1988, così cambiò l'estetica contemporanea Come la moda è cambiamento, così Vogue, in qualità di fashion magazine, deve esserlo. La domanda è: quale viene prima? Quale cambiamento condiziona fortemente l’altro? simonerossi · 14 maggio 2014 · 4 minuti Un fatto determinò radicalmente l’immagine che noi abbiamo della moda e che la moda “canonica” (colei la quale possiede più potere di mercato e capitale e perciò detta le regole) rimarca ogni giorno attraverso riviste, eventi mondani e passerelle, ed è l’arrivo di Anna Wintour a Vogue America nel 1988. Sin dalla copertina del suo primo numero (Novembre 1988) si capì che l’orientamento estetico, concettuale e commerciale della rivista era cambiato in modo netto e deciso. A differenza della sua predecessora Grace Mirabella, solita posizionare in copertina primi piani di volti perfetti e bellissimi di modelle (non ragazzine!) sensuali e moderne sempre rivolte verso il lettore, Anna (ci prendiamo la confidenza di omettere il cognome) sceglie di mostrare una modella giovanissima, non così perfetta esteticamente (per i canoni dell’epoca, e per i nostri ancor più!, risulta essere un pò sovrappeso), ritratta a figura quasi intera mentre ha gli occhi quasi socchiusi e non guarda verso la camera. Solo questo è una rivoluzione. In più, se, oltre a vestire un paio di blue jeans Guess assieme ad un top (sarebbe parte di un vestito, ma la gonna non entrava alla modella Michaela Bercu) costosissimo di Christian Lacroix compare anche nei titoli in prima pagina la frase “haute but not haughty” allora, è rivoluzione. E lo è per davvero molti motivi. Il primo è quello, che all’epoca fece scalpore e che oggi consideriamo normalità assoluta, di far indossare ad una modella (in carne, non in posa, con uno sguardo un pò naif, in un costesto urbano) di un mensile elitario femminile un paio di jeans. Non era mai successo. Vogue si era sempre preoccupata di presentare e valorizzare l’haute couture, le settimane della moda più esclusive, i marchi più pregiati. Invece, al semi-abito di Lacroix viene affiancato un jeans di un marchio americano (altro aspetto da non sottovalutare e non casuale; pubblicizzerà spesso brand americani nel corso della sua carriera) che tutto era tranne che alta moda; era molto cheap. Il titoletto “haute but not haughty” (alta moda, ma non altezzosa) fa il resto. L’alta moda scende in strada. Anna decide che è ora rompere i confini restrittivi che governavano le dinamiche tra alta moda e pret à porter facendo vedere a tutti che anche una semplice ragazza per strada può vestire un Lacroix. Sembra niente, ma è un cambiamento importantissimo nella cultura contemporanea. Da qui nasce il successivo utilizzo delle star hollywoodiane nelle copertine di moda, nelle sfilate, nelle pubblicità oggi così in uso. Nasce nel momento in cui al lettore (che ormai quindi non è solo la donna benestante in carriera ma anche la giovane in cerca di un’identità) non basta più una propria identificazione diretta ma ha bisogno di nuovi idoli da imitare; le star. Da questo momento nasce l’importanza della figura dello stylist (creditato proprio in quella copertina per la prima volta) e si dà molta più importanza al fotografo di moda (basti pensare che per l’occasione chiamarono Peter Lindbergh) colui che ha il compito di cogliere il cambiamento di immaginario e di atmosfera. Da qui si muta irreversibilmente il gusto visivo delle persone e cambia l’approccio con discipline come la moda e il design e il rapporto con i media. Vogue gode di un enorme potere commerciale e decisionale in tutto il mondo (tanto da condizionare non solo il successo di singoli designer ma anche di determinare la durata delle settimane della moda). Il fatto curioso è che a dirigere tutto questo, e quindi ad influenzare pesantemente i gusti, gli stili e l’immaginario contemporaneo, son le stesse poche persone da più di vent’anni (si guardi oltre ad Anna anche Franca Sozzani direttrice di Vogue Italia casualmente dall’88). Anne asserisce che, come la moda è cambiamento, così Vogue, in qualità di fashion magazine, deve esserlo. La domanda è: quale viene prima? Quale cambiamento condiziona fortemente l’altro? Alla fine regge sempre la sentenza fatta da Diana Vreeland (direttrice Vogue America fino al 1971 e personalità fondamentale per l’estetica curatoriale della moda e l’immagine stessa del prodotto) nel 1960: «Most people haven’t got a point of view; they need to have it given to them»; (la maggior parte delle persone non ha un punto di vista, c’è bisogno di dargliene uno).