorio con i padri le dovesse avere uno scambio epistolare con Gesù Bambino stesse pietanze, ricevendo anche il quotidiano quartino di vino, da sembrerebbe strano: chi era il corrispondente e che sentimenti cui ci astenevamo il venerdì. Per penitenza si poteva chiedere di potevamo e dovevamo nutrire nei suoi confronti? Paterni, filiali, praticare il digiuno a pane ed acqua: mentre gli altri sedevano al fraterni? Passi per una donna – madre, sposa, figlia, sorella-­‐, ma per loro posto ascoltando in silenzio la lettura di libri devoti che a turno un maschio anche se ridotto alla finzione dell’anima femminile? facevamo d al pulpito, il penitente in ginocchio in mezzo alla sala Ricordo che sulla scia dei libri del Fondatore e della devozione un solo o in compagnia di qualche altro penitente masticava la sua po’ dolciastra per Maria e Gesù Bambino, riuscii a scrivere lunghe magra razione. lettere sentimentali, aiutato nella finzione dai miei precedenti Nelle celle la meditazione e le preghiere si facevano in ginocchio esercizi letterari. Mi sdilinguivo letteralmente gustando quelle con la porta aperta sul corridoio, la quale si accostava, mai chiusa a strane fantasie tutt’altro che naturali. A tali eccessi e storture mi chiave, durante la notte e la mezz’ora di siesta. Questa abitudine aveva portato quell’educazione fanatica ed unilaterale. del riposo pomeridiano me la sarei portata dietro per tutta la vita. Normalmente doveva essere una donna il termine di quegli affetti e Tra i libri devoti m’infatuai per L’imitazione di Cristo, meditata e sentimenti ed invece era Gesù Bambino. Che implicito in tutto letta in quel latino medievale così scorrevole e ricco di assonanze, questo ci fosse un certo rischio di deriva omosessuale non era paragonabile al va e vieni delle onde in un mare tranquillo o al impensabile. Alcuni anni dopo, quando con il primo vero amore per sospiro del vento autunnale tra le foglie. Anche se la polemica una donna incontrai il referente naturale della mia affettività, mi contro la scienza vana e le parole (si ottiene molto di più col pregare sorpresi a scrivere lunghe lettere affettuose e un po’ sentimentali. che col leggere), cui va preferito il silenzio nel raccoglimento e Ma distrutto sul nascere per altri motivi, come si vedrà, questo nell’amore ( chi ama vola, corre, esulta), andava contro la mia, scambio di affetti, anche quando la ferita fu cicatrizzata dal tempo, anche se ora messa tra parentesi, rabbia di sapere, quella la diffidenza restò e successivamente non potei e non volli affidare esortazione alla vita interiore ed esaltazione dell’interna ad uno scambio epistolare i miei affetti, ricorrendo ad altre forme consolazione corrispondevano all’ambiente chiuso in cui vivevo e di esternazione. alla valletta umida ed ombrosa di Ciorani (O quam salubre, quam 46


jucunde et suave est sedere in solitudine et tacere et loqui cum ci offriva un rinfresco con un famoso babà, capolavoro dell’arte Deo!) dove ogni giorno ed ora gustando seguivo in angello cum culinaria della moglie. Normalmente le passeggiate si facevano per libello le esortazioni di un’anima semplice e devota, che voleva le strade polverose e campagnole dei dintorni o arrampicandoci per amare e non gridare o polemizzare. i c olli che sovrastavano il collegio, quasi sempre recitando preghiere Al discorso interiore del latino scorrevole dell’Imitazione, fatto nel o parlando di argomenti spirituali. Erano quindi divagazioni per silenzio della cella, si contrapponeva quasi fisicamente l’esteriorità modo di dire. deambulante della lettura del Nuovo Testamento nel gerolomitano La monotonia delle giornate uguali era talvolta rotta da qualcuno o latino alquanto irsuto, specie nelle lettere di S. Paolo. All’origine di qualcosa un po’ fuori regola. Era il caso di Bibbò, della provincia questa lettura c’era l’emulazione con De Concilio, che aveva laziale-­‐toscana, che per la sua irrefrenabile allegria quasi ottenuto il permesso di leggere durante la passeggiata silenziosa in monellesca poteva permettersi atteggiamenti e gesti, che neanche giardino. Se lui poteva apprendere anche in quel modo e luogo, padre Farfaglia riusciva ad impedire, bonariamente accettandoli. perché non io? Chiesi e ottenni di fare altrettanto: andando avanti e Oggetto di queste monellerie era spesso un altro novizio, già indietro sotto il pergolato con in mano un’edizione tascabile del arciprete di Civita Castellana, la cui corpulenza, che fra l’altro Nuovo Testamento da me acquistata –come non ricordo-­‐ lessi e gl’impediva di far correttamente le genuflessioni, e le cui rilessi fin quasi a sapere a memoria i testi delle epistole, specie espressioni un po’ solenni, che gli sfuggivano ricordando il suo quelle ai Romani e ai Corinzi. Il problema della fede e della grazia e titolo di monsignore e altre onorificenze pontificie, Bibbò mimava , quello della giustificazione e della caritas m’interessavano tanto? atteggiando il suo giovane corpo alle pose imponenti di Certamente di più m’interessava non perdere neanche un palmo di monsignore,verso la cui pappagorgia allungava la mano fingendo di terreno nella gara con il mio rivale. E allora dove andavano a finire carezzarla. La cosa era tanto più esilarante in quanto padre Farfaglia le massime dell’Imitazione Se si sapessero a memoria tutta la Bibbia trattava con una certa deferenza il novizio sacerdote, cercando di e tutte le sentenze dei filosofi a che servirebbe se non si avesse la non metterlo in imbarazzo e sperando che la trafila del noviziato carità e la grazia di Dio? l’avrebbe man mano liberato da quei difetti. La severità della vita Di tanto in tanto si facevano passeggiate nei dintorni di Ciorani, non monastica ridusse difatti in qualche mese la corpulenza di così estese e frequenti come a Lettere, ma che pur per mezza monsignore , che ora faceva le genuflessioni correttamente giornata ci portavano fino a Castel San Giorgio o a San Severino piegando il ginocchio fino a terra e che decantava gli effetti benefici Rota, dove il solito benefattore , che contava sulle nostre preghiere, di quei rigori, sottolineando che ora la tonaca gli ballava sul corpo 47


dimagrito e che oltretutto godeva di una miglior salute di prima. delle p eggiori n efandezze. Cosa queste fossero non ci chiedemmo, Di un altro compagno aretino ci sorprendeva la pronuncia perché pur notando il leggero rossore, il tremito delle labbra e l’abbassar eliminava aspirando la c iniziale o intervocalica delle parole, tra le degli occhi di Mozzicafreddi, che di tali nefandezze ne aveva quali oltre il questo fioriva anche il codesto. Asseriva contro le ascoltate un bel po’ in confessione dalle donne di Civita Castellana. nostre osservazioni che quella era la vera lingua italiana e di quella Ciò faceva la pari, del resto, con quanto padre Farfaglia ci decantava pronuncia era orgoglioso, come dell’educandato di Veroli da cui del verginale fervore delle Visitandine di Ciorani, di cui era proveniva, vicino a Casamari, sede di abbazia eccetera eccetera e confessore. dello studentato di Cortona, dove sarebbe andato. Altro che Lettere Le pratiche religiose avevano luogo nella cappella dei novizi e nel e Sant’Angelo a Cupolo! coro della chiesa, qui insieme con i padri, tra i quali risaltava il Quando alla fine del noviziato ci separammo da questi compagni, Superiore, uomo arcigno e un po’ strabico, partigiano di una un certo rammarico rimase per la diversa destinazione ad essi religiosità severa che lo portava ad insultare dal pulpito i fedeli, con riservata. Qualche decennio dopo passando per Cortona, mi conseguente abbandono della chiesa da parte degli uomini, e un ricordai di quelle vanterie, la cui consistenza volli controllare, altro padre ipocondriaco, che durante le preghiere in coro aveva spingendomi per il lungo viale di cipressi fino al collegio dei accenni di crisi epilettiche, che più che spaventarci ci turbavano. Redentoristi, che troneggiava a mezza costa sulla piana del Durante l’anno di noviziato avemmo tutto il tempo e il dovere di Trasimeno, avendo di lato Cortona. Lo stesso feci visitando l’abbazia partecipare alle celebrazioni liturgiche, che segnavano il susseguirsi cisterciense di Casamari e la cattedrale di Civita Castellana. Non delle stagioni. Di particolare solennità fu la celebrazione della m’informai però né dell’aretino, né di Bibbò, né di Mozzicafreddi, settimana santa, dalla domenica delle palme a quella di Pasqua. La passati quindi nel volontario dimenticatoio fino alla loro recita cantata di brani dei vangeli di Matteo, Luca, Marco e resurrezione in queste memorie. Simili amputazioni sarebbero state Giovanni relativi alla Passione, scaglionati dal lunedì al giovedì una costante della mia vita. santo, la lavanda dei piedi di dodici di noi eseguita dal Superiore, i Con padre Mozzicafreddi padre Farfaglia poteva anche in nostra turni di veglia per dodici ore fino a mezzanotte davanti al presenza parlare della sua cura d’anime, citando, di ritorno da una Sacramento, il cambiamento dei paramenti sacerdotali e degli messa e confessioni a San Severino, la meravigliata consolazione di altari, il digiuno e silenzio del Venerdì davanti alla custodia aperta e aver ascoltato una vergine innocente, ignara di qualsiasi tentazione vuota, il salto dalla tristezza del lutto all’esplosione della gioia il o cedimento della carne, dopo un’altra della stessa età, sentina sabato di Resurrezione eccetera, cerimonie tutte da noi celebrate 48


come inservienti e in parte attori di quei riti, accompagnati da recitazioni, canti, veglie e processioni, costituivano un insieme da noi vissuto nella sua totalità, anche se qualcosa di simile o diverso l’avevamo vissuto fin dagli anni dell’infanzia. Non c’erano le raganelle e i travestimenti della processione dei misteri nella Chiesa madre e per le strade del paese a Morra, non c’erano le uova e le torte pasquali dell’Irpinia, non c’erano i trilli tenorili di padre Ruggiero a Lettere, ma a queste quasi mondanità e mascherate era succeduta la comprensione dei testi sacri e l’immedesimazione con il Cristo tradito, sofferente , sacrificato e risorto, tanto inculcata dall’autore della Imitazione di Cristo. Più tardi a Pisa avrei avuta la piacevole sorpresa di ascoltare dal grammofono di un compagno spesso malato le varie Passioni di Bach, con approfondimento diverso, ma altrettanto efficace, della passione di Cristo. Di tutto questo ora ch’ è rimasta solo quella musica divina, in me non credente permane una certa nostalgia di quei riti e giungo perfino ad ammettere, pur relativando, la ricchezza di quell’insieme in cui il credente è inserito e che può facilitargli la vita, dandogli il supporto dell’integrazione in un complesso di pratiche , riti e mitiche credenze, in cui il singolo non è lasciato solo e un po’ spoglio a risolvere i suoi problemi. Da un eccesso d’inserimento si è passati a un eccesso di sganciamento. Sin dall’inizio seguii tutte le pratiche con convinzione e fervore, cercando di essere un novizio esemplare, né mi sfiorò l’idea che potessi venir meno ai doveri di quella vita, cui ero stato per grazia divina chiamato.

L’autunno del 1942 dopo un mese di esercizi spirituali con silenzio assoluto, digiuni e altre penitenze, il 29 settembre, festa di S. Michele, pronunciai i voti temporanei di povertà, castità ed ubbidienza durante una solenne cerimonia in chiesa con rito speciale e pronunzia dei voti ad alta voce, che c’impegnavano per tre anni, dopo i quali sarebbero seguiti quelli perpetui. Con il solito meccanismo di andare oltre il dovuto, ci fu fatto capire che formalmente dovevamo attenerci ai tre anni, ma che informalmente ciascuno di noi poteva intenzionalmente impegnarsi già ora ai voti perpetui, il che naturalmente feci, aggiungendovi altri voti intenzionali come la difesa dell’infallibilità pontificia e di andare missionario tra gl’infedeli, sperando d’incontrarvi il martirio. Esitai solo sul voto di non perdere mai tempo che aveva pronunziato S. Alfonso, non essendo sicuro di poterlo osservare. Il mio fervore fu subito messo alla prova quando a fine novembre nel treno che ci portava da S.Severino a Benevento capitai in uno scompartimento con un compagno e due militari, l’uno dei quali sghignazzando mi sembrò accennare ad avventure galanti. Pur volendo chiudere gli orecchi e recitare con il compagno il rosario, quegli accenni licenziosi non potei sopportarli. Credetti quindi doveroso intervenire, rimbrottando indignato il militare: che si vergognasse di tener propositi simili ; pensasse piuttosto alla morte, cui tanti suoi colleghi erano esposti per la difesa della patria in guerra. Probabilmente era un quiproquo da parte mia, che lasciò interdetto il militare, che asserì non esser quello il senso dei suoi propositi. 49


Normalmente questo viaggio avremmo dovuto farlo subito dopo i in cui me la prendevo con i passatisti e i futuristi-­‐ motivo trattato voti, cioè ai primi di ottobre, ma non so per quali motivi dallo più a lungo anche nella nota conclusiva del quaderno-­‐, già dai titoli studentato ci fecero sapere che per ora non potevano accoglierci. Mors, Tedio, 2 novembre si può osservare un salto a pié pari nella Restammo quindi a Ciorani per quasi due altri mesi, conducendo malinconia e nel pessimismo, cui vanamente si contrappone un però una vita meno dedita alle pratiche religiose e con il permesso pietismo di maniera, anche se sincero. Queste poesie si di leggere già qualche libro del prossimo primo liceo. Ebbi così in riallacciavano certamente con altre perdute degli ultimi anni di mano la Divina Commedia ed Orazio, prelevati dalla grande ginnasio, dominate da Leopardi. I quattro versi iniziali di Mors biblioteca nell’ammasso di libri religiosi, di cui era ricca e fra i quali Un silenzio posava alto di tomba avevo ammirato le belle edizioni in grande formato rilegate in tra i Cristi bizantini e le Madonne pelle e con titoli ed autori impressi a fuoco anche sul dorso. In pochi ed una ridda di fantasmi orrendi giorni le Massime eterne e le epistole di S. Paolo si alternarono o errava su per l’agili colonne furono sostituite da Dante e dal poeta venosino. In questa olla non mi dispiacciono neanche oggi dopo settant’anni di pratica putrida rifecero capolino anche Parini, Leopardi, Carducci, Pascoli poetica. Anche il resto ed altri poeti da me trangugiati durante il ginnasio. Non che li ....Dall’oscuro fondo, riavessi tutti in mano, ma li riebbi nella memoria. gravida di mistero, In un quaderno da me accantonato e poi dimenticato ho ritrovato ebbe un guizzo la lampada di sangue cinque poesie da me composte a Ciorani nell’ottobre-­‐novembre e poi si spense in un contorcimento 1942 ed inserite nel mio primo libro di poesia! Per capire il mio e la chiusa stato d’animo basta guardare la pagina di guardia: a destra in alto Fuori novembre tristamente cupo quattro iniziali, J.M.J.A., cioè Jesus, Maria, Joseph, Alfonsus; a un su la notte gravò, tra le alte cime quarto il titolo Voce dell’anima e sotto Verbum animam dixit!, che pianse passando il vento e giù nel fondo sostituiva Qui si parrà la tua nobilitate cancellato; quindi a tre della valle gemeva il rio sul mondo quarti Daniele Grassi C.SS.R.,cioé Congregationis Sanctissimi Redemptoris, e in fondo luoghi e date di composizione Ciorani, resistono ad una lettura critica. novembre 1942-­‐S.Angeloa Cupolo, marzo 1944. La seconda poesia Tedio insiste sullo stesso motivo malinconico: Esaminando le poesie di Ciorani, a prescindere da Scherzo,poesiola 50


Triste novembre! Sale fumigando

del fatal dì.

dai piani ai monti l’incresciosa nebbia.

Oh! Il Falerno,

...............................................................

l’onde, gli amori,

Muore il rumor de le mondane cose,

sotto l’eterno

vanisce ogni color ne l’uniforme

rezzo d’april!

bianco vapor: dovunque è a me novembre!

Ugo fremeva

Mi si chiudono gli occhi, il cor mi tace

nel greco accento

e grave m’abbandono in grembo al nulla.

e rimpiangeva

Il leopardiano motivo del nulla non sorprenderebbe se fosse non sulla bocca di uno che usciva appena dall’intensa ascesi di un sistema chiuso, in cui dovevano prevalere valori positivi. In 2 novembre si affermava categoricamente:

gli spenti sol.

Morrò: mel dice la selva e il rio; morrò felice sotto il tuo ciel. e si polemizzava con Orazio e Foscolo: Piangeva Orazio nel tetro verso l’atroce strazio

Però per Zacinto interposta si affacciava una presenza femminile, anche se mitologica: La Citerea dal patrio lido gli sorridea tra i monti e il mar. e riafforava il nulla, anche se polemicamente negato: Il nulla eterno e l’onda bruna, l’orrido inferno 51


non è per me. Non si sapeva quale dei due motivi, quello positivo o quello negativo, parlasse di più al cuore dell’imberbe poeta che concludeva:

sapemmo che due novizi della classe successiva alla nostra, tentando di smontare un proiettile inesploso di razzo al fosforo, ne provocarono lo scoppio, che sventrò chi l’aveva in mano e uccise l’altro a lui vicino.

Sul freddo frale

SANT’ANGELO A CUPOLO

Nel novembre 1942 gli Alleati sbarcano in Marocco ed Algeria, nel luglio del 1943 bombardano Roma, sbarcano in Sicilia, il 24 cade ver l’immortale Mussolini, il 3 settembre l’Italia firma ’armistizio e l’8 la penisola è mi adergerò! invasa con lo sbarco a Salerno. Mentre i tedeschi in ritirata portano via quanto possono, dando anche la caccia all’uomo e distruggendo Nel Sogno di Jacopo Dante si parlava del ritrovamento degli ultimi tutto-­‐ ferrovia Avellino-­‐Benevento fatta saltare ponte per ponte, tredici canti del Paradiso, di cui narra Boccaccio: la gioia del figlio binario per binario-­‐, gli Alleati bombardano le città, tra queste dell’Alighieri era anche la mia che ritrovavo la poesia fra le austere mura del noviziato. Benevento, dove volendo distruggere il ponte sul Calore per intralciare la ritirata tedesca dalla Puglia, il ponte rimane intatto, Tirando una prima conclusione da questi cinque componimenti, si ma la città è ridotta a un cumulo di macerie. L’Italia è divisa in due: può parlare di un occhio attento alla natura circostante, di un governo Badoglio al sud, repubblica sociale fascista al nord. I pessimismo non solo di maniera e di un linguaggio derivato dalla Tedeschi si attestano sulla linea Gustav. L’aviazione alleata secolare tradizione poetica italiana. Quel che poteva sembrare solo distrugge tra l’altro l’abbazia di Montecassino nel febbraio 1944 e letteratura non lo era, anche se lontana dal mondo e dagli eventi tragici di quei mesi. nel giugno Roma è liberata (!). Novembre 1944 vani tentativi alleati di superare la Linea gotica Non so se di ritorno dall’Africa del nord e in viaggio verso il ( Kesselring). 1946 Mussolini e la Petacci vengono fucilati dai settentrione, un giorno sulla piazza di Ciorani antistante il collegio partigiani e i loro cadaveri appesi a testa in giù a piazzale Loreto. vedemmo cannoni tedeschi di grosso calibro e cataste di proiettili di Maggio 1945 fine della guerra in Europa, 6 agosto 1945 bomba artiglieria addossate al muro. Dopo qualche giorno scomparvero, atomica su Hiroshima. pur richiamandoci fugacemente alla realtà, presente tragicamente in quella remota valle: qualche settimana dopo la nostra partenza posato il piede,

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Di tutti questi avvenimenti sono in parte testimone diretto e le fastidio, preferendo ai brani temporaleschi o al canto del cuculo conseguenze di essi le esperimento sulla propria pelle, assistendo un’astratta fuga di Bach. anche al marasma generale tra la popolazione che subisce e fugge L’arcivescovo mangiava con noi nel refettorio e si teneva in dai bombardamenti alleati e dalle vessazioni e dai rastrellamenti contatto con la sede vescovile, dalla quale ogni tanto arrivava un tedeschi. prete. Seppe così che nel bombardamento del duomo del 15 Già nel 1942 il cibo razionato è scarso e cattivo. I superiori, settembre 1943 era andato perduto per incendio anche il tesoro sfruttando l’amicizia con il federale di Benevento, riescono ad con opere e tessuti, specie dell’epoca longobarda. accaparrarsi in due tempi una buona settantina di quintali di patate, Subito dopo l’arrivo degli americani il 2 ottobre 1943 visitammo la che vengono sotterrate in una buca enorme in giardino, città bombardata: le strade ingombre di rovine ammucchiate ai due prelevandone piccole quantità secondo i bisogni. Si teme un assalto lati facevano appena passare i mezzi corazzati. Su quei mucchi di al collegio da parte della popolazione affamata, cui si aggiungono gli calcinacci, pietre e altre macerie potei vedere sparse le settantadue sfollati, soprattutto napoletani, che errano per le vigne cercando formelle bronzee della celebre porta del duomo di epoca romanica. qualche grappolo d’uva e qualche ciuffo di verdura. Alcuni sfollati Fui tentato di prenderne una, ma mi astenni; ogni passante poteva sono ospiti del collegio nel 1943; tra essi un professore del farlo e lo fece un soldato americano che ne raccolse due per conservatorio S. Pietro a Maiella con moglie e figli, un generale dei ricordo, in seguito fortunatamente ricuperate negli USA. carabinieri e l’arcivescovo di Benevento. Tra i capitelli di piccole dimensioni su un mucchio di macerie ne Il professore, cedendo alle sollecitazioni di padre Capone, si mette presi uno e me lo portai in collegio, dove rimase nella mia cella per al pianoforte in una stanza a pianterreno sotto la cappella e, pur vari mesi, ispirandomi una poesia in data 27 ottobre, preceduta da dichiarando che le sue mani ormai incallite sono più adatte a un sonetto All’Italia del settembre 1943. trasportar valige e pacchi di viveri racimolati qua e là piuttosto che Durante questo mese avevo assistito ai quasi quotidiani a toccare la tastiera, esegue una sonata di Chopin, quella in si bombardamenti diurni e notturni sulla città e dintorni. Siccome gli bemolle opus 35, facendo notare nel martellare della marcia aerei ci passavano minacciosi sulla testa e qualcuno sembrava voler funebre quasi i passi di chi si avvia alla morte. Era la prima volta che attentamente osservare anche il collegio per scoprire se fosse scoprivo nella musica la possibilità di trasmettere sensazioni così rifugio di truppe tedesche, scappavamo in giardino anche di notte, precise senza cadere nell’imitazione sonora di fenomeni naturali dove ventre a terra aspettavamo che quell’inferno finisse, né ci come il canto degli uccelli o altro, che anche in seguito mi darà rendevamo conto che i rischi all’aperto non erano minori che se 53


fossimo restati dentro. Qualche allegrone riusciva a trovar modo di ridere e far ridere anche in quelle circostanze. Mentre la popolazione subiva quei disastri passivamente, la guerra tra esigue truppe tedesche e bombardieri alleati sembrava un gioco fra gatti e topi. Una o due batterie della contraerea, nascoste tra la vegetazione del fiume Sabato, cercavano di colpire gli aerei in procinto di bombardare . Questi, localizzatele, trasmettevano al comando la loro ubicazione, chiedendo l’intervento di altri aerei, che arrivavano un quarto d’ora dopo. I tedeschi nel frattempo approfittavano dell’intervallo per spostarsi di qualche centinaio di metri e di quì far fuoco sui nuovi arrivati, dopo che questi avevano inutilmente scaricato le loro bombe sul precedente appostamento. Quindi bombe su bombe da una parte e puntuale fuoco della contraerea dall’altra, anche per dare l’impressione di una ancora consistente presenza di truppe tedesche nella zona con conseguente ritardo dell’avanzata delle truppe americane. Quando infatti con padre Capone in piccolo gruppo attraversammo la linea del fronte raggiungendo gli avamposti americani tra Venticano e Mirabella, trovammo sulla strada un distaccamento di carri armati: un soldato fuori dalla torretta si faceva la barba, altri facevano colazione o distribuivano pezzi di cioccolata ai ragazzi accorsi. Chiedemmo a un italoamericano che farfugliava qualche frase in dialetto di condurci dal cappellano del reggimento, al quale tentammo di far capire la situazione dall’altra parte del fronte: i tedeschi erano partiti, inutile quindi che continuassero a bombardare. Che avanzassero pure verso San Giorgio e

conquistassero Benevento senza colpo ferire. Dalle sue risposte capimmo quanta fosse la loro paura dei tedeschi. Preferivano far prima pulizia dall’aria e avanzare dopo sicuri senza cadere nei tranelli del nemico. Con le due mani congiunte a formare una linea continua e portandole in avanti tentò di mostrarci la strategia americana: noi avanzare così, cioè linearmente nel vuoto creato dai bombardamenti e dall’artiglieria. Migliaia di morti e intere città distrutte non valevano la vita di un sol soldato americano, il che fu anche il principio della strategia delle bombe atomiche sul Giappone. Dall’altura del collegio potemmo osservare un paio di giorni dopo filare le prime jeep sul rettilineo San Giorgio-­‐Benevento, sparando con le mitragliatrici a destra e a manca nei campi vuoti mentre i tedeschi in ritirata e che avevano lasciato la città il 2 ottobre tiravano ancora qualche colpo di cannone dalle colline verso S. Marco dei Cavoti. Oltre l’arcivescovo e il professore di musica nel settembre del 1943 si era rifugiato da noi anche il generale dei carabinieri che comandava tutta la zona di Napoli e province circonvicine. Come avevamo avuto in settembre l’onore di una visita brevissima di un ufficiale tedesco che destò la paura di tutti noi e la fuga precipitosa del generale tra gli arbusti del giardino, ai primi di ottobre avemmo l’onore della visita di un ufficiale americano. In tale occasione il pavido generale credette bene di presentarsi in alta uniforme a far atto di ossequio al vincitore, che però lo licenziò sbrigativamente senza troppo badare al colorito piumaggio del generale. Costui 54


anche nelle successive settimane cercò di rivenire a galla inviando un maggiore, suo subalterno, a Bari dal governo Badoglio. Ma da quanto fece capire il maggiore anche dal neoformato governo ci fu una fin de non recevoir. Lasciò quindi il collegio tentando con tutti i suoi fronzoli di aver miglior successo altrove. Da notare che perfino noi eravamo rimasti scandalizzati dal treno di vita dell’imboscato Rodomonte che spediva ogni giorno un carabiniere nei dintorni per procurar cibo al suo cane che mangiava solo carne. E cosa fosse un pezzo di carne anche per noi lo si può capire pensando che da vari mesi vivevamo di patate e qualche verdura. Rabbrividendo ricordo ancora la patata lessa fredda servita come colazione insieme a un beveraggio senza zucchero di orzo. Non so grazie a quale intercessione gli americani ci rifornirono subito di farina di piselli e fagioli e di un macinato che dava un pane bianchissimo, soffice e poco nutriente. Quelle minestre sostanziose calmarono la nostra fame e, anche per quanto mi riguarda, soddisfecero il mio gusto, che apprezzò particolarmente quella di fagioli. Probabilmente avemmo anche qualche scatola di carne in conserva. Quella fresca non la si vedeva. Allora il superiore, padre Freda, seguendo l’offerta allettante dei genitori di Battigaglia, mandò un frate laico in quel di Crotone per comprare due maiali. La posta non funzionava, le ferrovie erano interrotte, i giorni passavano e della spedizione suina nessuna notizia. Il già pallido superiore impallidiva sempre di più e, già magro, aveva la sottana che gli ballava addosso. Fummo messi all’opera con novene e altre preghiere perché avvenisse il miracolo del ritorno del laico con

relativo prezioso carico. Oltre che per i nostri stomachi che rischiavano di restare all’asciutto, c’era il rischio per la borsa del collegio di restar vuota, avendo il superiore impiegato in quell’impresa i pochi contanti di cui disponeva. Dopo circa due mesi finalmente un bel giorno il carico benedetto arrivò con il gongolante portatore che aveva messo in atto tutte le risorse della sua inventiva ed astuzia per superare gli ostacoli di quell’eroico viaggio. Se non furono suonate le campane a festa, si celebrò il miracoloso ritorno con messa di ringraziamento e te deum in chiesa, ma a porte chiuse: come si sarebbe potuto altrimenti spiegare ai fedeli, oltretutto affamati, il motivo di tanta allegria? Per alcune settimane potemmo approfittare di quei salumi, prosciutti e carne affumicata, mentre il cuoco finalmente vedeva in cucina il lardo e la sugna per condire le minestre. Battigaglia, che nei mesi di attesa cominciava, nonostante i precetti della carità cristiana, ad esser visto di malocchio come indiretto responsabile per genitori interposti del temuto disastro, fu ora festeggiato e la sua famiglia tenuta in particolare considerazione. A diciotto anni io ero in pieno sviluppo fisico ed avevo bisogno di cibo abbondante e sostanzioso che accompagnasse la crescita, compromessa , oltre che dal cibo scarso e scadente, dalla mia mania di strafare e primeggiare negli studi. Si crearono così le condizioni favorevoli per un deperimento fisico e un grave esaurimento nervoso. Ma torniamo alla poesia. Dal dicembre 1942 all’aprile 1944 trovo nei miei quaderni trenta 55


poesie, che riempiono gran parte della prima raccolta Voce dell’anima e l’inizio della seconda L’angelo e il bruto, nel cui sottotitolo figura il verso di Baudelaire Dans la brute assoupie un ange se réveille! Parlerò in seguito di questo passaggio da Leopardi , Carducci e Pascoli a Baudelaire e Rimbaud. Per ora mi soffermo sul capitello della cattedrale di Benevento e sul primo dei due motivi di ambedue le raccolte, cioè il patriottismo, per il quale, oltre alle poesie, dispongo anche delle annotazioni del diario, cominciato nel febbraio 1944. Allevato fin da ragazzo in un nazionalismo spinto, in cui confluiva anche il fascismo, gli avvenimenti luttuosi della guerra furono vissuti come un dramma, che metteva in crisi gli ideali nazionalistici, né l’insegnamento del ginnasio e liceo si opponeva a tali sentimenti: come me tutti erano nazionalisti con tinte più o meno fasciste. I religiosi, come la Chiesa in genere, badavano al sodo dei loro interessi e il Regime era stato abbastanza furbo da salvaguardarli così da avere la Chiesa, se non alleata, almeno connivente per le sue imprese. I poeti che leggevo ed imitavo nutrivano da parte loro il mio nazionalismo, per il quale trovavo in essi già le formulazioni ed erano Dante, che tuonava contro le fazioni della sua Firenze; era il Petrarca contro i signori del suo tempo, che chiamavano i mercenari tedeschi a dar loro manforte nelle guerre fratricide, dimentichi delle antiche glorie di Roma; ed era la visione fosforescente dei caduti di Maratona nei Sepolcri di Foscolo; ed era

Leopardi che si soffermava a lungo sull’episodio delle Termopoli, contrapponendo chi era caduto per la patria a chi al tempo suo cadeva al servizio di signori stranieri, presentando l’ipostasi della già formosissima donna ridotta ora schiava a pianger le proprie rovine; ed era Carducci che strombettava il trombone risorgimentale, dandomi nelle Odi barbare non solo il motivo, ma anche la forma più libera delle nuove strofe; ed era Pascoli con la sua musica lagnosa, però attentissima al susurro delle umili mirici, per non parlare della magniloquenza di D’Annunzio, tenuto un po’ in disparte per la sua fama di scrittore all’indice della Chiesa, letto però e sentito nel suo panismo dell’Alcyone. Preso nell’armatura di quel linguaggio secolare e nutrendo affetti simili a quelli contenuti in esso, come poteva il poeta in erba far sentire una sua voce originale? Considerare quelle poesie come puro esercizio letterario e richiamarne i contenuti solo come testimonianze biografiche sarebbe ingiustamente riduttivo. Anche se in una poesiola dell’aprile 1944 tentavo di irridere chi si commoveva più per la distruzione delle opere d’arte che per quella della popolazione: Marte, deh, senti a me: mandiam, mandiam la guerra dai campi nei musei; vedrem compunta alzar la man la terra per conservar Prassitele e gli dei, 56


le esili guglie, le tronche colonne, i massi e le travi tra cui ora l’indovina civetta svolazzava e le carogne olivano là dove già a sera la luna inargentava il bianco petto a Progne, erano materia del mio canto luttuoso, affidato leopardianamente alla luna: Ancor pia ritorni col nubiloso raggio a destar l’ombre trepide e fuggitive e forse i giorni del tuo sogno sarian più lieti, o luna, se timida la bianca tua mitezza nel più romito canto dell’abbrunato cielo umili corni ne dimostrasse appena e né l’acanto de l’italo scalpello in su la mano squallido mi fiorisse al cuore infranto. Dal diario cito ora passi che si riferiscono a situazioni concrete e che segnano le mie reazioni ad esse in modi e schemi un po’ più concreti, ma ancora ampiamente letterari. 8//2/44 Lo vidi nel pomeriggio di un paio di giorni fa. Povero giovane! sembrava un soldato fuggitivo. Scarpe non ne aveva e vi rimediava con una specie di ciocie. Il volto rossiccio, ma di un rossore a chiazze,

non graduato, come se fosse malato; la barba spelacchiata e seminata scompostamente sul viso. Col bastone come un vecchio e con un sacchetto da viaggio su cui sedeva in portineria. Forse gli abbiamo dato da mangiare. Riparte subito. Chi sa per dove. E non so donde viene, ma deve essere da molto lontano. Lasciamo stare amor patrio e ideali, ormai trascinati nel fango. Ma la sola voce dell’umanità sofferente mi parla in una maniera, come sinora giammai. Oggi nevica, ieri nevicò. Che non lo abbia colto la tempesta ancora per via? E intanto una madre, dei figli, una sposa forse aspetta chi sa da quanto tempo e con quali angoscie. Chi mi assicura che anche mio fratello, il mio Celestino, non erri così per regioni ignote e forse ostili? Chi mi assicura che anche mia madre non pianga su un ritorno tanto lacrimato? E intanto giornali e demagoghi accendono la lanterna di Diogene in cerca del Fascismo da scannare. Farebbero tanto meglio a guardarsi attorno a pochi metri per veder sanguinare tanti cuori. E questo a causa dei loro piaggiati, causa della loro viltà. Quando, quando Alfieri ritornerà in questa cloaca di carogne e farà trasalire i loro cervelli putrefatti, gridando: Servi? ma almen frementi. Non so quanto fremessero i miei superiori, che oltre alle spedizioni suine cominciavano a darsi da fare per entrare nel gioco della nuova politica, almeno per contrastare o favorire alcune correnti, per esempio quella democristiana, che nel beneventano aveva un suo rappresentante, già del Partito popolare di don Sturzo e che ora riaffiorava, appoggiato dalla Chiesa e dall’Azione cattolica. Così 57


padre Capone venne a contatto con un giovane piemontese, pure glorie italiche e delle più grandi divinazioni del genio? Lo sento: militare profugo che godette dell’ospitalità del collegio, scendendo saremo oggetto di pietosa archeologia...e questo da parte dei nostri spesso a Benevento per riorganizzare la gioventù cattolica, nelle cui distruttori. Vanità delle cose. Le arti belle, più della musica e della file preferì la componente femminile, fidanzandosi con una poesia, hanno i piedi di creta. abbiente e devota fanciulla. Teneva infocati discorsi, era portato ad ....Anche la lapide delle sanzioni è discesa dalle mura di ogni città esempio del giovane cristiano della nuova generazione ed additato d’Italia “liberata” dal tiranno. Nessuna meraviglia, dunque: lo perfino a noi per l’illibatezza dei suoi costumi. Senonché dopo un straniero è stato desiderato, è applaudito nelle sue stupidamente annetto in cui approfittò largamente della generosità borghese e grandiose americanate: ciò mi tormenta più che queto letto! delle grazie cattoliche, compresa quella dell’illibata fanciulla, 12:3:44 quando l’Italia del nord fu liberata, all’improvviso scomparve, Ho ascoltato alla radio il discorso di Pio XII agli sfollati di Roma. Se vi tornando ai patri lari e lasciando l’amorosa in lagrime ed i protettori ed ammiratori , tra i quali padre Capone, con l’amaro in bocca. è u n u omo, n on d ico i taliano, c he a bbia in petto un cuore di carne e non di vipera e non ha pianto, non so a che specie di fosssili Ma prima che questa fuga avesse luogo c’erano stati altri luttuosi appartenga. O Roma, o Roma, o Roma, io piango. Le memorie si avvenimenti. affollano, il cuore mi scoppia: non voglio pensarci, perché non posso 17/ 2/44 pensarci, alla tua rovina! Lasciatemi distrarre, pensare ad altro. Oh! Ho appreso la distruzione dell’abbazia di Montecassino. Io non la viltà umana , la barbarie, la barbarie, la barbarie. Eri nel mio l’avevo vista, ma ne avevo sentito tanto parlare e scrivere e avevo cuore grande, lo sei ancor più. un desiderio ardente di visitarla. Dunque questa è la sorte dell’Italia! Seguiva una prosopopea dell’Italia e di Roma, culle della civiltà. Che Il baluardo del monachismo dell’occidente, un tempio di memorie, di tutto questo avesse le radici anche nel fascismo lo si vede in una scienza, di arte e di pietà, che ha sfidato i secoli, aspettava proprio specie di autoanalis e di sguardo retrospettivo, in cui le lodi sono questo tempo di civiltà, in cui i barbari peggiori del mondo mescolate ai lamenti. l’avessero a distruggere. Dunque la patria non è che un nome ( e Il Fascismo, a cui non posso mai pensare senza rimpianto come al purtroppo nome d’infamia perché ormai ci gloriamo di essere un po’ tramonto di uno dei più cari sogni della mia vita, era per me acqua tutti leccascarpe), dunque il sogno di tanti secoli e il mio ha da stagna: tutto bene, tutto in fiore, quattro gridi alla patria e tutto essere infranto, dunque dovrò visitare le rovine, i ruderi delle più stava bene. Analogo processo, credo, sia avvenuto in tutta la 58


nazione, donde il fiasco, il precipizio in cui siamo andati a sbattere. Sono venuti i giorni del dolore: mi son guardato attorno ed ho visto che c’era tanto di fittizio, tanto di falso, tanta vernice. Ho provato cosa voglia dire avere una adolescenza tormentata e, per altre cause di cui non so rendermi ancora ragione, ho mutato sistema e quasi involontariamente son passato nello stadio riflessivo. Pensavo infatti di essere stato fino ai 16-­‐17 anni in uno stato spensierato e accennavo allo studio della filosofia come a probabile causa del cambiamento e ad una crisi spirituale, provvida sventura non meglio precisata. Questi immaturi soliloqui di un giovane che della realtà politica non aveva nessuna, o molto deviata idea, mi portavano a criticare quel poco che di essa trapelava fra le mura del collegio.

grosso ha il sangue fiacco nelle vene da millenni di servaggio. Per comprendere queste filippiche bisogna tener conto dell’isolamento e dell’immaturità giovanile, così apparenti sotto le incrostazioni e superfetazioni della retorica, che era naturalmente qualcosa di più prossimo e meglio conosciuto, perché assiduamente coltivata. In una nota a Voce dell’anima nella primavera del 1944 me la prendevo con il classicismo, il romanticismo, il novecentismo, l’ermetismo e l’allegorismo, salvando il musicismo o alchimia della parola, considerato come il punto di contatto e il sostrato di quasi tutte le scuole moderne di poesia. Ma alla fine me la prendevo anche con esso perché parte e non tutto, veste e non contenuto, considerando il puro suono un immiserimento della parola. Bisognava comunque tenerne conto, giacché l’arte, essenziamente Ho saputo che è stato assassinato dagli antifascisti Giovanni Gentile edonistica, lo richiedeva per far provare questo piacere ai a Firenze; che Badoglio è stato 3-­‐4 volte a Sorrento ad pedes del contemporanei. Decretavo che l’arte era rauca e in decadenza per colendissimo Benedetto Croce; che si ritorna alle porcherie dei la comune eccentricità. Bisognava influire e non lasciarsi influenzare faziosucci invece di pensare alla Patria insanguinata: ho vergogna, e l’ambiente formarselo nel proprio secolo per trovarvi una ho vergogna, ho vergogna di essere un italiano del 18 aprile 1944! restando però al di sopra di tutte le scuole. Dove andremo a finire? rispondenza, Concludendo volevo una poesia classica, non classicista, connotata E il 29/5/44 scovavo un nuovo diavolo oltre quello tradizionale, il da compostezza, armonia e idealità, senza stravaganze ed diavolo della società, ossia dell’ipocrisia, dei sepolcri imbiancati, impotenze e dalla quale non esulasse la musica come mezzo, non della burocrazia. La così detta società non vive che del suo alito appestato e incipriato. come fine; un’arte classica rinsanguata, in cui dominasse l’io, sentito e vissuto anche negli strati del subcosciente. Mi permettevo E concludevo: E’ inutile: il popolo italiano di oggi non è il legittimo il lusso di citare perfino Rimbaud, come avevo citato Baudelaire, discendente di Roma. Vi potranno essere pochi spiriti solitari, ma il ambedue non letti nell’originale, ma cattolicamente travisati nelle 59


biografie del Casnati. mentre altri vi si affacciavano appena, deformati dalle spessissime Nel diario sotto il 23/3/44 notavo il detto di Vincenzo Cuoco, che grate del carcere in cui vivevo. dal poeta richiedeva carattere, senza il quale ben poco poteva farsi. Nel dicembre del 1942, dopo aver visitato le carceri di Montefusco, Chi non mostra un carattere suo proprio o non è avvertito tra poetavo: l’infinito numero dei caratteri simili o è trascurato. Ma per mostrare Dietro i battuti acciari un carattere è necessario averlo: un carattere preso ad imprestito cade in un momento. le celle si dilungano graffite Avevo un carattere o l’avevo preso ad imprestito? E se ero tentato da l’unghie incerte di malferma mano di dar ragione al Cuoco che il bello eterno ed universale non può al raggio fioco di lontana luce, consistere se non nell’affetto, nella ragione, nella morale, da sbarrate pupille accolta e quasi relativizzavo tutto notando che quel ch’è vero per uno, anche sommo come Leopardi, non è vero per altri o lo è solo in parte. fintanto ritenuta Asserivo di essere esiliato nell’imperfetto: Quando il grido di tutto che fosse impressa l’ultima parola l’essere sarà ascoltato? Leopardi mi ha fatto superar Carducci, il d’un odio che non muore. grande oratore mancato; Baudelaire, Rimbaud – mortel, ange et démon-­‐, Verlaine mi hanno staccato da Leopardi; la caduta E davanti al ritratto di Baudelaire qualche giorno prima avevo dell’Italia, la lotta della carne e il dubbio angoscioso anche da questi cantato: ultimi e finalmente credo di aver ritrovato la mia vita e la mia via, ......O notte, perché senza vita non esiste via: la poesia cristiana positiva dai tuoi recessi, scendi e copri contemporanea. scendi C’era un po’ di tutto in quel che pensavo, ma c’era molto meno in quel che facevo, né bisogna meravigliarsene. Mentre la vita la stavo ormai vivendo nella morsa del dubbio, dell’esaurimento nervoso e della tentazione della carne, la via che pretendevo che mi stesse conducendo a terre inesplorate era stata battuta e ribattuta dai poeti citati, molti dei quali formavano più che il sostrato di essa,

questo chiaror lontano, questo raggio de la fuggente luce. Troppo discerno ancor, meglio le tue gelide mani su le mie pupille; 60


più caro al cor m’è il sogno del tuo dolce mistero. ....Baudelaire, ti piange la pupilla ne la scarna orbita e dietro il capo ondeggia in tempestoso flutto l’incolta chioma ed ampie rughe ti solcano la fronte come tagli di quell’acerba lama. Baudelaire, è amaro il frutto d’Eva, è una brunita lama il vizio a l’uman seme. In Novecento, polemizzando con poeti vecchi e nuovi, sentenziavo: bisogna far da noi. All’erta! Con un pugno rompiamo i vetri e libera aria rinfreschi il grugno. Non volevo vendere il pietismo/ al raggio de la luna; volevo slargare il comprendonio:/ la mezzacanna è inabile/ ormai al nuovo conio. Ma in realtà, irridendo gli altri, non mi accorgevo d’irridere me

stesso, sempre proteso a cogliere il raggio della luna e a tentare con l’aiuto delle cadenze e dei ritmi nei rimari stipati a tener bene in mano la mezzacanna dei poeti a me cari. Un certo pessimismo che aleggiava dovunque era solo maniera o dominava i sentimenti del prigioniero, che teoricamente tale non doveva sentirsi, essendo al servizio di ideali religiosi con una missione precisa davanti a sé? Tutto tramonta, ogni ideale affretta il taciturno volo là donde un giorno in giovanil baldanza uscìane lieto con la snella prora nel solco de l’aurora.( Preghiera) Oppure: Da me che vuol la turba informe del passato? ........ Larve di cimitero, che pallide montate come un’onda livida al mio pensiero, la qual nel suo risucchio mi ritragge, divincolando, verso morte spiagge, 61


andate, andate: arbor che il verno spoglia,

che salgono dal piano

flagella, artiglia e tronca

come un salir di morbide

io son. (Novembre) onde in april sul mare. E comincia a far capolino l’idea della morte. Vaghi colli tuffati ne l’aurora, Nel diario sotto 13/5/44 notavo: Che meraviglia se desidero la cantano le campane morte? E’ vero, non mi sento pronto, ma quanto più viva è la lotta, tanto più ne sento e ne nutro il desiderio. Questo desiderio di dalle pievi nascoste tra gli olivi morte, pur ricalcando l’invocazione di S.Paolo ( Infelix ego homo. e canta il cuore mio, Quis me liberabit de corpore mortis huius? ), derivava dal tuffato in un’idea, pessimismo, che con l’esaurimento nervoso aggravantesi assumeva colori sempre più tetri, perdendosi in visioni sempre più macabre di rosata come il velo del mattino. una ridda demoniaca di scheletri che agitavano le immonde .... semispolpate braccia verso di me e che poco avevano da invidiare Con volo infaticabile le penne alle rappresentazioni delle Massime eterne con la compiaciuta descrizione del decadimento del corpo a letamaio. drizzo del pensier mio Lì, quasi fermentando a destra giace, in quel fiorito pelago , e nei suoi fessi brulica in cui le nubi vanno e i campanili.(Voci segrete all’aurora) la lorda verminaia E m’immedesimavo con questa natura vivente fino a fare dei suoi che nella broda si rivolve e guazza.( Letamaio) fenomeni il simbolo di me stesso: Eppure a queste cupe meditazioni alternavo in controcanto liete visioni che sarebbero dovute essere più consone con la mia giovinezza all’ascolto di voci segrete della natura che mi circondava: Fumano i lieti colli,

Voglio io de l’albe il riso e de l’aurore, il canto pensieroso dei tramonti, la lacrima segreta de la prima 62


stella che occhieggi in cielo;

Pigro da l’ombra avara

il profumo dei fiori e il mormorio

erra ricirculando l’occhio spento

di linfe tortuose.

dei bei giovenchi e posa il lasso fianco

Voglio l’urlo che manda l’uragano,

il trebbiatore. Alfine

lo schianto de la folgore e del tuono

riposa, o cuore affranto. (Meriggio)

tra le gole dei monti il mormorare.( Alla sorgente)

Nel secondo libro avrei addirittura coniato il neologismo undulnare dal titolo di una nota poesia del D’Annunzio, letta in una antologia di Augusto Vicinelli, che tra l’altro metteva in evidenza il panismo del poeta:

L’osservazione diretta dei paesaggi era la fonte più limpida d’ispirazione e la forma, pur mediata dai poeti che amavo, riuscivo ad innovarla in parte in versi più sciolti e musicali del solito. Rileggendo questi brani dopo tanti anni, non mi sento di poterli rinnegare: juvenilia, certo, ma non peggiori di tanti altri di miei famosi predecessori, dal cui armamentario carpivo qualche termine, che non mi sarebbe poi dispiaciuto, riprendendolo senza accorgermi della continuità anche nelle poesie della tarda età, come quel ricirculare dantesco e quei tuelli ( piccoli tuberi) forse pascoliani.

e fugge come legno commesso a l’undulnar d’onda che bolle.(Lotta e ideale)

lanciando a l’etra opacamente stanco

Fossi stato più maturo, avrei insistito nella coniazione di nuovi termini per innovare il linguaggio poetico e dargli un tono più personale, come avrei fatto in seguito. Ma era chieder troppo a uno che viveva, e non solo in letteratura, tra rigidi schemi tradizionali. Tradizione o non tradizione, in quei paesaggi affioravano anche vaghe figure femminili, rese innocenti o lascivamente sdoganate per animali interposti:

lo stridulo ansimar de l’angia, mentre

Chi sei tu dunque che pigrendo vieni,

pencola per i vani

chiazzata serpe d’indica marina,

spazi l’augello in sul posato branco.

che il tardo nuotator da la vicina

Ciarlano le cicale ai vasti piani,

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arbore pendula calando avvolgi,

irta di rosse coste, ove marciti

indi fluida e molle

eran gli affetti e tanto cor! Dal fondo

risali il tronco e svolgi

la verminaia snodavasi....(Era la notte)

tua calda spira flessuosamente

Ce n’era abbastanza, con particolare appesantimento di forme arcaiche delle parole. Probabilmente, più che la meditazione dei novissimi, era Baudelaire alla base della carogneria e l’aveva preceduto il Michelangelo della Sistina , della quale mi erano capitate in mano le illustrazioni con quella Eva così carnale del peccato originale, alla quale il serpentedonna porge il frutto proibito. La lingua batte dove il dente duole: da quelle poesie del 1943-­‐44, scritte nell’isolamento e nel silenzio di una cella, ci si aspetterebbe di avere a che fare con una poesia religiosa e invece sono altri temi a prevalere sotto la superficie religiosa, presentata spesso come per obbligo. Alcune furono anche recitate in pubblico durante le accademie musicoletterarie e questo pubblico non si scandalizzò perché sintomaticamente per le mani ci giravano Leopardi e Carducci, non Jacopone. Neanche il Manzoni degli Inni sacri, pur mandati a memoria, si faceva sentire in quel coro profano, dove faceva capolino caso mai lo Zanella della Conchiglia fossile. Anche le poesiole di S.Alfonso non bastavano a quegli esercizi letterari che pretendevano essere di altro e più impegnativo livello. Cosa restava, dunque, della tematica religiosa? Quasi niente. Nell’undulnare della bilancia il piatto profano era di maggior peso e consistenza, l’altro, direttamente o indirettamente religioso, anche

e dentro il sen ti bolle il putre pasto, che sbadigli, ardente di letargo, che ai lochi ti confonda intra le foglie su l’instabil onda? ...... Giunta da presso per lo fioco lume piovvero quattro neri cornuti come livide fiamme di rei pensieri: e, da le scempie bocche gialle schiume eruttando vischiose, dai patiti omeri incarco ne gittar di opaco ammanto oppresso, che cadendo aprissi con stranio suon di vagabonde larve e femminil carogna al guardo apparve,

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quand’era presente, si presentava inglobato in un linguaggio che non era il suo, ma quello dell’altro, come se Beatrice fosse vestita da Laura o, peggio ancora, da Armida. L’ideale verso il quale il cantore tendeva poteva essere un sostituto di quello religioso?

trarti vorrei, mio cor, su la protesa

Forse dai cieli scendi,

non sei, ma l’alta impresa

o santa idea, e la materia e il nudo

ancor rimembri e, sanguinose l’ali,

irrigidir d’opache cose incendi,

la carne, ancora ebbro di lotta, assali.(Ibidem)

forse è il tuo dolce raggio che l’aer mesto e nubiloso e crudo

La mia lotta personale in Meditazione è trasferita nell’ipotiposi di una tentata, timida ancella:

abbella e il mio viaggio;

Risale da la valle

ed a quest’atomo di fango carco

ne la notte scandita ed insistente

la bava arida strappa

la festa della vita

onde al cielo s’estolle e in trogo lappa.(Lotta e ideale)

che invita l’ancella a non negarsi ai piaceri dei suoi vent’anni e lei replica:

Oltre la caducità delle cose che non possono dare la felicità perché in esse si annida spesso il peccato, mascherato sotto forme ingannevoli del piacere, che pur invita e chiama con voce suadente alla quale mal si resiste anche se pervasa di ansia, c’è qualcosa di più specifico, una lotta personale in cui temevo di soccombere e che m’induceva a desiderare gesti estremi, che sorprendevano il confessore, padre Capone: dal fianco mio squarciato

spietatamente, come lastra opaca, mano e ficcarti il pollice nel seno, se lurida cloaca

Vani richiami e vane ombre d’un riso che non calma il core, ma nel fascino rode e mi sommuove il petto la segreta ansia del male.... Cor mio, deh! pensa: l’orme del viaggio 65


insanguini a la traccia di furtivo miraggio. A dare più concretezza all’allegorica ancella invito e ripulsa avvengono nella cella di una mistica casa, in cui le preghiere sono accompagnate dal mormorio di una fontana nel chiosco, dove gli uccelli si sono ritirati a dormire. E questa casa è su una collina che domina la valle dalla quale giunge l’eco della mondana festa del piacere, la stessa collina dove il vignaiuolo nell’afa di una cattiva annata vedrà inariditi i frutti del suo lavoro senza che ciò molto importi agli altri: notazioni che si riferiscono al collegio di Sant’Angelo a Cupolo, dove vivevo in preda alle stesse tentazioni, cui contrapponevo l’ipotiposi di un io, superuomo-­‐poeta:

Ma di là a poco anche questa ipotiposi subisce un tentativo di metamorfosi religiosa con un preciso richiamo biblico in Domani ameremo! : Già già le compagne si destan prudenti; si grida: “E’ lo sposo! “ non senti? La trepida veglia passò. Squarciate son l’ombre, la fiamma s’eterna, riposa, riposa l’alterna

Ho diciott’anni, un sogno! e qui ripieni

vigilia del guardo e del cor.

di voli il senno e il core.

Forse la poesia religiosamente più sentita, A Maria, spunta dall’angoscia della crisi psicofisica che subirò a partire da qualche mese più tardi:

Quel che non vidi, il sento! Folleggia lusinghiera torma di cose e da l’informe vòto sale l’affollamento dei fantasimi opachi e per l’ignoto mio spirto li abbarbaglio e a l’oceàn de l’essere li scaglio.( Era la notte)

Madre, talor quando la carne affloscia al gran dominator del mondo reo, odio allora la carne: indi vorrei schiantarla, frantumarla, spezzarla, come spezzasi l’ostacolo in una corsa,che la terra ancora 66


non vide e ancor non sogna; e compiacermi di mie sparse membra come l’aquila piacesi de l’angue lanciato da le nubi sovra aguzzi picchi a schiacciarsi; come un ignoto prigionier membruto frange le crepitanti schegge di porta buia, ebro di sol, furente. Or che nel sen mi lievita del tuo Gesù la carne, la mia carne or amo e penso al mutamento del fango ne la luce, del verme, che mi preme, nel trepidante augel dei tuoi richiami. La palpo e son contento della lotta che fu, che in me ancor sento. Avevo diciannove anni, ero preso nelle spire di una crisi mortale, pensavo di trovare nella religione la via d’uscita e intanto mi compiacevo in una terminologia classicheggiante che non so quanto

avesse a che fare con un sincero sentimento religioso: ero più poeta che devoto di Gesù o Maria. Le esperienze personali più dolorose di quegli anni le rivestivo quasi automaticamente di panni classici, che non erano fronzoli, ma armi di esercizi letterari. Dalla letteratura mi venivano immagini, ma anche tentazioni, come per esempio dalla Digitale purpurea del Pascoli, riprodotta nell’antologia del Vicinelli, che ne spiegava chiaramente le allusioni sessuali. Avevo mai visto una digitale purpurea, individuando nei singoli fiori l’immagine precisa della vulva, che ora mi tornava nella fantasia, completando resti della sua forma che erano sopravvissuti a visioni conculcate dell’infanzia? La fantasia malata ora l’ ingrandiva e così magnificata me la ripresentava durante la meditazione, dove essa trascorreva per i cieli, rifiutandosi di scomparire, annidandosi anzi perfino nel grembo della Madonna, dedita anche lei a coiti mostruosi. Il languido fermento d’un sogno e la dolcezza! molta! tanta che vedi... si muore! si erano impossessati di me e mi portavano alla deriva non tanto sotto l’aspetto o la realtà dell’organo femminile, quanto di quello maschile. Ormai dedicavo le mie poesie ai vinti e in una nota a Maternità folle precisavo: La pazzia è al primo grado, quando è piuttosto fissazione e un misto di lucidi intervalli e di cose apparentemente sconnesse, ma che hanno il loro terribile filo logico nel pathos del contenuto di coscienza. Nell’aprile del 1944 non eravamo più in letteratura, ma nella tragedia personale. Pochi giorni dopo interrompevo le annotazioni 67


del diario e la composizione di poesie per quasi un anno. Ormai ero più vero e più confortante ( il cristiano), della bellezza del problema un naufrago. dell’essere e del non essere, della poesia o arte come necessità e Il naufrago, però, si era dibattuto cercando di stare a galla come vocazione, dei sommi problemi dell’anima , di Dio, della lotta per meglio poteva. La letteratura mi era stata di aiuto, criticamente con raggiungerlo e di tutta l’esperienza ascetica e mistica. Il tutto in una la lettura delle opere del De Sanctis e sentimentalmente con il nuova Commedia, a grandiosi canti innestati nella passione e nel panismo, ripreso dal D’Annunzio e che io vivevo nei pochi momenti tormento individuale modernamente vissuto, concepito, espresso, i di calma e di abbandono. Del mio conterraneo leggevo La storia n cui la trama logica e dottrinale sia annegata nel fantasma e nella della4 letteratura, i saggi critici e forse anche il libro su Leopardi: le concezione discontinua, lirica, in cui domini il problema psicologico sue analisi accurate e la sua immedesimazione con gli autori e i dell’io. Sogni? Realizzazioni venture? personaggi trattati mi erano di guida nella stesura dei compiti Evidentemente farneticavo. Ma alle farneticazioni trovavo sollievo settimanali d’italiano, in cui come al solito strafacevo per lunghezza, nel sentimento panico della natura che mi circondava: mettendo a dura prova la pazienza del professore; e gli 18/4/45 testimoniavo la mia più che ammirazione, mettendolo a braccetto con Baudelaire nel secondo quaderno di poesie L’Angelo e il bruto, Come è dolce la sera. Una commozione profonda m’invade. Divina sulla cui copertina figuravano del secondo il verso Dans la brute natura! E poi primavera e poi vent’anni e poi questo paesaggio assoupie un ange se réveille e del primo l’asserzione Cielo e terra vasto e incantevole su tutto il Beneventano. Fiocchi bianchi di sono termini correlativi: l’uno non è senza l’altro. Il puro reale ed il amianto in cielo e un’aria sottile, leggera, solleticante, che mi dà il puro ideale sono due astrazioni: ogni reale porta in seco il suo ideale sapore del pane e mi ridesta una vita profonda, dandomi la smania , ogni uomo porta seco il suo inferno e il suo paradiso. di s orridere, di amare le cose belle, di godere. Perché? Non lo so. E’ La mia fantasia esaltata e malata architettava piani mirabolanti: l’imponderabile, l’insondabile, il discontinuo, il senso ignoto del mistero che da un certo tempo in qua mi agita o esalta. Non parlo di 8/6/45 quei momenti brevissimi, più d’intelligenza che di sentimento, in cui Concezione e trattazione dei massimi problemi; del dolore, della sento gravare in me e attorno a me qualcosa di cieco, di nudo, di relatività ( microcosmo e macrocosmo), del mistero del composto piatto, di brullo, di asperrimo e di sconfinato che mi sfugge e si umano ( l’angelo e il bruto), della scienza e della sapienza, della vita presenta come un enorme interrogativo delle cose. La scienza ch’è un correre alla morte ( Dante), della morte nel suo contenuto dell’atomo, l’ultima costituzione della materia ( elettricità?)-­‐ questo 68


tavolo elettricità, questo libro elettricità, questa mano elettricità, l’aria che mi circonda elettricità, il mare elettricità, la terra elettricità, le piante elettricità, le bestie elettricità, i cieli elettricità-­‐ mi attira follemente e mi stupisce non meno della scienza planetaria e cosmica. Di notte, sotto un firmamento stellato, con un’impronta appena di bionda luna come esilissimo schifo di sogni o come culla di luce e di piacere ondante nell’azzurro, considerare la distanza tra astro e astro e poi immettere in quelle lontananze la breve aiuola che tanto ci tormenta e noi e me e questa mia piccola realtà che tanto interessa, è davvero il salto nel vuoto, si diventa certo col Pascoli più buoni, meno egoistici. E Dio? e la vita divina che questa immensità trascende e a cui noi, io sono destinato? Macrocosmo e microcosmo, scienza della relazione, dell’analogia, in fondo. Chi potrà quindi determinare, cristallizzare questi stati d’animo? o che la poesia è algebra? Grazia del ciel, come soavemente/ Ti specchi ne la terra abbeverata! Abbeverata di luce, di gioia, al mattino, quando sul piano e sui colli lontani inonda la gioia frenetica de l’essere e della vita. E il ramo frondoso e lungo e orizzontale del ciliegio, le ciocche fiorite del melo, e la vita multipla de l’erbe infinite nei campi di grano e nei maggesi, e le giovani foglie di pioppi, con una grazia ingenua e tenera quasi calda di carne molle, tutto, tutto che ha una sua nota particolare e uniforme: gioia visiva, gioia olfattiva, gioia auditiva, sensitiva e spirituale che investe tutto e mi dà l’abbandono del ramo del ciliegio, il profuma quasi impercettibile e la tinta rosea-­‐ quasi carnea-­‐ delle poche e slegate foglioline del melo, lo

sconfinamento atomistico e a fascio dei campi virenti, la civetteria nativa delle foglie del pioppo, il senso di benessere e d’immortalità del grande astro che sorge e da tutto trae quest’armonia e a tutto la dona. Grazia del ciel, come soavemente/ ti specchi ne la terra abbeverata di malinconia la sera. Tutto s’è composto in un perlaceo sfumato, che l’aria acuta e vivace rende più trasparente, più lieve e quasi anima. Quel brusio indistinto che al mattino trascorre l’universo s’è placato in una malinconia che è pace, ma a cui manchi qualcosa. Mal sottile la malinconia, compiacimento in qualcosa che non è gioia, che non è dolore. Uno stato vago, le cui molteplici individualità non hanno, non vogliono aver la forza di chiarirsi: il distinto non vi ha ragione di essere. Voluttà, ma di pianto. Forse la sera? forse le ombre, forse il giorno che inclina? forse uno stato fondamentale fluttuante? La chiara mancanza di precisione nei concetti e nelle formulazioni era probabilmente dovuta all’origine di questo stato panico, ma non solo: quell’andare a fondo e perdersi nella natura accusava la mancanza di un solido ancoraggio a qualcosa di stabile, di sano. La logorrea delle parole affastellate era quella dell’insania certo, ma forse anche, come avrei sperimentato pure in seguito, il bisogno puramente tecnico di non interrompere il flusso dei pensieri e sentimenti, rimandando ad un secondo tempo meno eccitato la cura di correggere e perfezionare. Da questo excursus nella mia produzione poetica e diaristica dell’epoca bisogna tornare ora indietro agli eventi della mia vita durante il liceo ( novembre 1942-­‐luglio 1945). 69


Durante quegli anni le pratiche religiose più ridotte –eliminazione S.Ambrogio ). della recita delle ore canoniche, rosario di cinque poste invece di Più che entusiasmo, provai un vero piacere a tradurre le odi di quindici eccetera-­‐ si alternavano con le ore di studio e di lezione. Orazio – escluse le erotiche naturalmente-­‐, mettendone qualcuna Professore d’italiano e latino era padre Barba, di storia un altro di perfino in versi e così tentando la pazienza, se non la competenza cui non ricordo il nome, ma la figura saltellante di un tipo bene in del professore. carne, entusiastico ed allegro, e di filosofia padre Capone. Il latino comprendeva, oltre la lettura e la traduzione dei classici con Le lezioni consistevano in mezz’ora di spiegazione e mezza relativa memorizzazione – il che valeva anche per l’italiano-­‐ le d’interrogazione, con frequenza di tre volte la settimana per versioni dall’italiano in latino e viceversa. italiano e latino, di due per storia e di quattro per filosofia. Del tutto Per l’italiano, oltre il De Sanctis, saccheggiai abbondantemente assenti erano la matematica e le scienze naturali. l’antologia del Vicinelli, specie per Pascoli e D’Annunzio. Mi fu data Padre Barba era giovane e alquanto inesperto, frequentava inoltre da leggere anche la storia dell’Umanesimo del Toffanin e quella le lezioni all’università di Napoli per laurearsi in lettere. Da chi fosse della letteratura italiana del Flora. imposto questo obbligo e perché non ricordo. Aveva un fisico Alle prese con gli esami all’università padre Barba era più convinto alquanto femmineo, una vocina da ragazzo e arrossiva come di me, fanatico del De Sanctis, della tesi del carattere cristiano un’educanda. Nutriva qualche risentimento nei confronti dei dell’Umanesimo sostenuta dal Toffanin, professore a Napoli, superiori, che avevano radiato suo fratello ammalato, anche lui mentre era spaventato dall’analisi razionalista del cristianesimo e redentorista, dalle file della congregazione e che si era secolarizzato dalla lettura modernista alla Loisy dei Vangeli dell’altro professore, come prete, morendo poco dopo. Adolfo Omodeo, che all’esame, però, lo trattò gentilmente senza La lezione d’italiano era dedicata soprattutto alla Divina Commedia, infierire sul religioso. Inutile precisare che i libri dell’Omodeo non una cantica per anno; sporadicamente si trattava anche qualche circolavano in collegio e ne ebbi notizia solo indirettamente. Perfino altro scrittore. Pascal l’ebbi in mano solo nel 1945. Il latino era dedicato il primo anno ad Orazio ed alle opere minori di Del Flora ripresi il giudizio e la canzonatura del fururismo e Virgilio ( egloghe, specie la sesta in chiave messianica, e le dell’ermetismo, senza veramente conoscere Marinetti ed Ungaretti. georgiche) ed in seguito a qualche elegia di Tibullo ( niente Il termine decadentismo per i movimenti e i poeti da Baudelaire a Properzio od Ovidio ), proseguendo con Livio, Tacito ed autori della D’Annunzio l’accettai, dandogli valenza morale e di costume, ma decadenza (Tertulliano, le confessioni di S.Agostino, inni di soprattutto letteraria, essendo alcuni di essi fra i miei preferiti. 70


La lezione di storia era fatta su un manuale non ricordo di chi, il lasciando all’interrogando di mettersi nei panni del nemico e, con quale si svirtuosiva più in vivide ricostruzioni letterarie che in analisi lui battagliando, mostrava l’inconsistenza della sua posizione, e ricerche storiche e il professore ne declamava le pagine come smontandogli la macchinetta dei falsi sillogismi a colpi di quelli veri, fosse un classico, non dico Cesare o Tacito, ma poco mancava. ora da lui messi in campo. La lezione di filosofia era fatta in latino, un latino alla scolastica Man mano che si avanzava nello studio le parti dei due duellanti anche più annacquato, benché i testi su cui la studiavamo – due potevano essere affidate a due alunni. Fui scelto spesso a fare il ponderosi volumi di un domenicano tedesco-­‐ fossero in un latino galletto della verità o della falsità, battagliando con il professore o alquanto ostico, e noi eravamo orgogliosi di servircene, vantandone con un altro alunno. Se si era proprio bravi, si era scelti per questo la difficoltà rispetto ad altri testi più facili in uso in altri istituti e diverbio in pubblico durante le accademie musicoletterarie. I futuri seminari. propugnatori del vero e demolitori del falso dal pulpito erano La filosofia era quella aristotelica, rivista da S.Tommaso ed quindi già allevati negli anni del liceo, nei quali eravamo imbevuti aggiornata contro i filosofi posteriori fino al 1900, perché doveva del convincimento di essere nella verità, mentre gli altri erano nella essere al servizio della teologia, sua sorella maggiore. falsità, lasciando nessun margine al dubbio: la verità si apprendeva , Dopo le prime lezioni me la cavai abbastanza bene in quel latino si proclamava, si difendeva. Come si doveva essere tutti d’un pezzo parlato, di cui ancora oggi mi suonano negli orecchi i quare, gli sulla strada della virtù, così si doveva essere tetragoni su quella itaque e non. della dottrina, al servizio della fede e della Chiesa. Questo Si cominciava dalla logica con il rompicapo dei sillogismi, seguivano meccanismo valeva non solo per la filosofia, ma anche per la la fisica, la metafisica e l’etica. Sul modello della Summa teologia e la morale: della prima ebbi solo un assaggio, la seconda la dell’Aquinate, la filosofia era svolta per tesi, partendo da uno status subodorai da quanto conoscevo di essa dalla biografia e dalle opere quaestionis in cui si enunciava il problema da trattare con un breve di S.Alfonso, proclamato dottore della Chiesa proprio per le sue excursus storico di affermazioni e negazioni sulla verità da opere sulla morale. dimostrare. Seguiva la dimostrazione della tesi e confutazione l primo anno di liceo –novembre 1942-­‐luglio ’43-­‐ pur nelle dell’antitesi a forza di sillogismi-­‐ quelli veri contro quelli falsi-­‐ per privazioni della guerra con scarso e cattivo cibo, scorse arrivare ad una conclusione ch’era l’enunciazione del quod erat relativamente sereno: ebbi modo di brillare nei risultati scolastici e demonstrandum. Il professore interveniva specialmente a livello nella esemplarità della condotta. Nel secondo liceo i primi dimostrazione , prendendo le parti della controtesi o viceversa preoccupanti segni del deperimento fisico con esaurimento nervoso 71


e di complicazioni psichiche fecero la loro apparizione. Riproponendo lo schema per me allora valido di anima e di corpo come entità distinte, dirò che primo a cedere fu il corpo, cui seguì l‘anima, considerata nella sua interazione con il corpo. Ma separando l’anima dal corpo, considerato come autonomo, potei odiarlo come fonte e causa del male perché a un certo punto coinvolgeva l’anima, che ora era la traditrice. Cosa mi restava allora se non il grido disperato di chi invoca soccorso, convinto che ci fosse qualcuno che potesse e volesse ascoltare quel grido? Era ancora l’epoca del Dio soccorritore; poi dopo tanti vani appelli sarà quella del Dio sordo, assente, crudele per arrivare a quella del Dio inesistente. Nel diario i primi sintomi della malattia sono annotati sotto il 2 settembre 1944 come stati di noia, sensazioni di vuoto, di dubbi, di vanità delle cose, di pessimismo. Ma consideravo tutto questo come una necessaria maturazione. L’esperienza del dolore era un arricchimento, dovuta all’età, ma anche allo studio. 23/3/1944 Fino all’età di 16/17 anni sono stato spensierato. Pochi forse, tenuto conto delle circostanze, come me. Il giorno seguente senza relazione col precedente, l’oggi senza relazione col domani. Ed anche l’intelletto ha mutato: da intempestivo e precipitoso a riflessivo e lento; ché, se ha perduto il primitivo impeto disordinato, ha acquistato una profondità che prima non aveva. La causa? studio della filosofia, risoluzione della crisi spirituale, l’età? Forse,

precisamente non saprei. Sono venuti i giorni del dolore ( guerra perduta), mi son guardato attorno ed ho visto che c’era tanto di fittizio, tanto di falso, tanta vernice. Ho provato cosa voglia dire avere una adolescenza tormentata e, per altre cause di cui non so rendermi ancora ragione, ho mutato sistema e quasi involontariamente son passato nello stadio riflessivo. 13/5/1944 Tutto è un dubbio: una cosa sola so: Gesù mi ama, Maria mi ama, io cerco e voglio far lo stesso; tutto al mondo è vano ed avvilente oltre di questo. Oh! bisogna gustare che la terra è cattiva, che siamo degli esiliati, che Satana umilia, per desiderare la morte e odiare tutto ciò che non è Gesù. Questo io l’ho sentito a 19 anni. 19/5/1944 La battaglia dello spirito è più terribile di quella degli uomini ( Rimbaud). L’organismo si sente spezzato sotto uno stato psicologico di scoramento, forse unico nel genere, per tutta la mia vita. Il cervello consumato dall’ossessione di centomila pensieri, che mi lasciano ultimi la sera e si svegliano i primi al mattino, è in uno stato tale d’insofferenza che non ha il vigore d’imporsi al dubbio volitivamente. In questi giorni per la prima volta ho sinceramente desiderato di morire, né il corpo o la giovinezza vi ha opposta alcuna resistenza: ho sentito l’imperfetto e come quaggiù è miseria e ne ho pregato Gesù e Maria che me ne liberino, collocandomi nel perfetto, che solo amore e luce ha per confine. Oh! la luce, sì, la luce ! vorrei 72


che in me tutto fosse luce, tutto fosse nitore! E desidero anch’io ai ove tende questo vagar mio breve. lombi un cingolo angelico, che mi assicuri di non offendere Gesù. Per l a p rima v olta s i a ffacciava l ’idea c he n on p otessi continuare La scrupolite acuta m’induceva a volermi confessare spesso per nella vita religiosa, che il sacerdozio non l’avrei raggiunto. Aspiravo qualsiasi inezia e mancanza anche del passato. Le ossessioni mi quindi alla felicità eterna con la morte. Al confronto tutto era portavano ad atteggiamenti che sapevo ridicoli e che pure subivo, misero e piccino, poesia compresa, questa mia unica dolcezza come lo scrupolo, camminando, di calpestare la croce sul terrena. Ormai avevo perso qualsiasi fiducia in me e, pur pavimento all’incrocio di due o tre mattonelle. Lo saltavo quindi, aggrappandomi a queste illusioni, ero già arrivato al punto cadendo però su un altro. Ridevo di me stesso, ma non riuscivo a dell’autoirrisione. venir fuori da queste ossessioni. 21/5/1944 Il guaio fu che per l’eccessivo indebolimento mi fu concesso di Alle volte la calma-­‐ certa calma che sa d’acquitrino-­‐ non è meno dormire più a lungo e di saltare ore di studio e di lezione. Il rimedio perfida della tempesta: è nelle lunghe bonacce che si covano le furie fu peggiore del male perché, lasciato così a me stesso, avevo più del domani. E forse più terribile ancora è la calma della stanchezza tempo di tormentarmi, non trovando sufficienti occupazioni e sfiduciata. Se nella lotta c’è la baldanza e l’impeto di resistere o distrazioni. Fui allora messo ai lavori manuali: scopare i corridoi, vincere e tutti i valori-­‐anche umani-­‐ sentono quasi la gioia di lavorare nell’orto, cercare di stancarmi e stordirmi con questi misurarsi, c’è una calma putrida, fiaccata, terribile, scettica, sulla esercizi fisici. Ma mentre le mani manovravano la scopa o la zappa, cui morta e gialliccia superficie aleggia lo spirito dell’irrisione di se il cervello macinava le sue idee fisse. Mi si dettero anche dei medesimo e dell’amara irrisione dell’uomo “finito”, che si ricostituenti e un po’ di cibo più abbondante. Ma erano palliativi compiacerebbe quasi di sentirsi inerte, di calare l’estreme mazzate per il deperimento fisico, ormai accoppiato all’esaurimento nervoso sul povero ferito. Alle volte l’asino di Buridano colora d’umorismo in fase galoppante. questa passività ed è la viltà di non sapere assistere a ciglio asciutto 19/5/1944 e tutto d’un pezzo alla caduta d’un albero che si credeva splendido e Forse la tempesta passerà e il Signore vorrà esser contento di quel florido. poco che ho sofferto per gli infiniti peccati che ho fatti; ad ogni Questa grave psicastenia sarebbe stata certo più facilmente modo sento sempre più dolce ripetere quella preghiera, sospirare superabile se non mi fossi trovato chiuso fra quattro mura e dalle malsane rive di Babilonia, siano pure ridenti, alla patria diletta, schiacciato da un pesante compito: la vita religiosa e la 73


preparazione al sacerdozio. Di tutti gli squilibri nei vari settori quello più grave fu nel campo sessuale. Trovandomi in piena eruzione degli impeti e stimoli della giovinezza, avrei avuto bisogno di sapere e potere padroneggiare il mio corpo e le sue esternazioni sessuali. Invece ogni senso andava alla deriva ed io vi assistevo impotente ed atterrito. L’incondizionata ed assoluta verginità che mi era imposta comprendeva tutta la gamma di pensieri, fantasie, desideri ed atti: bastava una faglia in uno di questi settori e tutto l’edificio crollava. La fantasia-­‐ la matta di casa-­‐ si sa, è libera ed i pensieri sind zollfrei. Freneticamente essa ed essi erano in eruzione e le forze fisiche e psichiche per controllarli mancavano. Avevo voglia di sbattere, anche fisicamente, la testa contro il muro, essi erano sessualmente ossessivi. Che io non fossi il solo a trovarmi in tale stato , potevo costatarlo sbirciando, anche involontariamente, alcuni compagni. Un mio vicino di banco nella cappella aveva assalti improvvisi che gli percorrevano come violenti scariche elettriche tutto il corpo: pallidissimo cercava di tenere la testa immobile, ma il resto sotto tremava e fremeva. Di un altro si disse a un certo momento che non poteva essere ammesso agli ordini minori e dovette aspettare un anno per pronunciare i voti perpetui, il che avveniva alla fine del liceo. Perché? Circonlocuzioni e accenni confusi a qualcosa di grave e cosa questa fosse non lo si sapeva. Poiché anch’io subii la stessa sorte, i compagni dovettero almanaccare chi sa che cosa senza capirci niente e restando nel limbo dei sospetti, benché un motivo

apparente ci fosse nell’esaurimento nervoso con conseguente interruzione degli studi.

26/5/1944 C’è un mostro in me stesso che debbo saziare; il mio cervello è un vulcano e sembra che non basti. Dovevo saziarlo quel mostro, non potevo fare diversamente, ero abulico. 30/5/1944

Oh! l’abulia! non sentirsi la forza di volere ciò che pur si capisce doversi volere; aver la testa come un caput mortuum che duole e fa peso soltanto a ciò che sale in confuso e quasi impercettibile dal fondo dell’anima quasi assopita; oh! che terribile cosa! Che dolorosa umanità.Tutto ci dice che quasi tutto è finito; l’intelligenza stessa limata e stanca ripugna di riflettere e illuminare per la pur tanto necessaria decisione: cosa resta se non quel moto del cuore che ci dice che noi siamo ancora figliuoli, che non ancora abbiamo abdicato al regno dell’amore? Che più instabile e più incerto e, d’altra parte, qual’àncora più sicura di questa? Ma anche da abulico mi dibattevo per restare a galla, sperando nell’aiuto divino, che intanto non veniva. 1/6/1944 Ho da tendere a Gesù per una strada di fango; ed io vorrei che fosse di luce; del resto, o Gesù, tu saprai mutarla e il desiderio unico del mio cuore di amarti e di essere fra quelli che ti seguono dovunque 74


vai con un cantico che non tutti possono cantare, tu saprai trovarlo anche in quelle lordure, anche lì riconoscerai il gemito dell’anima che ti vuole essere fedele a tutti i costi.

per due ore a gesti strani, incomposti, a suoni e muggiti da bestia, un far da matto tra il lucido e l’incosciente e, desiderando di essere come tutti gli altri, chiedevo: a che questo tarlo? chi ti gli fa andar e come scappatoia a questa condizione -­‐Amleto! si ride e si Il 26/5/1944 citavo due versi di Baudelaire: dietro? e si tormenta-­‐ avevo ancora la forza di ripetere Grazie, Soyez béni, mon Dieu, qui donnez la souffrance compassiona comme un divin rémède à nos impuretés. o G esù, grazie: fiat. Quanti erano al corrente di questo mio stato? Per l’esaurimento La mia sofferenza era la mia impurità, che mi faceva iscrivere fra le nervoso e alcune sue conseguenze tutti, per quelle più acute e vittime del Satanismo, anche se tentavo disperatamente di far segrete alcuni superiori, che corsero ai ripari, come vedremo. Per la vincere in me l’Angelismo. Mentre sul piano concettuale mi servivo crisi spirituale e le sue ripercussioni anche sul fisico solo il di questa dicotomia, su quello reale costatavo che mi stavo confessore, padre Capone. Costui era un po’ più preparato degli avviando al manicomio. altri a comprendere certi fenomni paranormali e disposto ad 22/5/1944 ammettere la mia incolpevolezza. L’ossessione sessuale era dovuta anche all’insistenza subìta ed accettata di negare qualsiasi curiosità La pazzia in questi giorni mi ha sfiorato: gesti strani e dubbi e rapporto con il mio corpo in pieno sviluppo. C’era una santa susseguentisi secondo lo scrupolo e il pensiero. Eppure facendoli barbara lì sotto e il modo migliore per non farla scoppiare sorridevo di me stesso, comprendendo benissimo a che meta mi consisteva nell’ignorarne l’esistenza, sepolta com’era sotto strati avviavo. Intanto il fisico limato non ha la forza d’imporsi molteplici di proibizioni, consigli e pratiche. Ma, ciò nonostante, il volitivamente ed assiste spaventato, come la figura tetra a destra, sesso esisteva e si faceva sentire ora con violenza. tra i vizi capitali, nel Giudizio michelangiolesco, a questo successivo e lento, ma fatale, avvio al manicomio. 3/6/1944 Per evitare il manicomio pregavo Dio che mi concedesse la grazia Fenomeno strano!: odio il male e sento per esso un’attrattiva della morte, al più presto, per andare in Paradiso, dove tutto era luce e candore. fredda; non ci vedo nessuna utilità, nessuna ragione della rottura del mio amore a Gesù, eppure ho quasi l’ossessione del frutto Nelle lunghe giornate senza studio e serie occupazioni che mi proibito. Sarà lo scrupolo o il timore stesso del male che produce distraessero un po’, nel vuoto dentro e attorno a me provavo odio, questa specie di sdoppiamento tra ragione, volontà, affettività e odio del mondo, delle sue vuotaggini, odio di me stesso in preda 75


questa, diciamo così, fissazione del male?...... E’ lì un disegno stupido di donna stupida ( romanzo del Bazin): a che questa ossessione di baciarla?.... Cammino per una via di fango, di pensieri e desideri di fango.

pregare e scongiurare santi e madonne, il moto mi trascinava meccanicamente alla eiaculazione, di cui godevo in pieno il flusso pur maledicendolo. Bagnato e svergognato cercavo la prima occasione per andare a gabinetto ad asciugarmi e ripulirmi. Tra l’altro mi chiedevo cosa dovessero pensare le lavandaie avendo tra Pensavo che fossero i nervi sconvolti dall’esaurimento nervoso a le mani quegli indumenti intrisi di sperma. Esse erano della famiglia tradirmi, il che era in gran parte vero. Padre Capone, nello sforzo di di un converso e abitavano a pochi metri dal collegio in una casetta. comprendere ed aiutarmi, giunse a citarmi casi contemplati nei Due ragazze nubili ne facevano parte che intravedevo talvolta trattati di morale, come la polluzione involontaria causata dai passando. Pur abbassando modestamente gli occhi come prescritto, movimenti ritmici di una cavalcatura che assecondavano l’erezione non potevo fare a meno d’ immaginarmele mentre manipolavano e che portavano alla eiaculazione. Per mettere riparo anche alla quelle mutande e camicie sporche sul lavatoio di legno, curiosità che interveniva nelle mie fissazioni erotiche giunse perfino strofinandole e sbattendole come richiedeva la tecnica del lavaggio, ad interrompere una mia confessione, mandandomi nel gabinetto a prima di appenderle al sole per asciugare. Accanto alle stesse sollevare il vestito ed estrarre il pene per guardarlo. La vista del ragazze passavo dovendo raggiungere, per le funzioni religiose nemico poteva, secondo lui, sfatarne l’attrattiva e ricondurmi sul solenni e in particolari occasioni come le cerimonie della settimana sentiero della normalità e moralità. Eseguii il consiglio, andando a santa, dalla sacrestia l’altare oppure ero a qualche metro da esse sbracarmi ed a esaminare la mia zona pubica ed il pene. Quindi, non so quanto rassicurato, tornai vergognoso dal confessore. inginocchiato con gli altri studenti sul lato destro della chiesa, mentre al pubblico era riservato il lato sinistro. La loro presenza Le polluzioni notturne e diurne erano all’ordine del giorno e fomentava i movimenti di autopolluzione? Forse, ma non ne ero m’indebolivano notevolmente, peggiorando l’esaurimento nervoso. cosciente. Se mi mancava una cavalcatura per giustificare le mie sbandate, il Per ora il sesso prescindeva dalla presenza femminile. Ma anche mio corpo più che a portata di mano era là per sostituirla. Anche quando in seguito essa l’accompagnò, fosse pure soltanto in inginocchiato a pregare in chiesa e nella cappella durante la fantasie, o più concretamente fu sesso e doviziosamente anche meditazione e le funzioni liturgiche, man mno che il pene amore, mi rimase quella ripugnanza per lo sperma. E che si s’inturgidiva, il corpo che non riuscivo a controllare cominciava ad trattasse di polluzioni notturne spontanee o di eiaculazioni coitali, ondulare avanti e indietro fomentando l’erezione. Avevo bello a mi vergognai sempre di esserne la sorgente. Non so cosa 76


pensassero le mie partners al riguardo e se condividessero questa incensurabili. Ma ero malato e non controllavo più i movimenti del mia avversione. Probabilmente no o solo in parte. Anzi ci fu una che mio corpo. Sfiduciato e stanco mi sentivo colpevole. mi lasciava sborrare tra le mammelle, intridendosi poi con le mani il 5/6/1944 petto e non lavandosi neanche dopo per conservare, come diceva, il Sono stanco: un paio di giorni fa ho avuto un momento di sollievo e profumo di me attraverso lo sperma. Miserie e grandezze della vita di volizione, ero tornato quel di prima con le antiche voglie, con amorosa, ma anche dolcezze animalesche se penso alle fellazioni quell’antica volontà, che poteva quando voleva. Fu velleità d’una golosissime di un’altra, che non si limitava a sentire il pene in bocca serata. Ieri da capo: mattinata nervi in moto: delle ore più tremende e in gola come qualcosa di carezzevole e masticabile, ma ingoiava al che abbia passate in vita mia. Oggi sono stanco: non so perché. Mi colmo del piacere anche lo sperma di cui era famelica.Che il sesso e disgusta tutto, fuorché il letto e le chiacchiere. Non mi riconosco l’amore non consistano proprio nell’eiaculazione a dimostrarlo più, non sono più quello di prima, mi si è sfiorato quel che prima mi basta guardare l’accoppiamento di molti animali, anseridi per sorrideva, nè ciò, a cui adesso inclino, mi sorride; soltanto mi esempio. sembra qualcosa di distrattivo, un mezzo termine di passaggio, Gli svassi e i cigni si dedicano per quasi un’ora a svolgere nel insomma. La volontà? povera volontà mia: diventa sempre più corteggiamento una danza rituale, fatta di mosse omologhe, inchini, stupida, più fiacca, più fannullona. C’è vita e vita: c’è l’attività del intrecci dei colli, finte ricerche del cibo calando testa e corpo bene e c’è quella del male; questa dell’ora presente è l’attività della sott’acqua e pulizia individuale e reciproca delle penne. Quando il noia, l’immobilità fissa dell’incosciente e del pigro. cerimoniale sembra aver convinto i partners a compiere il coito, il Con tutti i mezzi a mia disposizione – se di essi si può ancora maschio monta per qualche secondo la femmina e poi l’uno a fianco parlare-­‐ cercavo di capire quale fosse la sorgente di tutto ciò. dell’altra passano ancora molto tempo a lavarsi e pulirsi, come se La sorgente? è un mistero. E come distinguerla se, mentre una parte l’atto sessuale li avesse insudiciati. di me stesso chiama vermi e odia tutto ciò che è del tempo, l’altra La sollecitazione del pene allora era per me raramente dovuta a ne sente un desiderio freddo, languido, di una ripulsione, che, pur fantasie e rappresentazioni della vulva, che avevo intravista rabbrividendo e maledicendo, sembra tuttavia accostarsi , nell’infanzia e poi subito dimenticata, quanto ad una pressione accostarsi sempre al gorgo? delle ghiandole seminali, particolarmente attive a quell’età e per E’ inutile: sembro un automa e l’unico scampo capisco e voglio che me incontrollabile. Fossi stato sano, tutto si sarebbe svolto secondo sia la preghiera. Gli Ideali più belli e più assoluti della mia vita un decorso naturale con polluzioni involontarie, moralmente 77


discussi con la freddezza quasi di un disinteressato: è orribile, è soggiorno ricordo solo la bianca apparizione a refettorio dell’abate orribile! di Montecassino, ospite per varie settimane del collegio, e l’insalata Abbiate pietà di me, voi tutti che mi amate in cielo o in terra. E’ di arance a fette, con olio e limone ), come non lo fece a Pompei la orribile, io divento pazzo, io mi rovino, io conosco di rovinarmi e non Madonna del rosario, sotto la cui icona servivo la messa nella so come rimediarvi. Scrivo le mie repulse al male sui muri, gesticolo basilica, né lo fece uno psichiatra dell’università di Napoli, che mi pazzamente, mi dimeno come una bestia, parlo sconnessamente, prescrisse delle iniezioni a base di oro come ricostituente, essendo penso come una girandola e, se tento distrarmi nel chiasso, vi porto le sue consultazioni servite solo a distrarmi temporaneamente con tutto lo squilibrio d’un interno in eruzione. E’ orribile, è orribile, io qualche conversazione su Aristotele e i sillogismi. non riconosco più me stesso, aiutatemi, aiutatemi, aiutatemi, una La mia presenza fra religiosi anziani dovette essere considerata una strada, un buco, un’uscita, è orribile. strana eccezione. Lontano dagli studi e dai compagni i contatti Ma chi doveva aiutarmi era sordo, era assente, era-­‐ anche se non lo puramente formali con questi anziani non furono certo la migliore pensavo-­‐ crudele. medicina, mancando anche quel po’ di distrazione che i compagni e La dissociazione tra intelletto e volontà aveva raggiunto anche il gli studi pur saltuari mi davano. Già, lo studio. Era stata la molla più corpo con la dissociazione delle varie parti di esso, di cui non efficace che mi aveva sostenuto e fatto balzare avanti e in alto sin controllavo più i movimenti. Dovendo una volta spostare non so per dall’inizio. Scomparso De Concilio al principio del primo liceo, quale motivo un grande vaso, me lo lasciai sfuggire di mano e detenevo il primato assoluto e, pur saltando gli esami di passaggio cadere al suolo dove si ruppe in cento pezzi. Normalmente anche al terzo liceo e poi quelli finali, considerati i successi fuor del per tali piccoli infortuni e disattenzioni si era puniti. Nel mio caso, comune degli anni e mesi precedenti, non potei fare a meno di però, il superiore si limitò a costatare il fatto, neanche costatare con una certa invidia che il mio posto cominciava ad rimproverandomi. Tutti sapevano che a causa dell’esaurimento esser preso da un altro, un compagno dal forte fisico di fisico non potevo essere ritenuto responsabile di quel che facevo. contadinotto che si stava affermando con voti di tutto rispetto che La primavera del 1944 segna l’inizio dell’interruzione di quasi un mi mettevano un po’ in ombra, mancando ora i miei a fargli anno del diario e delle poesie. Volontaria o imposta? Forse le due. I concorrenza. Cosa mi restava? Dormire, morire, riposare, dormire, superiori cercarono di aiutarmi mandandomi per un mesetto nel morire, riposare !, dove il riposare dopo il morire aveva un senso collegio di Pagani e in quello di Pompei. Ma le ossa del corpo ben diverso da quello che ci si sarebbe aspettato: si trattava, cioè, imbalsamato del santo fondatore non fecero il miracolo ( del del riposo eterno. 78


29/9/1945

pensier d’offerta e muori:

Ore terribili. Sensazione della colpa e del tradimento: tragedia della mia vita. Ed anche se insistevo nel voler credere alla possibilità di salvarmi –In spem contra spem-­‐, chiedendo Signore, se sei tu, comanda che io venga a te sulle acque, quattro giorni dopo (12/10/ 1945 ) notavo Ore dolorosissime, ore tragicissime-­‐Così si muore-­‐ nessuna luce, mio Dio-­‐ mio Dio , il che era una costatazione e non più una preghiera. Ma questa tornava , era un’àncora cui tentavo ancora di aggrapparmi e citavo Guido Gezelle nella versione italiana:

fuor della vita è il termine

Tu mi conosci, Signore, nel tuo servo non confidare: se non lo sorvegli, fugge adescato da altro: una bestia dorata sarà il suo dio. E citavo l’ Imitazione di Cristo: Da totum pro toto: nil exquire, nil repete: sta pure et inhaesitanter in me et habebis me. Eris liber in corde et tenebrae non conculcabunt te. Tunc deficient omnes vanae phantasiae . E citavo il coro di Ermengarda nel Manzoni: Sgombra, gentil, dall’ansia mente i terrestri ardori, leva all’Eterno un candido

del lungo tuo patir. E citavo Pascal, di cui in quei mesi leggevo i Pensieri: Tutte le creature o l’affligono-­‐l’uomo-­‐ o lo tentano e dominano su di lui o sottomettendolo con la loro forza o affascinandolo con le loro dolcezze, ciò che è ancora un dominio più terribile e più imperioso. Oppure: Chi crede che il bene dell’uomo stia nella carne, il male in ciò che ne allontana, se ne satolli e muoia. Ma erano le litanie del condannato che si avviava alla fine, cullandosi e ingannandosi in detti scontati e inefficaci, per concludere lapidariamente-­‐ e fu l’epigrafe posta sulla tomba dei miei ideali-­‐ La vita tradita tradisce. Ma chi aveva tradito chi o cosa? Il corpo aveva tradito l’anima infangandola; la psiche aveva tradito il corpo riducendolo a uno scheletro ambulante; io avevo tradito la mia vocazione venendo meno al voto di castità; la Congregazione aveva tradito la mia giovinezza irretita in doveri fuori e contro le leggi naturali del suo sviluppo; e tutto questo quasi meccanicamente senza che qualcuno o qualcosa volesse veramente tradire? Implicito in questa serie di tradimenti, anche se allora non osavo pensarlo, era stato un Dio sordo ed assente, che dopo avermi 79


chiamato – così dicevano gli altri e finii per convincermene anch’io-­‐ cedimenti-­‐ al piacere sottometteva alla riserva di un futuro e imposto delle leggi, mi aveva rifiutato l’aiuto nel momento in cui matrimonio, dovette a conclusione di un amore tradito e di un più ne avevo bisogno e quando più ferventemente l’invocavo per matrimonio andato in fumo citare Shakespeare Andai per poterle adempiere. La grazia data mi era stata ritirata. Il ritiro per imbrogliare e sono rimasta imbrogliata, si moveva su un piano volere imperscrutabile era sentenza di ripudio, sentenza di morte. puramente umano, dando alla passione una dimensione episodica, Dunque un Dio crudele e crudeltà gratuita, come quella della lontana mille miglia, almeno per quanto la riguardava, dalla Congregazione, che, dopo avermi dato per dieci anni formazione e tragedia. speranze, mi metteva alla porta malato, senza mezzi e senza titoli di Ma torniamo agli ultimi mesi in collegio. studio, senza un avvenire. Ed anche questo in buona fede, Le compulsioni sono una delle fasi più gravi della psicastenia. Ne ubbidendo alla prassi corrente, senza particolare accanimento, con avevo potuto finora costatare varie. Ma finché esse rientravano buona coscienza di aver dato al caso Grassi l’unica soluzione nella fenomelogia della malattia intaccando la salute, ma non la imposta e ragionevole. morale, preoccupavano, ma non facevano disperare me, il Se tutti erano innocenti e in buona fde, se tutti erano giusti-­‐ Dio confessore e i superiori. Ora avvenne che nell’estate del 1945 esse compreso-­‐, l’unico ingiusto ero io, l’unico traditore ero io e dovevo si estesero a tutti i movimenti del mio corpo, coinvolgendo le zone sopravvivere, se ci riuscivo, vivendo intanto questo cupo e gli organi sessuali, oggetto particolarmente sensibile della morale sentimento di traditore e poi, caso mai e chi sa con quali mezzi, cattolica, nonché della vita religiosa. superandolo. La mattina, lavandomi appena alzato, il corpo cominciava a Riflettendo e analizzando casi un po’ simili, devo senz’altro tendersi, a d a ndare a vanti e indietro accompagnando l’erezione e prescindere dal rifarmi a una situazione cornélienne di conflitto tra portandola all’eiaculazione. Più grave ancora, poco dopo anche le sentimento e dovere, dove si è ancora su un piano puramente mani non riuscivano a star ferme e scendevano verso le parti basse, umano, e pensare invece a una tragedia di tipo eschileo con coadiuvando sotto al vestito l’ingrossamento del pene e conflitto tra iubris -­‐disordine a dismisura-­‐ e dike – ordine e giustizia-­‐ l’eiaculazione. Il confessore, pur condannando queste compulsioni, dove la lotta si svolge nell’uomo, collocato però nella sfera di forze le ritenne ancora perdonabili e mi assolse. Io però se non riuscivo a soprannaturali, perché Dike è figlia di Zeus e la libertà dell’uomo è raggiungerlo subito e a confessarmi, mi ritenevo colpevole e mi solo quella di sottomettersi ed inserirsi nell’ordine divino. astenevo d al f are l a c omunione. Q uesta r ipetuta astensione fu Quando più tardi una donna libertina, che i suoi cedimenti – e che naturalmente notata da compagni e superiori, destando e 80


incrementando i loro sospetti. Ma sapevano che ero malato ed il suo essere cupo; anche l’astensione dalla comunione ricadeva nelle conseguenze ansima al fiuto della malattia. de la viscida preda che scende, Nell’estate del 1945 durante il passaggio per Pagani per recarci a Lettere successe che la compulsione riguardò direttamente gli che scende: ho paura. organi sessuali: afferrai con la mano il pene e, dimenandolo Lassù son le stelle, furiosamente, lo portai allo sborramento. Corsi a confessarmi, pupille innocenti sul male padre Capone non c’era, dovetti quindi confessarmi da un altro, il padre De Feo. Costui era un religioso all’antica, tutto d’un pezzo, del mondo. noto per la sua campagna di diffusione del culto del Sacro Cuore. La Ruinando saluto sua morale, che ignorava studi di psicologia e patologia, gli dettò il cielo, il mio cielo, subito un verdetto inequivocabile: ero colpevole di peccato mortale, non poteva assolvermi, non garantendo io la non forse mio non più ripetizione del delitto, e non potevo accostarmi ai sacramenti. Amarti, Gesù, A Lettere alcuni giorni dopo riuscii finalmente a confessarmi dal mistero terribile! padre Capone, che condannò il gesto, ma non infierì, conoscendo il mio stato precedente. Ed o ra h o p aura, Una poesia di quei giorni -­‐18/8/1945-­‐, pur nei giri di ritmi noti, sentendo nel canapo teso a la riva riesce di tanto in tanto a romperli e presenta una nuova sfilarsi le trame consunte. immediatezza, nella quale si riflette l’acuta disperazione che mi attanagliava. Eccone alcuni brani: Ed ora ho paura: Precipitar perduto

di me, de le cose

per rosi canali

tutte. E la triste sorella

al buio fondo che geme e strabatta

che un giorno invocavo fidente 81


a svellere il fiore mio breve,

Mi monta alla gola il groppo del pianto

or ghigna a l’agguato,

di fango. Amarti...

l’ora notturna seguendo e l’incerto viandante

non posso...

da cogliere al passo e distenderlo

atomo

colpevole al suolo

sul lito infinito

eterno, eternamente tenebra.

che contamina...

Fin dove, fin dove?

Le compulsioni che mi portavano in modo automatico all’eccitazione del pene coninuarono con vario ritmo nei mesi seguenti. La salute peggiorava ogni giorno, l’impossibilità di riprendermi mi aveva ridotto ad assistere durante l’autunno del 1945 e l’inverno del 1946 solo alle lezioni del primo anno del quadriennio di teologia. Disperavo in un miglioramento. Le stesse misure prese nei miei confronti col non ammettermi ai voti perpetui e agli ordini minori cominciavano a farmi capire che ormai, più che una pecora zoppa, ero una pecora condannata. Se quindi era impossibile guarire e riprendere gli studi, a che pro continuare in quella finzione di aspirante mancato? Crollati tutti i miei sogni, cosa mi restava? Tentare di salvare il salvabile, cioè la pelle. E come, se questa era già gravemente compromessa? Mi convinsi che l’unica possibilità era rompere quel circolo infernale, uscendo da quella ch’era ormai solo una prigione . Ma il transfuga sarebbe stato un traditore, compiendo quel passo decisivo, l’ultimo sulla strada del tradimento. Se fossi però restato in collegio, avrei fatta la fine del topo, un topo lercio e colpevole. Fuori della prigione invece, fuori

Ha fondo mai il calice putrido del male? Non posso, non voglio il male, che uccide, che illude, viscido fantasma d’una realtà in fermento , che languido accenna e assale imperiosamente come una necessità. Amarti, Gesù, mistero terribile! Non posso!

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della trappola avrei potuto non solo salvare la salute del corpo, ma Nel diario noto: 3/4/1946 anche quella dell’anima, continuando da buon cristiano a praticare A sera giunge Celestino da Morra. Incerto sino all’ultimo momento; e predicare gli stessi ideali, cui venivo meno ogni giorno in collegio. dopo un abboccamento del P. Capone e del P. Rettore tutto è deciso. Lottando fra il sì ed il no, arrivai ai primi di aprile 1946 . Poco alla Ore di angosciosa incertezza. Un senso di stupore e di incertezza, volta anche il confessore, padre Capone, si era convinto che per me come di chi attende una risposta dalla vita, risposta che ignora. non c’era rimedio e ch’era meglio che abbandonassi la vita religiosa. 4/4/1946 Come ultimo conforto asserì perfino che la dimostrata incapacità ad osservare la castità era la prova evidente che non avevo la Alla mattina presto si parte. A piedi sino a Benevento, poi autobus vocazione: andando via non tradivo la vocazione, che non avevo sino ad Avellino, quindi da Olga, poi a Morra. Prime dolorose mai avuta. Era un tranquillante propinato al malato con o senza constatazioni: la vita per me non sarà una commedia; una tragedia, convinzione? Chi lo sa, forse con mezza convinzione, essendo anche forse. Son pronto a tutto affrontare: la vita si conquista, si redime, si lui confrontato per la prima volta con un caso strano di colpevole-­‐ fa. La vita si vive, purtroppo forse così com’è. non colpevole, che non si sentiva di poter facilmente condannare. Non e ra c erto in quei giorni che avrei potuto fare un bilancio dei Che il mio caso gli causasse un malessere non solo di teoria morale, dieci anni passati in collegio. Mi mancava la distanza necessaria per potei costatarlo qualche anno dopo, incontrandolo per caso nella metter tutto nella giusta prospettiva. biblioteca nazionale di Napoli: mi precipitai a salutarlo, dicendogli Com’era da aspettarsi, ero tutto ancora imbevuto dei principi e che non c’era luogo più indicato di quello per incontrarci – pensavo pratiche di quel decennio. Scrissi una lettera ai superiori e ai al mio professore di filosofia-­‐ e lui seminterdetto-­‐ pensava a me compagni in cui promettevo di continuare da laico ad osservare come confessante-­‐ ribatté, chiedendomi come stessi e se volessi quanto mi era stato inculcato, a farmene anzi apostolo anche nei ancora bene alla Madonna, licenziandomi quindi con imbarazzo. panni secolari. Non avrei certo potuto con quell’incontro mettere a rischio la sua Quel che seguì fu una tragedia e una commedia e durò circa tre virtù; ne misi però a rischio la serenità, dimostrando che me l’ero anni: tanti ce ne vollero per scrostarmi di dosso la decennale cavata, come dimostravo, bene. Colpevole, allora, io, incolpevole, diseducazione sentimentale e riacquistare, non dico una giovinezza mezzo colpevole, se anche lui aveva tentato di scacciare il che non avevo avuta o l’avevo avuta deformata, ma una certa rincrescioso ricordo di me? normalità che, come si vedrà, sarà sempre relativa perché gli anni di collegio mi avevano segnato a fuoco per tutta la vita e le cicatrici 83


sono per me evidenti anche se ho tentato per più di sessanta anni sorella, ch’era venuta ad aspettarci al capolinea dell’autobus. Dopo di nasconderle, di mascherarle-­‐ ogni volta trasalendo nel rivederle-­‐, il pranzo da lei proseguimmo per Morra dove mi aspettava il resto di smussarle e ciò nonostante di sentirle sempre presenti sotto della famiglia. mutate forme. A prescindere da altre partenze-­‐separazioni precedenti e Come il profugo incontrato in portineria nel 1944 anch’io tornavo successive, non sempre così amare pur se cariche di interrogtivi ed da una guerra perduta, vestito di una canadese giallina, con una incertezze, quella fu la prima partenza-­‐fuga della mia vita, cui mappatella in cui avevo messo dei quaderni, più una grammatica sarebbero seguite almeno altre due: dominato da immensa tedesca, che avevo acquistata agli inizi della guerra, e un Nuovo amarezza di profugo che scappa insalutato ospite da un mondo testamento in edizione tascabile dell’epoca di Ciorani. d’incomprensione che mi rigetta, ubbidendo a leggi e calcoli che Mio fratello era arrivato la sera del 3. Cenammo insieme in non sono i miei, sarò combattuto fra rimpianto e senso di foresteria, in cui lui passò la notte. Io risalii in cella dove trovai su liberazione, affrontando una nuova fase della mia vita, per la quale, una sedia il nuovo travestimento, cioè la canadese e una cambiata e nonostante tutto, la fase precedente mi ha rinforzate le ossa. E per terra un paio di scarpe, residuato bellico come la canadese. La nulla sarà stato inutile. mattina seguente fui svegliato presto. Mi lavai la faccia, versando in Morra e Catanzaro, aprile 1946/ novembre 1948 un catino da una brocca per l’ultima volta l’acqua, sulla sedia lasciai la sottana con cintura e rosario, rifeci il letto, passai in rapida Ripensando al triennio 1944/1946, retto dall’insorgere del sesso, rassegna il tavolino e alcuni libri su di esso, quindi con il pianto in sarei tentato di caratterizzarlo come il dominio del pene solitario, gola dissi addio a quel mondo che per tanti anni era stato il mio. confrontato con l’urgenza prorompente del seme e col piacere-­‐ Quindi a passi ovattati scesi per una scala secondaria ch’era a pochi sofferenza dell’eiaculazione. metri dalla cella e a pianterreno trovai mio fratello anche lui pronto Una volta uscito dal collegio, quell’organo è alla ricerca del natural per partire. Fummo congedati da un frate laico che ci aprì il portone vasello ad esso complementare, in cui soddisfarsi soddisfacendolo. e a piedi affrontammo la discesa verso Benevento, diretti poi ad La donna comincia ad essere a portata di mano come realtà fisica, Avellino. tentata e sperimentata per la prima volta, anche se nel postribolo, e Macilento, con il cranio rasato e occhi, orecchi, naso e bocca in come realtà sentimentale, sognata ed analizzata con l’ingenuità e le evidenza nella magrezza scheletrica, con braccia e gambe che complicatezze del nevrotico solitario. L’amore è oggetto di casistica, ballavano sotto la stoffetta del sommario vestito, spaventai mia 84


più che altro astratta, di chi nell’assenza dell’esperienza farnetica in e dai primi nuovi incontri. Questi però scalfivano solo il blocco base al pungolo nutrito di solitudine e letteratura. petroso in cui mi ero ridotto cantando l’onnipresente e Il diario e le poesie di quell’epoca offrono una ricca irraggiungibile donna , o piuttosto femmina, in visioni lerce o documentazione del passaggio fra mille difficoltà dalla solitudine diaboliche . Ricorrenti le deformazioni, costanti le ingenuità di del pene al suo congiungimento con la vulva. pensiero e sentimenti, ma anche di condotta. Seguirà un terzo periodo, quello del pene padrone e schiavo della Falliti i ridicoli tentativi di venire a contatto con il mondo letterario vulva, con molteplici esperienze in cui il mondo del sesso sarà attraverso la poesia, mi crogiuolavo nel pessimismo e nel sperimentato in tutta la sua latitudine, con alti e bassi, conquiste, satanismo, con passaggio graduale dai resti di una religiosità ripulse e tradimenti. La messe tanto ricca sarà mietuta con appiccicosa a una irreligiosità pubertale e a un ateismo senza molto disinvoltura ed amarezza, senza rendersi ben conto in quali sabbie fondamento filosofico, ma con profonda reattività psicologica: fra mobili ci si sta muovendo, essendo quello dell’amore un campo me e Dio c’era un conto personale da regolare. minato che porterà alle più profonde scoperte e gioie intense, ma Come prima, la natura restava tema, se non di elezione, di più anche a violazioni di giardini intatti, devastati ed abbandonati. sincera riuscita. Il quarto periodo sarà quello dell’insufficienza-­‐scomparsa del pene A Morra, verso il basso del paese nella contrada Sant’Antuono un e della ipotiposi della vulva, cifra ultima della donna, assente in sentiero dalla famosa quercia secolare biforcandosi portava per un quanto partner, ma onnipresente in quanto fantasma, ricordo e viottolo sulla sinistra dei vigneti Zuccardi a scoscendimenti di boschi sogno. precipiti sulla valle dell’Isca e sulla destra degli stessi vigneti si Lasciando per ora da parte il diario, cominciamo dalle poesie, quelle congiungeva con la carrozzabile all’altezza del cancello di don della seconda parte di L’angelo e il bruto e che vanno dal 13/4/1946 Emidio. Qui si era sul lato sud del paese e si poteva, sempre fra al maggio del 1947, tra Morra e Catanzaro. vigneti, giungere alla fontana della Pescara, che sgorgava nel folto Uscito dalla prigione deformante del collegio mi ritrovavo rinchiuso di arbusti e quercioli. in una nuova gabbia, tra le cui sbarre allungavo le braccia , cercando Vestito alla buona nella quasi divisa di canapa dell’esercito e subendo rapporti di diversa, ma altrettanto deformata natura. In canadese, macilento e con le occhiaie delle ultime settimane di feroce solitudine studiavo con accanimento il mio ombelico, collegio, con i capelli cortissimi che mi davano l’aria di un caruso facendone il centro del mondo. La poesia mi visitava con una certa malcresciuto, dopo sporadici contatti con la gioventù locale, frequenza e con nuovi temi, attinti dall’ambiente che mi circondava incuriosita per il nuovo arrivato quella maschile e un po’ 85


imbarazzata, anche se non scostante, quella femminile, specie qualche ragazza più matura e di pronunciata bellezza, rientrata come me in paese dopo dolorosissime esperienze della guerra e che cercava in qualche incontro discreto con un promettente giovanotto locale di tacitare i suoi bisogni amorosi, prestando anche attenzione ai miei discorsi in occasionali incontri a tre, preferivo inoltrarmi da solo per quei viottoli e sentieri, restando ore intere a contemplare la primavera, nei cui effluvi tutti i dintorni bagnavano. Il cuculo lanciava a tratti le sue monotone note ed io immoto, seguendone la direzione, tentavo di scoprirlo su qualche ramo di quercia o di castagno:

Ma anche in paese, seduto sugli scalini di casa, mi sentivo immerso nell’abbandono della sera che s’inoltrava tra casupole e palazzi fra cui sfrecciavano i rondoni: Si placa tutto il giorno ne la sera siccome un ebro di malinconia. Quanta pace! e mi sembra una preghiera che da le fervide opre il core invia. Dondolan le campane una giulìa aria di chiesa a l’anima che spera,

.............ad altri

dietro un volo di rondini s’avvia

trillare a lungo fra tremule fronde.

folleggiante mia triste primavera.

Tu sul ramo gemmato a pena lanci

Vita, che sei? la paurosa voce

la monotona voce di speranza

tua mi risponde; ond’io la temo e sento

ché primavera palpita nel tuo

le tue grandi acque e il ghigno tuo feroce.

cu cu come mi palpita nel cuore monotono la vita. Accende il sole

Onde l’oblio ne imploro e lo sgomento vario compongo ne l’estrema foce

le lucide fogliette appena nate

de l’infinito navigar, ch’io tento. ( Abbandono)

e reca il vento dai maggesi in fiore

La tragedia che aveva spezzato il corso della mia vita non era riuscita a spezzare il filo della tradizione letteraria, che legava le prime poesie del naufrago riemerso alle ultime del naufrago

campestri ebbrezze: io mi riveggo intanto còrre fanciullo asparagi e viole.

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sommerso. Erano passati solo dieci giorni! La letteratura oltre e al di sopra della vita? Forse. Sotto la forma permanente i contenuti, però, cambiavano, anche se nella prosa del diario come nelle poesie dominava quello della solitudine. Fisicamente cominciavo a ristabilirmi. Uscito dal cerchio infernale della problematica del sesso in collegio, nel nuovo ambiente mi trovai confrontato con le difficoltà concrete che non mi lasciavano troppo tempo di occuparmi solo di me stesso e, se mai, dovevo occuparmene diversamente. Respiravo un’aria più salubre in tutti i sensi e, man mano che il corpo si rinvigoriva, le ossessioni declinavano. La masturbazione non era più la caduta obbligata di un corpo indebolito e di una psiche deformata. Certo, il percorso era accidentato e lungo, ma non c’erano più meccanismi automatici. Non era più la religiosità residua ad impedirlo, ma la costrizione naturale di dover superare le nuove e numerose difficoltà, più concrete di tutti gli sbarramenti di precetti irrealizzabili. Non erano più Cristo e Maria a impormi le loro leggi, ma la famiglia povera, cui non potevo esser di peso, e l’ambiente avvilente della vita paesana, dal quale dovevo e volevo uscire a tutti i costi per continuare gli studi. Qui dovevo cominciare da zero, dare cioè gli esami di licenza ginnasiale e liceale per accedere all’università. E come farlo senza una lira? Alla primavera successe l’estate e con l’estate mi si affacciò una prima possibilità. Anche se in poesia cantavo l’ansia, ben diversa era quella della realtà:

Qui siedo. E s’agitano sul capo pensoso pel libero cielo cumuli e nembi tra laghi d’azzurro vivace, che varia e confonde la mobilità delle sponde. Sgomento d’un’ansia segreta canta tra selve il vento, anima innumere in cerca d’innumerevoli suoni per chine macchie. Terra d’Irpinia selvaggia e chiusa, qualche ombra bianca e nera colora le gialle tue stoppie a dune di grano, lontano. ........ Da presso la rondinella si tuffa cantando nel baratro d’uno scoscendimento e l’esili anime tremano dei pioppi a valle. Un poggio 87


mi nasconde le case e gli amori

per sollievo al vento...

e le ire dei piccoli uomini.

e si guarda

Qui seggo. Solo. Un’ansia m’assale

al grande cielo che incombe,

nel canto che freme inespresso

possente come un iddio,

per la mia natura selvaggia

sul capo, fantastico mare

ch’erra per gli aridi campi

che il mio sogno assale

de la vita, spigolatrice canora

e la mia voce

sotto l’atroce canicola.

come da presso un grillo

Cantano uccelli sornioni e getti

bruniccio e rosso

improvvisi di risa schiette

tra l’erbe al canto perpetuo trema

fanno l’anima trasalire:

perdutamente. ( Ansia)

sussulto di mobili gole vibranti

Nell’autunno del 1946 passai da Morra a Catanzaro nella casa di uno zio professore mio benefattore, che al racconto dei miei successi scolastici, più che delle mie disavventure, in collegio si convinse che doveva aiutarmi, pensando di potermi procurare un piccolo impiego amministrativo nella scuola diretta dalla moglie e che poi si rivelò irrealizzabile. In Calabria mi trovai a vivere a contatto diretto con donne:

sul frinire perpetuo de le cicale. Vent’anni. E si girondola come rondinelle nel cupo, tentando il distermine lito de l’essere, interrogando la vita... e si canta, si sa,

Si ride e parla or con le signorine semivestite, anche spregiudicate un po’, che accolgon il nuovovenuto 88


con cortesia di forme sibilline.

passar l’eterna verità e fidenti

“Piuttosto bello...anche elegante... poi

si contemplava lì presente il Nume,

è un giovanotto molto intelligente...

in mezzo a noi, dentro di noi. Battea

Farà conquiste fra le belle... mai

trepidamente a le finestre il blando

tradisce il vero la parvenza a noi....” (Santo Francesco)

raggio lunare e per le vie del cielo

Dalla finestra della mia stanza potevo vedere e ascoltare un gruppo di sartine, che la ferula d’una padrona piemontese non riusciva a tenere del tutto in riga e che lavorando cantavano. Una soprattutto spiccava per volto grazioso e voce argentina. Anche se il mio tentativo di accostarle all’uscita risultò vano, anzi pericoloso, per la severità dei costumi calabresi per quel che riguardava le donne, l’episodio mi servì a dare un po’ di normalità al mio rapporto con le donne. Si fa per dire, perché la mia solitudine restava non scalfita e la mia mente era ancora alle prese con il rimpianto e la nostalgia degli anni di collegio per quella pace che se ne fuggì.

silenziosa proseguìa la dea. ( ibidem)

Se ne fuggì dov’era l’innocenza, molto dolore e gran maceramento di carne e la sorella morte bella più d’ogni nudità, d’ogni avvenenza; quando disposti in lunga fila al lume di fioca lampa si sentìa ne l’ombra

Leopardi e Baudelaire, del quale poco dopo riuscii a procurarmi una edizione tascabile bilingue, continuavano ad essere la sorgente a cui si abbeveravano la mia solitudine, il mio pessimismo; il mio odio-­‐ amore per la carne : Venite, teschi, venite , vermi, ultimo ghigno di rosate carni sorridenti voluttuosamente: a l’ombra di tibie, femori, ulne-­‐ stillicidio di umori viscidi intorno-­‐ canterò nero uccello il mio più vero canto.( Io non credo) Un giovane avvocato, Ciccio Bona, fidanzato di mia cugina Gilda, mi paragonava a Mario che piange sulle rovine di Cartagine e mi consigliava di leggere Nietzsche! Ad altri simili letture di presunto 89


rimedio, al di là del bene e del male: M’annebbio, m’offusco, mi perdo No, credo. E sento serper lentamente e fatalmente cado giù. per le mie esili membra la lussuria e il cieco istinto urlar rabbiosamente, cercare il brago e il ventre d’una donna. Ad altri. Io sento il male ch’è dolore, il male mio ch’è il mio dolor. Dio puro, tu in alto, in alto ed io –perdona-­‐ giù. ( Il mio male è il mio dolore)

Mentre la fantasia seguiva morbosa lo svolgersi delle spire della femmina, io poco prima di Natale ero tutto occhi ad osservare quello che accadeva intorno: Su le larghe, alte facciate di pioggia imbevute, oscure, muore con tono triste la luce; e vibra per l’aria, brilla

ne le gocce pendule Nella notte leggevo Virgilio e, se un gallo preannunziava l’alba, a su i fili. quel grido trasalivo come alla voce dell’Ignoto che come un vomere scavava nel mio profondo ( Ho trasalito) e, se pascoleggiavo come Scendono un insaziabile fanciullo, era perché dovevo ridere affinché nessuno dai monti lontani vispe si accorgesse del mio pianto ( Lasciatelo piangere senza perché). contadine nei ricami sottili Vecchie metafore si riaffacciavano per cantare la lubricità viscida della donna: sorprese ed incantate. Si snoda lentamente, Si scostano, ché passa viscidamente, la cittadina tutta imbellettata viscidamente, con fine fruscìo di gonna, e spiace ed è ribrezzo sempre annoiata, col labbrino in su. che trema, trema tra le belle spire. ( 23 dicembre: per la strada) 90


E il giorno di Natale:

e morta parola l’amore.

Passeggio solo a la periferia

Io povera cosa di carne

come i senza famiglia; ed è Natale.

su la riva del fiume regale,

Passa una donna con un militare

sbattuta, ora a galla, ora a fondo

perduta.

secondo l’umore e la gioia sfacciata del mondo,

Lei che a tutti si dona

nel chiuso tormento più solo

non conobbe l’amor, fra tanti ancora

che il naufrago nella tempesta. ( Malinconica melode)

non si trovò solo per lei nessuno.

La noia di tutte le vane

Giunge potente un coro di Lucia

e stupide ore, di tutte

di Lamermoor:

le inutili brame

donne malate, torri, cavalieri

......

di ferro ed un gentile sogno d’or... ( Passeggio solo)

tra forme consunte d’oblio! (ibidem)

Alle vispe e variopinte donne di Tiriolo, scese in città a farsi ammirare nei loro ricamati abiti tradizionali, opponevo le cittadine più scanzonate e nella mia solitudine mi paragonavo a una povera prostituta a braccetto con un militare, io ancora più solo di lei, non avendo nessuno con cui ridere o piangere, in preda alla miseria, all’abbandono e all’arte, un’arte solitaria, malattia d’un cuore a vent’anni: ( ibidem)

Volevo dimenticare, dormire a lungo, riposare e non vivere più quella mia vita: esagerazioni letterarie o ricadute in stati già noti dal tempo del collegio? ( Vorrei dormire a lungo) :

Uno sbigottimento m’assale

a soffrire. (Malinconica melode)

nella solitudine dove tanto è il dolore

E poi in un soprassaalto di vitalità:

Ch’io dimentichi d’essere uomo, ch’io dimentichi d’essere un vile, ch’io dimentichi d’essere nato

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Nel sole canto la mia solitudine,

ed al risucchio con ribrezzo si ritira. fatta di libertà e di silenzio. (Tu sola e prima) Turbinosa spira, E se con insistenza e rabbia chiedevo Perché il male?, questo male, che sali impetuosa oltre che nel mio corpo come un tempo in collegio, lo confinavo nel da le gambe tremanti e qui nel mezzo corpo della donna: del grembo un nodo inesplicato attorci ed il respiro mozzi Il bene ed il male... e al capo vertigine ascendi Arimane Ormudz.. e ne le pupille sbarrate Io odio ed amo una luce torbida accendi e le narici dilati ed il sangue le puttane dal corpo nel cuore raduni d’ Hollywood. (Malinconica melode) e sul volto lo spingi violento Della donna studiavo in versi ed in prosa ( Suor Virginia) le movenze e scomponi sul petto le chiome tentatrici e specie il momento in cui perde la verginità e si dona, come fiamme guizzanti, sulla falsariga di poesie di Catullo e di un frammento di Saffo io b rucio, io brucio.. ( Verginità, verginità, dove vai, avendomi abbandonata?) : acre dolcezza sterminata, nirvana di tutto il desìo, Circola per le membra anelanti folle capogiro, una febbre scomposta di lussuria. complementarità, Il grido soffocato tu sei la morte, tu sei la fine, hai vinto; e m’abbandono. si ritorce e mi spezza. Il seno verginale si protende in un sussulto all’invito

Addio,, verginità! ( L’estrema rinunzia) Questo scomposto ribollìo sfocerà in una lunga poesia, che ebbi l’ingenuità d’inviare-­‐ via Metro Goldwyn Mayer-­‐ nientemeno che a 92


Ingrid Bergman, che mi aveva particolarmente eccitato in una scena al viscido umore marcito del film Dottor Jekyll e mister Hyde, in cui, pur mostrando una che dal corpo tuo cola. rigogliosa coscia nuda, l’attrice seduce con lo sguardo ed il sorriso, L’accoglie più eccitanti di tutte le tette al vento, le natiche frementi e le penetrazioni buccali, vulvari e anali dei films dei decenni successivi. degli uomini-­‐vermi il groviglio Quella poesia sintetizza bene il marasma in cui vivevo non solo io, che chiesero tutto ma tutta la gioventù nella provincia italiana, prigioniera di fantasmi al tuo ventre di merda malati che imperversavano tra il rigorismo della chiesa cattolica e il libertinaggio della frequentazione dei postriboli. Significativamente nei flaccidi decubiti notturni. in quel coacervo di metafore sprezzanti si passa dalla Messalina alla E all’altra estremità c’è Beatrice: baldracca, dal vampiro alla vipera, alla sirena, all’ammaliatrice e Angelo de le mie estasi, quindi alla creatura fragile, alla fata, all’angelo e alla bianca suora di rimbaldiana memoria accanto al letto di morte per concludere con Beatrice, una strana Beatrice, la cui carne è il male, sulla quale però scende una fiamma celeste ; e l’anima, l’anima sale!

le tue carni d’ambra son più del mio sogno perfette. Fata de l’errabonda vita

Ad una estremità c’è la donna bestia ed imbestriatrice:

le mie pupille brucianti

Creatura di fango, la morte

sul tuo corpo si placano e sognano

si vestì di tue carni procaci

e farneticano la terra del sole.

per menar la gran falce, non scorta.

T’ammiro, mi prostro, t’adoro,

Il tuo piacere emunge

delirio invincibile sei tu!

d’un sorso la linfa, la vita e si cade disfatti, finiti, puteolenti. Mi turo le nari

Tu sei perla, sei diamante, 93


le membra tue son d’oro,

e trascolori.

ma vivo palpitante;

Beatrice, hai compreso:

e se un male sei

se questa tua carne è un male,

la stella del male sei tu!

sul corpo una fiamma è discesa

Mi culla la voce tua bella

e l’anima, l’anima sale. ( Donna)

lungo morbide rive d’incanto, sospiro di flauti fluenti nei labili accenni tra l’onde di luna e di stelle morenti su languide gondole eburnee. Assopitrice! Voce suadente di mamma, dolcezza d’un giorno che muore, mi spegne un vulcano che arde il tuo candido sen di moerro. ............ Ti guardo con tremito, a lungo, t’imploro; tremando mi guardi

Durante le vacanze del 1946/47/48 fui ospite di zio Angelino nella sua masseria di Orcomone, la prima volta per una prova generale della futura convivenza. La tenuta, detta della Montagna di grano, celebre in paese per le gesta di don Emidio, era situata sul versante di una collina fra Morra ed Andretta nell’alta valle del torrente Sarda. Nel 1943 c’erano state in Alta Irpinia delle sommosse popolari con morti e saccheggi come tarda reazione alle angherie del fascismo e dei signori locali. Tra l’altro si era fatto credere ai contadini che ci sarebbe stata l’espropriazione delle terre dei signori per darle ad essi. Ache se qualche anno dopo lo statuto della mezzadria fu cambiato un po’ a favore di costoro, le proprietà restarono in mano ai signori; ma i rapporti fra parzionali e proprietari erano cambiati: non più totale soggezione e molte rivendicazioni. I parzionali di Orcomone furono tra i più accesi rivendicatori e i rapporti con mio zio si deteriorarono a tal punto che costui non volle più averci a che fare. Non potendo cacciarli, cercò un amministratore, un certo Vitantonio di Teora, che s’insediò nella masseria a rappresentare il padrone. Era un tipo poco 94


raccomandabile, come lo erano del resto i parzionali, che comare, che c’invitò ad avanzare: era semidistesa in un grande letto continuarono ad occupare il pianterreno della masseria e a coltivare su un materasso di scarfoglie di granturco e allattava un bamboccio, i campi, eccetto un vigneto, quasi adiacente al fabbricato e che fu di nato qualche ora prima. Il marito era assente, ad Andretta, e lei, diretta gestione del padrone tramite Vitantonio. Da esso, oltre il non potendo più trattenere le doglie, aveva partorito da sola, vino, si ricavava qualche verdura, specie d’estate quando la famiglia procedendo al necessario senza l’aiuto di nessuno. del padrone veniva a passare un mesetto di vacanze, occupando il Nel vigneto c’era un pozzo, da cui si attingeva l’acqua per lavarsi e primo piano, costituito da tre vani con due camere, corridoio e in cucinare; per quella da bere bisognava recarsi più lontano ad fondo il gabinetto, più una stanza prospiciente la terrazza. La stanza attingerla da una sorgente. serviva per i pasti, ma anche per me, che vi dormivo la notte su una Le ore più belle erano quelle del tardo pomeriggio e della prima brandina, rimossa durante il giorno. Davanti alla stanza da pranzo notte con il fresco che veniva a mitigare la calura del giorno. Il ielo c’era la terrazza coperta, con sul lato una scala di legno che portava era purissimo, cantavano i grilli , qualche cane abbaiava lontano e alla soffitta-­‐ripostiglio. Durante la siesta, che gli zii passavano nella le stelle bruillavano in cielo o la luna rischiarava dolcemente la loro camera, io ed i cugini restavamo spesso in terrazza. Le terra. ripetizioni d’italiano e latino, ch’erano il mio compito in parziale Che fosse l’aria natia, la vita semplice della campagna e l’alternarsi contraccambio dell’ospitalità, avvenivano nella stanza da pranzo delle ore di lavoro e di riposo e farniente, non ero oppresso dalla per il cugino e la cugina più giovane. Quella più anziana aveva solitudine: non mi sentivo solo anche se vivevo in una famiglia smesso di studiare perché fidanzata e in attesa del matrimonio. Con estranea. Era difficile essere pessimista in quelle condizioni e, pur lei si poteva fare anche qualche discorso un po’ azzardato, avendo tante preoccupazioni, in gran parte le dimenticavo. Ero chiedendole per esempio l’esatta dimensione della vulva: un po’ più vestito perfino meglio e alla solita canadese potevo alternare altri piccola della lunghezza del mignolo! indumenti, ricevuti da parenti americani nei pacchi che per vari anni Nel tardo pomeriggio facevamo lunghe passeggiate, ascendendo il continuarono a sollevare la miseria non solo nostra, ma di tutta la brullo monte di grano o spingendoci fino alle masserie della zona, nazione. cui ci appressavamo con cautela tra il furioso abbaiare dei cani di A Catanzaro fra delusioni, ripieghi ed illusioni cominciai a guardia. Portavamo con noi un paniere di vimini per l’acquisto di prepararmi all’esame di passaggio dalla seconda alla terza liceo, uova fresche dai contadini. Fu così che una volta c’inoltrammo in un unica possibilità a me offerta dalla legislazione scolastica per androne semibuio, gridando C’è qualcuno? Dal fondo rispose una continuare gli studi, che dovevo in gran parte completare specie 95


nelle materie scientifiche, assenti dal curriculum del collegio. Il Ormai era fatto, non c’era più rimedio, tanto valeva guardarsi il cinema offriva la quasi esclusiva distrazione, se non divertimento, e resto dello spettacolo, anche perché mio zio, lasciando cadere nel la scappatoia iniziale per la scoperta visiva della donna attraverso le taschino della giacca il monocolo-­‐ secondo il suo vezzo di ex attrici. Una volta, però, fui indotto dallo zio ad accompagnarlo con ufficiale di cavalleria-­‐ si rivolse a me chiedendomi se mi divertivo. E tutta la famiglia al cinema per assistere ad una rivista. Le riviste non potevo certo divertirmi con gli occhi bassi o chiusi. Considerai consistevano in uno spettacolo cantato e danzato con una dozzina quella serata come semipeccaminosa e nei giorni successivi di belle ragazze seminude spesso straniere ed un comico di fama ondeggiai tra il no e il sì se andare a confessarmi. Decisi di non farlo nazionale – Totò, Nino Taranto, Rascel, Rabagliati eccetera-­‐ che era e di vivere con quel rimorso, le cui punture, però, si smussavano il direttore della compagnia. giorno per giorno. Tornai difatti ad andare alle riviste, che con altri Quel che non dicevano le gambe delle ballerine lo diceva più cedimenti in settori analoghi costituirono la breccia per la quale esplicitamente il comico con barzellette scollacciate e mimica passò la piena che in pochi mesi portò via la diga che sbarrava il oscena. Il teatro italiano pencolava fra opera lirica e rivista. Nelle flusso della nuova corrente che ormai avrebbe regolato la mia vita grandi città c’era anche un po’ di teatro di prosa, ma in provincia sessuale. neanche a parlarne. Agli spettacoli-­‐ riviste e films-­‐ andavo spesso anche perché Seduti nella loggia in prima fila avevamo un punto di vista godevamo d’ingresso libero per la presenza in casa di uno zio favorevole dall’alto sulle tette più o meno libere e ballonzolanti presidente di tribunale che era venuto in trasferta da Napoli e che delle ragazze, non tutte nordicamente cranachiane, alcune anzi esaminava gli atti dei processi nella stanza da pranzo, decretando tizianesche e ben fornite, che a volte si servivano del trucco del Costui si becca vent’anni; questi altri l’ergastolo eccetera. reggiseno che si slacciava al momento buono, anche se per pochi Tra le presenze femminili c’era quella della serva Teresina, secondi prima che calasse il sipario. Erano i tempi in cui la polizia contadinotta diciottenne dagli occhioni neri, sorpresa una volta misurava i centimetri delle mutandine da bagno sulle spiagge. dalla zia su una scala a pulire i vetri, con un paio di gambe e un Tenni gli occhi bassi per i primi numeri dello spettacolo, alzandoli di sedere poco cattolici senza mutande. Ma si rendeva conto che in tanto in tanto quando intravedevo sulla scena solo il comico o una casa c’erano degli uomini, cioè io e lo zio? La poveretta dormiva su cantante che si sgolava al microfono con canzonette per lo più una brandina nella stanza da pranzo, che io dovevo attraversare per napoletane. Ma poi sbagliando la selezione li tenni aperti anche andare al bagno. Era anora vergine, ma per poco. Di lì a qualche quando dai lati irruppero sul proscenio le ballerine seminude. mese si seppe che frequentava un giovanotto. Avesse o no già 96


rapporti sessuali con lui, la decisione fu subito presa di rimandarla negli estuosi ardori al paese e per la Pasqua il compito di accompagnarla toccò a me, di cieli sonnolenti.( Mi s’è spezzata tra mano-­‐9/4/47) che vi tornavo per passare qualche giorno in famiglia. Durante il E poi un desiderio, un’invocazione , un grido nella strozza: viaggio in treno di una dozzina d’ore, sedendo immusonita sul sedile di legno davanti a me, non scambiò una parola, chiusa nella Potessi a la svolta spezzare rete dei suoi pensieri per l’avvenire poco roseo che l’aspettava, né il monologo opaco le poche frasi di conforto che le dissi servirono a gran che. Il suo di questa mia vita e incontrare posto fu preso da un’altra contadina nanerottola e talmente poco appetitosa da non correre o far correre rischi a chi si occupava di la femmina, per un colloquio lei. Teresina, invece, mi aveva tentato. Ma prima di esaminare di spirito e senso! (Potessi spezzare-­‐primavera del 1947) Fu l’ultima questa ed altre tentazioni, è forse giunto il momento di concludere poesia tra profumi storditi di una sera di maggio a Catanzaro; poi l’analisi della mia educazion letteraria, che per la poesia, campo di avrei smesso di poetare per più di vent’anni, dimenticando anzi di predilezione di essa, venne a termine nei primi mesi del 1947. averlo fatto in gioventù. Questi non del tutto disprezzabili Juvenilia Soffrivo ancora o di nuovo di allucinazioni? sarebbero rimasti chiusi come in una bottiglia ecc. A cinema in una vasta sala vuota inchiodato su un sedile dell’ultima fila a destra mi sentivo come una locomotiva ansimante che in un tunnel consumava il suo intimo strazio mentre sullo schermo passavano ballerine vaporose, che d’un tratto abbandonavano le sottane rincresciose , riddando nude, e poi su letti nella semioscurità sorridendo gli amorosi succhiavano alle dive lunghi baci tenebrosi ( Allucinazione-­‐8/3/47). Anche se la vita mi si era spezzata tra le mani come un cristallo a fiorami, io il mio monologo di illuso non riuscivo a spezzarlo : l’anima ronza angia vibrante 97


Questi non del tutto disprezzabili Juvenilia sarebbero rimasti chiusi questa disgiunzione tra la donna e la poesia, anzi questo silenzio come in una bottiglia in due quaderni e solo il caso li ha riportati in quando essa sarà amore, eterna fonte di poesia di tutti i popoli e di superficie nel 2009. Ma parlare di caso è inesatto perché questi tutti i tempi ? Il rapporto tra biografia e letteratura è seppellimenti-­‐rinnegamenti sono stati una costante della mia vita, quanto mai complesso. C’è chi lo nega o minimizza, chi l’esalta fino nella quale per stare a galla dovevo dimenticare i vari volti del a far coincidere opera e vita. Per quanto mi riguarda, allora e in passato per assumere una nuova maschera di necessità e non di seguito, si può affermare che la mia poesia è stata largamente convenienza. E se ora a più di ottanta anni mi son dato autobiografica, particolarmente presente in momenti di crisi. Non all’autobiografia è anche per ricostruire una mia, per quanto che le crisi portino necessariamente alla letteratura, se no tutti possibile completa, identità. sarebbero scrittori e poeti.. Costoro, però, se non coltivano la Le poesie dal 28/10/1942 al maggio del 1947 coincidono con il scrittura come semplice passatempo o esercizio retorico, subiscono periodo dentro e fuori del collegio, in cui credevo in una religione e e scelgono la necessità delle lettere per vincere analizzando una nella morale sessuale 4da essa predicata. Pur sfiorando o trattando crisi esistenziale. Questa fa da detonatore in una materia esplosiva altri argomenti, il tema dominante è quello religioso, limitato quasi che da tempo aspettava per poter deflagrare per intima impellenza sempre alla problematica del sesso in quanto masturbazione ed e ricchezza. Tornando alla cronaca, i assenza della donna. Quando queta comincia ad apparire non più miei tentativi falliti di far apprezzare le poesie con l’invio di alcune come fantasma, ma come realtà, la poesia cessa e la problematica di esse a critici e riviste letterarie avranno probabilmente influito sessuale ha come depositaria solo la prosa del diario, che con varia sulla cessazione di scriverne, anche se il motivo più profondo è da intensità arriva fino all’aprile del 1949. cercare a ltrove. I l successo o la sua mancanza non sono mai Tacitamente io consideravo-­‐ e considero-­‐ come mio campo di determinanti per la scrittura se questa corrisponde all’impellenza di elezione letteraria la poesia. Essa avrebbe dovuto accompagnare la un bisogno intimo. Un poeta scriverebbe anche su un’isola deserta mia educazione sentimentale fino agli anni ’50, data alla quale io la dove nessuno attracca : si scrive per se stessi, per chiarire e considero ultimata, ducazione, sia sottolineato, non esperienza. Ed approfondire i propri problemi. invece non è stato questo il caso. Dopo la mia prima visita al Se l’approfondimento è meglio affidato al verso, lo svolgimento postribolo (23/10/1947) con la prima presa di possesso carnale cronachistico trova il suo strumento analitico di più nella prosa Il della donna, niente più poesia. Eppure da quella data in poi la mio diario, intitolato Pensieri e note intime non è stato scritto con donna sarà sempre più presente, anche come amore. Come mai l’intenzione di pubblicarlo. Se in esso manca la rifinitura letteraria, è 98


più presente la spontaneità e veridicità di chi parla con se stesso, esclusa la presenza deformante di ascoltatori, anche futuri. La mia messa a nudo è spietata, non ci sono lacune , sottintesi e bellurie civettuole di chi vuol passare alla storia travestito per l’applauso dei bempensanti. Se ora quindi mi rifaccio ad esso è perché la memoria onesta vi trova materiale non adulterato che mi permette di rappresentarmi quale ero. Apro un inciso di natura linguistica. Stranamente in tanto parlare di sesso in poesia i genitali non sono mai indicati con il loro nome, avvolti sempre in un frasario allusivo. E se ciò si capisce per gli anni di collegio, per quelli successivi sa di tabù linguistico. Perfino nella poesia Donna, la più aggressiva e sfacciata di tutte, non si esita a gridare : giù le mutande, fa vedere, su, il fetido culo, caca in pubblico, coli la mecca liberissimamente eccetera ( e qui il dialettale mecca sta per muco). Più sorprendente è nel diario l’uso del latino interfeminium ( Apuleio) e del dialettale pescia per vulva, anche quando per l’organo maschile si usa pene e non pesce, che era forse all’origine dello strano corrispettivo femminile. Era come una ricaduta

nell’infanzia nei momenti da essa più lontani delle esperienze postribolari. Freudiano è poi usato nel senso di eccesso e devianza sessuali.Chiudo l’inciso. Tralasciando i pochi avvenimenti dei primi mesi a Morra, alcuni di carattere politico, comincio qui la trascrizione quasi completa del diario dopo la notizia della morte di mio padre, ai cui funerali non potei partecipare, restando a Catanzaro. 12/11/1946 Che noia, qual tradimento ! di me stesso, di mia madre, della mia famiglia. Sono un debole che la società trascina, senza volontà, senza energia, senza iniziativa. Questa è la morte. Domani rimpiangerò l’oggi, ma troppo tardi, ché il passato non ritorna : è andato, è andato per sempre ! Eppure se qualcosa , se un lungo intervallo di tempo non ristora le mie forze spirituali, sono incapace di tutto, non riesco a dominare il corso della mia attività.

12/12/1946 Anche la scienza molte volte è ricchezza, dipende dal denaro. Stato pauroso di vigilia. Se non riesco a pigliar quanto prima la licenza liceale, la mia vita è forse sconvolta per sempre. Sono uno sbandato senza metodo e senza scopo. E’ inutile : è difficilissimo studiar privatamente delle materie odiose per solo scopo di esame. Si studia ciò che piace. E quando per una materia sgradita manca il pungolo della scuola, la sua sorte è decisa. L’uscita di collegio, e meglio la 99


crisi spirituale e fisica del triennio ’43-­‐46 ha sbandato per sempre la mia vita, che ormai procede stanca, con tutta la stanchezza proveniente dall’indecisione. E’ questa un’ora di sfiducia nella riuscita della mia vita, nel mio avvenire. Dialoghi di Leopardi : profondi, soggettivi. Generalmente movendo-­‐ come le poesie-­‐ da una situazione giusta o in parte vera, tentano giudicare da quel punto di vista. E’ una continua tendenza a spostare valori di campo psicologico a valori di campo ontologico e metafisico. Il Leopardi psicologo è quasi sempre vero ; quello metafisico è quasi sempre falso. I Canti senza i dialoghi sono incompleti ; manca loro la serrata e completa visione, o meglio concezione della vita. Questi senza quelli mancano dell’atmosfera fantastica e sentimentale, che è il più vero movente del pensiero leopardiano : si integrano e si completano a vicenda. 23/2/1947 Ho scritto a Ingrid Bergman, della Metro Goldwyn Mayer, inviandole copia della mia poesia Donna. Davvero un regalo originale, per una diva, quei versi coraggiosi e sfacciati, con verità dette francamente e in termini propri. Il fatto è stato determinato dall’averla vista quasi nuda tentar un uomo nel film Dottor Jekill e Mr. Hyde. E’ stato un capriccio, di cui attendo divertito lo svolgimento. Le ho scritto che l’avevo ammirata, che dedicavo a lei quella poesia, che l’Italia è la terra d’un giovanissimo poeta ecc., invitandola a rispondermi in francese o in italiano.Vedi pazzia! Nei giorni scorsi ho pure scritto a

Francesco Casnati, inviandogli, per averne un giudizio, alter poesie. Lo stesso ho fatto un mesetto addietro col direttore di Fiera letteraria,G.B. Angioletti a Roma. Strano modo di farsi avanti, nevvero? e strano coraggio scrivere a persone sconosciute, con indirizzi almanaccati a forza di presso e di grosssi nomi di grosse case editrici. Episodio con Caterina Caputo. Invitata sulle generali si è mostrata spaventata, senza capire. Volevo vedere la donna come è fatta, nuda. Spaventato ho divagato, salvandomi da una pazzia a cui ero stato trascinato dall’avermi rivolto la parola e dall’essere soli di notte, dormendo gli altri. 8/3/1947 Giovedì. A sera, a cena, trasmissione di Radio-­‐Firenze sul tema Nostalgia. La mia poesia non è stata né recitata e neanche menzionata. Beh ! la fortuna e l’ingegno è di pochi. Forse appartengo alla schiera degli importuni facitori di versi senza senso e senza significato, fatti per conciliare il sonno. Stato d’inquietudine durante la trasmissione ; sulla spine, al primo saggio poi ascoltato in pubblico. Poi depressione e desiderio di non essere neppure menzionato. Rientro nella mia solitudine più solo e più sconfortato e più sfiduciato nel mio avvenire e nelle mie forze. 12/3/1947

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Incipit, o meglio, sequitur lamentatio Danielis poetae. Ho ricevuta la avventuriero più fortunato porterà dalle Indie poetiche. Chi si risposta alla lettera con saggi poetici inviata al Casnati. contenta gode e con la volpe penserò che poi alla fin fine il Parnaso Stroncatoria. Mi ha qualificato in definitiva un perdigiorno non è una dimora troppo gradita , tanto più che il bnevolo don sfaccendone facitore di parole rumorose, che non tradiscono Francesco Casnati mi grida « studi, studi e poi ancora studi ». neppure al naso più esperto un lontano sentore di ritmo. Benissimo. Studere, studere, caro il mio don Francesco, post mortem quid valere ? La Fiera letteraria non si è fatta più viva : si vede che la mia mucca era troppo striminzita e non ha avuto compratori. Vedi caso, forse la 18/3 1947 risposta più incoraggiante e benevola l’avrò da Ingrid Bergman, l’attrice. Parentesi : Dopo un anno, punto e da capo. E’ inutile : sono una natura mentre il Casnati sentenziava « I versi che mi ha mandato da freudiana. Non so che ne sarà di me. Dio m’aiuti. leggere e giudicare sono tutto fuorché poesia », il critico della Fiera 27/3/1947 letteraria mi comunicava « il nostro comitato di lettura ha preso in esame i suoi lavori ed ha ritenuto, in base al loro effettivo interesse Leggendo il De Sanctis « Storia della letteratura » cap. Xiv, vol.II : La e alle ottime doti riscontrate, d’invitarla a partecipare ai nostri Maccaronea-­‐ Biografia dell’autore-­‐ all’inizio. Dunque il Folengo concorsi permanenti » Chi stare a sentire ? Chiusa la parentesi. sarebbe un tipo di scapestrato , che ha sbagliato la vita, un fallito, Del resto tutti i geni incipienti sono disprezzati, nevvero ? e anche insomma ; per cui si sarebbe dato alla vita allegra e scapigliata, questo povero diavolo di Daniele Grassi nessuno lo vuole star a discendendo di grado in grado giù, sino al fondo di ogni abiezione. sentire. Cambierò mestiere, perbacco. O come i grandi sfortunati e i Moralmente e intellettualmente, perché poi volle vendicarsi di tutto grulli incaponiti continuerò filosoficamente per la via intrapresa . « e di tutti sputando in faccia alla società e involgendo tutto, uomini O scoprire un nuovo mondo o affondare ». Caro il mio don Gabriello e Dio, in un riso feroce di scherno. Soggetto quindi interessantissimo Chiabrera, i critici han detto che né scopristi l’America e né e in qualche modo personale. affondasti, per cui ti fu negato anche il tributo delle lagrime, 15/4/1947 raccogliendo invece a larghe mani gli sbadigli dei lettori e gli »accidenti » dei critici. Grato e commosso ti eleggo per mio Argomenti da studiare ed approfondire : « Epicuro e Cristo » come singolar patrono. Ma ti seguirò fino ad un certo punto, ve’! poi tesi filosofica su cui svolgere l’ulteriore tesi « Cristo o la filosofia cambio mestiere sul serio e mi metto a vender le spezie che un 101


della disperazione » in quanto nessun sistema filosofico può supplire quello cattolico e tutti sono inconcludenti. Il più logico sarebbe questo nuovo della « Disperazione » in quanto negazione di tutto e di tutti, della divinità, della natura, della società, con un tentativo di autoesaltazione individuale da superuomo, per poi analizzare l’illogicità anche di quest’ultima posizione che è il parossismo della logica, che uccide tutto ciò che altre esigenze nostre-­‐ specialmente la vita affettiva, il cuore-­‐ richiedono, per poi concludere dal processo negativo affermativamente con un ritorno a Cristo. Secondo argomento « Problema sessuale » analizzato fisiologicamente, affettivamente, storicamente, esteticamente,, moralmente, prospettando le tre soluzioni possibili del problema e relative conseguenze sotto i vari aspetti, fisiologico ecc. cioè : castità o purezza in quanto separazione e allontanamento dei sessi, matrimonio in quanro unione d’un sol uomo con una sola donna, unione libera in quanto poliginia o poliandria e simili aspetti di questa soluzione come postribolo ecc. Fuori delle tre soluzioni naturali sarebbe la sodomia tra uomo e uomo e donna e donna, l’antropozoogamia tra uomo e bestie e l’autogamia in quanto soddisfazione e eccitazione unisessuale da parte del solo uomo o della sola donna. 15/4/1947 Quanta acqua è passata sotto il ponte. Progressivamente, quasi senza accorgermene si è operato il passaggio dalla mentalità

claustrale a quella civile . Una cosa che un anno fa, appena uscito dal collegio, mi faceva spavento e quasi mi atterriva, ora mi lascia indifferente. Esamino ora e trovo interessanti le gambe delle signorine. Bah ! la vita cambia orizzonte. Un problema che prima non m’interessava e quasi mi dava un senso di noia e di disgusto, quello dell’Amore, ora assume una importanza di primo piano e così il Petrarca, poeta inviso e incompreso, ha acquistato una nuova ammirazione e comprensione da parte mia, che ora capisco la verità e l’umanità di quei lamenti e di quelle situazioni. D’altra parte i problemi spirituali e religiosi hanno perduto d’importanza e di sensibilità. Nei primi giorni non sapevo e non volevo parlare d’altro, in tutto c’entrava religione e morale. Ora preferisco non parlarne e tenermele per me. Passione fortissima e ammirazione mista di raccapriccio per il mondo teatrale e cinematografico. Quella del chiostro è una visione unilaterale della vita e nel comune degli individui genera una incomprensione di tante che pure sono le realtà della vita. E’ un particolare punto di vista, altissimo e spirituale , ma sempre particolare. Quello di un mondano è forse una visione più generale e profonda di alcuni problemi con l’abbandono e l’insensibilità d’altri che sono di primo piano in quella. Ho riletto questo quaderno e mi sono trovato di fronte a un altro. Troppa acqua, purtroppo, è passata sotto il ponte. 29/4/1947

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Ho voluto vedere quattro volte il Rigoletto nell’interpretazione cinematografica di Gobbi e della Govoni con doppiaggio della Pagliughi. « Sono studente e povero,,,,se fosse povero, più l’amerei… » Povere illusioni destinate a suscitar la breve eccitazione degli onesti borghesi. Roba da artisti,rimasta sogno d’artisti, la vita è tanto più crudele e logica ! 8/5/1947 Ho scritto a Roberto Sgroi, pubblicista su Cine illustrato del Film del pubblico, inviando una fotogafia e i connotati. Un altro capriccio, svaghi della noia e succedanei della felicità. Forse fra un paio di mesi tutto sarà deciso : guardo gli sciuscià, la povera gente che rasenta i muri timida di mostrar i propri cenci e la propria miseria : guardando leggo sui loro volti un senso quasi d’invidia al mio passaggio e non sono certo un damerino. Intanto penso « tra qualche mese, forse come questi, forse peggio di questi » e un senso di freddo mi attraversa le spalle. Oh ! beati gli uccelli dell’aria, contenti della pena e della gioia che apporta ogni giorno, senza domani ! 31/5/1947 Fine di maggio, fine della primavera mia. Punto e da capo : condizioni patologiche idem di un anno addietro, con le stesse manifestazioni : fondo freudiano con manifestazioni sessuali. Mi preparo ( chi sa che significa questa parola) agli esami di 2° in 3°

liceo : buona parte dei testi comprata negli ultimi 20 giorni. Sento che non riuscirò. Perciò « apriti, cielo ». Ci son già preparato. Intravedo per la prima volta, e ritorna con una certa qual’insistenza, la soluzione amorale, cioè ad esser più franchi, immorale della vita. Viverla giorno per giorno, non rinunziando a niente di quello che offre senza curarsi dell’aldilà, dove regna l’ignoto. Quindi meglio non lasciarsi sfuggire il bene presente per un ipotetico e inconoscibile bene futuro, che mette come condizione al suo possesso la sofferenza e la rinuncia in questa vita. Ma sento che è una posizione illogica e un controsenso, che non risolverebbe la questione. -­‐Incipe, parve puer risu cognoscere matrem, incipe, parve puer : cui non risère parentes, nec deus hunc mensa, dea nec dignata cubili est. Bucoliche. Egl. IV, v.60/63 10/6/1947 L’ora aspettata è giunta e con una amarezza che non avrei neppure sospettata ! Sono solo, senza nessuno e in un tal mare di difficoltà che mi è venuta meno ogni fiducia e ogni speranza nell’avvenire : fra giorni la via mi sarà tagliata per sempre. Forse un anno di militare e poi… la fine. Mah ! la vita mi ha deluso. 7/7/1947

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Agli esami a S.Angelo tutto bene, contro ogni mia aspettativa ho giocato con la sorte, ho barato e ci son riuscito. Mezz’ora in più di sicurezza.

L’avvenire, l’ideale no, ché ci ho rinunziato – l’ideale è degli stupidi in lotta con l’interesse e con l’egoismo. La figura del « parente povero » un po’ con tutti. Al diavolo tutti ! Mi vedono le vampe sul volto e credono che sia turbato chi sa per che cosa. Imbecilli tutti : 4/8/1947 mi sento internamente bruciare perché vorrei mangiarmeli vivi tutti, tutti ladri e buffoni. Aveva ragione Rousseau : » chi mise la prima Sono un escluso dalla vita : nella vita tutto è regolato dalla oraziana siepe è un ladro » ed hanno ragione gli idealisti del comunismo : Regina pecunia ed io sono povero. Homo homini lupus: aveva avanti contro i pescicani, queste piattole dell’umanità, questi covi di ragione Hobbes: non si può essere buoni, l’idealista è costretto a serpenti, questi bulicami di sangue altrui. La società è un’ingiustizia, mentirsi ad ogni passo. Bisogna aver il coraggio di tener a distanza i la più grande delle ingiustizie : » Mammina, mi lavi la faccia, ché mi propri simili : tutti. Fidarsi solo di una metà di se stessi : l’altra metà parlamenta e capitola di fronte al nemico. scoccio ! » ( Sedici a nni e donna per giunta) e poi altra gente che non può studiare e non può aver pane perché così piace a chi Con Cristo stop : la mia natura essenzialmente freudiana non sfrutta i dolori altrui ! Ho deciso di essere cattivo permette un accostamento. Tenterò vie nuove : amoralità, cioè perché tutti sono cattivi ; ho deciso di rubare perché tuuti sono immoralità. Se fallisco nella prova, ritornerò. Ma quella vita sarà ingiusti possessori, ho deciso di disprezzare e di odiare tutti, perché sempre il mio rimpianto. Diffidare di tutti : quanto è vero quel detto tutti mi odiano e mi disprezzano, ho deciso di non rinunziare a di S.Giovanni : concupiscientia carnis, concupiscientia oculorum et nessun piacere, perché troppi sono i dolori nella vita e se non mi superbia vitae : proprio così : tutto è regolato dalla libidine, dalla suicido è unicamente perché l’essere vale più che il non essere. Tutto superbia e dall’avarizia. Della donna conosceró tutto : il corpo di lei il male è giustificato perché tutto il bene è una turlupinatura. non deve avere sigilli o misteri per me. Conosciuto e posseduto questo ambiguo vaso di Pandora, chi sa che non riesca meglio a decifrarne l’anima ? Per ora pezzo di stoffa della cavità inguinale . Sarebbe tanto meglio per loro andare in calzoncini. Benedetta moda che le mette tutte a nudo. 9/9/1947

29/9/1947 Oggi Celestino è partito per Roma. Nulla da segnalare: il fiume segue il suo corso, probabilmente sfocerà in un sanatorio per tubercolotici. Fatalità di tutta la mia vita. La libidine è attaccata alla

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mia carne come una natura : è un bisogno e non c’è forza che tenga o che l’ostacoli. Romanzo : « I libidinosi », storia di una donna perduta che sin dall’infanzia ha sentito il bisogno d’essere impura, bellissima, intelligentissima, di modeste condizioni e d’un giovane dell’aristocrazia chiusa con gli stessi caratteri. S’incontrano al postribolo e il piacere carnale è l’unico vincolo possibile tra di loro. O al tubercolosario : » Ti amo, perché non mentisci, perché confessi che vuoi da me solo il piacere ; perché ti piace la mia carne, perché ti piace il mio utero. Perché vivi intensamente l’orgia di tutti i miei sensi ». « Ti amo perché non mentisci, perché mi offri quello che solo puoi dare ; perché interamente e voluttuosamente cerchi il mio pene, godendo di essere femmina, la forza della complementarità. » 20/10/1947 Tristezza di tutta la mia vita : fiore destinato a crescere sempre nell’aria soffocante ed estranea delle erre, lontano da tutti, senza una sola persona amica e affettuosa. Rigidismo di forme e di maniera, convenzionalità degli anni miei più belli. Fingere. La maschera sempre sul volto finisce per calare anche sul cuore ed opprimerlo . E per quale scopo ? Meglio i fuorilegge : coloro che sanno sputare in faccia a tutti, perché tutti li hanno fatti soffrire, se non altro con l’indifferenza. Ma io non ne ho il coraggio e sarò sempre il « bravo giovane », colui cioè che ha saputo soffrire in silenzio, masticando il pane duro e salato degli altri, chiudendo gli

occhi per non vedere, serrando le orecchie per non sentire, stordendosi per non pensare, a cosa ? che nella società devo interpretare sotto la pulita giacca borghese il ruolo di reietto. E’ un naufragio consapevole : vanno alla deriva gli anni migliori e non si sa recalcitrare, roso solo dalla certezza d’avere a finire così. Ma perché allora c’è in noi questa forza, se adoperarla è la morte, è la fine ? Ma perché darci il piacere se è l’addentellato del tubercolosario ? Perché questa fatalità nelle mie vene ? Questa scaturigine bianca ? Chi sa se il ghiaccio non senta sotto la sferza del sole il tormento di liquefarsi, di diminuirsi, di consumarsi, di annullarsi ? Perché quel sole e quel caldo ? perché il mio essere lieve e fragile ? perché la necessità di finire ? Perché capire, perché l’intelligenza della fine ? Meglio il tronco che marcisce senza saperlo, meglio la bestia che muore senza conoscere che sia morire. La donna ? è un buco dove il mio pene entra per scaricarsi. Le sue grazie ? Stimoli che lo titillano e l’eccitano. Non ha anima o se l’ha è il richiamo pauroso per un’orgia d’amore, di sensi, di morte. La donna è un male, la donna è una fatalità, la donna è maledizione, la donna è voragine, la donna è gorgo, la donna è la suprema irrisione della sorte, la donna è il mezzo escogitato per farci annegare in un mare di zucchero, per stordirci ed asfissiarci di profumi troppo intensi. Sì, mentre il pene la buca e la spertugia, bisogna morderla, bisogna manzucchiarla per nutrirsene e annientarla nello stesso tempo. La donna non mi fa credere più in Dio, non mi fa credere più nel bene, non mi fa credere più negli uomini, non mi fa credere più in me stesso. Consumarsi e sentire la necessità di consumarsi e 105


capire l’ineluttabilità della consunzione. Se tutto continua così darò della donna l’immagine più fascinatrice e più maledetta del mondo. Il suo buco sarà il nirvana e sarà l’inferno, tutte le gioie e tutti i tormenti da lei, per lei, in lei. Maledetta ed adorata : baciata e morsa. Ultima scena : un sifilitico ed una prostituta : scarica di tutto l’odio di un sesso contro l’altro concepito come suo principio negativo, come sua antitesi, , come sua morte e fine. 23/10/1947 Prima visita al postribolo : fecondazione senza profilattico . Un po’ confuso sul principio : « Di dove è lei ? » « Siciliana. E tu ? » « Napoletano » « Simmo e Napule, paisà ! Togliti la giacca ; no, lì è meglio. Stenditi sul letto. » Quindi, divaricate le cosce, » Vieni ! » Che cosa sciocca ! Avevo così lungamente sognato quel buco e quella penetrazione. Lei è fredda, gelida, indifferente. L’avanti e indietro d’eccitazione non fa effetto. Cerco d’immergere il pene quanto più dentro è possibile. Niente. Sento il contatto freddo della pescia. Vorrei baciarla in volto, gettarmi su di lei, stringerla, ma non oso ; mi mantengo a distanza, dopo averla sentita fredda e senza inviti. L’unico punto di contatto quello. Qualcosa di viscido, non troppo, come di membrana staccata. Ne ho visto infatti un brandello di fuori : porta aperta e sfondata chi sa quante volte. « Fatto ? » « Niente » « Come va ? » « Mah ! » Comincia il dondolio. « Fatto ? » « Niente ancora, è duro stasera. » « Proviamo sulla sponda ». Si siede sulla sponda, apre le gambe, « Vieni », dirige il

pene con la mano al buco. » Ma se stai fermo ». Cerco di farlo entrare ed uscire alternativamente. Sento quel qualcosa di membrana tiepida, quel debole punto di contatto tiepido, non bollente, che non respinge e non attira. » Senti, eccitamelo con le mani ». Ritiro il pene. Resto in piedi. Lei se lo piglia tra le mani ( come aveva fatto prima, al principio, domandandomi « Perché l’uccello col freddo è piccolo ? » « Peché non affluisce il sangue »). Tace e lavora al tornio. « Dovesse uscire così e mi sporchi tutta ? » « No, ci penso io . In media quante volte al giorno lavori ? » « Dipende : cinquanta, quaranta, trenta. » Il seme comincia a salire : « Fa più svelto. Pronto. » Lei apre le gambe ed io introduco il pene. Avanti e indietro lei ed io. Comincia un po’ di passione, stringe le gambe stringendomi. Il seme arriva, premo forte, le sfugge un lieve lamento. « Fatto ? » « Fatto. « Vorrei chiederle di denudarsi, di mostrarmi le mammelle, di farmisi veder tutta nuda. Temo di esser goffo e lascio stare. Fa freddo e ha una maglia che la ricopre dal petto sino al monte di Venere. Guardo nelle varie volte il folto di peli del monte, il biancore delle gambe e delle cosce sino all’arco ; e mi disgusta quel po’ di membrana che lateralmente fuoresce. Maggior piacere nell’eccitarmi da solo. Forse la novità della cosa, forse il trovarmi la prima volta con una donna, forse la spregiudicatezza e il senso di mestiere che da ogni suo gesto emana non mi permette di pensare a niente di voluttuoso, mi toglie ogni slancio e sentire il pene stazionario nella pescia quasi mi fa vergogna e lo ritirerei se non fosse la volontà di voler provare. Poi la 106


solita pulizia. Poi lei seduta sul bidet che si sciacqua. Sul fondo vedo a grumi bianchi il mio seme. Penso « Come questo, tanti altri. » Si rimette la vestaglia, mi compongo ed esco. Bella ragazza, alta, matura, bionda. » Si paga qui o alla cassa ? » « No, alla cassa. ». « Buona sera. » « Buona sera. » ed esco. Questo è tutto ! Bah ! credevo qualcos’altra. Deluso. Già, la donna non è la sua pescia e nella vita bisogna cercare una compagna ed il suo amore, qualcosa che non sia la pescia, la pura funzione incrementatrice comprata per 150 lire. Il tutto mi lascia piuttosto freddo. Restano vive e voluttuose quelle due cosce aperte e quel « vieni » e quella stretta di gambe. Repellente quella membrana laterale, vizza e brutta come la gozza d’una gallina : porta sfondata, fiore maltrattato, gualcito, messo in commercio e passato per tutte le mani.

25/10/1947 « Nel mar dei Caraibi », filmone americano in tecnicolor con Mauren O’Hara. Bellissima donna specialmente nello scollato costume di gran dama spagnola del primo ‘600. Visibilissime le poppe abbondanti, giuste e sode e il solco bianco, come di latte, misterioso come una vallata di perle fra quelle due rotondità calde e piene come la vita.. Ridicole quasi le mammelle d’una ragazza di sedici anni ( studentessa magrolina) : quelle due piccole protuberanze che cominciano a staccarsi dal petto e pendono tutte all’ingiù come due pere d’una natura morta del settecento

Indifferenti quelle semimature d’una ragazza diciottenne dal seno piuttosto scarso, gonfie e sgonfie, non acerbe e non mature ; (studentessa quasi magra), troppo distanti e senza solco in mezzo al petto. Sovrabbondanti quelle ripiene e gonfie come otri d’una studentessa dal petto prolisso e straripante, col solco quasi soffocato dalla massa carnosa esuberante delle mammelle che spezzano quasi il reggipetto e puntano contro la sottana la loro vitalità prepotente, troppa carne, anzi un carnaio senza poesia. Ripugnanti quelle flosce e flaccide d‘una cinquantenne aristocratica : avvizzite, smunte, troppo spremute, piene d’abbandono, di muffa, non di malinconia. Rispettabili quelle della madre contadina calate giù, pesanti, colme, frutto maturo che dà il suo succo, forza nutriente naturale, senza attrattiva e senza repulsione : natura viva, operante, materna, rispettabile. Fascinose quelle di Mauren O’Hara. Dai vent’anni in su : aristocratica. Seno turgido, regolare, a metà petto,, rotondo, paffuto, salutare : come un burro che si scioglierebbe in bocca, d’una rotondità sferica ; mammelle non troppo vicine né distanti con un 3 centimetri di solco, quasi profondo, bianchissimo e misterioso , sode, salde, consistenti, puntate contro la sottana come una forza contenuta, tagliate a metà dalla scollatura profonda, che accennano nel piegarsi in avanti del petto il rimanente e lo lasciano intravedere come qualcosa dai toni caldi, disegnato perfettamente contro il busto, tagliato a metà, sulla rotondità media dalla stoffa, lievitanti come un’onda che si gonfia nell’ansimare del petto e con quel solco mediano , misterioso, come una via di sogno tra due pesche vellutate e 107


profumate, tenera e soffice come un petalo di fiore, lattescente come un filtro incantato, vivente, caldo, palpitante come la matrice della vita, che accenna, che chiama, che incammina a eldoradi misteriosi, che accenna procace e nasconde, che fa intravedere e promette insinuandosi come un richiamo verso il fondo, come una strada che scenda alle pingui vallate misteriose, ricco di grazie serpentine, con la brama, col desiderio del possesso dell’incompiuto, dell’intravisto. E quel taglio netto di stoffa che cela e non cela, che ti dice : » indovina, sogna » è un cancello misterioso tra le cui sbarre intravedi un mondo più bello. Se fosse tutto libero, il seno non avrebbe quel fascino, quel senso dell’ignoto, della conquista, dell’esplorazione, dello sguardo che controlla il minimo abbassamento e gioisce d’un millimetro di carne affiorata, di un tantino di mistero conosciuto e che indovina il resto e ad un ulteriore scoprimento lo trova più bello e nello stesso tempo presso a poco come l’aveva indovinato. Sì, è vero : il nudo non è così tentatore come il seminudo ; la donna adamitica non è così tentatrice come la donna raffinata che ti fa indovinare e sognare quali gioie ti saprebbe dare. Il corpo nudo della prostituta è meno illecebre e voluttuoso di quello della studentessa novecento dal petto indovinabile e semiscoperto , dalle gambe in fuori con quella leggiadra fossetta sotto il ginocchio e le anche che si dibattono sotto la gonna stretta e svolazzante. Procace il petto osservato dal di sopra fra le strette del reggipetto e procace il buco indovinato in fondo alla fuga delle cosce raccostate, sotto il palmo di stoffa della culotte, tra la rotondità delle anche che si accostano e formano un

solco che tende a morire in fondo con una linea sì dolce e ondulata con giochi d’ombra e di luce che circonda le rotondità carnali, le avvisa qua, le nasconde in una penombra più in là. E quella carne giovane, di vent’anni, che non è meridiana, che non è acerba, ma è matura, ma è fresca e ti darà i bruciori, tenera quasi di fanciullo e ricca di promesse, inviolata. __ Maledizione ! Perché sono nato impuro e libidinoso ? ( Segue gran parte della Digitale Purpurea del Pascoli, con la cui eroina m’identificavo). 28/10/1947 La nudità è relativa. Non c’è parte del corpo umano pura e parte impura, non c’è parte tenttrice e parte innocua. Se si riuscisse a diffondere il nudismo tanto di guadagnato. Anzi i vestiti sono un ritrovato della libidine. La donna abitualmnte nuda fra nudi non produrrebbe maggior impressione di una coperta e inguainata da capo a piedi. Per chi è abituato a veder solo quattro palmi di volto e le dita e due mani desidera e concupisce la donna allo stesso modo di chi è abituato a vederla nuda, nuda totalmente senza neanche la foglia di fico. Si distingue e si giudica tra naso e naso, tra occhi e occhi. Si distinguerebbe tra inguine e inguine, tra pescia e pescia come le donne giudicherebbero tra fallo e fallo con la stessa indifferenza con cui giudicano tra zigomi e zigomi. Il moralismo in quanto antinudismo è un male. Gli occhi di una donna avevano per il Daniele del ’44 lo stesso fascino delle gambe e i seni per il Daniele 108


del ’46, della curva delle cosce, della pelosità del monte di Venere e meglio, in campo di concentramento maschile e femminile : studio e della pescia per il Daniele del ’47. Verrà il tempo, e sarà presto, in analisi dell’istinto di congiungimento forzatamente impedito. cui anche quete cose saranno nel ruolo elle cose ordinarie, Graduale diminuzione del riserbo e pudore, scomparsa del abitudinarie, indifferenti. Dunque il senso morale è in fondo una nobilesco senso della cernita e della scelta, di quell’insieme che sovrastruttura mentale, più o meno rigido o elastico o assente accompagna e raffina il puro fatto materiale per la ricerca addirittura, secondo il diverso ambiente educativo. La signorina lancinante del membro o dello sfintere complementare : un dell’800 metteva nel mostrar la caviglia la stessa civetteria che uomo=un fallo ; una donna=uguale una pescia. Complementarità e quella del ‘900 mette nel mostrare una bella gamba, e che la completezza dei due sessi studiata nella loro forzata, lunga e assoluta separazione. ballerina mette nel mostrare una bella coscia e la prostituta una bella pescia e due belle mammelle. Quando costei scherza ed agita e 30/10/1947 titilla il fallo dell’avventore lo fa con la stessa indifferenza con cui una signorina molto per bene scherza con le mani del futuro marito. Ho terminata, in Biblioteca, la lettura del « Piacere » del Tutto è relativo a questo mondo, la verità come la moralità, il bello D’Annunzio. A Morra, durante le vacanze, ho letto « Il fuoco ». come l’utile. L’assoluto non esiste : ce lo costituiamo noi. Forse è D’Annunzio non è certo romanziere : gli manca la gioia di vera quell’osservazione epicurea che la paura creò gli dei. Forse una raccontare. Trasfigura, analizza, descrive paesaggi e stati d’animo sola cosa è certa : essere, la bontà di essere, l’istinto di essere e estetici. E’ noioso, come una perpetua cantilena d’invasato. Anche questo è bene : tutto ciò che accresce in noi l’essere. Una cosa sola è l’amore, anche il piacre è descritto ; non è sentito, non è narrato. E male : tutto ciò che diminuisce in noi l’essere, che ci priva di una poi, in genere, un amore fittizio, cervellotico, fuori del tempo e dello particella pur minima di essere, che ci avvicina al male assoluto, al spazio. Gli manca il senso elementare psicologico, l’osservazione niente, alla morte. Uno è l’assoluto positivo -­‐bene-­‐vero-­‐utile –bello-­‐ oggettiva, realistica della cosa. E’ un estetomane. Le finzioni e le essere, la vita. Uno è l’assoluto negativo –male-­‐falso-­‐disutile-­‐ allegorie preconcette gli proibscono di gustare la realtà nella sua brutto-­‐ non essere, la morte. Chi ci renderà immortali? Chi ci integrità. Non ha nella realtà osservato quella testa di donna, quel impedirà di morire, di non essere più, di trasformarci, di evolvere, di profilo di naso, quella intensità di sguardo, no. Ma ricorda e da trasmigrare ? Una cosa è buona : quella continuità sostanziale, erudito sa che il Perugino ha dipinto una testa, che quel profilo di ricettiva di tutti i fenomeni : l’io vivente ed essente. naso è in un primitivo senese, che quello sguardo è in Botticelli o in -­‐-­‐-­‐Quadro allucinante di impotenza sessuale forzata : in carcere o, 109


Leonardo. La realtà se fosse così risponderebbe a una sua particolare armonia : per cui la deforma e l’inquadra in quel suo scenario preferito, secondo quei suoi ritmi prestabiliti. Ecco, io amerei così, il mio senso estetico – più o meno dubbio-­‐ mi farebbe muovere così. Per cui ne risulta una monotonia, una fissità spaventosa in tutti I suoi personaggi: dovunque e sempre è D’Annunzio, l’esteta, il prestidigiatore, il principe romano, l’erudito, il mosaicista. Le sue « pure » sono sensuali, le sue sensuali » sono pure : tutte scialbe e dubbie, fuori della realtà, moventisi in una atmosfera d’uno strano, personalissimo e irritante soggettivismo. Donna Maria Ferres nelle sue aspirazioni pseudospirituali è sensuale come una bagascia e quelle sue prestigiose mani sanno di postribolo, ripugnanti come quelle del lord inglese che sanno tutti i segreti femminili, tutte le impurità. Ed Elena Muti nelle sue smanie erotiche è così poco sensuale come una che non conosca il piacere. Si legga in Cronin, ad esempio, nel « Castello del cappellaio » il fare sornione e ingenuo dell’ostessina che vuole esser posseduta e in « Le chiavi del regno » il dialogo della cugina con Crisolm nel frutteto con quella trovata « Se chiudi gli ochi, ti dò una bella cosa » per aver l’esatta sensazione della carne viva che vampa un suo soffio caldo e lievita e s’apre sensualmente come la pescia sotto il pene, per sentirsi subito in un’atmosfera di promiscuità. Il presunto mago contamina purtroppo ciò che tocca e tra le sue mani il gelsomino e il giglio è putrido come un letamaio e il letamaio manca dell’aria calda e stordita del carnaio. Quell’eterno temporeggiare della donna che non si concede per dei motivi che rientrano nella armonia

prestabilita ed esulano dal guazzabuglio del cuore umano è così poco naturale come quel concedersi così a ogni pié sospinto senza motivo e senza gradazione. Quando la donna è presa e sente il sangue nelle vene bruciare come una fiamma, apre senza indugio le gambe e dice « vieni » senza indugiare alla bocca o peggio agli sguardi spirituali. Tanto più che nel caso di Maria Ferres non capisci quale possa essere il motivo del ritegno, quando già lo spirito ha capitolato, concedendosi. Poi una realtà, che come si è visto, non è reale, ipostatizzata, scinta e separata dai suoi concomitanti, una corda sola isolata da quell’insieme che invece l’accompagna sempre, ha il sapore del fiore di serra malato, strappato alla sua terra e alla sua luce. Il fatto umano complesso è semplicizzato, ridotto, scarnificato, adulterato da quel possesso unico e fuori serie d’un sol motivo. I romanzi del D’Annunzio sono dei lunghi poemi perduti nella prosa e appesantiti dal necessario-­‐ se pur ridotto al minimo nel suo stile e nel suo armonioso periodare-­‐ sviluppo discorsivo di questa. In genere è un motivo lirico imborghesito a romanzo. Nei secoli precedenti un altro scrittore ne avrebbe fatto poemetti erotici, visioni allegoriche o poemi epici che volete voi. E il giro e l’armonia di determinate stanze non avrebbe affaticato e scocciato il lettore come quell’infinito viluppo descrittivo, declamatorio e lirico, senza anima narrativa. 1/11/1947

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In questi giorni ho scritto alla rivista “Coquette”, rubrica “ piccoli annunci” a scopo matrimoniale, il seguente trafiletto: “ Sensuale, cinico, senza ipocrisie superficiali, misogino e carnofilo corrisponderebbe con donna identici sentimenti scopo scientifico approfondimento problema sessuale. » Vediamo se e da chi e come il mio originale appello sarà accolto.

–l’io-­‐, poi l’altro, poi gli altri, poi la natura, poi l’universo, poi Dio o il caso o la morte, il dolore, la verità. 10/11/1947

La donna è una preda desiderabile perché è una preda rara. Se tutte le donne si concedessero a richiesta, molto della poesia e della voluttà che si prova nel possederle andrebbe via. Perché in fondo -­‐-­‐-­‐Ricorda il prigioniero di Pascoli. L’uomo è un mistero che si non è solo il piacere a far apprezzare la donna. Forse il rimanda all’infinito, una serie infinita di cerchi concentrici, al cui congiungimento aggiunge ben poco all’eccitazione unisessuale. Ma centro è lui e al cui termine è il riso della sfinge che illude e delude -­‐ è il sapore che quell’istante è conteso, non è concesso a tutti e invano e sempre !-­‐ sempre, è il senso della vittoria sulle resistenze che colora d’un Primo mistero l’individuo, il mio io cosciente e subsciente è un nodo sapore tutto particolare il congiungimento. E’ vero che il piacere insolvibile. Gli altri individui singolarmente e complessivamente venereo è il più intenso che ad uomo sia dato godere, perché presi nelle forme dell’amore, dell’amicizia e della società. Poi il partecipa d’una commozione fisiologica e d’una emissione di mistero della natura , questo essere terribile e bello che ci plenitudine che gli altri piaceri non hanno : si esprime da sé con illimpidisce in una sua alba o in una sua notte di luna e ci annienta gioia qualcosa di cui ci si sente pregni e la si dona a un’altra perché in un leggero scotimento della sua supeficie, indifferente, gaia e qualcosa di nuovo sorga : creare nella gioia, meglio, nel piacere : è crudele. Poi il tutto, l’universalità dell’essere, il caso che regge e attributo divino. Ma non vi sono forse piaceri d’una intensità quasi governa, distribuisce, dona, toglie, approva, condanna ecc. Il simile ? Una bella pesca per uno, affamato ed assetato, con i suoi mistero individuale e personale mi rimanda al mistero universale e colori, col suo odore, col suo sapore, col suo possesso non dona una l’universale all’individuale. Forse giù, giù, via gioia, un piacere vivissimo? Pur ammettendone l’inferiorità come via, sperar che cosa ? La sosta ! Il fine! Il intensità di piacere rispetto a quello venereo, penso che il fascino di termine ultimo ! Io, io te di nebulosa in quest’ultimo consista nsoprattutto nel senso di conquista, di nebulosa, di cielo in cielo, violazione, di possesso di ciò che non era nostro ed ora è nostro in invano e sempre, Dio ! ( Pascoli : La vertigine) modo assoluto. Il libidinoso è un grande conquistatore e quanto più Segue il disegno di sei interrogativi concentrici, partendo dal primo 111


la conquista è contrastata, tanto maggiore è il godimento. Per questo la prostituta del lupanare ti è fredda e quasi indifferente rispetto alla signorina molto per bene che ti concede le sue grazie : è la voluttà dell’ignoto, del proibito, come nella popolare canzone : « Fa che io lo commetta il peccato degli occhi, che io veda. » Il godimento, il tatto non bastava senza quell’altro peccato della vista, vedere di peccare. Signorinelle mie, tiratevi le vesti, copritevi, nascondete, nascondete,sigillate il tesoro, rendetelo inviolato. Guai se saltassero quelle quattro dita di stoffa delle brachessine : l’illusione si spezzerebbe, il tesoro s’involerebbe. O meglio, mostrate e nascondete, copritevi di veli falsamente pudibondi, conoscete la forza e la poesia del miraggio : vedi, ci sarebbe tanto, tanto da possedere, giudicane dal poco che ti mostro e dal molto che ti lascio intravedere. Un accenno di mammelle, una gonna un po’ succinta o sollevatasi così per distrazione, una posizione piuttosto promettente con la fuga bianconera delle cosce presa così per inavvertenza e corretta con una subitanea ripresa moralista e un piccolo rossore di sorpresa, vale molto di più d’una carnalità sfasciata e discinta d’una messinscena totale delle parti riposte. 11/11/1947 Rivista napoletana. « Un nastro bianco da te, un nastro bianco per me tanto felici ci farà, un bel bambino verrà (lei a lui). Povera donna, denudata di fronte alla platea che acclama, con quel

sommario perizoma che nasconde appena l’interfeminium, con lo sguardo di mendica in giro per la platea in cerca di un sorriso, di un invito all’alcova ! Quanto straziante desiderio di maternità in colei che madre non può essere, perché ogni sera deve concedersi allo sguardo e al desiderio di tutti ; quanta malinconia in quel « un nastro bianco da te, un nastro bianco per me ! » della ballerina , che il mestiere e forse il bisogno costringe, perché il suo ventre non dovrà mai concepire, perché il uo seno non dovrà gonfiarsi di maternità per la linea, per l’estetica, per la gioia crudele di mille ammiratori : ridi Pagliaccio ! Nel balletto tutte da balie con un neonato di stoppa in mano. Non se ne poteva capacitare una e rideva, rideva , reprimendo a stento il riso per non guastare il numero ! Ecco : una donna che non poteva convincersi di esser madre, che sembrava fuori posto con quel bambino tra le braccia : le era inconcepibile la maternità. Forse l’accoppiamento sterile , senza conseguenze… La scena, sì, la scena l’aveva snaturalizzata. -­‐-­‐-­‐Seduto a fianco di una parvenue. Tipo volgare, pettinatura alta, capelli rosso rame, larga giacca di pelliccia, vestito non troppo a proposito ma con le pretese dell’ultimo figurino. Arricciamento delle narici tra il fumo assiduo delle sigarette : « Uff, dove son capitata stasera, che brutto posto ! » Uno sguardo provocante a un giovanotto, un’occhiata distratta alle dita cariche d’anelli, con le dita smaltate malissimo. Una rivista femminile tra mano. Uno sguardo, tre, cinque righe lette e poi un’altra occhiata. Il marito. « Buona sera, caro, verrai a prendermi a mezzanotte. Finirà di sicuro a mezzanotte. » A un giovanotto : « Perché avete riso quando stasera 112


sono entrata al caffè ? Tutti vi siete voltati a me, uomini e donne. » Gli occhioni neri di lui in quelli sensuali di lei. « Sai, nulla : la figura, la distinzione, il vestito, il più lussuoso della città, il fascino che emana da tutta la tua persona ». Una vampata di sensualità e una fiamma di desiderio negli occhioni neri di lui. Accostandosele : » Sei bella, affascinante, irresistibile. » « E tu-­‐ lei a un altro-­‐ cosa avevi da ridere ? » « Niente, signora, niente : io non ridevo. » « Va bene, va bene. Ciao, ciao ! » Ora lei s’interessa degli uomini e questi cominciano a interessarsi di lei. Dalla barcaccia una elegante signora la smircia con superiorità e domanda chi sia. Alzate di spalle. Un po’ di lettura, sopraggiungono due signore conoscenti, popolane. Le si siedono davanti. « Accorta, cara, mi rovini le calze « . Sorriso. Le due brave popolane si scambiano le impressioni ad alta voce. « Sssss… non si parla ad alta voce. Sorriso.

tra le cosce. » Ad alta voce tutto, seduta tra uomini e giovinotti, che guardano intelligentemente la signora promettente, senza peli sulla lingua. Le popolane : » E come si fa ? » « Venite qualche giorno a casa mia e vi farò vedere. Che corpo, mie care, che corpo. Il mio nudo, solo la testa cambiata, esposto in un negozio di radio ( tono e sorriso intelligente ; quanti sguardi maschili su quel corpo nudo, sul suo corpo nudo). Poi sul marito : » Io sposai quell’uomo, perché avevo 18 anni : non capivo, non capivo. Ora…ora…ma… » Età delle giovani signore popolane, di cui una 18 anni. « Quando avrai 21 anni verrai sotto di me, devi venire con me. » ( Forse è manutenziera di case equivoche : ne ha tutto l’aspetto e i modi). Sorriso tra sfacciato e pudico della diciottenne, che parla, parla di suo marito, del matrimonio , delle delusioni ecc. , poi va al bar. Una delle due signore : » Io, mia cara, non faccio come quella : sempre in giro, nei caffè, a cinema e la sorella scalza e il marito come uno sciattone. Io sono venuta qui, sapendo mia sorella e mia madre felici e contente a casa. Non così. » Sopraggiunge la diciottenne dal bar, ricomincia il cicaleccio e le mosse e gli sguardi intelligenti. La parlata volgare in dialetto catanzarese con le pretese d’italiano, smoking da cui scappa fuori l’abito di arlecchino.

Dopo il primo tempo, scambio di vedute sulle ballerine. Si avvicina una maschera, le parla col tu : » Tutte brutte, se le vedessi da vicino, fanno compassione. » « Sì, solo un paio belle. Tutte brutte le altre donne », intervengo io. Guardi, signora, qui (Coquette), queste son gambe e questo è seno ( scandalizzate le popolane). Guardi questa tedesca. » « No, mi dispiace, ma le tedesche non sono belle donne. » « Dovunque, signora, si trovano le donne belle. » « A Parma, a Parma, che gioventù, che bellezza. » 12/11/1947 Io continuo a sfogliare la rivista di donne nude . – « La donna, interviene lei, per esser bella di gambe, deve saper Seconda visita al postribolo, fecondazione con profilattico, una tenere tre monete, una tra le caviglie, l’altra tra i ginocchi, la terza bolognese. Niente di nuovo, o meglio , poco. Più perfetta aderenza e

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miglior lavorazione di lei : unione quasi perfetta dell’inguine con l’inguine : l’arco aderente all’arco, onde calore e polluzione quasi spontanea. Lavorazione del pene con la bocca. Senso di disgusto a vederlo prendere in bocca, così senza neanche pulirlo, ma poi l’espediente si è mostrato efficace: altro è la mano, altro la bocca. Si ha il senso della penetrazione, della cavità, della sfericità calda, che ti eccita e fa affluire il sangue. Il pene è rimasto sporco di rossetto : labbra, labbra, quanti sogni e quale realtà: non l’avrei immaginata una tale abbiezione. « Vuoi che lo baci ? » « Faccia lei, signorina. Ma deve esser molto duro questo mestiere ! » « Eh ! altro… » « Io, credo che sia il più avvilente per la donna . » « Proprio; pochi avventori oggi. » «Giornata di magra. » »Eh ! finisce la quindicina. Posdomani si parte. » « Ma questi spostamenti sono comandati dall’alto ? » « Ci mancherebbe altro : ci spostiamo da noi stesse, poco alla volta. » « Così da Bologna è venuta in Calabria ? » « Già ». 16/11/1947 Coloro che mi circondano e che per un momento avevo creduti disinteressati hanno dimosrato d’averne troppo di me. Controvoglia, già, mi si sopporta ; non solo, ma il parenre povero, figlio di famiglia non per bene, ha anche delle pretese…e come… La serva si lava le mani col sapone mio da barba e oso anche, non lamentarmene, ma render palese il fatto… ; questo significa aver delle pretese…Non volevamo, non volevamo, meno male che questo è l’ultimo anno

ecc. E poi in altre occasioni : Oh ! mio nipote, un bravissimo figlio, un figlio d’oro. Dal primo giorno sinora non mi son mai pentita d’averlo ricevuto in casa, lo tengo come un figlio ecc…Savoir faire… La bontà e il disinteresse sono delle astrazioni. La vita è un’ingiustizia : homo homini lupus. Non ho ancora i denti, quando li avrò li azzannerò. Il bene non esiste, l’egoismo è la molla della vita e dell’universo, che è basato sull’assurdo e sull’ingiustizia. Sento in cuor di disprezzarli, di poterli disprezzare. E’ vero, padre Dante : Come sa di sale lo pane altrui e com’è dura cosa lo scendere e il salir per l’altrui scale. E questi sono i buoni, i filantropi ! Che vi venga un accidente. 20/11/1947 Rivista Rabagliati-­‐De Vico con il trio Holt. Bellissimo spettacolo, bellissime ballerine. 21/11/1947 Vita, che sei ? La virtù è insufficiente ; il vizio disgusta, consuma e non soddisfa ; la scienza illude, acceca, delude, sterilizza ; l’azione prosaicizza, abbrutisce, disperde. Vita, che sei ? Cumulo di assurdi e di sofferenze, torchio d’interrogativi senza risposta, peso insopportabile e dono unico di cui si è certi. Vita, che sei ? 22/11/1947

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La bellezza e la ricchezza mi offendono perché superbe ; o meglio, le donne belle e le ricche , che portano a spasso il loro sfarzo insultante e gelido. Loro non sanno che sia il soffrire : sono abituate a far soffrire. Solo loro mi sento capace di far soffrire : d’illuderle, di deluderle, di abbandonarle. Unica è la religione : quella del dolore. Un muro corre tra miseria e ricchezza : si corre, si avanza senza possibilità d’incontri, insultandosi per quella gran necessità di farsi male, ch’è in tutti gli uomini. E chi ha edificato questo muro si è voluto divertire delle soffrenze umane o ha voluto nascondere in ciò un suo grande segreto. Il dolore è un mistero, un segreto e una beffa, una irrisione del nefando poter che ascoso-­‐ a comun danno impera. 23/11/1947 Sera. XY sulla stufa, col bacino sulla sedia bassa, le gambe in alto semiaperte; gonna tirata indietro, fuga carnale delle cosce sino al buco. Gambe strette, ogni tanto leggero moto di apertura e biancore caldo di carne proibita in fuga sino all’ombra che cela il mistero. Turbamento fisiologico, curiosità viva di spiare, d’intravedere, di possederla con lo sguardo, di scoprire l’Eldorado che ogni gonna nasconde. Eppure della donna conosco ormai tutto ed ho provato su di lei tutto. Non ancora, però, passionalmente ; senza lotta, senza sentimento, carne comprata con 150 lire, offertasi nuda, senza reticenze e senza esitazioni. Eppure era una carne matura, completa, feminina, non in potenza come questa, che

appena si ricopre delle voluttà della pienezza. Quella piega tenera delle cosce, quella carne che deve essere calda, bruciante nel possesso, il resto, il più, nascosto nella penombra hanno più fascino su di me che la carnalità nuda delle prostitute e delle ballerine. Quell’accenno acerbo di seni sotto il pullover leggermente in fuori, quasi in aspettativa, sinuosità di petalo che aspetta la rugiada di un bacio e lo dona inconsapevolmente. 3/12/1947 La vita non è solo l’oggi, ma l’ieri e il domani. Niente più mi attira perché sono troppe le cose che mi attirano : è passato il tempo dei grandi ideali. Siamo nella realtà di ogni giorno, forse alla ricerca della grande realtà, se c’è. Ad ogni giorno basta la sua pena : la ricerca, l’esperimento, l’incontentabilità sono al fondo del mio spirito. D’una sola cosa ho paura : della morte, dell’ignoto, cioè, del non essere, forse ; perché voglio essere qualcuno, voglio esprimere qualcosa. E non lo sono e non l’ho espressa. Voglio essere nella vita anche se per bestemmiarla. -­‐-­‐Ritorna nel sogno XY come la creatura della mia lussuria se non del mio amore ; e la sua mano, afferrata e stretta di sorpresa, un bacio lì sulla mammella o il concedersi e il donarsi rivestono tutti i caratteri del vero amore. Perché sono una creatura senza amore io, perché la maschera mi è calata costantemente sul volto e a lungo andare è questo un mestiere che stanca. Godere delle gioie altrui, soffrire delle pene altrui, gioie non sentite, pene non condivise, povera maschera, è 115


atroce il tuo mestiere. Ogni tentativo di solitudine è pazzia : l’uomo da solo è incompleto e la felicità è una eterna meta mai raggiunta, perché sempre spostantesi e risorgente. 5/12/1947 Passeggio, sfottò con le signorinelle. Con due o tre compagni appresso a tre o quattro signorine : « Come son belle, che belle gambe. L’amore è forte come la morte. Che occhi e che capelli. La solitudine, che brutta cosa ! ecc… » Appena seguite, sguardo d’intesa : si sentono braccate. Poi la prima confusione. Qualcuna più timida consiglia la ritirata ; altre più navigate segretamente compiaciute sperimentano la cosa : « Potete anche finirla. » Si insiste. Per ora ancora niente. Alle volte è mancato un capello per fermarle. In seguito forse si fermeranno. La compagnia aizza gli spiriti : senatores boni viri, senatus mala res. 10/12/1947 « Giorni perduti » con Ray Milland dal romanzo omonimo di Jacson : grande lavoro,vero, vero. Resa benissimo la necessità per l’alcolizzato di bere, bere, bere. Ogni passione, ogni grande passione è un ingranaggio, in cui guai a esser presi. Specialmente ciò riguarda quelle passioni che hanno radice nel fisico e agiscono più direttamente sul fisico : come l’alcolismo, come la libidine che conduce alla tubercolosi. Su questo tono di Jacson potresti scrivere il

tuo libro, il libro del tuo sogno, della tua realtà, del destino, della nemesi che infrange e ride dei sogni degli uomini : « Libidine ». 3/1/1948 Ritorno da Morra, dove mi sono trattenuto una quindicina di giorni per Natale. Sul treno Codola-­‐Nocera un orecchione : signore anziano e ben vestito nella semioscurità dei carri-­‐bestiame si avvicina e gentilmente interroga su quelle solite cose di due che s’incontrano in treno. Prima aveva poggiato un braccio alla mia destra, stando io poggiato alla parete del carro, così da isolarmi e mostrarsi confidenziale anche nel gesto. Lentamente, quindi, con la destra nella tasca del cappotto comincia a premere verso le mie parti virili. L’azione s’intensifica. Comincio a capire : curioso del fenomeno lascio fare. Divenuta quasi esplicita l’azione, domanda:”La disturbo io forse?” “ No, perché?” Continua, caccia la mano di tasca, l’insinua nell’apertura del cappotto, cerca il mio pene. Mezzo infastidito : « Ma che, soffrite di qualche malattia ? » « No, così, ogni tanto mi capita ; perché, vi è successo qualche altra volta ? » « No, ma l’ho capito studiando. » Incalza, ha quasi afferrato il mio pene. Disgusto misto a compassione. “ Beh! Lasci stare ora.” Continua, affannoso, servile, femmineo, libidinoso, nervosa; lo cerca cn furia, lo vuole, lo stringe. “ Ho detto lasci stare.” Un ultimo tentativo, poi :”Ora siamo quasi arrivati”. Si allontana: resto curioso, disgustato e compassionevole per la cosa. 4/1/1948 116


A sera, al casino : una barese, bella, femina. Si spoglia, « Che guardi ? » « Niente. Di dove è lei ? » Barese e tu ? » « Napoletano. » « Ah ! napoletano », segno d’intelligenza. « Voglio vedere se lei mi fa provare una sensazione nuova. » Ride divertita. Ci stendiamo. Non lavora di bocca. Ha le mammelle abbondanti in un velo nero. Passo la mano sopra. Scopre e mette in libertà la destra : bella massa carnosa, con il capezzolo diffuso, non appuntito, caffè latte. Le passo una mano sotto, grida : » E’ fredda la mano. » Accosto la guancia alla sua per possederla : mi stampa un bacio sulla guancia, insinua le mani sul corpo, cerca le mie mammelle, cerca, stringe i capezzoli ridendo divertita. Comincia il moto ondulatorio : il seme non viene. Fastidio da parte sua, la salariata. « Sono un po ‘ duro, lo pigli in mano. » Eseguisce seccata. Lo agita piano e con malanimo. « Viene ? » « Faccia più svelto. » « Mi sono stancata. », cambia mano, niente. Rificco. « Se sei così ora, a trent’anni non servi più. » Resto male alla più grave offesa che la femmina possa fare ad un maschio. Ad ogni modo la salariata è sempre più seccata : pensa agli altri che apettano, alla durata della seduta. Tento con sforzi di fantasia di render voluttuosa, mia quella carne : lo sforzo non riesce. La prostituta sopravvive, fredda, invincibile. Ad ogni modo il movimento disperato ed ansimante produce il suo effetto. Non aspetta neanche che sia finito il godimento, invita a scendere. Ripete : « Se ora da giovane sei così freddo, a trent’anni non servi più. » Non rispondo, mi compongo, usciamo. Unico motivo, quel riso di donna che scherza nel possesso abituale, il primo ; i primi non saranno stati così : Eros, il grande dio,

avrà sconvolta e resa fremente la sua carne ; e quella massa calda e carnosa della mammella abbondante -­‐ non troppo, s’intende, non materna-­‐ nuda e trionfante come un frutto esotico e prelibato sul petto giovane. Forse non andrò più al postribolo, almeno per un pezzo : il fatto non mi diverte, la carne venduta non m’attira, mi fa ribrezzo, mi spoetizza, mi disensualizza. Seguo con più interesse il volume crescente delle mammelle di XY sotto la maglia beige ; il suo piccolo, misero, acerbo petto di 16 anni mi darebbe gioie sconosciute nel possesso agognato, sognato e contrastato gelosamente dalla demi-­‐viergeté. E la sua pescia, poi, quella sì che ecciterebbe. La donna deve congodere, consentire, consensualizzare, coagire, carne contro carne, carne mia, serbata al mio piacere, soprattutto carne caduta, presa, arresa, agognata, bramata, conquistata, conquistata. 14/1/1948 Il Cristianesimo ha reso la foemina donna perché col suo spiritualismo l’ha resa più schiva, più pudica, più inespugnabile. Sulla divina nudità di Afrodite Cristo ha gettato un velo molto spesso, che ha chiuso la donna in una torre d’avorio, regina e sovrana del suo corpo negato. L’amore ha assunto un nuovo significato. La conquista della donna ne è stata complicata, il suo segreto ne è stato potenziato. Cos’è la donna ? E’ il sigillo di un mistero che non esiste. Guai a rompere il sigillo : qualcosa di inafferrabile va via, o ,meglio, forse ci accorgiamo che sotto non 117


c’era niente. E’ un motivo, la cui bellezza sta tutta nell’impararlo ; imparato, contenta per un momento, poi annoia. La donna è carne, è un complesso potentissimo e originalissimo di sensazioni. Viva la carne che si promette e non si concede ; concessa è morta, ha perduto il suo segreto, né lo riacquisterà mai più. L’unica concessione che la donna possa fare è per un uomo solo : guai a saperla concessa ad un altro : sarebbe la fine. E la calma fedeltà coniugale di alcuni è il protrarsi nel tempo del mistero che velava quel segreto, che si è svelato, ma per noi soli. Il matrimonio dopo il primo anno è il sacramento delle memorie, che si vanno man mano estinguendo e la sua poesia è più nell’aspettativa che nella sua realtà. Immaginarsela quella prima notte d’amore, con quella donna, lei, così riversa e abbandonata per il tuo piacere, qui è tutto : una parola d’ordine , il cui fascino è nel tentativo di conoscerla. Poi è memoria, poi abitudine, poi forse rimpianto. 15/1/1948 Eccito furiosamente il mio pene, m’esalto in esso. « Tu, mia realtà contro ogni disillusione ; tu, potenza di carne, di cui mi sento padrone ; tu, piacere pudico, in cui mi sento io, in cui sento la possibilità del mio piacere, intimo ; tu, potenza e intensità, illimitato e forte contro ogni mia impotenza, povertà e limitazione ; tu, mio confidente e conforto, che conservi un po’ di gioia per tante pene ; tu, che realizzi tutti i miei sogni, per cui tutte le donne ti sono davanti, nelle quali penetri e succhi e doni il piacere contrastato ; tu,

povera cosa del mio corpo, che godi d’una sofferenza, simbolo tragico del mio destino di sensuale, che mangi la mia carne, indebolisci il mio essere e me lo dai in pasto ; assottigli me per rendermi più me, che consumi me per arricchirmi ; che mi rattristi per consolarmi, veleno e gioia di tutta la mia vita ; mio inferno e paradiso, t’adoro e ti maledico. Tu sei ; e sii ; se non fossi !, se non fossi !; in te sono e non sono ; sintesi ; divenire, sepolcro e culla, serpente tra le mie mammelle, nutrito per il morso finale ; vita intensa per non essere, canto di lima, che rode e consuma, oh ! tu fossi, oh ! tu non fossi, t’avessi, ti perdessi, ô douceur, ô poison ! ( Baudelaire) 16/1/1948 A cinema « Il ritratto di Dorian Gray » da Oscar Wilde : opera meravigliosa, profonda e tragica. « L’anima mia mandai negli alti spazi-­‐ i segreti a cercar del regno eterno.-­‐ Essa discese a me così dicendo :-­‐Io sono il Paradiso e son l’Inferno. » Sul concetto di questa quartina di un poeta inglese si svolge la trama del film : il disperato desiderio di restar giovane appagato, mentre tutte le brutture morali e l’opera del tempo si faranno sentire sul quadro, che un celebre pittore ha dipinto di Dorian Gray. La prima disillusione fa tramontare la fede nell’ideale e nel bene : unica legge il piacere, unica norma la ricerca di sempre nuove forme di vita : viver le mille esperienze che la vita offre al di là del bene e del male, anzi soprattutto nel male , dove l’uomo si sente potentemente se stesso, 118


originale, inconfondibile, fuori della turba o dei suoi pregiudizi semimorali. Il fisico resta giovane, bello, sorridente, l’anima invecchia, imputridisce e con lei il suo ritratto. Simpaticissima la figura del cinico, che ride e irride tutti e tutto, specie l’amore, il matrimonio e le donne. Battute originali, proprie dell’humour inglese. 4Potentissima la prima scena del III Tempo : uccisione da parte di Gray del pittore e orrori del quadro alla luce e all’ombra della lampada che ondeggia. Opera molto decadente, satanica, a sfondo filosofico, sofferente, cinica, con l’inferno e un po’ di paradiso in quell’inferno : la mia realtà, il mio mondo, la mia arte, la mia sensibilità. YZ attacca con un baronetto di Cosenza : l’amore ???? Un uomo, movimenti e sensazioni di pene e di pescia, nient’altro e la donna ne è convinta. XY « cazzo » ecc. : le pudibonde, le sensuali signorine per bene. Perché allora non passano all’azione ? Che direbbero gli altri ? Che direbbe il mondo ? Tutto e solo lì, già. Ideali ? Ameni inganni. 21/1/1948 Bisogno d’amore, bisogno della donna. I dieci anni di collegio sono totalmente negativi : sono un ritardatario nella vita e lo sento. Un Intelligente con memoria debilitata, senza volontà, a 23 anni povero, ancora al terzo liceo : un prefallito. Rido di me stesso, della mia tragica realtà. Eppure mi sento fuori del comune ; sento di sapere e dover fare qualcosa, per cui non passerò inosservato. Ma

forse è la solita pretensione di tutti gli illusi, di tutti gli impotenti. Credevo al Paradiso e alle cose pure e nobili ; ora non son lontano da nessuna bruttura e, se sogno il Paradiso, è quello del denaro. ( Due pagine strappate) Queste pagine sono state forse strappate da mano femminile. Le donne in me non avranno certo un difensore e la morale dei bempensanti non avrà certo a lodarsi dell’attività possibile di questo omuncolo che non vorrebbe ed è scontento di essere tale. Godo della donna sensitivamente : la sua anima è uno scambio di sensazioni, è la sua bocca, il suo seno, le sue gambe, la sua pescia, i suoi capelli, i suoi occhi ,il profumo e la vertigine e il calore che spira da lei. Sento di non amare nessuno. Mia madre, forse, ma è un amore di pianto e d’impotenza. Mi sento assolutamente solo e la mia solitudine mi rende più cattivo, irresponsabile. Povero Daniele, saresti stato forse qualcosa se qualcuno avesse rivolto a te il suo amore. Ora sei senza Dio, senza fede, senza ideale, senza volontà. Ogni giorno è un peso e un rimorso di più. Vorrei non sentire, non capire, vorei essere pietrificato, insensibile, perché un senso di angoscia e di paura è il fondo che nessuna cosa può far sparire dalla mia anima. Per il fatto sensuale, poi, nessun rimedio : non ci ha potuto la sopranatura, non ci può la natura : forse è la mia condanna, forse sarà la mia bestemmia contro il tirannico donatore. E gli altri intanto godono e portano a spasso il proprio piacere e la propria superbia. Ridi, Pagliaccio, della tua risata larga, cattiva, 119


dimenticatoria. Nel tuo riso disprezza e maledici tutto e tutti, perché sei nato infelice, perché sei nato minorato. E’ questa la tua vendetta. Non se l’abbiano a male le pudiche e i bempensanti se non credi alle favole di coloro che non hanno sofferto come te. 24/1/1948 Tutto il mio essere, anima e corpo, è una ingiustizia, un assurdo, una ribellione : matura la fine, il crollo e forse la rivoluzione, la bestemmia. Mi sento troppo solo, troppo misero, troppo impotente, troppo maltrattato dal destino. Ogni altro uomo è un insulto per me. Io stesso sono insopportabile a me. Sento di non amarmi, sento di odiarmi, sento che qualcosa di sordo urta e rugge sotto le mie costole e vuole uscire : la bestemmia del dolore, della lussuria e dell’impotenza. E sento che quest’io dalla lotta uscirà sconfitto, perché nel gran tutto è insignificante la voce dell’uomo Grassi. Una ferrea legge, uno scherno feroce ci ha chiusi nelle torri dell’egoismo più esasperante. Le mie segnalazioni mute di dolore e di sconforto non sono, non possono essere raccolte. Che anzi questa sfiducia le strozza in sul sorgere. Sono uno spirito preminentemente chiuso. E’ questa la storia d’un isolamento, del disgusto, del terrore, della miseria e dell’idolatria dell’io. Che m’interessa degli altri ? O vita tre volte maledetta : mi hai creato al dolore, alla rabbia impotente, al desiderio eterno, all’eterna insoddisfazione, al ghigno eterno, al riso feroce. Toglimi questa possibilità di deridermi, questa capacità di comprendere, inebetiscimi e sia contento del paradiso dell’imbecille.

Ottundi la mia sensibilità, potenzia la mia atonia : che io non vegga, che io non senta, che io non ricordi, che io non mediti, che io non paragoni Perché esisto, perché sono al mondo ? A che o a chi giova il mio dolore, il mio tormento ? Quale Malignità suprema si diverte alle mie spalle ? Quale incoercibile potere mi isola e mi scaccia dalla festa della vita ? Perché la solitudine, perché l’aridità, perché la povertà, perché la bruttezza, perché l’ignoranza, perché capire queste cose, perché non ignorarle, perché il male, perché il bene, perché i perché ? Orrore e bestemmia dovunque, bestemmia e orrore : un’uscita, un buco, maledetta torre d’esilio, maledetto carcere, maledetta vita. Perché il piacere, perché la sensualità, perché la fregola, perché la fuoruscita della vita, perché il piacere della fuoruscita ? Perché il mio corpo s’indebolisce e cade, perché la donna, l’amore mi è negato, perché questo bisogno organico e questa condanna organica ? Il piacere è il mio dio, il piacere è il mio inferno. La donna è un male, la donna è un bene ? 27/1/1948 « Mio Dio, come appassiscono le rose ! » Cominciano nello sputo a delinearsi le prime macchie di sangue : sono tubercolotico. Doveva finire così. Accolgo la cosa con un senso di fatalità, di cinismo e di bestemmia. Non si parli di libertà, di bene, di male, di felicità, di puri e d’impuri. Sono necessariamente un impuro. Non ho vissuto la mia vita. Mi sento venir meno. Non combatterò il male, non lo dirò a nessuno. Solo con la mia sorte, per 120


soffrire e per morire, per maledire : d’esser vissuto ,indarno, di non averla sentita la favola breve, di non aver potuto credere, di non aver potuto sperare. E di non aver potuto amare. Parto dalla vita solo ; non amo nessuno ; nel mio intimo, nel mio segreto non è penetrato nessuno. E la morte è una liberazione. E una condanna. L’essere. Avevo pregato, sperato di essere. Comunque, ma di essere. Il soprannaturale sotto tutte le forme mi si sfalda e mi sfugge. Ma volevo studiare, sperimentare quei problemi, quelle verità. Una grande malinconia di finire e di finire così, solo, senza averla vissuta, senza averla amata la vita.. Con la malattia dei grandi, dei sensitivi, dei predestinati a sentire di finire. Forse più tardi la ribellione, la bestemmia di chi non vuol finire. Ora accetto la cosa con superamento : muori, vecchio buffone : ventitre anni e la vita ti ha negato tutto, ti ha estromesso ; megera, addio, sorridi a chi devi sorridere, agli eletti. Maledetta, tre volte maledetta, sei stata come un’amante : ti ho scorta, ti ho ammirata, ho desiderate le tue gioie segrete : hai sorriso, mi hai lusingato e mi hai ripudiato. Bene, sei donna, sei bagascia. Avrei messo a nudo le tue porcherie, i tuoi assurdi e la tua grande realtà di dolore e di piacere. Ti avrei morsa come un’amante, avrei colto furtivamente ogni tuo piacere ; sul tuo seno, nella tua pescia avrei sentito la tua carne fredda sotto la mia furente. Avrei sentito che mi sfuggivi, che m’illudevi, prostituta, salariata. E ti avrei amata lo stesso, d’un amore compassionevole, come una prostituta. Maledizione a te, ingannatrice. Tu, morte, liberatrice, tu, morte, fine e voragine ! –Dostojevsky : » Delitto e castigo ». Nessuno come lui nella

descrizione della miseria, della fatalità del vizio, del delitto, dell’assurdo che giace al fondo della vita. Nessuno come lui amante di quei che soffrono, che sono senza speranza, che si consumano soli nel loro tormento, drammi ignorati, di cui la malvagità gode, di cui si nutre. Raskolnikoff ! salve, o fratello spirituale, con Sonia e con tutta la turba infinita dei piccoli grandi derelitti. Non esistono prostitute e omicidi nella vita : la prostituta, la meretrice, l’omicida è lei, la vita. 9/2/1948 Al casino con una fiumana : una bella bionda, dagli occhi azzurri e dal fascinoso tipo slavo. Mi ha per la prima volta dato la senszione che congodesse. La seduta durata a lungo per la solita ragione della pressione mancante. Me le son gettato sopra e l’ho stretta a me, stretta con forza da farle male. Si è appena lamentata. Mi ha ripetutamente e con passione baciato. Sembra agli inizi della carriera e non ancora operata. Diversità di educazione : una meridionale avrebbe subito protestato e si sarebbe subito ribellata : lei no. Col precedente scherzava e le risa schiette e scoppiettanti arrivavano sino in sala. Povera fanciulla, tanto giovane e tanto bella. 27/2/1948 A cinema « I fratelli Karamazoff » di Dostojevsky, capolavoro della cinematografia italiana. Katiuscia impersonata da una bruna sensuale, quasi mora, orientale. La donna bionda non è la donna 121


sensuale, della sensualità calda e travolgente, della sensualità carnale, grossolana, nera come un abisso, la sensualità dei vortici, delle voragini, la sensualità vampa che affascina e trascina con la voce dell’irresistibile. Introdurre una bionda come sensuale di questo tipo è un errore : la bionda ha in sé qualcosa di bianco, di spirituale, sarà la donna dei sogni non quella dell’alcova. Labbra tumide, occhi neri, capelli neri, carnagione piena, robusta, quasi pingue, bellezza meridionale zingaresca, questa è la donna lupanaresca, l’insaziata, il pozzo della perdizione, la donna dominatrice, fascinatrice che non stanca, ma consuma con la sua carne, che succhia il sangue, che conosce il grande segreto, il morso della carne, la presa di tenaglia. – Ho presentato al concorso bandito dalla Associazione femminile per la pace un racconto « Suor Virginia – da monaca a prostituta », molto libero, molto chiaro, senza peli sulla lingua, pene al

Ad ogni modo sento di non condividere il parere della commissione. Il racconto rende bene e con evidenza ciò che voleva rendere. Approfondisco sempre più la natura della mia arte e della mia vita : la sensualità, la libidine. La donna è il mio paradiso e il mio inferno. Il suo corpo è un incanto, qualcosa per me come l’assoluto, per cui sento che perderò la vita e guadagnerò forse la gloria. Sono così istintivo e necessariamente portato verso di lei che provo le ebbrezze del nirvana. Certo il suo corpo è qualcosa di fatale, di irresistibile ; la sua animalità è di una efficacia sorprendente. Tutte le ebbrezze può

dare, tutte le ebbrezze può ricevere. Come la morte, come la voragine ha la voce incantatrice, nelle sue vicinanze si ha il senso del vuoto e si perde l’equilibrio e si sprofonda. Oh! cosce, oh! seni, oh! reni, oh! Interfeminium, io vi bacio, vi mordo, vi carezzo, vi liscio, con spasimo, con tremore, aspettando, sentendo da voi sorgere il miracolo! Occhioni, labbra, riccioloni, gambe, fianchi, quanta carnalità, quante sensazioni, quali voluttà, che paradiso di piacere è mai aperto pene e interfeminium all’interfeminium. Primo premio £ 6000. Sarò all’uomo, solo che voi vi doniate. E non chiedete niente ! Anzi quello premiato? Non succederà uno scandalo e non subirò le che chiedete è necessario alla frenesia, al delirio che da voi promana ! recriminazioni dei puritani? Adorabile corpo, divino corpo, quanti segreti , quali ricchezze sono in te nascosti. Averti sotto, penetrarti , possederti, intuarmi, identificarmi 7/3/1948 con te , con i tuoi brividi, col tuo calore, con la tua foia, con la tua Il lavoro è stao bollato com’era in previsione, neppure il premio-­‐ libidine, con la tua divinità.Tu, tu, sei tutto, puoi dar tutto. Perisca chi segnalazione concesso all’altro, fatto da XY : alzare il velo che ha detto la donna un male, perisca chi la considera un ostacolo, nasconde le nostre abiezioni è sempre un delitto e si paga; urta qualcosa da evitare. L’accoppiamento è l’atto della più sublime morale, la fecondazione è l’assoluto. Morderla, sentirla la carne come in noi qualcosa di troppo profondo e sentito per l’ambiente in cui in cui si vive, che circola in noi come un fluido misterioso, viviamo e l’educazione che tutti abbiamo ricevuta. l’atmosfera 122


che elettrizza e dà un senso al nostro essere, che ci titilla come il piacere personificato e vuole, vuole perché dia, dia. Dare, conquistare, ricevere, sentire ! Ma la carne non è carne, è qualcosa di più grande, ma la carne è spirito, è sensazione, è piacere, è voluttà, è scorribanda furiosa e obliosa, ma la carne ha profondità che danno le vertigini, ha gioie che tolgono la parola, ha profumi e sapori che stordiscono l’intelletto e la volontà. La carne è il paradiso, Venere è tutto, per lei siamo nati, viviamo per lei, moriamo in lei. La morte è bella. Amore, carne e morte. Quella non è morte, è il piacere al vertice che schianta qualcosa di troppo fragile, che si autoconsuma per eternarsi nell’atto stupendamente bello. Essere, essere, essere, per sempre la donna mia sotto ed io sopra, sempre così ,sino alla fine, finire per ricominciare, strisciare, sfregare carne contro carne, fiamma contro fiamma. Oh ! impotenza di unificare tutte le libidini e tutte le donne e sentirle in un atto solo, unico, pieno, totale, assoluto. Mangiarlo quel mostro di libidine, mangiarmi per non essere altro che quello, da principio sino alla fine, ora e sempre. -­‐-­‐L’arte sensuale ha qualcosa che le altre non hanno. Leggo « Il canto di un pastore » del L eopardi, leggo « A Silvia », o « Il ciocco » del Pascoli : sento il dolore umano nel mio dolore, la giovinezza morta nella mia giovinezza, l’infinito raccapricciante nel mio piccolo finito : un’onda mi pervade e mi lancia nel mondo dei sogni, dei fantasmi, del sentire. Leggo o mi figuro una immaginazione libidinosa : tutto il mio spirito vuoto, arido e nudo, bisognoso d’affetto e di carezze, è proteso verso quel mondo, sento quel mondo dell’amore, mondo spirituale. Ma insieme una forza mi innerva la carne e mi eccita le vie profonde della sensualità, che fanno vibrare l’organismo come un’angia d’organo. E i due moti, i due sentire si compongono, si puntellano,

s’influenzano, si corroborano a vicenda, sì che tutto il mio essere è un cantico solo di gioia, di piacere, di desiderio, pura gioia, puro desiderio, desiderio di tutto. Tutto il corpo e tutta l’anima sono tesi come un dardo, nota unica e multiforme, sinfonica, orchestrale. Sono queste le potenze favolose dell’arte sensuale. Finora una falsa spiritualità ne ha vietato la creazione. Io sento di sentirla e di poterla far sentire. Spetta all’arte decadente, all’arte delle profondità umide e

cieche , dei paradisi neri, far tornare alla ribalta questa sensazione sconosciuta. 2/4/1948

A cinema « La bella e la bestia » di Jean Cocteau, esistenzialista. Questa filosofia e quest’arte offrono delle grandi possibilità ; unico difetto, forse, l’allegoria un po’ spinta che rende alquanto imprecisa l’interpretazione e faticosa l’opera d’arte. Dunque vi è nell’amore il principe Splendore e la bestia e quando questa con il suo senso umano d’inferiorità, di bruttezza, di minorata (« Sono bestia io, sono orribile, ti ripugno. Cosa resta alle bestie se non menarsi per terra e morire, quando soffrono ? ») conquista la fanciulla, allora deve morire perché la felicità sia perfetta, perché il mito dell’orrido si trasformi in quello del bello e Splendore, l’umile contadino che per conquistare Bella è diventato Bestia – istinto e richiamo primordiale , bisogno d’affetto e di compassione (« Gli voglio bene, ma non l’amo »)-­‐ ridiventa Spendore, principe azzurro, che per godersi l’amore conquistato nel dolore ha ora il suo 123


principato lontano, verso cui vola la coppia felice. duole qui, tutto è fuori posto, un ginepraio. Eppure questo Sono brutto io ! Cos’hanno questi grandi esseri se non un palpito maledetto bene è l’unico bene, bene umano, ma il solo. Cosa intenso e sconosciuto che fa loro sentire quel che gli altri non saremo, cosa faremo senza di esso ? Pènsati un poco sperduto suppongono neppure ? Perle in un letamaio. Così diceva anche fuori di te, non più te ; : è assurdo, è impossibile. Non ci so, non ci posso, non ci voglio morire. Quasimodo, il mostro di Notre Dame. Sono brutto io, sono povero, io ! Ad altri la tazza del piacere e della vita, ad altri il 9/4/1948 facile successo. A me questa infinita capacità di sentire e di comprendere, questa inferiorità superiore, questa esclusione Si è affermata la spiritualità dell’anima, l’insensibilità del mondo dalla festa, convitato scacciato. Maledetta la vita che mi si nega. materiale, la distinzione sostanziale tra corpo e anima Forse tubercolotico. E il domani sarà nero. E la vita non la vivrò. nell’individuo. Um ! Guardo le cose che mi circondano : i libri sul Neppure quella che io sognavo ! Il tempo, come un nemico, ha mio tavolo, le mura, il pavimento, fuori il limone, la terra, detto « Basta ! ». E rimane dentro quella gran voglia di dire, l’atmosfera. Chi mi assicura che tutto ciò non senta, non pensi, quella gran voglia di conoscerlo il mistero enorme dell’universo. non mi guardi e sorrida di me, a suo modo ? Non soffra e non Partire senza esserne richiesti, perché bisogna partire ; partire goda delle mie pene, delle mie gioie ? Che il ramo non senta e senza aver nulla conquistato e tutto perduto ; quando le canti la primavera, non si contorca al vento e alla pioggia, non speranze fosche del ghigno finale non si sono ancora realizzate. ami il fiore sulla cima, le foglie belle e lucide ? Uomo, che sei nel Partire per il nulla, per la fine ! Avere a finire così ! E non esser tutto ? E perché questo muro che divide le cose fra di loro e ci vissuto ! Spettatore, è l’ora : si chiude. E io che credevo quello rende indifferenti e cattivi ? spettacolo durasse, non avesse mai fine. Sento di non averla 14/5/1948 La vissuta la vita, di esser vissuto indarno. E’ l’ora. E adesso ho sensualità imperversa ancora e mi toglie ogni possibilità di aperto gli occhi sullo spettacolo meraviglioso e assurdo. azione. Sono disperato. Non so c osa sia il domani per me ; non Maledetta la vita ! Maledetto il destino. Non posso trovar posso prevederlo, perché non posso costruirlo ; debbo subire la motivo di benedizione. Sì, molti sono più infelici di me, ma molti realtà, una realtà maledetta. E’ questa la mia morte. Degno tanto più felici. E poi : che importa ? Siamo tutti infelici, tutti trovato della vita : affogarmi nel piacere, non più piacere, ma incompleti, assurdi, sproporzionati. Siamo nati e ci hanno condanna, orrore, ribrezzo, umiliazione del presente e insaccati in abiti che non sono i nostri, del nostro taglio. Tutto 124


sovversione dell’avvenire. Le sorgenti della vita sono avvelenate. Sono un avventuriero, sarò un avventuriero. Quanti ideali crollati : uno dopo l’altro, senza misericordia, senza possibilità di ricostruire. Ed ora il deserto, il nulla, il vuoto assoluto, io, solo io, materia vivente e dolorante, che annaspa nel buio e tira avanti, miserando spettacolo di gregge individuale. Forse il suicidio sarà la meta di questo sciocco e stupido vagabondaggio. Certo il fallimento. Ah ! Ah !Ah ! che ridere, quanti castelli in aria di carta. Beh ! consoliamoci : l’universo è una grande e sfacciata risata. Se la morte fosse la fine, se questo mi apparisse certo, mi suiciderei, lo sento. Ma non lo è : la morte è un problema da risolvere, che non risolverò, perché altrimenti risolverei la vita e la mia vita io non posso risolverla. Maledizione. Ho sperato, ho creduto nel bene, ho voluto ad ogni costo essere un galantuomo e la vita si è beffata di me : mi ha tradito e rinnegato proprio nel bene, nei miei ideali. Mi son dato al male, ho volute il male, ho cercato il male e il male mi si è rivolto contro non meno che il bene. Credere, maledizione, credere in qualche cosa, aver qualcosa da seguire, per cui entusiasmarsi, per cui vivere. Ora il nulla. Rinnegato il bene, rinnegato il male, senza entusiasmo per nulla, la piatta, amorfa, uniforme realtà d’ogni giorno, paglia sulla corrente torbida che ti trascina e non sai dove e non sai perché e non sai come! Maledizione! questa è la morte. E senza nessuno, solo come un cane, costretto a roderti solo, a consumarti solo senza un a

carogna di cristiano a cui poter dire : soffro, piangiamo insieme, consolami, incoraggiami, dammi forza, non farmi disperare l’ultima volta. Solo, senza sapere che sia l’amore, senza sapere che sia la comunione di due anime , solo, relitto della vita e della sorte. Odio qualcosa che governa il tutto e mi ha costretto al bene come al male , come alla noia e alla sfiducia universale, che ride alle mie spalle di me e del mio lamento, che si prende gioco di me , vano e impotente zimbello delle sue mani. Maledizione. Maledizione. Ah ! Ah ! Ah ! meglio ridere alla faccia sua , dell’Ignoto, dell’Assurdo, io più Assurdo di Lui, io sofferenza contro di lui, genio della malvagità e del tormento. Maledizione. Ah ! E l’impotenza è l‘inizio e la fine d’ogni opera umana. 31/5/1948 Gita a villaggio Mancuso in Sila piccola, con i compagni di scuola. Luoghi bellissimi. Nel primo pomeriggio possesso della De Hidrargirium. Dopo aver scherzato sul suo fidanzamento con X ( figura tipica del timido e dell’impotente) per cui mi presentavo come intermediario, passaggio all’azione diretta. Prima di pranzo scantonata nella selva con compagni; al ritorno sotto al mio braccio e a quello di Maletta, così per ingelosire X (!). Dopo fotografie della nuova coppia, già marito e moglie, l’uno accanto all’altra in pose piuttosto sentimentali. Quindi pranzo nel chioschetto davanti l’albergo delle fate. Pranzo di nozze. 125


Brindisi agli sposi, che fraternizzano con qualche lisciatina di capelli e dividendo i bocconcini e le bevute. Quasi tutti brilli. Io no. Dopo pranzo nuove fotografie da sposi, l’uno sulla spalla dell’altro. La bacio di sfuggita. Gli altri rissano ubriachi. Ci allontaniamo con Procopio, che tira un altro paio di fotografie. Quindi nella selva, soli a braccetto. Lei sceglie la parte meridionale più remota. Si parka del più e del meno. Lei forse è di tutto già consapevole. Ci adagiamo sull’erba, nella pineta. Il luogo è troppo scoperto. Lei nota un altro, riparatissimo. : piccoli pini formano un cerchio di verde intorno ad una minuscola radura. Adagiati sul letto d’aghi di pino , parliamo a tratti, io in aspettativa. Le passo la mano sotto la testa e le carezzo i capelli biondi. « Alcune volte siamo così curiosi. » « Tu sai che io sono molto spregiudicato, non curo la morale comune. » « Io son primitiva. » « E’ quella la nostra vera natura, quella rofonda. » « Io, invece, sono piuttosto superficiale. » « Meglio così…Dice Virgilio :datur hora quieti : ci è concessa un’ora di beatitudine. Ricordi D’Annunzio “ quasi d’arborea vita viventi” ? Annuisce soddisfatta. Mi sento leggermente a disagio. Non so perché, ma la cittazione ci allontana dallo scopo, un getto d’acqua fredda, uno sguardo altrui nel segreto, nel nostro segreto. La bacio sulle gote, poi sulle labbra. Lei aspira forte e caccia la punta della lingua , in cerca della mia. Io inesperto bacio al buon modo antico. Dopo un poco un altro bacio. Caccio la lingua tra I denti e cerco la sua: un sapore lambente di sapido condisce piccante il contatto. Ritorno ai baci. Me le stringo addosso : il pene è

turgido. La carezzo : è calda. La bacio sul collo, davanti, sotto il mento. Carne tenera, leggermente fresca, rispetto alle labbra. Con piccoli baci le copro la parte superiore del petto. Con la sinistra passo sotto al fianco suo destro e le carezzo le spalle.. Poi passo alle gambe. Ritiro su il vestito e inoltro la mano. Accorre svelta e si ricopre. Lascio fare. « Non ti sembra che siamo un po’ brilli ? » quasi rimproverando. Lascio dire. Ritorno ai baci e alle carezze. Piccoli baci al sommo del petto e volto caldo contro il volto caldo. Passo una mano sulla rotondità del seno destro e lo carezzo. Lascia fare. Bacio ancora le labbra. La mano continua. Sbottono la camicetta, cerco i seni: carezzo, bacio. Lascia fare, con gli occhi chiusi. Il vento passa tra gli aghi dei pini, maestoso come l’eternità. Carezzo il seno sinistro, il destro, piccoli baci a intervalli sui seni scoperti. Lunghe, calde, lente carezze. Me la stringo di fianco, cerco le labbra. A lungo, voluttuosamente. Inoltro la mano lungo le gambe e salgo. Stringe le gambe , quasi tremando. Lamentosa « no, no ». Ritorno al seno, ai baci. Il pene è turgido. Mi sbottono, lo caccio. Piglio la sua mano sinistra, stesa lungo il fianco e la conduco al pene: lo tocchiamo insieme. Poi glielo lascio. Lei lo stringe, piano, con delicatezza, femminilmente. Le passo la mano sul seno. Poi le alzo le vesti e la monto. Lascia fare. Glielo infilo fra le gambe. Le passo le mani sotto le spalle e mi abbandono su di lei. Comincio l’ondeggiamento. La bacio sul collo, sul petto, sulle gote, sulle labbra. Sapore amaro della saliva! La stringo a me lungamente, follemente, con furore. La sua mano passa sulla 126


mia, carezzevole. Il possesso continua : l’urna inesausta del piacere versa i suoi beni. Baci e carezze e poi baci e poi carezze e ondeggiamenti spessi, nervosi a scatti, su di lei resupina, che ansima. Ansimo. La bocca eccita il pene, il pene richiama la bocca e l’immedesimazione è perfetta. Quanti baci, quante carezze, quante strette convulse, sino a farsi male. Il piacere tarda a venire. Al solito mancanza di pressione. Passano per la mente come baleni le più varie idee, d’essere sorpresi, d’un uccello che canta, del vento che passa, del seme che tarda a venire, di compromettermi. Penso di passare più sopra, nel pieno della carne. Ma temo di far cessare l’incanto. Ripiglio più furioso, cercando d’immedesimarmi in lei, di sentirla mia come non mai. A momenti di spasmodico movimento succedono intervalli di stasi, di abbandono su di lei. Poi ripiglio a tre quattro scatti brevi e successivi. Sento il piacere venire. La stringo, lei passa la mano sui miei capelli. Intensifico e la mia immaginazione è tutta in lei. Sento il seme salire. Tocca l’apice. « Mara, sei mia. » M’agito convulsamente, lei stringe le gambe, le verso il seme tra le gambe e m’abbandono. Ansimiamo, poi l’ansimo si placa. Momenti di nirvana, di annientamento. Mi ritiro, mi compongo, si compone. E restiamo a lungo, l’uno a fianco dell’altra, sul letto d’aghi di pino, senza parole e senza pensieri, volto contro volto, caldi, con la mano sul seno scoperto. Il vento passa, uniforme, uguale, fiume lento che fluisce ad una sua foce ignota. Passano cinque, dieci minuti : ritiro la mano dal seno, se lo abbottona. Ci alziamo, ultimiamo di comporci, cerca

il pettine, si annoda il nastro ai capelli. Andiamo. Le offro il braccio. Non si parla della cosa. Si parla del più e del meno. Dei pini, del vento, del posto, della distanza dei villini. A metà strada rifà ilsuo maquillage. »Signorina, che tinta di rossetto usa ? …Il rosso vivo ? » « Sì, il numero 4.» Cerco di non trovarmi a disagio. Nei pressi dei villini lei lascia il mio braccio e ci avviamo verso i compagni affettando normalità e indifferenza. Ci dirigiamo al campo sportivo parlando di cose indifferenti. Lei si prova a tirar d’arco ; la mano le trema. Profitto della sua occupazione e mi allontano. Poi per tutto il giorno, al ballo, durante il ritorno, cerco di non incontrarla. Lei fa lo stesso. Chi sa perché.

20/6/1948 Br…br…niente da dire perché tutto da dire. Va bene ; disgustato della vita, di me stesso, di tutti. Solo, solo, atrocemente solo. Nella gioia si può essere soli, ma nel dolore, nella sconfitta, nella rovina quotidiana che ti si addensa sopra, no, no, è troppo duro, troppo feroce. Ma neanche nella gioia, quella vera, quella profonda, quella intima, di cui si vorrebbe mettere a parte qualcuno, un cane che ti guardi e sia con te, sia te. Maledetta la vita ! assurdo senza scopo e senza direzione. Questa sì che è 127


morte. Credere in qualche cosa , fosse anche il male, ma credere. Niente ! vuoto assoluto, zero perfetto. Mah ! br..br…tant’è, consolati, povero diavolo, dimentica cioè, ubriacati, avvilisciti, prostituisciti, perché nella vita a te è negata la dignità, è negata la riuscita, è negata la vita. Penso con più frequenza, con strafottenza al suicidio. Sento che non ucciderei nessuno, niente, perché tutto qui è morto ; sento di non amar nesuno, nessuno, nessuno e che lascerei la vita senza rimpianto, premorto e prefinito. Preparazione agli esami di maturità : per modo di dire. Con l’uccello che funziona, figurarsi che preparazione. E fuori casa, tra estranei, solo ! Maledizione. Nascendo mi è stato dato per condanna il collegio, il viver perpetuamente nella formalità, nel cerimoniale, perché fra estranei, a cui non bisogna far sapere, a cui non bisogna far vedere quel che passa per dentro. Subire, subire… fino a quando ? Tiro avanti per tirare avanti. Sento che debbo abbandonare la carriera degli studi : non mi attira più, mi disgusta e poi per la sensualità imperversante mi è impossibile. Velleità di lusso, di mondanità ! E’ bello sentirsi in forma , alla moda, poter camminare sicuro di sé, certo che la gente ha da considerar la piega perfetta e il taglio moderno senza che abbia qualcosa che stoni da nascondere, da non far notare. Viva i gagà ! Un vestito, dunque, vale a qualche cosa ! Se non altro, è un argomento di sicurezza, di presunzione, di volontà in questa morte generale della volizione. Giannina, la sartina qui di fronte, dopo le prime ritrosie, diventa

più alla mano : le lancio le caramelle e ci tengo a farmi vedere ricco, studente, persona per bene. Pure sento di non disprezzarla, come le altre ragazze, come le studentesse. Senso di protezione, di magnanimità, di … ? Uffà, bisogna proprio dire che ho vissuto troppo ; eppure…non ho vissuto ancora e il mio passato è l’errore, la menzogna, il disutile, il deficit : fallimento in partenza. 2/7/1048 Perché non ti spari ? Sei senza Dio, senza patria, senza famiglia, senza te stesso, senza amore e senza nessuno. Perché non ti spari ? La miseria è un insulto. Perché lo soffri ? L’hai forse meritato ? Non credi più in te stesso, nel tuo avvenire, nelle tue forze, nelle tue possibilità. La favola breve ti ha mentito, è stata atrocemente maligna. Perché non la spezzi ? Maledetta la religione, che non ti fa guardare sereno ed impassibile la morte. Quando sarò convinto del nulla eterno, allora. Adesso il nulla è la vita e questo è il tormento : la noia di vivere, di soffrire, di affannarmi, ciecamente, senza perché, senza ideale, senza speranza, soffrendo e facendo soffrire. Perché gli altri debbono sacrificarsi per te ? Perché tua madre deve soffrire e privarsi anche di quelle piccole cose che potrebbe avere perché tu studi, quando ormai non credi più nel tuo studio ? La natura ha sbagliato nel mettermi al mondo o ha voluto divertirsi. Ridi, Pagliaccio ! e continua a portare la tua maschera urbana e 128


borghese. Purtroppo anche il suicidio è un atto di forza e di volontà e forse un atto di fede. Chi sa, forse anche per uccidersi bisogna credere in qualcosa, puntare su qualcosa, fondarsi su un aliquid. E il mio è un vuoto assoluto. Perché non ti conquisti la vita umilmente, semplicemente, con il lavoro del tuo braccio ? Non è forse qui il segreto ? Non potresti ritrovar qui il coraggio, la speranza, l’orgoglio di vivere nel sentirti te stesso, solo te stesso, autonomo, autosufficiente e forse benevolo, senza sfruttare nessuno, dando anzi a qualcuno ? Ma è troppo tardi, troppo tardi. Il Maligno si è divertito si è divertito alle mie spalle. Quando gli altri sono arrivati, io sto ancora al principio. A 23 anni mi affanno inutilmente per conquistare la licenza liceale ; e senza mia colpa, per aver creduto nel bene, per aver creduto in dio, per essermi affannato per 10 anni dietro ad un fantasma, che poi mi ha deluso ed irriso. Bene, bene, bene, fra giorni vedremo se, nonostante tutto, la fortuna scherzerà ancora con me e questo bighellonamento di vita continuerà o se invece l’ora prescritta della liberazione, della fine, della maledizione e della perdizione è giunta. 9/8/1948 Conseguita la maturità classica : matricola. Nulla di nuovo. Per me una conquista non è mai definitiva, il terreno mai saldo, ma un passo richiama l’altro in un eterno andare senza scopo e senza meta.

A S. Angelo ho conosciuto Tina, brava ragazza. Una donna forse è capace di dare un significato alla tua vita. Passeggiata, soli soli, verso il cimitero, lei al mio braccio. Le carezzo ogni tanto la mano, ogni tanto lei avvince strettamente il suo al mio braccio : fa bene senrir la carne contro la carne. Sono al solito imbarazzato e mi industrio di non sembrar tale. Lei divaga, parla, molto, vivacemente, di tutto. Io taccio indeciso e ascolto superficialmente tanto per non far cader la conversazione. Il contatto fa rizzare il pene, visibilissimo all’esterno. La guardo per veder se se n’accorge. Forse sì, forse no ; ad ogni modo non arrossisce. Il fatto mi secca. Ci sediamo contro la scarpata della strada in un campo, sotto un castagno, per suo desiderio. Che voglia creare la situazione per quello che forse anche lei aspetta? Non so. Chiacchiera, molto, di tutto, divaga. Non si ferma a qualche mio accenno che potrebbe condurre il discorso all’intimità. Aspetto un segno di consenso anche minimo per esser più esplicito. Il segno non viene. L’ora passa. Ci alziamo. Un momento solo, scherzando sulla pelurie che le cresce sulle labbra, ha avuto un momento di silenzio e di rossore. Forse era quello il momento. Prima di salire la invito a darmi un bacio, ché la sera parto. Nega. Nell’aiutarla a salire, mi chino e le sfioro le labbra e appena il collo. Si schermisce, mi evita. La conversazione ripiglia il suo tono indifferente e svolazzante. All’ultima svolta, in vista del paese, sono esplicito : » Su, dammi un bacio e ci fidanziamo ». Nega e vorrebbe scherzare. Ha una contrazione dolorosa quando soggiungo : » Del resto, tu mi 129


conosci e sai che ti stimo ; se non vuoi, non voglio forzarti. » Ha gli occhi quasi pieni di pianto. » Ma no, Daniele, non è per questo. » Se insistessi ora forse cederebbe. Ma non me la sento e ci passo su. Continuiamo scherzando. « Sei un asino. » « Perché ? » « Per quello che hai detto. » « Ma l’ho detto sul serio, non mi credi ? » « Appunto per questo : hai riflettuto ? » « Come, se ho riflettuto : ad ogni modo se non ti sono gradito, è inutile insistere. » « No, non è per questo. » Siamo in paese. La conversazione divaga, tento di farle dimenticare il passato. Penso di averci fatta una poco bella figura. Forse l’uomo deve essere maschio, costringere sulle prime la donna, che per natural pudore è costretta a negare e a schermirsi. Non ho saputo essere invadente, non ho saputo cogliere il momento. Forse perché effettivamente non ero innamorato e volevo tentare, così per avere una ragazza. Nel pomeriggio pianto e scoraggiamento per il suo latino andato male. Ci appartiamo, la incoraggio, le ripeto un po’ di filosofia. La stringo col braccio. »Su, su, Tina, coraggio. » Quando involontariamente il braccio la circonda con la mano quasi sotto la mammella, avverto un moto di ribellione delle spalle, un moto fisico di allontanamento e di liberazione, muto, senza parole. Forse è questo il momento per tornare alla carica, insistere. Ma non mi sento di distrarla dalla ripetizione di filosofia: la sera ha gli esami. Dopo le domando se è rimasta offesa per quanto le avevo detto durante la passeggiata. Reagisce vivamente « Ma no, figùrati,

Daniele. » Lo stesso la sera dopo a Morra. La donna e la sua psicologia sono un mistero. Si cammina sempre a tentoni. Del resto l’avvicinamento di due anime è sempre qualcosa di molto complesso : due mondi ignoti che cozzano, diverse esigenze, voci contrastanti che tentano l’unisono. L’anima non è una macchina : non si prevede mai quale possa essere la sua reazione ad un determinato stimolo. 4/9/1948 Bacio a Lena. La donna resiste e si schermisce finché non è presa. Appena presa, resta passiva e l’uomo può farle quello che vuole : forse è il piacere, che s’impossessa di lei al contatto con l’uomo e l’immobilizza, forse è la debolezza fisica, che non la pone in grado di resistere, forse l’uno e l’altra. Quindi si deduce che bisogna forzare la donna nei primi momenti. Difficilmente , infatti, si troverà una donna che pigli l’iniziativa. Dopo il primo sforzo, lei cade e consente. 29/9/1948 Nel pomeriggio da Lena : dopo aver tirato insieme l’acqua e averla carezzata, la prendo di sorpresa in casa sua e la bacio : si schermisce debolmente, poi accetta partecipando. Dopo un poco, secondo bacio, prolungato : stessa resistenza, stesso effetto. Gli occhi assumono una luce strana, non sai se di rimprovero o di passione, forse l’uno e l’altra. Evidentemente il 130


fisico desidera, l’abitudine, l’educazione reagiscono e resistono. lungo questa volta, ma con meno insistenza, con meno intensità, Infatti si stacca con uno scatto dicendo : « La gente, vedono. » con meno selvatichezza. E’ la seconda, mica la prima volta e il Passeggio un po’, mezzo stupido, ad ogni modo impacciato. La timore e l’educazione hanno ricevuto già il primo forte colpo. La passione mi dà un tremito che mi sconvolge e mi annoda la bacio a lungo, voluttuosamente, la stringo sino a farle male. Poi lingua come a un balbuziente. L’afferro di nuovo e la ribacio, a una seconda volta. Si siede sulla cassa, me le metto a cavalcioni lungo, con passione, spingendola contro il camino e con il corpo sulle gambe, ventre contro ventre e premo, faccia contro faccia premo sul suo ventre, come a possederla. Ci sta. Tento di passar e geme affannata, leggermente : forse ha già goduto. Certo è la mano sul seno, resiste ; di alzarle la veste, reagisce. Non è già caduta. Peccato che per una sega mi trovi senza pressione. ancora psicologicamente preparata a questo. Forse già lo La sua preoccupazione è per mia madre che possa desidera, ma teme di scoprirsi ai propri occhi, di cadere dalla sopraggiungere: la porta è aperta. La bacio di nuovo, poi basta. barriera in cui per educazione ed abitudine si è racchiusa. La « Piglia la scatola. » Rifiuta : si sente pagata e rifiuta il prezzo lascio stupidamente. Mi guarda con una luce strana, della caduta. Insisto. Accetta. Già non mi guarda più male, ci si è indefinibile : odio, rancore, vergogna, rossore, paura, disprezzo, quasi abituata, mi guarda quasi normalmente e salutandomi desiderio. Le pupille hanno una loro fissità felina sul bianco degli cerca di sorridere e di scherzare persino. Nel pomeriggio cerca di occhi. Per un paio di giorni non mi parla, fa la scorbutica e la venire per il profumo. Forse comincia già a cercare la situazione contegnosa, risponde male. Capisco : è la reazione. Dopo 4, 5 per quello che non è ancora avvenuto e che lei sente avverrà. giorni le cose cominciano a normalizzarsi : diventiamo due esseri Infatti nel pomeriggio la vedo, è normale, scherza, parla, con ordinari che apparentemente non hanno nulla da dirsi. Ma indifferenza : non la fa arrossire quanto ha fatto con me, ci si è ambedue siamo forse in aspettativa di qualcosa. Io certamente. ormai abituata e la sua coscienza capitolando si è cristallizzata. Comincia a far la civetta di nuovo : inconsapevolmente è già A sera con un po’ d’indecisione viene : la ribacio, ci sta. Va via passata all’azione : desidera l’uomo, una volta gustato. Capisco. perché la mamma a casa l’aspetta. Ormai è fatto : appena sola Un pomeriggio la chiamo con una boccetta di profumo, si ferma e a porte chiuse, la possederò e si farà possedere con poca o nessuna resistenza. Mistero del cuore umano di una donna ! sulle scale, scherza. Bonariamente insisto perché entri, dicendole d’aver una cosa per lei, che venga a vedere. Quasi con riluttanza • Con Tina ho sbagliato : volevo agire da galantuomo, ho voluto entra. Le mostro una scatola di materie sintetiche lavorata ingenuamente chiederle il bacio ! Questo si dà, non si offre, né molto bene. L’accetta. L’afferro, la bacio. Si schermisce più a 131


tampoco si chiede Eppure l’avevo creduta diversa dalle altre, che forte espressività. Accumulando e ripetendo alle volte fino alla capisse e sentisse nobilmente come me. Ma purtroppo la donna nausea, si fa risaltare la drammaticità di quegli stati psicologici e non può, né vuole capire l’uomo, può e vuole sentirlo come di quelle idee e sentimenti ossessivi. Non si dimentichi che il maschio, cioè come conquistatore, violentatore e possessore : protagonista sottto la maschera della normalità è in realtà un allora cede e soggiace. malato, che dal largo di un naufragio viene lentamente a riva, 10/10/1948 dibattendosi f ra o nde t utt’altro c he t ranquille. N e r isulta, p iù In casa di Lena : la seguo nella stalla, l’afferro, la bacio e tento di che un prodotto letterario finito, una testimonianza rara di stati alzarle le vesti ; resiste ; le metto la mano al sedere : è pieno, psicopatici, di cui il protagonista è in parte consapevole. La carnoso e voluttuoso. La spingo contro di me, tento di metterle il scabrosità di episodi descritti quasi con compiacimento segna pene fra le gambe, non ci riesco, anche per le mie mutande momenti chiave di quello ch’è il secondo punto da esaminare : chiuse. Lotto così, lei ansima, mormora « No, no, questo no. Ti la consistenza dei vari momenti di quella ch’è opportuno voglio bene ecc. » La stringo, la bacio: è sudata. A un certo chiamare maturazione, piuttosto ch’ educazione sentimentale. punto, quando nell’impossibilità ho rimesso il pene dentro e me Riportando senza reticenze questi episodi, non s’intende le strofino contro, lei abbassa la mano, lo cerca sotto I pantaloni presentare un manualetto di condotta raccomandabile, anche e lo stringe, due volte. Forse gode. Poi arriva il padre, chiama, ci se l’autore a lungo si ferma a teorizzare su argomenti come la ricomponiamo alla meglio. donna, l’amore, il corteggiamento eccetera. Spesso si tratta di episodi e atteggiamenti poco belli, ma tipici di un’epoca e di un Dopo la trascrizione di lunghi brani del diario, è giunto il momento ambiente : generazioni intere sono passate per quelle di gettare uno sguardo retrospettivo, attardandosi su due esperienze e, che si tratti di uomini o di donne, bisogna aspetti di essi. Primo : la aspettare gli anni settanta per notare un salto significativo nel forma della stesura cursoria, fatta alle varie date, badando alla comportamento dei due sessi. Che questo processo individuale veridicità di quanto si registrava, piuttosto che alla eleganza e e generazionale segni solo un momento della maturazione del concinnità. L’accumulazione che ne deriva è dovuta alla fretta protagonista, ma non solo di lui, va messo in rilievo, della registrazione per non fermare il flusso dei ricordi. La sottolineando che l’educazione sentimentale, come quella ripetività delle formule ed anche la loro approssimazione letteraria, dura tutta la vita. risponde bene a quel ritmo affrettato e stilisticamente è di una 132


Dei due anni e mezzo all’incirca passati tra Morra e Catanzaro il diario presenta una selezione di fatti e riflessioni, che vanno almeno in parte qui completati. Ho molto parlato dell’educazione – o diseducazione-­‐ sentimentale e di quella letteraria, ma quasi nulla di quella politica. Eppure questa ci fu, anche se in senso molto lato. Appena uscito dal collegio, caddi naturalmente fra le braccia dei democristiani. Così si spiega il mio tentativo di contraddittorio con l’avvocato comunista Flora, che tentai d’incastrare, Storia del partito comunista alla mano ( in italiano, ma edito a Mosca), tentando di fargli ammettere il carattere ateo del suo partito. Così si spiega la mia iscrizione nella locale sezione democristiana a questo partito, con tanto di distintivo dello scudo crociato all’occhiello della giacca e che dovetti togliere su osservazione poco benevola del mio incipiente zio benefattore, che in occasione delle elezioni amministrative del 1946 m’introdusse nell’ambiente antidemocristiano del paese. Cito dal diario :

dunque impostata sulla lotta di classe : i contadini a comandare e i signori a zappare. Nella seduta parla il Principe, poi l’avv. Ricciardi, intendendo ambedue far notare l’intrusione dei Criscuoli nei fatti altrui per mezzo della famiglia Molinari. De Sanctis è presente come vittima della stessa famiglia nell’800. Qualcosa di conciliabolo di chi può, o meglio, confida di potere in ogni caso e a tutti i costi.

Giorno 7 Votazione e slealtà dei « parzionali ». Giorno 8 Vittoria dei Democristiani e comunisti. Spari di mortaretti e sfilata. In prima fila tre portabandiere – in mezzo la nazionale, a destra la bianca democristiana, a sinistra la rossa comunista-­‐. Che unione ! qual connubio ! Di tanto in tanto un maestro di cerimonie improvvisato caccia a manrovesci i ragazzi indietro. Poi un ammasso di scalmanati gridanti a squarciagola dietro una seconda fila d’un organetto, piatti e tamburo. Su motivo di « zazà » si cantano delle strofette per l’occasione Che 7/8/1946 significato possa avere questa messinscena non so. Ma certo Elezioni amministrative a Morra. Sabato 6 ho partecipato ad quelle tre povere bandiere in mano a quei tre poveri individui, una seduta di feudatari nel Castello del Principe : era presente uniti in amichevole, democratica fratellanza, non varranno più quasi tutta la nobiltà morrese con a capo il Principe. Si canta del sussiego dei poveri cantabanchi in posa d’importanza. vittoria e si vende la pelle prima di aver ammazzaro l’orso. Due A sera riunione dal Principe. L’atmosfera è elettrizzata, la liste : forbici ( signori e piccola borghesia a sfondo liberale), bue ( sconfitta è risentita come un taglio nelle carni. I vinti ci son quasi popolani e contadini a sfondo comunista). La questione è tutti con gli occhi rossi di lacrime. La vendetta sui poveri illusi è 133


la parola d’ordine. Il Principe parla notevolmente concitato peggiore secondo i casi. Frequentando il liceo Galluppi, ebbi atteggiandosi a tradito. Ai punti più vivi della requisitoria a modo d’incontrare compagni, alcuni dei quali in situazione sfondo antiMolinari si battono le mani, io mi astengo. politica b izzarra. Così il figlio di un deputato socialista, ex Avevo infatti ben altri gatti da pelare, come risulta da una comunista, si era iscritto al partito comunista, perché in caso di annotazione di qualche tempo prima. presa del potere da parte comunista, questa iscrizione poteva servire da paravento per il padre transfuga. Con gli altri studenti 9/7/1946 E’ partecipai agli scioperi per Trieste, che gl’inglesi e i comunisti notte : mio padre e mia madre dormono nell’unica stanza , in cui nostrani erano inclini a cedere a Tito. Questa posizione io studio anche. Fuori piove con calma. Luglio. La mia vita è antinazionale e l’esclusivo esercizio del potere da parte dei triste. Piangerei volentieri. Incerto il presente, più incerto il proletari in caso di vittoria mi resero allora e in seguito futuro : il passato è un amaro ricordo di dolcezza, se non di pace, vaccinato contro i comunisti, avendo anche per esperienza certo di tranquillità, di fiducia nella vita. Ora mi trovo ad una personale misurato tutte le assurdità dei sistemi chiusi e delle svolta ed ignoro quel che possa aspettarmi in un prossimo verità assolute. Ma, a prescindere da questa intima domani. L’ambiente è misero, degradante, stomachevole quasi. convinzione, non fui mai un homo politicus, restando però Verrebbe voglia di pensare al « natio borgo selvaggio » e alla sempre fedele a una posizione di sinistra. Per le elezioni « gente zotica , vil » delle Ricordanze leopardiane. Certo è politiche del 1948 fui presente a un comizio di Sandro Pertini, sempre triste , giunti quasi alla fine, ritornar da capo. E solo poi, ma poco capii di quel che disse perché ero vittima di una solo…d’una solitudine terribile, nel deserto del cuore. solenne sbornia, causata dal tiro mancino dei compagni, che si Ma…ma…la vita è vita . Non è fatta per me. E’ impostata troppo misero d’accordo per farmi sempre vincere al gioco del padrone vilmente : il malvagio e il mezzo carattere riescono, a forza di e sotto , rifiutando le mie offerte di bere e costringendomi a compromessi, a crearsi una posizione. Non è certo il mio tipo tracannare, un bicchiere dopo l’altro, non so quanto di un vino fatto per questa vita : la subisco gemendo, come una condanna. traditore di Cirò oltre i sedici gradi. La sbornia non diminuì alla Intanto la testa poco regge. Si sa : fortificata di pane e cipolla. concione del socialista Pertini, non mi snebbiò quando mi Del resto è il cibo di mio padre, di mia madre. Potrei pretendere misero con la testa sotto un fontanino e quei malviventi qualcosa di più ? dovettero consegnarmi traballante alla zia, che mi mise a letto A Catanzaro la situazione era leggermente diversa, migliore e dove per tre giorni tentai di eliminare i fumi dell’alcole. 134


Tra i professori del liceo ricordo in particolare quello di filosofia, solito gesuita era riuscito a convertire sul letto di morte il Caputi, con il quale ebbi il primo dei vari scontri che mi senatore comunista e non so cosa avrebbe detto Tacito al avrebbero anche in seguito opposto a questi mentori. Mi riguardo. Per fisica e chimica espulse dalla classe perché durante una lezione l’avrei guardato il professore era un architetto che si divertiva un mondo a fare con sguardo provocatore : « Fuori, Grassi, qui il professore sono in classe gli esperimenti con gli apparecchi che prelevava dal io ». Poi volle far la pace, dichiarando che noi due dovevamo gabinetto scientifico del liceo e, se questi non riuscivano, tanto metterci d’accordo. Questo dubbio paternalismo fu anche peggio per la scienza : si era divertito e ci aveva divertito. l’occasione di chiarire la condotta di Mara : al professore, che in Per storia dell’arte riuscimmo a far piangere e poi a lasciar privata sede si dichiarava preoccupato per le scarse prestazioni l’incarico una giovane alle prime armi dell’insegnamento. della ragazza alla vigilia della licenza liceale, un compagno riferì Catanzaro, che io sappia, non aveva musei, però in casa venne che Mara viveva una difficile situazione familiare anche dal un paio di volte un professore di disegno della scuola della zia, il punto di vista economico, con la madre sola ed il padre assente. quale si piccava di pittura: una volta narrò desolato di non avere Per arrotondare lo scarso peculio in città si mormorava che la i mezzi o l’artigiano che gli facesse in vetro, grandezza natura, sera al bar del più noto albergo cittadino attirasse i clienti un nudo di donna distesa, che lui avrebbe collocato su un danarosi cui offriva le sue grazie dietro compenso. Non c’era da divano, sottolineando i riflessi e i giochi di luce su carni e stoffe, meravigliarsi, dunque, se dopo quelle notti a scuola rendesse fragilità e vanità della donna. Fu così che la Venere di Catanzaro poco. Così venni a sapere che la nostra scappatella nella Sila era non vide la luce. Al suo posto, lo zio riuscì ad acquistare da un ben poco rispetto ai bagordi in albergo. amico, professore di filosofia allo scientifico, un mezzo busto di Con il professore d’italiano , un certo Siciliano, il mio solito Madonna di bella fattura, probabile opera di Mattia Preti, che strafare nello scritto ebbe poco successo, dato che il docente fu appeso sopra il letto in camera degli zii. Durante la famosa non era abituato a quelle logorree dostojevskyane, in cui me la gita nella Sila, l’autobus fece sosta a Taverna, dove potei prendevo da bravo ateo in erba anche con Dio. ammirare il ciclo di pitture del Preti, oriundo del luogo. Allo scritto e all’orale i testi di riferimento furono per me Venere o Madonna che fosse, sul pianerottolo di un cortiletto sempre quelli del De Sanctis e per il latino la storia della interno dietro il nostro appartamento dava una loggetta, letteratura del Marchese, da cui attinsi il disprezzo per la antistante la casa di due più che maestose zitelle : l’una aveva retorica ciceroniana e l’ammirazione per Tacito. Poi seppi che il rinunziato a sogni e pretese matrimoniali, contentandosi 135


di’impinguare sempre di più la sua circonferenza, ma l’ altra, Memè, voleva ancora guerreggiare con gli uomini e si svirtuosiva nell’uso di creme e profumi e nel depilarsi, specie le sopracciglia, che aveva ridotte a un arco sottilissimo, però fortemente sottolineato, e nell’ampliare per quanto possibile la scollatura, in modo da far intravedere, se ancora ce ne fosse bisogno, le considerevoli mammelle. Quando lo zio passava davanti alla loggetta, Memè era là a fingere di curare i vasi di fiori, accettando i complimenti che lo zio le faceva e che accettava a complemento di ben più focosi amplessi di un suo amante, che more calabro passava solo per aspirante, perchè Memè ci teneva a sottolineare la sua verginità e, quindi, maritabilità. L’ultima quindicina prima degli esami di licenza liceale, tutti partirono per le vacanze a Morra, lasciandomi solo, ma provvisto di tuto affinché potessi evitare di andare a ristorante. Feci così i primi tentativi di apprendista cuoco, con qualche disastro, però, come quando, volendo prepararmi un piatto di riso, ne misurai la quantità colmandolo al massimo : messo nella pentola di acqua bollente, assistetti contrariato alla continua crescita di quella massa enorme e, avevo voglia di aggiungere acqua, il riso continuava a gonfiarsi, finché si calmò, lasciandomi però una tale quantità che dovetti passare una buona settimana per esaurirla. Dopo questo infelice tentativo, il giovane cuoco ne sperimentò altri, come quando in Germania volli preparare il sugo e, prima di metter nel pentolino aglio e cipolla, aspettavo

che l’olio bollisse : vedevo un fumo nerastro salire, ma non vedevo le bolle, finché l’olio surriscaldato prese fuoco. Per smorzarlo feci quel che non dovevo : versai nel pentolino acqua, che evaporando alimentò le fiamme. Panicando detti una manata al pentolino e versai tutto per terra : il pavimento era di legno ; calpestando le fiamme, evitai di metter fuoco al collegio e me la cavai, imparando a mie spese a far il sugo come si deve e lo imparai così bene da ripeter poco dopo l’operazione quando invitai a mangiar con me un piatto di spaghetti quella che poi sarebbe diventata mia moglie. Ma lasciamo questi ricordi culinari, abbandoniamo Catanzaro a maturità conseguita e passiamo alla prossima tappa del concorso per la Scuola Normale di Pisa, che vinsi nel tardo autunno del 1948. Anticipo qui un episodio delle vacanze a Morra dopo il primo anno d’università, 1948/49. Avevo amoreggiato a Pisa con una lucchese, che avevo conosciuta al corso di storia dell’arte, ragazza dal fisico discreto, dalla carnagione leggermente olivastra, piacente anche se non di eccezionale bellezz a. Nella figura slanciata risaltavano le sode e forti mammelle e le natiche ben proporzioate. A Pisa i luogthi adatti alle effusioni amorose -­‐ far flanella-­‐ erano soprattutto Le piagge, prato a ridosso dell’Arno nella parte nord della città, ma anche il giardino Scotto e per i più avventurosi la Fortezza nella parte sud della città. In una quindicina di scappate tra una lezione e l’altra o nel pomerggio, mescolati alle numerose coppie sull’erba avemmo modo di saggiare i nostri corpi : la ragazza lasciò fare finché si 136


trattava delle tette, maneggiate e rimaneggiate, e delle natiche, estrarre l’una dopo l’altra le gonfie e rosee mammelle, tastate e ritastate, ma oppose una decisa resistenza per le zone manipolandole, baciandole e succhiando i capezzoli. Mai prima inguinali, allontanando la mia mano se mi accostavo alla sua di allora avevo visto frutti così ubertosi, caldi e teneri, né più zona, rifiutando di accostar la sua mano se cercavo di portarla pronta disponibilità a metterli al servizio della reciproca alla mia. Era probabilmente vergine e, se non tale, comunque eccitazione. Lasciò anche che le accarezzassi cosce e natiche e non disposta a mollarla. Inoltre le mie pressioni sul basso ventre che la spingessi contro il margine della scrivania per sentire e probabilmente bastavano a scatenare in lei l’orgasmo clitorideo, farle sentire il suo e il mio corpo. Quando dopo un paio di ma non in me l’eiaculazione. Ci separammo con la promessa di lezioni volli passare oltre, inserendole la mano tra le cosce e rivederci al ritorno dalle vacanze, il che fu reso impossibile da risalendo verso il frutto agognato, venne fuori con un discorso altro e più decisivo incontro. Scontrandoci talvolta nel cortile tra la convinzione e la paura, dicendo che dovevo lasciare della Sapienza, accortasi della nuova ragazza con cui filavo, mi intatto quell’organo sensibilissimo, che come le aveva detto la guardò con risentimento e poi con indifferenza. madre a vvertendola a stare attentissima a salvaguardarlo, era Tornato in paese per le vacanze con l’aureola di normalista, fui talmente delicato che al minimo contatto con un estraneo si richiesto da varie parti di dar corsi di ripetizione. Rifiutai molte rovinava per sempre ; e allora addio verginità, soglia di guardia di queste richieste anche perché dovevo studiar per conto mio e da non oltrepassare mai. Così ripeteva, ma gli occhi e il resto dare due esami alla sessione autunnale, ma accettai per aver dicevano altro, anche se la paura faceva novanta. Purché non la qualche soldo di mio di dar lezioni di latino e d’italiano a Iselda, penetrassi, si mostrò disposta a prender il pene in mano e in una ragazzotta bionda dei lunghi e folti capelli che le ricadevano bocca, se lo lasciò mettere fra le cosce, riscaldandoci sempre di sulle spalle. Se questi tra una consecutio temporum e un più. Io dovevo, tra l’altro, stare attento a che non ci ablativo assoluto stuzzicavano le mie dita inducendole ad sorprendesse mia madre, che qualche sospetto l’aveva, accarezzarli, la bocca carnosa e il seno prorompente là a portata vedendo la ragazza uscire dalle ripetizioni accaldata più del di mano e di labbra non mi fecero limitare al solo compito di normale. Gli incontri avvenivano anche fuori ripetizione e la ripetitore. Lei aveva begli occhi chiari, grandi e sorridenti e, pur ragazza aveva subito approfittato degli amoreggiamenti delle accettando le mie spiegazioni e correzioni, era altrettanto, se mie cugine per attrupparsi con esse ed aver così l’occasione di non più di me, in attesa d’altro. I baci e gli abbracci furono amoreggiare anche altrove. Durante la festa annuale di San appassionati, né tardai molto a sbottonarle la camicetta ed Rocco, in cui la sera tra le pause della banda che suonava i soliti 137


arrangiamenti operistici giovanotti e ragazze, in genere in gruppi separati, passeggiavano da piazza S. Rocco fino all’edicola delle anime del purgatorio all’inizio del paese, noi due col pretesto che i fuochi artificiali si potevano meglio vedere dalla carrozzabile dopo la suddetta edicola, ci staccammo dagli altri e al buio proseguimmo verso il cancello della vigna di Don Emidio. Baci, abbracci e poi … e poi Iselda mi lasciò fare, accettando un inizio di penetrazione. Sul più bello sentimmo la voce della madre che la cercava : appena il tempo di ricomporci e il rientro tra la gente. Poco dopo io partii per Pisa e dimenticai presto la ragazza, della quale anni dopo da un mio compagno rimasto in paese seppi le gloriose imprese, in cui l’organo sensibilissimo ne aveva fatte di tutti i colori, aspettando poi il solito italoamericano di una certa età che l’accettasse così com’era. Cominciavo, dunque, ad aver qualche successo con le donne/ perfino Tina, così reticente prima, quell’estate mi cadde tra le braccia, con il suo corpo serpentino e le sue piccole, ma sode mammelle. Tutta persa mi chiese, forse al colmo del suo piacere, che le dicessi « Io t’amo » ed io con non molta convinzione l’accontentai. La rividi qualche anno dopo, io e forse lei sposati ; mi guardò con tenerezza e forse con rincrescimento di non aver osato di più.

FRANCA – 1949/1951

La storia con Franca fu la mia prima vera storia d’amore, non il solito tentativo da don Giovanni di provincia di possedere una donna : durò più di due anni, finì male ed era cominciata peggio. Ci conoscemmo all’università, io ero all’inizio del secondo anno, lei del terzo o quarto. Come con la ragazza lucchese, i primi giorni gli incontri consistettero, oltre i baci e gli abbracci, nei vani tentativi di andare oltre, che Franca, anche se con dolcezza respinse. Poi accadde che una mattina mentre passeggiavamo mano nella mano, fummo accostati da un tipo in bicicletta, che rallentando proferì delle frasi tipo : « Fa pure l’innamorata ; quando il giovane saprà cosa hai combinato, sgualdrina, altro che mano nella mano ! » Franca era sconvolta, io cominciai ad esserlo, capendo e non capendo quelle parole. Messa alle strette, dovette confessare di aver avuto una relazione con quell’uomo e che me lo avrebbe detto, giunto il momento. Per me crollava un mondo. Schiavo del pregiudizio che un vero rapporto amoroso supponeva la verginità della ragazza e che su tale convinzione durante una quindicina di giorni mi ero lasciato andare a manifestazioni di affetto come mai prima con una donna, giungendo perfino in lettere quasi quotidiane a confessarle particolari della mia vita sessuale, mi sentii tradito nella fiducia che le avevo accordato ed umiliato dal costatare che avevo riposto tanto affetto in un vaso già rotto, con l’aggravante che la ragazza durante quelle settimane mi aveva ingannato, fingendo di essere quello che non era. Fu inutile ogni tentativo da parte sua che mi avrebbe spiegato tutto. Le 138


annunciai che fra di noi tutto era finito e che le avrei restituito le sue lettere, chiedendo che facesse altrettanto con le mie. Dopo le lettere scritte durante il noviziato a Gesù Bambino non mi ero mai più lasciato andare a tale tenerezza di sentimenti ed a tale eloquio : non ci si meravigli, quindi, se le lagrime mi scorrevano abbondanti quando una per una le bruciai in un portacenere nella mia camera alla Normale. Il colpo inferto era così grave – un vero trauma-­‐ che pur non raccontando nulla ai compagni ( allora come in seguito non mi sbottonai mai con altri in questo settore) , costoro dal mio aspetto ed atteggiamento – in sala da pranzo non riuscivo neanche a mangiare -­‐ conclusero che ero innamorato cotto e che qualcosa di grave era successo , canzonandomi con una strofetta del comico Rascel :« E’ arrivata la bufera, è arrivato il temporale , chi sta bene e chi sta male e chi sta come gli par ». Incontrai di nuovo Franca all’università e lei piangendo mi strappò un appuntamento, questa volta a Lucca, dove sul terrapieno delle fortificazioni in un posto sicuro avremmo potuto parlare senza temere incursioni di quello sciagurato come a Pisa. Sdraiati sull’erba fra il tragico e il melodrammatico mi precisò corso e dettagli di quella storia. L’uomo, vicino di casa, era sposato e con figli. Andando una volta da lui senza sospetto, fu in quattro e quattr’otto posseduta senza che lei fra voglia e sorpresa offrisse resistenza. La cosa si ripeté altre volte, perfino in casa di lei, quando non c’era nessuno. Spaventata da quel che accadeva volle metter fine alla faccenda, contando anche sulla recente conoscenza con

me e su quell’amore che stava spuntando e che per lei era un’àncora di salvezza. Ora che pure questa le veniva meno, voleva metter fine alla sua vita. Un po’ spaventato non capii cosa minacciasse di preciso, il suicidio o il ritiro in convento. Intanto, contatto dei corpi aiutando, prese piede in me l’idea di chiederle che mi concedesse quello che aveva concesso all’altro : era un po’ un ricatto, un po’ il desiderio ardente e sincero di possederla. Nel frattempo si era fatto buio, sul terrapieno non c’era quasi più nessuno, essendosi le altre coppiette allontanate. Ai baci reiterati, quindi, e al maneggio delle mammelle successe l’innalzamento della gonna, lo sfilamento delle mutandine e l’inserimento del pene nella vulva. Lasciò far tutto partecipandovi e piangendo. Dopo la copula, ci componemmo in fretta e prendemmo appena in tempo l’ultimo autobus per Pisa. Durante il ritorno le dissi che per ovviare a qualsiasi tentativo di quell’uomo doveva confessare tutto a suo padre, che poteva così difenderla, affrontando quel disgraziato. Promise e lo fece. Oltre al padre vennero a conoscenza di quel rapporto anche la madre e la sorella minore. Costei, che conoscevo perché amoreggiava fino allora platonicamente con un mio compagno di fisica e che aveva un caratterino poco simpatico di Streberin , inutilmente invidiosa di normalisti suoi colleghi di matematica – tra cui un famoso Ciampi-­‐, a segnare la disapprovazione del comportamento della sorella volle addirittura separare il suo letto da quello della peccatrice, cambiando camera. Dopo un secondo coito a Lucca, Franca mi 139


propose di continuarli in luogo sicuro, ma più vicino, Riprendo dopo una lunga interruzione. Confessarsi fa bene, suggerendo la campagna di San Giuliano Terme, raggiungibile in libera, consola, medica la pena. Per me, poi, è l’unico mezzo di autobus da Pisa. Superando le case del paese in basso nella confidar qualcosa. Ogni dialogo si risolve sempre in un disperato valle, ci addentravamo in un sentiero che portava in collina e qui monologo. Ma anche parlar di sé a se stessi fa bene e certe volte in un vigneto a mezza costa pensavamo di aver trovato il posto è una necessità. Come ora. Ho 24 anni, sento acutamente che gli adatto ai nostri amori. Stesi sul leggero pendio, dopo i primi baci anni belli fuggono ed io non ho goduto abbastanza, appassionati a labbra e mammelle, le prendevo in bocca i minimamente. E’ inutile rifugiarsi in mondi trascendenti e cercar capezzoli, succhiando come un neonato e a volte anche la gioia o la felicità dopo, di là : è una menzogna di deboli e per mordendoli da farle male. Lei rispondeva con ardore, prendeva me è assurda, sciocca, ironica dopo l’esperienza fattane. E’ in mano e in bocca il fallo che le porgevo e poi, sfilandosi le inutile cercar la felicità o la rivalsa o un succedaneo negli ideali mutandine che riponeva nella borsa, si lasciava andare ad una terreni, nella gloria, nella morale ( quale !), nel bene sociale, prima penetrazione. Mettevo il preservativo solo all’ultimo nella scienza. Sono miti da deboli, da sciocchi, da illusi. Non momento prima dell’eiaculazione. Poi restavamo abbracciati credo più in niente, non ho fiducia più in niente. Rideamus igitur. finché dopo un quarto d’ora circa ero pronto per una seconda Si gioca con la vita a gatto e topo. Mi basta sfuggire al suo penetrazione ed eiaculazione. Come io le baciavo ripetutamente morso totale, alla morte. Il resto è ghigno satanico, la vulva, lei mi baciava a tratti il fallo : non era una maestra della turlupinatura, assurdo, bestemmia, ingiustizia. Non cerco una fellatio, che permetteva con minor dedizione del cunnilingo. verità nella vita, una coerenza, una logicità : non m’importa di Volli sapere se avesse fatto quelle cose anche con il contraddirmi, di essere nell’assurdo logico e metafisico, me ne defloratore : mi disse di no e io le credetti. frega n iente. Q uesto sento, questo è l’insegnamento quotidiano Per capire, più che la novità, l’intensità di quel che stavo del mio dolore e della mia solitudine. Non porto o guido me vivendo, bisogna fare un passo indietro e rivenire alla mia stesso, ma sono portato : vado avanti perché il mio corpo va situazione psicologica prima dell’incontro con Franca e con avanti, vivo perché il mio organismo vive, senza scopo, senza l’amore. Dispongo fortunatamente dell’ultima annotazione del meta, senza un perché. E’ un assurdo, è un male la mia vita ; è diario, fatta a Pisa, cui poi succede il silenzio. Eccola : dolore, m a l a v ivo p erché è u na realtà e fuori di essa , oltre di 30/4/1949 essa non so che ci sia. Solo. Ed è tardi ormai. Come Faust sono troppo vecchio per divertirmi e troppo giovane per non 140


desiderare. E desidero, desidero il denaro, il piacere, le uniche forze, le uniche realtà della vita. Il resto non esiste, è menzogna di ben pasciuti e gaudenti, favole di ventri pieni . E’ una giornata uggiosa che pesa su Pisa e la mia solitudine è squallida ed atroce. Le donne, i corpi giovani, la carne calda vive e si sciorina per gli altri, non per me. Ti è vietato questo ; a te il desiderio. E la rinuncia non è possibile. Non indago su di questo. Il mio è un complesso d’inferiorità destinato al fallimento, all’insuccesso continuo : invidio tutti e tutto, qualsiasi condizione sociale, anche la più misera, dove si possa vivere, ma senza questa insoddisfazione, senza questo tormento, senza questa maledetta solitudine.Perché studiare ? Perché lavorare ? Perché ? Per quando ? Verrà una indipendenza, ma quando ormai sarà troppo tardi per godere e vivere la vita. Odio il bene e coloro che son felici. Odio tutto e tutti, giustifico qualsiasi delitto, anche quello di far saltare questa vecchia carcassa ch’è la terra : e se resto inattivo è perché sono un vile, un debole destinato a desiderare tutto e sempre invano. Per me non c’è Dio, Dio è un assurdo, è un’ironia. Esisto io, solo io, fuori di tutti e contro tutti. Amar, maledetti, amare sempree invano ; se fosse possibile rientrare in se stessi, corazzarsi nel proprio io, distruggere questo cocente bisogno di un’altra, di cui godere il corpo e l’anima, cui parlare, dirle tutto, che mi assista, mi comprenda e sia il fine del mio lavoro, del mio esistere. Invano ! Non omnibus omnia ! Tibi nihil ! Il niente non è vuoto, non è tenebre, è desiderio, è brama. E resta, vecchio imbecille, con la tua brama,

col tuo desiderio. Non posso avere, non ho una morale perché queste son cose di persone, a cui la vita offre qualcosa, uno scopo, un significato. Ormai nel mio campo di pensiero nessun freno esiste più : solo l’io. Ma nella pratica, nella realtà quanti freni che ho, cui ubbidisco, che sento che non spezzerò mai perché sono un vile, un debole. Che condanna dover e voler servire alla legge e alla morale, quando non si crede più in nessuna legge e in nessuna morale. Conformismo da bruto, di chi non crede alle leggi e vive secondo di esse perché ha pur da vivere. Il desiderio è pensiero, è male e chi ce lo ha dato è il Male. Vecchia solfa, si dirà, solita trenodia e in gran parte lo è. Ma quel che conta qui è la data : siamo nella primavera del 1949 e il giovane disperato e blasfemo è un normalista, che ha davanti a sé una concreta prospettiva di avvenire. Eppure la solitudine è la stessa del passato e le recenti ed attuali avventure con le donne non riescono a colmare il senso di vuoto che lo opprime. Continua a frequentare anche se di rado i postriboli, si dà arie da esperto dongiovanni, teorizzando sulla natura delle donne con qualche giovanissimo compagno, che scandalizza facendo rientrare fra le libertine anche le madri, è succube come prima della masturbazione e, se comincia di nuovo a primeggiare negli studi, battendo tutti i compagni, non trova ancora nello studio l’àncora cui aggrapparsi e stare degnamente a galla. Cosa gli manca allora ? Gli manca l’amore, gli manca la sua donna. 141


Questo amore e questa donna sarà Franca. molto a e saminarle l e v arie parti del corpo, che amorosamente Il rapporto con lei si andava man mano approfondendo anche sentivo come un tutto, non avevo, cioè, l’accanimento sentimentalmente. Quando a giugno venne il periodo degli dell’analisi delle varie parti del corpo, soprattuto quelle esami ed io studiavo più a lungo e più intensamente, capitò intime, come mi capiterà di fare più tardi in età matura. che una volta non ce la facessi a penetrarla bene e a Natiche, tette, pube , clitoride, vulva erano lì per godere e farla raggiungere l’eiaculazione. A me che impacciato tentavo di godere, ma non mi ci accanivo, né in realtà, né in fantasia, giustificarmi replicò che non era importante : l’importante era come sarebbe stato più tardi. A ciò si aggiungeva l’ignoranza stare insieme ed amarci. L’amore mi portava anche a dei vari centri del piacere nella donna e quindi la limitatezza manifestazioni un po’ infantili : così le chiedevo come stesse la delle tecniche amatorie. Ma a ciò suppliva largamente mammellina destra o quella sinistra, cui scherzando davo un l’intensità del sentimento amoroso in entrambi. Stranamente nome e lei pure scherzando rispondeva a tono. Così pure, fra le sensazioni più nuove e durature fu la scoperta della alzandole la gonna, le chiedevo se il culino quel giorno fosse valenza erotizzante delle rotule e dei retroginocchi, la cui bianco o rosa e lei civettuola mi rispondeva indicando il colore cavità, segnata dal gonfiore delle vene che le attraversavano, delle mutandine prima di sfilarsele. Anche le mestruazioni, che fu per me eccitante quanto altra e più famosa cavità e per non impedivano le nostre scappate in collina dove restavamo scoprirne il valore amatorio dovetti aspettare due anni, abbracciati, entravano nel gioco e lei rispondendo alle mie guardando Franca alla festa della sua laurea in un caffè mentre domande diceva che il culino , cioè le mutandine, quel giorno accavallava e scavallava le gambe. era nero. Il suo corpo pienamente posseduto per un biennio non lo vidi Com’era Franca fisicamente parlando ? Di statura media, mora mai interamente nudo, dovendo accontentarmi delle parti già con folta capigliatura che le scendeva sulle spalle e faceva da indicate negli incontri che non avvennero mai fra quattro mura sfondo ad un grande volto sensibile con occhi grigioverdi atti a e non durarono mai più di qualche ora. Anche quando la manifestar i vari stati d’animo, pensosi o tristi, ma ora spesso incontrai in albergo come a Napoli, dovetti aspettarla anche sorridenti, con un bel sorriso che le illuminava il volto e all’ingresso, essendo escluso in quel tempo che una coppia non le semiapriva le labbra, grandi e carnose che attiravano i baci. regolarmente sposata si potesse incontrare in camera o Aveva il passo agile e mi veniva incontro quasi danzando. passarvi la notte. Essendo io giovane e al primo amore, non è che insistessi Dopo qualche mese dall’inizio dei nostri incontri a San 142


Giuliano, I ragazzotti del posto individuarono quella strana ma curiosarono gli adolescenti a San Giuliano Terme coppia di forestieri che imboccavano il sentiero verso la collina e ingelosite le zanzare a San Rossore ci punzecchiarono. e un giorno facemmo appena in tempo a relativamente Ciò che in camera si puote era per noi impossibile ; ricomporci quando due o tre di quei ficcanaso ci passarono spargemmo, dunque, seme in luoghi estranei. davanti nel vigneto. Cercammo quindi rifugio altrove e, Non so cosa facesti tu in seguito, sempre su indicazione di Franca, scegliemmo la pineta di San ma io libertino feci ambo, terna e Rossore. Vi ci recavamo in autobus , scendendo all’inizio della quaterna e cinquina e pure tombola, tenuta regale. Nel folto dei pini non c’erano da temere incontri scomparso mio culino rosa, bianco, nero eccetera. indesiderati, a prescindere da qualche cinghiale e da nuvoli di Vivemmo quei due anni in perfetta armonia : qualche riserva zanzare. I primi si tennero a distanza, ma le seconde ci da parte mia ci fu quando nell’autunno del secondo anno lei venivano addosso e ci punzecchiavano, specie sentendo il insistette, forse su richiesta dei genitori, affinché mi richiamo dei corpi accaldati e sudati nella furia degli presentassi in famiglia. Lo feci per accontentarla, ma deciso a accoppiamenti, specie del mio, vittima di qiuelle bestiacce restare in guardia , temendo richieste di ulteriori implicazioni, anche alla Normale, dove ero costretto a tener le finestre tipo fidanzamento. Dagli sviluppi successivi e specie dalla chiuse anche nel caldo dell’estate e di notte quando l’afa della lettera di rottura capii che lei pensava prima o poi a un legame pianura pisana era soffocante e mi faceva passare le ore duraturo, matrimonio compreso, che esulava completamente insonne, il che non era molto indicato particolarmente nel dai miei pensieri. Avevo ben altro per la testa : completare gli periodo degli esami. studi e crearmi un avvenire, in cui lei non figurava non perché Si faceva l’amore, dunque, all’aperto e dovunque, secondo le la escludessi, ma perché non c’erano ancora , neanche nel possibilità offerte dalle circostanze. Ricordando quei vari limbo del subconscio, le condizioni. Eravamo, quindi, su luoghi dopo sei decenni, ci ho scherzato su in una poesiola lunghezze d’onda differenti, però non mi aspettavo quanto poi agrodolce : I terrapieni di Lucca non crollarono ; successe. non venne giù la torre di Pisa al terzo piano ; Ero da pochi giorni arrivato in Germania al Maximilianeum di non balzarono gli Etruschi nella cunetta a Tarquinia ; Monaco d i B aviera p er r estarvi un anno e preparare la mia tesi meno focosi di noi furono i barberi del Palio ; di laurea in storia su manoscritti latini del ‘500. La mia addormentato non ci sepolse il Vesuvio sotto lapilli e ceneri ; decisione d i a ndar v ia d a P isa era dovuta al malessere di vivere 143


in una città di provincia con ristretta vita culturale, che per me quanto ho sofferto. Una notte mi è venuta una gran febbre e includeva anche musica, teatro, mostre d’arte eccetera e alla ho cominciato a urlare come una pazza. Ora, se tu mi sentissi deficiente vita accademica, limitata all’ insegnamento di parlare, noteresti nella mia voce, oltre che tanta stanchezza professori di basso livello, eccetto qualcuno, cui si era aggiunta ( ho una voglia matta d”interrompere la supplenza e sarà quel la persecuzione da parte di un trombone postcrociano, che che sarà), una profonda rassegnazione. Ora non voglio più scaricò su alcuni normalisti, me compreso, le sue delusioni di piangere, non voglio più pensare a te, a noi, al bene che ci fallito aspirante comunista al laticlavio senatoriale. Voglio siamo voluto. Ora ho bisogno di distrarmi, una distrazione parlare di Luigi Russo, che mi aveva afflitto con la sua ridicola qualsiasi per non arrivare a quel passo. Ti dico solo che non presunzione di limitatissimo intellettuale, ancora alle prese dovevi farlo, nelle tue, nelle mie condizioni. E’ stato un passo il con Carducci e che non aveva la minima idea di Ungaretti o cui valore io non capisco neppure ora, a meno che non pensi Montale, tanto per fare dei nomi. che sei andato a far fortuna per allontanarti da me. Franca mi aveva accompagnato durante gli ultimi giorni pisani Se tu non avessi avuto nessuno, dovevi pensare a qualsiasi nell’acquisto al mercato di scarponi e giacca al vento contro i luogo, ma con me qui, il tuo posto era qui soltanto, anche rigori dell’inverno bavarese. Gli addii si prolungarono fino al perché si trattava dell’ultimo anno a Pisa. Sapevi quanto avevo treno che mi portava a Firenze e poi in Germania, dove in data sofferto la scorsa estate sola, e questa stessa estate ; lo sai che 3/12/1949 mi pevenne la seguente lettera : Caro Daniele, ora s ono s ola e d è la cosa he più mi spaventa e che non volevo ho ritirato solo stasera la lettera e la cartolina, a una sentire più. Ma questo e ogni altra consderazione hai messo da settimana di distanza dalla tua partenza. Ho letto le tue parte. Ormai non c’è più niente da fare. avventure e mi hanno fatto anche ridere ; penso che in fondo ti Io ho pensato e pensato, ho pianto e sofferto, infine sono adatterai, sarà così solo per i primi tempi. Io magari avrei già arrivata ad una decisione. Non devi scrivermi più perché non rifatto fagotto, ma fra me e te c’è una notevole differenza. Io posso continuare una vita così, non posso iniziare un altro continuo ad andare a scuola al mattino, al Corso il pomeriggio. periodo d’attesa continua, di amarezza, di solitudine. Non devi Ma di studiare non se ne parla per ora e chissà quando, con la scrivermi più. testa che ho. Sono stata molto male questa settimana, fra La decisione è seria e forse una volta tanto mi apprezzerai per strapazzo, pensieri, notti insonni, giornate interminabili come averla saputa prendere. Non ho niente da rimproverarti oltre mai ne avevo passato. E’ inutile che ti dica quanto ho pianto, questa partenza. Mi hai fatto del bene, mi hai insegnato tante 144


cose di cui farò certamente tesoro nel futuro. Mi hai dato dei compromettendo i miei piani di studio? Le difficoltà e le novità giorni di felicità intensa, mi hai guidato e sostenuto quando della mia vita in Germania presero rapidamente il sopravvento per la disperazione stavo per cadere. Ti ho voluto bene, sei sulle sue recriminazioni, ma, rileggendo quella lettera dopo stato tutto per me. Spero di non pentirmi di questo passo ma sessant’anni, costato che difficilmente avrei potuto ricevere sono certa di non dimenticarti mai. Non avere preoccupazioni lettera più bella ed amorosa di quella. Del resto, in ogni per me : prima o poi saprò cavarmela anch’io. Pensa a far bene rottura del genere chi ne paga il prezzo è chi resta, non chi tu, sta attento, resta il bravo ragazzo che ho conosciuto e parte, che spesso si scrolla di dosso rimpianti, desideri e ricordi amato. Riguàrdati contro il freddo , contro tutto ciò che può e passa con disinvoltura a nuovi incontri ed avventure. Della nuocere alla tua salute. E’ l’ultima volta che ei faccio queste relazione con Franca, la mia prima, vera e completa esperienza raccomandazioni e puoi anche non ascoltarmi. Ricordati che ti amorosa, fra tante immagini prevale quella di lei nel vigneto di ho voluto un bene infinito. Pensare che anche tu me n’hai San Giuliano distesa al mio fianco quasi esausta dalla intensità voluto mi rende serena in questo momento e mi dà la forza di delle nostre prestazioni amorose, che ansimava dolcemente staccarmi per sempre da te. quasi a ddormentata, poi canticchiandomi all’orecchio : Franca Fingevo di dormire, perché volli conn te sola restare. Ho tante cose che ti voglio dire… o una sola, ma grande come il mare, Letta e riletta la lettera, le risposi più o meno accettando la sua come il mare profonda ed infinita. Sei il mio amor e tutta la decisione, che in parte mi sorprendeva ed amareggiava, in mia vita. parte mi liberava da eventuali rimorsi, che sarebbero sopravvenuti se l’avessi tradita alla prima occasione. Ancora RENATE prigioniero di usi e costumi italiani tra fidanzati, le precisavo Renate era una ragazzona biondastra e più che con il volto , bello che non le avrei restituito le foto che avevo di lei, come invece ma non eccessivamente, attirava con la sua figura imponente avrei fatto con la catenina d’oro che mi aveva regalato e che sul metro e ottanta, gambe diritte, cosce lunghe, bacino e portavo al collo. Era questo l’ultimo atto arbitrario che ben proporzionati con la sua statura. Era intendevo compiere nei suoi confronti. tette c onsiderevoli, più che ingenua disinvolta, di una disinvoltura che faceva parte Poi per conto mio, riflettendo sulla sua decisione, ne rifiutavo della sua ingenuità, con un leggero tocco d’infatuazione. Si era, le motivazioni: cosa pretendeva da me? Che restassi a Pisa, 145


infatti, subito innamorata del lettore d’italiano all’università, e scomodo d’inverno perché ti lasciava facilmente con i piedi un lucchese più carino che maschio e lei da brava valchiria quel fuori : lo tolsi, quindi, , riprendendolo dopo per starvi insieme grazioso se lo voleva cullare fra le possenti braccia come il suo sotto al calduccio. bambolotto. Ma il lucchese con moglie giovane e guardinga Renate come antifona mi chiese se avessi un attestato non era preda facile e probabilmente non si era neanche sanitario. Per che fare ? Lei mi mostrò il suo, in cui si accorto degli suardi infocati della spasimante. Spasimante si fa accertava l’assenza di qualsiasi malattia infettiva. Far sesso, sì, per dire perché Renate aveva i passaggi facili. Era stata un ma senza rischi. Le dissi che ero perfettamente sano e che anno a Parigi e si era fatta largamente possedere da un quindi con me non correva nessun rischio. Mi credette e giovane ingegnere dell’Elf, che aveva anche presentato in passammo ai fatti : baciandoci appassionatamente a lungo e famiglia sull’Ammersee nella grande villa paterna, facendogli tastandoci un po’ dovunque, quando ci sentimmo pronti, lei capire che lei avrebbe potuto essere un buon partito. Ciò non decisa si spogliò e si stese sul letto ; io abbassando pantaloni e le impediva, in assenza del matrimoniabile, di guardare mutande, le salii sopra. Non avevo ancora cominciato la altrove, come aveva del resto fatto già prima con militari penetrazione quando lei mi liberò nervosa dalla canottiera, americani. Si dichiarava disponibile a contatti internazionali, che mi ero lasciata addosso e poi scalciando dai pantaloni e non aveva fisime postnaziste, ritenendo una follia rifiutare mutande. Seguendo le sue mosse, per la prima volta sentii il maschi di provenienza non teutonica : se la Germania doveva mio corpo nudo su quello nudo di una donna. Lei, ormai aprire le sue frontiere, Renate aveva già aperte le sue. abbracciandomi stretta, volle sentirmi bene contro di sé : la Aveva un album in cui in bella mostra c’era la collezione delle presa era forte e determinata, esplorando le mie spalle, i miei foto dei suoi amanti e fra queste pose anche la mia. fianchi, le mie natiche e cosce. Io facevo lo stesso con lei. Il suo Contrariamente alla Normale, in cui era strettamante proibito corpo giovane, sodo e vasto meritava un’esplorazione d’introdurre donne in camera, al Maximilianeum si poteva e completa anche se febbrile. Aveva belle labbra ; i seni ne approfittai subito tra lo stupore e l’ividia degli studenti considerevoli, ma non sovrabbondanti, si gustavano meglio tedeschi, che tacitai affermando che quelle visite di ragazze con lei distesa, formando in netto rilievo due semicupole servivano agli scambi linguistici, apprendendo io il tedesco ed d’ampio diametro sul petto affannoso. Solo all’ultimo esse l’italiano. Paese che vai usanza che trovi, ebbi subito a momento mi fece mettere il preservativo. Dopo la prima e che fare con la tedescheria del piumone, troppo caldo d’estate tempestosa penetrazione, avemmo tutto il tempo per 146


preparare la seconda, esplorando ora con comodo e voluttà i nostri corpi. Le manipolai i seni, le succhiai e mordicchiai i capezzoli, le baciai la vulva, la feci mettere bocconi per panificarle le natiche e solleticarle i retroginocchi, carezzandole la schiena e facendole scorrere le dita sulla nuca , inserendole infine il fallo all’inguine e nella vulva dal didietro. Lei altrettanto faceva femminilmente con le diverse parti del mio corpo. Dopo più di due ore ci rivestimmo perché lei doveva rientrare a casa per la cena ed io, prima di scendere nella sala da pranzo per la mia, ebbi una buon’ora per riandare su quanto era successo, perché tutto sommato si ea trattato di una prima. Mai in Italia, dove avevo dovuto sempre far l’amore in luoghi di fortuna, avevo avuto modo di essere nudo con una donna nuda. La svestizione da parte di Renate era stata un rito: ormai mi sentivo un cavaliere pronto ad affrontare senza veli le battaglie d’amore. Con Renate passai anche la prima intera notte a letto. Tutti gli studenti tedeschi del Maximilianeum erano partiti per le vacanze di Natale ed io ero rimasto sia perché arrivato da poco, sia perché non avevo soldi per il viaggio in Italia. Cenammo in camera alla buona e poi andammo a letto. Aver davanti a sé tutta la notte per fare l’amore mi dette un’altra dimensione, non solo temporale. Tutto si svolse centellinando il piacere. Svegliarsi inoltre di tanto in tanto e sentire un altro corpo a fianco, da cui da poco si era usciti e nel quale si poteva a piacimento rientrare, approfondiva ogni volta la copula,

specie quella del mattino con i corpi riposati e quello di Renate già pronto con la vulva rorida. Anche questa era una prima. Non avvertii neanche la ristrettezza del letto a una piazza, né Renate si agitò, allontanandomi da sé a spintoni e svegliandomi. Andò via subito al mattino prima che il custode, Bachmayr, entrasse nel corridoio dalla sua casetta, adiacente all’ingresso del collegio, o la donna delle pulizie bussasse alla porta per metter ordine e pulire la camera. Costei, che stava per passare l’età canonica e che come tutte le tedesche durante e dopo la guerra ne aveva viste e forse fatte di tutti i colori, mentre io mi ero recato nella sala da bagno per lavarmi e far tutto il resto, trovato un preservativo, che uscendo avevo dimenticato sul pavimento, si limitò a metterlo sulla sedia e né allora, né in seguito accennò a tale ritrovamento. La vigilia di Natale, prima di partire per l’Ammersee, Renate venne da me per farmi gli auguri. Prima che facessimo l’amore, svelta svelta tirò fuori e dispose sulla scrivania dei dolcetti, un’arancia e qualche rametto di abete. Poi fra due candeline accese collocò la metà di un guscio di noce, nel quale era adagiato un minuscolo Gesù Bambino di marzapane. Quel che per me italiano e miscredente era un gesto d’ unfreiwilliger Humor, per lei tedesca fedele alle cerimonie natalizie era un gesto spontaneo, se non adirittura affettuoso. Forse altrettanto si può dire della lettera che qualche tempo dopo mi spedì da Parigi, dicendo che aveva retto bene al passaggio al matrimonio : Ich habe di Ehe gut überstanden, il che 147


equivaleva a una strizzatina d’occhio, se Renate ne fosse stata capace.

Un vero possesso suppone una completa conoscenza del soggetto da possedere. Sostenevo e sostengo che non ci sia miglior modo di conoscere una donna che facendo l’amore con E’ ora il momento di far due considerazioni. lei. Ed in parte è vero, anche se poi bisogna aggiungere che La prima consiste nel sottolineare che, contrariamente quel vaso di Pandora non ha fondo. Ci si avvicina ad esso, lo si all’impressione che si può ricavare dalla lettura degli ultimi apre, si ha l’impressione, tirandone fuori un gioiello dopo episodi, la mia vita non consisteva solo di caccia alle donne e l’altro, di potersene appropriare e poi si deve costatare che di tentativi di uscir dal tunnel dell’autoerotismo, ma quel tesoro è puro frutto della propria immaginazione, che l’ha abbracciava altri numerosi e importanti settori, che ho costruito per un bisogno personale quanto mai ristretto, vano tralasciato per limitarmi all’educazione sentimentale. Gli anni e fuggitivo, mentre la donna ha ben altre dimensioni : è un di Pisa e poi quelli di Monaco sono talmente ricchi di nuove universo di galassie. Ma le galassie hanno una vita propria, con esperienze che meritano una trattazione a sé, che rimando ad proprio inizio, sviluppo e fine. Ci sarà pure qualche incontro altro volume. La seconda consiste nel mettere in evidenza, con esse, ma non ci si illuda : si allontaneranno da te quando anche se in modo cursorio e generale, la natura e il momento meno lo pensi. Vanità dell’amore ? Crudeltà dell’amore ? dell’affacciata che Franca e Renate mi permisero di fare su Nessuna parata o rimedio in vista ? Ci si inoltri in esse, ma con quello che alcuni chiamano pianeta donna, mentre io la consapevolezza che non se ne toccherà mai la fine. preferisco, anche alla luce di esperienze successive, parlare di Dall’educazione sentimentale torniamo a quella letteraria. Chi complesso di galassie. Allora e poi più tardi fui tentato di ha la fortuna di essere artisticamente attivo dispone di considerare mio quell’universo nel senso che entratovi un’arma invincibile: la creazione! Le donne Beatrice o Laura m’illudevo di dominarlo. Dolce e crudele illusione. Così a una possono andare e sono andate per la loro strada ; gli uomini donna, con cui ebbi una breve, ma focosissima relazione, Dante e Petrarca hanno fatto altrettanto. Ma la Beatrice della pensai di poter regalare una bambola in variopinto costume Commedia, la Laura del Canzoniere restano e, pur ispirate da alsaziano, sulle cui mutandine osai scrivere mia. Alla stessa donne reali, sono tutt’altra cosa, più vaste, più durature, più poi, nell’irruenza di una fellatio di cui era maestra, altrettanto gratificanti. Esse sono le donne di Dante, le donne del Petrarca ingenuamente osai mormorare, mentre lei ingoiava il seme, « e, si aggiunga, per la loro esemplare, icastica intensità le sei ancora mia ! » e mia non lo era più. eterne donne di tutti. 148


Ogni uomo, degno di questo nome, artista o non artista, deve cercare di percorrere un suo itinerarium mentis in deum, scaglionando le sue esperienze lungo uno scabroso sentiero di viaggio salutifero, che dalle bassure del contingente lo porti alle cime dell’assoluto. Avrà in questo viaggio una guida ? Sarà essa la donna ? In concreto le prostitute, Mara, Lena, Iselda, Tina, la lucchese, Franca, Renate e poi tante altre mi faranno avanzare di tappa in tappa in questo viaggio e la poesia, coltivata con passione ed accanimento in una quindicina di libri e migliaia e migliaia di versi, mi farà fare ogni volta un piccolo passo in avanti verso l’alto e in quella, che innovando linguisticamente, ho chiamato sprofondità, che poi a ben riflettere vuole essere un sinonimo di galassia. Iter mentis meae in deum, di galassia in galassia errando attonito.

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