Cib’Arte – la Raccolta
www.simonaskitchen.com
Com’è nata l’idea? Come scrivono su Twitter, #sapevatelo, ci son tante cose che mi appassionano, tra cui un amore che mi porto dietro fin da quando ero bambina per il disegno, la pittura, i colori, l’arte in tutte le sue forme ed uno più maturo, scoperto negli ultimi vent’anni, che è quello per la cucina! Ho pensato di abbinarli all’interno di questo mio primo Contest, che non a caso ho chiamato CIB’ARTE! La farina non è tutta del mio sacco, ma ho attinto ad un sacco ben preparato in materia, che è quello della persona che vado a presentarvi, l’editore di libri d’arte, Claudio Martini. Insieme a lui ed alla storica dell’arte Nadia Bastogi, abbiamo buttato giù qualche idea, l’abbiamo impastata ben benino, poi è rimasta a lievitare, ogni tanto la controllavo e vedevo che cresceva, finalmente l’abbiamo messa in forno e da oggi inizierà a cuocere, insieme a voi ovviamente, che dal canto vostro porterete il vostro prezioso contributo! Questo a seguire è perciò il lavoro di tutte coloro che hanno raccolto la sfida e ci hanno raccontato qualcosa del territorio in cui vivono e vi hanno abbinato una ricetta tradizionale. Vorremmo parlare non solo di cucina, ma andare a valorizzare qualche angolino della nostra Italia, angoli dimenticati o poco valorizzati dalle guide turistiche, posticini segreti, ma importanti per noi, legati ai nostri ricordi, legati alla nostra vita ed alle nostre emozioni! Partiamo così con la mia ricetta! De l'Imperatore Goloso, i Biscottini di Prato e la Mousse di Vinsanto! C’era una volta tanto tempo fa, ma tanto tanto tempo fa, un Re, anzi non era proprio un Re, era un Imperatore che veniva dalla Svevia! Era il 1248 circa, quando questo Imperatore, che si chiamava Federico II, visitò Prato e pensò ‘Qui ci vedrei bene un Castello’! Allora chiamò un architetto, un certo Riccardo da Lentini e si misero a decidere su come costruirlo, se con una torre, due torri, o più torri! I lavori proseguirono per diversi anni e alla fine il risultato fu stupendo! Un edificio con pianta quadrata, con ben quattro torri ognuna ad un angolo del quadrilatero. La struttura è quella tipica dei manieri Svevi, più frequenti nel sud d’Italia che nel centro: infatti questo castello è l’unico nel suo stile, presente nell’Italia centro-nord. Al centro di ogni lato sorge un’altra torre, quindi in tutto si contano ben otto torri e pare che inizialmente le torri fossero ben più alte di quelle rimaste attualmente dopo le vicessitudini della storia!
www.simonaskitchen.com
Sia le torri che la cinta muraria dell’edificio sono coronate da merli ghibellini, quelli tipici a coda di rondine. L'ingresso principale è definito da un arco sestiacuto, con decorazione mista tra lo stile svevo e quello del territorio, ossia con fasce di marmo bianco e verde di Prato alternate (che si ritrovano anche sulle pareti del Duomo di Prato). L'interno è vuoto, anche se per un periodo è stato adibito a prigioni.
Questa è la sua storia, sintetizzata brevemente per non allungare oltre il post, ma una visita al castello ed al resto del centro storico di Prato, io ve la consiglio, magari durante uno dei primi week end soleggiati di primavera! Con cosa si sarà deliziato il palato l’Imperatore Federico II? Secondo me, mentre discuteva con l’architetto Riccardo da Lentini, gustavano le prelibatezze della tradizione gastronomica locale, tra cui sicuramente i famosissimi biscottini di Prato, quelli con le mandorle, quelli che si mangiano inzuppati nel VinSanto! Io allora, vi propongo la ricetta dei biscottini, quella che ho ricevuto in eredità da mia nonna, con la variante che per l’occasione ho sostituito le mandorle con la cioccolata ed al posto del semplice bicchierino di Vinsanto, ho preparato una mousse al Vinsanto
www.simonaskitchen.com
Mousse al Vin santo 200 gr di mascarpone, 2 uova, 2 cucchiai di zucchero, 8 cucchiai di Vinsanto, una presa di sale Dividere i tuorli dagli albumi, montare gli albumi a neve con una presina di sale, montare i tuorli. Nel frattempo far sciogliere lo zucchero in un pentolino con un cucchiaio di acqua e portare ad ebollizione, senza che diventi marrone. Versare poi metà dello sciroppo negli albumi continuando a montarli. Versare l’altra metà nei tuorli, a filo continuando sempre a frullare. Versare in una ciotola il mascarpone, aggiungere i tuorli ed il Vin Santo, mescolare bene, poi aggiungere gli albumi montati a neve. Servire in bicchierini o coppette, abbinando la mousse ai biscottini di Prato, con il cioccolato fondente. Biscotti di Prato con cioccolato 170 gr di farina 00, 135 gr di zucchero, 1 uovo + 1 tuorlo, 15 gr di burro, 1/3 di bustina di lievito per dolci, 200 gr cioccolato fondente Mescolare lo zucchero con l'uovo, poi aggiungere la farina ed il burro ammorbidito, infine il lievito. Spezzettare la cioccolata, ma non grattugiarla o tritarla troppo fine, meglio dei pezzi più grossolani. Impastarla velocemente al resto dell’impasto. Impastare bene e formare dei panetti di larghezza 5 cm e lunghezza 10 cm circa. Stendere un foglio di carta forno su un teglione, disporvi i panetti, distanziandoli di almeno 3 cm, sbattere il tuorlo rimasto e spennellare la superficie dei panetti. Infornare in forno caldo a 180°C per 15 minuti circa. Appena tolti dal forno, affettarli ancora caldi in fette di spessore 2 cm più o meno.
www.simonaskitchen.com
Le vincitrici 1) Veruska del blog 'Vera in cucina' con 'La tomba dei Giganti, il castello di Pedres e la zuppa gallurese' 2) Seconde exequo: Maria Grazia del blog 'Cookingplanner' con 'Torta di ricotta e visciole' Enrica del blog 'Una cena con Enrica' con 'Triglie alla livornese' Riconoscimenti particolari a: * Roberta del blog 'Il senso Gusto' con la Torta paesana * Alessandra del blog 'Ricette di Cultura' con la Fetta di Polenta * Francesca del blog 'Aquolina' con la Sfoja Lorda Tutte le partecipanti, nell’ordine con cui ho ricevuto le loro ricette: 1) La cucina di mamma Loredana con 'la polta...ritorno al medioevo' 2) Matematica e cucina con 'Tesoro di San Gennaro e pizza ortolana' 3) Vera in cucina con 'La tomba dei Giganti, il castello di Pedres e la zuppa gallurese' 4) Nella cucina di Laura con 'Filetto al vino nobile di Montepulciano' 5) In cucina con Gioia con 'Sarde a Beccafico' 6) SonoioSandra' con 'Gnocchetti di farina bianca con porcini e lupini' 7) Cookingplanner con 'Torta di ricotta e visciole' 8) Mirty (una barboncina in cucina) con 'Flan di porri e castello del roccolo' 9) Stefania bigshade con 'Raviole di marroni' 10) Giorgia con 'Baci di Giulietta' 11) Tiziana con 'La ricetta degli struffoli originale' 12) Pasticciona con 'Turdilli o Turdiddri' 13) Roberta con 'Torta paesana o Torta di pane' 14) Tiziana ed Alessia con 'Gubanette cividalesi rivisitate' 15) Stefania con 'Presnitz un dolce imperiale' 16) Lara con 'Torta di amaretti e cioccolato' 17) Giancarla di Cuoche a Casa Tua con 'Passatelli alla romagnola' 18) Antonella di Sapori in Concerto con 'Cassoela e Milano' 19) Laura di Laura in Cucina con 'Biscotti di Mennula' 20) Roberta di L'angolo di cottura di roby con 'Polenta e pucÏ de ers' 21) Alessandra di Ricette di cultura con 'Fetta di Polenta e polenta alla piemontese' 22) Francesca di Acquolina con 'Sfoja lorda' 23) Benedetta Marchi di FashionFlavorsCooking con 'Il Bartolaccio' 24) NeoFrida di Passato tra le mani con 'Pasticcio ferrarese naturista' 25) Astrofiammante di Viaggiare è come mangiare con 'Risotto al radicchio rosso e Valpolicella' 26) Micol e Cecilia del blog 'Muffins e dintorni' con 'Le trote, un laghetto e un suggestivo borgo medievale' 27) Deborah del blog 'Il sapore del verde' con 'Puntarelle in salsa di acciughe' 28) Enrica del blog 'Una cena con Enrica' con 'Triglie alla livornese' 29) Valentina da Leivi con 'Focaccia con le polpe' 30) Toldina da Bolzano con ' I biscotti biricchini i tirolesi spitzbuben'
www.simonaskitchen.com
Veruska del blog 'Vera in cucina' con 'La tomba dei Giganti, il castello di Pedres e la zuppa gallurese'
La Sardegna non è solo mare meraviglioso, spiagge e sere d’estate a passeggiare lungo il porto di qualche località rinomata. La Sardegna è questo ma è anche molto altro. In sardegna mangiamo il “porcetto“, gli“gnocchetti” e beviamo ettolitri di “mirto”, soprattutto quello che facciamo in casa e che è davvero una bomba alcolica, ma non solo questo. Abbiamo decine di piatti tipici, tradizioni, costumi e meraviglie che la maggior parte di quelli che sono stati qui in vacanza non ha avuto la fortuna di conoscere e scoprire. Ad un turista sbadato, la Sardegna, può sembrare solo questo, un’isola circondata da un mare meraviglioso. E invece è un piatto più complesso, ricco e pieno di ingredienti dai gusti diversi ma ben amalgamati. Per stare in tema marino potremmo dire che è come uno “spaghetto allo scoglio” ben cucinato.E’ una terra magica, affascinante e ricca di storia e come ha detto (molto meglio di quanto io possa sperare di fare in queste poche righe) lo scrittore D. H. Lawrence parlando proprio della Sardegna: “Questa terra non assomiglia ad alcun altro luogo“. Io oggi vorrei portarvi con me, a pochi chilometri dalla città in cui vivo, per farvi scoprire un angolo di paradiso, a cinque minuti di auto, ma che in realtà sembra completamente fuori dal tempo.Vi presento la tomba dei giganti di “Su monte e s’abe”. Ma non fatevi ingannare dal suo nome. I giganti non hanno nulla a che fare con questo monumento funerario risalente all’età nuragica. Si tratta piuttosto di una sepoltura collettiva che non faceva distinzioni di rango. Questa di Olbia, anche se non ha una stele imponente come altre molto più famose, si può considerare la più grande della Sardegna grazie al suo corridoio funerario megalitico, lungo ben 28,5 metri, coperto da lastre di granito orizzontal. Il corridoio è stato datato al 1800 AC (età prenuragica), mentre l’Esedra composta da lastroni a
coltello
con
scalino
alla
base,
risale
al
1500
AC
(età
nuragica).
In sardegna si trovano pià di 300 tombe sparpagliate in tutto il territorio e la cosa più affascinante è che si trovano esclusivamente qui, non ne esistono di simili altrove. Quando sabato scorso sono tornata per scattare altre foto, ho avuto la piacevole sorpresa di trovare in questo sito, solitamente deserto, le scuole della città, impegnate a dare vita all’evento “Monumenti aperti“. Due gentilissime studentesse del locale liceo scientifico ci hanno preso per mano e raccontato la storia di questo monumento e grazie a loro ho potuto scoprire che non sono stati trovati resti ossei nella tomba (forse per via del granito) ma solo manufatti in ceramica che per ora sono esposti in un Museo a Sassari.
www.simonaskitchen.com
Piccola curiosità da prendere con le pinze, ci sono diverse teorie che attribusicono alle pietre di questi monumenti poprietà curative legate al magnetismo terrestre. Pare che sia sufficente sdraiarsi su una di queste lastre, coi piedi nudi a contatto con la “Madre Terra” per sentirtsi subito pieni di energia e per liberarsi da piccoli malesseri. Ma questa è un’altra storia…
www.simonaskitchen.com
Vi starete chiedendo cosa ha a che fare il castello del titolo con questa tomba nuragica. A livello di corrispondenze temporali proprio nulla, ma questo castello dell’epoca medievale si trova proprio di fronte a questa tomba, come dimostra la foto che ho scattato stando dietro il corridoio funerario.
Il castello Pedreso o di Pedres che dir si voglia è uno dei tanti castelli medievali che si possono trovare in Sardegna. E’ abbarbicato su una collina alta circa 100 metri dalla quale si domina tutta la zona circostante. La sua costruzione è datata tra il 1296 e il 1322 nel periodo di dominazione Pisano-Aragonese.Il castello si componeva di due piazzali cinti da mura, integrate nella roccia naturale. E’ ancora visibile il mastio con un altezza di più di 10 metri, una stanza diroccata e una con volte a crociera.
www.simonaskitchen.com
Ricordo ancora come se fosse ieri una gita con pochi amici e una chitarra ai tempi del liceo. Armati di zaini ci siamo arrampicati per la lunga e ripida scalinata che porta al castello. Questa scalinata pare che sia stata costruita durante la guerra, quando il castello era stato usato come base anti aerea.Ovviamente la vista è spettacolare e il silenzio che circonda questi resti è magico e ogni volta che ci torno per una gita mi sembra di fare un salto indietro nel tempo. Qui tutto è sempre uguale e se chiudo gli occhi ho ancora quindici anni e canto vecchie canzoni americane con tutto lo struggimento che solo l’adolescenza può dare.
E riandarci per scattare altre foto per accompagnare questo post ha contribuito a creare un nuovo ricordo che rimarrà legato per sempre a questi luoghi. Ma poi risali in macchina e lasci il silenzio e la quiete e rientri in città e una volta a casa le emozioni che provi cercano un modo per venire fuori. E penso che oggi mi manca un camino, un fuoco acceso e una poltrona dove scaldarmi. E penso anche che tutto questo affollarsi di pensieri non può trovare pace solo con un post. E penso che ho voglia di andare in cucina e mettere sul fuoco qualcosa di speciale che si sposi perfettamente con lo spirito di questi posti.
www.simonaskitchen.com
Io ho scelto di concludere questo viaggio preparando una “zuppa gallurese”, un piatto povero della tradizione sarda e dal sapore antico. Semplice da preparare. Richiede solo un po’ di cura e ingredienti di ottima qualità. Per prima cosa bisogna procurarsi il pane di grano duro come quello della foto, tagliato a fette sottili e lasciato indurire un paio di giorni. Della menta fresca. “Sa panedda” ovvero il formaggio fresco a forma di panetto come nella foto e per finire un bel pezzo di carne di pecora. Qui apro una parentesi per dire che se non avete la carne di pecora o trovate il suo sapore un po’ troppo “audace” per i vostri gusti potete tranquillamente e senza sensi di colpa sostituirlo con della carne di vitello. Anche la casa e i vostri vicini ve ne saranno grati. Gli ingredienti principali sono pochi ma decisi e il risultato finale dà vita ad un piatto unico e speciale che ha il sapore di questa terra. Ecco la ricetta che prepariamo a casa nostra.
www.simonaskitchen.com
Zuppa gallurese Ingredienti per 2 teglie da 20 cm 1 panedda di formaggio fresco vaccino 1 pane di grano duro 3/4 cucchiai di menta fresca 3 cucchiai di saporita per il brodo di carne 3 pezzi di carne di vitello o pecora o entrambe per un brodo misto 1 cipolla grande 2 gambi di sefano 1 spolverata di pepe 1 dado vegetale 1/2 carota 1 cucchiaio di olio Qualche
giorno
prima
tagliare
dei
rametti
di
menta
fresca
e
lasciarli
seccare.
In una pentola capiente versare 1 lt e 1/2 di acqua, 1 cipolla tagliata in 4 parti, due gambi di
www.simonaskitchen.com
sedano, 1/2 carota, il dado vegetale, il pepe e la carne. far cuocere a fuoco medio a pentola coperta
per
almeno
1
ora.
Filtrare
il
brodo
e
lasciarlo
raffreddare.
Tagliare il pane a fette sottili e rivestire il fondo della teglia. Coprire questo primo strato di pane con abbondante formaggio fresco grattugiato. Spolverare lo strato di formaggio con la mente secca. Coprire il formaggio con uno strato di pane tagliato sottile, ricoprire il pane con formaggio e spolverare con un pizzico di saporita. Sistemare un ultimo strato di pane e formaggio. Una volta che il brodo sarà abbastanza freddo versarne almeno 2 tazze sopra la zuppa in modo da bagnare bene tutti i vari strati. Il brodo dev’essere freddo per non cuocere il formaggio durante quest’ultima fase così da formare poi in cottura la tipica crosta dorata e croccante. Il quantitativo del brodo nella zuppa in questo caso può essere solo indicativo perchè la vera magia di questo piatto è riuscire ad azzeccare la giusta dose di brodo. Cuocere in forno caldo per 40 minuti a 180°. E’ cotta quando sulla superfice si forma una crosta dorata. Per spiegare meglio la preparazione dei vari strati ho fotografato i passaggi:
www.simonaskitchen.com
La zuppa è un piatto davvero completo che viene preparato durante le feste ed eccola appena sfornata.
www.simonaskitchen.com
www.simonaskitchen.com
Maria Grazia del blog 'Cookingplanner' con 'Torta di ricotta e visciole'
Roma è una città incredibile. Sarà che sono di parte, ma ciò che mi colpisce è la presenza di segni artistici di mille epoche e stili diversi. Epoca romana?Città con più segni dell’impero romano nonpotrei trovare. Medioevo? C’è ma si può definire Roma solo una città Medievale? No, perchè mica è solo questo. Il Rinascimento, il Barocco, l”800…potrei continuare…c’è tutto. Secondo me uno dei motivi per cui la chiamano la Città Eterna è che non si finisce mai di scoprirla. Si può andare in giro eternamente appunto e trovare sempre qualcosa di nuovo e purtroppo è vero che proprio i suoi abitanti conoscono poco della loro città. Quando ho letto del contest di Simona, Cib’Arte, il pensiero è stato “se non trovo qualcosa io….”. Ma scegliere non è stato affatto semplice, come sempre quando si hanno troppe cose valide a disposizione. Così la scelta è caduta su una delle Piazze che ho visitato ultimamente, Piazza Navona. Quando ci sono stata era una giornata di Ottobre caldissima, con un sole splendido. I turisti invadevano piazza Navona e le sue fontane, gli artisti di strada erano lì, come al solito, sculture umane accanto a quelle delle fontane, che prendono vita per gli euro offerti. C’erano i pittori che riproducono visioni di Roma di tutti i generi e che fanno ritratti ai passanti. Difficile camminare per quanta gente c’era.
www.simonaskitchen.com
Però volevo vedere Piazza Navona meglio..e ci sono andata la scorsa mattina, alle 7:30, dopo una pioggia torrenziale e con 2 gradi segnati sul termometro…. Ad aspettarmi c’era un’altra piazza. Arrivare e trovarla vuota mi ha fatto fermare di colpo, non ci ero abituata. Però era bellissima lo stesso. Un velo leggero di umidità rendeva tutto particolare. Mi sono potuta gustare le fontane…quando è pieno di gente si finisce quasi per trascurarle. La fontana dei quattro fiumi, ideata e plasmata da Gian Lorenzo Bernini, era tutta per me! Così ho visto con calma le statue rappresentanti i 4 fiumi principali della Terra: Nilo, Gange, Danubio e Rio della Plata (la mia preferita resta il Nilo e il suo viso coperto..dato che all’epoca non si conoscevano le sorgenti Bernini aveva deciso di rappresentarlo così).
www.simonaskitchen.com
Piazza Navona dopo la pioggia aveva il pavimento completamento bagnato. Se capitate da quelle parti dopo un bel temporale e state guardando la Fontana dei quattro fiumi e in particolare il Nilo, voltate il viso verso la detsra e vedrete una scena tutta particolare: il pavimento completamento rosa!
www.simonaskitchen.com
www.simonaskitchen.com
E’ semplicemente il riflesso del palazzo arancio che si trova sul fondo della Piazza ma sembra catapultarvi in un’altra dimensione.Il piatto da abbinarci mi ha fatto penare un pò…volevo un piatto della tradizione romana, anzi romana-giudaica dato che in quelle zone si trova l’antico ghetto ebraico e il portico d’Ottavia. Ho chiesto a un pò di persone “competenti nel settore” e ho deciso di andare ad uno dei forni ebraici per eccellenza, Boccione al Portico d’Ottavia n.2. Dovevo avere la torta ricotta e visciole di cui tutti parlvano. Ahimè…sono arrivata tardi ed era già finita…mi sono quindi dovuta accontentare della seconda versione, cioè la torta ricotta e cioccolata! La cosa buffissima e che sono arrivata al Portico d’Ottavia cercando il famoso numero 2….sono passata dal 3 all’1 senza vederlo, per quanto è scarno l’ingresso. Poi ho guardato bene e ho visto solo una fila di persone, ordinata e silenziosa che spuntava da una
www.simonaskitchen.com
porta. Era lì il numero 2! Mi sono messa in fila anche io ed ero un pò agitata…pensavo di trovare chissà quale suoni e atmosfere particolare finchè sono entrata e ho sentito le signore parlare un romano più accentuato del mio! E più verace! Del tutto “disinterassatamente” ho cominciato a chiedere gli ingredienti e la gentile signora che mi ha servito ha risposto con un “la voi rifà??? tanto nun te viene! E’ mejio che vieni qui!” E’ vero, anzi verissimo! Però quella torta l’ho voluta ripetere. Non è bella esteticamente, anzi! Nulla ha a che vedere con una crostata dal bordo perfetto, alto e dritto e dal colore dorato. Questa era un cerchio un pò storto, con una cupola di frolla sottile sopra praticamente bruciacchiata e tutta rotta dal ripieno in cottura…però è buonissima! non so come facciano ad ottenerla in quel modo ed sicuramente è molto più semplice riprodurre la perfezione di una crostata del miglior pasticcere francese che
quella!
Non conoscendo per nulla la cucina ebraica, ho chiesto notizie a Michela ed Eleonora, che sono state gentilissime! E’ un mondo e va studiato bene, è un mondo di significati, di cultura e di storia e le ringrazio per le cose che mi hanno raccontato. Per quanto riguarda la torta ricotta e visciole, ho provato a rifarla seguendo un pò le indicazioni di Michela e un pò quello che avevo capito dall’osservazione delle vetrine del forno Boccione. Dato che proprio non mi sembrava fatta in una classica teglia da crostata, ho pensato che il metodo per ottenere quella forma particolare era quello di disporre un cerchio di frolla su una teglia (sopra un foglio di carta da forno), di distribuire prima la marmellata, poi la ricotta e di mettere un disco di frolla sopra. Il bordo mi sembrava messo a ricoprire il disco di frolla superiore (che ha un diametro più piccolo). Il disco di frolla superiore non doveva essere troppo spesso, dato che il ripieno riesce a formare delle crepe, durante la cottura (e così è infatti). Per la coloritura, ho pensato di spennellare un rosso d’uovo per dare più colore…è vero ma non sono riuscita lo stesso a “bruciacchiarla”..questo credo che resterà un segreto del forno ! :) Effettivamente ho ottenuto una torta che ricordava in tutto e per tutto quelle della vetrina (quanto a forma)..tranne per il colore! Un mio errore è stato calcolare male la misura dei due cerchi: il disco inferiore, una volta messa la marmellata e la ricotta sopra, deve poter
www.simonaskitchen.com
essere ripiegato bene sul disco inferiore, per evitare che esca il ripieno durante la cottura. Vi lascio la ricetta:
RICETTA: TORTA DI RICOTTA E VISCIOLE Ingredienti Per la pasta frolla:
www.simonaskitchen.com
•
1 uovo intero
•
1 tuorlo
•
250gr di farina
•
125gr di burro
•
125gr di zucchero
Per il ripieno: •
400gr di ricotta di mucca
•
100gr di zucchero
•
300gr di marmellata di visciole (io ne ho usati 200)
Procedimento Nella planetaria, impastare con la foglia il burro e lo zucchero, aggiungere le uova (poco alla volta) e la farina (si può tranquillamente fare a mano). Mettere la frolla in frigo per un paio di ore. Nel frattempo, setacciare la ricotta e mescolare bene con lo zucchero. Mettere in frigo.Prendere poco più della metà della frolla e stendere un disco (io uso farlo fra due fogli di carta forno, così me lo ritrovo anche già pronto per adagiarlo sulla teglia, e non ho il problema del matterello che si appiccica :) ). Stendere, con un cucchiaio, uno strato di marmellata di visciole e stendere sopra la ricotta con lo zucchero. Stendere la pasta frolla rimasta in un disco di diametro inferiore a quello della base. Metterlo in freezer per 10 minuti per poterlo meglio adagiare sulla torta. Una volta sitemato, ripiegare il bordo della base verso la cupola superiore e chiudere bene. Mettere un piccolo cerchio di frolla (di un paio di cm) al centro del disco superiore. Spennellare con un rosso d’uovo e mettere in forno a 180° per 35 minuti circa (dipende molto dal vostro forno)
www.simonaskitchen.com
Enrica del blog 'Una cena con Enrica' con 'Triglie alla livornese'
Il luogo a me caro della mia città è la Terrazza Mascagni. Non è un monumento, tantomeno un dipinto o una statua ma è veramente un’opera d’arte. Potersi affacciare da questo belvedere respirando il mare in tutte le sue manifestazioni non è cosa da sottovalutare. Per descriverla correttamente, con tutta la sua storia, prendo brani da wikipedia: Dove ora c’è la Terrazza, un tempo sorgeva un fortilizio facente parte del sistema difensivo della costa. Noto come Forte dei Cavalleggeri, era composto da una torre e da un vasto complesso edilizio; occupava un’area di 30 x 60 metri e la torre, posta all’estremità ovest, era formata da tre piani fuori terra. Nel forte alloggiava un distaccamento dei cavalleggeri per il pattugliamento della costa finalizzato soprattutto ad impedire il contrabbando e a garantire la sicurezza sanitaria degli sbarchi. Dopo l’Unità d’Italia, la costruzione fu ceduta al Comune e fu smantellata nel 1872. Nell’ultimo decennio dell’Ottocento qui si registra la costruzione di un parco di divertimenti, l’Eden, che rimase in funzione fino ai primi anni del secolo successivo; in questa struttura, sin dal 1896, si tennero alcuni dei primi spettacoli cinematografici italiani. La trasformazione della spianata in una grande piazza sul mare avvenne solo a partire
www.simonaskitchen.com
dal 1925 su progetto dell’ingegner Enrico Salvais con la collaborazione di Luigi Pastore. I lavori furono conclusi rapidamente e nel 1935, Ghino Venturi vi edificò il Gazebo per la musica, un tempietto rotondo con una calotta sorretta da colonne circolari, successivamente distrutto dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. La Terrazza fu quindi intitolata a Costanzo Ciano,
livornese
e
figura
di
spicco
del Partito
Fascista,
nonché
padre
di Galeazzo. Nel dopoguerra fu notevolmente ampliata verso nord utilizzando le macerie del centro cittadino distrutto dai bombardamenti e venne pertanto dedicata al compositore livornese Pietro
Mascagni. Gravemente danneggiata
nel
corso
degli
anni
dalle
violente
mareggiate e dall’incuria, sul finire degli anni novanta la Terrazza è stata completamente restaurata, con il ripristino inoltre delle aree verdi circostanti e con la fedele ricostruzione dello stesso Gazebo.
T Terrazza Mascagni – Livorno
www.simonaskitchen.com
www.simonaskitchen.com
www.simonaskitchen.com
I piatti tipici della città in cui vivo sono, ovviamente, a base di pesce e la ricetta da abbinare alla bellissima terrazza sono le triglie alla livornese, un piatto povero, semplice, gustoso legato fortemente alla storia di Livorno. La tradizione vuole che le triglie siano piccole, le triglie ballerine dai finachi sottili ma cicciuti, con la carne bianca e soda, la pelle rosso acceso con riflessi amaranto, da un etto, un etto e mezzo di peso. La ricetta originale prevede l’utilizzo del prezzemolo ma si trovano molte ricette con molte varianti (foglia d’alloro, sedano, olio di semi, vino bianco, farina, cipolla, zucchero, semi di finocchio…), secondo me questa è la ricetta che più si avvicina a quella originale, pochi ingredienti ma buoni. L’unico difetto che hanno sono le lische, TANTE!!!
www.simonaskitchen.com
Triglie alla livornese
8 triglie
350 g di pelati (o pomodori maturi nel mio caso)
2 spicchi d’aglio
1 ciuffo di prezzemolo tritato
1 peperoncino
olio e.v.o.
sale e pepe
In un tegame mettere l’aglio e il peperoncino a soffriggere nell’olio, aggiungere il pomodoro, sale e pepe e cuocere per circa 20 minuti con il coperchio aggiungendo un po’ d’acqua se necessario. Unire le triglie e cuocerle per 10 minuti senza coperchio e senza girarle. Per non farle attaccare al tegame basta smuoverlo un po’. Prima di servirle aggiungere il prezzemolo tritato.
www.simonaskitchen.com
Roberta del blog 'Il senso Gusto' con la Torta paesana Tutto il mondo è paes(e)ana
Sono ormai agli sgoccioli di un lunghissimo anno, frenetico, densissimo di impegni e contrattempi e in dirittura di arrivo con i lavori nel mio appartamento. Ci sono dei giorni in cui l'unica cosa che riesco a fare è uscire di casa all'alba, rientrare con il sole già tramontato da un pezzo e cucinare qualcosa per cena. Oltre a questo non riesco ad andare e le ricette da provare e fotografare si accumulano sul piano della cucina.
www.simonaskitchen.com
Il post di oggi, per certi versi, ha un tema attualissimo: una pagina de "Il Sole 24 Ore" e la parola 'Europa' che fanno da sfondo a una delle ricette più classiche e più povere della tradizione lombarda: la torta paesana o torta di pane. Un dolce che in passato serviva per recuperare il pane raffermo (se mai ne avanzava) bagnato con del latte, ingentilito dal cioccolato e cotto nel forno. Ai giorni nostri il dolce si è arricchito di pinoli, cacao e biscotti e si è trasformato da dolce dei poveri a vera prelibatezza. Ma che cosa c'entra l'Europa con la torta paesana? Qualche mese fa l'amica blogger Simona di Simona's Kitchen mi invita a partecipare al suo contest "Cib'Arte". Lo scopo era quello di abbinare una ricetta ad un monumento/opera d'arte della propria città; ho trascorso settimane a pensare quale ricetta fosse adatta a Sesto San Giovanni (Milano), la città in cui sono nata e in cui abito e mentre mi trovavo in metropolitana (la mia seconda casa, il posto dove nascono la gran parte delle mie idee) mi è balzata alla mente la torta suddetta che, oltre ad essere presente da sempre nella mia vita, evoca ricordi di memorie antiche; la torta paesana nel significato più ampio di paese inteso anche come regione, nazione e continente. Una torta di umili origini da me eletta come rappresentazione dell'Europa-Paese; pane e latte, i sapori e i valori di un tempo calati in una realtà che sembra tritare tutto quello che tocca lasciando dietro di sè briciole di amara rassegnazione (che altro si può dire di fronte alla crisi mondiale che sta sconvolgendo il mondo?). A Sesto San Giovanni tra il 1903 e il 1911 si sono insediate aziende straordinarie, come la Breda, la Falck, la Ercole Marelli, la Campari. Forse alcuni di voi conosceranno la mia città come la Stalingrado d'Italia, nome che deriva dalla presenza sul territorio di acciaierie e fabbriche ('stalin' in russo significa acciaio, quindi Città dell'acciaio), tale soprannome assume con il tempo una connotazione politica per via delle amministrazioni di sinistra e centrosinistra che governano la città da decenni. Una città di operai provenienti da tutta Italia, cresciuta velocemente ed esponenzialmente grazie al boom economico. Una città che oggi ha come caratteristica principale l'archeologia industriale: edifici in ferro, scheletri di capannoni, case di operai in mattoni rossi e grandi macchinari che servivano ad assolvere varie funzioni all'interno delle fabbriche. Sesto San Giovanni, un paese che si è trasformato grazie o a causa delle fabbriche, da posto di villeggiatura per i signori che arrivavano da Milano, a città del lavoro, del cemento, dell'acciaio e del ferro. Città che ha perso in pochi decenni ogni segno di romanicismo che caratterizza e pervade ancora oggi un'infinità di centri storici di altre realtà italiane; una città che ha perso l'arte ma che ha guadagnato in accoglienza e generosità nei
www.simonaskitchen.com
confronti di tante persone che arrivavano da lontano per lavorare a Sesto e nelle sue fabbriche. Nella mia città quindi non ci sono preziosi edifici come chiese, palazzi o monumenti da fotografare; nella mia città si fotografano i luoghi del lavoro e i sogni di tante persone che arrivavano con la valigia piena di speranza per un futuro migliore. E per non dimenticare questa operosa città, l'Amministrazione Comunale ha deciso di candidarla come patrimonio mondiale dell'Unesco. Per onorare la memoria di 'città che produce' ho deciso di abbinare questa 'torta-paese' di umili origini lombarde al 'paese-Europa', così tanto bisognoso di dignità, lavoro e speranza, che un tempo Sesto San Giovanni ha saputo regalare ai suoi abitanti e ai suoi lavoratori. Qui sotto una fotografia del Carroponte manufatto utilizzato dalla Breda Siderurgica per lo spostamento dei carichi all'interno della fabbrica. Grazie a un’illuminazione suggestiva anche nelle ore serali e alla recente realizzazione di una copertura permanente del palco, il Carroponte è diventato un’area ampia e funzionale per eventi, concerti, spettacoli e attività culturali.
www.simonaskitchen.com
Torta paesana 500 gr pane comune raffermo (oppure pane fresco comune tipo Michetta) 1 litro di latte 250 gr biscotti secchi 250 gr amaretti 2 uova buccia grattuggiata di un limone 100 gr cioccolato fondente 70 gr cacao dolce 100 gr zucchero semolato 2 cucchiai di olio di oliva 70 gr di uvetta 100 gr di pinoli rhum q.b. Rompere il pane a pezzetti in una ciotola e versarci sopra mezzo litro di latte caldo. Mescolare e fare inzuppare il pane. Rompere grossolanamente i biscotti e gli amaretti, aggiungerli al pane e versare il latte rimanente fino a quando l'impasto non diventerà una poltiglia. La quantità del latte varierà in base alla secchezza del pane (più è secco e maggiore sarà la quantità di latte richiesto). Lasciare in ammollo per qualche ora, fino a quando il pane non sarà diventato morbido e successivamente passarlo con il passaverdura o con un mixer ad immersione. In un'altra ciotola sbattere le uova con lo zucchero e aggiungerle all'impasto. Aggiungere 80 gr di pinoli, l'uvetta precedentemente ammollata in acqua tiepida, l'olio, il cioccolato, il cacao, il rhum e la buccia grattuggiata di un limone. Mescolare bene per miscelare gli ingredienti. In una teglia stendere un foglio di carta da forno, versare l'impasto e livellare il composto (lo strato dovrà essere alto almeno 2 cm.). Spargere sulla superficie i pinoli avanzati e infornare in forno statico già caldo a 200° per circa 1 ora e mezza.
www.simonaskitchen.com
Alessandra del blog 'Ricette di Cultura' con la Fetta di Polenta Ci sono giornate in cui sembra tutto vicino. Le montagne ad ovest, luccicanti di neve e svettanti sull’orizzonte come una corona, ancor di più la collina, verso est: case fitte fitte di Borgo Po, tutte affacciate sulla città, con la Villa della Regina che fa l’occhiolino, a due passi da piazza Vittorio, Superga vicinissima che quasi la si può toccare e il Monte dei Cappuccini che si specchia nel Po. E’ merito della luce particolare - nessuna nube è rimasta, tutte spazzate dal vento tiepido che qui chiamano phön - e di un clima fresco ma temperato che fa sentire vicina la primavera. Di solito queste giornate si manifestano a marzo, quando è tutto un turbinio di foglie secche ancora per le strade da novembre e risparmiate dalle piogge dell’inverno…Quest’anno il clima è invece particolarmente mite, lo è stato a dicembre ed è ancora così in questi primi giorni di gennaio. E’ ora di pranzo, il sole è alto, il cielo è azzurro e limpido ed io faccio una passeggiata senza guanti e con il naso in su, guardando i bei palazzi di una Torino di altri tempi, una Torino
www.simonaskitchen.com
signorile e discreta, forse silenziosa come questa mattina, quando corso San Maurizio era sgombro di macchine e i semafori sembravano funzionare inutilmente. Se devo raccontare di un’opera che rappresenti la mia città penso subito ad un’architettura di Alessandro Antonelli. La Mole Antonelliana? No, quella è davvero troppo conosciuta ed è il simbolo di Torino…io penso ad una casa che alcuni torinesi non conoscono affatto, ma che si trova a pochi passi dalla Mole, in borgo Vanchiglia: la Fetta di Polenta.
Una porzione del centro di Torino, si vede quanto siano vicine la Mole e la Fetta di Polenta
A guardarne la forma la ragione di questo soprannome è ben evidente. Le pareti sono dipinte di giallo vivace e la pianta di questo edificio è trapezoidale, con una facciata stretta ed un altro lato addirittura strettissimo!!!
www.simonaskitchen.com
Tutte le visuali della Casa Scaccabarozzi, detta Fetta di Polenta
Nacque per una scommessa con la Società Costruttori di Borgo Vanchiglia, e Antonelli dovette insistere a lungo prima di poter acquistare questa porzioncina di terreno d’angolo, intestato poi alla moglie Francesca Scaccabarozzi. Ma l’architetto era troppo eccentrico per farsi sfuggire la possibilità di costruire in condizioni “estreme”. Progettò quindi una casa per abitazione, con l’intenzione di destinarla all’affitto, con la scala a chiocciola e la canna fumaria incastrate nell’angolo
più
angusto.
I primi tre piani vennero completati nel 1840 e già nel 1851 dovettero resistere allo scoppio del Polverificio di Borgo Dora. Superarono la prova forse grazie alla fondamenta profonde due piani interrati,
mentre
altri
edifici,
in
apparenza
più
solidi,
vennero
lesionati.
Non contento Antonelli innalzò la sua creatura sempre di più, fino a raggiungere l’ultimo piano, il sesto fuori terra, nel 1881. L’altezza complessiva è di 27 metri, così come la profondità sul
www.simonaskitchen.com
lato lungo. La facciata che si affaccia su corso San Maurizio è lunga 5 metri, mentre lo spigolo piÚ stretto di soli 70 centimetri.
La facciata su corso San Maurizio, larga 5 metri
www.simonaskitchen.com
Lo spigolo piĂš stretto, di 70 centimetri di larghezza, dove sono incastrate le scale a chiocciola
Inizialmente molti si rifiutarono di andarci ad abitare, per paura di un crollo, ma la casa resistette nel 1887 quando un terremoto rase al suolo molti degli edifici del Borgo Vanchiglia. Anche i bombardamenti durante la seconda guerra mondiale risparmiarono la
casa
Scaccabarozzi, e la diffidenza fu definitivamente vinta. La casa fu abitata per molti anni e solo ultimamente, dopo un periodo di decadenza, è stata trasformata nella Galleria d’Arte Franco Noero dove, per un certo periodo, sono state esposte sulle pareti interne, dipinte di bianco, le foto di tutti gli edifici piÚ bizzarri del mondo.
www.simonaskitchen.com
Il lato verso via Giulia di Barolo. I mobili vennero portati in casa dalle finestre, poichè la scala era troppo angusta
Tornare alla Fetta di Polenta mi fa tornare indietro al tempo in cui passeggiavo più spesso con il naso in su, entusiasmandomi alla scoperta dei tanti palazzi che giocano a mimetizzarsi in questa città che a detta di alcuni può sembrare monotona. Non è così, dietro alla ricerca di un’uniformità di facciata, alla pretesa di disegnare tutte le strade con incroci ad angolo retto, ci sono tante storie, piccoli particolari sui frontoni delle finestre o sotto i balconi che differenziano ogni pezzo del puzzle della mia bella ed elegante città.
www.simonaskitchen.com
Antonelli poteva guardare la punta della sua Mole dalla finestra di casa, mentre si gustava la sua polenta alla piemontese
La ricetta che mi è parso più naturale abbinare a questa architettura è la Polenta alla Piemontese. Non ho cotto la polenta per ore, ho usato quella già precotta a vapore, che cuoce velocemente. Rispetto alla ricetta più tradizionale che vuole solo il soffritto di verdure ho aggiunto solo dei funghi, che si sposano a meraviglia con gli altri sapori.
La ricetta: Polenta alla Piemontese (per 2 persone)
125 g di polenta istantanea 25 g di semolino
www.simonaskitchen.com
50 g di fontina 2 cucchiai colmi di parmigiano grattugiato 25 g di burro ½ l di brodo vegetale (preparato con cipolla, sedano, patata, carota e aglio) ½ bicchiere di latte 3 cucchiai di olio d'oliva extra-vergine 1 cipolla 1 porro 2 spicchi di aglio 1 costa di sedano 250 g di funghi orecchioni e chiodini alloro salvia vino bianco sale pepe
Per prima cosa ho preparato il brodo vegetale con verdure a piacere: io ho messo patata, carota, sedano, cipolla e uno spicchio d'aglio, con un filo d'olio e un po' di sale. In una padella larga ho preparato il soffritto mettendo in una padella i tre cucchiai di olio extravergine e facendovi rosolare la cipolla, il porro, gli spicchi d’aglio, il sedano e l’alloro e la salvia. Quando le verdure hanno cominciato a sfrigolare ho aggiunto i funghi tagliati a pezzetti e sfumato con un goccino di vino bianco e ho proseguito la cottura finchè tutte le verdure
www.simonaskitchen.com
erano
morbide
e
ben
rosolate.
Ho
eliminato
l'aglio.
Ho tagliato a dadini la fontina, grattugiato il parmigiano e pesato il burro in modo da averlo a portata di mano. Ho mescolato le due farine. Ho portato ad ebollizione il brodo preparato in precedenza con il mezzo bicchiere di latte. Ho versato la farina a pioggia e ho iniziato a mescolare. Quando la polenta ha cominciato a raddensarsi ho aggiunto il burro, la fontina, il parmigiano ed infine il soffritto, mescolando bene. Noi l'abbiamo fatta rassodare un po' e l'abbiamo accompagnata da una parte del soffritto di verdure caldo.
www.simonaskitchen.com
Francesca del blog 'Aquolina' con la Sfoja Lorda
Oggi vi presento una ricetta tipica del mio territorio, la Romagna Ho la fortuna di vivere in una città, Ravenna, che vanta ben 8 monumenti appartenenti alla lista del patrimonio mondiale dell'Unesco ma la scelta è stata facile, complice il mosaico raffigurante i re magi (lo so che non sono una blogger efficiente e l'epifania è passata ma non da molto...) oggi vi parlerò della basilica di Sant'Apollinare Nuovo.
www.simonaskitchen.com
"E' Ravenna, già capitale dell'Impero romano, porto mercantile, melanconico capoluogo di provincia che sonnecchia sotto il lume delle sue raffinerie e meraviglia assoluta del mondo cristiano. Chiuso in una rozza e povera scorza di mattoni , il Vangelo è qui, preso alla fonte, splendente di luce interiore: la mano rossa e rugosa della città si apre su manciate di zaffiri. L'arte è a Firenze, il sogno a Venezia, la gloria a Roma. Nel suo incavo di terracotta, l'acqua pura della contemplazione è a Ravenna. ... Al seguito dei re magi variopinti, le vergini e martiri, vestite di candore e di sole. Tutte simili e tutte differenti, la testa china come i gigli alla brezza, vanno con passo identico per il loro prato di smeraldo e di fiori, fra le palme che sovrastano le aureole come una sorta di acclamazione." (da "Il Vangelo secondo Ravenna" di André Frossard)
www.simonaskitchen.com
La basilica di Sant'Apollinare nuovo fu fatta erigere da Teodorico all'inizio del VI secolo d.C. nei pressi del suo palazzo imperiale, il campanile risale al IX o X secolo mentre il portico in marmo venne rifatto nel XVI secolo.
www.simonaskitchen.com
Vi venivano celebrati i riti di culto ariano (un'eresia che negava la natura divina di Cristo), quando, dopo il 540, il culto cattolico tornò dominante nella città ci fu una riconsacrazione e purificazione dei templi ariani, anche la decorazione in alcuni casi è stata rimaneggiata, per esempio all'interno del Palazzo di Teodorico sono stati cancellati dei personaggi legati all'eresia e alla corte dell'imperatore e sostituiti con tendaggi ma si possono ancora notare sulle colonne le mani e le braccia delle figure in preghiera La ricchezza della decorazione bizantina si estende ai pavimenti e ai rivestimenti, guardate la complessità e leggerezza di questa transenna in marmo
www.simonaskitchen.com
In una mattinata di vacanza splendente di sole mi sono mescolata ai tanti turisti che ogni giorno si incontrano in cittĂ e ancora una volta sono entrata a contemplare queste meraviglie, ci torno spesso e mi piace accompagnare parenti e amici che abitano lontano. Tornando ad argomenti meno nobili e spirituali, la visita mi ha ispirato l'abbinamento gastronomico,questa pasta ripiena non vi fa venire in mente le tessere d'oro dei mosaici? :-)
www.simonaskitchen.com
Trattandosi di una ricetta tipica l'argomento è delicato! Ognuno ha la sua versione, la sua ricetta e anche un nome diverso... Si tratta di una pasta fresca all'uovo ripiena di formaggi. Quando avanza il ripieno dei cappelletti si spalma sulla metà di una sfoglia, si sovrappone l'altra metà di sfoglia, si preme leggermente con le mani e si ritagliano dei quadratini con la rotella (chiamata "sprunella", l'ho scoperto adesso...) e poi si servono in brodo o, piÚ raramente, asciutti con del sugo di verdure.
www.simonaskitchen.com
A Ravenna i cappelletti sono ripieni di solo formaggio, la ricetta precisa non ce l'ho, come le nonne tutti fanno a occhio, ma il migliore a detta mia suocera è: molto parmigiano stagionato grattugiato, poco formaggio morbido (ricotta, raviggiolo o formaggio di campagna), uovo intero sbattutto q.b., abbondante noce moscata grattata.
www.simonaskitchen.com
La cucina di mamma Loredana con 'la polta...ritorno al medioevo' Mi è sempre piaciuto andare alla ricerca di quei sapori antichi e semplici, tipici della tradizione contadina, ma anche di quella cucina derivata dalla mancanza di materie prime abbondanti, vuoi per povertà, vuoi per difficoltà nel reperirle. E' come se assaggiando quei piatti tornassi di colpo nel passato e diventassi parte di un unico popolo che viveva semplicemente anche nelle difficoltà, condividendo un pane profumato di legna, una zuppa calda e il calore di un focolare attorno a cui ci si riuniva per sentire raccontare storie dagli anziani. Ma questa ricetta è anche la ricetta di un paesino che solo a guardarlo riporta direttamente al medioevo: Pacentro, che con il suo castello ancora domina tutta la conca peligna. Ho attinto qualche notizia e la foto di Pacentro direttamente dal sito de I Borghi più belli d'Italia e dal sito del Comune di Pacentro
"Pacinus, Pacinos, Pacine, Pacino: sono molte le congetture circa l'origine del toponimo. Probabilmente è legato al nome di qualche antico borgo, forse d'origine latina, come farebbe supporre il ritrovamento in zona di fabbriche, lapidi e sepolcri. La leggenda narra che Pacinus, eroe troiano, lasciato Enea sulle rive del Tevere, s'inoltrò per il Sannio e arrivato ai piedi del Monte Morrone vi fondò Pacentro. Un “castellum” di Pacentro è citato già nel 951 d.C. dal Chronicon Casauriense per indicare, con molta probabilità, una prima fortificazione creata nel corso dell’IX secolo per dare protezione alle popolazioni della valle peligna durante le invasioni dei Saraceni e degli Ungheri. Dal periodo normanno il castello diventerà un ambito centro di potere. La costruzione attuale è il risultato di una serie di trasformazioni succedutesi nel corso dei secoli quando il castello e il feudo di Pacentro furono aspramente contesi sia per la qualità delle risorse presenti nel territorio sia per la sua posizione strategica. D’altra parte il massiccio impianto difensivo e la possanza ineguagliata dei bastioni nel comprensorio peligno, testimoniano ancora bene la natura dei contrasti dei secoli passati. Nel corso del 1400, mentre imperversava il conflitto tra angioini e aragonesi per il dominio sull’Italia meridionale, il feudo di Pacentro conobbe il suo momento di massimo splendore sotto la guida della famiglia Caldora. Giacomo Caldora, figlio di Giovan Antonio e Rita Cantelmo, fu uno dei più insigni condottieri del XV secolo, al pari d’altri noti capitani di ventura come Braccio da Montone e Francesco Sforza. Con spregiudicatezza e coraggio divenne signore di numerosi e ricchi feudi, inserendosi opportunisticamente nei complicati equilibri del Regno di Napoli. Il noto condottiero, e in seguito suo figlio Antonio, ampliò il castello di Pacentro,
www.simonaskitchen.com
originariamente concepito per scopi puramente difensivi: ingentilito nelle forme e adattato alle nuove esigenze abitative il castello divenne uno dei luoghi di dimora preferiti dalla famiglia. Inoltre, nello stesso periodo si avviò un importante sviluppo urbanistico ed architettonico del centro abitato di cui abbiamo ancora traccia nella permanenza di numerosi palazzi gentilizi. Dopo il tramonto dei Caldora, avvenuto nel 1464 con la definitiva sconfitta di Antonio da parte di Ferrante d’Aragona, il feudo passò ad altre importanti famiglie tra cui gli Orsini, che intervennero ulteriormente sul castello aggiungendo i possenti torrioni cilindrici della cortina esterna, i Colonna e i Barberini. La gastronomia ha carattere di sobrietà e rispecchia le tradizioni di una vita semplice, che per l'alimentazione si basa esclusivamente sui prodotti locali. Le ottime carni sono fornite dal bestiame allevato nei pascoli montani, ricchi d'erbe aromatiche che trasferiscono poi ai prodotti caseari sapori unici. Gli uliveti e i vigneti trovano nei dolci pendii collinari l'habitat ideale per una produzione di qualità. Da questa naturale armonia di colori, odori, sapori, è nata la voglia di riscoprire antiche ricette: (...) tra le altre la polta che è diventata il simbolo della sagra culinaria di Pacentro. Anche questo è un piatto contadino fatto con ingredienti semplici: aglio e peperoncino soffritti in olio rigorosamente extra vergine d'oliva con aggiunta di cavoli, patate e fagioli bolliti". ...e quindi molto semplicemente propongo la minestra, nella realizzazione più tradizionale possibile...pochi ingredienti, quasi invernali, ma da queste parti si mangia in agosto! E
assaporando
questa
polta
si
fa
davvero
un
salto
nel
passato!!
www.simonaskitchen.com
una verza piccola fagioli borlotti lessati 4 patate a tocchetti olio evo aglio rosso di Sulmona peperoncino sale Per accompagnare pane cotto nel forno a legna e un bicchiere di Montepulciano d'Abruzzo. Pulire la verza, tagliarla a listarelle e tenere da parte. In un'ampia pentola versare l'olio, unire lo spicchio di aglio in camicia e un peperoncino,lasciare soffriggere a fuoco dolce per profumare l'olio. Unire la verza , far stufare lentamente, aggiungere i fagioli precedentemente lessati e le patate a tocchetti, coprire e lasciar cuocere lentamente, fino a che gli ingredienti non risulteranno morbidi e le patate quesi disfatte, aggiustare di sale, nel caso allungare con dell'acqua. Far ritirare secondo il gusto personale, si può mangiare come minestra con crostini di pane o piÚ densa e fredda, quasi come un contorno.
www.simonaskitchen.com
Matematica e cucina con 'Tesoro di San Gennaro e pizza ortolana'
Il post di oggi è un invito a visitare una straordinaria mostra che rimarrà aperta a Napoli fino al 6 gennaio e che vi permetterà di ammirare "i Gioielli più preziosi del mondo", quelli del Tesoro di San Gennaro.
matematicaecucina- 15 ottobre 2011
www.simonaskitchen.com
Il patrimonio di San Gennaro ammonta a quasi 22.000 pezzi e vanta un primato su tutti: è più prezioso di quello dei reali d’Inghilterra. Inoltre, per merito dell’antica istituzione della Deputazione della Real Cappella di San Gennaro, nata per un voto della città nel 1527, è l’unico tesoro al mondo rimasto intatto, non avendo mai subito spoliazioni, né finanziato guerre, né subito furti. Lo stesso Napoleone, noto più per le sue razzie d’arte, fece dono a San Gennaro, tramite il cognato, Gioacchino Murat nel 1808, di un ostensorio di superba bellezza. Questo pezzo insieme ad altri nove rappresenta le “10 meraviglie” di proprietà di San Gennaro, tutte esposte al Museo del Tesoro insieme al busto del santo, dono di Carlo d’Angiò. La mostra è un'occasione unica per vedere le "10 meraviglie" perché esse non sono esposte al pubblico ma sono gelosamente custodite lontano da occhi indiscreti, in misura maggiore nei caveau del Banco di Napoli. Tra i cosiddetti 10 “Top Lots”, spicca una collana del 1679, tra le più preziose al mondo, con 13 maglie di oro massiccio, 700 diamanti, 276 rubini e 92 smeraldi, donata dai Borboni,
Foto web
e una mitra in oro e argento con circa 3000 diamanti, 190 smeraldi e 170 rubini. Bellissima e di inestimabile valore è anche la croce di smeraldi e diamanti. Io ho visto la mostra sabato scorso e ve la consiglio, la bellezza degli oggetti vi rimarrà negli occhi e nel cuore.
www.simonaskitchen.com
Suggestiva è anche la sede museale, la cripta del Duomo di Napoli.
Duomo di Napoli matematicaecucina- 15 ottobre 2011 Quale piatto si può abbinare al Tesoro del Santo più famoso della Chiesa Cattolica, i suoi devoti sono più di 25 milioni e sono sparsi in tutto il mondo, se non la napoletanissima pizza, che conta a sua volta milioni di estimatori nei cinque continenti?
www.simonaskitchen.com
Palazzo del Museo matematicaecucina- 15 ottobre 2011
Pizza Ortolana
www.simonaskitchen.com
Nella cucina di Laura con 'Filetto al vino nobile di Montepulciano' Questa ricetta è tipica della zona in cui vivo, la Valdichiana, in provincia di Siena. Infatti i due ingredienti fondamentali sono il filetto di vitello ed il vino. La carne proviene da allevamenti della tipica razza toscana di bovini, la Chianina, mentre il vino è il conosciutissimo Nobile di Montepulciano, tipico del paese toscano da cui prende il nome ed è conosciuto in tutta Italia. INGREDIENTI
1 fetta di filetto di vitello mezza bottiglia di vino nobile di Montepulciano 1 cucchiaino di miele insaporitore Ariosto per carni alla griglia q.b. sale q.b.
Scaldate una griglia sul fuoco, e quando sarà rovente cuocetevi il filetto (se potete cuocete pure la carne alla brace… verrà ancora più buona!). La ricetta lo richiede cotto al sangue, quindi cuocetelo pochi minuti per lato (il mio è cotto molto bene, perchè a me non piace la carne al sange… voi cuocetelo comunque in base ai vostri gusti). Nel frattempo in una padella versate il vino, mettetelo sul fuoco, aggiungete il cucchiaino di miele e riducetelo a fuoco medio. Dovrà diventare come una salsina, non densa, ma ristretta. Quando la carne è quasi cotta cospargetevi l’insaporitore Ariosto per carni alla griglia e dosate di sale. Su di un piatto da portata versate la riduzione di vino e adagiatevi sopra il filetto cotto. Buon appetito!
www.simonaskitchen.com
Questa ricetta è legata al territorio toscano, così come lo sono molte opere d’arte. Nel mio paese se ne trovano varie, ma quella di cui oggi vi voglio parlare è la famosa Lunetta di Donatello.
Questo è il mio paese Torrita di Siena.
La piazza del paese con il pozzo ed il Palazzo Comunale
www.simonaskitchen.com
La Chiesa delle Sante Flora e Lucilla situata nella piazza comunale, all’interno della quale si trova l’opera d’arte la Lunetta di Donatello.
La famosa Lunetta di Donatello “La Lunetta“ (come familiarmente chiamata dai torritesi) si colloca indubbiamente fra le più importanti opere d’arte del nostro paese, sia per l’elevato valore artistico, sia per l’affezione e rispetto che quel sempre maggior numero di paesani ha per la storia e l’arte del nostro “Campanile”. Il suo vero nome è infatti Il Sangue Del Redentore. Il bassorilievo in marmo, attualmente collocato nella Chiesa delle SS. Flora e Lucilla, conosciuto come “la lunetta di Donatello”, ha avuto un iter storico poco noto. Non se ne conosce con sicurezza la collocazione originale e se l’autore è lo stesso Donatello o la sua Scuola. Nel timpano della porta dell’oratorio della Chiesa della “Madonna delle Nevi” è posta una copia dell’opera. In un manoscritto di un concittadino torritese, G.M. Guasparri, si legge:“…..Nel timpano della porta dell’oratorio – della Madonna delle nevi – si ha un’opera d’arte notevole, sebbene non catalogata, esprimente la Resurrezione. Il Redentore risorge in mezzo ad una gloria di angeli e di serafini. Altri due angeli in piedi, oranti, sono ai lati. In basso nel mezzo due mezze figure di un uomo e di una donna in atto di preghiera, che potrebbero essere i committenti della scultura….. (tale possibilità viene messa in risalto da P.Hennessy; infatti a detta del critico, che concorda con quanto sostenuto dal collega Carli, le due figure con le loro masse corporee sporgenti rispetto al piano del rilievo potrebbero raffigurare i donatori in preghiera oppure San Giovanni Evangelista a sinistra e la Vergine a destra) ….. Le vesti sono di foggia quattrocentesca, mentre la modellatura delle figure finissime, sembra più tardiva. Però, quest’opera – nella sua linea generale, per la maniera onde è condotta la modellatura e, più, per il sentimento che la informa- deve ragionevolmente attribuirsi ad un artista del XV secolo. Il bassorilievo, di forma semicircolare, doveva essere la parte superiore di un monumento funebre. Certamente la sua attuale ubicazione non è originale. …..”. Dal precedente passo si deduce che negli anni 20-40 del Novecento l’opera, che per altro era stata venduta nello stesso periodo dall’Amministrazione dell’Ospedale Maestri per sopperire alle ingenti spese incontrate per alcuni lavori di rinnovamento del plesso ospedaliero, non era
www.simonaskitchen.com
stata ben focalizzata e attribuita con certezza, anche se si intuivano già la possibile ubicazione e le finalità originarie.
Keith Christiansen ipotizza che il bassorilievo facesse parte in origine di un tabernacolo composito. Probabilmente Donatello avrebbe realizzato l’opera durante la sua permanenza a Siena. Egli ritiene, inoltre, che l’opera sia stata portata a Torrita in occasione di lavori di trasformazione effettuati nel Duomo di Siena nel XVII o nel XVIII secolo. E’ interessante la sua somiglianza con un bassorilievo in bronzo del Vecchietta (Castiglion d’Orcia 1410 – Siena 1480), “La Resurrezione”, attualmente presso “The Frick Collection di New York”. Ciò fa pensare che la fonte ispiratrice del Vecchietta possa essere stata la “lunetta” di Donatello. Il Christiansen non condivide la comune opinione, diffusa tra la critica, che vuole la collocazione cronologica dell’opera intorno al 1430. Egli propende, infatti, per la fine degli anni ’50 del XV secolo, quando Donatello avrebbe gettato a Siena il seme del suo stile, che divenne dominante negli ultimi quaranta anni del secolo. La prima menzione dell’opera risale all’Ottocento, quando si trovava sulla facciata della Madonna delle Nevi ed è plausibile che fosse stata collocata in quell’avamposto di provincia del contado senese a seguito delle modifiche del Duomo di Siena tra il ‘600 ed il ‘700.Il rilievo risente in maniera evidente della tecnica rivoluzionaria di Donatello. Si tratta di un connubio di vari studi sulla prospettiva teorizzati da Brunelleschi e le soluzioni pittoriche di Masaccio. Questa tecnica di lavorazione della lastra marmorea, che prende il nome di “stiacciato” si caratterizza per la realizzazione di un rilievo di natura quasi pittorica, tanto è minimo lo spessore dello sbalzo. E’ evidente il desiderio di trasferire nella pietra le peculiarità della pittura. Si ottengono effetti di allontanamento dei piani, moti e scorci di figure entro lo spazio dilatato, non solo con il diminuire delle dimensioni dei corpi, dai più vicini ai più lontani, ma modulando il rilievo dai primi agli ultimi piani, nei quali ultimi il rilievo è appena accennato.In maniera molto simile alla pittura, in questo genere di bassorilievo la raffigurazione si immerge in profondità e la modellazione sensibile e irregolare crea effetti di luce ed ombra.Sono appunto questi suggestivi giochi di luce ed ombra, che richiamano molto la pittura, e questo senso di profondità, che ci inducono a credere che la lunetta di Torrita sia quasi sicuramente uscita dalla Bottega di Donatello.Tra coloro i quali si sono interrogati su quelli che potrebbero essere i nessi tematici tra l’opera in questione ed altre realizzazioni frutto dell’attività di Donatello va menzionato il Middeldorf, per il quale le rappresentazioni del sangue del Redentore erano abbastanza diffuse in genere nell’Arte toscana dei primi decenni del XV° secolo. Egli accomuna la nostra lunetta ad un bellissimo bassorilievo in marmo presso il Palazzo Ducale di Mantova. Secondo la maggior parte dei critici il manufatto marmoreo viene datato intorno agli anni trenta del Quattrocento ed è ipoteticamente associato al “Tabernacolo del Sacramento in San Pietro” (1432-1433).Il Collareta in un opuscolo dal titolo “DONATELLO IN TOSCANA” del 1985, rimarca il più volte dibattuto rapporto tra la lunetta di Torrita ed il
www.simonaskitchen.com
tabernacolo romano e ripercorre la strada critica che vuole vedere nell’opera il risultato di un’esecuzione non molto alta stilisticamente nonostante si riscontri una genialità a livello concettuale. La maggior parte dei critici è, infatti, orientata a considerare il marmo un prodotto della bottega di Donatello, strettamente dipendente da un disegno del maestro, oppure un’opera eseguita dal maestro con la collaborazione della bottega.L’Avery (1991) distingue come parti riconducibili alla mano di Donatello le teste dei personaggi, tant’è che la composizione troverebbe significative conferme in alcuni disegni del maestro. Avery assegna le nuvole, che mancano dell’analoga finezza esecutiva rimarcabile nei volti, ad una mano di inferiore abilità.Pope-Hennessy è uno degli studiosi che più ha mostrato un certo scetticismo circa l’autografia del maestro ed ha puntato invece sul fatto che si possa trattare di una realizzazione della bottega, prodotta a partire da un modello di Donatello.Egli confuta le ipotesi di Bode, che, invece, aveva pubblicato un articolo sul rilievo nel 1925 e vedeva nel Sangue del Redentore un bassorilievo autografo.Analogie con la lunetta di Torrita sono rintracciabili in altre opere di Donatello. Ad esempio nell’Assunzione della Vergine collocata presso il monumento Brancacci a Napoli (1426-1428) e nell’opera intitolata l’Ascensione e consegna delle chiavi (c.1430).In entrambi i casi la figura del Cristo si erge sugli altri personaggi su una mandorla a forma di nimbo che risulta scorciata per la presenza del bordo superiore.Tornando all’ipotesi che accomuna la lunetta torritese con l’opera in San Pietro si può notare una discreta somiglianza tra gli angeli posti lateralmente sul rilievo di Torrita e gli angeli del Tabernacolo del Sacramento in Vaticano.Lo stesso Pope-Hennessy suggerisce che la lunetta in origine potesse far parte integrante del tabernacolo e in seguito, per cause a noi sconosciute, fosse stata rimossa. La collocazione precisa, a detta del critico, sembrerebbe essere stata nella parte superiore. Nel 1977 H.M. Caplow propone una lettura dell’opera singolare. Concorda con l’idea di Pope-Hennessy secondo la quale la lunetta potrebbe essere il pezzo mancante che avrebbe dovuto sormontare il tabernacolo di San Pietro, ma ha un’intuizione importante e non scevra da un’attenta riflessione. L’autore rileva che volute simili a quelle presenti nell’Annunciazione Cavalcanti in Santa Croce a Firenze, opera dello stesso dello stesso Donatello, avessero potuto arricchire il marmo. Esse sarebbero state posizionate sui lati, sporgenti dalla cornice. Caplow, inoltre, si interroga circa la conformazione della maggior parte dei tabernacoli eucaristici per il sacramento, contemporanei all’opera torritese e constata che, a differenza dei tabernacoli fiorentini per il sacramento che seguono lo schema del Tabernacolo di Desiderio da Settignano in San Lorenzo, dove è previsto il simbolo eucaristico di Gesù Bambino eretto su di un calice (vedi anche il tabernacolo attribuito a Ciuccio di Nuccio (?) nella Cattedrale di Cortona), la parte più alta del tabernacolo di Santa Maria in Trastevere a Roma -firmata OPUS MINIinclude un Cristo Risorto col sangue che viene raccolto in un calice. Questa scelta del Cristo Risorto, anziché quella del Gesù Bambino, non differirebbe molto dall’iconografia del nostro marmo.
www.simonaskitchen.com
E’ verosimile, quindi, che la lunetta torritese completasse proprio un tabernacolo eucaristico.In conclusione l’autore fa propria la teoria di P.Hennessy aggiungendo che il tabernacolo romano sarebbe stato disegnato da Donatello che si circondò di validi assistenti tra cui Michelozzo, al quale attribuisce l’esecuzione della maggior parte della Lamentazione di Londra, che ritiene fosse posta alla base del tabernacolo, mentre la lunetta di Torrita, scolpita da uno sconosciuto assistente, originariamente avrebbe sormontato il tabernacolo.Notizie sull’alienazione della lunettaDalla lettura delle edizioni dell’epoca di due giornali come La Nazione e il Popolo di Roma si ripercorrono molte tappe fondamentali della vicenda del furto del bassorilievo torritese.Dalle fonti d’archivio della soprintendenza risalenti al 1926 è palpabile quello che fu lo sconcerto ed il fervore dovuto ad un evento simile, visto che avvenne in un piccolo paese poco incline e mai esposto alle luci della ribalta.Prima di tutto l’oggetto in questione, poco e mal valutato dalla gente del luogo tranne che da alcuni appassionati d’arte quali G.M.Guasparri, era custodito all’interno dell’Ospedale Maestri di Torrita e fino al 1923 era murato sulla porta d’ingresso dell’Oratorio della Madonna delle Nevi.Dall’articolo de La Nazione del 12 febbraio del 1926 si evincono le dinamiche e i passaggi di proprietà del rilievo. L’Amministrazione Ospedaliera giustificò il trasferimento del manufatto dalla porta d’ingresso dell’oratorio all’Ospedale sostenendo la necessità di tutelarlo da eventuali furti al quale sarebbe stato esposto vista la sua ubicazione all’esterno.Il rilievo rimase custodito nelle stanze della Direzione dello Spedale “Maestri” vari mesi. L’intricata vicenda vide implicate alcune personalità del paese insieme ad un antiquario fiorentino.Non si conoscono bene le motivazioni che spinsero l’Arciprete don Giulio Savelli, vice presidente dell’Ospedale, a vendere illegalmente l’opera anche se il diretto interessato si giustificò dicendo che il ricavato sarebbe servito per alcuni urgenti lavori interni all’Ospedale.
Sembra che il mediatore della compravendita, tra il Savelli e l’antiquario fiorentino G.Vitali, fosse G. Guasparri.Un altro dato importante emergente dalla lettura dell’articolo è il fatto che la datazione del marmo fosse alquanto approssimativa e non ne fosse conosciuto l’artefice, nonostante l’antiquario avesse probabilmente intuito il reale valore dell’oggetto.Infatti, si legge: “…era stato remosso un bassorilievo dei primi del secolo XVI o della fine del secolo XV…”.I giornalisti dell’epoca raccolsero alcune indiscrezioni dalla popolazione del luogo da cui sembrava che l’Arciprete avesse intascato un’ingente somma di denaro.Dall’analisi dei documenti delle entrate e delle uscite dello Spedale Maestri non risultarono né registrazioni né ricevute di alcuna vendita pari ad un importo di 35.000 Lire, il che acuisce i dubbi circa la condotta del Vice-presidente Savelli.L’aggravante di tutta la vicenda è rappresentato dalla mancata consultazione e consenso, da parte dell’Amministrazione dello Spedale, all’Autorità tutoria e al Ministero della Pubblica Istruzione.Fulvio Corsini, titolare della cattedra di scultura presso l’Istituto di Belle Arti di Siena, fu implicato nel trafugamento e accusato di aver indicato
www.simonaskitchen.com
per primo all’antiquario Vitali il bassorilievo e di aver eseguito una copia in marmo di carrara (patinata e sbocconcellata) da sostituire all’originale.La prefettura di Siena aprì subito le indagini per ritrovare l’originale che, come sappiamo oggi, fu recuperato sul mercato antiquario e nel 1938 fu restituito per essere riposto presso lo Spedale Maestri.Premettendo che la cifra irrisoria di 35.000 Lire dell’epoca fosse sbagliata visto che il valore del marmo, come si riteneva, sarebbe ammontato a circa 100.000 Lire, è chiaro che il patrimonio dello Spedale non ci avrebbe di certo guadagnato. In cucina con Gioia con 'Sarde a Beccafico' Ingredienti 500 gr. di sarde 100 gr. di pangrattato 100 gr. di pinoli 100 gr. di uvetta foglie di alloro 1 arancia a fette succo di 1 arancia prezzemolo zucchero pepe sale olio evo Preparazione Pulite le sarde, squamatele e togliete le interiora e la testa, lasciate però la coda! Passatele sotto acqua corrente e asciugatele poi con carta assorbente. Apritele a libro con la pelle verso l’esterno. Adesso preparate il composto per il ripieno: in una padella antiaderente mettete un filo d’olio e il pangrattato, girate bene affinchè non si attacchi e fatelo dorare. Appena pronto mettetelo in una ciotola e aggiungete il prezzemolo tagliato sottile, l’uvetta e i pinoli passati appena sotto il coltello, sale e pepe. Girate e per ultimo aggiungete il succo di una arancia e un cucchiaio di zucchero. Se necessario aggiungete ancora un filo d’olio finchè il composto arrivi alla giusta consistenza.
www.simonaskitchen.com
Adesso disponete su ciascuna sarda un po’ di composto e arrotolate poi su sé stessa, cominciando dalla testa. Chiudete con uno stuzzichino e, quasi come se fosse uno spiedino, alternate il pesce una fettina di arancia e una foglia di alloro. Quando avrete finito, sistemate le sarde su di una pirofila con un fondo di filo d’olio, spolverate con un po’ di pangrattato (o il composto rimasto), un’altra spruzzata di arancia e mettete in forno a 180° per circe 20/25 minuti. Le sarde a beccafico sono uno dei piatti tipici della tradizione siciliana, buone e semplici da preparare! Inoltre le sarde fanno parte di quella categoria di pesce molto economico ecco perché un tempo erano legate alla cucina delle famiglie povere, soprattutto dei pescatori; oggi, però, questo pesce riesce ad affascinare e conquistare anche i palati più fini.
Il nome curioso di questa ricetta deriva da un uccellino, il beccafico appunto, che era ghiotto di fichi e che, d’estate facendone una grande abbuffata, diventava grassottello e saporito come appunto queste sarde!
www.simonaskitchen.com
L’Italia ha un patrimonio inestimabile di bellezze e gustosità da scoprire ed io con questa ricetta voglio farvi scoprire un pezzo di Sicilia che ha basato gran parte del suo sviluppo sulla pesca. La cittadina in cui vivo, Sant’ Agata di Militello (ME), con il suo porto e il meraviglioso mare, ci regala ogni giorni pesce fresco da cui tirar fuori piccole bontà che nascono spesso dai pescatori stessi, che con la loro esperienza e saggezza azzeccano sempre gli abbinamenti e i tipi di cottura migliori. Sant’ Agata di Militello è un comune di circe 13.000 abitanti proprio a metà strada tra Messina e Palermo in cui si coniuga bene mare e montagna. Infatti, grazie alla sua posizione geografica privilegiata sulla costa tirrenica, si trova di fronte alle “sette sorelle” cioè le stupende Isole Eolie. Allo stesso tempo, però, il comune fa parte del Parco dei Nebrodi immerso nel verde delle sue campagne circostanti, tra uliveti e agrumeti, che regalano escursioni indimenticabili nei tanti paesini tutti da scoprire. La storia di questa cittadina è legata al borgo Sant’Agata, il nucleo originario, un borgo di pescatori che secondo la legenda erano originari di Catania e che durante una tempesta vennero sbattuti su queste spiagge salvandosi. Questi pescatori fecero erigere una piccola cappella in onore di Sant’Agata in segno di ringraziamento. La cittadina nasce, dunque, attorno alla “Torre della Marina” (risalente al XIII sec.), una piccola torre di avvistamento contro le incursioni di pirati. Fu don Vincenzo Gallego, barone di Militello, nobile di origini aragonese che, ottenuta la “licentia fabricandi”,fece edificare in torno alla Torre un palazzo, il Castello Gallego che oggi è simbolo cittadino. Successivamente figlio Luigi, ottenuta la “licentia populandi” favorì intorno all’edificio l’insediamento di circa 80 famiglie. L’ultimo erede dei Gallego dovette vendere per debiti il feudo, con il castello, al principi Lanza di Trabia. Il castello fu ultimato con
www.simonaskitchen.com
l’aggiunta della cappella nel XVIII secolo. Esso è stato restaurato e riconsegnato alla cittadina nel dicembre 2008 e adesso è aperto ai visitatori. Nel 2007 Sant’Agata ha festeggiato i 150 anni di autonomia e offre numerose bellezze architettoniche e artistiche, nonché gastronomiche…. e vale proprio la pena venire a visitarla! Piccola curiosità: Sant’ Agata di Militello è il luogo di nascita dello scrittore Vincenzo Consolo, autore, tra l’altro, del libro “Il sorriso dell’ignoto marinaio” che parla proprio di Sant’Agata e del suo castello!
SonoioSandra' con 'Gnocchetti di farina bianca con porcini e lupini' Volognano .......
tramonto sulle colline di Volognano
La frazione di Volognano è posta sulla cresta di una delle ultime colline che dal Poggio di Firenze degradano sull’Arno, quasi di fronte alla confluenza della Sieve nel comune di Rignano sull'Arno. L’agglomerato è addossato alla chiesa di San Michele ed ai resti del castello da tempo trasformato in villa. Secondo il Lami la località avrebbe avuto origine da uno stanziamento della famiglia Volumnia. Più probabile ci sembra però l’ipotesi del Pieri che il toponimo sia un derivato dal personale latino Volumnius. Resti di una costruzione del periodo romano repubblicano sono stati rilevati a podere Bertinga, sulla pendice ovest del castello: si tratta delle fondamenta di un muro – dello spessore di 60 cm – in opus coementicium, affiorate durante i lavori agricoli, mentre sulla superficie del terreno furono rilevati detriti di laterizio e di ceramiche del periodo classico, pezzi di anfore e colaticci di piombo.
www.simonaskitchen.com
IL CASTELLO
www.simonaskitchen.com
Nelle carte d’archivio la località è ricordata per la prima volta nel 1214 in documenti riguardanti la chiesa di San Michele a Volognano, mentre il castello lo troviamo nominato in una carta del monastero di Vallombrosa del 1220 ed in un atto del 1299 stipulato in castro de Volognano. Durante le lotte tra Guelfi e Ghibellini, essendo i Da Quona da Volognano coinvolti nell’incendio doloso del centro di Firenze, il governo guelfo fece occupare e disfare il castello di Volognano, incamerandone i beni, all’anno 1304. Venne smantellata la struttura difensiva ed il castello in parte, probabilmente quella appartenuta ai sostenitori di parte ghibellina, allienato. E’ stato a lungo la residenza della famiglia da Quona, signori del castello omonimo sopra a Remole, dopo la distruzione dello stesso da parte dei fiorentini (1143). Stabiliti a Volognano ne adottano il nome per distinguersi da altri rami della famiglia.
www.simonaskitchen.com
La villa-fattoria Nel secolo XV il castello è posseduto in parte dai Da Volognano (che adottano il nome Del Rosso Da Volognano) e per il resto dai Martellini della Cerva. I contrasti fra le due famiglie sono forti e i Del Rosso continuano ad affermare anche più tardi i loro diritti sulla chiesa di San Michele della quale mantengono il patronato. I Martellini della Cerva diventano poi proprietari di tutto il castello, che poi passa alla famiglia Anforti. Secondo il Carocci il passaggio avviene attraverso una vendita ma è possibile che sia avvenuto per vie ereditarie attraverso il matrimonio (1788) di Teresa Arnaldi (morta nel 1793), figlia di Giuseppe Arnaldi e di Gostanza Verginia Martellini (ultima discendente della sua famiglia), con Luigi di Francesco Anforti (1764-1806). Dagli Anforti il castello passa ai Della Ripa e poi in eredità alla famiglia D’Ancona.
la chiesa di San Michele a Volognano Priorato della famiglia Zanchini ( o Da Quona Da Volognano)e nel ‘400 e ‘500 della famiglia del Vacchia come risulta dalle visite pastorali del ‘400 e ‘500 (AA.VV.- Fonti e documenti per la storia del territorio, Firenze, 1986). La chiesa ha origini antiche , probabilmente nel XI secolo. Alcuni ricordi del XII secolo nell’archivio dell’abbazia di Vallombrosa parlano di San Michele a Volognano. Il Repetti ricorda alcune pergamene del maggio 1139, giugno 1142 e luglio 1148 nonché un documento rogato il 17 luglio 1214 dove si parla di beni spettanti a questa chiesa parrocchiale. La storia della chiesa e strettamente intrecciata alle vicende del castello omonimo come si può vedere dalla lapide documentaria che si trova sotto al pulpito e nella quale viene ricordata la sentenza dei Capitani di Parte del 10 dicembre 1670 con la quale si conferma il patronato della chiesa a Odoardo di Alamanno Zanchini e si vieta a Cosimo di Esaù Martellini di dipingere o apporre le proprie arme nella facciata dietro l’altare maggiore. All’interno si trova una panca seicentesca con lo stemma e il nome dei Martellini. La presenza più cospicua di stemmi e ricordi riguarda un’altra famiglia: i Della Vacchia o Del Vacchia, le cui armi sono presenti in un portale, sul pulpito e addiritura nella tela con la Madonna col Bambino di Lorenzo di Bicci . Nel ‘600 i Della Vacchia avevano nella chiesa di San Michele una cappella, la Cappella del Rosario, come si può vedere dal legato di 20 scudi lasciati per testamento da Giuseppe di Zanobi Della Vacchia nel 1695. All’interno sono conservate:
www.simonaskitchen.com
Una pala d’altare "Madonna con Bambino e santi Pietro, Paolo, Apollonia, Michele e il committente" di Mariotto Albertinelli (firmata e datata alla destra della scalino "MARIOTTI FLORENTINI OPUS 1514"). Secondo Ludovico Borgo in "Mariotto Albertinelli", Garland Publ.Inc.,N.Y.,1976 documenti dell'archivio parrocchiale indicano come committente della tavola ZENOBI DEL VACCHIA. Mariotto Albertinelli Madonna con Bambino e santi Paolo e Michele (a sinistra rispettivamente con la spada e con la tromba), Apollonia, Pietro (a destra con le tenaglie e le chiavi), ed infine con il committente. Pala d'altare (1514) Una Madonna col Bambino, olio su tela attribuito a Lorenzo di Bicci databile nel periodo 13851390 circa. L’opera formava la parte centrale di un trittico . Alla fine del ‘400 venne restaurata e rimodernata: con l’aggiunta di parti lignee dipinte con due angeli reggicorona la tavola diventa rettangolare. La modifica è probabilmente databile al 1485 durante il priorato della famiglia Della Vacchia come risulta dallo stemma presente nell’iscrizione ai piedi della Madonna "AVE MARIA PLENA DOMINUS TECUM AN.D. MCCCCLXXXV " E’ da ritenere che la tavola fu destinata fin dall’inizio alla chiesa di San Michele dove si trovava di già durante la visita pastorale del 1447. E’ stata esposta alla mostra "Firenze restaura" . La Madonna della Cintola, attribuita a Domenico di Bartolomeo Ubaldini detto Puligo, era già stata attribuita al Rosso Fiorentino da Luciano Berti in "Per gli inizi del Rosso Fiorentino", in Bollettino d’Arte, 1983, pp.45-60 e da Caterina Caneva in "Immagini del Valdarno fiorentino", Alinari 1991. Nella scheda dell’Ufficio Catalogo del 1966 Marco Chiarini la avvicina al Puligo e dà come probabile committente il canonico del Vacchia. Sicuramente la tavola si trovava sul posto al tempo della visita pastorale del 1539, una data molto vicina all’esecuzione che dovrebbe essere di poco antecedente al 1520. Le figure in primo piano potrebbero essere S. Paolo, S. Tommaso (a sinistra, rispettivamente in piedi e in ginocchio), S. Domenico e S. Giacomo (a destra). Dietro all’altare maggiore si trova una lunetta lignea ottocentesca, dono della famiglia D’Ancona, che rappresenta San Michele Arcangelo entro una cornice di fiori e frutta. La lunetta riproduce un modello tardo quattrocentesco, più precisamente la terracotta invetriata policroma del solito soggetto di mano di Andrea della Robbia ora custodita al Metropolitan Museum di New York.
www.simonaskitchen.com
Rignano sull'Arno Tornando da lavorare passo davanti a questo castello tutti i giorni perchÊ io abito sul versante sinistro della collina scendendo verso "l'Arno d'argento": sono fortunata, lo so.... la bellezza delle colline toscane sempre sotto gli occhi, mi basta affacciarmi alla finestra e goderne. E vi assicuro, è bello in qualsiasi momento del giorno e della notte. VenerdÏ sera, dopo essere passata davanti a Volognano, sono andata a fare la spesa, come quasi tutti i venerdÏ del resto....
www.simonaskitchen.com
In offerta nel banco del pesce c'erano i lupini di mare. Sapete cosa sono i lupini di mare? Sono delle vongole piÚ piccole delle veraci ma assai piÚ saporite. Logicamente non sempre si trovano perchÊ costano anche un po' di meno delle vongole veraci.. Io sono golosa e non resisto alle tentazioni e ne ho messo un pacchetto da 1 kg nel carrello!!!! L'unico inconveniente dei lupini è che conservano molto bene la sabbia che rimane all'interno. Ma non ci scoraggiamo certo per un po' di sabbia: per risolvere il problema bisogna solo tenerli in bagno in acqua fredda per qualche ora lasciandola un po' scorrere ogni tanto. E intanto pensavo, pensavo, pensavo .... e ho avuto il lampo di genio: ci metto insieme i miei porcini, quelli che ho trovato nel bosco vicino a casa...... Amici a cena sabato sera, i soliti amici di sempre, quelli che conosci da una vita e basta che ti guardi e ti capisci. Ottime forchette e ottimi cuochi anche! Serata conviviale tranquilla visto che tutti gli adolescenti, sia i nostri che i loro, avevano "impegni mondani" fuori. C'era solo da fare il "taxista" a una certa ora per riprenderli ... ma abbiamo avuto modo di gustare tutto con calma, compreso 2 dolci e un'ottima bottiglia di vino dolce siciliano. Ci siamo sforzati molto, capirete, d'altra parte ogni tanto bisogna sacrificarsi........ Nel pomeriggio avevamo fatto (io e la meravigliosa MIA adolescente) gli gnocchetti di farina bianca. L'elenco degli ingredienti. per la pasta: c.ca 700 gr. di farina tipo OO acqua tiepida q.b. olio extra vergine d'oliva
www.simonaskitchen.com
Impastate la farina con l'acqua e un ricciolino d'olio evo, la pasta deve rimanere elastica. Lasciatela riposare e poi formate dei rotolini larghi un dito da cui taglierete gli gnocchetti della misura che preferite. Con le dita premete e girate su ogni gnocchetto per dargli la forma, se non è troppo faticoso, altrimenti fateli un po' piÚ piccolini e lasciateli senza forma.
A questo punto disponeteli su una spianatoia infarinata e lasciateli perdere. per il sugo: 1 kg. di lupini di mare 4 funghi porcini surgelati 12 code di gambero aglio olio extra vergine di oliva pepe e sale brandy prezzemolo Affettate uno spicchio di aglio e mettetelo a soffriggere in abbondante olio extra vergine di oliva in un padellone grande. Aggiungete i lupini di mare, un po' di sale e pepe e chiudete tutto con un coperchio. Scuotete un po' la pentola in modo che il tutto si insaporisca bene. Quando i lupini si sono aperti aggiungete un goccio di brandy e fate sfumare. Togliete metĂ degli animali dalle valve e tenetevi l'altra metĂ con il guscio. Nella stessa padella, ma vuota, spolverate un pochino di prezzemolo e una fettina di aglio nell'olio e buttate i funghi porcini tagliati a cubetti abbastanza grossi. Aggiustare di sale e pepe e a cottura ultimata buttate dentro le code di gamberi facendo finire di cuocere insieme anche ai lupini. Ricordatevi di mettere un filo di olio nella pentola della pasta in modo che i nostri gnocchetti non si attacchino fra di se. Appena cotti - ci vorranno 7 o 8 minuti circa - saltateli nel sugo e spolverate con un trito di prezzemolo fresco. Il tipo di pasta piuttosto consistente si sposa molto bene con il sugo dei lupini profumati ai porcini.... vi lascio immaginare.....
www.simonaskitchen.com
www.simonaskitchen.com
Mirty (una barboncina in cucina) con 'Flan di porri e castello del roccolo' Mami e papi sono in vena di flan: dopo quelli alla barbabietola e gorgonzola dell'altro giorno, mami oggi ha fatto un altro esperimento: il flan di porri. Qui in Piemonte c'è un posto che si chiama Cervere che, dicono, è il posto con i porri più buoni del mondo. A me non è che piaccia tanto, il porro, ma ai miei padroncini piace un sacco e infatti non hanno avanzato nulla per la cena! Ora vi spiego come si fa: eh sì, anche se non mi importava nulla di raccattare pezzetti di porro che cadevano a terra, sono rimasta tutto il tempo in osservazione e l'ho fatto per voi, cari umani che leggete il mio blog: dovreste spedirmi per posta un biscottino ciascuno! Flan di porri
INGREDIENTI per sei flan: 450 gr di porri 2 uova 40 gr di pangrattato 80 gr di burro (+ quello per le formine) 4 cucchiai di panna da cucina farina per le formine Lavare i porri e pulirli, eliminando la radice e la pelle spessa e dura. Metterli in una pentola piena di acqua salata bollente per una ventina di minuti. Mentre i porri cuociono, separare i tuorli dagli albumi e montare questi ultimi a neve. Conservarli in frigo per aiutarli a rimanere belli corposi. Scolare i porri e metterli nel mixer insieme a tuorli, pangrattato, burro ammorbidito e panna. Una volta ottenuto un composto omogeneo, incorporare l'albume stando attenti a non smontarlo (bisogna mescolare in senso verticale, dall'alto in basso!). Distribuire l'impasto nelle formine da muffin imburrate e infarinate e infornare a 160° per 25 minuti. il mio papino è di Busca, in provincia di Cuneo, e lì hanno un castello bellissimo che si chiama Castello del Roccolo e che ha un parco ancora più bello (peccato che rischia di chiudere perché non ci sono più i soldi per tenerlo aperto...).
www.simonaskitchen.com
Nel parco c'è anche una cappella.
Papi dice che i porri di Cervere sono talmente buoni che se li mangiavano giĂ anche i Tapparelli D'Azeglio (sĂŹ, i parenti di Massimo: sono loro che hanno fatto costruire il Roccolo!).
www.simonaskitchen.com
Pensate che al Roccolo hanno dormito personaggi importantissimi come Umberto I, la regina Margherita e Silvio Pellico.
Se passate dalle parti di Cuneo fate un salto, ne vale la pena! Io vi ho messo qualche fotina, ma visto dal vivo è tutta un'altra cosa! Bau bau!
Stefania bigshade con 'Raviole di marroni'
Oggi vi posto un dolcetto autunnale tipico dell'appennino romagnolo, frutto di un riuscitissimo incontro tra il cacao e i marroni di Castel del Rio. Questo luogo, che si trova a pochi km da Bologna, è la patria di questo meraviglioso frutto della terra, il marrone, che ha ottenuto il marchio igp per le sue speciali caratteristiche organolettiche.
www.simonaskitchen.com
Prima di postare la ricetta, vorrei accennarvi qualcosa su questo paese di 1300 abitanti del quale mi sono innamorata; esso si trova nella rigogliosa valle del Santerno e lungo il corso dell'omonimo fiume si possono fare dei bei picnic e, stagione permettendo, anche una bella nuotata. Questo è un paese dalle remote origini (i primi insediamenti celtici risalgono al 5° e 6° secolo ante la nostra era) intriso di storia: gli alidosiani, gli abitanti di Castel del Rio, persone ospitali e generose, devono il loro nome agli Alidosi, un'antica famiglia che nel 13° secolo ne ottenne il feudo.
La famiglia Alidosi non viene certo ricordata per magnanimità o umanità nei confronti del popolo, ma ebbe il merito di lasciare diverse costruzioni che divennero presto motivo di orgoglio nonché simbolo di una forte identità culturale: tra essi il Ponte Alidosi, imponente capolavoro architettonico costruito all'inizio del 1500 e recentemente ristrutturato. Il ponte, che maestoso si erge sul letto del fiume, presenta una struttura a schiena d'asino con un'unica arcata di 42 metri. Per le sue caratteristiche peculiari, fu proclamato monumento nazionale.
www.simonaskitchen.com
Ed ecco la ricetta: per il ripieno: 700 g dimarroni 100 g dizucchero 200 g dicacao 200- 250 ml di latte per la frolla: 500 gr difarina 250 grburro 200 gr zucchero 3 uova intere estratto di vaniglia mezza bustina di lievito latte q.b. per la copertura: 200 gr zucchero 200 ml alchermes Preparate la frolla impastando la farina con il burro e lo zucchero. Aggiungete le uova, l'essenza di vaniglia e il lievito sciolto in poco latte. Avvolgete nella pellicola e lasciate riposare in frigo. Cuocete i marroni nell'acqua per mezz'ora, scolate, pelate e passateli; aggiungete lo zucchero, il cacao e il latte quanto basta. Dovete ottenere un composto non troppo morbido. Stendete la pasta frolla e con un coppapasta fate dei dischi in cui disporrete un cucchiaino colmo del composto, chiudete a mezzaluna e sigillate i bordi con i rebbi della forchetta. Cuoceteli in forno a 180째. Una volta freddi, bagnate le raviole con l'alchermes e passateli nello zucchero semolato.
www.simonaskitchen.com
Giorgia con 'Baci di Giulietta' Da buona veronese, orgogliosa della mia splendida città, non posso non parlare della più bella e romantica storia d'Amore, di cui proprio Verona è stata ambientazione: Romeo e Giulietta. Resa famosa da William Shakespeare, la storia è tuttavia basata su documenti e cronaca veronesi, fonte di ispirazione per lo scrittore inglese. Quanto di vero e quanto di invenzione ci sia nella versione della storia che tutti conosciamo lo lascio stabilire ai filologi e quale corrispondenza ci sia realmente tra i luoghi che tradizionalmente vengono indicati come teatro della vicenda lo lascio agli esperti. A noi romantiche ragazze veronesi, piace sognare così, passeggiando per le vie di Verona, che anche Giulietta un tempo sia passata di lì. La leggenda di Giulietta è talmente amata, che a Verona è stato costituito anche un'associazione, il "Club di Giulietta", che raccoglie le lettere d'amore lasciate presso la sua casa e rispondere alle giovani innamorate. Di questo "Club di Giulietta" si parla proprio nel film"Letters to Juliet" che per buona parte è stato girato a Verona.
www.simonaskitchen.com
Per le inguaribili romantiche che vogliono visitare Verona e i luoghi di Romeo e Giulietta, ho preparato un piccolo percorso, da fare mano nella mano con il vostro amore, magari a San Valentino. Partendo dai Portoni della Bra possiamo trovare all'interno delle mura, sul lato destro, vicino al Museo Lapidario Maffeiano, troviamo una targa recante le parole di Romeo bandito da Verona "There is no world without Verona walls": immaginiamo che proprio in quel punto Romeo, fuggendo verso Mantova dopo aver ucciso Tebaldo, si volti indietro col volto in lacrime, consapevole che non avrebbe più rivisto la sua amata. proseguiamo attraversando tutta piazza Bra, dove possiamo vedere la famosa Arena (sede di importanti concerti e opere liriche nel periodo estivo) e percorriamo anche tutta via Mazzini. Arriviamo così in piazza Erbe e girando a destra in fondo a via Mazzini ci troviamo in via Cappello. Circa a metà della via si trova la Casa di Giulietta, con il celebre balcone da cui Romeo e Giulietta si scambiarono promesse d'amore. È possibile entrare e visitare la Casa di Giulietta ed affacciarsi al balcone. Gli innamorati spesso lasciano messaggi sul muro d'ingresso: una volta venivano scritti direttamente sulla pietra, rovinando il palazzo, da qualche anno il muro è stato ripulito e si è introdotta l'usanza di lasciare dei biglietti che, appunto, vengono conservati dal "Club di Giulietta". Usciti dalla Casa di Giulietta torniamo in Piazza Erbe, antico foro romano, e passando sotto la Costa di Balena arriviamo a Piazza dei Signori o Piazza Dante(dal monumento al centro). Attraversata la piazza, troviamo sulla destra le Arche Scaligere e proseguendo un po' giriamo a destra in via delle Arche, dove si trova laCasa di Romeo. La Casa di Romeo non è visitabile, perchè si tratta ancora oggi di una residenza privata. Dalla stessa strada torniamo in Piazza Erbe e da qui prendiamo Corso Portoni Borsari. Pare che il duello tra Tebaldo e Romeo sia avvenuto proprio sottoPortoni Borsari. Se da qui vogliamo recarci anche alla Tomba di Giulietta possiamo scegliere due vie: la più breve è prendere subito a sinistra via Oberdan e da qui attraversare di nuovo piazza Bra. Diversamente possiamo proseguire diritti su Corso Castelvecchio e visitare prima la preziosa Chiesa di San Lorenzo e poiCastelvecchio. Di fronte a Castelvecchio imbocchiamo via Roma e torniamo in Piazza Bra. Ci lasciamo l'Arena alla nostra sinistra e fiancheggiamo le antiche mura di Verona fino a girare in via del Pontiere. Lì, circa a metà, al numero 35, troviamo la Tomba di Giulietta, nell'ex convento di San Francesco del Corso, oggi adibito a museo. Pare che sempre in questo convento fra Lorenzo abbia celebrato le nozze dei due giovani e che qui abbiano trovato la morte per essere uniti per sempre. A questo punto, la ricetta che voglio proporvi è ovviamente quella dei famosi pasticcini veronesi chiamati BACI DI GIULIETTA
www.simonaskitchen.com
La ricetta originale è super segreta, quindi questo è un po' un mio adattamento, dopo vari esperimenti... Qualcuno ritiene che i baci di Giulietta siano come i baci di dama, ma in realtà ci sono alcune differenze nell'impasto. Io ho usato: 3 albumi di uova 150 gr di nocciole sbucciate (le nocciole le aveva raccolte mio marito e sbucciarle è stato lunghissimo!) 300 gr di zucchero 3 cucchiai di miele 30 gr di cacao amaro 100 gr di cioccolente fondente fuso Dopo aver montato gli albumi a neve e zucchero, incorporare anche il cacao e distribuire delle piccole cucchiaiate sulla minuti a 220°, spegnere il forno e lasciar ripieno di cioccolato fondente.
tritato il più finemente possibile le nocciole con lo il miele. Una volta che il composto è omogeneo, placca del forno ricoperta di carta forno. Dopo 10 raffreddare. Poi si possono unire due biscotti con un
www.simonaskitchen.com
www.simonaskitchen.com
Tiziana con 'La ricetta degli struffoli originale'
E’ chiaramente quella della propria famiglia, così come la ricetta del ragù o quella della parmigiana di melanzane... quella di nonna, o di mamma o di zia è la migliore, la vera, l'originale...credo che sia così un po' con tutte le ricette tradizionali. Si ma che fare se la mamma non la ricorda perchè faceva "ad occhio" e perchè sono anni che non li fa perchè li porta la zia? Chiamiamo la zia... ad occhio anche lei. Proviamo con la suocera che è brava in cucina (non mi piace chiamarla suocera...) troppi ingredienti, non ne ricordavo così tanti...allora provo con internet, lasciamo stare... alla fine, taglia, copia, cuci incolla... ECCO LA MIA... per essere la prima volta niente male direi! Gli struffoli hanno una storia...hanno addirittura un sito internet, e da qui ve la riassumo: Pare che nel Golfo di Napoli ce li abbiano portati i Greci, al tempo di Partenope. E dal greco deriverebbe il nome “struffolo”: precisamente dalla parola “strongoulos”, arrotondato. Sempre in greco, la parola “pristòs” significa tagliato. Per assonanza, uno “strongoulos pristòs”, cioè una pallina rotonda tagliata: vale a dire lo struffolo, nella Magna Grecia è diventata “strangolapre(ve)te”: il nome che si dà a degli gnocchetti supercompatti, in grado di “strozzare” gli avidi membri del clero. Ingredienti: 300 g di farina (io il molino chiavazza) 3 uova 2 cucchiai di zucchero la buccia grattugiata di 1 limone non trattato 1 pizzico di sale 1 bicchierino di limoncello (o strega, o anche anice ma a me non piace) miele e confettini per guarnire (anche canditi a chi piacciono) olio per friggere Disponete a fontana la farina, mettete al centro tutti gli ingredienti e mescolate avendo cura di non farli fuoriuscire dal centro (foto 1), impastate bene, formate un panetto e fatelo riposare circa 15 minuti (foto 2). Prendete dei piccoli pezzi di impasto, fotmate delle strisce sottili e tagliate tanti piccoli pezzettini (molto piccoli perchè si gonfieranno), aiutatevi con la farina per non farli attaccare (foto 3). Friggete in abbondante olio, potrebbe fuoriuscirne un pò ...ma tanto dovete pulire no? (foto 4) Basta molto poco, devono solo imbiondire, poi scolateli e metteteli su carta assorbente.
www.simonaskitchen.com
In una pentola fate scaldare il miele con un po' di zucchero per farlo caramellare (foto 5) tuffate dentro gli struffoli e mescolate bene (foto 6). Disponete su di un piatto da portata, io li ho disposti a ciambella aiutandomi con un bicchiere (foto 7) sono sempre alle prime armi!!!!
Aggiungete Questi sono
i confettini insieme al pandoro
e gli
i unici
canditi dolci natalizi
e.....TANTI AUGURI! che mi piacciono ^_^!
Napoli è piena di opere d'arte, ed è stato difficilissimo sceglierne una sola.. alla fine ho scelto il CASTEL DELL'OVO... al momento l'unica foto che ho sul pc è questa. Queste invece sono due foto prese da internet... per trovare le mie dovrei collegare l'hard disk esterno... appena riesco le sostituisco, nel frattempo volevo mostrare a chi non lo conoscesse la bellezza di questo castello da vicino:
e col suo bellissimo sfondo col Vesuvio!
www.simonaskitchen.com
Il Castel dell'Ovo sorge sull'isolotto roccioso di Megaride, formato da due faraglioni uniti tra loro da un arco naturale; un piccolo ponte congiunge l'isolotto a via Partenope, che porta il nome della leggendaria Sirena. Il nome del catello è legato ad una leggenda: Virgilio, il poeta latino che nel medioevo era considerato anche un mago, nascose nelle segrete dell'edificio un uovo che mantenesse in piedi l'intera fortezza. La sua rottura avrebbe provocato non solo il crollo del castello, ma anche una serie di rovinose catastrofi alla città di Napoli.
www.simonaskitchen.com
Pasticciona con 'Turdilli o Turdiddri'
I Turdilli sono dei buonissimi dolcetti che si preparano in occasione delle festività natalizie nell’intera provincia cosentina ed in particolar modo a Cosenza , città tra le più antiche della Calabria , le cui origini risalgono al IV secolo a.C. Città sospesa fra slancio verso la modernità e richiamo al passato , Cosenza ospita una miriade di biblioteche , musei , monumenti e beni artistici di indiscusso valore , tra i quali primeggiano , indubbiamente , il Castello Normanno-Svevo e il Teatro Rendano , testimoni , sia pure in epoche diverse , del ruolo d’eccezione e d’eccellenza rivestito dal capoluogo cosentino .
Veduta del Castello Normanno-Svevo
www.simonaskitchen.com
Particolare del Castello Normanno-Svevo Il Castello Normanno-Svevo si erge su uno dei sette colli del capoluogo bruzio , il colle Pancrazio , dal quale è possibile una veduta panoramica della valle del Crati e della Sila . Probabilmente eretto dai saraceni e ripreso più volte nel corso del tempo , fu rafforzato dai Normanni nel XII secolo , per poi passare , nel XIII secolo , sotto il controllo degli Svevi , che ne curarono la ricostruzione , a seguito di un terremoto che ne distrusse la struttura . Per quanto , nel corso dei secoli , fu variamente adattato a residenza principesca , il Castello conservò sempre la sua natura di fortezza militare ed è oggi sottoposto a vari restauri , purtroppo parziali ed incompleti .
www.simonaskitchen.com
Il Castello Normanno-Svevo visto di notte Il Teatro Rendano , dedicato all’omonimo pianista Alfonso Rendano , fu costruito nel 1887 e completato successivamente , nel 1909 . Di stile neoclassico , vantava decorazioni pittoriche di grande pregio e stile . Nel corso della seconda guerra mondiale , il teatro fu gravemente danneggiato da una bomba , sganciata sulla città di Cosenza ; successivamente fu ricostruito e nuovamente inaugurato e ad oggi ospita numerose rappresentazioni artistiche , concerti ed opere liriche .
www.simonaskitchen.com
Il Teatro Rendano visto da Piazza XV Marzo
Il Teatro Rendano visto dall’ interno Le immagini del Castello Normanno-Svevo e del Teatro Rendano sono prese dal web . Il termine Turdillo deriva molto probabilmente dall’aggettivo greco τυτθòς – òν , che significa piccolo , piccino , ad indicare le dimensioni di questo dolcetto tradizionale . La ricetta tradizionale dei Turdilli , ormai da tutti abbandonata in luogo di una più semplice versione con le uova e con il lievito per dolci ( che a me non piace e che nulla ha a che vedere con la vera ricetta dei turdilli ) , prevede il solo impiego di vino rosso ( che nelle recenti
www.simonaskitchen.com
rivisitazioni viene sostituito con del vino bianco o dell’altro liquore ) , olio d’oliva , un po’ d’ acqua , farina , del sale e un po’ di cannella . Non meno importante è il miele di fichi : con questo termine s’indica una sorta di composto denso , che nulla a che fare con il miele , preparato facendo bollire i fichi per molto tempo . I Turdilli vanno messi all’interno di un pentolino contenente il miele di fichi , in modo da condire i dolcetti . I veri Turdilli , secondo sempre la ricetta tradizionale , devono essere mielati con il miele di fichi ; purtroppo oggi questo meraviglioso e dolcissimo miele di fichi è molto difficile da reperire : infatti lo si può trovare , ma è davvero raro al giorno d’oggi ( visti i lunghi tempi di preparazione richiesti per il miele di fichi , viene prodotto solo da pochi contadini ) , presso qualche mercatino rionale o piccola fiera , prodotto artigianalmente da alcuni contadini , come già detto . Ecco il miele di fichi che sono riuscita ad acquistare in un mercatino :
A causa della difficile reperibilità del miele di fichi , quest’ultimo è sempre più spesso sostituito da altri tipi di miele che si trovano in commercio . Io per fortuna , avendo il miele di fichi , ho preparato la versione tradizionale dei Turdilli ( che preferisco alla più recente versione ) ; ho preparato anche una seconda versione con il miele di fiori , per chi non riuscisse a reperire quello di fichi . Ingredienti per circa 40 Turdilli : 300-320 g di farina di grano tenero 100 ml di vino rosso 100 ml di olio d’oliva 50 ml d’acqua 1 cucchiaino di cannella in polvere mezzo cucchiaino di sale q.b. di confettini colorati ( come codette o diavolina )
www.simonaskitchen.com
q.b. di miele di fichi q.b. di miele di fiori LUNA DI MIELE q.b. di olio di semi di arachide In un pentolino fate bollire il vino , l’olio , l’acqua ed il sale., Togliete dal fuoco e lasciate intiepidire per circa 5 minuti . Versate a pioggia la farina e la cannella, mescolando bene , finchè non otterrete un impasto compatto ma morbido al tatto .
Lasciate riposare per 30 minuti , dopodichè lavorate l’impasto , prendetene una parte , allungatela con le mani
e dividetela in piccoli pezzi .
www.simonaskitchen.com
Passate ogni pezzo su di un rigagnocchi
ed adagiatelo su di una teglia infarinata . Continuate cosÏ fino alla fine dell’impasto ;
www.simonaskitchen.com
friggete i turdilli nell’olio bollente , finchè non saranno dorati . Metteteli in una ciotola .
Nel frattempo , scaldate il miele in un pentolino , quindi , aggiungetevi pochi turdilli per volta e mescolate con un mestolo , in modo da condire bene i turdilli con il miele . Ripetete l’operazione con i turdilli rimanenti , aggiungendo , quando finisce , dell’altro miele nel pentolino .
www.simonaskitchen.com
Cospargete dei confettini colorati sui turdilli prima di servire . Questi sono i Turdilli con il miele di fiori , per chi non riuscisse a trovare il miele di fichi .
www.simonaskitchen.com
Tiziana ed Alessia con 'Gubanette cividalesi rivisitate'
Il post odierno nasce per sbaglio! In realtà , inizialmente erano due post differenti, che per incidenti di percorso si sono fusi. Noi viviamo a Cividale del Friuli, centro di 11 mila anime situato al confine con la Slovenia. Nonostante le sue ridotte dimensioni, Cividale ha una grande storia alle spalle. Fondata da Giulio Cesare, ha raggiunto il culmine della propria importanza durante il dominio longobardo, divenendo la prima capitale del loro ducato in Italia. Proprio grazie alle innumerevoli e importanti testimonianze artistiche, nel giugno di quest’anno Cividale del
www.simonaskitchen.com
Friuli, insieme ad altre 6 località italiane, è entrata nella lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO.
www.simonaskitchen.com
Il monumento simbolo della città è il tempietto longobardo, la più importante e meglio conservata testimonianza architettonica dell’epoca longobarda. Forse alcuni di voi hanno avuto l’occasione di vederlo sui libri di storia dell’arte!
www.simonaskitchen.com
Dal punto di vista enogastronomico, i dolci tipici cividalesi sono 2: lagubana e gli strucchi. Dato che il contest di Simona prevedeva l’abbinamento di un monumento/opera d’arte con un piatto tipico del territorio, ci piaceva l’idea di cimentarci con uno di questi dolci. Avevamo poco tempo a disposizione, perciò da subito abbiamo escluso la gubana, la cui ricetta tradizionale prevede diverse lievitazioni. D’altra parte, non avendo nessuna ricetta degli strucchi, ci siamo affidate ad una ricetta trovata su internet, di una nota pasticceria locale. Il ripieno era buono, ma la pasta non è stata affatto di nostro gradimento! Così abbiamo scelto di riproporre quella di un lievitato dolce ottimo per la preparazione di brioche. Perché non provare quell’impasto con il ripieno avanzato? Allora ci siamo messe subito all’opera e al posto dei croissant, alla pasta abbiamo dato la forma della classica gubana: così sono nate le nostre gubanette rivisitate! Tempo di preparazione: 2 ore e mezza circa Difficoltà: facile Ingredienti Per l’impasto 80 g di farina 00 120 g di farina manitoba 14 g di burro 10 g di lievito di birra 14 g di miele un pizzico di sale 100 ml di latte 20 g di zucchero Per il ripieno 80 g tra noci e nocciole 15 g di mandorle 25 g di pinoli 20 g di uvetta 15 g di arancio candito 15 g di amaretti 15 g di zucchero 30 g di marmellata di prugne 1 cucchiaio di olio di semi 20 g di miele
www.simonaskitchen.com
1 uovo un pizzico di cannella 1 bicchierino di grappa 1 bicchierino di rum e brandy Per prima cosa bisogna preparare il ripieno in maniera che si insaporisca. È sufficiente tritare tutta la frutta secca piuttosto finemente, sbriciolare gli amaretti, aggiungere l’uvetta in parte intera e in parte sminuzzata, e i canditi tagliati in piccoli pezzetti. Successivamente aggiungere zucchero e cannella, e infine tutte le componenti fluide: l’olio, l’uovo, il miele, la marmellata, e i liquori. Lasciate riposare coprendo l’impasto così rimane umido. A parte fate ammorbidire a temperatura ambiente il burro. Intiepidite il latte e scioglieteci il lievito di birra. Nella planetaria mettete le farine, il latte con il lievito sciolto, il miele, il burro a pezzi, lo zucchero, e per ultimo il sale (vasempre messo separatamente dal lievito). Impastate per una decina di minuti e poi lasciate lievitare per un’ora circa in luogo caldo. Stendete l’impasto e ricavatene delle strisce strette e lunghe per la preparazione delle gubanette. Ponete ciascuna delle strisce sulla carta da forno e stendetela il più sottilmente possibile, così da ottenere una striscia di grandezza 5 x 20 cm. Spalmate il ripieno (abbondante!), arrotolate la pasta in diagonale e sigillate bene i bordi. Il rotolino così ricavato va avvolto su se stesso partendo dal centro, a formare una chiocciola. Fate attenzione a mettere laparte terminale della pasta sotto la chiocciola, altrimenti si apre in cottura. Ponete le gubanette su una placca ricoperta di carta forno, spennellate con del latte e cospargete con zucchero semolato. Lasciate lievitare nuovamente per una mezz’ora in luogo caldo e poi cuocete in forno a 200° per 15-20 minuti.
Se, invece, volete preparare i croissant, è sufficiente tagliare la pasta stesa in triangoli, farcirla a piacere, e arrotolare la pasta dalla parte più larga fino alla punta. Anche in questo caso fate attenzione a mettere la parte terminale sotto il cornetto. In maniera analoga alla gubanetta, lasciate lievitare mezz’ora e cuocete a 200° per 15 minuti.
www.simonaskitchen.com
Stefania con 'Presnitz un dolce imperiale' Il presnitz è uno dei dolci più rappresentativi della cucina triestina, è un dolce molto ricco di profumi e di sapori e tradizionalmente è il dolce delle feste. La nascita del presnitz è avvenuta tanti anni fa ed è legata ad una specie di contest dell'epoca. Nel 1832 l'imperatore Francesco I d'Austria con la moglie Carolina Augusta di Baviera, giunsero a Trieste per visitare la città; per accoglierli al meglio la città venne interamente addobbata con i colori asburgici e per divertire la coppia imperiale e per mostrare le capacità e le abilità dei triestini vennero indetti numerosi concorsi di artigianato, cucina e arte. Carolina Augusta fu ben felice di fare da giudice al concorso gastronomico e più di tutti la colpì un dolce arrotolato e disposto a formare un cerchio, questo dolce aveva i profumi di uvetta e frutta secca tanto cari alla cucina austroungarica e una pasta sottile e morbida a dimostrazione di quanta abilità pasticcera ci fosse in città. Accanto al dolce c'era un cartello che invece di indicarne il nome recitava un motto "Se giri il mondo ritorna qui". Questo fu il dolce premiato con il primo premio, ovvero con il Preis Prinzessin; i triestini non capendo la pronuncia di questo premio, lo "storpiarono" in Presnitz e da allora continua a chiamarsi così. Prima di indicare la ricetta vi mostro una foto del dolce posizionato accanto all'imperatore Francesco I, perché solo grazie alla sua visita ne è avvenuta la nascita.
www.simonaskitchen.com
Per fare il presnitz si inizia con il preparare la pasta, per cui occorrono: 250 gr di farina 00 3 cucchiai di olio extravergine di oliva 1 uovo 1 pizzico di sale 1/2 bicchiere di acqua tiepida Disponiamo la farina a fontana, mettiamo al centro il sale, l'olio e l'uovo e impastiamo velocemente con le mani versando poco alla volta l'acqua; otterremo una pasta liscia ed elastica che faremo riposare per 30 minuti. Adesso occupiamoci del ripieno, io l'ho fatto bello ricco, le dosi possono anche essere diminuite a seconda dei gusti; ci servono: 150 gr di nocciole 150 gr di noci 150 gr di uvetta 80 gr di zucchero 60 gr di cioccolato fondente 60 gr di pinoli 60 gr di mandorle pelate 60 gr di arancia candita 2 bicchierini di rum (io Stroh80) cannella in polvere Prendiamo l'uvetta e mettiamola in ammollo per non meno di 15 minuti nel rum; frulliamo le nocciole fino ad ottenere una farina, grattugiamo il cioccolato e tagliamo il resto della frutta secca e i canditi grossolanamente. Raccogliamo tutto in una ciotola, aggiungiamoci le uvette con tutto il rum e mescoliamo fino ad ottenere un composto omogeneo. Riprendiamo la pasta e stendiamola con il mattarello fino ad ottenere un rettangolo; versiamoci sopra il nostro ripieno e levelliamolo sulla superficie del dolce lasciando liberi i bordi; arrotoliamo dal lato piÚ lungo e chiudiamo a ciambella. Per rendere lucida la superficie del dolce si può spennellare la superficie con un tuorlo battuto assieme a una noce di burro fuso. La cottura si fa in forno preriscaldato a 200°C per 20 minuti. Vi offro una fetta:
www.simonaskitchen.com
Con questa ricetta partecipo anche al contest di Simona's kitchene abbino il mio dolce tanto apprezzato dagli Asburgo alla residenza di Massimiliano d'Asburgo a Trieste: il castello di Miramare. La foto l'ho scattata dall'interno del parco del castello e quest'ultimo appare di colore arancio perchè la pietra bianca di cui è fatto al tramonto prende questo colore. Il castello di Miramare è stato costruito tra il 1856 e il 1860 come dimora di Massimiliano d'Asburgo e della moglie Carlotta del Belgio, alle sue spalle è cricondato da un parco molto ricco di piante pregiate e giardini decorati con aiuole e statue; di fronte ha il mare, il castello infatti è stato costruito sulla punta del promontorio di Grignano, uno sperone carsico a dirupo sul mare. Il colore azzurro del mare lo si riscontra in tutte le stanze del piano terra, mentre nelle stanze superiori, dedicate all'attività politica e di rappresentanza dell'Impero austro aungarico, il colore predominante è il rosso. Tutto il castello e i suoi arredamenti, come anche il parco sembrano progettati con lo scopo di fondere assieme le bellezze della natura con quelle dell'arte. Per la costruzione del parco, Massimiliano fece portare la terra della sua Austria, in modo da poter far crescere anche piante prsenti in Austria il cui sviluppo era legato alle proprietà del terreno; alcune zone del parco erano state progettate da Massimiliano stesso, appassionato di botanica, con lo scopo di rimboschimento e acclimatazione delle specie rare. Una parte più riparata dal vento e affacciata sul mare è invece occupata da un grande giardino all'italiana organzzato a gradoni per assecondare la struttura del territorio. All'interno del parco è presente un castelletto che ricorda in parte la geometria del castello vero e proprio, è collocato su un punto più in alto rispetto al castello stesso e permette di godere di un panorama mozzafiato. Sulla via di accesso al castello sono presenti le scuderie, destinate ad accogliere cavalli e carrozze di padroni di casa e ospiti. Sotto il piano del castello, sul mare, c'è un porticciolo e in cima al molo è possibile osservare una sfinge in granito rosa di età tolemaica, facente parte della collezione privata di Massimiliano grande appassionato di storia d' Egitto. Dal porticciolo si sale al castello attraverso due rampe di scale che abbracciano un giardino con aiuole che formano disegni geometrici.
www.simonaskitchen.com
Lara con 'Torta di amaretti e cioccolato'
Domenica mattina di buon'ora ho aperto la cucina e mi sono detta, oggi facciamo tante cose buone per il Natale... Quindi ho impostato il chutney di pere speziato per il plateau fromage e ho cominciato a preparare i tartufi al MalibÚ e cocco, tutte cose che vi posterò prossimamente. Ma mentre rimestavo con cura la panna bollente insieme al cioccolato per farlo fondere, mio marito, che stava seduto al tavolo con me apparentemente ignaro di tutto a parte il suo computer, con voce neutra fa: "qualcosa di buono?" "Certo caro, per Natale" "E oggi?".... Oggi... Ecco oggi non avevo pensato a niente in particolare, ma queste frasi buttate là mi hanno fatto capire che c'era nell'aria una certa voglia sfiziosa, che avrebbe avuto bisogno di un dolcettino per essere soddisfatta.
www.simonaskitchen.com
Fortuna vuole che la mia dispensa non sia mai totalmente vuota e che quindi, cerca cerca, qualcosa ne salti fuori... un pacchettino di amaretti, un altra stecca di cioccolato fondente... E mi è tornata in mente questa ricettina che mi ero salvata (ringrazio Patrizia, ma ancora di più ti ringrazia mio marito) e della quale ho cambiato le dosi per adeguarla alla mia tortiera. Unica cosa che cambierei nel rifarla è l'ordine, io monterei le uova intere con lo zucchero, come si fà con il PDS, e poi procederei con il resto, ne guadagnerebbe in volume credo. proverò.
150 gr. amaretti secchi 150 gr. cioccolato fondente 115gr farina 00
www.simonaskitchen.com
150 gr burro 115 gr zucchero 1 cucchiaino di lievito per dolci 3 uova (albumi e tuorli separati) zucchero a velo per decorare preriscaldate il forno a 180° Foderate di carta forno una tortiera apribile da 20 cm Tagliate il cioccolato a scaglie non troppo piccole, sbriciolate gli amaretti non troppo fini e mettete da parte. Montate le chiare d'uovo a neve e aggiungetevi lo zucchero quasi alla fine, dovrete ottenere un composto morbido e lucido, mettete in frigo. A questo punto mettete le uova e il burro nella planetaria e lavorate fino a che il composto sia bene amalgamato, aggiungete gli ingredienti secchi setacciati e continuate a lavorare fino a che tutto sia bene incorporato. Ora aggiungete mescolando a mano dal basso verso l'alto le chiare d'uovo, poi nella stessa maniera il cioccolato e gli amaretti e se il composto vi sembra troppo denso, aggiungete qualche cucchiaiata di latte. infornate per mezz'ora 40 minuti circa. Quando la torta sarà colorata in superficie e il composto si staccherà dalle pareti laterali sarà cotta. Sfornate e quando sarà abbastanza fredda sformatela e mettetela su piatto da portata eliminando la carta forno, decorate con una abbondante spolverata di zucchero a velo. Villa Guidini, la più bella villa con parco del nostro territorio. Ve ne parlo perchè come tutte le ville di questo tipo potrebbe essere usata di più e invece, purtroppo, la aprono solo in un paio di occasioni all'anno e questo dispiace a me in modo particolare perchè mi piacerebbe potermela godere di più. Mi piacerebbe fosse possibile affittarne i locali anche per tenervi feste private e poi usare il ricavato per restaurarla e renderla agibile sempre al pubblico. Sono un'ingenua? E' che trovo che il nostro patrimonio artistico sia lasciato andare e siano trascurati i più banali lavori di restauro a causa della continua mancanza di fondi. Inoltre, sembra ci sia una sorta di gelosia istituzionale per cui i locali proprietà dello stato devono essere centellinati dal pubblico, goduti come musei o non goduti. con delle regole precise e pochi sorveglianti sarebbe invece possibile a mio avviso renderli di uso realmente pubblico e ricavarne anche i fondi per il mantenimento.
www.simonaskitchen.com
Storia La costruzione fu iniziata nel 1699 dai Dente, famiglia veneziana impiegata nel commercio di granaglie; il 26 agosto 1712 fu consacrato l'oratorio.Nel 1915 di fronte a quest'ultimo fu edificata una piccola fornace, in seguito demolita. Nel 1950 fu ampliata la barchessa occidentale per ospitare un laboratorio di spezie.Verso la metà del Novecento fu acquistata dall'ingegnere svizzero Giovan Battista Guidini il quale, alla sua morte, lo diede in eredità all’Associazione Combattenti e Reduci di Venezia. Fu poi ceduta al Comune di Zero Branco ed oggi ospita un centro socio-culturale.
EDIFICIO LA FACCIATA È RIVOLTA AL PARCO, PERALTRO MOLTO MENO VASTO DI QUANTO LO ERA IN PASSATO. SI SUDDIVIDE IN RIQUADRI E CAMPITURE; IL CORPO CENTRALE PRESENTA UN TERRAZZINO AL SECONDO PIANO E TERMINA UN FRONTONE INCORNICIATO AI LATI DA ANSE INCURVATE TARDO-BAROCCHE. L'INTERNO PRESENTA GLI STUCCHI DI GIOVANNI BITANTE RAPPRESENTANTI FRUTTA, FIORI E VOLATILI. ALL'ESTREMITÀ ORIENTALE SI TROVA LA CAPPELLINA DI SANT'IGNAZIO, I CUI INTERNI SONO ORNATI DA STUCCHI, SEMPRE DEL BITANTE; L'ALTARE MARMOREO È SOVRASTATO DA UNA PALA RAFFIGURANTE LA MADONNA DEL CARMINE CON GESÙ BAMBINO E I SANTI ANTONIO DA PADOVA E IGNAZIO DI LOYOLA.
www.simonaskitchen.com
Delle barchesse, resta solo quella occidentale che in origine ospitava i magazzini e le cantine.
Giancarla di Cuoche a Casa Tua con 'Passatelli alla romagnola
Oggi vi parlo della mia città Rimini in inverno, che è completamente diversa da quella che i turisti sono abituati a vedere e vivere, quando vengono in vacanza in Romagna d’estate e della scuola dove mio figlio trascorre i suoi giorni da studente e della ricetta dei Passatelli. In questa foto Simone vestito da centurione romano e l’Arco d’Augusto Domenica 18 dicembre, si è svolto il presepe vivente, organizzato dalla scuola di Simone, è già la quattordicesima edizione, il centro storico si è animato di quadri viventi interpretati dai bambini in costume d’epoca, un vero spettacolo.
www.simonaskitchen.com
Arco d'Augusto Nella foto è ripreso l’Arco d’Augusto con sotto mio figlio Simone, vestito da soldato romano. L’arco d’Augusto, fu intitolato a Cesare Ottaviano Augusto, costruito nel 27 a.C. in pietra d’Istria, per ordine del Senato Romano, per commemorare il restauro della via Flaminia che qui si conclude (la via Flaminia inizia a Roma).
Nella seconda foto si vede il Tempio Malatestiano, dove è allestita la natività e dove il presepio vivente che ha attraversato il centro storico termina.
Nel 1447 Sigismondo Pandolfo Malatesta , signore di Ariminum, affida a Matteo de’ Pasti, architetto, l’incarico di ristrutturare l’antica chiesa gotica di San Francesco, per trasformarla in tomba monumentale e tempio dinastico. L’esterno è opera dell’architetto Leon Battista Alberti,
www.simonaskitchen.com
il rivestimento è di pietra bianca istriana, il portale a 3 archi riprende l’idea dell’arco trionfale che è presente nella città.
Il meglio del tempio è all’interno, che è sontuoso, infatti l’intento era quello di esaltare Sigismondo Pandolfo e la sua potenza. All’interno troviamo le sculture di Agostino di Duccio, un crocifisso dipinto su tavola da Giotto e una pala di Giorgio Vasari (dietro l’altare) E che cosa mai avranno mangiato i soldati romani ed Augusto e più tardi Sigismondo Malatesta e la sua corte, ma naturalmente, la nostra minestra in brodo i “Passatelli”. Tutto ciò per mostrarvi Rimini sotto un altro aspetto, in inverno con il presepe e nel periodo natalizio. Ingredienti per 4 persone: 250 g di parmigiano reggiano grattugiato 250 g di pan grattato fino la scorza grattugiata di ½ limone 2 uova noce moscata secondo i Vs. gusti un buon brodo di cappone o gallina
In una ciotola verso il parmigiano, il pane, le uova e gli odori ed impasto bene, la pasta deve essere consistente ma non dura.
www.simonaskitchen.com
Prendo il tagliere e il “ferro per i passatelli” che ho preso in prestito da mia madre ed alla quale ho chiesto anche la ricetta e con questo attrezzo inizio a premere sulla pasta dei passatelli, piano piano, escono dei bei “bigolotti” come li chiamo io, i passatelli appunto. I passatelli vengono versati nel brodo caldo, si cuociono subito, dato che è una pasta fresca.
Provateli sono facili da fare e buonissimi in una serata invernale.
Antonella di Sapori in Concerto con 'Cassoela e Milano' Ho avuto la fortuna di viaggiare e di visitare parecchie città italiane e straniere. E tutte mi sono entrate ne cuore. Per la loro diversità e tutto il loro mondo che offrono al visitatore curioso. Ho camminato lungo i percorsi consigliati, quelli piu' turistici. Ma ho sforato anche in quelli dove mi portava il cuore. Negli angoli meno gettonati e magari nemmeno tanto pubblicizzati dalle guide, ma ugualmente , se non di piu', piu' umani, vivi e ricchi di fascino e mistero. Ho scattato migliaia e migliaia di fotografie, che comunque rivedo davanti agli occhi tutte le volte che ripenso a quella città, senza bisogno di andarle a sfogliare. Ho assaggiato tutto quello che di particolare offriva la cucina del posto. Mi sono fermata ad osservare albe e tramonti e tutto il paesaggio circostante. E tutte le volte mi è spiaciuto dover ripartire. Fisicamente intendo perchè come ho già detto....ho il cuore pieno di emozioni e sensazioni che mi hanno regalato tutti quei tesori che ho visitato. Potrei parlare e pubblicare le foto di tante città in tutta la loro bellezza, ma lascio a chi ci vive questo onore. Perchè anche il vissuto giornaliero fa di una città , "quella" città..... E allora cerco di presentarvi al meglio la MIA città....cunt el cor in man (con il cuore in mano)....come si dice.Ovviamente non si puo' fare un sunto di nessuna città. Sarebbe riduttivo
www.simonaskitchen.com
elencare una serie monumenti e sciorinare un elenco infinito di nozioni che chiunque puo' trovare sui libri interamente dedicati all'argomento e scritti da persone competenti. Ma non voglio fare una copia di qualche cosa che c'è già. Grazie a queste persone competenti potrete trovare nel minimo dettaglio quello che cercate. Io non sono una storica o un'addetta ai lavori. Sono una semplice cittadina che attraverso le foto che pubblichero', vuole destare l'interesse a chi le guarda e chi non conosce la mia città, la voglia di venire a scoprirla di persona. Una semplice cittadina che cercherà di trasmettere attraverso foto semplicissime , le emozioni e le sensazioni del luogo. Le stesse emozioni e sensazioni che provo e ho provato nel vedere la altre grandi città che ho visitato. E da turista ho sicuramente apprezzato il fatto di avere tra le mani una guida superdettagliata che mi descrivesse e consigliasse cosa vedere e dove andare. Ma il mio approccio a tutte le città che ho visitato fino ad ora è stato sempre lo stesso : una mega ricerca dei particolari e luoghi di interesse storico giusto per non perdermi niente e poi piccoli appunti di viaggio con itinerari suddivisi giorno per giorno per non correre il rischio di dimenticare di vedere qualche cosa. E in tutta questa organizzazione ci stava anche qualche fuori programma ! Una vera tabella di marcia con tanto di sveglia all'alba,copiosa colazione per affrontare la lunga giornata tra le vie e i monumenti ! Essere "libera" da libroni....affidarmi alle emozioni e sensazioni del momento, l'impatto iniziale che ho davanti ai miei occhi, quello che ti lascia a bocca aperta e senti un tuffo al cuore e i brividi lungo la schiena e quasi ti maca il fiato ! Una città da "scoprire con gli occhi e il cuore".... Io vi propongo un giro turistico un po "tradizionale"....e qualche scorcio nascosto....il resto dovrete scoprirlo voi ! Perchè come ho potuto sperimentare di persona, è il primo impatto che lascia il segno. Scoprire un angolo particolare per la prima volta desta un piacere e uno stupore diverso dalla sensazione di "già visto"...... Per questo non faro' un semplice elenco di date,nozioni,particolari ecc. Troppo facile fare un copia/incolla e creare una guida dettagliata.... Non ricordo a menadito quando è stato costruito e finito un monumento o quando è stado dipinto quello o quell'altro quadro .So distinguere uno stile rispetto ad un altro ma quando guardo qualche cosa do ascolto alle emozioni che quello che ho davanti mi scatenano. E a volte sono davvero cosi' forti che mi commuovo e non mi capacito quasi di quanto sia bello e la genialità di chi l'ha creato !
www.simonaskitchen.com
Ecco, questo vorrei trasmettere a chi guarda le fotografie che ho pubblicato, che nient'altro sono un mezzo tramite per arrivare ai vostri occhi e ai vostri cuori....solo incuriosirvi e invitarvi a provare di persona queste emozioni. Ecco quindi Milano....Mediolanum ai tempi dei romani. Una descrizione essenziale perchè a volte le parole non servono quando a parlare sono le emozioni..... Cominciamo con il tour partendo dalla Galleria Vittorio Emanuele completata nel 1878 che collega Piazza del Duomo a P.zza della Scala. Nella volta, sono raffigurati a mosaico i continenti Asia, Africa, Europa e America. Nell’ottagono centrale è situato sul pavimento il simbolo araldico dei Savo ia con una croce bianca in campo rosso ed il famoso toro raffigurato con gli "attributi" in vista.L'usanza dice che porti fortuna porre il piede sopra gli attributi del toro e compiere una rotazione ad occhi chiusi facendo perno su quel piede. Secondo la leggenda però porta fortuna ruotare di 360° con il tallone del piede destro sui testicoli del toro solo alle ore 24 del 31 dicembre!! La Stazione Centrale,è la seconda stazione ferroviaria per traffico dopo Roma Termini e prima di Torino Porta Nuova. E' opera dell' architetto Stacchini che modello' il progetto basandosi su quello della Union Station di Washington .Struttura complessa e maestosa per volontà di Mussolini perchè doveva la potenza del potere fascista. Ristrutturata e riqualificata nel 2010, è riccamente abbellita di fregi,mosaici,staue. Tristemente famoso il binario 21 dal quale partivano gli Ebrei deportati ad Auschwitz.
E ora veniamo all'edificio piu' conosciuto al mondo , il Tempio della Lirica , il Teatro alla Scala che anche se dici La Scala capisci al volo di cosa stai parlando...Sorto sulla superficie occupata dalla Chiesa di Santa Maria della Scala, (eretta in onore di Maria della Scala moglie di Bernabo' Visconti ,Signore di Milano) per volere dell'Imperatrice Maria Teresa d ' Austria dopo che il Teatro Regio Ducale venne distrutto da un incendio. Con la sua facciata neoclassica e il portico dove una volta transitavano le carrozze affinchè le dame non si sporcassero o bagnessero le scarpe, quando lo si guarda sembra di ritornare indietro nel tempo , quando i nobili entravano alle cinque del pomeriggio anche se lo spettacolo iniziava tardissimo, e dietro i palchi erano allestite delle piccole cucine dove la servitu' cucinava. E io mi vedo davanti agli occhi dame imbellettate e agghindate nei loro vestiti costosissimi e riccamente decorati , e gli uomini con il cilindro, bastone e le ghette bianche .Fu bombardata durante la seconda guerra mondiale e ricostruita precisamente come prima del bombardamento, con un concerto inaugurale con il grandissimo Toscanini . In questo stupendo teatro si sono avvicendati con la loro bravura e maestira i piu famosi musicisti e direttori d'orchestra e ballerini di tutto il mondo. E ogni anno il
www.simonaskitchen.com
7 dicembre in occasione del Santo Patrono, si apre la stagione della Scala. Un evento che richiama persone da tutto il mondo, illustri e meno illustri . Particolare del Duomo , monumento simbolo della città è situato nell'omonima piazza nel centro della città. Per superficie, è la quarta chiesa d'Europa dopo San Pietro in Vaticano , Saint Paul's a Londra e la Cattedrale di Siviglia. L'interno è a cinque navate. I 52 pilastri polistili dividono le navate e sorreggono le volte a costoloni che simulano un traforo gotico. Capitelli monumentali e cuspidi con statue decorano i pilastri lungo la navata. Gli altri pilastri hanno decorazioni con motivi vegetali. Altra caratteristica è la quantità di statue che lo decorano, una tra le tante è la statua di Davide con la testa di Golia. All'interno, di fronte al Mausoleo Medici merita una sosta la bellissima statua ,il "pezzo" più celebre di tutto il Duomo: il San Bartolomeo Scorticato di Marco d'Agrate, dove il santo mostra la pelle gettata come una stola sulle spalle.
Esterno del Castello Sforzesco,costruito nel XV secolo da Francesco Sforza da poco Duca di Milano.Alla sua morte lascio'il ducato ai nipoti MatteoII, Galeazzo II e Bernabo'.La costruzione divenne così dimora permanente della dinastia viscontea. Quando sali' al potere Ludovico il Moro il Castello divenne sempre piu' fastoso, anche perchè Ludovico era un grande mecenate e chiamo' artisti come Leonardo da Vinci e del Bramante,solo per citarne alcuni. Negli anni
www.simonaskitchen.com
seguenti fu danneggiato dai continui attacchi che
francesi , milanesi e tedeschi si
scambiavano. Sotto la dinastia spagnola il Castello perse la veste della dimora signorile per trasformarsi in sede delle truppe iberiche.Quando la Lombardia passò dalla Spagna agli Asburgo d'Austria, il Castello conservò la propria destinazione militare. L'unica nota artistica del dominio austriaco è la statua di San Giovanni Nepomuceno protettore dell'esercito austriaco, posta nel cortile della Piazza d'armi. Nel 1815 Milano
e il Regno Lombardo-Veneto furono annessi all'Impero
d'Austria e il castello arricchito di passaggi, prigioni e fossati, divenne tristemente famoso perché durante la rivolta dei milanesi nel le cosiddette Cinque giornate di Milano il maresciallo Radetzky diede ordine di bombardare la città proprio con suoi cannoni. Danneggiato e ristrutturato dopo la Seconda guerra mondiale, il Castello ospita mostre itineranti e La Pinacoteca del Castello dove si possono ammirare i bellissimi dipinti di Lippi, Antonello da Messina,Canaletto,Correggio,Tiepolo e la Pietà Rondanini di Michelangelo. Meritano una visita anche gli altri musei ospitati al suo interno come il Museo degli Strumenti Musicali, il Museo d'Arte Antica e la Biblioteca Trivulziana che custodisce il codice Trivulziano di Leonardo:
Alla fine degli anni 50 la fontana venne smantellata per dare spazio ai lavori della metropolitana e ricostruita da circa dieci anni .E' conosciuta come "Torta di spus" , Torta degli sposi, per gli zampilli bianchi che la fanno sembrare davvero una torta.
www.simonaskitchen.com
Arte a cielo aperto....periodicamente capita che il turista si trovi sul suo percorso perchè le cerca o forse per caso queste creazioni : Calamità cosmica di Gino De Dominicis davanti a Palazzo Reale
Piazza Affari : il dito medio di Cattelan che ha fatto tanto discutere .....
La luce degli origami di Antonella Cheche, Valentina Mammoli in Piazza San Babila :Gru di carta volano sopra lafontana. Fiori luminosi galleggiano sull'acqua. Lumache in plastica riciclata color fucsia ideate da Cracking Art Group che da Palazzo Marino hanno lentamente invaso le strade della città e che viagegranno in altre città del mondo...che sia un invito alla lentezza? Il gigantesco Ago e filo multicolor che sbuca da Piazza Cadorna in un altro punto della piazza finendo con un nodo è stato realizzato in occasione del rifacimeno della Stazione negli anni 90 e sta a simboleggiare l'operosità dei milanesi e il mondo della moda che Milano è uno dei principali centri mondiali. Passeggiando per le vie di Brera , quartiere che gli artisti che frequentavano l'Accademia di Belle Arti hanno trasformato in uno dei piu' caratteristici di Milano. Dopo il periodo bohemien Brera oggi è un quartiere famoso per il suo stile raffinato , i locali con i tavolini all'aperto , per i negozi di antiquariato e per il mercatino che si tiene ogni terza domenica del mese in Via Fiori Chiari Sulle rive del Naviglio Grande e di quello Pavese, pedonalizzate, ogni sera si accende la movida milanese: ristoranti (magari su un vecchio barcone ormeggiato e trasformato), bar, pub e osterie, locali notturni attirano migliaia di persone rumorose e invadenti .Il quartiere ha
www.simonaskitchen.com
due facce, quella notturna e quella diurna ed è ancora ricco di studi di artisti, di botteghe artigiane, di angoli pittoreschi e di cappellette illuminate sulle cantonate. Ogni estate si moltiplicano le occasioni di incontro, le mostre, le feste popolari . Dall'alzaia ci si può anche imbarcare per godersi il Naviglio dall'acqua.
con un'altra prospettiva.....
Il famoso Vicolo dei lavandai dedicato ai lavandai e non alle lavandaie, perché nell'Ottocento ad occuparsi del servizio di lavaggio erano gli uomini, organizzati in una vera e propria associazione. La confraternita dei Lavandai di Milano risale al 1700. Sant'Antonio da Padova è il loro protettore e a lui è dedicato un altare nella chiesta di Santa Maria delle Grazie al Naviglio, situata a 100 metri circa dal Vicolo dei Lavandai, lungo l'Alzaia Naviglio Grande . Il ruscelletto (el fossett, in dialetto milanese) è alimentato dalle acque del Naviglio Grande. Un tempo le lavandaie, munite di secchio, sapone-spazzole e candeggina stavano inginocchiate sul “brellin” di legno, strofinando i panni sugli stalli di pietra ed ancora visibili nel vicolo. scorci.............
www.simonaskitchen.com
lungo il Vicolo.....
tra le case di ringhiera.....
Il cortile di Palazzo Morando Attendolo Bolognini di origine settecentesca dove ha la sede il Civico Museo della Moda . Oltre ad ospitare periodicamente mostre di fashion design e fotografia, l'edificio è impreziosito da dipinti, sculture, stampe della collezione di Luigi Beretta.
www.simonaskitchen.com
Ed ora veniamo alla ricetta che pare sia nata per festeggiare Sant'Antonio Abate , o Sant'Antonio del porcello che si festeggia il 17 gennaio alla fine della macellazione delle carni di maiale.I tagli di carne utilizzati per la cassoeula erano quelli piÚ economici e avevano lo scopo di insaporire la verza, elemento invernale basilare della cucina contadina lombarda . Sant'Antonio Abate è considerato il protettore di tutti gli animali che vengono benedetti sui sagrati delle chiese il giorno del Santo Patrono.
1 kg costine di maiale 2 hg cotenne
www.simonaskitchen.com
3 salamini verzini 1/2 cipolla 1 dado sale q.b. 1 gamba di sedano 2 carote 2 kg di verza 1/2 bicchiere di vino bianco 1 cucchiaio di salsa di pomodoro
In una pentola capiente mettete a soffriggere la cipolla tagliata sottile.Quando è ben imbiondita aggiungete le costine e fatele rosolare da tutte le parti.aggiungete il sedano e le carote tagliate a rondelle ( o tritati secondo i gusti). Abbassate la fiamma e mettete il dado ,la salsa e le cotenne tagliate a pezzetti. Dopo un quarto d'ora aggiungete le verze lavate e tagliate in pezzi grossolani , aggiungendole poco alla volta,man mano che le precedenti sono diminuite di volume . Salate leggermente , aggiungete il vino e i salamini e continuate la cottura per circa un' ora e mezza a pentola coperta , mescolando ogni tanto. Potete servire la CasÜela con della polenta o semplicemente gustata con del pane o dei crostini in ciotole di coccio che fanno tanto rustico ma buono.....
E da Milano , la capitale della moda , la patria del bel canto , ricca di tradizioni, eventi culturali , la Milano da bere, la Milano operosa , sempre di corsa e frenetica...un piatto della cucina tradizionale da gustare in compagnia , con calma e relax. Perchè davanti ad un buon piatto
www.simonaskitchen.com
sappiamo anche fermarci , prendere fiato e gustarci quello che abbiamo davanti a noi e poi ricominciare..... Siamo fatti cosi....
Laura di Laura in Cucina con 'Biscotti di Mennula'
Uno scorcio della tonnara di Avola(Siracusa Durante le mie vacanze ho scattato delle foto per farvi apprezzare questi meravigliosi e “antichiâ€?luoghi di un angolo della meravigliosa Sicilia orientale:Avola!!In questo periodo vi posterò tutte le prelibatezze, sia della tradizione siciliana sia marchigiana, che ho realizzato e apprezzato durante le mie vacanze natalizie.Oggi inizierò con la ricetta dei biscotti di mandorla,ricetta regina della pasticceria siciliana, in particolare
www.simonaskitchen.com
della zona dove ho trascorso il Natale. Il paese è famosissimo anche per una antica e squisita mandorla piatta e larga che viene coltivata ,prodotta e impiegata nella realizzazione dei confetti chiamata localmente “la pizzuta”!! Ogni famiglia per Natale prepara questi squisiti dolcetti con le saporitissime e uniche mandorle con tante varianti.Ecco quelli di quest’anno e la ricetta più tradizionale! Ingredienti: 500 gr. di mandorle sgusciate 500 gr. di zucchero scorza grattugiata di 2 limoni 4 albumi pizzico di sale Canditi per guarnire (o mandorle intere) Tritare finemente le mandorle spellate, (potete usare anche la farina di mandorle)unirvi lo zucchero, gli albumi montati a neve con il sale e tutti gli altri ingredienti. Amalgamare bene e controllate la morbidezza dell’impasto che dipende anche dalla grossezza degli albumi (eventualmente aggiungetene un altro). Mettere l’impasto ottenuto in un ‘sac à poche’ e formare i biscotti che verranno adagiati direttamente su di una placca da forno imburrata o con la carta forno.Farli riposare una notte Guarnirli con una mandorla intera o con della frutta candita sopra . Metterli poi in forno caldo a 180°-200° per pochi minuti.(Devono rimanere piuttosto chiari e l’interno deve rimanere morbido) Una volta sfornati, farli raffreddare prima di toglierli dalla placca del forno e adagiarli su di un contenitore chiuso. si mantengono per molti giorni buonissimi!!! Roberta di L'angolo di cottura di roby con 'Polenta e pucì de ers' Che faticaaaaa!!!!! E' un mese che sto pensando al contest di Simona (abbinare un piatto tipico del posto ad un'opera d'arte del posto), ma è stato snervante.. non ce ne sono!!!!!!!!!!!! Nessuno me l'ha saputo dire!!!!!!!!! Spiego meglio: sono di Bergamo, più precisamente della bassa Bergamasca, al confine tra Milano, Cremona e Brescia, dove quindi i piatti tipici si mescolano, si confondono, si ...perdono. Tipico di Bergamo.. certo, ci sono la polenta taragna, i casoncelli alla bergamasca... ma sono piatti delle montagne bergamasche.. e io volevo un piatto della mia pianura ...e quindi ho optato per un piatto che si cucina spesso a casa mia ;)
www.simonaskitchen.com
POLèNTA E PUCÏ DE ERS ovvero.. alla lettera.. polenta e intingolo di verza.. in pratica.. cassoeula!!! ..non milanese: niente piedini, orecchie, codini.. solo costine.. quindi bergamasca ;) !!!!
per 4 persone: 2 palle di verza 1/2 cipolla olio 10 costine 1/2 bicchiere di cognac 1 mela 1 dado 2 cucchiai di passata di pomodoro sale 2 litri d'acqua 500 g di farina gialla Si soffrigge la cipolla con l'olio, si rosolano le costine, si aggiunge il cognac e si lascia evaporare. Si riempie la pentola di verza (senz'acqua), si aggiungono la mela (sbucciata e a fette), il dado e la passata e si lascia stufare. Quindi si aggiunge il resto delle verza e si continua a cuocere aggiustando di sale. In tutto ci vorranno 2 ore buone. Per la polenta invece si portano a bollore 2 litri di acqua salata e si versa la farina continuando a mescolare a fuoco lento per evitare grumi. Si continua a mescolare lentamente e sempre dallo stesso lato per almeno 40'.
www.simonaskitchen.com
Se per il piatto ho avuto qualche titubanza, per l'opera non ho avuto nessun dubbio: IL CASTELLO DI PAGAZZANO!!!! Lo avevo già accennato in questo post e adesso posso parlarne liberamente :) !!! Si trova a 2 km dal mio paese, quindi al confine tra Bergamo e Milano. Nasce infatti come torre di avvistamento in quanto, il paese, è stato oggetto di conquista da parte di numerosi eserciti (goti, longobardi, ungari...) ed è quindi stato costretto a costruire una fortificazione che è servita poi anche per altre lotte di predominio sul territorio, prima tra Bergamo e Cremona, poi tra il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia.
Non ci sono documenti fino all'anno 1000 d.C., per avere una data precisa si arriva a metà del 1300 quando viene ereditato da Bernabò Visconti, duca di Milano e con lui inizia la vera storia del castello in quanto è lui che delimita il perimetro di 80 m per lato. Così come la vediamo invece, la struttura è tipicamente 400esca per le modifiche fatte successivamente: l'aggiunta delle 4 torri, i merli a coda di rondine, il muro a cortina a scarpa e l'allargamento del fossato (l'unico in tutta la bergamasca ad essere tutt'ora pieno d'acqua).
Quindi nasce come fortificazione, diventa abitazione nel 1500 e nel 1700 azienda agricola. Dunque è sempre stato abitato ed è diventata proprietà del comune nel 2000 che ha iniziato il restauro. All'interno, in ogni stanza, è stata allestita una mostra della civiltà contadina con oggetti antichi di ogni genere che raccontano la nostra storia. Possiamo ammirare anche un enorme torchio per l'uva originale del 1786. Una curiosità è che in questo castello ha soggiornato per ben 3 volte, a metà del 1300, il poeta Francesco Petrarca, tanto che ne fa cenno in una nota nella sua opera "Triunphi". ...Non resta che visitarlo!
www.simonaskitchen.com
Benedetta Marchi di FashionFlavorsCooking con 'Il Bartolaccio' E Bartlaz....ovvero il Bartolaccio di Tredozio Al mio paese una volta si diceva: Di Venere e di Marte non si comincia e non si parte. Ma si può ri-cominciare e ri-partire? Spero proprio di si, perchè proprio oggi, 3 gennaio 2012, riparto con un nuovo post per ringraziarvi degli auguri ricevuti e farvene ancora, dato che di buoni auguri non ne si ha mai troppi! ^_^ E come potevo incominciare questo nuovo anno se non con un prodotto tipico del mio paese e una nuova avventura con Gente del Fud? Perchè quando mi sono accorta che sono davvero presenti pochi blogger delle mie zone mi sono detta che non potevo lasciare che i nostri prodotti restassero sconosciuti e mi sono quindi proposta a gente del fud come umile "ambasciatrice" della romagna-toscana ^_^ Per cominciare questa avventura vi presento E Bartlaz! (dialettale)
www.simonaskitchen.com
In italiano il Bartolaccio. Il bartolaccio è una specialità culinaria tipica del mio paese, Tredozio. Da specialità contadina, come vuole la tradizione, la ricetta è molto semplice e genuina, richede solo acqua e farina per la pasta e patate, pancetta di maiale, grana stagionato, sale e pepe per il ripieno. Meglio consumarlo appena cotto sulla lastra, oppure riscaldato...anche se è talmente buono che io lo mangio anche freddo! La forma originale è a mezzaluna, ma mia nonna me lo ha insegnato da sempre quadrato perchè più facile da tagliare con un piatto, mentre per la mezzaluna serve un utensile apposito.
www.simonaskitchen.com
Quindi è così che lo vedete nelle mie fotografie. Il bartolaccio è una specialità che nasce nella notte dei tempi e che sicuramente riscaldava lo stomaco delle monache che risiedevano nell'antico convento della SS. Annunziata che si trova proprio a Tredozio.
Questo monumento ora in fase di restaurazione è stato costruito presumibilmente nell'anno 1960. Nel 1563 dal monastero del 'Luogo d'Africa' vi si trasferirono 14 suore domenicane. Nel 1810 poi, Napoleone soppresse gli ordini monastici e le suore domenicane dovettero abbandonare il convento, che, privato di ogni attività, fu messo in vendita e acquistato dalla famiglia Fabroni originaria di Marradi. Nel
1986
la
famiglia
Fabroni
vendette
il
convento
al
Comune
di
Tredozio.
L'edificio religioso è situato all'inizio del Paese sulla sinistra del fiume Tramazzo (per chi viene da Faenza). I l fabbricato, che colpisce per le sue vaste dimensioni e la sua struttura a ferro di cavallo rivolto verso il monte e la corte interna, si sviluppa su tre piani fuori terra, per un totale di circa 100 vani. Al piano terra erano ubicate la foresteria, il porticato interno, la Chiesa, il refettorio, le cantine e altri spazi di servizio. Al piano primo e al piano secondo vi erano le celle e i servizi della clausura. Il monastero della SS. Annunziata è legato anche alla vita di Silvestro Lega, il grande artista macchiaiolo nato a Modigliana nel 1826.
www.simonaskitchen.com
Il pergolato di Silvestro Lega Il pittore infatti trovò qui un approdo sicuro in diversi momenti della sua vita, grazie al rapporto che lo legava alla famiglia Fabbroni, allora proprietaria del Monastero.“ Potrebbe
interessarti:http://www.forlitoday.it/cronaca/recupero-monastero-ss-annunziata-
tredozio.html Seguici su Facebook:http://www.facebook.com/pages/ForliToday/153595958049491 Ecco qui che vi ho raccontanto un pò delle tradizioni e degli artisti del mio caro paese: Tredozio. Ora quindi non vi resta che fare una visita al mio paese per visitare il convento e mangiare qualche buon bartolaccio!
www.simonaskitchen.com
E dove si può mangiare mi chiederete voi? Vi accontento subito! Potete venire proprio a Tredozio le prime due domeniche di Novembre alla sagra del bartolaccio. Qui pretete mangiarlo e anche acquistarlo per portarvelo a casa e mangiarlo nei giorni seguenti! Per la ricetta ...le dosi sarebbero un segreto ma ora che vi ho dato tutti gli ingredienti provate a combinarli con un pò d'occhio esperto e poi fatemi sapere...altrimenti non vi resta che venirlo ad assaggiare e poi riprovare a casa vostra a ricreare questa bontà ! :)
www.simonaskitchen.com
www.simonaskitchen.com
NeoFrida di Passato tra le mani con 'Pasticcio ferrarese naturista' ..ovvero edit al post che giĂ mi ero impegnata a scrivere, riguardante il Pasticcio ferrarese resistente.E' successo che sono inciampata in un interessante blog, proponente un contest davvero in sintonia con tanti miei temi. E di mezzo anche una bellissima casa editrice che si occupa di arte in senso ampio, e quindi anche di storia e gastronomia locali. AhimĂŠ non della mia Terra, ma svolge quel tipo di ricerca che percepisco mia. Bene, dove vi porto?
Se non siete mai stati nella bella Ferrara, città che almeno una volta a settimana mi offre una cuccia a casa di amici o nella casa comune che è il Centro La Resistenza, lasciatevi dare un consiglio: scegliete una serata di nebbia. Scegliete un momento in cui volete stare soli con voi stessi. O scegliete una persona speciale, che vi faccia sentire ben individuati nel rapporto con lei, e ve la facciano sentire presente quando non siete fisicamente insieme. Prendetela per mano e addentratevi in Via delle Volte.
www.simonaskitchen.com
Due cenni di storia, perché si tratta davvero di una delle strade-chiave nella storia della città. Ferrara si sviluppa tra due alvei del medesimo fiume, il Po. Nasce probabilmente nella zona del paleoalveo, che ne costituisce il porto. Fino al momento della celeberrima rotta di Ficarolo. Il periodo rinascimentale vede via via lo spostamento della vita economica e commerciale della città in direzione nord, verso l'attuale percorso del fiume. E parallelamente ecco i nuovi edifici, l'addizione erculea, le strade rettilinee e aperte alla luce, non più tortuose e buie come la zona medioevale. Ecco, Via delle Volte era proprio la cerniera tra il luogo dello scambio e del lavoro, il porto, e il luogo della residenza dei mercanti, la città vera e propria con il duomo, sotto i cui portici ancora vivono negozi di grido: i pronipoti delle botteghe di quasi mille anni fa!
Ma Via delle Volte, specie la sera, così poco illuminata e così pullulante di vita: turisti incantati e ferraresi affezionati, ecco, proprio questa stradina diventa un lembo di sogno in cui avvolgere i pensieri, far riposare le speranze e nutrirsi della bellezza rude e solida delle sue pietre.
www.simonaskitchen.com
E qui concedetemi di dedicare questo post anche a chi l'ha percorsa con me, in notti gelide e in notti afose, a qualcuno che ha respirato i miei silenzi e giocato con le mie chiacchiere allegre. Ma veniamo alla ricetta!
Il Pasticcio Ferrarese è un piatto tipico della cucina estense e dei suoi ben noti fasti, declinato in tantissime versioni. Da quella delle massaie di campagna a quella delle pasticcerie più famose. Elementi comuni: l'involucro di frolla dolce, il ricco ripieno con i maccheroni allineati. Rinascimento ai giorni nostri, emozionante! La ricetta che segue è stata elaborata lavorando su una versione di famiglia ed è stata presentata all' incontro di 'Ricette per le Feste' della serie 'Cucina sostenibile' tenuto al Centro La Resistenza a Ferrara. Ha quindi una valenza comunitaria e un retroterra storico emozionanti. Ingredienti: Per la frolla: 700 gr farina tipo 1 più 8 cucchiai più quella per stendere la sfoglia 50 gr amido di mais 300 gr malto mais 65 gr latte di soia 310 gr olio di girasole o di mais bio deodorato curcuma scorza di limone un pizzico sale Per il ripieno: 1)Pasta: 300 gr sedanini rigati 2) Béchamel: 1 lt latte di soia 4 cucchiai farina tipo 1 5 cucchiai olio extravergine d'oliva 50 gr noci ridotte in farina 35 gr funghi secchi, preferire solo porcini Noce moscata 3) Ragù di borlotti: 250 gr borlotti secchi
www.simonaskitchen.com
Sedano, carota, scalogno Aromi – salvia, rosmarino, timo Sale, pepe, olio extravergine Per la coloritura: Latte di soia Malto d'orzo Mettere a mollo i fagioli borlotti. Per la pasta frolla: Sciogliere a fiamma bassissima il malto e il latte di soia. Mettere a raffreddare prima sulla finestra, poi in frigo per qualche ora. Montare con l'olio, unendolo a filo. Tenere nuovamente in frigo qualche ora. Lavorare con gli altri ingredienti, usando solo 700 gr di farina sul totale. Se gradito si può unire un pizzico di scorza di limone grattugiata. Lavorare il più velocemente possibile e su un piano di lavoro freddo. Raccogliere a palla e tenere in frigo almeno 24 ore. Mettere in ammollo i funghi – un lt di acqua per 35gr di funghi. Lasciarli almeno due ore. Scolarli molto bene e filtrare l'acqua con un telo, sarà utile per cuocere i cereali o come base per minestroni e creme. Usarla per piatti che richiedono bollitura, o bollirla preventivamente. La pasta: Cuocere i sedanini secondo quanto indicato sulla confezione: devono restare al dente. Scolare molto bene, ungere con un goccio di olio extravergine, spargere su un piano freddo e lasciar raffreddare. La béchamel: Tostare nell'olio la farina, unire piano piano il latte vegetale, frustando sempre. La fiamma deve restare bassissima. All'ebollizione abbassare ulteriormente e cuocere 15', unendo dopo 10' le noci ridotte in farina e i funghi ben strizzati. Fuori dal fuoco unire la noce moscata. Lasciar intiepidire dopo averla versata in una teglia di metallo alta quanto un sedanino messo in verticale. Quando raggiunge i 40° (dito secco all'interno resiste per 10') infilarvi i sedanini in piedi, tutti ben paralleli. Il ragù: Lessare i borlotti, con un po' di aromi o con alga kombu, in pentola a pressione. Scolarli tenendo da parte il liquido di cottura. Brasare nell'olio le verdure, a fiamma bassa. Cuocere finché sono tenere unendo via via il brodo dei borlotti. Tenere da parte 3-4 cucchiai di fagioli e frullare il resto. Gettare i fagioli frullati e quelli interi nella teglia delle verdure e cuocere per 15'-20' o finché il ragù appare cremoso, almagamato e sodo. Far asciugare per bene e lasciar raffreddare. In una terrina a forma semisferica versare strati di sedanini, ponendoli orizzontalmente, e ragù. Premere delicatamente e tenere in frigo almeno 24 h. Stendere la sfoglia, aiutandosi con le mani, alla base di uno stampo tondo di diametro minimo 26 cm. Lasciare un po' di pasta eccedente dal bordo, tenendo conto che per la base dovrete impiegare solo i 4/9 della frolla. Versare il ripeno, capovolgendo la semisfera. Deve restare la forma a cupola. Unire al resto dell'impasto 8 cucchiai di farina e acqua calda sufficiente a re-impastare. Con il matterello stendere su un canovaccio umido, con molta pazienza. L'olio tende a trasudare ma la farina impiegata per asciugarlo dev'essere poca, o ci ritroviamo con una pasta da strudel ;-) Molto pazientemente capovolgere il canovaccio sulla cupola di ripieno, badando che l'impasto riesca ad arrivare fino alla base. Fissare la circonferenza della base con quella della copertura, magari cercando di ottenere motivi decorativi. Aprire sulla sommità un buchetto di 1 cm di diametro, il 'camino'. Con la pasta eccedente e dei tagliabiscotti formare motivi decorativi da incollare con un po' di acqua tiepida. Infornare a 180° per almeno 1h10'-1h20'. A 10' dal termine della cottura pennellare con il malto sciolto nel latte vegetale e lasciar asciugare finché il colore diventa delicatamente ambrato. Sfornare e far raffreddare molto lentamente prima di togliere dallo stampo. Avete voglia di leggervi qualcosa? Ecco qui: Bassi, C.(1994) Perché Ferrara è bella, Ferrara, Corbo
www.simonaskitchen.com
Astrofiammante di Viaggiare è come mangiare con 'Risotto al radicchio rosso e Valpolicella'
Oggi vi do qualche notizia in merito ad una piazza della mia città che è il salotto dove i veronesi si siedono per l'aperitivo piuttosto che per un caffè e dove specialmente l'estate trovare posto non è così scontato. La piazza, nata come foro romano ha, come si può immaginare una longeva età e già da allora la sua vocazione era quella degli affari economici e commerciali, ma di quell'epoca poco è rimasto .... o meglio poco è rimasto a vista, perchè in realtà la parte romana si trova a 4 metri sotto il livello della strada odierna, infatti appena si mette mano a qualsiasi scavo, immancabilmente viene fermato dalla sovrintendenza ai beni culturali e spesso richiuso.
www.simonaskitchen.com
Il suo nome Piazza delle erbe però è dovuto piÚ che altro all'epoca della signoria degli Scaligeri che riqualificarono la piazza in cui a parte gli animali vivi da allevamento......si vendeva di tutto molte erano le bancarelle di cibarie sia di formaggi che di carni e specialmente di verdure con bancarelle di ortolani.
www.simonaskitchen.com
di cui purtroppo ne sono rimaste un paio, nel perimetro della piazza vi erano negozi di stoffe, mercerie, spezierie e orefici, ma vi erano anche sartori e ciabattini, insomma quel che oggi per noi è un vero e proprio centro commerciale..................
www.simonaskitchen.com
su un lato si notano ancora gli affreschi delle case Mazzanti che la famiglia nobile omonima ha fatto decorare nel 1500 con allegorie dell'ignoranza, dell'invidia e della prudenza. Al piano terra ora vi sono antichi caffè e osterie che richiamano i turisti e i veronesi a frotte. Nella piazza vi è anche una fontana detta madonna Verona di cui vi do alcune spiegazioni a riguardo tratte dal sito Veronissima.
www.simonaskitchen.com
- Essa è infatti una grande rappresentazione simbolica della stessa città di Verona. Fu costruita da Cansignorio, ultimo dei grandi signori della famiglia Della Scala, nel 1368, utilizzando una grande vasca termale romana in marmo rosso di Verona e sormontadola con una statua il cui corpo anche era un originale romano, forse addiritura una delle statue acroteriali che decoravano il campidoglio nel foro. La testa e le braccia, mancanti, furono aggiunte al momento della realizzazione della fontana. Verona risultò quindi raffigurata come una bella regina (mea domina appunto, contratto in madonna, l'appellativo con cui venivano chiamate le nobildonne nel medioevo) il cui corpo, come le origini della città, è di epoca romana mentre capo e braccia risalgono al successivo momento di massimo splendore della città, il '300 con la Signoria Scaligera.
www.simonaskitchen.com
Nello stelo che regge il piedistallo della statua sono raffigurati i volti dei quattro regnanti della città: il mitico Vero, Alboino re dei Longobardi, Berengario e nuovamente Verona regina. La Piazza almeno secondo me non ha niente da invidiare ad altre piazze altrettanto belle delle nostre città italiane, ma se fino a non molti anni fa le bancarelle erano prettamente di verdure e prodotti del territorio ora purtroppo ne son rimasti una manciata, sostituiti da bancarelle di souvenir che ben poco hanno a che fare con la città stessa.....questo è il prezzo da pagare per la globalizzazione che ha i suoi aspetti positivi ma anche purtroppo quelli negativi come quello di rendere tutto omogeneo e poco caratteristico. In onore a questa piazza che di "erbe " era ricca ho dedicato la mia ricetta di risotto tutto improntato sui prodotti veronesi a partire dalla verdura che rappresenta l'insalata dell'inverno veronese, il radicchio rosso di Verona dalla forma oblunga e ben accartocciata su sè stessa, si distingue da quello di forma lunga di Treviso e da quello di forma rotondeggiante di Chioggia.
www.simonaskitchen.com
L'altro prodotto che non può mancare sulle tavole veronesi e che io ho usato per questo risotto è il vino della valpolicella dal rosso rubino e dal sapore asciutto, per continuare con una buona ricotta affumicata e il burro di malga della lessinia, i monti che stanno alle spalle della città e per finire il profumo dell'olio delicato del lago di Garda.
Ingredienti per 4 : 350 gr. di riso vialone nano, 200 gr. di radicchio rosso di Verona, da 750 ml. a un litro di brodo vegetale, una piccola cipolla bianca, 1 bicchiere e mezzo di buon vino rosso Valpolicella, 30 gr. di burro e 3 cucchiai di olio evo, 80 gr. di ricotta fumè della lessinia più altra per finire il piatto, sale e pepe qb. Preparazione : grattugiare la ricotta e prepararne anche una parte a scaglie che decoreranno il piatto finale. Lavare il radicchio, scolarlo dell'acqua in eccesso e tagliarlo a listarelle. Tritare la cipolla e metterla a stufare a fuoco basso con l'olio e il burro fino a quando sarà tenera e trasparente. Aggiungere il radicchio, cuocere per pochi minuti fino a quando comincia ad appassire, versare allora il vino e alzare la fiamma per evaporare l'alcool, tornare a fuoco moderato e lasciare cuocere per circa 10 minuti. Versare il riso lasciandolo insaporire con il radicchio e il vino rimasto per qualche minuto. Aggiungere a più riprese il brodo vegetale e portare a cottura, a fuoco spento versare la ricotta grattugiata e una piccola noce di burro per mantecare, impiattare decorare con le scaglie di ricotta fumè, girare con un filo d'olio e una spolverata di pepe macinato al momento.
Micol e Cecilia del blog 'Muffins e dintorni' con 'Le trote, un laghetto e un suggestivo borgo medievale' A poca strada da Modena si apre l'Appenino Tosco-Emiliano e nel periodo primaverile/estivo ci capita spesso di trascorrere il weekend tra un'escursione e una grigliata nella casa di famiglia alle Piane di Mocogno. Appassionato pescatore, il mio fidanzato-sono-come-Bear-Grylls è capace di passare giornate intere a dare la caccia alle trote ai laghetti Oasi Serena. Dopo un riposino al sole e aver letto qualche capitolo di un libro, io solitamente vado a fare una passeggiata in uno dei paesini che preferisco, Fiumalbo.
www.simonaskitchen.com
Borgo medievale calato nei boschi e abbracciato dai torrenti (il suo nome deriva da Flumen Album = fiume bianco), Fiumalbo è un'opera d'arte in pietra e le sue origini sono antichissime; è documentata nel 1038 la sua donazione al vescovo di Modena da parte di Bonifacio di Toscana, padre di Matilde di Canossa. Eletta "Città d'arte", Fiumalbo è costellata di piccole botteghe artigiane e di scorci suggestivi e vi suggerisco di visitarla il 23 agosto in occasione della festa del patrono, San Bartolomeo Apostolo: tutto il borgo, torrente compreso, è disseminato di lumini e in quest'atmosfera magica viene eseguita una processione nelle strade del paese.
www.simonaskitchen.com
Tornando al laghetto e alle trote devo ammettere che...le ha pescate davvero!! Piccoline ma fresche! E cosĂŹ le ho cucinate in abbinamento a una crema di ceci.
www.simonaskitchen.com
Bocconcini di trota su crema di ceci Ingredienti (4 porzioni) 250 g ceci secchi 2 trote iridee fresche 2 rametti di rosmarino fresco olio evo sale pepe Mettete a bagno nell'acqua fredda per almeno 12 ore i ceci, avendo cura di cambiare l'acqua almeno una volta (dopo 6 ore). Scolate i legumi e metteteli in una casseruola con una quantitĂ d'acqua doppia rispetto al loro volume. Unite gli aghi di rosmarino e salate. Cuocete per almeno 50 minuti, finchĂŠ i ceci saranno morbidi e l'acqua quasi asciugata. Nel frattempo pulite le trote e ricavate 4 filetti senza pelle. Passate i ceci nel mixer, aggiungendo acqua tiepida e qualche cucchiaio di olio fino ad ottenere una consistenza cremosa. Per affinare la salsa passatela nello chinois o in un colino a trama larga. Fate scaldare 3 cucchiai di olio in una padella e saltate i filetti di trota alcuni minuti da entrambe le parti. Mettete due mestoli di crema di ceci in ciascuna fondina, adagiate sopra i filetti di trota divisi a bocconcini, condite con sale, pepe nero e un filo di olio crudo e servite.
www.simonaskitchen.com
Deborah del blog 'Il sapore del verde' con 'Puntarelle in salsa di acciughe'
Ho letto di questo contest e non ho resistito; l'amore, l'attenzione per l'arte permea in profondità la mia vita. Alcune volte esco al mattino, la domenica, e vado a passeggiare per i vicoli del centro... Roma è un libro aperto sulla storia, anzi, è molto di più perchè la storia continua a vivere in ogni suo angolo, a rinnovarsi, a scriversi.... Così, anche ogni aspetto, ogni palazzo, lastricato nuovo finisce per essere storia, arte e cultura. E' fantastico...
www.simonaskitchen.com
Di Roma avrei potuto scegliere ogni angolo, ogni pietra persino, centinaia di monumenti. Pasquino però è per me quanto di più poetico esista legato alla tradizione, alla leggenda del popolo, alla vita di strada che anticamente come ora pulsa e rende speciale questa città.
A Roma, già nel 1500, era un uso consolidato, quello di affidare il malcontento del popolo alle statue. Nottetempo, cartelli con satire in versi che colpivano i personaggi pubblici più in vista, venivano appesi al collo delle statue nei punti più frequentati della città, in modo che al mattino potessero essere visti e letti da tutti, prima di essere rimossi dai tutori dell'ordine. Queste invettive pungenti vennero chiamate “Pasquinate”, proprio dal nome della statua che meglio manifestava il malcontento del popolo per la corruzione e gli abusi dei potenti. Ma non solo: gli stessi potenti molto spesso usarono Pasquino per diffondere maldicenze contro gli avversari politici: naturalmente retribuendo in maniera adeguata gli autori.
Le vittime non mancarono, ma non bastarono a mettere a tacere le rime, che colpivano soprattutto la fruizione di una certa “prostituizione di lusso” da parte dei pontefici. Fu così che col tempo Pasquino divenne il vero oppositore degli eccessi della Corte papale e le invettive andarono scemando solo con la fine del potere temporale dei papi, con la Breccia di Porta Pia . Pasquino tornò a parlare più di rado: durante il fascismo, in occasione della visita di Hitler a Roma, sferrò una dura critica contro le ingenti spese per le pompose scenografie che erano state allestite per l'arrivo del dittatore nazista. Ancora oggi la statua non manca di esprimersi in maniera pungente, nonostante i ripetuti tentativi di metterlo a tacere.
www.simonaskitchen.com
Foto e testi storici tratti dal web
Le puntarelle rappresentano un piatto tipico di questa città dai sapori autentici, forti, decisi eppure poveri. Ingredienti di uso comune, di facile reperibilità, di basso costo e grande resa... Le puntarelle condite con le alici sono un contorno eccezionale! Se non le avete mai provate, dovete assolutamente rimediare! Puntarelle alla salsa di acciughe Gli ingredienti sono tutti "ad occhio", le quantità variano in base al numero dei commensali, per il condimento tutto è legato al vostro gusto personale; si tratta di sapori "intensi" regolatevi di conseguenza!
Occorrono: puntarelle (ossia germogli di cicoria di campo, si trovano già adeguatamente tagliate e pulite per essere condite), acciughe sott'olio (o sotto sale, ben lavate), aglio, olio evo, aceto balsamico (o di vino rosso), sale e pepe.
Lavate accuratamente le puntarelle, fatele scolare completamente. Nel frattempo preparate nel mortaio un battuto utilizzando l'aglio e le acciughe, quindi aggiungetevi olio, sale, pepe ed aceto. Condite con la salsa ottenuta le puntarelle, mescolandole bene affinchè il sapore si amalgami bene. Lasciate marinare per alcune ore. La salsa aromatizzata deve leggermente "cuocere" le puntarelle stesse che risulteranno comunque croccanti al palato pur avendo assorbito il sapore ed il profumo del condimento. Prima di servire, aggiustate di sale e pepe.
www.simonaskitchen.com
Valentina da Leivi con 'Focaccia con le polpe'
Domenica scorsa le aziende che partecipano al Mercatino di Leivi hanno organizzato un'occasione per fare conoscere i loro prodotti, percorrendo uno dei sentieri pi첫 belli del nostro comune, con un panorama spettacolare che spazia a 360째 tra la costa e l'entroterra: l'itinerario delle 5 Torri che da S.Bartolomeo porta al Bocco.
www.simonaskitchen.com
Questa è una delle 5 torri: si tratta di un'unica torre di avvistamento, su pianta quadrata e con una struttura massiccia e pulita dominante interamente la vallata leivese. Risalente al XIII secolo è situata adiacente la chiesa di san Rufino e assieme alle altre presenti nella zona costituiva il sistema difensivo dell'allora cittadina medievale di Chiavari. La torre, molto simile come struttura ad una già presente a Chiavari, raggiunge complessivamente un'altezza di quattordici metri e su ogni parete dei piani posteriori sono ben visibili le feritoie usate per il lancio delle frecce. Lungo il percorso erano previste delle soste dove le aziende servivano ai partecipanti assaggi dei loro prodotti: il pluripremiato olio di Leivi, il vino, il miele, le torte di verdura e quelle dolci. Anche alla nostra associazione è stato chiesto di essere presente: Serafino ci ha messo a disposizione la farina di castagne ed il patè di olive, Claudia ha preparato il castagnaccio ed io la focaccia con le polpe di olive, di cui voglio assolutamente raccontarvi la storia, perchè ho scoperto che in Liguria una volta era una delle cose che si mangiavano nel periodo dei morti, cioè quando Halloween era Ognissanti, altro che dolcetto o scherzetto, dita di strega, ragni e affini!!! Halloween l'abbiamo fatto nostro perchè è divertente, certo meglio che, come mi toccava fare da bambina, portare i crisantemi al cimitero; non fraintendetemi, non è che non mi piaccia trovare occasioni per festeggiare, ma le tradizioni rappresentano le nostre radici e non voglio nemmeno che vadano a finire nel dimenticatoio!
www.simonaskitchen.com
Per tornare alla nostra focaccia - con l'impasto ho preparato anche piccole focaccine fingerfood - pare che sia nata per utilizzare quello che restava dalla spremitura delle olive, perchè una volta non si buttava via niente. Mauro del frantoio invece mi ha confessato che ne butta via a quintali perchè non è attrezzato per il confezionamento :(( niente a che vedere con il patè di olive, è molto più grossolana, la mettete in un vasetto e la coprite con olio di Leivi, bè... è indescrivibilmente d e l i z i o s a ! Essendo che le olive si frangono in questo periodo, la focaccia si preparava giusto a Novembre. Tra gli altri piatti della tradizione lo stoccafisso con bacilli, legumi piccoli e scuri, una via di mezzo tra le fave ed i ceci, simbolo gastronomico della ricorrenza con il loro fiore nero. Per tradizione era piatto unico al quale seguivano i balletti, le castagne bollite in acqua con rametti di finocchio selvatico. Le nonne preparavano per i nipoti delle collane fatte con 10 balletti alternate ad 1 mela carla (ormai introvabili) fino a formare una sorta di rosario e sui comodini si accendevano gli offizieu, delle sottili candele colorate plasmate nelle più svariate forme, per dare il benvenuto alle anime trapassate che si pensava facessero visita mentre tutti erano alla messa. Per accoglierle al meglio si rifacevano i letti con lenzuola di bucato, si preparava la casa accogliente e pulita e si lasciavano le finestre aperte. E adesso che vi ho erudito sulle nostre tradizioni, vi lascerò una ricetta non convenzionale ma estremamente pratica e veloce, che uso quando il tempo stringe e che dà ottimi risultati, mentre se volete procedere come andrebbe fatta, trovate la ricetta precisamente qui con dosi, procedimento che è un po' lungo, e tanto di videoricetta. NO KNEAD FOCACCIA di Giorgio Locatelli dal blog Il Cavoletto di Bruxelles con qualche mia modifica Ingredienti per l’impasto farina manitoba 250g farina 00 250g polpa di olive, in mancanza patè 50 gr lievito di birra fresco 15g acqua a 20°C 225g
www.simonaskitchen.com
olio d’oliva extravergine 2 cucchiai sale 10g per la salamoia acqua a 20°C 65g olio d’oliva extravergine 65g sale 25g Mescolate tutti gli ingredienti della salamoia in una bottiglietta di plastica vuota, del tipo con il tappo apri e chiudi (avete presente quella del Gatorade?), agitandola vigorosamente. In una ciotola mescolare le farine, il patè di olive ed il sale, versare al centro l’olio e il lievito sciolto nell’acqua(nota: questa è la quantità indicata dal Locatelli, nella pratica ci va un po’ più acqua, diciamo fra i 50 e i 75ml in più, si può fare tranquillamente a occhio, considerando anche l'aggiunta del patè di olive, aggiungendone poca poca fino a ottenere un’impasto che si possa girare con un cucchiaio), mescolare bene il tutto con un cucchiaio senza impastare, poi ungere la superficie dell’impasto con poco olio e lasciar riposare coprendo la ciotola con un panno per 10 minuti. Ungere poi una teglia da forno ma appena appena in modo che l'impasto non scivoli indietro quando lo allargate, ungere di nuovo leggermente la superficie e lasciar riposare per 10 minuti. Poi, con le mani, stendere la focaccia perchè arrivi a coprire tutta la teglia. Lasciar riposare per 20 minuti. A questo punto, con la punta delle dita, formare tanti buchetti sulla superficie dell’impasto, rimescolare la salamoia e versarla tutta sulla focaccia, riempiendo tutti i buchetti formati prima. Lasciar riposare di nuovo per 20 minuti. Infine infornare il tutto a forno già caldo a 240°C, lasciando cuocere finché la focaccia non sia dorata. Appena uscita dal forno spennellatela ancora con altro olio. Se riuscite a resistere ;) lasciate intiepidire su una griglia prima di servire.
www.simonaskitchen.com
Ecco una focaccina ancora calda servita con la stracchinata ligure Doge di Genova del Caseificio di Rossiglione Toldina da Bolzano con ' I biscotti biricchini i tirolesi spitzbuben' Con la ricetta che vi presenterò a breve, vorrei parlarvi della mia città, Bolzano. Le informazioni sono state prese in parte da Wikipedia, in parte dai miei appunti come guida nelle giornate di primavera organizzate dal Fondo per l’Ambiente Italiano (FAI). Questa tranquilla cittadina a soli 264 metri sul mare, nacque come città già nel 1268 con il nome di Bautzanum. Essa è circondata completamente da monti e per questo si trova in una sorta di conca. Da questa sua particolare posizione ne consegue che il clima sia molto caldo, d’estate, e molto freddo, d’inverno. Gli abitanti sono circa 105.000, ma molti non sanno che quasi il 30% della popolazione sia di madrelingua tedesca. Alcuni documenti attestano che già
www.simonaskitchen.com
nel 1100, la popolazione parlasse anche tedesco. Da lì nacque anche l’odierno nome tedescoBozen, con cui è indicata su atlanti e cartine geograficheSecondo alcuni ritrovamenti, pare che già nella preistoria si trovasse un villaggio retico, dove oggi sorge l’ospedale San Maurizio, e che nel 15 a.C. il generale Druso avesse un suo accampamento militare nella città. Nel medioevo la città divenne un luogo di passaggio per le popolazioni transalpine. Nel XXII secolo venne costruita l’odierna famosa Via Portici, che unisce Piazza Erbe con Piazza Municipio, lunga circa 350 metri, che serviva per ripararsi dai venti meridionali. Essa è affiancata da case alte e con al piano terra il portico, dove all’epoca venivano esposte le merci riparate dal caldo, dal freddo e dalle precipitazioni. Oggi si trova una schiera di negozi delle più svariate marche.
L’attuale piazza del Grano (Kornplatz), venne fondata già nel 1277 e oggi conserva ancora resti medioevali e un pezzo di mura, che la delimitava.
La città, all’epoca, era difesa da 5 torri, da 3 porte e da una cinta muraria, che vennero abbattute nel 1277 con la conquista della città da parte del conte di Tirolo Mainardo II. L’attuale duomo venne costruito in stile romanico tra il 1078 e il 1082 e possedeva solo due navate. Ma nel 1180, i mercanti bolzanini, diventati molto ricchi, decisero di costruire una nuovo chiesa, molto più grande, per cui abbatterono la struttura romanica ad eccezione della facciata.
www.simonaskitchen.com
In seguito alla rivoluzione francese e la Pace di Presburgo che seguì alla sconfitta dell’Austria, la città venne annessa dapprima, dal 1805 al 1809, alla Baviera e successivamente al Regno d’Italia tra il 1809 ed il 1813. Dopo la caduta di Napoleone, la città tornò all’Impero austroungarico, al quale rimase fino al 1918. Nel 1919, dopo la prima guerra mondiale, la città di Bolzano, insieme al resto dell’attuale provincia, venne annessa all’Italia. Nel periodo fascista la città subì una forte italianizzazione e venne costruito il Monumento alla Vittoria, ancora oggi al centro di numerose polemiche, che doveva esaltare il carattere italiano della nuova provincia e umiliare l’Austria sconfitta.
Durante la seconda guerra mondiale, successivamente all’armistizio italiano, Bolzano, insieme al resto dell’Alto Adige e delle limitrofe province di Trento e Belluno, venne inclusa nella Operationszone Alpenvorland-Zona d’Operazione delle Prealpi creata da Adolf Hitler (quindi annessa de facto al Terzo Reich seppur appartenente de jure alla Repubblica Sociale Italiana) e ne divenne il capoluogo, con l’istituzione del Campo di transito di Bolzano. In questo periodo vennero ripristinati i toponimi tedeschi anche in città, mantenendo però il bilinguismo. Tra gli altri luoghi importanti della città, non va dimenticata Piazza Walther, su cui si affaccia il duomo, e palcoscenico delle più importanti manifestazioni cittadine. Come non menzionare il famosissimo mercatino di Natale, che attira ogni anno migliaia di turisti, la Festa dei Fiori, la Festa della Zucca e la Festa dello Speck, che colorano e ravvivano il centro storico della città.
www.simonaskitchen.com
www.simonaskitchen.com
Altra meta d’obbligo per i turisti è il Museo Archeologico dell’Alto Adige, situato alla fine di Via Museo, che conserva l’ormai famosa mummia del Similaun, Otzi.
Nella città, tuttavia, non mancano anche ampissimi spazi verdi. Infatti, tra il centro città e il quartiere di Gries, è presente un’enorme passeggiata nel verde, la passeggiata del Talvera (dal nome del fiume che la attraversa) con grandi prati, parchi giochi per bambini e campi da calcio, in cui si allenano le squadre più importanti della città.
Non molto lontano dalla passeggiata, si trova una delle strutture balneari più grandi d’Europa, il Lido. Esso presenta sia due piscine al coperto, per le stagioni fredde, sia tre piscine grandi e una per bambini all’aperto, circondate da grandi prati verdi e campi da gioco, che sono la meta preferita dei bolzanini, quando non sono in vacanza.
www.simonaskitchen.com
La ricetta che vorrei presentare è di origine tirolese, come gran parte delle ricette alto atesine e bolzanine. Questi biscotti vengono preparati nel periodo dell’Avvento e spesso vengono regalati per Natale. Il nome tedesco originale è “Spitzbuben”, ovvero i “birichini”, perchè il biscotto originale prevede due forellini per gli occhi e una mezzaluna per la bocca, ricordano il viso di un bambino. Ingredienti (per circa 20 biscotti doppi): -300 gr farina -250 gr burro -150 gr zucchero -100 gr mandorle tritate con il mixer -1 uovo -1 bustina di zucchero vanillinato -1 presa di sale Farcitura e decorazione: -
marmellata alle fragole e/o ai lamponi marmellata di albicocche e/o all’arancia crema di nocciole (Nutella) crema di marroni, ecc… zucchero a velo cioccolata fondente una fialetta di aroma all’arancia per dolci
Procedimento: Preparare l’impasto mescolando a mano in una terrina la farina settacciata, il burro tagliato a cubetti, l’uovo, lo zucchero normale e quello vanillinato, le mandorle tritate precedentemente con il mixer. Formare una palla ben compatta, avvolgerla nella pellicola e lasciarla riposare in frigorifero per un’oretta almeno. Trascorso il tempo, stendere l’impasto con il mattarello e con uno stampino grande (circa 6 cm di diametro) a forma di cerchio o di fiore, ritagliare delle formine in numero pari. Dopo di che, su metà dei biscotti ottenuti vanno fatti dei buchi: nei biscotti tondi, vanno fatti tre fori nel centro, mentre nei biscotti a fiore, va fatto un unico buco
www.simonaskitchen.com
centrale (si può utilizzare per esempio l’attrezzo che viene usato normalmente per togliere il torsolo dalle mele). Infornare a 180° per almeno 10 minuti.
Una volta tirati fuori dal forno, bisogna decidere come farcirli. La ricetta tradizionale prevede la farcitura con marmellata di albicocche e/o di fragole, che viene messa sui biscotti che non hanno fori. Viene poi composto il biscotto finale, mettendo un biscotto con i buchi, sopra un biscotto dove è stata messa la marmellata. Per finire, una spolverata di zucchero a velo prima di servirli.
La variazione prevede che una superficie dei biscotti con i buchi venga immersa nella cioccolata fondente, sciolta lentamente in un pentolino a fuoco basso e aromatizzata con qualche goccia di aroma all’arancia. Per intingere i biscotti nel cioccolato, conviene mantenere le dita nei buchi, così che siano facilmente manovrabili. Lasciare, quindi, raffreddare la copertura, mentre si ricopre con la marmellata la superficie dei biscotti privi di fori. Volendo, si può guarnire anche la ciocccolata, mentre si raffredda, con granella di nocciole, cocco, pistacchi, ecc. Comporre il biscotto finale, mettendo un biscotto immerso nella cioccolata, sopra ad uno ricoperto con la marmellata.
www.simonaskitchen.com
Un Grazie di Cuore a Tutte!!! Simona :-)
www.simonaskitchen.com