Kodraliu esame giugno

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Il Kosovo è un territorio amministrato dall'ONU; ha dichiarato l'indipendenza dalla Serbia il 17 febbraio 2008. Il Kosovo è riconosciuto come stato da 108 dei 193 paesi dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, mentre altri stati membri (tra cui Russia e Cina,) si sono dichiarati contrari al riconoscimento. La Serbia, invece lo considera ancora come sua Provincia Autonoma.


Kosovo •

Il Kosovo confina con la Serbia a nord e a est, con il Montenegro a nord-ovest, l'Albania a sud-ovest e la Macedonia a sud; è senza sbocco al mare. Il Kosovo è piccolo, ci sono tante montagne, le più importanti sono il Kopaonik a nord, i monti Shar a sud e sud-est e la Gjeravica, a sud-ovest (con la cima più elevata, 2 656 metri). Le pianure principali sono il bacino della Metohia a ovest e la piana del Kosovo a est, separate da una zona di colline (Golak). I fiumi principali sono il Drini Bianco a ovest, che scorre in direzione sud verso il Mar Adriatico, la Sitnica e la Morava a est nel Golak, e soprattutto l'Iber che scorre verso nord per gettarsi nella Morava Occidentale e poi nel Danubio. Il lago principale è il lago Gazivoda a nord-ovest.


Il clima del Kosovo è prevalentemente continentale, d'estate fa molto caldo e in inverno fa molto freddo. Le lingue ufficiali sono albanese e serbo. L'albanese è diffuso in quasi tutto il territorio, mentre il serbo è parlato dalla minoranza serba. La principale religione diffusa in Kosovo è quella islamica. L'euro è la moneta ufficiale del paese. Il Kosovo é una delle economie meno sviluppate d'Europa. I guadagni dei kosovari residenti all'estero costituiscono un'importante fonte economica.



Città del Kosovo Pristina: 198.890 ab. - Prizren: 171.464 ab. - Uroševac: 163.842 ab. - Gnjilane: 131.595 ab. - Đakovica: 127.156 ab. - Kosovska Mitrovica: 110.310 ab. - Peć: 97.250 ab. Podujeva: 48.526 ab. LA GASTRONOMIA

Una delle città con più ricca tradizione gastronomica è Peć. Tra i cibi locali, si ricordano Leqeniku, Flija, Krylana, Maza bollito, formaggio, polenta, il gulasch e molti altri. •

Originale è la cucina gorani. Tra i loro piatti più famosi si ricordano il burek (un pasticcio di formaggio) e i dolci tradizionali come baklava, éclair e indiana. Il Boza è una tipica bevanda gorana (nei Balcani questo popolo è conosciuto come Bozadzij, il popolo che prepara la boza), una bibita dal sapore aspro, frutto di un complicato processo che ha come ingredienti fondamentali farina e zucchero, che vengono a lungo bolliti secondo un procedimento particolare. •


La guerra del Kosovo Il Kosovo è una provincia autonoma della Serbia che, all’epoca del conflitto, era compresa nella Jugoslavia (Repubblica Federativa Jugoslava), insieme a Croazia e Slovenia, che però ne uscirono subito a causa degli interessi contrapposti e degli esasperati nazionalismi. Agli inizi degli anni Ottanta gli appartenenti all’etnia albanese, che rappresentavano la maggior parte degli abitanti del Kosovo (divisi in cristiani e musulmani), pur avendo la regione kosovara ottenuto una certa indipendenza ed autonomia dalla Serbia, chiedevano insistentemente di costituire la settima repubblica della Jugoslavia staccandosi del tutto dalla Serbia, così come avevano fatto in precedenza la Croazia e la Slovenia. Alla fine degli anni Ottanta l’equilibrio, già precario, cominciò a vacillare. Dal 1989 in poi gli animi si esasperarono: venne revocata l’indipendenza della Repubblica jugoslava di Tito da parte del governo serbo; la lingua albanesekosovara perse lo status paritario, gli insegnanti e gli impiegati amministrativi furono sostituiti da persone “fidate” mandate dalla Serbia; le scuole autonome chiusero i battenti. li appartenenti all’etnia albanese abitanti in Kosovo manifestarono la loro volontà indipendentista dapprima in modo non violento, aderendo al partito LDK sotto la guida di Ibrahim Rugova, poi si organizzarono in vere e proprie formazioni armate. Dal 1996 al 1999 i separatisti albanesi, riunitisi nell’Esercito di “liberazione del Kosovo”, compirono numerosi attentati di


Nel 1999 la NATO intervenne contro la Serbia, attuando una politica di dissuasione nei confronti della Repubblica federale jugoslava, che aveva come leader Slobodan Milosevic. L’Alleanza Atlantica, attraverso minacce e forti pressioni, avviò una serie di negoziati (che furono denominati di “Rambouillet”), che condussero all’autonomia del Kosovo. Ma l’indipendenza restava ancora un lontano miraggio, che si realizzò solo più tardi, grazie all’intervento degli USA. Nel momento in cui dovevano discutersi gli aspetti tecnici ed organizzativi dell’accordo la delegazione serba abbandonò la riunione, dichiarando di non accettare la proposta. Questo comportamento provocò la reazione dei Serbi, che l’avvertirono come una vera e propria provocazione. Ma perché la parte serba abbandonò il negoziato di Rambouillet? Pare ci fossero almeno due motivi. Il primo è che Madeleine Albright, segretario di Stato americano, prima che avvenisse l’accordo, si era impegnato nei confronti dei kosovari, ad assicurare il distacco del Kosovo dalla Federazione entro i tre anni successivi. Il secondo motivo è che, nell’Appendice dell’accordo, era stata prevista l’occupazione militare da parte della Federazione Serba. Il testo dell’accordo di Rambouillet di fatto autorizzava lo stanziamento di truppe NATO in tutta la Jugoslavia, e questo avrebbe autorizzato l’inizio delle ostilità. Anche l’Italia autorizzò l’uso dello spazio aereo a favore della NATO per fini militari. Nel conflitto giocò un ruolo importante della Albright che caldeggiava l’intervento militare degli Stati Uniti (allora sotto la presidenza di Bill Clinton).


Gli Americani in genere, invece, erano piuttosto distaccati, in quanto consideravano il problema del Kosovo una questione europea. Per alcuni giornalisti la guerra del Kosovo fu più che altro “mediatica”, gonfiata dalle immagini trasmesse in tv delle stragi compiute dai Serbi e dai reportage televisivi. Avendo compreso che gli accordi erano miseramente falliti, il 24 marzo 1999 l’Alleanza Atlantica mise in atto alcune operazioni militari di dissuasione, che dovevano servire a far tornare i Serbi sul tavolo delle trattative e porre fine al conflitto. Purtroppo le cose non andarono per il verso giusto: Milosevic mirava a dividere il Kosovo tra l’Albania e la Serbia, e per realizzare tale obiettivo intendeva servirsi di alcune alleanze: Cina e Russia, per una serie di diverse circostanze, erano dalla sua parte. La NATO cominciò a bombardare la Serbia in modo incessante: le perdite umane nei raid aerei furono circa un migliaio. Durante il conflitto in Kosovo vi furono alcuni gravi episodi che contribuirono ad alimentare la tensione già alta: il lancio del missile che per errore colpì la Bulgaria (per fortuna senza provocare alcun danno), la distruzione della torre televisiva serba e la conseguente morte di 16 persone che erano all’interno, il bombardamento dell’ambasciata cinese a Belgrado, che fu colpita credendo si trattasse della radiotelevisione serba. Tale episodio ebbe qualche ripercussione nei rapporti con la Cina. L’esercito serbo, attaccato dalle forze militari della NATO, cominciò a spingere la popolazione albanese ad allontanarsi verso l’Albania e la Macedonia. All’esodo albanese seguì ben presto quello serbo. Migliaia di persone lasciarono il Kosovo temendo di subire ritorsioni da parte degli Albanesi.


Sebbene la guerra del Kosovo sia terminata il 9 giugno 1999 (con la firma del trattato di pace tra la NATO e la Repubblica Federale di Jugoslavia), questa tensione è tutt’ora esistente tra le due etnie. Il presidente Milosevic è stato arrestato il 1° aprile 2001 dal Tribunale dell’Aja per il reato di “crimini contro l’umanità”, ma è morto prima che il processo fosse concluso.


O.N.U. •

L'ONU, Organizzazione delle Nazioni Unite, è nata per organizzare e promuovere la pace e la collaborazione fra i popoli. Fu istituita alla fine della Seconda Guerra Mondiale a

N.A.T.O. •

Nato, organizzazione internazionale per la collaborazione nella difesa, creata il 4 aprile 1949 a Washington. Lo scopo era quello di assicurare la sicurezza internazionale e il


Una sporca, raccapricciante “Piccola guerra perfetta”

L’ultimo romanzo dell’autrice albanese che scrive in italiano rievoca il sanguinoso conflitto che si svolse in Kosovo da marzo a giugno 1999, quasi come coda del processo bellico di dissoluzione della ex-Jugoslavia, contrassegnato dalla ‘pulizia etnica’ e da terribili massacri. Qui il violento scontro tra serbi e albanesi kosovari, con susseguente intervento di bombardamenti aerei della Nato, rivive dalla parte delle donne che affrontano la contingenza guerresca e i giorni della paura con piena coscienza. La visione in tv del leader kosovaro Ibrahim Rugova costretto con le minacce a stringere la mano a Miloševic, resta una ferita ancora aperta.


Le finestre sono oscurate con due strati di coperte di lana. Da fuori si sentono tuonare le bombe e le urla «che squarciano il mondo» sopra le sgommate dei camion e il rumore dei vetri che vanno in frantumi. Non si è totalmente al sicuro nemmeno nella propria casa e tanto meno fuori, perché la gente muore mentre va a riempire i bidoni d’acqua potabile. Non ci si abbraccia più come si è soliti fare nei Balcani, con profonda enfasi per evitare che quel saluto possa essere un addio. Rimandando l’abbraccio si spera che ci si possa salutare di nuovo. Elvira Dones, come racconta nella pagina dei “Ringraziamenti” del suo ultimo romanzo Piccola guerra perfetta,[i] è andata a Pristina nel dicembre 1999, sei mesi dopo la fine della guerra. Da quel momento è tornata più volte nella capitale del Kosovo a farsi raccontare quella guerra che lei, albanese di Durazzo vissuta in Svizzera e Usa, non ha vissuto sulla sua pelle: la “guerra perfetta” della Nato contro la follia dei serbi seguaci di Milošević. L’autrice, con questo romanzo non vuole fare una ricostruzione storica dei fatti, attribuire colpe, condannare, ma raccontarci le storie delle persone comuni senza troppi sentimentalismi e senza chiedersi le ragioni di così tanti morti e dell’odio di chi quando uccide usa «troppo piombo». Il desiderio di indipendenza del Kosovo non piace al leader del Partito Socialista serbo Slobodan Miloševićche dopo la dissoluzione della ex-Jugoslavia si era già duramente opposto all’indipendenza di Croazia e Bosnia, rivendicandone dei territori nei quali vivevano consistenti minoranze serbe. L’intento di pulizia etnica è feroce, con massacri e deportazioni che fanno tornare alla mente il periodo più oscuro del ’900.


Con l’intervento aereo dell’Alleanza atlantica e gli accordi di Dayton mediati dagli Usa – che vedono il riconoscimento di una entità croato-musulmana e una repubblica serba in Bosnia – i combattimenti si fermano, ma non le tensioni tra gli stati. Infatti in Kosovo è sempre più vivo il desiderio di autonomia della popolazione di origine albanese. Una lotta condotta anche dal gruppo armato indipendentista per la liberazione del Kosovo (Uck). Gli scontri tra serbi e albanesi kosovari si fanno sempre più violenti tanto da ritenersi necessario l’intervento della Nato per via aerea. Una “guerra lampo” come si dice ai tg, e come dice Art, giornalista del quotidiano di Pristina “Koha Ditore” e fidanzato di Rea, una delle donne qualsiasi, protagoniste del romanzo di Elvira Dones. Una guerra “chirurgica” che dovrebbe intervenire rapidamente, estirpare il male mentre si è anestetizzati per poi, seppur lentamente, potersi rimettere in forze. Le “donne dei Balcani” che incontriamo in questo romanzo sono invece perfettamente coscienti e vivono quei giorni di paura da marzo a giugno 1999 quando la Nato inizia i bombardamenti e i serbi intensificano le violenze e i massacri. C’è Besa, maestosa, «la trasposizione umana della Torre Eiffel» oppure la «versione femminile di un ipotetico incrocio tra Buddha, Gandhi e Churchill», professoressa di inglese di Rea all’Università di Pristina, sposata con uno storico della stessa università. C’è la stessa Rea che ama «quell’arrogante di Art» e che mentre le bombe cadono dal cielo si chiede perché Art non fosse riuscito a fare l’amore con lei, pochi giorni prima. E ironicamente, dato il contesto, conclude che forse sarebbe stato «poco nobile» fare l’amore lo stesso giorno degli accordi falliti di Rambouillet.[ii] Nita, amica di vecchia data di Besa, insegnante di lingua e letteratura albanese all’Università di Belgrado, Serbia. In quell’università dove «non è rimasto molto da dire» con i colleghi serbi che schivano gli sguardi diretti e che lei non saluta più come al solito per non metterli a disagio.


E poi c’è la sorella di Nita, Hana, sposata con Bexhet, che ha il cuore malato da quando era una ragazzina tanto che non avrebbe dovuto avere figli altrimenti sarebbe morta e che invece ha messo al mondo Fatmir e Blerime. E proprio la giovane Blerime a cui è stato affidato suo fratello minore Fatmir (dato che le donne dei Balcani, come lei sa, si prendono cura dei loro mariti e dato che lei non ha marito si prende cura del fratello) con il quale tenta di salvarsi dalla deportazione e al quale continuerà a stringere forte la mano anche quando lui non ha più un corpo e mentre lei, sola, subisce violenze tanto assurde quanto quotidiane. È proprio Blerime che ci dona le riflessioni più forti del romanzo, forse perché più giovane, perché questo è il momento in cui nella sua mente si forma l’idea della vita da grande ed è certa che sarà una traduttrice come zia Nita. «Dopo un paio di minuti si sentono le urla della ragazza [Bukurije, ragazza in fuga e che si nasconde insieme a Blerime, suo fratello e alte persone] nel cortile, urla da squarciare il mondo. Ma gli uomini proprio non lo capiscono che se una donna urla così allora è meglio lasciarla in pace? Se lo ascolti, quell’urlo, magari ti viene una risposta dalla fine della notte, delle notti. E ti fermi. Molli le armi nel bel mezzo della strada e te ne torni a casa tua a fare altro, forse a guardare un film, o mangiare un piatto caldo, oppure sederti fuori della porta di casa ad ascoltare il silenzio scendere in santa pace, pensa Blerime».[iii]


È in questo frangente di crescita e maturazione che Blerime vive l’orrore della guerra e delle violenze, soprattutto quelle contro le donne e contro di lei che sta diventando donna. Vede i camion fermarsi, le donne che vengono fatte scendere e spinte verso gli alberi e sente gli alberi urlare mentre sua zia Dardana implora i ragazzi di tenere gli occhi chiusi, anche e soprattutto, quando è lei a essere portata via: «Non guardate, non guardate! Se mi portano via non guardate e non urlate il mio nome, così non vi sparano e andrà tutto bene […]».[iv] Dardana è brava a lanciare urla mute, interne, quelle preferite da Blerime «sicura che entro la fine della guerra le donne del Kosovo avrebbero imparato a non usare più la voce, come stava facendo adesso zia Dardana, mancava poco e ci sarebbero arrivate, ancora un po’ e tante cose sarebbero state diverse».[v] Durante i quasi quattro mesi di bombardamenti Blerime ha due nomi: il nome della guerra, il diminutivo Bler, ironico accostamento al Primo Ministro britannico e Fatmir, il nome di suo fratello. Ridotta in fin di vita, la ragazzina scampata alla morte, racconta la sua storia alle decine di giornalisti internazionali che le hanno dedicato le prime pagine dei giornali: L’angelo che si rifiuta di morire, con tanto di foto. Lei parla di suo fratello Fatmir, ma i giornalisti non sanno che è un nome da maschio e così lo attribuiscono a lei. La cosa la fa un po’ ridere e pensa che dovrà “femminilizzarlo” in Fatmira: «sembra normale, una ragazzina qualsiasi» ma sta per iniziare una nuova vita, con una storia da raccontare, perché ora non le basta più fare la traduttrice come zia Nita, ma vuole scrivere, ricordare e raccontare. Ed è il lavoro che ha fatto Elvira Dones, grazie a questi ricordi.


Quella che è una pulizia etnica assume le caratteristiche di un genocidio incontrollabile, non programmato e terribilmente furioso. Elvira Dones, scandisce il tempo per giorni e con degli spaccati dedicati ad alcuni personaggi. Non c’è solo la “guerra perfetta” vissuta, ma anche quella dei kosovari che vivono all’estero, negli Usa, in Svizzera, a Londra che la guerra la vedono alla tv. Chi vive in Kosovo la tv non riesce a guardarla perché significherebbe sorbirsi la propaganda serba, anti-Nato e anti-albanese. O restare indignati nel vedere il presidente kosovaro Ibrahim Rugova, con la sua immancabile sciarpa di seta al collo nonostante la cravatta, che stringe la mano a Milošević e non crederci, pensare che sia solo una «diavoleria elettronica» messa su dai serbi. Rugova, che aveva studiato a Parigi, è stato professore di Rea e lei, a differenza del suo ragazzo Art, che lo ritiene una figura superata, crede ancora nella politica di Rugova. Ma se ora, l’uomo che aveva portato avanti un’«estetica della pace», il “Gandhi dei Balcani”, stringe la mano al “pazzo di Belgrado” niente sembra avere più senso. Era l’aprile 1999 e sì, come saremo venuti a sapere con il processo Onu del 2002, quel giorno Ibrahim Rugova venne costretto con le minacce ad apparire alla tv insieme a Milošević. In uno stile secco e diretto, che lascia poco spazio alle considerazioni della scrittrice, concentrandosi sui personaggi, le loro parole e paure e la loro, a volte, ironia («Su ragazze, un brindisi: evviva Milo e Mirjana che ci hanno regalato il lusso di starcene in casa a non far niente!») e sui suoni, il fracasso, le urla, le risate, i rumori che traumatizzano. E come colonna sonora le bombe, i Kalashnikov, e il turbo-folk di Svetlana Ceca vedova del comandante Arkan.


È nei momenti più dolorosi, quelli degli stupri e delle carneficine, che la Dones offre la migliore prosa asciutta e salda, che non perde mai il controllo. Come le sue donne che escono di casa con addosso, cuciti nelle spalline della giacca, «tanti di quei soldi da comprare un’auto accessoriata» perché possono servire per comprarsi la vita, quando invece si è usciti solo per comprare il pane. Ma un forno serbo non vende pane agli albanesi. Oppure bisogna non farsi riconoscere come tali, ascoltare in silenzio gli insulti verso i ministri delle nazioni Nato e verso gli albanesi e non aver paura nemmeno quando nella panetteria entrano militari armati per controllare che non ci siano «sporchi albanesi». Si tengono i denti stretti, fino a quando non arriva il momento di sbarazzarsi delle coperte alle finestre ed essere liberi di guardare il mondo senza doverlo spiare.


Donne del Kosovo oggi Le condizioni di vita per la donna sono ancora particolarmente difficili in Kosovo. Ciò è chiaramente visibile in almeno tre ambiti fondamentali: educazione, lavoro e famiglia. Il tasso di analfabetismo è molto più elevato tra le donne (10%) che tra gli uomini (2%). Solo poco più della metà delle donne in età scolare ha accesso all’istruzione secondaria e l’abbandono scolastico femminile è molto più elevato rispetto a quello maschile. A ciò si deve aggiungere che il tasso di disoccupazione femminile è pari a circa il 70% e il 60% della forza lavoro femminile occupata è impegnata in categorie di lavoro non qualificato. Inoltre, il 99,3% delle donne residenti nelle aree rurali e che hanno completato l'istruzione secondaria rimane senza lavoro. Nonostante il grande ed indispensabile contributo delle donne alla vita familiare e alla produzione agricola, nella maggior parte dei casi esse sono escluse dalla vita sociale delle proprie comunità e non hanno nessun controllo o proprietà sulle risorse primarie. In questo contesto, RTM sostiene il faticoso percorso di riscatto della donna, promuovendo la loro partecipazione attiva alla vita sociale ed economica delle comunità di appartenenza convinti che accompagnare le donne in questo percorso contribuisca allo sviluppo economico e sociale del paese.


La donna in Italia - prima e oggi La donna, il sesso debole é nata per fare la casalinga. Prima di tutto la donna deve essere madre, moglie e casalinga. Molti anni fa la donna ha rappresentato il ruolo tradizionale. Era economicamente dipendente da suo marito, e non aveva la possibilitá di cambiare la sua vita. La donna conserativa é una schiava domestica: deve fare tutti i lavori domestici da sola, e non ha molto tempo libero. Deve pensare a tutto, e con un marito e con i figli il lavoro non manca. Il suo lavoro é duro, pesante, e faticoso ma nella societá moderna essere casalinga non significa fare niente o essere disoccupata. Prima tutte le donne erano conserative perché la donna non ha avuto gli stessi diritti e ha avuto un ruolo diverso dall'uomo. Oggi la donna si é liberata dal ruolo tradizionale prova a fare la sua strada. La donna d'oggi é indipendente e emancipata. Non sta a casa tutto il giorno e si occupa della famiglia. Spesso la donna fa un lavoro extradomestico per poter realizzarsi. La donna d'oggi dice che non perde i contatti umani con altre persone, e che si sente chiusa quando sta a casa tutto il giorno. La donna d'oggi ha gli stessi diritti degli uomini, ma in pratica non é sempre cosí. Per esempio nel sud d'Italia molte donne devono stare a casa e devono occuparsi solo della loro famiglia. L'uomo é nato per lasciare la casa, e per fare un lavoro extradomestico. Il suo compito è mantenere la sua famiglia. Lui é il capo, il patrone della famiglia e vuole decidere tutto. La donna é nata per rimanere a casa. Deve svolgere tutte le facende domestiche. Ci sono i lavori feminili come stirare, portare fuori il cane, fare i letti, fare le pulizie, cucinare, spolverare e specialmente cucire e fare la spesa. Solo la donna sa queste cose, perché é impossibile che l'uomo faccia le facende domestiche. Lavare i pavimenti, lavare la bianccheria, stendere la bianccheria spetta alla donna, perché era il suo compito per secoli. Quando una donna va a lavorare si dice che l'uomo non possa mantenere tutta la famiglia e questo ferisce il suo orgoglio.


L’emancipazione della donna Come ognuno sa, le donne hanno secondo la legge gli stessi diritti degli uomini. Ma nella vita reale non si ha quest’ impressione. Oggi ci sono giá donne manager, donne che fanno carriera in politica e anche donne scienziata, donne pilota, donne designer, e cosí via. È molto difficile emanciparsi per le donne meridionali. Nel mezzogiorno le donne devono portare solo vestiti neri, devono coprire la loro pelle ed il loro destino sarebbe rimanere sempre a casa e fare la casalinga. Ma oggi anche la donna meridionale ha cominciato a emanciparsi, e per lo piú le ragazze fuggiono dalla tradizione del Mezzogiorno al Nord dove possono trovare piú possibilitá per studiare e di diventare istruite meglio. Qualche volta si trovano anche nel Sud donne che occupano un posto di grande prestigio. Si è notato anche una diminuzione dei neonati che è probabilmente causata dalla gente che vuole fare una carriera e non ha tempo per curare i bambini. Se moglie e marito lavorano c’è spesso un litigo che fa la casalinga. C’è anche il problema che gli uomini non veramente vogliono acettare quest‘ emancipazione e pensano che pulire, cucinare, curare i bambini e stirare siano solo i compiti della donna, perché solo lei è portata per le faccende domestiche. Se una famiglia ha bambini piccoli, è meglio che la donna stia a casa, perché se i bambini sono solo a casa, devono cucinare, qualche volta vengono trascurati, e non hanno nessuno con chi possono parlare, e i bambini hanno bisogno di parlare. Invecce una donna che lavora guardagna i propri soldi, e puó decidere da sola che cosa compra, ed è anche piú sicura di se stessa, e piú soddisfata. Puo fare carriera del mondo politico, puó occupare una funzione importante, e puó avere anche molto prestigio. In Italia ci sono molte persone venute dal terzo mondo, che non hanno un istruzione vero, e per questo sono colf (collaboratrice famigliare).


8 marzo, festa della donna C’è una festa della donna, che viene celebrata ogni anno al 8 marzo. Viene celebrata la donna e l’emancipazione. Il simbolo di questa festa sono i rametti gialli che vengono portati sulle strade dalle donne che urlando le parole: „donne le protagoniste della festa“. Ma si deve aggiungere che anche questa festa viene abusata dai politici e altre persone che vogliono fare pubblicitá per se stessi e che non hanno nessun senso per la festa. Domande: Com’era la situazione della donna in Italia prima? Com’è la situazione della donna in Italia oggi? Quali sono i lavori tipici della casalinga? Com’è la situazione della donna meridionale? Ha la donna gli stessi diritti degli uomini? Che cos’è la festa della donna?


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