I S S U E #0007SUL LINGUAGGIO OLTRE IL BINARISMO DI GENERE
Issue #0007 Sul Linguaggio Anno 2021
– IUAV – Questo numero fa parte della collana sul tema “Oltre il Binarismo di Genere“ promossa dall’università IUAV di Venezia, e in particolare dal corso di laurea magistrale in Arti Visive. Il progetto editoriale – Oltre Il Binarismo di Genere – nasce nel 2018, in un momento di grande espansione dei gender studies, che iniziano a trovare maggiore spazio, oltre che a livello sociale e culturale, anche a livello accademico e istituzionale in Italia. Il corso di laurea in Arti Visive, da sempre attento a indagare il contemporaneo, i nuovi discorsi intorno all’immagine e la cultura del progetto, dopo aver inaugurato una collana su la “Semiotica del visivo” e una su “Media e Cultura Visuale”, ha accolto il fermento culturale in atto, attivando un percorso di ricerche sul “post-umano e genere nella teoria e nella pratica artistica”, di cui questa rivista è uno dei prodotti. Così, da contrappeso alle indagini sulla tradizione classica condotte dalla redazione di “Engramma”, rivista interna all’ateneo di studi warburghiani e iconologici, lo IUAV si accinge ad approfondire un nuovo ramo di ricerca con l’augurio che sia fruttuoso e duraturo quanto quelli precedenti.
UNIVERSITÀ IUAV, VENEZIA
NUOVI SCENARI SIMONE ROSSI Da alcuni anni la questione di genere ha registrato in occidente, a livello linguistico, un rinnovato interesse, fino a divenire un caso istituzionale diffuso. Nelle loro diverse correnti e nei molteplici contesti culturali in cui hanno esercitato un ruolo, i pensieri femministi hanno condiviso tutti un denominatore comune: il superamento del dominio politico, sociale e culturale dell’uomo sulla donna. In questo caso l’obiettivo non cambia e si arricchisce di nuove sfumature, prendendo in causa tutte le tipologie di soggetti queer (ossia soggetti sessualmente, etnicamente o socialmente insoliti/eccentrici rispetto alle definizioni di normalità codificate dalla cultura egemone). Dopo il suffragio femminile, avvenuto nella maggior parte dei paesi europei a cavallo tra le due grandi guerre del ‘900, dopo la nascita dei women studies degli anni ‘70 (che coincidono con la seconda ondata femminista, la quale ha il merito di inserirsi nelle università come programma di critica radicale all’intero sistema dei saperi) e lo sviluppo nei paesi anglofoni dei cultural e gender studies (con le diverse ramificazioni teoretiche e metodologiche che vanno a definire visioni post-coloniali, post-strutturaliste, antiessenzialistiche, decostruttiviste, ecc.), e dopo le riforme del lavoro che mirano ad un sistema di pari retribuzione e diritti, negli ultimi anni il territorio linguistico è stato oggetto di un interesse specifico, tanto da far intervenire al dibattito entità quali l’università di Oxford e l’Académie Française. In una dimensione artistica e visuale il mondo queer è ormai assolutamente protagonista e il movimento sembra in perenne ascesa. Oggi, anche il settore moda
vede affermarsi una nuova corrente made in USA, che tende ad una diversa tipologia di identità collettiva, e capace di relazioni innovative con l’arte contemporanea (vedi Eckhaus Latta, Telfar, Vaquera, 69). Inoltre, il panorama queer sta portando al centro della scena contemporanea una rinnovata Los Angeles, la quale sta affrontando un periodo di grande rinascita culturale. Il tema linguistico in ambito femminista non nasce di recente, (Luce Irigaray, teorica della differenza sessuale francese, allieva di Lacan, si concentrò ad esempio sull’analisi e sulla decodificazione del linguaggio per individuarne e scardinarne le dinamiche e i processi di potere, già a partire dagli anni ‘70) ma è redivivo e ora sconfina al di fuori degli studi specifici di settore. Il linguaggio, però, è difficilmente permeabile ad assorbire cambiamenti cosi significativi; la società reagisce a rilento, e così per molti anni queste modificazioni, atte a costruire una lingua meno discriminatoria, che tenga conto di una terza via nell’identità di genere, che generi nuovi sostantivi utili a ridefinire rapporti sessuali, nuclei sociali e relazioni umane, hanno avuto molti impedimenti non soltanto a imporsi, ma semplicemente nel porsi. Alterare una lingua, come quella italiana, in cui il neutro se esiste è lasciato in mano al maschile, in cui la concordanza degli aggettivi va a danno del femminile (o di qualsiasi soggetto non maschio cisgender), non è cosa facile da inculcare ai più. Ma il tempo è ormai maturo, anche qui in Italia. Oggi possiamo finalmente giocare con terminologie nuove, inserire asterischi inclusivi, inventare pronomi, ridefinire le regole del biopotere, con l’entusiasmo dato dall’apertura verso frontiere inesplorate e cariche semioticamente di significati ancora vergini di speculazione.
Antologia
Vocabolario
Galleria
– INDICE – >
Trigger. Gender as a tool and weapon
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Looks
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Rrose is a Rrose is a Rrose
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La Terza Via
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Pornotropia. Lingua e Genere
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Cosa succede se sei genderqueer ma la tua lingua prevede solo F/M?
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Wu TSang
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Eckhaus Latta
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Maggie West
ANTOL
ANTOL
ANTO
LOGIA
LOGIA
OLOGIA
TRIGGER GENDER AS A TOOL AND WEAPON NEW MUSEUM, NEW YORK, 2017
“Trigger: gender as a Tool and a Weapon” segna il quarantesimo anniversario del New Museum, New York, riprendendo una serie di domande poste in diverse mostre di riferimento dei primi decenni del Museo, come: “Extended Sensibilities: Homosexual Presence in Contemprary Art” (1982), curata da Dan Cameron; “Difference: On Representation and Sexuality” (1984-85), curata da Kate Linker; “HOMO VIDEO: Where We Are Now” (1986-87), curata da William Olander; e “Bad Girls” (1994), curata dalla fondatrice Marcia Tucker. Queste mostre si distinguono all’interno di un bagaglio di esposizioni che si sono avventurate in un territorio sociale e culturale sotto attacco, per sollecitare nuovi modi di pensare lo status di identità, rappresentazione, visibilità e difesa. Indubbiamente tutte le mostre del museo hanno in qualche modo rispecchiato l’evolversi dei problemi del loro tempo, ma in questi casi le complesse intersezioni di politica e teoria femminista, l’attivismo LGBTQI e la crisi dell’AIDS, hanno spinto gli artisti e i curatori ad affrontare temi che negli anni hanno continuato ad assumere nuovi significati e nuove direzioni. Quarant’anni dopo la sua fondazione, il New Museum rimane impegnato ad affrontare idee e problemi urgenti e con “Trigger”, focalizza le conversazioni odierne sull’identità per indagare il ruolo del genere nell’arte e nella cultura contemporanea in un momento di sconvolgimento politico e di rinnovate guerre culturali. La mostra presenta un gruppo intergenerazionale di artisti che esplorano il genere oltre il binarismo, per inaugurare espressioni identitarie più fluide e inclusive. Tuttavia anche la concezione di queste ultime è comunque segnata da continue trattative di potere e non può essere compresa al di fuori delle sue complesse intersezioni con razza, classe, sessualità e disabilità. Il titolo della mostra, “Trigger” (Innesco, Detonatore), prende in considerazione la gamma di significati della parola, variamente problematica e potente, ed evoca sia ricordi traumatici, sia meccanismi che, una volta messi in moto, sono in grado di innescare cambiamenti radicali.
– ANTOLOGIA –
LISA PHILLIPS
DIFFERENZA INCONCILIABILE JOHANNA BURTON Ci troviamo in una congiuntura storica specificatamente marcata da una paralisi relativa alla definizione di soggetto. Infatti, indipendentemente che i giornali e le riviste d’arte siano piene di articoli che celebrino l’attenzione che si rivolge verso aspetti di genere, razza, sessualità, classe e disabilità, rimane il punto che il sentimento di stallo è palpabile nell’aria. Quando dico “stallo” lo intendo nel senso più letterale del termine. Nel gioco degli scacchi, quando un giocatore non è in scacco matto, ma non ha nemmeno une mossa legittima da fare, la partita non finisce né con un vincitore né con un vinto. In termini politici, la situazione di stallo equivale a nessun progresso, nessun movimento avanti, nessun accordo produttivo, nessuna negoziazione. Forse è dalla fine degli anni’ 80 e dall’inizio degli anni’ 90 che non vediamo l’attenzione dell’opinione pubblica rivolgersi così vigorosamente verso la questione della rappresentanza. Quel periodo è stato definito da una vera e propria spaccatura radicale tra due posizioni binarie: i tradizionalisti da un lato e i progressisti dall’altro (intorno a questioni come l’ aborto, il controllo delle armi, l’omosessualità, la censura, la religione e la privacy). Ma le guerre culturali di oggi, come alcuni le chiamano, non coinvolgono solo promesse sostenute (e addirittura rafforzate) provenienti dall’estrema destra, ma anche promosse da una sinistra profondamente divisa, e in grave difficoltà ideologica. Basti guardare al numero enorme di articoli scritti sulla diversità, per vedere che anche le questioni una volta associate alla politica liberale vengono ora messe in discussione all’interno dei suoi stessi ranghi. All’interno del mondo dell’arte, delle
– ANTOLOGIA – Pauline Boudry / Renate Lorenz, Toxic, 2012, (still)
impasse difficili, pubbliche e spesso dolorose sono state e continuano ad esserci nei confronti della Biennale Witney del 2017, del parco pubblico del Walker Art Center e del quartiere di Los Angeles di Boyle Heights, per citare solo tre recenti siti e scene che rivelano profonde incompatibilità. Queste ultime sono state evidenziate da divergenze sul concetto d’identità, nel cuore della sfera culturale di oggi. In tale contesto ci si potrebbe chiedere: Perché una mostra sul genere? Perché dovremmo considerare il genere come uno strumento e un’arma? Per rispondere a queste domande, e per affrontare il vero argomento di cui nessuno vuole parlare, ma che va davvero discusso – che è il titolo dello show, ‘Trigger’, una parola che provoca e stimola una reazione – dobbiamo rapidamente rivisitare alcuni dibattiti chiave degli ultimi decenni. Non è esagerato affermare che l’uscita del libro di Judith Butler Gender Trouble (1990) abbia determinato un cambiamento sismico nelle discussioni riguardanti il genere. Caratterizzante come segnale per l’imminente arrivo della teoria queer, Gender Trouble fu fon-
damentale per analizzare la distinzione tra sesso e genere, senza renderli necessariamente due polarità. La premessa del libro è stata quella di mettere in discussione il ‘soggetto’ del femminismo – argomento che continua a suscitare un dibattito oggi – e di andare oltre l’idea che questo sia necessariamente la ‘donna’. Tuttavia, ciò che ha suscitato maggiore interesse è stato il coinvolgimento di Butler con il tema della ‘performatività’, e l’idea che il genere possa essere inteso in quanto iterativo piuttosto che in quanto essenziale. Se, come sostiene Butler, il genere fosse un effetto prodotto dalla ripetizione e dal riconoscimento in una data cultura, allora potrebbe essere utilizTschabalala Self, Loner, 2016 zato sia a fini personali che politici. Infatti, facendo emergere l’instabilità di genere, Butler creò un modo per spingersi al di là dei limiti culturalmente riconosciuti al genere. In questa maniera, il ‘gendered body’ non è analizzato come un ‘essere’, bensì come un confine variabile. Per molti, l’”effetto di genere” di Butler ha segnato una liberazione attraverso la destabilizzazione radicale delle norme. Per annullare le costrizioni di genere era necessario incontrare/scontrare la cultura oppressiva di massa. Eppure, un tale presupposto non ha tenuto conto di una dialettica molto più complessa, come la stessa Butler
– ANTOLOGIA –
ha ripetutamente sottolineato. Mettendo in discussione l’onnipotenza e l’inevitabilità dell’eterosessualità e delle posizioni binarie di genere ad essa legate, alcune performance di genere alternative non solo sono state permesse, ma addirittura sono divenute popolari nella cultura di massa. Butler ha chiamato questo tipo di performance – che lei ha applicato ad esempi diversi come ‘Tootsie’ (1982) e ‘Paris is Burning’ (1991) – ‘intrattenimento eterogeneo di travestimento di alto livello”, spiegando che in piccole dosi tale contenuto ha operato per provvedere ad un rilascio ritualistico per un’economia eterosessuale che deve costantemente sorvegliare i propri confini contro l’invasione della queerness. Non importa che Tootsie non fosse in realtà incentrato sulla differenza sessuale o di genere di qualsiasi tipo, che il suo protagonista fosse decisamente sovradeterminato come maschile e cisgender. In effetti, Butler alludeva al potenziale del termine allora emergente “queer” come gesto verso una miriade di forze destabilizzanti, anche quelle prodotte per essere consumate come tali. Quelle capacità di genere di negare e ricategorizzare non erano necessariamente sovversive, tanto che è stata affrontata con qualche rifiuto e delusione da coloro che vedevano questo come un allontanamento dall’essenzialismo biologico come intrinsecamente radicale. Eppure, per pensatori come Eve Kosofsky Sedwick, tale desiderio riarticolò un altro tipo di binario imposto artificialmente: quello del radicale contro il normativo. Per Sedwick, le prestazioni di genere ‘queer’ potrebbero contemporaneamente sovvertire e mantenere lo status quo. Dire così non significa minare il potere destabilizzante del genere, ma piuttosto riconoscerlo come potere. Infatti, man mano che il lavoro di Sedwick è andato ad evolvendosi sul genere, la sessualità e la queerness, ha più volte ri-orientato il suo baricentro, piuttosto che
respingere il potere, affrontando frontalmente le situazioni. Solo pochi anni dopo, uno degli studenti di Sedwick avrebbe dato un nome a questa trattativa di potere. Il concetto di ’disidentificazione’ di José Esteban Muñoz articola una modalità di interpretazione delle posizioni di genere, una modalità che non è né esplicitamente contro né a favore della cultura mainstream, ma che tuttavia la trasforma e la sconvolge. Tutti questi pensatori rifiutano, nel ribaltamento dei binarismo e della stabilità, il concetto di impasse. Il genere, visto come un atto che si fa, piuttosto che uno stato fisso dell’essere, elimina quello stadio di stallo che ho descritto all’inizio di questo saggio. Ci sono, naturalmente, frustrazioni derivanti dal tipo di definizioni non-definizioni che ho delineato sopra. Altre frustrazioni sorgono man mano che il significato di certi termini (come queer) cambiano nel tempo, le loro genealogie spesso sono così trascurate che rischiano di perdere tutti i significati. Una delle aspirazioni di ’Trigger’ è quella di far rivivere un senso delle storie linguistiche e sociali all’interno di una terminologia complessa, spesso utilizzata senza un secondo pensiero, e di puntare verso le nuove capacità dei vocabolari emergenti. Come ha scritto Sedwick in uno dei suoi assiomi ormai famosi: “le persone sono diverse l’una dall’altra. E’ sorprendente che disponiamo di così pochi strumenti concettuali rispettabili per affrontare questo fatto ovvio”. Un progetto di ‘Trigger’ è stato quello di considerare semplicemente il modo in cui affrontiamo le differenze – le loro proprie evidenze e impossibilità – e come lo facciamo in contesti che sono sempre in transizione. Si è deciso di concentrarsi su lavori prodotti negli ultimi dieci anni,mentre molti dialoghi e pratiche artistiche antecedenti al periodo hanno condizionato la mostra, sia implicitamente che esplicitamente. E’ impossibile pen-
r, 2017
Kille Weed k Staff,
(still)
Patric
sare al genere e a qualsiasi aspetto della soggettività, senza ricordare gli incredibili cambiamenti che si sono verificati in momenti storici precedenti, dalle reazioni alla crisi dell’AIDS, alla censura governativa, dalla violenza razziale a tante altre spaccature cruciali nel sociale. La particolare predilezione del New Museum di concentrarsi sulla sessualità e sul genere è, naturalmente, qui presente anche come palpabile e importante cornice locale. Morgan Bassichis, Alexander Lee e Dean Spade sostengono che la forza politica insita nelle posizioni dei ‘soggetti non conformi’ potrebbe risiedere nel fatto che essi rimangano non riconosciuti. “Che cosa significherebbe”, chiedono,”abbracciare, piuttosto che temere, l’impossibilità dei nostri modi di vivere e delle nostre visioni politiche? Che cosa significherebbe desiderare un futuro che non si può nemmeno immaginare ma che si dice che potrebbe esistere”? ‘Trigger’ si fa guidare, a questo proposito, dagli artisti. Si può dire che gli individui e i collettivi qui riuniti affrontino in modo vario il tema del genere, anche se spesso in modo obliquo, e di solito solo attraverso l’insistenza sull’intersezione profonda del genere con altri aspetti dell’identità, sia essa autocomposta o culturalmente imposta (per molti questo significa anche navigare nella collisione di questi due ordini).
Ciò che il lavoro di questo gruppo intergenerazionale di artisti condivide, non è quindi il genere come soggetto in sé, ma piuttosto un interesse per un sistema interconnesso che Sedwick ha chiamato essere “gender-y”, una tendenza che può manifestarsi come valenza o soglia sia nelle persone che negli oggetti. Si può essere, ad esempio, sia maschili che effeminati, e molto gender-y o per niente. Lungo questa linea, ’Trigger’ sostiene di non essere né una mostra queer né trans. Attraverso le domande che affronta, sintetizza canali che riprendono l’instabilità di genere e le forme che il genere potrebbe temporaneamente fondere insieme, o separare. Se c’è un impulso condiviso tra le pratiche incluse, è verso questa idea dell’impossibile come spazio di potenziale e luogo di altri futuri. All’interno di questo racconto possiamo individuare una serie di discussioni e tematiche: la famiglia scelta, i nuovi archivi come assemblaggi di Mickalene Thomas, Me As Muse, 2016
– ANTOLOGIA –
storie e desideri, la bellezza ed erotismo come attivismo estetico, e il realismo astratto (o l’astrazione reale), tra gli altri. Eppure, analizzando le varie connessioni e dissonanze tra le opere qui assemblate, gli artisti sono stati scelti non per illustrare una tesi singolare, bensì per costruire – individualmente e collettivamente –- una situazione, un insieme di argomenti concettuali-materiali che rimano insieme e si contraddicono nel tempo e nello spazio. Il filo conduttore tra questi artisti è tanto effimero quanto urgente, poiché uno degli obiettivi dello studio sul genere è quello di annullarlo. Questo disfacimento è cruciale, perché altrimenti il genere rimane sempre strumentalizzato, reso simbolico. Il 25 luglio, Trump ha comunicato il divieto, via Twitter, di arruolamento per i soldati transgender nel servizio militare, sulla base del disturbo e dei costi medici che tali soggetti assicurano. E’ ampiamente riconosciuto che la mossa non si basava su fatti, ma era semplicemente una tattica per garantirsi popolarità con il suo elettorato e, alcuni hanno supposto, per esacerbare le guerre culturali, al fine di distrarre i mezzi di comunicazione di massa dalla rovinosa amministrazione in atto. All’inizio di luglio è stato rilasciato il primo certificato di nascita al di fuori del binarismo sessuale in Canada; le opinioni su di esso sono state così calde che il volto del bambino è stato in seguito oscurato nella maggior parte delle immagini online. E, nello stesso tempo in cui show TV come Transparent attraggono un pubblico enorme e ricevono numerosi premi, la violenza contro le donne trans, in particolare quelle di colore, è aumentata, rivelando quella che è una spada a doppio taglio: la visibilità trans. Il riconoscimento è visto come un indicatore di una società aperta e liberale, ma paradossalmente può anche portare a una maggiore aggressività e alla limitazione dei diritti civili. Questi esempi dimostrano come il genere sia usato dalla cultura mainstream più ampia, che cerca di controllarlo assegnando-
gli categorie e ruoli fissi. Il genere è trasformato in un segno transazionale, per essere scambiato tra i giocatori che lo usano per determinati fini. Allora, perché un show collettivo sul genere? La nostra speranza è che “Trigger” offra una lente al di là dello stallo dell’identità, pur riconoscendo il ruolo centrale dell’identità nella cultura di oggi. Audre Lorde nel suo saggio del 1983 intitolato “The Master’s Tools Will Never Dismantle the Master’s House” sosteneva che non si possono usare gli strumenti del patriarcato razzista per esaminare i ‘frutti’ del patriarcato razzista. Seguendo questa logica, bisogna chiedersi: quali sono i nostri strumenti oggi? Qualcosa può davvero essere visto come elemento che va al di fuori delle convenzioni, dei sistemi di oppressione e delle situazioni di stallo che interroghiamo? Il genere, come bersaglio in movimento, occupa e supera utilmente il contesto in cui è compreso. Se si tratta di un’arma, è di deviazione piuttosto che di attacco vero e proprio. In effetti, dal momento che attualmente i conservatori invocano quegli ‘spazi sicuri’ che hanno deriso fino a poco tempo fa, potremmo intendere il genere come un boomerang, scagliato attraverso sistemi culturali di appropriazione e strumentalizzazione, che viene restituito trasformato. Piuttosto che scatenare conversazioni difficili che innescano un arresto del dialogo, questa mostra spera di aprire ulteriormente i confini, e di insistere sul fatto che il gioco finale relativo alla discussione intorno alla differenza, è la capacità di scorgere la differenza, o per lo meno il linguaggio per esprimerla.
– ANTOLOGIA – Troy Michie, Nobody Knows My Name, 2015
Kahlil Joseph, Fly Paper, still, 2017
– ANTOLOGIA – Justin Vivian Bond performing My Model | MySelf: I’ll Stand by You, 2017
LOOKS ICA, LONDON, 2015
‘Looks’ è una mostra collettiva che comprende artisti come Juliette Bonneviot, Andrea Crespo, Morag Keil, Wu Tsang e Stewart Uoo. Attraverso una vasta gamma di media, dalle installazioni cinematografiche alla pittura, dalla scultura alla fotografia, questa mostra esplora i modi in cui la cultura digitale di massa affronta l'identità, la sua costruzione, realizzazione e messa in discussione. Usando metodi che sono ludici e reattivi alle nuove tecnologie, molti artisti oggi si confrontano con le nozioni di un mondo post-umano, in particolare in relazione al genere e alla sessualità. Oggi, il corpo e l'espressione della sua identità non sono più automaticamente legati, e il corpo fisico nel cyberspazio è notevolmente assente. Oggetti, parole e immagini digitali sono oggi i principali strumenti di rappresentazione, in quanto le linee tra identità e marchio diventano sempre più confuse nella società tardo capitalista. Adottando la posizione del "prosumer”(consumatore professionista), spettatore e creatore individuale di cultura insieme, è il sé online che deve essere sempre presente, sempre reattivo, sempre comunicato e sempre eseguito.
Andrea Crespo, patient(s) history, detail, 2015
– ANTOLOGIA –
KATHARINE STOUT
Stewart Uoo, Save It For Later, 2014
Stewart Uoo, Bad Bitch Heaven, 2014
La nuova mostra collettiva dell’ICA, ’Looks’, può essere vista come un tempio dell’umanesimo digitalizzato e sintetizzato, dove le identità e le loro espressioni corporee crescono e si trasformano nella matrice dell’informazione infinita in rete. Le identità non esistono più senza il consumatore, senza commenti o senza un habitat online all’interno del quale poter vivere. Questo nuovo mondo consente una performance pubblica dell’identità, un’identità non più controllabile da se stessi, ma determinata e organizzata da fatti al di fuori della propria portata. Il corpo umano e la sua espressione non sono più legati. Sculture, dipinti, quadri, video, fotografie e oggetti presentati in “Looks” interagiscono tra loro nello spazio della galleria. Formalmente molto distanti, sembrano essere in costante dialogo post-umano. “A day in the life of bliss“, un film bi-canale di Wu Tsang, è contestualizzato in un ambiente quasi futuristico e fantascientifico, bagnato da neon e fatto di avatar e personaggi digitali; l’atmosfera di un nightclub futuristico sotterraneo con superfici specchianti, che riflettono immagini proiettate, fluttua tra il genere documentario e la finzione. “A day in the life of bliss“ esplora i temi della sessualità, dell’identità, delle sottoculture emarginate e delle narrazioni che le costruiscono. Nel video, è il 2017 e la società è regolata e monitorata dalle basse frequenze invisibili e dagli avatar dei social media che sono sfidati e combattuti dalla celebre figura performativa-pop BLISS, (interpretata dal performance artist Boychild). Wu Tsang affronta i temi dell’emarginazione, del queer e della narrazione trans, della politica del corpo post-umano e della ricerca di identità personali; un punto focale è come questi temi siano stati trasformati dalla dominante tecnologia, che regola la vita contemporanea e i social media.
– ANTOLOGIA –
AGNES GRYCZKOWSKA
Il tema del corpo postumano è particolarmente presente negli “Xenoestrogeni” di Juliette Bonneviot. Sette dipinti monocromatici, apparentemente rappresentativi dell’espressionismo astratto, circondano il visitatore da tutte le angolazioni, donando allo spazio un serafico, ma allo stesso tempo terribile, senso di quiete. Un incontro più ravvicinato rivela che ognuno di questi dipinti è un’attenta composizione di sorgenti pigmentarie naturali e composte, contenenti tipi di xenoestrogeni. Gli xenoestrogeni si trovano più notoriamente nelle pillole di controllo delle nascite, nei siliconi, lacche, pesticidi, detergenti, lozioni, shampoo, PVC, coloranti alimentari e plastica riciclata; si ritiene che perturbino il sistema endocrino dei mammiferi imitando gli effetti degli estrogeni, potenzialmente influenzando il genere e il comportamento. Questa indagine sul genere e sull’ecologia sembra fornire un’esplorazione della vita e del potere in relazione alle sostanze chimiche, alle sue implicazioni biologiche, culturali e filosofiche. Mentre i nostri corpi si sviluppano alterati da un prodotto chimico, un dispositivo tecnologico, un dispositivo protesico, questi non fanno che creare nuove forme di vita – pensate finora solo nella fantascienza. Il “Parabiosis-Neurolibidinal Induction Complex” di Andrea Crespo occupa lo spazio accanto. Il video di Crespo dai toni scuri con linee di scansione UV incandescenti che attraversano lo schermo, racconta una storia di patologie mentali e problemi di personalità attraverso i protagonisti Celinde e Cynthia, personaggi di manga, apparentemente schizofrenici e transgender. Sis è un sistema che gioca un ruolo cruciale in questo lavoro: è un organismo tecnologizzato che vive all’interno di reti d’informazione incarnate e permette ai personaggi di Crespo di esistere. La produzione d’identità, i pensieri, gli stati d’ animo, le emozioni e gli interessi sono espressi attraverso gli avatar online; e questo non è un fenomeno nuovo; nel lavoro di
– ANTOLOGIA – Stewart Uoo, You Can Come And Get It, 2014
Wu Tsang, The Looks, (stills), 2015
– ANTOLOGIA –
Crespo, però, Sis si spinge oltre, divenendo un sistema che è a sua volta un’identità, un composto schizofrenico di sé. Il piano inferiore della galleria è occupato da due artisti: Stewart Uoo e Morag Keil. Morag Keil esplora il problema dell’identità nell’era post-internet, così come il corpo e il suo rapporto con la struttura sociopolitica. “Leg1” è un nuovo lavoro video che presenta un tatuaggio di Amy Winehouse su un arto anonimo, mentre ”Untitled“ crea un dialogo intimo tra lo spettatore e un banale feed di Instagram. Entrambe le opere sembrano creare l’immagine di un’identità femminile metropolitana, influenzata dai social media e dalla cultura popolare. Identità e genere, nelle opere di Uoo, sembrano collocarsi, invece, all’incrocio tra fantasia, performance erotiche e pubblicità. L’identità è vista come un passaggio e, nel mondo di Uoo, la dottrina post-umana prende il sopravvento. Due femmine distopiche cyborg-manichino vengono bruciate e versano le loro interiora – cavi e fili. Questi cyborg rivelano tracce delle loro identità, che sono ispirate dallo stile femminile ‘Ghetto Goth e Boho’, onnipresente on-line. Queste opere sono giustapposte alla nuova moquette di Uoo, che raffigura una copertina di una rivista Cosmo Girl. Parole di imbarazzo sessuale o emotivo e richieste di consigli si intrecciano perfettamente in una pagina gigantesca, presentando un altro strumento per trasformare la propria identità adolescenziale travagliata in una parodia stereotipata, ma pur sempre divertente. In ‘Looks’, il genere, l’identità e il corpo umano sono come flashback allucinatori di un mondo che forse è già finito. I corpi sono esaltati o rimodellati da sostanze sintetiche; le identità sono sovramodificate, commentate e non più naturali, ma sempre dipendenti dalla velocità del wi-fi. Questo nuovo sistema potrebbe essere visto come un fattore negativo in relazione all’uomo, ma viene anche presentato come uno strumento che permette una libertà di scelta infinita e fluidità di identità e genere.
Della Grace, Jack Unveiled, 1994
– ANTOLOGIA – Della Grace, Jack’s back, 1994
RROSE IS A RROSE IS A RROSE – GENDER PERFORMANCE IN PHOTOGRAPHY SOLOMON R. GUGGENHEIM MUSEUM,1997
– ANTOLOGIA – Cindy Sherman, Untitled #112, 1982
Man Ray, Marcel Duchamp as Rrose Silavy, 1920-21
Un evidente interesse popolare per la questione di genere e la sessualità s’interseca, negli anni novanta, con un’esplosione nella produzione di arte che prende come soggetto il corpo e le sue manifestazioni. Proliferano libri, articoli, film e siti web sul cross-dressing, sui/sulle transgender, e altre varie sessualità (“lesbian chic”, bisessuali, ecc.). La pittura neo-espressionista e l’arte concettuale degli anni Ottanta, basata sul linguaggio, è seguita in questo decennio da un lavoro che si concentra sul corpo come entità fisica e sulla costruzione dell’identità. In quest’ottica, i travestimenti di Cindy Sherman sembrano annunciare gli sviluppi degli anni novanta. L’accostamento contraddittorio di parti del corpo e di codici vestimentari mette in primo piano il gioco di genere, o problema di genere. Gli anni Novanta sono testimoni di un’espansione esponenziale nella crescita degli studi accademici gay e lesbici, la maggior parte dei quali è influenzata dai nuovi e provocatori modelli teorici di costruzione del genere sviluppati dalla filosofa Judith Butler. ‘Gender Trouble: Femminismo e sovversione dell’identità’ (1990) ispira la ricerca successiva in una varietà di discipline, tra cui la storia dell’arte. Gli studi queer presentano alcuni degli sviluppi più stimolanti nella comprensione teorica della formazione dell’identità, a partire dal lavoro di psicoanalisti/e femministi/e e teorici del cinema degli anni settanta e ottanta. Questi strumenti concettuali consentono letture fruttuose della produzione culturale contemporanea, che sia belle arti o mass media. Quando la lente di indagine si allarga oltre le nostre preoccupazioni contemporanee, è chiaro che ora non né il primo né l’ ultimo momento storico in cui le questioni di genere e la sessualità rivestono un’importanza particolare.
– ANTOLOGIA –
JENNIFER BLESSING
Non solo alcuni aspetti della produzione artistica europea tra le due guerre mondiali (in particolare Dada e la sua eredità nel surrealismo) assomigliano a certi tratti dell’arte contemporanea, ma alcune delle radici psicoanalitiche dell’attuale teoria di genere risalgono alla fine degli anni ‘20 e ‘30. Inoltre, un successivo continuum sembra iniziare alla fine degli anni ‘60, procedendo con maggiore o minore vitalità fino ad oggi. Il fenomeno della “Liberazione Sessuale” si manifesta nella produzione culturale, tanto che la performance e la body art dei primi anni ‘70 risuonano nell’arte contemporanea. Le ipotesi relative alla lacuna del primo dopoguerra, dal 1945 alla metà degli anni ‘60, devono ancora essere analizzate. Il mezzo fotografico è l’arena perfetta per la questione del genere e della sessualità. L’avvio tecnologico dei mezzi fotografici corrisponde (non a caso) allo sviluppo ottocentesco legato all’esaltazione dell’individuo operata dall’Illuminismo. L’ascesa della psicoanalisi e del capitalismo, coincidono con la crescita dell’utilizzo di mezzi tecnologici fotografici senza i quali un’immagine di sé non potrebbe essere diffusa nel mondo. Rappresentare la fisicità del corpo nell’arte contemporanea, nella fotografia e in altri mezzi come film e video, condivide con la scultura e la performance un rapporto speciale con il reale. Questa mostra esamina il modo in cui la forte aura di realismo e oggettività presente nella fotografia sia legata ad una fantasia di trasformazione totale del genere o, viceversa, permetta l’articolazione dell’incongruità tra il corpo in posa e il suo costume presunto. La gamma
Claude Cahun, Self-Portrait, ca. 1928
– ANTOLOGIA –
di rappresentazioni fotografiche comprende ritratti in stile documentario, autoritratti teatrali e fotomontaggi creati da materiali fotografici d’archivio, con frequenti sovrapposizioni tecniche e metodologie intercategoriali. Sono questi i postulati alla base di ‘Rrose is a Rrose is a Rrose: Gender Performance in Photography’.
Hannah Hoch, Dompteuse (Tamer), 1930
Forse non sappiamo esattamente cos’è il sesso; ma sappiamo che è mutevole, c’è la possibilità per un sesso di trasformarsi in un altro, le frontiere sono spesso incerte e ci sono molti stadi intermedi tra un completamente maschio e una completamente femmina. HAVELOCK ELLIS, The Psychology of Sex, 1933
JENNIFER BLESSING Con il declino post-illuminista e dei sistemi esplicativi della civiltà umana, come la monarchia e la religione, sorse la disciplina che riguarda l’epistemologia dell’individuo, la scienza della psicoanalisi. Alla fine del XIX secolo, la psicoanalisi si organizzò intorno ai problemi del corpo sessuale e allo sviluppo dei suoi comportamenti nella mente. I racconti psicoanalitici della formazione dell’identità di genere (e qui i testi di Sigmund Freud sono fondamentali) postulavano la mascolinità come normativa, e la femminilità come una sorta di enigma, un eccesso o un altro imperscrutabile. Il periodo tra le due guerre mondiali è stato testimone di un’esplosione di pubblicazioni che hanno esaminato la natura della sessualità e dell’identità femminile, molte delle quali scritte da analiste, la cui professione rifletteva dei cambiamenti più ampi concernenti il ruolo delle donne nella società. Non è casuale che le donne siano state attratte dalla questione dell’identità femminile, in quanto la natura stessa della femminilità faceva parte di un più ampio dibattito sociale. L’ascesa della “neo-donna”, con la sua richiesta di cambiamento dello status giuridico e la messa in discussione dei ruoli domestici e pubblici, ha assunto un’urgenza particolare in questo periodo, in cui le donne hanno chiesto il diritto di voto, modifiche del matrimonio e delle leggi sulle successioni, l’accesso alle università e alle
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UNA BREVE STORIOGRAFIA DELLA TEORIA DEL GENERE E UN RICORDO SUL MISTERO DEL SESSO
professioni, nonché modifiche dell’abbigliamento e del comportamento. In ogni caso, le donne cercavano di avere equità, il che portava all’ambivalenza e alla paura che esse stessero diventando uomini (indossando i vestiti, fumando, mettendo in pericolo le loro capacità riproduttive attraverso inseguimenti intellettuali “innaturali”, e così via). È in questo contesto che l’analista Ioan Riviere ha dato il suo contributo al dibattito sotto forma di un documento intitolato “Donna come Masquerade”, (1929), in cui ha ipotizzato che le donne professioniste dovessero apparire in abbigliamento ultrafemminile per alleviare le paure dei loro colleghi maschi. Per Riviere, la femminilità è costituita dal mascheramento della mascolinità femminile, sepolta sotto un velo decorativo. Non rivendica una femminilità intrinseca, piuttosto costruisce l’identità femminile come una performance sociale alienata. Jacques Lacan ha risuscitato l’opera di Riviere in un documento del 1958,”Il significato del fallo”, che contiene una linea che da allora è diventata un motto: “Direi che è a causa del fallo, cioè il significante del desiderio dell’Altro, che la donna respingerà una parte essenziale della sua femminilità attraverso una mascherata”. Nel contesto della sua rilettura della psicoanalisi freudiana con la linguistica, Lacan sosteneva che il fallo è un significante del potere; tuttavia, sebbene ogni soggetto abbia un rapporto simbolico con il fallo sotto forma di “io lo possiedo” o “io lo mostro”, nessuno lo possiede realmente. I teorici cinematografici interessati a come l’identità si costruisca diegeticamente nei film hanno assorbito l’opera di Lacan nella propria. La critica francese si dedica in particolare alla lettura di Riviere nel 1970, quella britannica nel 1975. Dagli anni ’70 ad oggi, le costruzioni lacaniane della femminilità come mascherata sono state sviluppate e contestate in molte discipline, tra cui la psicoanalisi femminista, i cultural studies e la
critica d’arte. Negli anni ’90, i teorici hanno ampliato la nozione di femminilità-in-quanto-mascherata per includere qualsiasi identità di genere. Come la femminilità, la mascolinità è una costruzione mitica che si perpetua attraverso la ripetizione performativa di stereotipi del comportamento e dell’abito. I teorici gay e le teoriche lesbiche si sono particolarmente preoccupati/e di studiare i casi in cui esistono performance che possono rientrare nella categoria “gender trouble”, come l’imitazione del femminile, il crossdressing, e l’estetica butch/femme. Questo lavoro espone in modo convincente le presunzioni eterosessiste che si trovano in precedenti studi teorici ispirati, e delinea la gamma delle posizioni di genere (in contrapposizione a una dicotomia ferrea) e la loro diversità storica. Quando un intervistatore accennava alla lettura semplificata del lavoro di Butler, come ad indicare che “tutto il genere è mascherata”, Butler ha risposto:”accetto l’idea che il genere sia un
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Brassai, Female Couple, 1932
travestimento imitativo, che significa impersonificare un ideale che nessuno abita realmente, ed è qui che ho una certa simpatia per il discorso lacaniano”. Accettare come un dato di fatto che sia impossibile una nozione fissa dei concetti di uomo, donna, maschile e femminile, non significa che ogni individuo possa sempre scegliere volontariamente di abitare una posizione. Ad esempio, la mascherata femminile di un soggetto nato donna può implicare la conformità ad una determinata aspettativa sociale, mentre, per la stessa persona, una presentazione in quanto maschiaccio (butch) può dare una consapevolezza forzata di sé in certi contesti, a causa di un’enunciazione socialmente percepita come differenza. Che cos’è il drag? L’ipermascolinità e l’iperfemminilità in una situazione eterosessuale possono essere percepite come essenzialmente equivalenti ai loro rispettivi soggetti maschili e femminili, mentre il cross-dressing è più facilmente leggibile come una performance mirata (o artificiale). La rappresentazione iperbolica del genere sembra conformista quando il sesso e la presentazione di genere corrispondono, e oppositiva quando differiscono. Eppure, come afferma Butler, ”non ci sono linee espressive o causali dirette tra sesso, genere, presentazione di genere, pratica sessuale, fantasia e sessualità”. Potrebbe sembrare che, dopo aver evacuato questi concetti di qualsiasi determinazione biologica essenziale, diventerebbero significanti amorfi, liberi, soggetti ad una arbitraria assegnazione di significato. Invece, come esemplificano le opere esposte in questa mostra, esistono miriadi di codici che sono, alternativamente, accettati o manipolati. Nel corso della storia ci sono stati tentativi di trascendere la nozione di distinzione binaria sessuale e di genere, attraverso concetti di “terzo sesso” come l’ androginia e i neologismi Eonista, Uraniano, Invertito, Saffica o Amazzone. La figura ottocentesca dell’androgina sembra negare la
Nan Goldin, Jimmy Paulette and Taboo in the bathroom, NYC, 1991
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differenza, annettendo fondamentalmente la “femminilità” ai precetti maschili. I termini del terzo sesso fissano una varietà di soggettività sotto una sola bandiera, ai margini della logica binaria dominante. Le attuali concettualizzazioni teoriche sull’identità riconoscono sia l’incapacità di sfuggire al sistema binario sia il desiderio di corromperlo in modo piacevole. Talvolta questi piaceri, questi generi travagliati sono descritti come ambigui, ma sembrano tutt’altro che ambigui. Miscelare i codici di genere non si traduce tanto in un’uniformità di sfumature, che presuppone una distribuzione paritaria degli effetti di genere che produce indeterminabilità, quanto piuttosto una varietà di prestazioni performative specifiche, leggibili e nominabili. In altre parole, un soggetto di genere ambiguo non è mai invisibile; annuncia la giustapposizione di codici in un unico soggetto.
Da dove viene il piacere? Mi viene in mente quel luogo comune sull’amante casuale dell’arte:”Non conosco molto dell’arte, ma so quello che mi piace”. Forse il genere funziona allo stesso modo, in quanto a volte non si vuole sapere, si vuole solo sentire. Eppure, come vi dirà qualsiasi studente, più imparerete, più i vostri gusti cambieranno. Nell’epigrafe che appare all’inizio di questo libro, Roland Barthes pone una nozione ingannevolmente semplice di sé che è definita dall’accumulazione peculiare di simpatie e antipatie apparentemente irrilevanti: la concatenazione dei gusti. Ogni individuo può definirsi per somiglianze e distinzioni dagli altri (“Mi piacciono anche le ciliegie; ma a differenza di lui, mi piacciono le donne in pantaloni. Il mio corpo è come/a differenza del suo.”) Le possibili ragioni per determinati gusti possono essere sempre esaminate e possono es-
Inez van Lamsweerde, The Forest;
Marcel, Rob, Andy, Klaus, 1995
– ANTOLOGIA –
sere sviluppate spiegazioni più o meno convincenti. Forse la propria presentazione di genere e le risposte a quelle degli altri sono determinate da come si pensa (consapevolmente/non coscientemente) in un dato momento. Ecco una questione, in misura maggiore o minore, di mio gusto, che è stata formata da una confluenza di fattori – ambiente, conoscenza, desiderio. Nel corso dello sviluppo di questa mostra, è emerso un elaborato sistema di criteri di selezione, che è stato modificato più ho letto, più ho guardato, più ho parlato, più ho scritto. Nelle connessioni frequenti, ho messo in discussione l’apparente logica o arbitrarietà delle mie scelte. Ho capito perché non volevo includere fotografie voyeuristiche o sensazionalistiche in modo predatorio, ma questa esclusione si è ampliata fino a evitare la nudità intima o sessualizzata. Il risultato di ciò è un gruppo di immagini sociali altamente artificiose che trasuda un’autoappa-
Lyle Ashton Harris + T. A. Harris, Brotherhood #3, 1994
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gamento esibizionista senza, per un attimo, indicare alcuna lacuna nella performance, alcun dubbio di sé, alcun sentimentalismo. Quanto è diversa questa realtà da un’esperienza quotidiana del mondo, in cui il tuo viso tradisce incontrollabilmente ogni emozione, con il cuore in gola e il tuo corpo è un scomodo non-so-che. Queste fotografie, invece, sono immagini di fantasia – rappresentano il sogno del controllo totale, il gelido contegno della padronanza, come una femme fatale conservata su pellicola, la classica fallica donna. La maggior parte delle fotografie presenti in questa mostra e in questo libro sono caratterizzate da un indirizzo diretto: una figura guarda direttamente alla macchina fotografica, a te, fissandoti con il suo sguardo. Questo non è un soggetto “catturato” su pellicola, questo è un soggetto che ti sta catturando: tu sei l’altro, attraverso il quale si definisce con vendetta. Questo è un mondo in cui performare è controllare. È un mondo in cui sei quello che sarai, per sempre. Anche quando il destinatario non è diretto, la vostra presenza viene riconosciuta. Il performer sta giocando con voi, sorride e ti strizza l’occhio. C’è chi presenta un’immagine seria, eppure un sorrisetto rimane sempre lì, in penombra. E ci sono altri che fanno i pagliacci, ma la loro è una risata auto-assorbita, a cui ci si può unire solo se lo si desidera. Questo spirito di piacere e di gioco pervade la mostra, mantenendo una promessa di trascendenza (non di torto), di possibilità che anche voi non siate intrappolati in un corpo, che il tempo possa essere travolto, che anche voi abbiate il fallo, che è potere.
VOCABO
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OLARIO
OLARIO
BOLARIO
OLARIO
Questo numero presenta un insieme di testi e saggi visivi che introducono riflessioni sul genere e alcune implicazioni principalmente sul piano linguistico; uno studio sui concetti d’identità e soggettività, che tenga conto di tutti/e coloro che non s’identificano cisgender; o perlomeno che informi su teorie, culture e immagini che hanno contribuito a far emergere il tema così come lo conosciamo noi oggi. Partiamo da alcune definizioni di termini insoliti, o poco chiari. Per cisessuale/cisgender intendiamo qualcuno a proprio agio con il genere che gli è stato assegnato alla nascita; con transgender/transgenere invece indichiamo un atteggiamento sociale e sessuale che combina caratteristiche del genere maschile e di quello femminile, senza identificarsi interamente e definitivamente in nessuno dei due. Parliamo di un soggetto che si percepisce tra i generi, che non considera necessario identificarsi in uno dei due, che anzi associa al genere un stato più
fluido che stabile, in continua modifica e divenire. Il sesso definisce gli aspetti fisiologici, biologici di un soggetto ed è determinato da precisi fattori anatomici/ormonali. Il genere risponde, invece, a dei modelli culturali e sociali che caratterizzano ciascuno dei sessi e ne condizionano il ruolo e il comportamento. La categoria di genere negli anni ‘80 ha iniziato ad essere utilizzata per sottolineare il rifiuto del determinismo biologico insito nel concetto di sessualità: la sessualità allora venne ridefinita semplicemente come dato naturale e biologico, mentre il genere e la differenza sessuale vennero e vengono indicate come costruzioni sociali e ideologiche che costituiscono l’interpretazione storica del dato biologico. Parlando di genere, inoltre, si tenta di focalizzare maggiormente l’attenzione sugli aspetti relazionali della soggettività e dell’identità. Gli intersessuali, infine, sono quei soggetti che non ricoprono le normali categorie maschili
e femminili. Il termine è stato coniato durante gli anni della prima guerra mondiale ed è andato sempre più a sostituire il termine ermafrodita in uso fin dall’antichità, poiché esso codificava solo un caso specifico di intersessualità, ossia quel caso in cui un soggetto presenta sia le gonadi che i testicoli. Fin dall’antichità all’ermafrodita sono state collegate proprietà sovrannaturali, e molte culture presentano vocaboli e definizioni di soggetti che vanno oltre il binarismo f/m, come ad esempio le hijiras dell’India, i kwaluaatmol della Sambia in Papua Nuova Guinea, le fa’afafine polinesiane, i guevedoche della Repubblica Dominicana e i berdache degli Indiani Navajo. La questione di genere ha da sempre interessato l’uomo. Karl Heinrich Ulrichs parlava nel 1860 di terzo sesso quando coniò il termine “uranista”, un neologismo che configurava un soggetto intermedio che mostrava caratteristiche sia del maschile che del femminile; egli asseriva che molte culture funzionavano con una
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argomento molto dibattuto anche in Europa, dopo aver mobilitato molte voci in America. Una percezione fluida del genere, che inaugura un’era che si può definire post-identitaria, sta espandendosi. In Germania nel 2017 è stato rilasciato il primo passaporto non binario; così in Canada, in Francia e in Gran Bretagna, l’Australia anticipò tutti nel 2014. In Italia il dibattito è in corso. Così come per il versante linguistico. L’inglese, ormai da una decina d’anni, ha immesso nuovi pronomi ed è scesa in campo addirittura l’università di Oxford affinché il governo varasse misure di tutela linguistica per coloro che non si identificano come maschi/ femmine. In Francia, luogo in cui la lingua è oltremodo sacra e inviolabile, una prima apertura c’è stata. Il/ Elle/Id, stanno recuperando il latino. In Italia potrebbe essere la medesima cosa; almeno in partenza.
– VOCABOLARIO –
divisione non di due sessi, bensì di tre. Un altro soggetto storico interessante in questo contesto è stato l’eunuco (individuo privo delle ghiandole genitali, per difetto organico o in seguito a evirazione); nella cultura islamica gli eunuchi divennero normale corredo dei potenti: dal califfo ai governatori, dai sovrani ai sultani. Sovente oltre alla custodia degli harem, era loro affidata la cura dell’amministrazione e dell’apparato militare. Ermafrodito, figlio di Ermete e Afrodite, il cui corpo si metamorfizza, secondo il racconto di Ovidio, con quello della ninfa Salmacide, è una figura mitica della cultura occidentale che sembra possedere origini orientali molto antiche. La figura sacra Ardhanarishvara raffigura l’unione del Dio indù Shiva con la consorte Parvati, presentandosi come divinità con entrambi i sessi, simbolo di creazione universale e fertilità. Fino ad arrivare ai giorni nostri. Il genere torna ad essere un
C’ERA UNA VOLTA NELL’ANTICA GRECIA UN LAGHETTO INCANTATO. IL LAGHETTO ERA DEDICATO ALLA NINFA SALMACIDE. UN GIORNO, ERMAFRODITO, UN RAGAZZO MOLTO BELLO, ANDÒ A FARE IL BAGNO IN QUEL LAGHETTO. SALMACIDE GUARDÒ IL BEL GIOVANE E SI ECCITÒ. NUOTANDO GLI SI AVVICINÒ PER VEDERLO MEGLIO. LA NINFA CERCÒ DI CONTROLLARSI, MA IL RAGAZZO ERA TROPPO BELLO. GUARDARE NON LE BASTAVA.
JEFFREY EUGENIDES
– VOCABOLARIO –
SALMACIDE SI AVVICINÒ SEMPRE DI PIÙ E POI, SOPRAFFATTA DAL DESIDERIO, PRESE IL RAGAZZO ALLE SPALLE E LO CINSE CON LE BRACCIA. ERMAFRODITO LOTTÒ PER LIBERARSI DALLA STRETTA, MA LA NINFA ERA TROPPO FORTE E LA SUA LIBIDINE COSÌ SFRENATA CHE I DUE DIVENNERO UNO. I LORO DUE CORPI SI FUSERO, MASCHIO NELLA FEMMINA, FEMMINA NEL MASCHIO.
Il linguaggio per come lo conosciamo noi dà voce a un solo soggetto, apparentemente universale e neutro, in realtà maschile, all’interno del quale viene ricondotta ogni differenza. È in questo senso che il linguaggio può essere considerato carente e inadeguato nei confronti di qualsiasi soggetto non maschile cisgender, un sistema che tende a occultare la differenza, a rimuoverla, negando all’universo femminile e genderqueer la specificità del suo genere. Nel linguaggio non si incontrano mai i riflessi di due soggetti diversi, bensì le forme di una sola soggettività assunta a universale. Sostenere che il linguaggio è sessuato significa quindi pensare il genere non sono come categoria grammaticale in grado di regolare fatti meccanici di concordanza, ma anche come una categoria semantica in grado di manifestare un simbolismo legato al corpo (Cristina Demaria, 2003). Accettare questa prospettiva significa iniziare a distinguere tra differenza in sé e modalità attraverso cui
essa è stata storicamente inscritta nella lingua, e dunque attraverso cui il femminile e il queer sono divenuti un genere derivato e subalterno. La “Fase dello specchio” lacaniana (Lacan, 1949) considera il momento in cui un bambino vede la propria immagine riflessa nello specchio come l’inizio della costituzione dell’ego individuale: lo specchio segna cioè il passaggio da una fase presoggettiva a una fase in cui il bambino si riconosce come soggetto. Ma l’immagine nello specchio è un riflesso, e in quanto tale non coincide con ciò che riflette; in quanto immagine, è più completa e perfetta dell’io che in essa si riflette, e questo significa che il riconoscimento di sé è sempre e comunque un misconoscimento. L’immagine riconosciuta come propria, che il bambino identifica come riflesso corporeo del proprio sé, costituisce così un ego ideale che viene però re-introiettato, fungendo da modello per future identificazioni. Postulare un misconoscimento
come momento fondativo della costituzione della soggettività significa affermare che il soggetto non coincide mai con se stesso. Questo modello lacaniano è stato uno strumento tra i più frequentati, utilizzati e criticati dal femminismo poiché rivela il fallimento dell’identità intesa come stabile e sessuata all’interno di una vita psichica. All’idea di inconscio come resistenza e scarto delle norme sociali Lacan aggiunge, inoltre, la centralità del linguaggio, che introduce il bambino nell’ordine simbolico. È attraverso il linguaggio, inteso come sistema simbolico e non unicamente come discorso verbale, che si costruisce l’identità di genere. L’ordine simbolico, che è anche ordine sociale e culturale, struttura la soggettività, cosciente e incosciente, di ciascun individuo. L’inconscio segnala la non coincidenza del soggetto con la sua coscienza; è il granello di sabbia nell’ingranaggio che impedisce l’enunciazione di un altro soggetto monolitico, presente a
Sansul Amam Helal, serie ‘Hijia’.
se stesso (Rosi Braidotti 1994). Come quello delle parole, anche il significato dell’identità è polisemico, risultato di processi di differenziazione e di distinzione di cui non vi può essere totale coerenza o piena comprensione. Il concetto di esperienza proposto da Teresa de Lauretis propone la costruzione dell’identità come pratica semiotica, come pratica emergente di un’esperienza storicizzata. Il cyborg, infine, in quanto figura futuribile, è l’estremizzazione di tutte le teorie sulla soggettività cui si è accennato: nel suo mito si realizza la contaminazione tra organico e inorganico e il superamento delle divisioni maschile/ femminile, soggetto/ oggetto, uomo/donna. Il cyborg, ci dà modo di tenere insieme due categorie – genere e postumano – che molto hanno da condividere, almeno nei presupposti. Il cyborg è dunque un mito, ma al tempo stesso uno strumento, il cui corpo diviene un luogo di produzione di significati molteplici (Donna Haraway, 1984).
La pornografia può essere letta oltre i suoi confini abituali, ed essere affrontata come atto linguistico; si presta ad una lettura semiotica ed è, oggigiorno in numerosi sedi di ricerca, compresa come oggetto di studi sull’immagine, sull’immaginario e sul linguaggio. Intendere la pornografia come pratica culturale che contribuisce alla costruzione sociale dei soggetti sociali e delle loro identità, fa emergere quale gioco politico si celi dietro pratiche non considerate fino a pochi anni significanti. Il porno come forma di potere, che si compie nell’immagine e che categorizza le nostre fantasie, dando nomi, ruoli e suggerendo pratiche. Guardare il porno on line implica svolgere un gioco linguistico. Navigando, troviamo un elenco di termini di ricerca spesso divisi tra focus su parti del corpo (figa, cazzo, culo, tette), tipi di corpo (magro, grasso, skinny, formoso), identità sessuali e di genere (gay, bisex, lesbica, trans), atti sessuali (anal, squirting, pissing, gang bang, bukkake, bondage) tutti intrecciati in un reticolo razzista, sessista, transfobico, discriminatorio (grande negro/a, giovane asiatica, stupratore palestrato, ragazza del college, MILF, transessuale latina e così via). Siti come YouPorn, PornHub e RedTube sono tra i principali responsabili delle terminologie utilizzate; queste categorie sono gli elementi costitutivi dei loro imperi porno. Il gigante della distribuzione di contenuti Mind-Geek (già Manwin) ha monopolizza il mercato pornografico online, possedendo tutti e
tre i principali siti sopra elencati, attirando decine di milioni di singoli utenti ogni giorno. Questa azienda massiccia crea le categorie che utilizziamo per ordinare i soggetti dei nostri desideri sessuali, spesso influenzando, oltre la nostra volontà, i nostri desideri stessi. Pensiamo ad esempio alla dicotomia MILF/teen; non c’è una terza opzione per l’anagrafe femminile. C’è la categoria matura/nonna, ma per la maggior parte delle volte non è altro che un’altra tipologia di MILF. Il sistema domanda l’impossibile, o sei milf o sei teen (e a volte per ottimizzare le ricerche un’attrice è taggata con entrambe le categorie) altrimenti non sei considerata attraente sessualmente. Nel 2015, Stoya ha lanciato il sito porno TrenchcoatX.com con la pornostar Kayden Kross. Subito dopo il suo inizio, il sito ha introdotto una nuova interfaccia di ricerca per soddisfare le preferenze e eliminare le categorie che possono disturbare; ogni utente decide cosa gradire e cosa cancellare. Le scene che contengono le squees scelte (categorie che l’utente gradisce) sono evidenziate, e le scene contenenti gli squicks selezionati (categorie sgradite) possono essere completamente nascoste dal sito per quell’utente, o accompagnate da un avvertimento, a seconda degli input che il consumatore dà. Ma affinché gli utenti possano scegliere i loro squicks e le loro squees, e il sito organizzi i contenuti di conseguenza, ci deve essere un sistema di tagging e categorizzazione. Ma come evitare i
di desiderio erotico che non sia legato ad uno schermo, o a divenire violento. La categorizzazione ha conseguenze pratiche anche per gli attori/attrici. Se non sei disposto/a ad accettare di interpretare determinati stereotipi sempre uguali e mai diversi, è molto difficile riuscire a sfondare nella San Fernando Valley. Per gli attori maschili insorge anche un altro problema; o si esibiscono in pornografia eterosessuale o gay, interpretare entrambi i ruoli è raro, ed è facile altrimenti affrontare difficoltà professionali. Non c’è molto mistero nel modello di business che sostiene questa distopia: le aziende sul mercato producono il porno che i consumatori vogliono (così dicono); i consumatori sviluppano abitudini di visualizzazione e una lingua di ricerca basata su quello che viene offerto disponibile. Qualsiasi ipotesi che il porno tradizionale sia semplicemente un riflesso di ciò che la gente vuole è minata dal fatto che non ha mai subito modificazioni eclatanti nel corso degli anni mentre il vocabolario sessuale è in via di rinnovamento (vedi Future Sex di Emily Witt. Di certo una certa pornografia mainstream rimane una roccaforte conservatrice di determinate visioni rassicuranti per l’uomo occidentale bianco, che almeno nel godimento non vede intaccata la sua centralità e la sua supremazia. Il business pornografico-conservatore mente asserendo che le etichette offensive che si perpetuano nei loro portali potrebbero essere in qualche modo sovversive al potere, puntando la lancia
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soliti tag del porno tradizionale? Il progetto non è un semplice esercizio dimostrativo. È un tentativo di ricodificare un linguaggio legato alla sessualità mercificata che promuove categorie retrograde come trasgressioni eccitanti. Mickey Mod, un veterano del settore, il cui fisico snello e la pelle olivastra contrasta con alcuni degli stereotipi dei maschi neri nel porno, in un’intervista del 2017 ha asserito che gli attori nelle produzioni mainstream spesso hanno poca o nessuna voce in capitolo nella loro categorizzazione, e ancora meno potere nel dire in che modo questi materiali possano essere tagliati e postati sui siti. Mod ricorda certe scene che poi venivano intitolate “L’uomo nero ha rubato mia figlia”, o “Faccende per madri negre”, senza che a lui fosse stato mai menzionato prima il titolo. Nina Hartley, la grande dama della pornografia che ha lavorato come attrice regista ed educatrice sessuale per tre decenni, si trova taggata come matura, nonna, MILF, cougar (predatrice tardona) e in molti altri modi ancora. Le persone vogliono trovarla in qualunque veste. Il fatto è che i tag riflettono il modo in cui le persone pensano di trovare eccitamento (riferendosi a particolari ruoli sessuali, rapporti intimi, fisici, narrazioni, ambientazioni. La frustrazione che la realtà può scatenare, nel momento in cui le nostre categorizzazioni, esperienze, partner non corrispondono all’alfabeto porno imparato a memoria, può diventare insostenibile e portare il soggetto ad evitare ogni altra forma
Questa pagina e precedente campagna SS 2017 Eckhaus Latta
vere il nuovo sesso. Bisogna costruire questo con calma e perseveranza, non si può pretendere d’inserire 2000 vocaboli al mese. TrenchcoatX comunque, non è il solo portale che sta cercando di scardinare il mondo pornografico da un impasse linguistica ormai largamente percepita. Alcune pornoattrici come Vex Ashley, Erika Lust, Jiz Lee, Shine Louise Houston, Annie Sprinkle e Cindy Gallop attraverso nuove piattaforme hanno ampliato i contenuti ben oltre i confini del solito porno. I loro progetti spingono verso un mondo porno queer, non solo in termini di aggiungere le diversità, ma anche disfacendosi delle trappole più offensive del porno tradizionale. Tuttavia, non è chiaro se gli sforzi di TrenchcoatX o delle altre realtà ribelli possano destabilizzare il porno mainstream e colui/colei che ne fa uso prevalente. Secondo la Hartley ad esempio una nuova terminologia rappresenta niente di più che un passaggio commerciale, man mano che le passate generazioni escono di scena, le nuove arrivano, portandosi dietro il loro bagaglio visivo e linguistico.
– VOCABOLARIO –
contro il politically correct e le istituzioni, dipinti come i veri nemici che non permettono all’uomo moderno di liberare i suoi desideri innati. Invece, il tipo di trasgressione offerta da gran parte del porno contemporaneo lancia ancora idee conservatrici sul genere e la razza, mantenendo molte perversioni stereotipate al centro del nostro universo sessuale. In TrenchcoatX non sono elencate categorie razziali. I termini bisex, gay, e etero non compaiono, supponendo che una determinata interazione sessuale dei corpi non debba essere assunta come ritratto di un’identità sessuale. E, naturalmente, non ci sono MILF nel lessico, né teen. Queste categorie sono state espulse, mentre altre sono state tradotte. Ad esempio le categorie relative al seno sono divise in aumentato/non aumentato, senza altri riferimenti al fake/reale. La lingua di genere rappresenta forse ancora la sfida più grande, dato l’obiettivo di TrenchcoatX di decentrare gli individui cis-gender (sia in termini di attori/attrici che di consumatori/trici). Cis-uomo e cis-donna sono tag disponibili, ma non sono quelli presentati come “normali” e ovvi in homepage. Individui diversi si relazionano in modo diverso in riferimento ai propri genitali. C’è spazio per la dissonanza tra il modo in cui un performer descrive i propri genitali e come potrebbero essere percepiti dallo spettatore; la sfida è rispettare entrambi. Molti termini nuovi, sono termini ingombranti, certo, e potenzialmente oscuri, ma questa è la sfida di descri-
COSA SUCCEDE SE SEI GENDERQUEER MA LA TUA LINGUA MADRE PREVEDE SOLO IL GENERE F/M?
I TRADIZIONALI PRONOMI DI GENERE SONO ESTREMAMENTE LIMITATI LE LINGUE SENZA GENERE NON SONO UTOPIA
tutte le sfumaure? Il modo in cui la lingua viene costruita può avere un impatto significativo sulla costruzione identitaria e sociale delle persone. Molti studi dimostrano, per esempio, che le persone che hanno da sempre utilizzato le lingue di genere rispondono con livelli più alti di sessismo a dei questionari specifici compilati dopo aver studiato la materia. Patrizia Violi affermava nel suo L’Infinito Singolare: “la lingua inscrive e simbolizza all’interno della sua stessa struttura la differenza sessuale, in forma già gerarchizzata e orientata”. Per coloro che non si identificano nella dicotomia f/m, anche queste distinzioni contano. In generale, esistono tre modi per integrare il genere nella lingua: Le lingue che prevedono un neutro (di genere naturale), tra cui l’inglese e lo svedese, classificano gli oggetti e gli esseri non umani o animali attraverso un’altra categoria rispetto al f/m. In inglese, ad esempio, un tavolo è it, mentre per una persona si usa he/she/
– VOCABOLARIO –
Negli ultimi anni, abbiamo compiuto progressi significativi nella nostra accettazione della fluidità di genere: un sondaggio del 2019 ha rivelato che oltre la metà dei millennials in UE ritiene che il genere non si limiti al sesso maschile e femminile, un cambiamento significativo rispetto alle generazioni precedenti. Oggi, Facebook offre un campo personalizzato per le persone al fine di esprimere la loro identità di genere, e Tinder e OkCupid hanno ampliato le opzioni di genere che le persone possono selezionare prima di scorrere a sinistra o inviare un DM. Al cuore di questa rivoluzione c'è la consapevolezza che i tradizionali pronomi di genere sono estremamente limitati. Ma cosa succede se sei solito/a parlare una lingua che non ha nemmeno parole separate per dire "suo" o "sua"? O cosa succede se quasi ogni sostantivo del vostro mondo è maschile o femminile – (apparentemente a caso) ? – Come ripensare una lingua oggi che tenga conto di
they (da pochi anni). Nelle lingue di genere grammaticale come la spagnola, tedesca, francese e italiana, sia le persone che gli oggetti hanno un genere. La table, per esempio, è un sostantivo femminile in francese – mentre un albero è un sostantivo maschile in italiano. Le lingue senza genere come cinese, estone e finlandese non classificano i nomi come femminili o maschili, e usano la stessa parola per lui o lei riguardo agli esseri umani. L’ inglese, per sopperire alla dicotomia ferrea del f/m sul piano umano, ha cercato dei rimedi, sfidando quei parametri che sembravano essere insuperabili. Lo fa attraverso l’uso di termini neutri dal punto di vista del genere. Questi termini includono they come pronome singolare, e altre varianti come ze/ zir o zie/zir, ze/hir e Mx. in forma scritta. Inoltre, ci sono molti sostantivi utilizzati per classificarsi (ad es. partner, student) che non fanno riferimento al genere, mentre gran parte delle lingue di genere
questo non lo prevedono; indi per cui risulta difficile comunicare qualsiasi stato, azione, relazione senza che il genere venga rivelato. E così si rischia che la società non accolga né comprenda le richieste di coloro che vivono con sofferenza questa forzatura linguistica ad essi/e imposta. È da notare che il neutro il latino, da cui derivano molte lingue indoeuropee ora sprovviste, lo prevedeva; e come molte lingue aborigene australiane e indiane prevedano addirittura 4 generi diversi (maschile/femminile/animato/ misto). Le persone che manifestano insofferenza di fronte al binarismo dovranno affrontare ancora anni in cui parte della collettività non riconosce né ascolta questo loro allarme, ma le lingue senza genere non sono utopia. Detto questo, bisogna allo stesso modo considerare se davvero una lingua non-genere porti a una terza via tanto auspicata oltre il f/m, perché il passo non è così automatico. Risulta infatti che i modelli bi-
nari e lo status di mascolinità sopravvivano intatti, anche in condizioni di lingua senza genere, al momento. Anche se il popolo estone usa il termine neutro tema come pronome, invariabilmente è ancora portato a pensare di rivolgersi ad un uomo o una donna, non a qualcun altro che sta nel mezzo, o oltre (genderqueer, transgender, ecc). A questo punto potrebbe essere il caso di chiedersi: e l’italiano? Che strategie può utilizzare per inserire il terzo genere all’interno della lingua? Deve ritornare al latino? O seguire l’esempio, finora poco inflazionato, del francese e della scrittura inclusiva? E nel parlato invece, dove l’asterisco o il punto connettivo non è riproducibile? L’unica arma che abbiamo è la scomposizione del plurale per almeno immettere anche il femminile a pari livello del maschile? Cosa possiamo pretendere dalla lingua?
Questa pagina: campagne Eckhaus Latta. Pagina accanto: fotografie di Amos Mac
NON È POSSIBILE VIVERE 24 ORE AL GIORNO IMMERSI NELLA CONSAPEVOLEZZA DIRETTA DEL PROPRIO SESSO. L’AUTOCOSCIENZA DI GENERE HA, MISERICORDIOSAMENTE, UNA NATURA INCOSTANTE DENISE RILEY
GALL
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LERIA
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I film, le installazioni, le performance e le sculture di Wu Tsang si muovono con fluidità tra documentario, attivismo e fiction. Ispirato dall’identità culturale di Hong Kong e dal kung fu, il nuovo cortometraggio e installazione ‘Duilian’ (2016) assume la forma narrativa di una clandestina “storia sfrenata”. Sebbene sia ambientato nel presente, il film mette in scena una storia d’amore fittizia tra il poeta rivoluzionario cinese Qiu Jin (18751907) e il calligrafo Wu Zhiying (1868-1934). Il protagonista Qiu Jin è stato giustiziato come traditore durante la dinastia Qing ed è stato però successivamente proclamato martire nazionale, eroe comunista e icona femminista. Tsang attraversa periodi temporali e generi, concentrandosi sulle relazioni intime femminili che hanno infine plasmato Qui Jin e la sua eredità. Il titolo ‘Duilian’ si riferisce ad una forma tradizionale di poesia in distico, in cui il linguaggio è legato alla struttura tonale; si riferisce anche ad una categoria di duelli nel Wushu (arti marziali), uno stile di combattimento cinese che mescola performance, competizione e danza ritmata. La storia raffigura l’ amore e la perdita tra Qiu Jin e Wu Zhiying, i quali formano un legame potente che sfugge ai confini del tempo e del linguaggio.
ECKHAUS LATTA
ECKHAUS LATTA
Formato dai designer Mike Eckhaus e Zoe Latta nel 2011, Eckhaus Latta è un marchio di moda basato a New York e Los Angeles, coinvolto tanto nella creazione di una sfera sociale quanto nella produzione di abbigliamento. Dopo aver recentemente inaugurato la sua nona collezione gender-fluid, il duo ha evitato una sensibilità estetica o di design particolare, optando invece per un approccio sperimentale ai materiali e un rapporto concettuale con l’abbigliamento quotidiano. Questo è in parte un riflesso del loro background nel tessile e nella scultura, che si è dimostrato utile al fine di acquisire competenze trasversali che hanno saputo poi trasmettere nel marchio. Un aspetto importante della ricerca di Eckhaus Latta è stata quella fin da subito di stabilire collaborazioni con una comunità di artisti e creativi provenienti da altri settori e mondi. I prodotti che il duo progetta fanno parte di una più ampia rete di distribuzione e diffusione, in cui gli strumenti di
marketing e promozione, che sono aspetti integranti della moda, diventano parte integrante del processo di realizzazione. Oltre a presentare una selezione di capi d’abbigliamento delle collezioni del passato, Eckhaus Latta partecipa, alla mostra biennale ‘Made in L.A. 2016’ all’Hammer Museum, attraverso un video promozionale che è stato prodotto per esistere nel campo della pubblicità. Rilasciato prima della collezione primavera-estate 2016 e disponibile solo online, il video Smile (2016) riflette l’interesse di Eckhaus Latta di lavorare collettivamente per creare un’identità visuale. I video promozionali di Eckhaus Latta riflettono su come il formato video sia già di per sé predisposto per essere una forma di marketing e pubblicità all’interno della pratica artistica. Piuttosto che chiedersi se i materiali di marketing possano essere (o approssimare) il linguaggio dell’arte, Smile chiede se l’arte sia in grado di approssimare il linguaggio del marketing, e in che modo.
LUCI 6000
Questi testi cyber-sessuali e molto altro ancora potrebbe inondare la vostra casella di posta se osate impegnarvi con Luci, il robot che proviene dal pianeta Xeron, atterrato il 15 Dicembre 2017. D’ora in poi, Luci cercherà di sedurre tutti coloro con cui entrerà in contatto attraverso il suo account Twitter; lei ha già iniziato un test su Instagram. In mostra ora al Museum of Sex di New York, Luci è stata creata dalla fotografa e artista Maggie West in collaborazione con il marchio di sex toy ‘Lelo’; Luci nasce dopo che West ha notato l'esagerata dicotomia della sessualità dei millenials presentata nei media: siamo visti sia sessodipendenti che ossessionati da Tinder, esseri incapaci di formare una vera connessione con un altro umano e troppo incollati ai nostri telefoni per avventurarsi fuori dall'isolamento. Siamo estranei all’impegno necessario ad una relazione reale, rimaniamo invece facilmente soddisfatti dal porno e dalla masturbazione. Luci nasce come forma di critica satirica a questo sistema erotico-culturale di millenials eccitati.
UNIVERSITÀ IUAV, VENEZIA
EDITOR-IN-CHIEF – ANTONI MUNTADAS EDITOR – ALESSANDRA MESSALI EDITOR OSPITE – SIMONE ROSSI DESIGN – SIMONE ROSSI TEAM EDITORIALE – LISA PHILLIPS TEAM EDITORIALE – KATHARINE STOUT TEAM EDITORIALE – JENNIFER BLESSING TEAM EDITORIALE – JOHANNA BURTON TEAM EDITORIALE – AGNES GRYCZKOWSKA TUTTE LE IMMAGINI – DI CORTESIA DEGLI ARTISTI SOTTO IL PATROCINIO DI IUAV, VENEZIA DIPARTIMENTO DI CULTURE DEL PROGETTO CORSO DI LAUREA IN ARTI VISIVE
OLTRE IL BINARISMO DI GENERE