Laboratorio per un'identità visiva illustrata: i Giardini Botanici Hanbury

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Laboratorio per un’identità visiva illustrata: i Giardini Botanici Hanbury Silvia Robertelli


Scuola di Progettazione

Diploma Accademico di II livello in Grafica delle immagini indirizzo Illustrazione

Laboratorio per un’identità visiva illustrata: i Giardini Botanici Hanbury Studentessa Silvia Robertelli matricola n. 209 Relatore Beppe Chia a.a. 2013/2014


Laboratorio per un’identità visiva illustrata: i Giardini Botanici Hanbury



Silvia Robertelli | Laboratorio per un’identità visiva illustrata

I. Abstract

Questa tesi presenta una ricerca sul rapporto tra identità visiva e illustrazione, indagando le relazioni, le intersezioni, le aree di contatto e di distanza tra i due termini. Parallelamente, si esplora l’ambito della comunicazione dei beni culturali e le sue problematiche. I Giardini Botanici Hanbury diventano il luogo per sperimentare la sintesi di queste osservazioni, attraverso una ricerca di segno che va a costituire il tessuto di un’identità visiva “illustrata”, cercando una risposta a questo interrogativo: È possibile generare un’identità visiva coerente, univoca e riconoscibile, attraverso l’utilizzo di un segno “illustrato”, lontano da forme fortemente codificate?

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“Rara iuvant: primis sic maior gratia pomis, Hibernae pretium sic meruere rosae.” Piacciono le rarità: così le primizie dei campi sono più gradite, così le rose invernali hanno maggior pregio. Marziale, Epigrammi, Liber IV 29



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II. Premessa

Ho visitato per la prima volta i Giardini Hanbury nell’estate 2013 con ammirazione, meraviglia e una punta di amarezza per la loro scarsa valorizzazione. Sono nata e cresciuta a Genova, non molto lontano dalla rigogliosa terra dal microclima ideale, al confine con la Francia, dove Sir Thomas Hanbury nel 1867 fece sorgere il suo magnifico giardino. Eppure, nulla qui parla di questo posto unico al mondo nè invita a visitarlo; ma quello che è più sconvolgente è che addirittura a Ventimiglia e nelle zone circostanti nulla indichi la sua presenza; percorrendo la strada statale per raggiungerlo, è facile superare l’ingresso senza neanche notarlo. Mi sono chiesta perché questo luogo ancora non abbia una identità visiva che lo rappresenti adeguatamente. Ho saputo dell’esistenza dei GBH sentendoli raccontare dalla mia prozia, che abitò a lungo a Sanremo, e mi fece venire la curiosità di andarli a visitare. Lì ne ho scoperto la storia, che parla di viaggi intorno al mondo, nostalgia, ricerca della felicità, amore per una terra scelta come approdo e per la gente del posto, apertura e chiusura al tempo stesso.

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Ho conosciuto persone che ci lavorano con passione e quotidianamente lottano per offrire un servizio di qualità nonostante le difficoltà oggettive che incontra qualsiasi istituzione culturale in Italia oggi. Credo che i Giardini Botanici Hanbury meritino una comunicazione visiva che raggiunga il suo scopo, ovvero renderli visibili e completamente fruibili da parte di tutti, dentro e fuori, dal biologo al professore di botanica, ma anche e soprattutto all’anziano, al botanico “della domenica”, al bambino a bocca aperta e all’adolescente annoiato. Entrare in contatto con la complessità e la bellezza della biodiversità e interessarsi alla sua salvaguardia dovrebbe essere infatti un’esperienza di tutti. La mia ricerca mi ha fatto riflettere sui processi interdisciplinari che portano alla costruzione di un’identità visiva, soprattutto quando si tratta di un ente così complesso come lentamente ho avuto modo di conoscere. Il mio intento quindi non è fornire un’identità visiva strutturata e completa, ma investigare quale valore aggiunto potrebbe dare l’illustrazione. Spero che questa mia tesi possa servire a gettare le basi di una riflessione per tradurre la rara bellezza dei Giardini in una veste grafica consona, attuale e funzionale.

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Sommario

I. Abstract II. Premessa

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1. Identità visiva dei beni culturali 1.1 Identità visiva 1.1.1 Origini 1.1.2 Personalità, identità, immagine 1.1.3 Immaterialità 1.1.4 Elementi dell’immagine coordinata 1.1.5 Immagine coordinata hard e soft 1.1.6 Nuove tendenze

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1.2 La comunicazione dei beni culturali 1.2.1 I luoghi della cultura 1.2.2 Dare voce alla cultura 1.2.3 Grafica di pubblica utilità 1.2.4 Il difficile dialogo con la committenza 1.2.5 Nuovi paradigmi visivi

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2. Identità visiva e illustrazione 2.1 Un secolo di collaborazioni 2.2 Diversi livelli di relazione 2.3 Che cosa può aggiungere l’illustrazione? 2.4 Parole come immagini 2.5 Un approccio hard o soft?

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_ Casi studio

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3. Giardini Botanici 3.1 Giardini Botanici, musei viventi _ Definizione _ Origini ed evoluzione _ In Italia _ In Liguria

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3.2 Identità visive di Giardini Botanici

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4. Giardini Botanici Hanbury 4.1 I GBH, un giardino planetario 4.2 Breve storia dei GBH 4.3 I GBH oggi 4.4 L’Associazione Amici dei GBH 4.5 La comunicazione dei GBH oggi

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5. Giardini Botanici Hanbury, laboratorio per un’identità visiva illustrata 5.1 Le motivazioni Perché l’illustrazione?

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Ricerca iconografica Prime impressioni illustrate Elementi di un’identità visiva illustrata

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III. Bibliografia e Sitografia

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1. IdentitĂ visiva dei beni culturali


1. Identità visiva dei beni culturali

1.1 Identità visiva 1.1.1 Origini

Fin dall’antichità sono in uso sistemi simbolico-segnaletici anche molto complessi e codificati (un esempio per tutti, l’araldica) utilizzati come precisi sistemi d’identificazione e di comunicazione. Si potrebbero quindi trovare, nel passato, infiniti esempi di precursori del concetto di identità visiva. Tuttavia questa comincia a strutturarsi per divenire progressivamente la pratica progettuale che intendiamo oggi in seguito alla Rivoluzione industriale (metà del Settecento): con l’estendersi del mercato, crebbe l’esigenza di identificare il proprio marchio per differenziarsi dai concorrenti ed essere competitivi. Ad inizio ‘900 con l’esperienza tedesca della AEG si ha con Peter Behrens il primo progetto, articolato, completo e complesso, di immagine coordinata. Traduzione del termine inglese corporate identity, la definizione di immagine coordinata è stata formalizzata per la prima volta da F. H. K. Henrion e A. Parkin nel 1976.

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“Un sistema di immagine coordinata è rappresentato dallo stile che definisce elementi come colori, simboli e logotipi che hanno lo scopo di rappresentare la corporazione a cui appartengono” La traduzione letterale corporazione si riferisce al termine inglese corporations che definisce un concetto molto più ampio che include aziende, associazioni, gruppi di persone, enti ed istituzioni, organismi rappresentativi. Infatti fin dall’inizio del XX secolo, non solo le grandi industrie, ma anche le società di trasporti, gli eventi di qualsiasi tipo, i gruppi, i movimenti e i partiti politici sentono il bisogno di dotarsi di un’immagine riconoscibile.

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F. H. K. Henrion, A. Parkin, Design coordination and corporate image, 1976 London: Reinhold Publishing Studio Vista


1. Identità visiva dei beni culturali

1.1.2 Personalità, identità, immagine

Oggi più che mai, qualsiasi azienda, ente, istituzione culturale, partito politico, associazione non governativa, esercizio commerciale, città, organismo rappresentativo, società sportiva (e si potrebbe continuare all’infinito) ha bisogno di essere visibile nel panorama in cui si propone, locale o globale, per non sparire nel nulla. A proposito della corporate identity, di design e pubblicità, Conversazione con Giovanni Anceschi, Elio Carmi e Vanni Pasca

Ed è proprio per rispondere a questa necessità di visibilità, intesa come “la permanenza della visione, oltre che la consapevolezza nell’offrire l’immagine voluta” che nasce una disciplina complessa che coinvolge molte figure professionali, e che viene denominata da Giovanni Anceschi progetto di immagine coordinata. Più dettagliatamente, essa si può definire:

“L’insieme delle immagini o idee o qualità di un ente che le persone hanno o si formano entrando in rapporto con loro tramite elementi, detti punti di contatto, quali marchi, edifici, prodotti, packaging, stampati, veicoli,

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pubblicazioni, uniformi, attività promozionali.” Quest’ultima definizione trova un’ottima rappresentazione grafica nel diagramma disegnato da Waly Olins nel 1995, in cui egli introduce anche il concetto di corporate personality.

Descrivendo i termini attraverso una similitudine la corporation è come un uomo con una sua personalità (qualità innata, interna e immodificabile), una identità (unità di aspetti diversi, trasformabile) e una immagine (elemento esterno, interamente progettabile). Ed è a livello dell’immagine esterna che si inseriscono i punti di contatto, che agiscono come dispositivi di varia natura

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F. H. K. Henrion, A. Parkin, Design coordination and corporate image, 1976 London: Reinhold Publishing Studio Vista

Diagramma di Wally Olins, 1995 [ridisegnato]


1. Identità visiva dei beni culturali

frapposti tra la corporation e i fruitori per consentirne il dialogo. L’immagine coordinata dovrebbe essere l’immagine visibile e tangibile di un sistema organizzato e complesso con il quale si entra in relazione.

Ω 1.1.6 Nuove tendenze

Progressivamente si è iniziato ad utilizzare il termine identità visiva (visual identity) al posto di immagine coordinata e oggi si tende a preferirlo. Immagine coordinata è la traduzione di corporate image, quindi fa implicito riferimento al mondo industriale e aziendale. Inoltre, immagine coordinata rimanda a una modalità molto rigida e fissata secondo la quale il progetto deve declinarsi necessariamente su una serie di artefatti piuttosto standard. Identità visiva pare invece un termine più ampio, che può accogliere anche esperienze più libere e originali. L’identità visiva, che sembra agire più in profondità, non solo al livello più esterno dell’immagine, può essere quindi considerata un’evoluzione ed un arricchimento dell’immagine coordinata.

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1.1.3 Immaterialità

Ben sintetizza questo passaggio concettuale (nonché di approccio al progetto) Pino Grimaldi, secondo il quale la locuzione immagine coordinata è un desueto retaggio di una disciplina pre-accademica, che si sostanziava di “teorie implicite”, ingenuo frutto del praticare un “mestiere” con un fragile statuto disciplinare ed una scarsa letteratura scientifica. L’identità visiva, invece, rimanda all’immagine di una istituzione “formata da elementi di natura materiale e molti altri di natura immateriale, intangibile, reputazionale e molte altre dimensioni indistinte.” È quello che l’autore chiama blur design, riprendendo la definizione, del 1999, di due economisti americani, Stan Davis e Cristopher Meyer: “Blur, la zona indistinta dell’economia interconnessa”. Si tratta di una dimensione veramente nuova, nella quale “l’immaterialità, vale a dire la valorizzazione della componente intangibile di prodotti e servizi” si traduce in una zona indistinta di fusione delle aree di confine tra saperi, metodologie e tecnologie.

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Pino Grimaldi, “Comune di Napoli, un concorso senza idee”, Il Denaro (Il Sole 24 Ore), 2 agosto 2014

Pino Grimaldi, Blur Design, Il branding invisibile, Bologna: Fausto Lupetti Editore, 2014


1. Identità visiva dei beni culturali

La progettazione di un’identità visiva si fonde con l’attività di branding, ovvero la creazione, costruzione ed elaborazione della marca, attività blur, indistinta e interdisciplinare per definizione, a cavallo tra marketing e design. Si tratta di un processo che solo in piccola parte risulta visibile, nei soli aspetti direttamente visibili e pronunciabili, ovvero il nome della marca e la sua forma visuale, il design: la parte emersa dell’iceberg. La parte sommersa è piuttosto grande ed invisibile, difficile da cogliere e complessa da elaborare: è la definizione della grande area di valori e significati che la marca deve veicolare al consumatore.

Pino Grimaldi, Blur Design, il branding invisibile, 2014 [ridisegnato]

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Ad oggi, in una società in cui non è più così importante possedere, quanto accedere a beni e servizi (come profetizzava Rifkin ne L’era dell’accesso, 2000), si assiste ad un’amplificazione smisurata dei valori più immateriali e delle dimensioni più astratte, irrazionali, che una volta erano scarsamente considerate e ancor meno produttrici di valore. Le nuove dimensioni del marketing sono quelle del vendere esperienze, relazioni, emozioni, cultura e intrattenimento.

1.1.4 Elementi che costituiscono l’immagine coordinata

Come accennato, l’approccio classico del progetto di immagine coordinata si sta evolvendo e viene inglobato in quella che oggi chiamiamo identità visiva, un concetto più ampio e complesso perché include anche aspetti immateriali che esistono a prescindere dalla volontà del progettista di coordinare e sistematizzare e che dovrebbero essere indagati a monte insieme a tutti gli stake-holders (committente, pubblico, personale…). Gli elementi base imprescindibili del progetto tradizionale di immagine coordinata sono il marchio, il carattere tipografico e i colori istituzionali, che

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1. Identità visiva dei beni culturali

vengono poi declinati e combinati in vari artefatti comunicativi.

Tomàs Maldonado, "Sul marchio", Rassegna, n.6, aprile 1986

Il marchio, nella definizione di Tomàs Maldonado, può essere un logotipo o fonogramma (composizione di una o più lettere alfabetiche), un pittogramma (semplificazione grafica di un oggetto o di una classe di oggetti, di una qualità o di un’azione), un diagramma (segno grafico non iconico che rappresenta una qualità, un’azione o un processo) o una combinazione di questi. I caratteri tipografici definiscono il temperamento e il “tono di voce” della comunicazione; specialmente quando viene progettata appositamente una famiglia di caratteri, questi conferiscono una sensazione visiva che rende distinguibile (anche se per lo più inconsciamente) la comunicazione tra le tante. I colori istituzionali fissano le scelte cromatiche del progetto e vengono definiti attraverso sistemi codificati e universalmente riconosciuti (metodi CMYK e RGB, codici esadecimali, campionari Pantone...). Le modalità di utilizzo del sistema di immagine coordinata, le normative e le prescrizioni riguardanti il marchio e ogni singolo artefatto sono contenute nel manual, vero e proprio strumento attuativo

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del progetto e strumento tecnico che sancisce proprietà e confini del brand. Ha valore giuridico in quanto vieta le imitazioni e gli utilizzi impropri. Molto importanti sono interventi periodici di adattamento e rivisitazione del sistema di immagine coordinata, che in linea ideale devono seguire la crescita e il cambiamento della corporation. Il progetto di identità visiva generalmente presenta questi elementi ma non si basa solo su di essi, dai quali talvolta può addirittura prescindere.

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1. Identità visiva dei beni culturali

1.1.5 Immagine coordinata “hard” e “soft”

L’adozione o l’assenza di un manual è la differenza più evidente tra un’immagine coordinata hard, fortemente vincolata, ed un’immagine coordinata soft, più flessibile. “Ad uno dei poli ideali della caratterizzazione dell’immagine, che chiameremo polo soft, possiamo virtualmente collocare l’immagine totalmente spontanea di un’identità che agisce liberamente in totale assenza di vincoli [...] Al polo opposto, che definiamo hard, possiamo collocare l’immagine totalizzante dell’uniformità assoluta, nella quale l’image pianificata tende a coincidere col mondo, e le distinzioni sono solo quelle interne alla gerarchia”.

G. Anceschi, Monogrammi e figure, La casa Usher, Firenze 1988

Queste due diverse modalità progettuali non sono da considerarsi una migliore dell’altra, ma rispondono ad esigenze (comunicative e pratiche) diverse: da una parte immagini coordinate hard come quelle di Esso o Agip riescono, attraverso una forte iterazione e invariabilità degli strumenti comunicativi, ad affermare la propria identificazione pur non avendo un prodotto “materiale” da mostrare; dall’altra,

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in aziende come Olivetti e Fiorucci viene messo in avance il prodotto venduto, che viene interpretato ecletticamente in molte e varie modalità espressive da vari progettisti e professionisti, e compito dell’identità visiva, in questo caso soft, è di coordinare i vari interventi (per Olivetti lavorarono gli architetti Figini e Pollini, il designer Nizzoli, il pubblicista e poeta Sinisgalli, i grafici Pintori e Schawinsky). La presenza di un manual rigoroso (immagine coordinata hard) permette una corretta applicazione del progetto in modo continuativo nel tempo, ne facilita la riconoscibilità da parte del pubblico ed è particolarmente utile nei casi in cui non vi sia un progettista grafico che operi internamente all’azienda. L’immagine coordinata soft può dar luogo a soluzioni più espressive e libere, tuttavia con la possibilità, a mio parere, di diminuire la riconoscibilità. In questa modalità progettuale è fondamentale che ogni nuovo artefatto sia creato da un professionista (mentre in un’immagine coordinata hard teoricamente si possono creare artefatti eseguendo istruzioni precise/template). L’aspetto positivo, oltre alla maggiore espressività possibile, è che un’immagine coordinata soft può declinarsi fluidamente per corrispondere sempre alla personalità dell’azienda o ente, necessariamente mutevole nel tempo.

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1. Identità visiva dei beni culturali

Tuttavia, nella realtà soprattutto odierna, queste due modalità possono convivere e dare luogo a una molteplicità di interpretazioni di uno stesso brand. www.google.com/design/ spec/material-design/ introduction.html

www.google.com/doodles

Può esserne un esempio Google, che possiede un manual con linee guida solide, precise ma anche flessibili per i propri designer allo scopo di produrre contenuti di alta qualità che rafforzino il brand. Al tempo stesso, il brand viene rafforzato (e forse ancora di più, visto il successo dell’operazione) da utilizzi del marchio che esulano da queste linee guida stilistiche: i cosiddetti Google Doodle sono illustrazioni, a volte varianti naturali del logotipo, che celebrano in modo divertente e soprendente festività e anniversari. L’aderenza all’universo del brand Google si esplicita non sul lato visivo (gli stili sono molteplici) ma proprio negli aspetti immateriali, rispecchiando la mission dell’azienda.

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1.1.6 Nuove tendenze Contorno netto, sinonimo di riconoscibilità?

Fino a non molto tempo fa vi era la convinzione diffusa che un marchio dovesse necessariamente essere costituito da forme chiuse, geometriche, con contorni netti, pochi colori piatti e non sfumati… Questo era legato alle tecnologie di stampa (anche su grande formato e su varie tipologie di supporti) che riproducevano più facilmente quel tipo di immagine, ma anche all’idea che una maggiore semplicità visiva attirasse di più l’occhio e l’attenzione, restando più impresso. Se questo è stato vero per molti marchi molto “semplici” e stilizzati che tutti riconosciamo a colpo d’occhio, non si può non notare come questo approccio “rigido” e “geometrico” abbia dato origine a un’infinità di marchi troppo simili tra loro. Nell’ultimo decennio o poco più, anche grazie al miglioramento delle tecnologie di riproduzione delle immagini, le possibilità sono diventate più varie e vi sono molti marchi che funzionano ottimamente in termini di riconoscibilità pur non avendo un contorno netto.

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1. Identità visiva dei beni culturali

1.

Ad inaugurare questa controtendenza, il progetto di identità visiva della Tate Gallery of Modern Art di Londra (Miles Newlyn, 2000), nel quale proprio l’assenza di un contorno definito diventa la caratteristica più riconoscibile del marchio. Il marchio (o meglio la famiglia di marchi, per le varie Tate - Liverpool, St.Ives, Modern, Britain) si presenta infatti come una scomposizione in fotogrammi del processo di “messa a fuoco” delle lettere che compongono il logotipo.

2.

1. Logo della rete Parc Nationaux de France; 2009, Atelier de Création Graphique, Paris; il contorno sembra sfumato perché il pittogramma è formato da moltissimi altri elementi. 2. Tate Gallery of Modert Art, 2000,Miles Newlyn; declinazioni del logotipo

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Il marchio deve essere unico?

Altro dogma assolutamente caduto nella progettazione di identità visiva è l’unicità del marchio; sono moltissimi ormai i casi in cui la mutevolezza ne è la caratteristica principale. Alcune di queste si possono far rientrare a pieno titolo nelle identità visive generative. Alcuni esempi di marchi che fanno della mutevolezza la propria caratteristica distintiva sono Mtv, Aol (Wallf Olins, 2009), New York City (di nuovo, Wallf Olins), Mit Media Lab.

3.

3. Aol, declinazioni del logo; Wallf Olins, 2009


1. Identità visiva dei beni culturali

Identità visive “non coordinate”

Molti oggi ritengono che l’immagine coordinata immutabile e sempre uguale a se stessa sia obsoleta. Condividono questa opinione Stefano Caprioli e Pietro Corraini, i quali nel Manuale di immagine non coordinata (Corraini) propongono un linguaggio più naturale, nel quale il marchio non è la riproduzione statica di un segno deciso a priori ma è definito da un processo.

“L’immagine non coordinata prevede che il marchio venga riprodotto ad ogni suo utilizzo. L’immagine coordinata definisce la forma del marchio, l’immagine non coordinata ne definisce il metodo di realizzazione. Ripensare il marchio in termini di processo porta la progettazione ad assumere un approccio sostanzialmente genetico.

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Se il nostro marchio fosse la foglia del platano, tutte le foglie di qualsiasi platano passato presente e futuro sarebbero manifestazioni di questo marchio. Tutte le foglie di una specie sono frutto del medesimo processo, delle stesse regole costruttive. Non è possibile prevedere quale forma avrà una foglia di platano, nè sarà mai possibile sovrapporre esattamente due foglie di platano. Sarà sempre possibile, invece, riconoscere una foglia di platano come foglia di platano e una foglia non di platano come una foglia non di platano.” In questi ultimi anni, anche grazie all’avvicinarsi dei designer a linguaggi informatici come processing, si sono viste moltissime identità visive generative, dinamiche, flessibili. Talvolta i risultati sono molto interessanti e raggiungono realmente il proprio scopo comunicativo; altre volte invece l’intervento generativo non è realmente giustificato e le identità che ne risultano tendono ad essere molto simili fra loro.

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Stefano Caprioli e Pietro Corraini, Manuale di immagine non coordinata, Mantova, Edizioni Corraini, 2006


1. Identità visiva dei beni culturali

1.2 La comunicazione dei beni culturali 1.2.1 I luoghi della cultura e le loro trasformazioni

Nell’ambito dei beni culturali si può osservare un profondo cambiamento in atto da alcuni decenni e niente affatto terminato: una progressiva apertura verso il mondo esterno dei luoghi della cultura.

“A museum is a non-profit, permanent institution in the service of society and its development, open to the public, which acquires, conserves, researches, communicates and exhibits the tangible and intangible heritage of humanity and its environment for the purposes of education, study and enjoyment.” Definizione dell’ICOM (International Council of Museum, Organismo dell’UNESCO che riunisce direttori e conservatori dei musei di tutto il mondo), dalla 22esima Assemblea Generale (Vienna, 24 agosto 2007)

Un museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che acquisisce, conserva, ricerca, comunica ed espone l’eredità tangibile ed intangibile dell’umanità e del suo ambiente naturale, ai fini di studio, educazione e diletto.

Questa definizione così ampia ben si adatta alla varietà delle strutture o enti capaci di conservare e produrre cultura (musei, siti archeologici, teatri, biblioteche,

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conservatori, ma anche giardini botanici e centri di ricerca scientifica). Vale qui la pena sottolineare alcuni aspetti come fondamentali: •

un luogo della cultura deve permanere nel tempo per crescere, svilupparsi, integrarsi nel suo territorio ed approfondire il suo scopo; non deve essere a scopo di lucro bensì al servizio della crescita culturale della società e del suo sviluppo;

deve avere presente l’importanza etica dell’apertura al pubblico, intesa come inclusività, fruibilità ed accessibilità; il museo deve essere pensato e progettato per essere visitato ed apprezzato dal pubblico;

deve considerare la comunicazione del suo patrimonio come parte imprescindibile della propria missione istituzionale.

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1. Identità visiva dei beni culturali

Il cambiamento nella concezione dei luoghi della cultura è esplicito nei progressivi aggiornamenti della definizione dell’ICOM, che si fa man mano comprensiva di molteplici aspetti un tempo non considerati come afferenti all’ambito culturale. Tra questi, di grande importanza è il riconoscimento della sfera ambientale naturale e degli aspetti immateriali e intangibili. Le trasformazioni dei luoghi della cultura hanno coinvolto la gestione, la fruizione, la valorizzazione e la tutela degli stessi. Questo processo di apertura, tutt’ora in atto, è determinato innanzi tutto dal cambiamento dei fruitori, i quali negli ultimi decenni hanno aumentato la domanda di prodotti culturali diversificati, di cui godere in modalità ben diverse dal passato, avvicinandosi al mondo dell’intrattenimento. Questa crescente domanda è legata a cambiamenti sociali e demografici come l’innalzamento del livello d’istruzione, la maggiore disponibilità di tempo libero e l’aumentata facilità di spostamento. In altri paesi, in primis la Francia, si è saputo seguire questa evoluzione facendo crescere e differenziando l’offerta culturale. In Italia si assiste a un inizio di questo processo con l’entrata in vigore della legge

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Ronchey, nel 1992, con la quale “vengono introdotti i cosiddetti “servizi aggiuntivi”, ovvero i servizi di vendita e ristorazione, primo passo verso un’apertura delle istituzioni culturali, le quali si scoprono attente alle esigenze e richieste dei loro fruitori, non solo di carattere strettamente culturale”. È così che le istituzioni hanno accresciuto il loro interesse nei confronti delle comunicazioni visive, capaci di generare un vero e proprio linguaggio comune tra l’ente stesso e il complesso degli utenti, rendendo possibile uno scambio e un dialogo. L’identità visiva di un bene culturale infatti equivale alla “sfera comunicativa che racchiude e descrive l’identità dell’istituzione” e si configura successivamente come “l’interfaccia tra l’istituzione stessa e il mondo esterno”.

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1. Identità visiva dei beni culturali

1.2.2 Dare voce alla cultura

“Bisogna che i monumenti cantino. È necessario che essi generino un vocabolario, creino una relazione, contribuiscano a creare una società civile. La memoria storica, infatti, non è un fondo immobile in grado di comunicare comunque, bisogna sapere come farla riaffiorare, va continuamente rinarrata. Anche perché, se il patrimonio storico, culturale, non entra in relazione con la gente, declinando linguaggi diversi e parlando a tutti, rischia di morire, incapace di trasmettere senso e identità a una comunità.” Paul Valéry, Cahiers, 1921

Le parole di Paul Valéry introducono ottimamente il tema della comunicazione visiva della cultura, mettendo in luce, oltre all’innegabile valore intrinseco del patrimonio storico-culturale, l’importanza della comunicazione come dialogo a più voci tra il bene stesso e il cittadino, allo scopo di sviluppare una società civile che cresce con un’identità comune.

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Come riassumono le parole di Reudi Baur, la relazione del progetto di comunicazione con le singole parti del luogo culturale deve essere univoca: il risultato ottenuto, trasposto in un altro contesto, sarebbe assolutamente improprio ed inadatto.

“L’identità di un luogo culturale è fortemente determinata dal sito, dall’architettura, dalla programmazione e dal patrimonio in esso custudito. Il ruolo svolto dalla disciplina del graphic design nei migliori esempi progettuali, è quello di agire come una sorta di cintura di sicurezza tra questi elementi, ovvero tra il contenuto e il contenitore, tra la collezione permanente e gli eventi temporanei. Il graphic design è, inoltre, in grado di tradurre la specificità del luogo in un linguaggio visivo che gli conferisce identità e può essere successivamente adoperato su differenti media. Paesaggio, architettura, oggetto e graphic design formano in tal senso, un unico elemento, un tutto inscindibile.” Reudi Baur, Identità de lieux/Identity of places, Pyramid, Parigi, 2004

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1. Identità visiva dei beni culturali

Lo strumento che più efficacemente può esser in grado di “restituire la voce” alla cultura è il progetto di identità visiva, a condizione che nasca da uno studio ed analisi attenti alla personalità, esistente ma silenziosa e sommersa, del bene culturale stesso. Si assiste in questi ultimi anni a un’evoluzione della gestione degli enti culturali, dotati di più ampie autonomie, che arrivano a comportarsi sempre più da “aziende”. Questo fa sì che ci si renda conto della necessità di dotarsi di un’identità visiva. Purtroppo troppo spesso questa necessità da parte delle istituzioni si traduce in concorsi pubblici di dubbia serietà (senza una giuria qualificata, senza un brief chiaro ed adeguato alle tempistiche richieste, senza capacità di valutare gli elaborati, senza premi congrui) che non sono quindi “attrattori di idee” ma di dilettanti ben lontani dalle competenze professionali che sarebbero richieste.

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“Il timore, non del tutto infondato, è che una volta ancora il ruolo insostituibile svolto dalla disciplina grafica possa passare in secondo piano o essere del tutto trascurato, perché considerato superficialmente come un accessorio e, quindi, non indispensabile. Così non è, pertanto, in un momento in cui vi è una così alta richiesta da parte delle istituzioni stesse, la volontà è quella di riflettere ad alta voce sull’importanza che può assumere un sistema di identità visiva nell’ambito culturale, sempre si intende che questo sia l’immagine riflessa di un sistema realmente dotato di servizi ed efficiente, condizione senza la quale il progetto di comunicazione visiva perde tutta la sua potenziale forza. Comunicare la cultura è un preciso dovere delle istituzioni nei confronti del fruitore, così come di metterlo in contatto con un patrimonio che gli appartiene interamente.” Cinzia Ferrara, La comunicazione dei beni culturali il progetto dell’identità visiva di musei, siti archeologici, luoghi della cultura 2007 Milano Lupetti

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1. Identità visiva dei beni culturali

1.2.3 Grafica di pubblica utilità

Albe Steiner, Il mestiere di grafico, Einaudi, Torino, 1978

La definizione grafica di pubblica utilità è stata introdotta per la prima volta da Albe Steiner negli anni ’60 nel testo La grafica negli enti pubblici che si pone come vero e proprio manifesto e guida per i progettisti attivi in questo settore. Steiner ha avuto come “missione” quella di sviluppare un’etica sociale presso tutti i “(...) grafici che sentano responsabilmente il valore della comunicazione visiva come mezzo che contribuisce a cambiare in meglio le cose peggiori.” Analizzando il termine grafica di pubblica utilità, emergono due aspetti:

l’utilità, intesa come l’impegno, la necessità e la volontà etica di esprimere e diffondere informazioni con scopo sociale e culturale per un ampio numero di utenti la doppia committenza pubblica: da un lato, l’ente pubblico committente, dall’altro, il fruitore finale, i cittadini

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La grafica di pubblica utilità si è sviluppata in Italia negli anni ‘70, con grande fervore ed apporti teorici rispetto ad altri paesi, come Olanda e Inghilterra, nei quali comunque si realizzarono progetti mossi dalle stesse considerazioni di tipo etico e sociale, inseribili nella più vasta definizione di information design. In Italia, l’istituzione delle Regioni nel 1970 e l’avvento di molte amministrazioni di sinistra, particolarmente attente alla funzione sociale, diedero grande impulso a progetti di grafica di pubblica utilità. Il tema fu oggetto di grande dibattito in Italia come dimostrano numerosi convegni, tra i quali la Biennale della Grafica di Pubblica Utilità di Cattolica del 1984, le due edizioni di “Grafica Utile: la comunicazione di Pubblica Utilità” di Ancona (1998 e 2004), e infine “Comunicazione per tutti. La grafica di Pubblica Utilità” di Urbino nel 2006, che ha lasciato aperti molti interrogativi.

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1. Identità visiva dei beni culturali

1.2.4 Il difficile dialogo con la committenza

“Progettare per la sfera pubblica vuol dire avere ben presente di operare in ambito di doppia committenza”: da una parte occorre l’approvazione e la soddisfazione dell’ente pubblico committente, ma anche e soprattutto del fruitore finale, vero destinatario della comunicazione. AA. VV. Grafica Utile, La comunicazione di pubblica utilità ad Ancona dal 1998 al 2004, Milano, Aiap Edizioni

Qui si apre il tema (o il problema) della committenza pubblica, che spesso non ha le competenze per valutare seriamente le proposte progettuali, e spesso non ha una vera consapevolezza delle proprie esigenze in termini di comunicazione e quindi non può essere in grado di formulare le sue richieste in maniera adeguata. Molto spesso c’è una vera impossibilità di dialogo tra enti e progettisti, per mancanza di un terreno comune di linguaggio e di intesa. È così che è stata introdotta una nuova figura professionale, l’intermediatore o facilitatore culturale che svolge la funzione di anello di congiunzione, interfaccia tra committente e progettista.

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Ricorrere a una figura tale di consulente esterno risulta di fondamentale importanza, imprescindibile nei casi di strutturazioni complesse quali un progetto di identità visiva. In questo compito di intermediazione tra professionisti e committenti, di grande importanza è stato l’apporto dell’AIAP, Associazione Ataliana Design della Comunicazione Visiva, che si è battuta per vedere rispettate le regole deontologiche fissate, a livello internazionale, dall’Icograda (International Council of Graphic Design Associations). Come si accennerà nel paragrafo successivo, la comunicazione dei beni culturali sta oggi attingendo a linguaggi che un tempo non sarebbero stati considerati idonei. Da una parte, il clima culturale poco aperto ha fatto sì che la pubblica amministrazione si appropriasse del paradigma della comunicazione pubblicitaria come unica modalità possibile; dall’altra, la professione non è riuscita ad offrire strumenti alternativi con altrettanta efficacia e substrato scientifico. Viene pertanto da chiedersi: la comunicazione culturale oggi si può ancora chiamare grafica di pubblica utilità? Valgono ancora quegli imperativi etici che erano a monte di una progettazione che metteva in primo piano l’utente finale e il

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Ω 1.2.5 Nuovi paradigmi visivi nella comunicazione dei beni culturali


1. Identità visiva dei beni culturali

benessere della società? Oppure, trovandosi gli enti culturali a doversi comportare da aziende, gli interventi di comunicazione diventano operazioni meramente pubblicitarie? Come far capire che lo scopo della buona comunicazione non è solamente attirare nuovi clienti? Un ente non a scopo di lucro, perché dovrebbe dotarsi di una comunicazione di qualità? Come possono conciliarsi qualità progettuale, efficacia comunicativa ed i principi etici che dovrebbero essere alla base della comunicazione per la sfera pubblica? La qualità progettuale è degna di essere ricercata tanto da una azienda puramente commerciale quanto e ancor più da un’istituzione culturale che si rivolge a una platea ormai globalizzata. Varrebbe la pena che questa disciplina si strutturasse più autonomamente per offrire un'alternativa efficace alla dicotomia pubblicità-turismo di massa / comunicazione culturale-pubblico di élite.

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1.2.5 Nuovi paradigmi visivi nella comunicazione dei beni culturali

Volendo delineare un panorama delle nuove tendenze nell’ambito della comunicazione culturale, si potrebbero semplificare alcune caratteristiche comuni a molti progetti e raggrupparle intorno a cinque aree o categorie: la parzialità, la temporalità, la fluidità, la variabilità, la spettacolarità/seduttività. Queste, usando le parole di Cinzia Ferrara, si possono chiamare paradigmi visivi, facendo riferimento alla modalità di ricezione per via visiva, e sono da considerarsi delle potenziali mappature delle linee di ricerca in atto nel progetto, che può presentarne una o più. La parzialità viene intesa come uso della sineddoche, figura retorica che seleziona la parte per il tutto; l’elemento singolo diviene simbolo dell’elemento completo. La temporalità è intesa come la presenza della variabile tempo; questa entra nel processo progettuale e nelle espressioni del processo produttivo; quando diventa protagonista del progetto, questo risulta essere un progetto sistemico che contempla

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Cinzia Ferrara, La comunicazione dei beni culturali il progetto dell’identità visiva di musei, siti archeologici, luoghi della cultura 2007 Milano Lupetti


1. Identità visiva dei beni culturali

la variabile temporale. Si intende per fluidità la capacità di trasformazione della forma stessa nello spazio e nel tempo; a differenza della temporalità, nella quale la forma resta costante, la variabile è la forma rispetto al tempo. Non si tratta necessariamente di una forma singola ma un processo mutevole può venir descritto da una molteplicità di forme. La variabilità è la tendenza alla diversità, alla differenza e alla molteplicità: aspetti diversi tra loro vengono assunti come parimenti significativi, in una logica di intercambiabilità. Infine, la caratteristica spettacolarità/ seduttività, due aspetti tra loro molto diversi, vuole includere le tendenze ad adottare un linguaggio mutuato dall’ambito pubblicitario, spesso anche spregiudicato. Quest’ultimo paradigma visivo sottolinea come siano cambiati i termini e le modalità della comunicazione dei beni culturali, che oggi accoglie e fa propri strumenti che non le appartenevano in passato, come quelli multimediali e multi-modali. Anche i sistemi di identità visiva che non esplicitano l’utilizzo di nuovi strumenti, in qualche modo non ne prescindono e ne riconoscono la validità.

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Silvia Robertelli | Laboratorio per un’identità visiva illustrata

Il sistema “classico” di immagine coordinata viene messo fortemente in crisi da queste evoluzioni, ed è costretto a rinnovarsi. È certamente auspicabile che lo strumento della comunicazione visiva si differenzi nelle sue modalità espressive, accogliendo in sé nuovi linguaggi, ma deve essere sempre aderente alle istanze specifiche del luogo culturale che deve rappresentare, per farsi voce delle sue peculiarità e aspirazioni.

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2. IdentitĂ visiva e illustrazione


2. Identità visiva e illustrazione

2.1 Un secolo di collaborazioni tra grafici e illustratori

1. Jules Chéret, fine ‘800

2. Henri de ToulouseLautrec, fine ‘800 3. Peter Behrens, manifesto e rivista aziendale AEG, 1907-1914

Si può asserire che nel lavoro di Peter Behrens per la AEG (1907-1914), ovvero il progetto considerato a pieno titolo la prima identità visiva, l’illustrazione occupasse un ruolo fondamentale. Come un legante tra i prodotti, l’immaterialità dell’energia elettrica e la monumentalità delle architetture (tutti aspetti contemplati da Behrens nella sua operazione di “riorganizzazione del visibile”) l’illustrazione dona alle copertine delle riviste aziendali e ai manifesti pubblicitari un aspetto inconfondibile. Lo stretto rapporto tra illustrazione e identità di un marchio trae origini nella tradizione delle affiches di fine ‘800, quando ancora non esisteva il concetto di identità visiva ma le aziende iniziavano a sperimentare il forte potere delle immagini. Personalità come Jules Chéret, Alphonse Mucha e Henri de ToulouseLautrec dominano la scena visiva francese con i manifesti per produttori (birrifici, saponifici, distillerie…), commercianti e sale da spettacolo come le Folies Bergères e il Moulin Rouge. Nei primi decenni del ‘900, da espressione dell’Art Nouveau i manifesti diventano riflesso dei nuovi movimenti Art Déco e Futurismo.

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1.

2.

3.


2. Identità visiva e illustrazione

Una celebre campagna pubblicitaria nella quale è l’illustrazione a sostenere completamente il messaggio e a comunicare la personalità della marca è quella di Cassandre (Adolphe Jean Marie Mouron) per Dubonnet, negli anni ‘30.

1. Dubonnet: Cassandre, anni ‘30 2. Pirelli: Erberto Carboni, 1955 Raymond Savignac, 1953 Lora Lamm, 1959

Nel corso del secolo si diffuse la pratica delle aziende di dotarsi di un’identità visiva strutturata affidandosi alla nuova figura professionale del progettista grafico. In particolare in seguito al secondo conflitto mondiale alcune imprese decisero di rinnovare il proprio marchio in chiave moderna, e grazie a un clima culturale di sperimentazione e innovazione e alle crescenti collaborazioni tra grafici ed illustratori si ottennero identità forti, prestigiose e tuttora ricordate. Nel panorama italiano, esempi di questo rinnovamento sono la Olivetti, la Rinascente, la Pirelli, grazie a progetti grafici ed illustrazioni di Giovanni Pintori, Max Huber, Lora Lamm.

3. Olivetti: Raymond Savignac, 1953 Giovanni Pintori, 1956

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2. Identità visiva e illustrazione

Vorrei terminare questa brevissima panoramica sulle collaborazioni tra grafici e illustratori nell’ambito dell’identità visiva citando Paul Rand, che si può considerare una delle personalità che più hanno sperimentato la confluenza dei linguaggi espressivi, creando diverse identità visive illustrate, efficaci e memorabili, come quelle per Coronet Brandy e per i sigari El Producto. 1.

“The trademark is a potential illustrative feature of unappreciated vigor and efficacy; and when used as such escapes its customary fate of being a boring restatement of the identity of the product’s maker. When fully exploited the trademark can actively stimulate interest in the product or brand.” Il marchio possiede un potenziale illustrativo intrinseco di vigore ed efficacia poco apprezzati; e quando viene utilizzato in questo modo rifugge dal suo consueto destino di essere una noiosa ripetizione dell’identità del produttore. Quando sfruttato in tutte le sue potenzialità il marchio può stimolare attivamente interesse nel prodotto o nella marca. Paul Rand, The Trademark as an Illustrative Device 1952

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Paul Rand, marchio Coronet Brandy, 1941


1. Paul Rand, marchio El Producto, 1952 2. Paul Rand, pubblicitĂ per El Producto, 1953-7

2.


2. Identità visiva e illustrazione

2.2 Diversi livelli di relazione tra identità visiva e illustrazione

L’illustrazione è stata utilizzata in modalità diverse per ottenere lo scopo di rendere più originale, memorabile e piacevole un marchio.

2.2.1

Manifesti per Transport For London: 1. Horace Taylor, 1924 J.H. Dowd, 1924 Herman Rick, 1925 2. Man Ray, 1932 3. Jean Jullien, 2014

Non sempre il progettista grafico che ha realizzato il marchio e l’identità visiva interviene in prima persona con l’illustrazione o i due aspetti si sviluppano insieme già nella fase progettuale. Più spesso un’identità visiva completa, vivente e già ben riconosciuta dal suo pubblico viene rinnovata da un intervento di illustrazione, come può essere l’operazione temporanea, progettata e delimitata nel tempo, di affidare una serie di manifesti a vari artisti. In questo caso si può dire che l’illustrazione accompagni l’identità visiva, che rimane in ogni caso percepita e ricordata per se stessa. Un esempio, sia storico che attuale, è la Transport For London, che si è dotata di manifesti illustrati dagli artisti dei movimenti più vari dall’inizio del 1900 in poi. Oggi, nella metropolitana di Londra, possiamo trovare i poster illustrati da Jean Jullien.

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1.

2.

3.


2. Identità visiva e illustrazione

2.2.2

Diverso è il caso in cui l’illustrazione caratterizza costantemente una specifica identità visiva, tramite un rapporto che viene progettato fin da subito, dalla nascita del brand. L’illustrazione assumerà un carattere e uno stile precisi e definiti, di modo che, idealmente, venga sempre associata univocamente a quel brand. Allo stesso modo (e sempre idealmente, se la riuscita è ottima) quel brand verrà sempre associato a quel tipo di illustrazione. Emblematico è il caso dell’identità visiva, completamente illustrata da Javier Mariscal, dei Giochi Olimpici di Barcellona 1992.

Javier Mariscal, El libro de Cobi, 1992

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2. Identità visiva e illustrazione

2.3 Che cosa può aggiungere l’illustrazione a un’identità visiva?

Nulla che non possa essere raggiunto con altri mezzi. Si può realizzare un’ottima identità visiva basata principalmente sulla fotografia, o esclusivamente tipografica/calligrafica, oppure che fa del suo punto di forza l’illustrazione. Si tratta sempre di messaggi da convogliare, attraverso mezzi diversi; la scelta consiste nei mezzi da utilizzare, nel modo di combinarli insieme e di utilizzarli singolarmente oppure trovando una soluzione nella quale dialoghino in modo interessante e si completino a vicenda. Grafica, fotografia e illustrazione sono da vedersi come modalità espressive con la stessa dignità, che singolarmente o in commistione tra di loro ci restituiscono una comunicazione visiva fatta di parole e immagini.

Posters del festival Pronomade(s) en Haute-Garonne, 2012

Tuttavia, se un illustratore lavora ad hoc per una particolare identità visiva (e se il suo stile è consono al messaggio, e se riesce a trovare un buon compromesso tra personalismo e comunicazione),

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2. Identità visiva e illustrazione

quest’ultima guadagnerà certamente unicità, forza, calore. Del resto, illustrare significa etimologicamente proprio dare lustro, dare importanza (dal latino lustrum, luce).

2.4 Parole come immagini, immagini come parole “Occorre superare la sterile distinzione tra immagini e scrittura, che è così marcata nella nostra cultura. O perlomeno trascurarla: a che serve sapere se un segno - o un artefatto comunicativo - deve essere chiamato immagine o scrittura?” Luciano Perondi, Sinsemie (2012)

1.

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Ha senso dire “identità visiva illustrata”? Se consideriamo immagine e scrittura come aspetti non diversi della comunicazione visiva, no. Tutto rientra nell’universo dell’immagine, dunque qualsiasi identità visiva è anche in un certo senso “illustrata”. Tuttavia troppo spesso si nota una grandissima uniformità nei marchi e nelle identità visive in genere. Vorrei quindi porre l’accento sull’intervento di illustrazione in quanto creazione di immagini originali e uniche, e suggerire la varietà e l’infinità di soluzioni che si possono generare tramite la collaborazione tra diverse professionalità.

2.

1. Sara Fanelli, Tate Modern Timeline 2006 2. Francesca Biasetton, 2011

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2. Identità visiva e illustrazione

2.5 Illustrazione e identità visiva: un approccio hard o soft?

Non sono così rari i casi di identità visive che assumono come elemento maggiormente caratterizzante l'illustrazione, ma generalmente queste si basano su un disegno vettoriale/a forme chiuse fortemente codificate e su tinte piatte, posizionandosi quindi nell'area hard. Ne è un esempio Walt Disney, che ha un manual per ogni suo personaggio, che ne presenta tutte le caratteristiche, ne vende le properties e ne vieta le imitazioni; non è un caso che nel disegno Disney non siano ammesse forme aperte. Si tratta quindi di un’identità visiva fortemente hard. Tuttavia, come già espresso nel capitolo 1, nella realtà i valori hard e soft sono un continuum e moltissimi brand si muovono tra i due estremi. Non bisogna intendere i concetti hard e soft come una corrispondenza secca tra vettoriale/chiuso/tinte piatte e dall’altra parte bitmap/aperto/pittorico/illustrato. Un esempio per tutti è Eni, che ha un brand hard per i prodotti ma usa per la comunicazione l'illustrazione.

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Quello che mi interessa maggiormente indagare, e il mio progetto tenterà di mettere in pratica, è la presenza dell’illustrazione in un’identità visiva dall’approccio soft.

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Casi studio

a. il marchio b. il manifesto c. il packaging d. il prodotto editoriale e. il sistema di segnaletica


a. il marchio

De Appel Arts Center 2012

studio: Thonik, Amsterdam

Il marchio è un’evoluzione del suo precedente, un’invitante mela rossa ispirata ai libri per bambini. Vengono mantenute le foglie, piccole e dettagliate, e deformata e resa astratta la mela, che diventa una forma geometrica che cambia in tutte le comunicazioni.


a. il marchio

Musée d’Art et d’Histoire du Judaïsme 1998

studio: Philippe Apeloig, Parigi

Apeloig ottiene una soluzione che possiede il calore della calligrafia, sperimentando l’uso di vari materiali come la tempera, l’inchiostro e il gesso, e di strumenti come il pennello e il pennino; il segno caratterizzato dall’imprecisione e dall’irregolarità del gesto manuale, a suo dire, bene può descrivere la fragile e difficile storia della comunità ebraica.


b. il manifesto

International Film Festival Rotterdam 2012

studio: Thonik, Amsterdam

Il linguaggio visivo vuole essere irriverente e provocatorio come il programma del festival indipendente, e rimanda alle atmosfere underground/anarchiche/street.


b. il manifesto

L’inconnu du lac 2013

studio: AddressDesign, Paris illustratore: Tom de Pékin

L’illustrazione è stata scelta, in questo caso, per rappresentare in modo delicato, quasi astratto, ludico e pudico il tema dell’omosessualità, difficilmente accettato in un contesto di largo pubblico.


b. il manifesto

Eye-Bee-M 1981-82

Paul Rand

“Il doppio piano di lettura rende le immagini memorabili, esse divertono e informano nello stesso tempo [...] Il rebus è un trucco mnemonico, una specie di gioco concepito per stuzzicare il lettore divertendolo”. Paul Rand, A designer’s Art


c. il packaging

Clipper teas 2008

studio: Bigfish, London

I prodotti Clipper Tea hanno un’immagine immediatamente riconducibile al brand, pur nella loro grandissima varietà di colori, soggetti, motivi e trame.


c. il packaging

Sabadì 2011

studio: Happycentro, Verona illustratori: Federico Galvani & Andrea Donà

Le qualità e le caratteristiche dei vari tipi di Cioccolato di Modica Sabadì sono state sintetizzate in personaggi ben definiti, che ispirano subito simpatia e leggerezza. La confezione è curata nei minimi dettagli, così che anche aprirla diventa un piacere.


d. il prodotto editoriale

Illywords 2002-2014

studio: CorrainiStudio, Milano illustratori: contributi di illustratori sempre diversi, quali Steven Guarnaccia, Martí Guixé, Zosia Dzierzawska, Jakob Hinrichs... Illy Caffé realizza un magazine che sceglie per ogni numero un tema in qualche modo legato al caffé: convivialità, creativià, multicultura... La presenza dell’illustrazione ne è un aspetto caratteristico.


d. il prodotto editoriale

Saperecoop 2012

studio: CorrainiStudio e Marianna di Iorio, Milano illustratore: Harriet Russel

Serie di opuscoli distribuiti nelle scuole sui temi della consapevolezza alimentare e sul mangiare sano. L’illustrazione risulta adatta a spiegare molti concetti in modo semplice e leggero ma efficace.


e. il sistema di segnaletica

MNHN, Jardin Écologique 2009

studio: Voiture 14, Paris

Le forme stilizzate delle foglie degli alberi caratterizzanti sono state adottate come pittogrammi segnaletici.



3. Giardini Botanici


3. Giardini Botanici

3.1 Giardini botanici, musei viventi Definizione La BGCI è una ONG che collega tutti i giardini botanici a livello globale, fondata nel 1987 sotto il patrocinio dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN); ha sede presso i Kew Gardens di Londra.

La definizione maggiormente condivisa di giardino botanico e che espone le vere finalità dell’esistenza di orti e giardini botanici è quella della BGCI (Botanic Gardens Conservation International):

“Un Giardino Botanico è un’istituzione aperta al pubblico che mantiene una collezione ben documentata di piante vive per promuovere: la ricerca scientifica, la conservazione della biodiversità vegetale, la sua esposizione al pubblico, l’educazione ambientale ad essa connessa”

Ω 1.2.1 I luoghi della cultura e le loro trasformazioni

In questa definizione si possono notare importanti parallelismi con quella di museo o luogo della cultura, categoria nella quale infatti i giardini botanici rientrano a pieno titolo. Le finalità ed i compiti dei Giardini Botanici sono stati così definiti a seguito di un approfondito dibattito, con attenti riferimenti a quanto previsto dal

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programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile. In particolare, gli scopi degli Orti Botanici Europei sono stati delineati nel documento “Piano d’Azione per i Giardini Botanici nell’Unione Europea” (“Action Plan for Botanic Gardens in the European Union“). Questo documento sottolinea l’importanza della didattica e della divulgazione, evidenziando il ruolo fondamentale della comunicazione, strumento indispensabile sia per far conoscere ed apprezzare il patrimonio botanico e le collezioni scientifiche, sia per far conoscere ed avvicinare la società alle diverse attività scientifiche che si svolgono nei Giardini Botanici e, soprattutto, all’importante tema della conservazione. Infatti, a causa delle attività antropiche e dei cambiamenti climatici che ne sono derivati, negli ultimi decenni abbiamo assistito ad una vertiginosa riduzione di molti ecosistemi naturali; le conseguenze principali sono state la riduzione della diversità biologica e la riduzione della variabilità genetica. Il patrimonio vegetale è stato, di conseguenza, seriamente compromesso ed è diventato impossibile garantire la conservazione in natura di diverse specie. Gli Orti Botanici si pongono quindi l’obiettivo di svolgere l’importante missione della conservazione della flora, attraverso specifiche attività sia di produzione presso le loro sedi (conservazione ex-situ), di

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3. Giardini Botanici

piante vive e di semi, che di educazione e di divulgazione, per contribuire alla diffusione di una nuova cultura ambientale, più attenta e rispettosa degli equilibri indispensabili alla vita.

Origini ed evoluzione: dalla salute dell’uomo alla salute del pianeta L’antichissima origine degli attuali orti e giardini botanici, di cui si ha traccia già nelle culture egizie e grecoromane, è motivata da esigenze mediche e farmaceutiche; coltivazioni di piante medicinali erano diffuse in tutte le culture. Nel nostro Medioevo e, successivamente, nel Rinascimento erano numerosi gli Horti sanitatis presso i monasteri e le scuole di medicina e farmacia delle Università. Negli orti delle Università iniziò l’opera di classificazione delle piante, per studiarne a scopo scientifico le proprietà terapeutiche e medicamentose. In Italia, nel Rinascimento si diffuse la creazione di giardini all’italiana, questa volta per scopi ricreativi ed estetici, e parallelamente crebbe l’interesse per l’osservazione naturalistica e la classificazione delle piante. È in questo momento che nascono propriamente i primi Orti Botanici, che hanno una preminente funzione didattica. Il Seicento fu l’epoca delle grandi

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scoperte geografiche, che diedero grande impulso alla botanica e alla zoologia; nacquero i giardini di acclimatazione, per ospitare le nuove piante fino ad allora sconosciute, rispondendo ad esigenze di studio, di collezionismo o di pura curiosità. Gli orti botanici divennero presto non solo luoghi di studio, di formazione scientifica, di sperimentazione e di didattica, ma anche luoghi di ricerca e di diffusione delle informazioni, nonché importanti centri di riferimento per attività economiche e commerciali. Ad oggi, come sopra accennato, le motivazioni e le missioni istituzionali degli Orti e Giardini Botanici di tutto il mondo sono cambiate: mentre un tempo non troppo lontano si pensava semplicemente alla salute dell’uomo, oggi ci si preoccupa per la salute degli ecosistemi del mondo e della biodiversità. Al tempo stesso, mi piace pensare il Giardino Botanico ancora come luogo orientato al benessere dell’uomo: benessere inteso come stare bene con sé stessi e con il mondo.

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3. Giardini Botanici

Forse un giorno si raggiungĂ la concezione di museo, e in questa parola includo anche i giardini botanici, quale luogo dove stare bene, e non come luogo in cui si deve solo e soltanto capire. Dalla graphic novel L'arte. Conversazioni immaginarie con mia madre di Juanjo Saez

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In Italia

Gli orti ed i giardini botanici in Italia sono oltre venticinque, quasi tutti appartenenti ad Università. I più estesi ed importanti, anche per la ricchezza delle collezioni, sono oggi quelli di Napoli, Palermo e Roma; i più antichi sono quelli di Padova, Firenze e Pisa, sebbene la sede odierna di quest'ultimo non corrisponda più a quella originaria del 1543. Il Gruppo di Lavoro per gli Orti Botanici e i Giardini Storici della Società Botanica Italiana, composta da da 76 strutture, delle quali 31 sono gestite dalle Università e 45 da altri enti (comuni, regioni), ha l’obiettivo di coordinare e promuovere le attività degli Orti e Giardini aderenti per lo svolgimento delle loro funzioni e dei loro compiti. Il gruppo gestisce il portale www. ortobotanicoitalia.it dove si possono trovare contatti e descrizioni di tutti gli Orti Botanici italiani, nonché informazioni riguardo le attività di ricerca, conservazione, educazione e divulgazione. Vengono resi disponibili documenti scaricabili in Pdf quali la Convenzione europea sulla Biodiversità, linee guida dettate dalla

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3. Giardini Botanici

BGCI ed altri organismi, manuali europei sull’apprendimento lungo tutto l’arco della vita… Questi sono destinati sia alle direzioni di Orti e Giardini Botanici sia a chi è interessato al loro significato, filosofia e funzionamento.

in Liguria

La Liguria conta otto giardini botanici, riuniti nella Rete degli Orti e Giardini Botanici della Liguria: • • • • • • • •

Giardini Botanici Hanbury Giardino Botanico Montano Pratorondanino di Campo Ligure Orto Botanico dell’Università di Genova Orto Botanico di Montemarcello Giardino Fossile del Museo Paleontologico di Rio Torsero Orto Botanico di Villa Beuca Orto Botanico Clelia Durazzo Grimaldi di Villa Pallavicini Bosco Giardino Federico Delpino Sono molto diversi tra loro, per posizione, ambiente (a ridosso del mare, in montagna a diverse altitudini, in città

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o contesti architettonici), habitat naturali, collezioni botaniche, missione, storia, focus didattici, strutture a disposizione. La Rete degli Orti e Giardini Botanici della Liguria è stata costituita nel 2006, come coordinamento degli orti botanici e dei vivai delle aree protette della Liguria, sotto la responsabilità dei Giardini Hanbury, per incentivare le funzioni di raccordo, indirizzo e formazione in campo botanico degli operatori delle aree protette liguri. Tra gli scopi della Rete vi è la volontà di gestire più efficacemente alcune attività come quelle di promozione turistica e di ricerca scientifica e l’elaborazione di progetti e strategie di conservazione e di coltivazione, oltre che la divulgazione didattica e ambientale.

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3. Giardini Botanici

3.2 Identità visive di Giardini Botanici

Dal punto di vista istituzionale/ gestionale, i giardini botanici si possono raggruppare in: • • • •

organi universitari statali parte di complessi culturali / scientifici più ampi imprese sociali Analizzando le identità visive (o i semplici logotipi, nei casi in cui non è presente una vera e propria identità visiva) di molti giardini e orti botanici in Italia e nel mondo, ho potuto riscontrare tre tendenze nell’immagine generale percepita:

classica ed elegante: colore istituzionale (solitamente) verde, caratteri graziati, impostazioni grafiche molto tradizionali “innovativa”: colori accesi, talvolta forme astratte o stilizzate geometricamente, oppure marchio solo tipografico istituzionale/accademica: aspetto da servizio universitario, dotato semplicemente del logo dell’Ateneo di appartenenza

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I pittogrammi dei logotipi possono poi essere maggiormente iconici o astratti, gestuali o geometrici. Quando il pittogramma è iconico, generalmente rappresenta: •

• •

una pianta specifica/tipica/ caratterizzante per il luogo, una pianta ideale/stilizzata/generica (germoglio, foglie, albero…) lo spazio architettonico emblematico del giardino: la serra principale, un edificio…. una relazione tra gli spazi e i servizi offerti

I primi due casi, nei quali il Giardino/ Orto Botanico viene rappresentato da una pianta o dallo spazio architettonico emblematico, rientrano nel paradigma visivo della parzialità, intesa come utilizzo della figura retorica della sineddoche (l’adozione della parte per il tutto): una delle categorie più ricorrenti nelle quali si muove gran parte della comunicazione dei beni culturali. Nel terzo caso, ci si potrebbe riferire al paradigma visivo della spettacolarità/ seduttività. Queste scelte formali determinano diversi toni di dialogo con gli utenti finali, che quindi percepiranno il luogo in modo diverso. C'è chi si propone come spazio di

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Ω 1.2.5 Nuovi paradigmi visivi nella comunicazione dei beni culturali


3. Giardini Botanici

attrazione per famiglie, mettendo in avance i servizi offerti (dai concerti al pattinaggio su ghiaccio a spettacolari illuminazioni notturne), chi invece si propone da un punto di vista strettamente scientifico.

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Marchi di Orti, Giardini Botanici e Parchi nel mondo, raggruppati per analogie. In alto a destra i marchi che utilizzano la struttura architettonica, in basso a destra i pittogrammi “naturali” iconici; a sinistra, pittogrammi “naturali” che presentano una maggiore o minore astrazione e logotipi tipografici. In particolare, il logo di Espace pour la vie di Montréal, presenta tratti sia iconici che astratti e ritrae le relazioni tra spazi e servizi offerti.

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4. Giardini Botanici Hanbury


4. Giardini Botanici Hanbury

4.1 I Giardini Botanici Hanbury, un giardino planetario

“Per giardino bisogna intendere uno spazio racchiuso che accolga il paesaggio (naturale o costruito) giudicato accettabile per sé”

Vista dalla punta di Capo Mortola: da un lato Menton e la Francia, dall’altro (pagina opposta) l’insenatura di Latte con Ventimiglia e Bordighera, chiusa da Capo Sant’Ampelio, punto più meridionale della Liguria.

All’interno dei Giardini Hanbury troviamo tutto: il paesaggio naturale (nei 9 ettari di riserva) e il paesaggio costruito, le specie endemiche e le specie importate come esperimento di acclimatazione da ogni angolo del mondo. Non può non far pensare al giardino planetario di cui parla Gilles Clément.

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“Le piante viaggiano. Le erbe soprattutto. Si spostano in silenzio, seguendo i venti. Non si può nulla contro il vento. Per il giardino planetario queste nozioni di movimento e di salto di scala restano centrali e confluiscono nella nozione più generale di brassage planétaire (mescolanza planetaria): la circolazione e l’incrocio tra le specie sul pianeta. Di questo processo, l’uomo è al tempo stesso spettatore e protagonista. I continenti sono separati, ma istituendo un legame fisico dovuto ai viaggi da un continente all’altro, in modo consapevole o inconsapevole, trasportando i semi nelle suole delle scarpe o nel pelo del proprio cane, l’uomo crea un legame tra i diversi continenti, ristabilisce una Pangea.

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4. Giardini Botanici Hanbury

Si contrappone all’endemismo, alla diversità per isolamento. Una delle ragioni di fondo del giardinaggio planetario sta nel non ostacolare questo movimento, perché la molteciplità degli incontri e la diversità degli esseri sono altrettante ricchezze aggiunte per il territorio.” Filippo de Pieri , “Gilles Clément in movimento” in Gilles Clément, Manifesto del Terzo Paesaggio Il promotorio di Capo Mortola, che ospita i Giardini Hanbury, e il paesino della Mortola Inferiore visti dal mare. © gbh

Tuttavia i Giardini Botanici Hanbury non sono solo un importante luogo di conservazione della biodiversità terrestre e marina, ma anche un’affascinante dimora storica e un complesso architettonico e paesistico unico al mondo.

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4.2 Breve storia dei Giardini Botanici Hanbury

I Giardini Botanici Hanbury nascono nel 1867, quando i fratelli Thomas e Daniel Hanbury acquistano la proprietà Orengo, antica tenuta della nobile famiglia Lanteri, probabilmente costruita sulle vestigia di un’antica villa Romana. La proprietà sorge sui 18 ettari del promontorio di Capo Mortola, tra Ventimiglia e il confine francese. Lo sviluppo dei GBH è indissolubilmente legato alla personalità eclettica e cosmopolita di Thomas Hanbury: dopo aver fatto fortuna commerciando tè e spezie in Estremo Oriente, a 35 anni trova alla Mortola l’angolo di paradiso in cui ritirarsi e dar vita ad un giardino senza eguali in Europa e nel mondo. Grazie al clima ideale di questo angolo della Riviera, il giardino può accogliere le specie esotiche collezionate da Thomas Hanbury nei suoi viaggi intorno al mondo. Al tempo stesso, Thomas Hanbury si impegna per salvaguardare e propagare le specie locali e spontanee, mantenendo, con grande lungimiranza, un’ampia zona in stato naturale, per riportare il paesaggio costiero come era prima che fosse

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trasformato dalle coltivazioni agricole. Nella zona della Piana, mantenne le antiche coltivazioni di ulivi e fruttiferi nostrani, in particolare agrumi, come già dal Settecento. Thomas Hanbury seppe avvalersi della collaborazione dei più insigni botanici ed architetti dell’epoca (Ludwig Winter, Alwin Berger) per la realizzazione del suo progetto, che quindi acquisì importanza e fama internazionale. In Inghilterra, patria della famiglia Hanbury, ad esempio, i GBH erano ben conosciuti: basti pensare che per molti anni nell’anteguerra il Times di Londra, ogni Capodanno, riportava in prima pagina un lungo elenco di tutte le piante che alla Mortola erano in fiore in quei giorni suscitando l’invidia dei londinesi alle prese con la nebbia e l’inclemenza del loro clima. Venivano scambiati semi con vivai e giardini botanici di tutta Europa, come mostra la fitta corrispondenza di Thomas Hanbury e dei suoi collaboratori, in un clima di grande entusiasmo per la ricerca scientifica. Suo fratello Daniel, farmacista e botanico, introdusse molte specie d’interesse farmaceutico ed alimentare. La grande cultura, l’apertura di orizzonti ed i saldi principi etici di Thomas Hanbury pervadono la realizzazione dei Giardini nei molti dettagli, dalle molte iscrizioni letterarie che attraversano secoli e culture,


Sir Thomas Hanbury (Londra, 1832 - Ventimiglia, 1907), filantropo britannico, fondatore dei Giardini Botanici Hanbury, uomo d’affari in Cina. Gelatina ai sali d’argento del 1899, Archivio Hanbury.


4. Giardini Botanici Hanbury

agli elementi decorativi portati dai viaggi in Oriente, alla statua della Schiava, di scuola canoviana, che si libera dalle catene. I Giardini furono accessibili al pubblico almeno dal 1872, pur rimanendo un privato giardino di famiglia; a partire dal 1882 Thomas Hanbury definisce le modalità di visita dei giardini a pagamento: il pubblico era ammesso il lunedì e il venerdì, ma la porta di ingresso era comunque chiusa e doveva essere suonato il campanello, mentre gli amici venivano ammessi in qualsiasi giorno, ma dovevano presentare un biglietto da visita. Da una nota si ritiene che i profitti degli ingressi fossero impegnati in beneficienza.

Pagina opposta: Fotografie dell’epoca di Dorothy Hanbury pubblicate in: La Mortola Garden: Hortus Mortolensis being an illustrated catalogue of the plants cultivated in the garden of Sir Cecil Hanbury [...] at La Mortola, Ventimiglia, Italy, Oxford-Londra 1938

Thomas Hanbury si impegnò attivamente per la comunità locale, dando un impiego a moltissime persone e promuovendo l’educazione con la costruzione di scuole. I segni della sua opera sono visibili anche fuori dai Giardini, e presso la stazione di Ventimiglia a lui è dedicata una strada: Via Thomas Hanbury, filantropo. Alla morte di Thomas, proseguono la sua opera il figlio Cecil e la nuora Dorothy, i quali finanziarono diverse spedizioni botaniche in Sud Africa, Cile, Messico. Alla morte di Cecil, Dorothy continua l’impegno degli Hanbury con grande iniziativa, realizzando notevoli cambiamenti

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e nuove costruzioni, come la Casa del Sole, il Giardino dei Profumi ed il Viale Vista Nuova. Purtroppo la Seconda Guerra Mondiale, con l’occupazione tedesca e i bombardamenti, lasciò i Giardini in condizioni disastrose, con perdite botaniche incalcolabili e danni irreparabili ad edifici e arredi. Il gravoso impegno della ricostruzione non poteva esser affrontato dalla sola famiglia Hanbury. Nel dopoguerra, Dorothy per evitare il rischio di una speculazione edilizia, rivolse un appello al IX Congresso botanico internazionale di Montreal del 1959, per cui fu trasmessa un’istanza al Governo italiano perché la Mortola potesse diventare un giardino botanico dello Stato. Fu così che lo Stato Italiano acquistò la proprietà da Dorothy Hanbury nel 1960 ed iniziò il processo, tuttora in atto, volto a riportare i Giardini Hanbury al loro massimo splendore. Delle 6000 specie botaniche catalogate nel 1912, oggi se ne contano 3500.


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Provvedimenti istitutivi Il primo vincolo storico-paesaggistico del luogo si ebbe con la legge n. 1089 del 1939. Nel 1960 lo stato italiano acquistò dagli eredi il complesso, che, nel 1962, fu affidato all’Istituto Internazionale degli Studi Liguri. Nel 1979 tale istituto rinunciò al gravoso impegno di ricostruzione post-bellica e successivamente, nel 1987, la gestione venne affidata definitivamente all’Università degli studi di Genova (e la Cooperativa Omnia ne ottenne in appalto la gestione turistica e commerciale). Con la L. R. 31 del 2000, la Regione Liguria ha istituito l’Area Protetta Regionale Giardini botanici Hanbury e nel 2002 la gestione universitaria si è maggiormente organizzata con la costituzione di un Centro Universitario di Servizi. La Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici della Liguria rinnova le strutture architettoniche, mentre la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Liguria ne è il gestore per la tutela.

Il francobollo dedicato ai Giardini emesso dalle Poste italiane il 29 maggio 2010

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4. Giardini Botanici Hanbury

4.3 I GBH oggi “Un museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che acquisisce, conserva, ricerca, comunica ed espone l’eredità tangibile ed intangibile dell’umanità e del suo ambiente naturale, ai fini di studio, educazione e diletto.”

I Giardini Botanici Hanbury rientrano senza dubbio all’interno della definizione luoghi della cultura dell’ICOM. Secondo tale definizione, l’ente stesso ha quindi il compito di comunicare l’eredità tangibile ed intangibile dell’uomo e del suo ambiente.

Ω 1.2.1 I luoghi della cultura e le loro trasformazioni

In particolare, l’importanza dei GBH è di natura:

• •

• • •

botanica, grazie alle 3500 specie presenti biologica, per la conservazione della biodiversità terrestre attraverso i suoi 9 ettari di macchia mediterranea in stato semi-naturale, e della biodiversità marina (l’Area Protetta Regionale comprende i fondali di Capo Mortola - San Gaetano) paesaggistica, per i magnifici scorci costruiti secondo l’impianto del giardino all’inglese ottocentesco storico-architettonica, con una quindicina di edifici ed elementi architettonici di varie epoche multiculturale; i GBH sono luogo di eclettismo sia dal punto di vista botanico che architettonico, grazie ai viaggi, soprattutto in Oriente, di Thomas Hanbury

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• • •

didattica e scientifica, come base di ricerca e studi specialistici (index seminum, xiloteca, biblioteca specialistica) archeologica, per i ritrovamenti romani e paleolitici storico/archivistica: l’archivio Hanbury si divide tra quello famigliare, testimonianza della vita quotidiana della ricca borghesia cosmopolita inglese tra Ottocento e Novecento, e quello dei Giardini, che ne illumina la storia geologica

Tutti questi motivi hanno reso possibile presentare la candidatura per far sì che i GBH diventino Patrimonio Unesco, e sono attualmente in fase di osservazione. Attuale veduta dei Giardini Hanbury e della costa di Ventimiglia e Bordighera. ©gbh

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2.

1.


1. Il Portale d’Ingresso (©gbh) 2. La Fontana del Drago (©gbh) 3. Il Tempietto delle Quattro Stagioni (©gbh)

3.


1. Il Mausoleo Moresco, tomba di Thomas Hanbury (Šgbh) 2. Il Pavillon, in memoria di Cecil Hanbury (Šgbh) 3. Dettaglio del pavimento del Pavillon 1.


3.

2.


La sinclinale di Capo Mortola, dove i Giardini Hanbury incontrano il mare.




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Gestione istituzionale ed economica

I Giardini si sostengono grazie a fondi pubblici (Università, Regione, Unione Europea); gli introiti dei visitatori, infatti, coprono solamente il 10% del costo di mantenimento annuo (40/50.000 visitatori/anno). Si è registrato un calo di visitatori negli anni; di questi, 1/3 sono stranieri, 1/3 sono scolaresche, 1/3 italiani (molte famiglie e anziani). Secondo il Direttore Mauro Mariotti, ci sono fondi disponibili, ma la gestione pubblica complica la distribuzione di questi. Dal 1987 la gestione commerciale e turistica (biglietti, visite guidate, punto ristoro...) è affidata alla Cooperativa Omnia, che gestisce vari siti culturali e turistici nel Ponente Ligure. L’Università di Genova può operare solo a scopo istituzionale. La scarsa collaborazione tra gestione commerciale ed istituzionale a mio parere crea rimbalzi di responsabilità e difficoltà nel prendere decisioni ed è un ostacolo allo sviluppo dei Giardini.

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4. Giardini Botanici Hanbury

Progetti in corso

Sono diversi i progetti che i Giardini Hanbury portano avanti attualmente, soprattutto sotto il profilo didattico, spesso in collaborazione con le scuole locali. Uno di questi è il progetto della Comunità Europea BiodivAM (Biodiversità Alpi Marittime), che coinvolgerà vari parchi italiani e francesi delle Alpi Marittime, che porterà all’inaugurazione, nell’autunno 2014, di una nuova serra didattiva. Un percorso per non vedenti è stato inaugurato nel maggio 2014. È attualmente in fase di progetto il bookshop dei Giardini, che sorgerà nei pressi della biglietteria, colmando una lacuna piuttosto importante perché esiste un’importante bibliografia tematica sui GBH che un visitatore potrebbe voler acquistare per approfondire la conoscenza del luogo. Mettere in valore queste pubblicazioni sicuramente accrescerà l’immagine dei Giardini.

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4.4 L’Associazione Amici dei Giardini Hanbury

Nel 1986 si costituì l’Associazione Amici dei Giardini Botanici Hanbury, con lo scopo di promuovere la collaborazione tra l’Università di Genova e la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici della Liguria (responsabile delle strutture architettoniche) per preservare il luogo, lasciarlo intatto e, se possibile, migliorato alle generazioni future, in un’ottica di collaborazione tra tecnici, professionisti competenti ed appassionati dilettanti. È comprovato da varie esperienze all’estero che nei Giardini Botanici (ma questo vale pure nei musei e forse anche in tutte le istituzioni culturali che si rivolgono al pubblico) i risultati migliori si ottengono quando si ottiene un equilibrio in questi aspetti, e dove la popolazione locale si sente coinvolta in modo attivo, sia frequentando il luogo e sentendolo proprio, sia svolgendovi vere e proprie attività di volontariato.

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4. Giardini Botanici Hanbury

Intervista all’Arch. Italo Muratore, Associazione Amici dei GBH

Esiste una qualche collaborazione tra la vostra Associazione e la Cooperativa Omnia? Ad esempio, è possibile associarsi direttamente alla biglietteria dei GBH? No, non esiste alcuna collaborazione sotto quel profilo in quanto l'Omnia non ha e non potrebbe avere per ovvie questioni di riservatezza gli elementi per farlo. Che dimensioni ha la vostra Associazione? Ha subito variazioni nel tempo? Qual è la distribuzione geografica dei vostri soci? Si tratta di una piccola associazione, gestita in volontariato e quindi le dimensioni sono contenute sotto i cinquecento. L'andamento è stato più o meno costante nel tempo ed i soci sono distribuiti sia in zona che in altre parti d'Italia, così come in vari Stati europei. In che modo si svolge la collaborazione con l'Ente Universitario dei GBH? Sostanzialmente a senso unico, intendendosi che l'associazione provvede a finanziare determinate utilità che per ragioni di tipo burocraticoprocedurale il Centro di Servizi di Ateneo non può affrontare direttamente.

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Quali sono gli aspetti che giudicate migliorabili dei GBH? Sicuramente la dotazione di parcheggio, in pratica oggi del tutto inesistente, sulla quale le istanze del Centro di Servizio, come dei visitatori, restano senza risposta. Ma questo non dipende dalla volontà di tali soggetti, né dalla mancanza di comunicazione tra essi ed Enti e Istituzioni preposti, perché il problema è sempre stato rappresentato con chiarezza agli stessi. Ritenete che i materiali comunicativi dei GBH siano adeguati o avete qualche proposta di miglioramento? Se si riferisce alla comunicazione esterna promozionale per l'eventuale incremento dei visitatori, occorre considerare che il giardino viene ritenuto soggetto delicato, per cui il passaggio dall'attuale media annua di visitatori pari a circa cinquantamila ad un numero più alto è visto dal Centro con qualche riserva, ritenendosi che potrebbe essere auspicabile un incremento non superiore ad un ventiventicinque per cento.

4.4 Cosa ne pensano i visitatori? Ho consultato le recensioni online dei GBH sul noto portale Tripadvisor e raccolto le più ricorrenti e significative. Riassumendo il “sentir comune”, i giardini sono meravigliosi ma tutti lamentano una scarsa manutenzione.

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4. Giardini Botanici Hanbury

Molti trovano i servizi (accoglienza, orari, offerta e costi del punto ristoro) criticabili e trovano troppo costoso il biglietto d’ingresso paragonandolo ad altri giardini. Alcuni notano con disprezzo foglie e frutti lasciati a marcire per terra; riguardo a questo punto il Direttore Mauro Mariotti precisa che si tratta di una scelta precisa di gestione biodinamica del giardino. Altre critiche comuni sono: • • • • • •

poca disponibilità e flessibilità per l’organizzazione di visite guidate l’impossibilità di visitare la Villa l’assenza di indicazioni e segnaletica esterne, che rende difficile reperire i GBH l’assenza di posteggio la scarsità dei mezzi pubblici per raggiungerli assenza di materiali informativi in luoghi molto vicini mete di turismo internazionale (Apricale, Dolceacqua…) Infine, alcuni visitatori hanno commentato così la mappa fornita all’ingresso: “La piantina ci ha messi particolarmente in difficoltà: esistono molte tonalità di colori, perché usare per forza mille verdi chiari, rosini e lillini? per trovare una zona non sapevamo se fosse una chiazza oppure l'altra…” evidenziando un problema di variabili visive utilizzate in modo inefficace che fa

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risultare illeggibile l’artefatto (che dovrebbe essere) comunicativo. Si può ritenere ragionevolmente che la causa della grande maggioranza di questi problemi sia la mancanza di fondi. Tuttavia alcuni di questi sono soprattutto connessi alla generale mancanza di comunicazione dei GBH, che fa sì che ci sia una disparità tra aspettative del fruitore e quello che vi trova realmente (chi si aspetta un giardino storico all’inglese sarà interdetto nel trovare piante non potate e parassiti; cosa normale invece per un orto botanico, nel quale gli intenti sono l’osservazione scientifica e la salvaguardia della biodiversità attraverso una gestione il meno invasiva possibile). Vengono stanziati (raramente) fondi destinati a vari progetti; ed in effetti si può dire che questo sia un momento di lento e tortuoso rinnovamento dei giardini. Tuttavia ancora manca la sensibilità per ottenere dei fondi per un serio progetto di comunicazione a tuttotondo.

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4. Giardini Botanici Hanbury

4.5 La comunicazione dei GBH oggi Il marchio

L’Acacia hanburyana, un ibrido ottenuto nel 1902 da Ludwig Winter, (lo storico botanico dei GBH) ha caratteri assolutamente particolari rispetto alle altre acacie e la sua ibridazione non sarebbe stata possibile in natura, provenendo i progenitori da continenti diversi; rappresenta quindi la ricerca botanica e il carattere di acclimatazione dei GBH

Nel 2010 si affidò l’incarico della creazione di un marchio per i GBH ad un’agenzia di grafica, con la precisa richiesta da parte dell’Ente di rappresentare l’Acacia hanburyana, fortemente rappresentativa dei Giardini Hanbury. L’operazione non andò a buon fine poiché nella proposta di logo l’Acacia hanburyana era stata stilizzata a tal punto da compromettere la riconoscibilità dei particolari caratteri botanici che la contraddistinguono, irrinunciabili per la committenza.

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L’Ente preferì quindi affidare la realizzazione del logo a una persona competente dal punto di vista botanico, scegliendo la dottoressa Elena Mora, allora studentessa in Architettura del Paesaggio, che stava svolgendo il progetto di tesi “Giardini Botanici Hanbury: riqualificazione della valle del Rio Sorba e miglioramento dell’accessibilità” con relatore il Prof. Mariotti (Presidente dei GBH). Il marchio venne registrato nel 2011 ed è attualmente utilizzato. “Ho optato per un disegno più classico, quale spesso utilizzano per i loro marchi i giardini botanici storici anglosassoni. Dopodichè, il tutto venne inglobato nel quadrato con i bordi arrotondati, perchè così doveva essere per poterlo registrare insieme ai loghi delle altre aree protette regionali.” In questo modo Elena Mora mi ha descritto, in uno scambio di email, la genesi dell’attuale marchio dei GBH. Purtroppo, a mio parere, è proprio quest’ultima fase a rovinare maggiormente la composizione: il quadrato dai bordi arrotondati è completamente estraneo al tipo di disegno interno, ed è evidente la giustapposizione successiva. Se il marchio doveva obbligatoriamente rientrare nello schema degli altri marchi delle aree protette regionali, si sarebbe dovuto affidarne la realizzazione agli stessi

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4. Giardini Botanici Hanbury

progettisti o quantomento mantenerne il tipo di codici visivi progettando da subito con questa finalità. Forse agì in tal senso l’agenzia di grafica? Purtroppo, non ho avuto modo di vedere il marchio rifiutato. Il risultato, così come è, non si percepisce visivamente come parte della serie (di cui dovrebbe far parte) nè si distingue valorizzandosi, ma resta una sorta di ibrido.

Il marchio delle Aree Protette Regionali della Liguria

Un altro problema del marchio, è che il logotipo (la parte tipografica del marchio, in questo caso la sigla GBH) “si perde”, sia per il carattere scelto - Felix Titling, con una spaziatura aumentata del 50% -, nel quale le aste molto sottili compromettono la leggibilità a dimensioni minute, sia per la sovrapposizione del quadrato dai bordi stondati, che copre la linea di base del testo. I marchi delle Aree Protette Regionali della Liguria sono ben riconoscibili come una serie; personalmente, li trovo un pò “desueti” (non ho trovato informazioni riguardo alla realizzazione, ma giudicandone lo stile li farei risalire agli anni ‘70/’80), ma svolgono la loro funzione (meglio che niente). Non si può certo criticare la dottoressa Elena Mora, che anzi ha portato avanti delle riflessioni interessanti, ma è un peccato che la committenza interrompa un dialogo con dei professionisti e decida di rivolgersi

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a “chi parla la sua stessa lingua” ma non ha le competenze professionali che sarebbero richieste. È caratteristica del lavoro del progettista grafico essere, il più delle volte, un outsider rispetto all’argomento che deve comunicare. Ma è anche questa caratteristica che gli permette una visione oggettiva ed esterna del problema e che, in seguito ad una necessaria ricerca, gli farà intraprendere una strada progettuale con motivazioni solide. Il problema di fondo non sta nell’inconsapevolezza della committenza, che come la maggior parte delle persone, nel clima culturale attuale, si trova spesso a dover giudicare secondo le categorie del gusto (mi piace/non mi piace); al contrario, forse, nella poca strutturazione delle motivazioni progettuali da parte dei progettisti grafici. L’esito di questa vicenda evidenzia infatti una lacuna da parte degli stessi professionisti, i primi che dovrebbero trovare modalità di dialogo costruttivo. Elena Mora, diverse declinazioni del marchio Giardini Botanici Hanbury

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4. Giardini Botanici Hanbury

“Immagine coordinata”

Purtroppo nel caso dei Giardini Hanbury non si può propriamente parlare di un’immagine coordinata, sostanzialmente inesistente. Tuttavia vi è stato un tentativo di rinnovamento della veste grafica da parte della dott. Elena Mora, la quale, in appendice alla sua tesi di laurea in Architettura del Paesaggio, rifletteva sull’importanza della comunicazione nel processo di valorizzazione: “la consapevolezza da parte del pubblico rafforza e solidifica la salvaguardia, nonché incoraggia l’erogazione di fondi da parte delle pubbliche amministrazioni”. Assieme al marchio ufficiale la dott. Elena Mora proponeva un colore istituzionale “verde foglia” (CMYK 40, 0, 100, 0), una tagline “esplora il giardino mediterraneo”, e, più implicitamente, una modalità di layout. Queste indicazioni non trovano riscontro negli artefatti realizzati internamente ai Giardini - brochure con il percorso, depliant informativi e promozionali, calendari promozionali, comunicazioni

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di "segnaletica temporanea" (es: malattia piante, inagibilità di un passaggio...) - nè nel sito web istituzionale.

www.giardinihanbury.com

Questa situazione è molto comune: viene utilizzato il nuovo marchio ma senza rispettare interamente le indicazioni del progettista, e quindi senza dare vita all’identità visiva. Questo succede soprattutto quando non viene fornito un manual che regoli tutte le possibili applicazioni dell’identità visiva, oppure quando questo non risulta chiaro ed accessibile.

Elena Mora, proposta di veste grafica per i Giardini Botanici Hanbury

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4. Giardini Botanici Hanbury

Materiali comunicativi attuali

La carta della Qualità dei Servizi

www.basae.beniculturali. it/patrimonio/giardini/ carta/italiana.html

www.bgci.org

La Carta della Qualità dei Servizi dovrebbe essere disponibile in forma cartacea all’ingresso della Struttura, e scaricabile in formato PDF sul sito Internet dei GBH. Tuttavia quando ne ho fatto richiesta all’ingresso ho trovato il personale impreparato. Essa, di norma aggiornata ogni 2 anni, “costituisce un vero e proprio “patto” con gli utenti, uno strumento di comunicazione e di informazione che permette loro di conoscere i servizi offerti, le modalità e i livelli di qualità promessi, di verificare che gli impegni assunti siano rispettati, di esprimere le proprie valutazioni anche attraverso forme di reclamo.” Si tratta di un documento di 10 pagine, che espone i princìpi fondamentali dei GBH (che si ispirano a quelli della Carta Italiana dei Giardini Storici e a quelli del BGCI, Botanic Gardens Conservation International), ne descrive la struttura, i compiti e i servizi, la missione istituzionale, gli impegni e gli standard di qualità (dagli orari di accesso alla disponibilità delle aree e del materiale fruibile); si conclude con un

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Modulo di reclamo e la sezione Conoscenze fondamentali e risposte preventive a eventuali reclami, sotto forma di 7 domande e relative risposte. Vi sono contenute informazioni importanti e credo che dovrebbero essere poste più in risalto (solamente chi sta per sporgere un reclamo legge la Carta della Qualità dei Servizi). La possibilità di avanzare reclami, commenti o suggerimenti è esposta nella quarta sezione, “Tutela e partecipazione”, e nell’introduzione della Carta della qualità dei servizi si parla di “monitoraggio periodico dell’opinione degli utenti”. Dovrebbe essere uno degli obiettivi dei Giardini l’ascolto dei suoi utenti. Quindi, sebbene nell’attuale Modulo di reclamo vi sia uno spazio per le “Proposte per il miglioramento dei servizi”, credo che incoraggerebbe una partecipazione più propositiva e meno polemica rinominare il modulo affinché accolga ogni tipo di proposta. In generale, la Carta della Qualità dei Servizi dovrebbe essere maggiormente valorizzata per invitare gli utenti a prenderne visione; se ne potrebbe ipotizzare una versione cartacea più snella da distribuire all’ingresso insieme alla guida, oppure includerne gli estratti più significativi nella guida stessa. All’interno del sito internet dovrebbe

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4. Giardini Botanici Hanbury

essere messa in risalto nei suoi punti fondamentali, e non essere solamente un Pdf da scaricare e un testo molto lungo non adattato al supporto video.

Materiali per la visita: brochure con mappa e percorso Il percorso proposto è sempre lo stesso fin dall’inizio della presa in gestione da parte dell’università (1987). Anche la brochure ha subito poche modifiche sostanziali nel corso degli anni. La questione della comunicazione non è mai stata veramente affrontata, perché manca la consapevolezza nel considerarla un aspetto prioritario, nonostante sulla carta lo sia (ad esempio, nella Carta della Qualità e dei Servizi). I materiali comunicativi vengono realizzati internamente dal personale, generalmente botanici.

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Università degli Studi di Genova Centro Universitario di Servizi

Regione Liguria Area Protetta Regionale

Giardini Botanici Hanbury

L’attuale comunicazione dei GBH: 1. Il pannello informativo all’ingresso dei Giardini Botanici Hanbury 2. La brochure con mappa e spiegazione del percorso distribuita ai visitatori.

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Convivenza di differenti tipologie di comunicazione ai Giardini Hanbury: segnalazione temporanea, pannello di approfondimento, pannello Braille, cartellini di riconoscimento delle specie botaniche.




5. Giardini Botanici Hanbury, laboratorio per un’identità visiva illustrata



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5.1 Le motivazioni

“Ciò che preme sottolineare è la necessità e urgenza che i giardini siano gestiti al pieno delle loro ricche potenzialità: in primis sia superata la divaricazione giardini botanici/ Villa Hanbury per una concezione globale di giardino storico in cui convivono in delicato equilibrio componenti culturali differenti. [...] Siano di conseguenza forniti al pubblico nuovi servizi che facilitino la visita e procurino la gioia di poter trascorrere qualche ora nella natura acquisendo nuove esperienze conoscitive.” Il mio progetto intende comunicare al visitatore una visione più completa dei Giardini Hanbury, in linea con una concezione globale di giardino storico in cui convivono componenti culturali differenti. L’importanza dei Giardini Botanici Hanbury si estende infatti dall’architettura all’archeologia, dalla storia alla biologia marina, dalla geologia alla geografia umana. Altri aspetti che vorrei sottolineare sono l’apertura internazionale e multiculturale

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Elena Ragusa, “Thomas Hanbury: conoscenze, progetti, prospettive” in La Mortola e Thomas Hanbury, F. De Cupis, E. Ragusa (a cura di), 2011, Torino


5. Giardini Botanici Hanbury: laboratorio per un'identità visiva illustrata

che la realizzazione di Thomas Hanbury ancora oggi trasmette, e la stretta connessione con la cultura e la realtà locale. A questo scopo sarebbero da intraprendere azioni di grande respiro, come il progetto, ampiamente discusso ma ancora a livello teorico, di riaprire gli spazi della Villa per farne uno spazio museale dove riportare l’archivio della famiglia, le collezioni archeologiche, il mobilio originale e i materiali storici sui Giardini.

5.2 Perché l’illustrazione? La famiglia Hanbury ha sempre tenuto in grande considerazione le rappresentazioni visive, come testimoniano i numerosi disegni, soprattutto di Daniel Hanbury e di Alwin Berger, il più insigne dei botanici che hanno lavorato alla Mortola, conservati in archivio. Le ampie vedute, la curiosità e l’attenzione all’attualità della famiglia hanno fatto sì che ai GBH si introducesse la fotografia come strumento di documentazione scientifica delle piante del giardino, da affiancare ai tradizionali hortus siccus (l’erbario) e hortus pictus (la rappresentazione pittorica, l’illustrazione botanica). Adesso, la situazione è rovesciata: la fotografia (anche, molto spesso, non

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professionale) è iperpresente ovunque, nella vita quotidiana e in qualsiasi comunicazione, e, vittime di un vero e proprio bombardamento, spesso non ne percepiamo più il potere. Quindi, tornare ad un tratto manuale in una comunicazione può davvero determinare una differenza, auspicabilmente qualitativa.

“In ogni contesto comunicativo l’illustrazione svolge il duplice ruolo di essere strumento di integrazione tra parola e immagine, attribuzione di nuovi significati alle parole e ai concetti e momento di arricchimento del valore estetico. Questi tre livelli accrescono sinergicamente il valore della comunicazione.”

Non intendo negare il valore della fotografia (quanto piuttosto restituirgliene attraverso un utilizzo più parco e motivato) nè relegarla ad un secondo piano rispetto all’illustrazione: esse dovrebbero avere un rapporto paritetico e rafforzarsi vicendevolmente. La fotografia deve esserci e deve essere messa in valore soprattutto per la sua funzione denotativa.

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Dal sito web di Pino Grimaldi, www.studioblur.it


5. Giardini Botanici Hanbury: laboratorio per un'identità visiva illustrata

Le illustrazioni che propongo non hanno pretesa di esser illustrazione scientifica, non vogliono assolvere a una funzione puramente e semplicemente descrittiva; al contrario, vogliono essere evocative, soprattutto del valore immateriale dei Giardini Hanbury, e stimolare l’immaginario.

Tratti distintivi delle illustrazioni Ho scelto di mantenere le illustrazioni sempre in bianco e nero, da una parte affinché si differenzino in modo forte dalla fotografia, dall’altra per mantenere costi di stampa ridotti nonostante l’arricchimento qualitativo (ad esempio, impostando gli elaborati grafici attraverso la battuta colore, che permette di alternare pagine stampate a colori ad altre in bianco e nero a costi contenuti). L’illustrazione si caratterizza per un segno fresco e spontaneo, dalle linee sinuose, sintetico e descrittivo al tempo stesso, e si ispira al mondo dei carnet de voyages. Per quanto riguarda i contenuti, ogni singolo elemento naturale è visto nella sua unicità, come un’investigazione di una forma interessante, e le architetture sono sempre inserite nel contesto naturale, come parte integrante e vitale.

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Tutto (esseri viventi animali e vegetali, architetture, paesaggio, dettagli) viene trattato con lo stesso segno, in un’ottica di continui cambiamenti di scala invitando all’osservazione del particolare e dell’insieme con curiosità e meraviglia.

Tecniche e strumenti utilizzati Tecniche e strumenti, se usati con coerenza e costanza, creano quell’unità di stile che si può chiamare identità visiva. Le caratteristiche costanti del segno sono date dagli strumenti utilizzati: penne sottili a china (0,38 mm e 0,5 mm) e brushpen (pennello calligrafico giapponese). Il colore, quando presente, è costituito da campiture acquarellate.

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Capo Mortola con Palazzo Orengo, in una stampa del 1825.


Ricerca iconografica




Pianta dei Giardini Hanbury nel 1914 (da La Mortola Garden, 1938)


Planimetria dei Giardini all’epoca di Thomas (da A.Voight, Die Riviera, 1914)


Materiali promozionali turistici della Riviera Ligure negli anni ‘20 e ‘30.



1.

1. Foglio d’erbario di Cecil Hanbury bambino, 1880-1881, Archivio Hanbury 2. A. Berger, “Hoodia Gordoni”, Archivio Hanbury 3. A. Berger, “Aloe supralaevis”, Archivio Hanbury 4. Volantino pubblicitario bilingue di un mercante cinese, allegato a lettera da Shanghai di Thomas a Daniel, 1865, Archivio Hanbury

2.


3.

4.


1.


2.

1. The botanical magazine, or Fower-Garden displayed, Londra 1788 “Amaryllis formosissima Jacobean” 2. Erbario Hanbury, essiccato di Aloe macracanthai proveniente dall’Albany Museum di Grahamstown, Sudafrica


W. D. Caroe, progetto di Casa Hanbury a Ventimiglia, prospetto est, 1894, Archivio Hanbury


La Mortola e Villa Orengo, disegno di Daniel Hanbury, 1867, pubblicato in: La Mortola Garden: Hortus Mortolensis being an illustrated catalogue of the plants cultivated in the garden of Sir Cecil Hanbury [...] at La Mortola, Ventimiglia, Italy, Oxford-Londra 1938


Il paesino della Mortola Inferiore: la vista sul promontorio dei GBH e un busto in memoria di Thomas Hanbury. Nelle pagine seguenti, la piazza del paese e dettagli del mosaico della chiesa.





Segni alfabetici nei pressi dei Giardini Hanbury. L’antica insegna esteriore dei GBH, che risale all’epoca di Dorothy Hanbury (anni ‘20/’30). Indicazioni per la Discesa del Marinaio che porta al mare.




Prime impressioni illustrate

















Elementi di un’identità visiva illustrata


Il logogramma Diverse declinazioni


Tipografia e Calligrafia Carattere istituzionale


Studi preliminari allo sviluppo di un minuscolo


Carattere per i testi continui

Scala

Regular/ Italic / Bold / Bold Italic

by Martin Majoor, 1990 Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit. Ut in luctus leo. Donec vulputate ultricies tortor, vel sagittis quam posuere ut. Suspendisse et nunc leo. Nunc neque nisi, bibendum nec mollis a, scelerisque ac nibh.

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Esempi di utilizzo della calligrafia



Fotografia

Le fotografie sono sempre a colori e ritraggono gli elementi naturali nel loro contesto; devono esser messe in valore e non possono essere piĂš piccole della metĂ della colonna di testo del layout. Non vi si possono sovrapporre testi.



Colori e textures Colore istituzionale: giallo sole


Studi di textures iconiche e non iconiche


Colori secondari utilizzabili/1 Si possono abbinare colore e textures per creare sistemi univoci di riconoscimento delle diverse zone botaniche. Non vi sono schemi di colori fissati a priori, purché la tecnica sia l’acquarello. Questa modalità è da utilizzare solo in illustrazioni “funzionali” (ad esempio, mappe).



Colori secondari utilizzabili/2 Le illustrazioni saranno sempre in bianco e nero quando convivono con la fotografia; occasionalmente si potrĂ realizzare una lieve colorazione ad acquarello, a piacere. Il colore deve essere a macchie e non riempire la maggior parte del disegno ma, al contrario, evidenziarne una porzione.



Illustrazione

























III. Bibliografia e Sitografia *Evidenziati in giallo, i materiali riguardanti i Giardini Botanici Hanbury

Bibliografia AA.VV. 2004

Grafica Utile La comunicazione di pubblica utilità ad Ancona dal 1998 al 2004 Milano: Aiap Edizioni

Anceschi, Giovanni 1988 Monogrammi e figure Firenze: La casa Usher Bartoli, Alessandro 2008 The British colonies in the Italian Riviera in ‘800 and ‘900 Savona: Fondazione A. De Mari Cassa di Risparmio di Savona Buddensieg, Tilmann, Rogge, Henning (a cura di) 1979 Cultura e industria: Peter Behrens e la AEG 1907 - 1914 Milano: Electa Caprioli, Stefano, Corraini, Pietro 2006 Manuale di immagine non coordinata Mantova: Edizioni Corraini

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Silvia Robertelli | Laboratorio per un’identità visiva illustrata

Clément, Gilles 2004 Manifeste du Tiers paysage Montreuil: Editions Sujet/Objet (2005, Quodilibet per la traduzione italiana, a cura di De Pieri, Filippo) De Cupis, Francesca, Ragusa, Elena (a cura di) 2011 La Mortola e Thomas Hanbury Atti della Giornata di studi 23 novembre 2007 Torino: Umberto Allemandi & C. De Pieri, Filippo 2005 Gilles Clément in movimento in G. Clément, Manifesto del Terzo paesaggio Macerata: Quodlibet Felsing, Ulrike, Design2context, ZHdK 2010 Dynamic Identities in Cultural and Public Contexts Baden (Switzerland): Lars Müller Publishers Ferrara, Cinzia 2007 La comunicazione dei beni culturali Il progetto dell’identità visiva di musei, siti archeologici, luoghi della cultura Milano: Lupetti Gastaldo Paola, Profumo Paola (a cura di), Sciutto Simone (fotografie) 1995 I Giardini Botanici Hanbury Torino: Umberto Allemandi & C. Grimaldi, Pino 2014 Blur design, il branding invisibile Bologna: Fausto Lupetti Editore

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Heller, Steven 1999 Paul Rand London: Phaidon Iliprandi, Lorenzi, Pavesi 2005 Dal marchio alla brand image Milano: Lupetti Mariscal, Javier (et alii) 1992 El Libro de Cobi Barcelona: Edicions de l’Eixample Pasca, Vanni, Russo, Dario 2005 Corporate Image Un secolo d’immagine coordinata dall’AEG alla Nike Milano: Lupetti Perondi, Luciano 2012 Sinsemie scritture nello spazio Pavona RM: Stampa Alternativa & Graffiti Sinofzik, Anna (et alii) 2013 Introducing: Culture Identities Design for Museums, Theaters and Cultural Institutions Berlin: Gestalten Steiner, Albe 1978 Il mestiere di grafico Torino: Einaudi Villa, Renzo 1990 I Toponimi delle due Mortole terrestri e marini Ventimiglia: Cumpagnia d'i ventemigliusi

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Silvia Robertelli | Laboratorio per un’identità visiva illustrata

Documenti Pdf Stani, Gianmarino

I Giardini Botanici Hanbury fonte: www.cityoutmonaco.com/articles/hanbury Honig, Marÿke 2000 Dai vita al tuo giardino

Interpretazione ambientale negli Orti Botanici Report della Rete dell’Africa Meridionale per la Diversità Botanica (Southern African Botanical Diversity Network) Richmond, U.K.: BGCI

Tesi di laurea Mora, Elena 2012 Giardini Botanici Hanbury: riqualificazione della valle del Rio Sorba e miglioramento dell’accessibilità relatore Prof. Mariotti Architettura del Paesaggio, Università di Genova Dell’Era, Margherita 2014 Progettare per migliorare: Restyling dell’identità visiva del Sistema Museale Urbano Lecchese relatore Prof. Gobesso Progettazione Grafica e Comunicazione Visiva Isia Urbino

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Sitografia

www.archives.icom.museum www.beniculturali.it www.giardinihanbury.com www. amicihanbury.oranjuice.org www.marventimiglia.it www.parks.it www.ortobotanicoitalia.it www.aiap.it www.city-id.com

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Silvia Robertelli | Laboratorio per un’identità visiva illustrata

Referenze Fotografiche

Tutte le fotografie che riportano la sigla ©gbh appartengono all’Archivio fotografico dei Giardini Botanici Hanbury. Le immagini d’epoca del capitolo Ricerca iconografica sono tratte dalla pubblicazione La Mortola e Thomas Hanbury, a cura di Francesca De Cupis e Elena Ragusa. Dove non diversamente specificato, le fotografie sono state da me realizzate nel 2013 e nel 2014.

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Ringraziamenti

Ringrazio il Professor Chia per avermi guidata in questo percorso. Ringrazio il Prof. Mauro Mariotti ed il personale dei GBH che ho avuto modo di conoscere, in particolare la Dott. Daniela Guglielmi per la calorosa accoglienza ed il tempo dedicatomi, e la Dott. Elena Zappa; ringrazio la Dott. Elena Mora e l’Arch. Italo Muratore per la disponibilità . Ringrazio tutti i miei amici per il sostegno, i consigli, le chiacchierate e le risate. Un grazie speciale a Silvia e Matilde, che mi hanno permesso di arrivare a questo passo importante in compagnia preziosa, leggera e memorabile. Grazie, infine e soprattutto, ai miei genitori, alla mia famiglia, alle mie sorelle sempre vicine. Grazie, a tutte le persone che hanno riempito la mia Urbino.


Settembre 2014

Composto in: Scala Playfair Display


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