Nautilu Viaggio al Centro della Salute
TRIMESTRALE SCIENTIFICO - Anno I - N. 1, 2007
Nautilu Viaggio al Centro della Salute
TRIMESTRALE SCIENTIFICO - Anno I - N. 1, 2007
Editore SINERGIE S.r.l. Sede legale: Corso Italia, 1 - 20122 Milano Sede operativa: Via la Spezia, 1 - 20143 Milano Tel./Fax 02 58118054 E-mail: sinergie.milano@virgilio.it
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Direttore scientifico Università di Milano Giovanni B. Agus
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Arkadiusz Jawien
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Presidente CIF
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Presidente SNAMI
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©Copyright 2007 SINERGIE S.r.l.
Andrew N. Nicolaides Institute of Neurology and Genetics, Cyprus
Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata o riprodotta senza l’autorizzazione dell’Editore.
SOMMARIO EDITORIALE Nautilus. Navigazioni in una Sanità liquida Giovanni B. Agus
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Epidemiologia della Patologia Venosa Cronica Arkadiusz Jawien
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La sfida della clinical governance in flebologia Giovanni B. Agus
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AGGIORNAMENTO IN SLIDES Dalla legislazione sanitaria alla Clinical Governance
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COUNSELLING Acqua
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CULTURA Perché l'evoluzione è tema di attualità, oggi Mihael Georgiev
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Nautilu
Nautilus. Navigazioni in una Sanità liquida Che l’uomo sia fatto essenzialmente d’acqua e di sangue è nozione acquisita fin dagli studi elementari. Allo specialista vascolare - a cui questa nuova rivista è diretta, insieme al medico di famiglia attento -, piace ricordare la forte componente liquida sanguigna, specie nel bistrattato albero venoso. Che l’albero venoso sia sede di una delle più diffuse malattie del mondo occidentale ci viene ben documentato da Arkadiusz Jawien con un leading article sull’epidemiologia dell’insufficienza venosa cronica. Trova motivazione, altrettanto opportuna, un impegno che con lo stesso Editore di Nautilus - Sinergie - ci siamo dati dal 2006: facilitare la navigazione del medico attraverso i flutti della Clinical Governance che ci viene prospettata come un sicuro approdo per la pratica medica oggi in varie difficoltà. Ancora una volta il modello da noi prescelto è l’IVC. I tre volumetti editati nel 2006 hanno tracciato un percorso, speriamo utile per il medico italiano, sulle modificazioni avvenute in tema di malattie venose e della loro gestione. Di ben più spessore, la ricerca e le sue ricadute cliniche - quella che oggi chiamiamo translational trasferability - contemporaneamente ci stanno fornendo importanti novità sul danno vascolare a partenza dall’insulto endoteliale e sul rischio trombotico di flusso legato ai processi flogistici. Diviene così particolarmente felice l’occasione di presentazione della nuova rivista in occasione del XXIX Congresso Nazionale della SIAPAV a Palermo, ove nel Simposio centrale si riferisce della translational trasferability sull’interazione leucociti-endotelio, leucociti-piastrine, e del ruolo del glicocalice di GAGs e delle eparine a basso peso molecolare sulla flogosi, conoscenze che aprono nuove possibilità di management delle malattie vascolari e in particolare proprio dell’IVC e del drammatico rischio trombotico. Non a caso, tra le pratiche che la Agency for health Care Research and Quality USA (AHRQ) per Clinical Governance classifica al primo posto per forza di evidenze, di cui consiglia una più estesa applicazione, è l’appropriato uso della profilassi per prevenire la tromboembolia venosa in pazienti a rischio. La vicenda della medicina d’altronde ben si inserisce in quella categoria dell’umano che da tempo il sociologo Zygmunt Bauman ha indicato nella «liquidità» come emblema della società moderna. Vita liquida e modernità liquida sono profondamente connesse tra loro. “Liquido” è il tipo di vita che si tende a vivere nella società liquido-moderna. Una società può essere definita “liquido-moderna” se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure. Il carattere liquido della vita e quello della società
Editoriale
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si alimentano e si rafforzano a vicenda. La vita liquida, come la società liquido-moderna, non è in grado di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo. In una società liquido-moderna gli individui non possono concretizzare i propri risultati in beni duraturi: in un attimo, infatti, le attività si traducono in passività e le capacità in incapacità. Le condizioni in cui si opera e le strategie formulate in risposta a tali condizioni invecchiano rapidamente e diventano obsolete prima che gli attori abbiano avuto una qualche possibilità di apprenderle correttamente. È incauto dunque trarre lezioni dall’esperienza e fare affidamento sulle strategie e le tattiche utilizzate con successo in passato: anche se qualcosa ha funzionato, le circostanze cambiano in fretta e in modo imprevisto (e, forse, imprevedibile). Provare a capire come andrà in futuro sulla base di esperienze pregresse diventa sempre più azzardato e sin troppo fuorviante. Fare ipotesi attendibili diventa via più difficile, e le previsioni infallibili ormai sono fuori dal mondo. La vita liquida è, insomma, una vita precaria, vissuta in condizioni di continua incertezza. Le preoccupazioni più acute e ostinate che l’affliggono nascono dal timore di esser colti alla sprovvista, di non riuscire a tenere il passo di avvenimenti che si muovono velocemente, di rimanere indietro, di non accorgersi delle “date di scadenza”, di appesantirsi con il possesso di qualcosa che non è più desiderabile, di perdere il momento in cui occorre voltare pagina prima di superare il punto di non ritorno. Se è incauto trarre lezioni dalla sola esperienza e fare affidamento sulle strategie e le tattiche utilizzate con successo in passato, una rubrica di Suggerimenti dalle linee guida, consensus e flow-chart di management, tramite la pubblicazione di slides sintetiche su specifici argomenti, potrà essere di facile aiuto. Questo numero presenta i principi su cui si basa la moderna Clinical Governance. Altra rubrica, che sarà fissa, riguarda il Counselling, attività apparentemente poco interessante e time-consuming per il medico italiano; ed invece espressione moderna dell’antico e saggio rapporto medico-paziente attraverso i consilia. Non poteva essere che proprio il ruolo sanitario dell’acqua, ad aprirla. Conclude questo primo numero, nella sua parte più ampiamente culturale, un richiamo di Mihael Georgiev al risveglio di interesse di questi anni per l’evoluzione dell’uomo. Non paia strano. «Una parte di ogni vita umana, persino di quelle che non meritano attenzione, trascorre nella ricerca delle ragioni dell’esistenza, dei punti di partenza delle origini», scriveva Marguerite Yourcenar in Memorie di Adriano. Splendido libro che si apre, alla prima pagina, con la visita di un grande medico all’opera, Ermogene; piccolo indizio per una bella rilettura: «con la descrizione del corpo d’un uomo che s’inoltra negli anni… è difficile rimanere imperatore in presenza di un medico… le gambe gonfie non mi sostengono più nelle lunghe cerimonie di Roma… e ho sessant’anni» dice Adriano. Affiancata a questa prima domanda di senso che ogni uomo si pone nella propria vita, una seconda domanda di base se la pone ogni storico della scienza moderna: perché la scienza sia nata e sviluppata in Europa e non altrove. La risposta chiave è perché solo qui da duemila anni esiste il concetto di creazione.
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Epidemiologia della Patologia Venosa Cronica Dalla Polonia un confronto e alcuni nuovi concetti sull’impatto dell’insufficienza venosa cronica Arkadiusz Jawien, Tomasz Grzela Dipartimento di Chirurgia, Collegium Medicum, Università Nicolai Copernicus, Bydgoszcz, Polonia
Un’ampia gamma di patologie che va da semplici condizioni di vene reticolari, teleangectasie, vene varicose, fino a forme avanzate quali le lesioni trofiche cutanee e le ulcere attive, rappresenta la molteplicità dei disturbi venosi a carico degli arti inferiori. L’insufficienza venosa cronica (IVC, ma nel mondo anglosassone è sempre più frequentemente definita Chronic Venous Disorders valorizzando anche lo stato dei disturbi) crea un consistente problema finanziario ai servizi di assistenza sanitaria pubblici assorbendo l’1-3% delle risorse totali dedicate alla sanità. Il trattamento delle ulcere venose da solo costa 400-600 milioni di sterline ogni anno nel Regno Unito, mentre negli USA questo costo supera il miliardo di dollari. I costi sociali totali di queste patologie nel Regno Unito, in Francia e in Germania sono dunque superiori al miliardo di dollari per ognuno di questi Paesi. Se è noto a tutti che la frequenza delle patologie venose è elevata, tuttavia una precisa definizione della prevalenza reale dei Disturbi Venosi Cronici (CVD) è difficile da affrontare. La maggior parte dei dati disponibili in letteratura comprende infatti, spesso, solo forme selezionate di patologia più severa, come ad esempio varici, ulcerazioni, lesioni trofiche cutanee [1]. La terminologia stessa in letteratura e la varietà di definizioni dei diversi stadi della malattia creano poi ulteriori difficoltà [2,3]. La maggior parte degli studi considera per lo più le varici degli arti inferiori e, nonostante ciò, vi sono discrepanze di definizione anche in questa classe di pato-
logia, come capita nel caso delle vene reticolari e delle varici tronculari usate indifferentemente. L’American Venous Forum ha promosso nel 1994 un progresso sostanziale con l’introduzione della classificazione CEAP per la patologia venosa cronica [4]. L’acronimo deriva delle prime lettere della terminologia inglese: Clinica (segni) (Tabella 1), Eziologica (classificazione), Anatomica (distribuzione di sede), fisioPatologica (tipo di alterazione). Questa classificazione ha armonizzato la terminologia e la modalità dei reporting standards nella diagnosi delle patologie venose, stimolando la discussione su opportunità e limiti nel creare un sistema globale di classificazione largamente accettato. Ancora oggi, il sistema si scontra con numeri discordanti. Uhl et al. avevano già mostrato i limiti di tale codificazione nel clinical assessment, indicando l’eterogeneità di talune categorie di termini. Nel 2004 - 10° anniversario della CEAP - una versione aggiornata è stata preparata e pubblicata da un ampio gruppo di esperti. Il numero di modifiche apportate in questa versione della classificazione non è rilevante, ma tuttavia, il tentativo di definire le diverse classi di patologia rappresenta un indubbio vantaggio. Le modifiche alla terminologia sembrano così essere il vero titolo del documento: “DISTURBI venosi cronici (in Nel 2004 è stata pubblicata la versione aggiornata della CEAP che ridefinisce l’I.V.C. come C.V.D. (Disturbi Venosi Cronici)
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Classificazione Clinica della CEAP C0
Assenza di segni visibili o palpabili di disturbi venosi
C1
Teleangiectasie Vene reticolari
studi condotti su ampia scala di popolazione. Inoltre, l’analisi di tutti i dati, soprattutto in relazione alla loro raccolta in diversi periodi, dovrebbe essere gestita con particolare attenzione. La prevalenza dei Disturbi Venosi Cronici (CVD)
C2
Varici
C3
Edema
C4 C4a C4b
Alterazioni cutanee Iperpigmentazione, Eczema Lipodermatosclerosi, Atrofia bianca
C5
Ulcera guarita
C6
Ulcera attiva
E’ in Polonia che nel 2003 sono stati pubblicati i risultati del più ampio studio epidemiologico multicentrico incrociato. Esso includeva oltre quarantamila soggetti della popolazione polacca (40.095). Secondo i dati raccolti, i disturbi venosi in tutte le classi considerabili riguardano almeno la metà di tutta la popolazione polacca (con una maggiore frequenza classicamente nella popolazione femminile 50,99% - rispetto a quella maschile - 38,33% -) [7] (Figura 1, 2). I segni di questi disturbi venosi sono stati diagnosticati in entrambi gli arti inferiori allo stesso momento nel 41% dei soggetti, mentre una patologia venosa monolaterale è stata osservata nell’8% della popolazione studiata.
Tabella 1 inglese con la sigla CVD)”, utilizzato al posto di “MALATTIA venosa cronica” [5]. In realtà non di semplice questione linguistica si tratta, prospettandosi diversi livelli di sintomatologie correlabili a differenti momenti evolutivi che già nelle 7 classi CEAP trovano espressione di corrispondenti nuove conoscenze patogenetiche. La semplice incontinenza valvolare secondaria alla patologia di parete venosa, tradizionale baluardo contro il reflusso di sangue verso il basso e verso la cute, si combina infatti all’ipertensione venosa, entrambe portando alla formazione di teleangectasie e varici, disturbi venosi più frequenti, come all'edema primo segno di microangiopatia. Nelle classi più severe della CEAP, l’ipossia tissutale e l’edema locale favoriscono infiammazione e microtrombosi. In un cenno, le condizioni di infiltrazione leucocitaria ed iperviscosità rappresentano il nuovo target leucociti-endotelio ben espresso dalla formulazione di Nicolaides, ”interazione leucociti-endotelio: dai sintomi all’ulcera” [6]. Gli ultimi studi epidemiologici condotti usano pertanto una terminologia più omogenea per tali disturbi venosi cronici in accordo con la classificazione CEAP rivisitata (Tabella 1). Esistono solo pochi tipi di
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Disturbi Venosi Cronici nelle donne (studio epidemiologico Polonia) Disturbi Venosi Cronici Assenza di patologia
Figura 1 Disturbi Venosi Cronici negli uomini (studio epidemiologico Polonia) Disturbi Venosi Cronici Assenza di patologia
Figura 2
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Sembra ovvio che le forme meno avanzate della patologia venosa siano anche le più frequenti. I dati sugli studi già realizzati nell’Unione Europea mostrano come teleangectasie e vene reticolari siano i segni più rappresentati dei disturbi venosi cronici. Vengono infatti riportati in più della metà degli uomini ed in almeno il 65% delle donne. D’altra parte le vene varicose sono state riscontrate nel 25-33% delle donne e nel 10-20% degli uomini [2,8,9,10]. Mentre le teleangectasie e le vene reticolari erano presenti in meno della metà della popolazione adulta polacca, le varici venivano osservate nel 34% dei partecipanti (nel 36% delle donne e nel 28% degli uomini) (Figura 3); inoltre, in almeno il 25% dei soggetti era stata fatta diagnosi di varici ad entrambe le gambe simultaneamente [7]. E’ di cruciale importanza considerare il fatto che la differenza di distribuzione delle patologie descritte fra il sesso femminile e quello maschile fosse meno preminente rispetto a quanto atteso. Le più recenti pubblicazioni vanno infatti ridimensionando la nota predominanza di varici nelle donne. E addirittura, l’Edinburgh Vein Study indica chiaramente la maggiore prevalenza negli uomini [1,11], ma ciò deriva da popolazioni di aree differenti, quanto da stili di vita sempre più simili tra i due sessi (Tabella 2).
Prevalenza di Disturbi Venosi Cronici e differenti patologie venose in 40.095 adulti polacchi 50 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0 frequenza %
senza patologia telangectasie vene varicose
edema lesioni cutanee ulcere
Figura 3
Prevalenza di varicosità in base al sesso nei paesi occidentali ed in Polonia Polonia [3] Edimburgo (Regno Unito) [9] Finlandia [8] Londra (Regno Unito) [7] Gerusalemme (Iraele) [6] Tecumseh (USA) [4]
0
Maschi
10
20
30
40
50
Femmine
Tabella 2 Disturbi Venosi Cronici La prevalenza delle alterazioni cutanee come iperpegmentazione e lipodermatosclerosi, così come l’edema, sono meno documentate nella letteratura epidemiologica. Le contraddizioni che riguardano la prevalenza di edema agli arti inferiori di origine venosa sono evidenti. L’edema è stato riportato nel 10% degli uomini e nel 20% delle donne con varici negli studi più datati condotti negli USA [12]; il recente San Diego Population Study del 2005 viceversa, mostra la reale importanza diagnostica dell’edema: questo è infatti il marcatore più specifico di possibili patologie venose, perché meno del 10% dei sani lo riportava mentre era almeno due volte più alto il numero di coloro che lo lamentavanto nel gruppo in cui la patologia funzionale veniva diagnosticata o con l’eco-Doppler o già dal semplice esame clinico della gamba [13]. Nell’European Phlebological File, l’edema era evidente nel 18,5% degli arti esaminati, mentre nello studio RELIEF l’edema veniva diagnosticato nel 25% circa dei pazienti con CVD. Significativi numeri più alti sono riportati per la popolazione Italiana - circa il 30% della popolazione generale. Ancor più risulta presente nella popolazione spagnola: nel 43,6% dei soggetti con CVD (l’edema predominava addirittura sulle teleangectasie) [14,15,16]. Curiosamente, la classe clinica C3, l’edema, è risultato il segno principale di disturbi venosi cronici solo nel
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La frequenza di Disturbi Venosi Cronici supera il 50% nei soggetti over-50 esaminati dallo studio Polonia (40.095)
4,5% dei polacchi adulti [7]. Comunque, tenendo in considerazione la prevalenza dell’edema agli arti inferiori negli stadi più avanzati (con pigmentazione, lesioni cutanee o ulcerazioni), la sua prevalenza totale può essere stimata maggiore, fino al 10% (Figura 3). Se tale prevalenza fosse considerata tra i soli soggetti con disturbi venosi cronici e non sull’intera popolazione, in questo caso il valore aumenterebbe al 20%. Le alterazioni trofiche della pelle sono leggermente più frequenti nelle donne e, in linea con diversi dati raccolti, la loro prevalenza nella popolazione generale non supera il 5-10% [2,3,7,8]. I nostri studi rilevano queste alterazioni in un range del 4,5-6% della popolazione generale polacca (ad es. circa nel 12% dei pazienti con CVD) (Figura 3). Altri studi indicano pigmentazione e alterazioni cutanee nel 13-14% dei soggetti con CVD (19% in Spagna), mentre nella popolazione generale italiana sono il 16% [7,15,16]. Le ulcere attive agli arti inferiori vengono registrate nel 0,3% circa della popolazione adulta dei Paesi occidentali. Ma il numero di queste, insieme a quelle guarite (con segni cicatriziali della fase ulcerativa) ammonta ad almeno l’1% della popolazione. E questi casi mostrano una prevalenza maggiore nelle donne [2,3,10]. In Polonia, i dati sulle ulcere attive sono ancor più importanti, osservandosi in circa lo 0,5% degli adulti, mentre le ulcere attive più quelle guarite nell’1,5% (Figura 3); non viene invece riscontrata una prevalenza maggiore nelle donne [7]. In accordo con diversi autori, una maggiore frequenza di ulcere venose si riscontra in pazienti con CVD severa. D’altra parte anche i dati che riguardano la popolazione italiana sono rilevanti e documentano residui cicatriziali nel 6% e ulcere attive nel 2% [15]. In una esperienza totalmente diversa per area geografica e culturale, tra gli abitanti di San Paolo in Brasile, ove è richiesta assistenza medica a prescindere dall’etiologia, le ulcere attive insieme a quelle guarite sono state registrate fino al 3,6% [17].
Le difficoltà di interpretazione sono critiche, così come i criteri dei vari studi sugli stili di vita non sono uniformi (ad esempio il tempo passato in posizione seduta o in piedi, oppure quello impiegato in attività fisica). Inoltre, la maggior parte dei risultati confermano l’attendibilità non sempre elevata dei dei dati raccolti [9]. I fattori legati all’età, le caratteristiche del lavoro (posizione seduta o in piedi, l’attività fisica) o il luogo di residenza, in relazione con i CVD o, più riduttivamente, il segno/sintomo delle varici, sono insignificanti o del tutto assenti. Gli studi finora prodotti non garantiscono dati convincenti rispetto alla relazione fra CVD e potenziali fattori di rischio. Valutando lo studio complessivo delle forme cliniche assai differenti per severità tra CVD, i membri dello studio Veines hanno concluso che la letteratura può solo garantire con evidenze il fatto che la prevalenza delle varici è influenzata dalla gravidanza e dalla obesità [9]. Lo studio che ha incluso una così larga popolazione di adulti polacchi ha rilevato una prevalenza più alta di disturbi venosi cronici e varici nelle donne che passano molto tempo in posizione eretta, che svolgono un’attività fisica scarsa, o che sono in sovrappeso, oppure in soggetti affetti da problemi di stipsi o traumi alle gambe. In ogni caso, la correlazione fra questi fattori rimane debole. Una certa influenza in più sui Prevalenza di Disturbi Venosi Cronici in relazione all’età della popolazione numero di pazienti 7000 6000 5000 4000 3000 2000 1000 0
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età (decade)
CVD. I fattori di rischio Anche l’analisi delle relazioni fra la prevalenza della patologia venosa e sintomi clinici è difficile da realizzare.
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Disturbi Venosi Cronici
Assenza di Disturbi Venosi
Figura 4
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La prevalenza femminile di Disturbi Venosi Cronici sulla popolazione maschile viene sovvertita dallo studio Polonia condotto sulla popolazione generale dati raccolti è stata notata per i casi con familiarità positiva. Un più ampio range di studi mostra che la più alta prevalenza di patologia venosa è registrata in almeno uno dei genitori con disturbi venosi cronici, in particolare con riguardo alle varici [3,7,10]. Esiste una globale tendenza che indica l’aumento della prevalenza della patologia venosa legata al fattore età. Fino al 40% degli uomini e al 50% delle donne over-70 soffrono di vene varicose agli arti inferiori. La prevalenza delle lesioni cutanee e delle ulcere egualmente dipende dal fattore anagrafico. Queste concordanze corroborano i dati ottenuti dalla ricerca epidemiologica realizzata in Polonia. A partire dalla 5° decade il CVD colpisce più della metà dei soggetti [7] (Figura 4). Conclusioni In conclusione, i disturbi venosi cronici sono un problema della salute assai comune nell’Unione Europea e in generale nel mondo occidentale. I dati raccolti della popolazione polacca, paradigmatici, sono simili a quelli di altri Paesi. Sembra che i disturbi venosi diventino sempre più frequenti fra gli uomini mentre il maggiore impatto fra le donne, osservato fino ad ora, pare ridurre il proprio significato. Tra i fattori di rischio per la comparsa di disturbi venosi cronici la maggiore influenza risulta legata ai fattori dell’età e della obesità. Bibliografia 1. Bradbury A, Evans Ch, Allan P, Lee A, Ruckley V, Fowkes FG What are the symptoms of varicose veins? Edinburgh vein study cross sectional population survey. BMJ 1999; 318: 353. 2. Fowkes FG, Evans CJ, Lee AJ Prevalence and risk factors of chronic venous insufficiency. Chronic Venous Insufficiency. Angiology 2001; 52 (Suppl 1): S5-S15. 3. Callam MJ Epidemiology of varicose veins. Br J Surg 1994; 81:167. 4. Bergan JJ, Eklof B, Kistner RL, Moneta GL, Nicolaides
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La sfida della clinical governance in flebologia Cosa è la clinical governance? Un significato concettuale semplice è “l’utilizzo di una maniera di gestione in ambiente sanitario basato su un nuovo modello di come fare le cose in maniera corretta e giusta” Giovanni B. Agus Ordinario di Chirurgia Vascolare, Università di Milano
Aver tentato di tradurre clinical governance in “governo clinico” è stato fuorviante. L’aggettivo clinical indica infatti l’ambiente in cui si esercita la medicina e non è equiparabile all’attività clinica che ha a che fare con la materia della medicina, la diagnosi e cura. Governance poi, termine presente in molte lingue europee, ma non nell’italiana, ha significato assolutamente diverso dal “governo”, essendo la prima l’arte o modalità di gestire la Pubblica utilità e non il senso dirigistico del secondo. Ricordiamo la prima definizione di clinical governance. “La clinical governance è un sistema attraverso cui le organizzazioni sanitarie sono responsabili del continuo miglioramento della qualità dei loro servizi e della salvaguardia di elevati standard di assistenza mediante la creazione di un ambiente in cui possa svilupparsi l’eccellenza dell’assistenza sanitaria” [Gabriel Scally e L.J. Donaldson British Medical Journal,1998]
Non è scopo di questo articolo, chiaramente rivolta ad ambito settoriale quale la flebologia, inoltrarsi nel mare magnum di questo nuovo modello; leggiamolo dunque nelle ricadute sullo specialista “flebologo” e
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sul medico di famiglia-MMG: come fare [in flebologia] le cose in maniera corretta e giusta? Perché scegliere il modello flebologia? Le applicazioni al campo della flebologia sono interessanti. Intanto si tratta di un campo che presenta una forte interrelazione tra forme cliniche croniche - l’insufficienza venosa cronica - e acute il tromboembolismo venoso -; che a sua volta, circolarmente, genera un alto numero di forme croniche a rischio di ricaduta acuta - la sindrome posttrombotica -. Questi aspetti aprono un ventaglio di nuovi problemi gestionali per il medico di medicina generale che vanno dalla cura della cronicità, necessità di rispondere ad un bisogno sanitario sempre più diffuso, quanto di controllo della spesa per i costi esorbitanti; alle problematiche aperte dalle nuove home-therapy; alla tutela dei rischi dei pazienti e dello stesso medico (risk management). Finalmente, la flebologia è una delle branche più giovani della medicina, nel senso che sì le malattie venose si perdono nell’antichità dell’epoca ippocratica, ma è venuta affermandosi per ruolo autonomo e di importanza via via crescente solo nell’ultimo ventennio. Gli obiettivi che la clinical governance affronta sono in varia misura nuovi nella coscienza del medico.
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riduce la domanda, aumentando l’offerta e che non basta dire paga tutto lo Stato, bisogna stabilire cosa è che serve davvero ed escludere dai rimborsi cure per cui non c’è prova di efficacia. Con quei Comitati si spendeva troppo e le cure non sempre erano quelle giuste. Poi gli Ospedali sono diventati Aziende. Via i Comitati di gestione, arrivano i manager e si fa strada l’idea che il pubblico spreca e il privato porta efficienza e buone cure. Adesso si spreca meno. Ci si poteva arrivare in un altro modo, ma questo è Una non ultima precisazione accentua la peculiarità quello che ha deciso la politica. Con la vecchia logica. della flebologia. Molto spesso, essa sfugge alle regoLa politica dà indirizzi ma continua a gestire, attraverso le della “aziendalizzazione” in sanità perché branca i direttori generali (legati, o vicini, cioè al sevizio della medica non ben confinata entro limiti di singola spepolitica). Peccato, perché da questi direttori e dalle loro cializzazione, perché largamente privatistica, perché capacità, dipende la salute di milioni di cittadini”. largamente praticata dal MMG. La salute di milioni di cittadini italiani (oggi frammentati in lombardi, toscani, laziali, campani, siciliani…) non è dunWelfare State que più principalmente determinata dal lavoro medico La medicina è parte non irrilevante del Welfare state “dove la passione, l’impegno, la volontà, il merito e lo spicodificato dalle Costituzioni degli Stati europei nel rito competitivo stavano davanti alla politica, a quell’ecsecondo dopoguerra sulla scorta dell’esperienza della cesso di politicizzazione che si vede oggi nelle corsie Repubblica di Weimar e del New Deal roosveltiano. degli ospedali. Di questa sanità non piace l’invadenza che Con evidenza, è oggi in crisi perché fonte di inefficienla politica ha assunto e la burocrazia che non dà spazio a ze, eccessiva burocratizzazione e sprechi. uomini e donne liberi, appassionati, che nella professione Essendo anzi il SSN la componente di maggior impatto medica cercano l’approccio umano e competente con i economico nel welfare state, il controllo della spesa sanipazienti. Non piace la corsa all’oro dei facili guadagni, il taria va modificandosi attraverso una contrazione pressappochismo. della stessa, ad esempio mediante strategie di Spaventa il distacco medico-paziente. Nei azioni di “medicina in rete” con piani euroreparti di degenza e nei blocchi operatori si PRACTICE pei di e-government (Commissione eurofanno arretrare le frontiere dell’impossibile, DEVELOPMENT pea del 30 aprile 2004: Making healthcama la sanità deve insegnare di più ai Effective Practice re better for European citizens: An action medici ad entrare nel mondo delle malatDevelopment plan for a European e-Health Area). tie quali sono vissute dai pazienti. Noi non SYSTEMS LEADERSHIP Per l’Italia, per di più esiste l’interferensiamo entomologi che contemplano AWARENESS za della politica messasi in moto con la insetti. L’umanizzazione delle cure oggi è la nascita di un Sistema Sanitario Nazionale nuova battaglia” (Gianni Bonadonna). HEALTHCARE ENVIRONMENT da essa non tanto controllato, quanto pesantemente gestito. Ottimizzazione delle risorse Una stringata ma veritiera storia del Governo della e miglioramento continuo delle prestazioni Sanità possiamo rileggerla dall’efficace penna di Giuseppe Remuzzi, noto e illustre collega quanto editoriaLa cronicità è la condizione che più caratterizza la lista di cose sanitarie sul Corriere della Sera: “Nel 1978 fu medicina contemporanea. la politica ad istituire il Servizio Sanitario Nazionale, perché L’insufficienza venosa cronica (IVC), è emblematica tutti potessero avere le cure necessarie, ma col SSN sono della problematicità del gestire una condizione spesarrivati i Comitati di «gestione» di nomina politica. Che so non correttamente inquadrata per importanza non si occupavano solo di programmi e bilanci ma di tutto medica, sociale ed economica. dagli acquisti alle assunzioni. Senza accorgersi che non si Analisi italiane (SNAMID, 2004) e nordamericane (Registro • • • • • •
ottimizzazione delle risorse miglioramento continuo delle prestazioni customer satisfaction (malato) risk management eccellenza dell’assistenza sanitaria economicità nell’impiego delle risorse e abbattimento delle diseconomie
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Le ultime evidenze di ricerca indicano il ruolo dell’infiammazione endoteliale, cioè la terza componente della triade di Virchow insieme alla stasi e alla coagulazione, come nuovo target terapeutico Sanitario USA), pongono rispettivamente al 4° e 7° posto tra le più importanti malattie croniche le vene varicose. Oggi, in tempi di disease management, esiste una capacità di risposta clinica ai problemi della cronicità, ma manca ancora una visione più ampia di diagnosi ed assistenza sul territorio che può derivare dall’attivazione di team multidisciplinari. L’IVC inoltre, è spesso trascurata dalla medicina di famiglia e talvolta dagli stessi specialisti angiologi e chirurghi vascolari perché non ritenuta altro che espressione di un problema della popolazione femminile, forse con il marchio di problema estetico. Fortunatamente, il trend di interesse per l’IVC è andato mutando grazie agli studi epidemiologici, alla miglior conoscenza della storia naturale della malattia (le “varici” sono manifestazione di malattia e non quadro patologico per se stesso), ai chiarimenti forniti dalla classificazione CEAP, che si riferiscono ad una patologia che colpisce l’intero sistema venoso degli arti inferiori caratterizzata da ipertensione venosa ed alterazioni a livello sia del macro che del microcircolo.
Figura 1. Glicocalice di Glicosamminoglicani (GAGs)
L’IVC d’altronde, comprende un ampio spettro di situazioni cliniche che possono all’inizio rimanere anche inespresse sul piano semeiologico, ma già determinate da sintomi premonitori (CEAP C0: il medico non “vede” la malattia, ma il paziente la “sente”). Le ultime evidenze di ricerca indicano inoltre il ruolo dell’infiammazione endoteliale, cioè la terza componente della triade di Virchow insieme alla stasi e alla coagulazione, come nuovo target terapeutico, prospettando come i farmaci in grado di inibire i processi flogistici possano rappresentare una grande opportunità per prevenire l’evoluzione delle flebopatie, se impiegati precocemente. Gli anni ’90 avevano già visto un impulso alla comprensione e ricerca dei fenomeni di danno endoteliale e la prospettiva di attuare da un lato la reintegrazione del glicocalice di superficie per ripristinare la barriera protettiva di GAGs (Figura 1) contro l’adesione leucocitaria, dall’altro di agire sulla risposta infiammatoria in cui l’attivazione di elementi del flusso come piastrine e soprattutto leucociti giocano un ruolo chiave” (Figura 2). In un percorso di miglioramento del controllo di una malattia così diffusa e “sfuggente” come l’IVC, essersi ritrovati oggi a poter disporre di sostanze assolutamente innovative - e nel caso del Sulodexide e del Parnaparin, di scoperta italiana, ora sviluppate in svariate parti del mondo - può considerarsi una svolta concettuale e pratica. Da un lato l’uso di glicosamminoglicani come il Sulodexide per l’affinità alla parete endoteliale, dall’altro l’uso di EBPM come il Parnaparin per l’attività sul flusso. Sono temi e prospettive che chiedono approfondimenti, che possiamo preannunciare sviluppati fin dal prossimo numero di Nautilus. Customer satisfaction e risk management Di severità e gravità si può parlare per gli stadi più avanzati dell’IVC, per la comparsa di vari gradi di alterazioni trofiche destinate a sofferenze, rischi e costi, tutti di assai poca “soddisfazione” per il paziente. Per le ulcere venose è necessaria una particolare attenzione gestionale, sia perché ultimo stadio clinico dell’IVC, esito di forme di IVC primitive o di forme secondarie a eventi trombotici quale la SPT; sia per le ricadute sulla QoL quanto per i costi rilevanti per la società (fino al 2-3% del Budget Sanitario Nazionale in UK, ma in generale in UE). Tanto più perché la cura delle ulcere venose costitui-
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Figura 2
sce un problema spesso sottovalutato e scaricato sulla famiglia del paziente, perché la guarigione avviene in tempi lunghi e la comparsa di recidive risulta molto frequente: nel 50-75% dei casi il tessuto ripara in 6 mesi, nel 20% dei casi resta aperto in media per 24 mesi e nell’8% per 5 anni. La cura dell’ulcera mette da sempre a dura prova il miglior medico. Può essere gestita dal MMG, talvolta da infermieri ove funziona l’ assistenza domiciliare oppure presso centri specialistici “vulnologici” in via di sviluppo in Italia. Per i casi di IVC più avanzata sono stati dimostrati e segnalati risultati ottimali con Sulodexide nel coadiuvare ed accelerare la guarigione delle ulcere, oltre che con compressione e chirurgia quando indicata (Clinical Evidence 2005, 3° Ed., Ministero Salute). Rientra qui anche la gestione del rischio, quale insieme di strumenti finalizzati a identificare, valutare e gestire gli eventi che possono intralciare, se non impedire, il conseguimento degli obiettivi da parte di un singolo medico o di un’organizzazione sanitaria. Ad esempio, solo tra gli errori diagnostici, il 50% è dovuto al mancato utilizzo di esami appropriati e il 32% alla mancata interpretazione. E l’importanza dell’uso di farmaci appropriati, efficaci e sicuri è ancor più pressante. Eccellenza dell’assistenza sanitaria, economicità nell’impiego delle risorse e abbattimento delle diseconomie La trombosi venosa profonda con la sua sequela acuta l’embolia polmonare - e cronica - la sindrome post-trombotica -, rappresenta una malattia comune quanto una sfida per i medici di ogni disciplina. Nonostante il ruolo preminente delle eparine a basso peso molecolare nella prevenzione e terapia, la prevalenza ancora troppo eleva-
ta con significativo peso in economia sanitaria, sempre più in aumento, richiedono una governance del problema tesa ad una reale eccellenza dell’ assistenza sanitaria. Il MMG è notevolmente implicato nella diagnosi e nella terapia delle trombosi, contrariamente a quanto si pensasse sino ad un recente passato che vedeva considerate trombosi venose ed embolie polmonari rischio ed evento unicamente ospedaliero. Evidenze da studi di farmacoeconomia segnalano i vantaggi di EBPM come Parnaparin. In tema di controllo razionale della spesa, a parte l’attenzione da tempo posta alla chirurgia delle varici ad alto rischio di inappropriatezza e per tale motivo rientrante nei LEA, un altro punto che richiede la massima attenzione è rappresentato dall’appropriatezza delle richieste di atti diagnostici e dalla gestione del followup, sia di pazienti operati che di quelli affetti da patologie croniche che necessitano di controlli costanti. Il rispetto dell’appropriatezza dell’uso delle tecnologie diagnostiche, porta sicuramente ad una riduzione delle liste d’attesa e a notevoli risparmi economici. Ancora a proposito della spesa farmaceutica vanno sfatati alcuni miti. E’ interessante notare come un lavoro nordamericano che si riferiva a tutti i farmaci prescritti negli ambulatori medici negli USA, ha evidenziato una correlazione tra spesa in prodotti farmaceutici e risparmi sostanziali realizzati nella spesa per l’assistenza sanitaria, per riduzione dei ricoveri ospedalieri. Nello specifico, tenendo sotto controllo gli effetti dovuti ad altre variabili, si nota che ad un aumento di 100 prescrizioni farmaceutiche corrispondono 1,48 ricoveri ospedalieri in meno e 16,3 giorni in meno di degenza, con i notori alti valori di costo. Accentuati questi dall’ancor diffuso ricorso al ricovero ordinario invece che al day-hospital e day-surgery più economici e di maggior gradimento da parte dei pazienti. L’impiego di Glicosamminoglicani (GAGs) a medio peso molecolare fornisce una migliore affinità sulla parete vascolare, mentre le Eparine a Basso Peso Molecolare (EBPM) sul flusso sanguigno
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Suggerimenti dalle Linee Guida, Consensus e Flow-chart di management
Dalla legislazione sanitaria alla Clinical Governance Sistema Sanitario Nazionale D.Lgs 502/92 D.Lgs 517/93 D.Lgs 512/94
D.Lgs 229/99
Salute Qualità Economicità Efficacia
Aziende Sanitarie Territoriali e Ospedaliere
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Bisogni Bisogni sanitari • Crescita delle aspettative • Invecchiamento della popolazione
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• Cronicizzazione delle patologie • Allargamento indicazioni terapeutiche • Evidenziazione patologie ansio-depressive
Disponibilità Disponibilità finanziarie • Limitazioni di budget • Fissazione dei tetti di spesa • Riduzione delle strutture (e del personale) • Autofinanziamento della regione
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Obiettivi generali delle Aziende Sanitarie
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Efficienza: migliorare la correttezza delle diagnosi e delle terapie (sviluppo delle conoscenze cliniche e della capacità di utilizzarle) Economicità: abbattere le diseconomie nelle attività diagnostiche e terapeutiche
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Efficacia: utilizzare procedure, protocolli, linee guida e percorsi diagnostici terapeutici per le attività diagnostiche e terapeutiche in maniera corretta e giusta Equità e qualità: revisionare periodicamente le attività diagnostiche e terapeutiche Eccellenza: arrivare al miglioramento continuo per tendere all’eccellenza nell’assistenza sanitaria
Sostenibilità economica Legge 405/2001 Tetto assistenza farmaceutica convenzionata
13% spesa sanitaria
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Legge 326/2003 Tetto assistenza farmaceutica complessiva (convenzionata, ospedaliera, distribuzione diretta)
16% spesa sanitaria Intesa Conferenza Stato-Regioni 23 marzo 2005 a) mantenere la stabilità e l’equilibrio di gestione del SSR tramite misure di contenimento della spesa (……….)
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Obiettivi del SSN (D.L. 229/99) • Rispetto della dignità della persona umana • Bisogno di salute e di benessere di salute
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• Equità per l’assistenza • Appropriatezza e adeguatezza delle prestazioni • Economicità e abbattimento delle diseconomie
Appropriatezza È una delle possibili qualità delle prestazioni. Le prestazioni di un servizio (o di un operatore) sanitario o sociale si dicono “appropriate” quando sono al tempo stesso: • pertinenti rispetto a persone, circostanze e luoghi; • valide da un punto di vista tecnico-scientifico; • accettabili sia per i clienti/pazienti che per gli operatori.
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Adeguatezza Assieme all’efficacia, all’efficienza e alla soddisfazione è una delle quattro componenti della qualità dell’assistenza sanitaria e sociale ritenute essenziali. Viene definita come il rapporto tra i servizi disponibili e i bisogni della popolazione, ed è strettamente correlata all’accessibilità.
Servizi A = ______________ Bisogni
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Criteri di assistenza 1. Omogeneità di offerta;
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2. Orientamento della domanda; 3. Integrazione con gli altri servizi territoriali; 4. Collaborazione con i servizi ospedalieri; 5. Promozione del loro ruolo.
Appropriatezza dell’assistenza farmaceutica
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Qualificarne e razionalizzarne l’utilizzo, assicurando la migliore assistenza al cittadino, tenendo conto delle risorse economiche disponibili, orientando gli operatori sanitari alla migliore scelta, tramite la farmacoeconomia, mediante l’adozione di linee guida per le patologie prevalenti, il monitoraggio quali-quantitativo dei consumi e della spesa, dei progetti di qualificazione dell’assistenza e nel rispetto dei livelli programmati;
Criteri di assistenza
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• Economicità nell’impiego delle risorse e abbattimento delle diseconomie; • Miglioramento continuo delle prestazioni; • Customer satisfaction (malato).
Riferimenti di approfondimento - Roberto Grilli e Francesco Taroni Governo Clinico. Governo delle organizzazioni sanitarie e qualità dell’assistenza. Il Pensiero Scientifico Editore, Roma 2004 - Michele Giacomazza, Franco Ginanni, Andrea Vettori Clinical Governance. Verso l’eccellenza dell’assistenza sanitaria. Mediserve, Milano-Firenze-Napoli 2005.
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Acqua L’acqua corporea è alla nascita il 75% del peso corporeo (65% ad un anno). Al progressivo accumulo del grasso corrisponde una diminuzione dell’acqua dell’uomo Acqua per immersione Il contatto diretto dell’acqua è benefico notoriamente da sempre. Nelle sue varie forme, tuttavia, è necessario conoscere principi, indicazioni, posologie. Qui ci si riferisce agli effetti sulla circolazione venosa e linfatica (ed emorroidaria) per unità di patologia. Il principio si basa sulle azioni meccanica, termica, specifica. La prima, o pressione idrostatica, è in rapporto con la tecnica del bagno e il grado di immersione che per l’angiologia è rivolto agli arti inferiori con l’effetto di spremitura delle vene superficiali e dei linfatici, nonché la compressione della parete addominale, azioni che comportano un incremento della vis a tergo. Il livello termico del bagno è co-fattore di rilievo nel determinismo di fenomeni, diretti e indiretti, che portano a stimolazione della termoregolazione, vasodilatazione capillare periferica, iperdinamismo circolatorio, favorendo circoli collaterali e azione sui tessuti cutanei. In generale la temperatura tra 30°C e 37°C (acque cosiddette termali) è considerato valore termico ideale per questa patologia. La costituzione chimica dell’acqua fornisce l’azione farmaco-dinamica specifica esercitata da iodio, zolfo, magnesio, ferro, arsenico, e microelementi in tracce, importanti catalizzatori di azioni enzimatiche. Anche gas disciolti,
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Rembrandt. Giovane donna al bagno in un ruscello, 1654. National Gallery, London
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ozono e CO2, e la radioattività svolgono un notevole valore curativo. Questa azione crenoterapia, propriamente detta, è legata alle caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua utilizzata: • Sali minerali • Oligoelementi • Termalità • Concentrazione Se da un punto di vista fisico l’impiego di qualsiasi acqua minerale può essere di giovamento, dal punto di vista chimico solo alcuni tipi di acque presentano precise indicazioni nel trattamento e riabilitazione dell’insufficienza venosa e linfatica cronica. Balneoterapia Il bagno di mare vero e proprio unisce molteplici effetti: componenti solide inorganiche (cloruri, sodio, magnesio, calcio, potassio, iodio, ecc) e organiche (prodotti di alghe); temperatura ed effetto ondoso dell’acqua che si somma al movimento effettuato dalla perso-
na (camminata, aqua-gym, massimamente con il nuoto). Piscina, sauna finlandese, hamman orientale, banja russa, bagno turco, temezcal maya, ecc, hanno tutti benefici effetti per l’azione di compressione idrostatica, anche se solo la piscina - e il nuoto -, a temperature tra i 18° e 28° sarà ottimale, mentre gli altri tipi di immersione non dovranno eccedere in calore pur mitigato e bilanciato da successivo contatto con acque fredde. La balneoterapia termale unisce meglio agli effetti generali quelli specifici del tipo di acque (Tabella 1). La terapia termale può essere effettuata in qualsiasi momento dell’anno. Se possibile, sarebbe indicato compiere due cicli all’anno di crenoterapia, preferibilmente in autunno e primavera, comunque con un intervallo tra di essi di almeno tre mesi. Perché il trattamento esplichi le sue potenzialità terapeutiche, ogni ciclo di terapia dovrebbe durare almeno tre settimane, non è consigliabile un periodo inferiore alle due settimane.
ACQUE TERMALI PARTICOLARMENTE USATE PER SCOPI PREVENTIVO-TERAPEUTICO-RIABILITATIVI DELL’INSUFFICIENZA VENOSA E LINFATICA Salsobromoiodiche
Azione disimbibente sui tessuti edematosi
Sulfuree
Azione antiinfiammatoria
Arsenicali ferruginose
Azione tonica, stimolante ed antistress
Solfato calciche
Stimolano la contrattilità venosa
Radioattive
Azione sedativa, analgesica e antispastica
Carboniche
Azione tonificante
Tabella 1
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La terapia termale dell’IVC, espletata in località e con modalità idonee ha mostrato la sua efficacia anche in studi controllati, con raccomandazioni di Grado B nelle Linee guida. Balneoterapia domiciliare Nomi e metodi, vecchi e nuovi, sono familiari ormai al pubblico e ai pazienti. A fine ‘800, in Germania, il parroco di Wörishofen in Baviera occidentale, l’ancor oggi notissimo Sebastian Kneipp, “predicava” di camminare scalzi nei ruscelli a contatto con l’acqua che scorre e numerose altre applicazioni salubri dell’acqua tra cui il celebre trattamento alla Kneipp che si basa sui getti d’acqua caldofreddi poi solo freddi agli arti inferiori e particolarmente indicati per tonificare vasi e tessuti nella cura della stasi venosa e finanche nella prevenzione di recidive trombotiche, o come diremmo oggi nella sindrome post-trombotica. Largamente validato dall’esperienza, il trattamento ha nella nostra epoca trovato conferme in moderni studi randomizzati e verificati da esami strumentali non invasivi. La capacità benefica dell’idromassaggio d’altronde, anch’essa conosciuta da secoli, si è avvantaggiata dalla tecnologia e dalla computerizzazione che rende efficaci e controllati i getti d’acqua. Anche in questo caso vi è un nome di ideatore e precursore, questa volta italiano perché, come noto, i fratelli friulani Jacuzzi emigrati negli USA crearono nel 1956 una piccola pompa che trasformò una comune vasca nel prototipo della vasca idromassaggio, divenendo dal 1968 con il nome di Roman Bath uno strumento diffusissimo ed estremamente efficace. Le bollicine molto piccole, del diametro di 1-1.5 mm contro i 3-4 mm di quelle tradizionali, permettono una perfetta miscela di aria e acqua i cui getti agiscono con costanza e delicatamente su stasi, vene varicose e le fragili teleangectasie. Attualmente si assiste a un riconosciuto perfezionamento e successo di questi trattamenti
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“cittadini” o in località climatiche, attraverso le nuove SPA (salus per aqua concept, che unisce il latino alla cultura anglosassone). Negli USA ad esempio, il 50% degli utilizzatori ha un livello di istruzione elevato, ma purtroppo per altri, anche un livello economico privilegiato per alti stipendi. Certamente la somma dell’efficacia del trattamento dell’acqua in questi casi si distribuisce tra salute e benessere (38%), relax (68%) e piacere (57%). Acqua per os Porterebbe lontano, qui, dettagliare i benefici dell’indispensabile apporto idrico al nostro organismo attraverso il bere. Le Linee guida dei consumi alimentari per gli italiani suggeriscono un millimetro d’acqua per chilo di caloria consumata. In pratica per un uomo di peso medio, che faccia poca attività fisica, 2.3-2.5 litri al giorno; per una donna 1.8-2 litri al giorno. Vi è inoltre tutto l’ampio problema di quale acqua bere. Autorevoli studi hanno dimostrato come le acque minerali in bottiglia non costituiscano solo una bevanda a cui, particolarmente gli italiani, ci siamo abituati; bensì rappresentino anche peculiari caratteristiche biologiche proprie dei singoli elementi in esse disciolti con un’importanza fisiologico-nutrizionale specifica per tipi di popolazione e di malattie. Dunque risultando importante la quantità dell’acqua quanto la qualità (Tabella 2) e classificabili poi per contenuti (naturali, addizionate di anidride carbonica, effetto effervescente naturale; tenore di bicarbonato, di solfati, cloruri, magnesio, fluoro, ferro, sodio). Va peraltro detto come oggi in Italia in molti Comuni la qualità dell’acqua di falda rispetti completamente le prescrizioni qualitative comunitarie UE per l’acqua da destinare al consumo. Il caso di Milano vuole essere solo un esempio con i suoi 22 controlli annui e le analisi di tipo microbiologico e chimico certificate dai laborato-
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ACQUE MINERALI Acque minimamente mineralizzate
residuo fisso: ≤ 50 mg/l
Acque oligominerali
residuo fisso: > 50 e ≤ 500 mg/l
Acque medio minerali
residuo fisso: > 500 e ≤ 1.500 mg/l
Acque ricche di sali minerali
residuo fisso: > 1.500 mg/l
Acque dure
integrazione di Ca++
Tabella 2
ri Arpa che analizzano i campioni prelevati dalla ASL e da quelli dell’Acquedotto, con garanzia di perfetta potabilità. Acqua, altrove Sarebbe incompleto non ricordare, anche se solo per cenni, l’importanza terapeutica su basi fisiopatologiche dell’acqua in una così frequente alterazione “vascolare”- proctologica come la malattia emorroidaria, per non parlare semplicemente di igiene. E’ necessario bere abbondantemente, almeno 1.5 litri/die, per facilitare le evacuazioni ed accompagnare le prescrizioni di crusca, mucillagini, zuccheri non assorbibili. Ma l’acqua in regione anale, oltre l’ovvia funzione di lavaggio, con saponi neutri o meglio lievemente acidi, presenta notevoli effetti sintomatologici e sulla stessa fisiopatologia della malattia agendo sul 4° fattore, quello della mucosa anale comportante reazioni infiammatorie locali responsabili di ipervascolarizzazione, di fragilità mucosa alle aggressioni batteriche e meccaniche (fissurazioni, sanguinamenti) e di trombosi emorroidarie. Mentre i semicupi caldi sono efficaci sul dolore da
ipertono, con temperature fino a 40°C per ridurre significativamente i valori pressori nel più breve tempo, l’efficacia del bidet o del getto d’acqua freddo ad azione rinfrescante e antalgica è noto da sempre agli interessati. Getti ottenuti da appositi dispositivi che emettano l’acqua da debita distanza senza contatto e non contaminante, a pressione poco elevata, mirano ad affrontare contemporaneamente la “teoria mucosa” della malattia e il tradizionale effetto evacuativo. Alla riscoperta del valore centrale dell’acqua. Qualche lettura consigliabile - Sebastian Kneipp. La mia cura idroterapica. Fenice Edizioni, Treviso 1988 (ristampa anastatica di Meine Waeerkur tradotta dalla 50° edizione 1894). - Paolo Sorcinelli. Storia sociale dell’acqua. Riti e culture. Edizioni Bruno Mondatori, Milano1998. - Charles Spawson. L’ombra del massaggiatore nero. Il nuotatore, questo eroe. Adelphi Edizioni, Milano 1995. - Elena Vanzan Marchini. Alle fonti del piacere. La civiltà termale e balneare fra cura e svago. Leonardo Arte Ed., Milano 1999.
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Perché l’evoluzione è tema di attualità, oggi L’evoluzionismo moderno è nato in Gran Bretagna con la pubblicazione - il 24 novembre 1859 - del libro di Charles Darwin L’Origine delle specie Mihael Georgiev Flebologo, Latina e Roma - Esperto di Evoluzionismo/Creazionismo L’evoluzionismo moderno è nato in Gran Bretagna con la pubblicazione - il 24 novembre 1859 - del libro di Charles Darwin L’Origine delle specie. Che 150 anni più tardi la teoria di Darwin sia contestata, e che questa contestazione abbia assunto ormai le caratteristiche di uno scontro globale che coinvolge le istituzioni, potrebbe sembrare a prima vista sconcertante ed incomprensibile. Diventa però comprensibile quando si capisce che l’importanza del dibattito non dipende dalle controversie riguardanti le mutazioni genetiche e la selezione naturale, ma piuttosto dagli effetti culturali del darwinismo. Darwin, infatti non appartiene soltanto ai testi di biologia: il testo più diffuso di letteratura per i licei (La letteratura italiana - Guida storica, Secondo Ottocento e Novecento, Bologna, Zanichelli, 2004) dedica all’evoluzionismo la parte introduttiva, scrivendo - giustamente - che “Tra le acquisizioni scientifiche dell’epoca, quella che ebbe le maggiori conseguenze culturali è la teoria dell’evoluzione formulata da Charles Darwin… L’enorme impatto culturale del darwinismo, sulla speculazione filosofica come sul senso comune, si può paragonare solo a quello che aveva avuto
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il passaggio dalla concezione tolemaica del sistema solare a quella copernicana. Vediamone le principali implicazioni: a una visione della natura immutabile, creata da Dio quale la conosciamo, si sostituisce il concetto di una storicità della natura: un unico processo evolutivo coinvolge l’universo, la terra, la vita e l’uomo stesso; viene affermata la piena naturalità dell’uomo, animale tra gli animali anche se più evoluto; tutto questo portava a uno scontro con le concezioni religiose tradizionali: non solo perché contrastava col racconto biblico della creazione inteso alla lettera, ma perché dalla spiegazione della natura veniva eliminata ogni idea finalistica o provvidenziale. Il conflitto fra la scienza e la fede fu uno dei grandi temi del tardo Ottocento…”. Nonostante l’iniziale l’ostilità del mondo religioso, la visione evoluzionista ha progressivamente raggiunto il dominio praticamente incontrastato nel mondo intellettuale dell’Occidente, diventando il verbo ufficiale della scienza. In più, l’evoluzione è stata accettata anche da gran parte del mondo della religione. Ciò è comprensibile tenendo conto che la religione non ha i mezzi propri per contrastare una idea sostenuta
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come scientifica dalla stragrande maggioranza degli scienziati. Se è vero che alcuni ambienti protestanti americani non hanno mai “deposto le armi”, è anche vero che la maggiore tra le chiese cristiane storiche - quella cattolica - è sembrata da tempo “rassegnata” al dominio della visione evoluzionista, impiegando le proprie risorse non tanto per contrastarla quanto per cercare di renderla compatibile con i dogmi fondamentali della fede. (La chiesa ortodossa, in gran parte e per lunghi anni ridotta dal comunismo al silenzio, si è inserita solo di recente nel dibattito). Nonostante i tentativi di compromesso, le visioni del mondo sostenute rispettivamente dai “creazionisti” e dagli “evoluzionisti” rimangono opposte ed incompatibili tra loro. Tuttavia, data la rassegnazione di gran parte del mondo della religione, la recente ripresa delle ostilità è dovuta non tanto alle iniziative religiose, quanto al progresso delle scienze biologiche e le conseguenti revisioni cui le teorie scientifiche devono sottoporsi se vogliono rimanere scientifiche e non tra-
Piet Mondrian, Evoluzione
sformarsi in dogmi o dottrine filosofiche e ideologiche. Mentre la visione creazionista si basa sulla fede nel racconto biblico della creazione e della storia iniziale della vita sulla terra (racconto che può essere considerato al massimo storiografico o storico-letterario, non certo scientifico), la visione evoluzionista materialista sostiene di basarsi soprattutto (ma non solo) sulla teoria dell’evoluzione biologica proposta da Darwin. Di conseguenza, per i creazionisti dovrebbe essere già sufficiente poter dimostrare la compatibilità tra i dati scientifici ed il racconto biblico. Gli evoluzionisti invece sostengono che la loro visione del mondo è basata su teorie - chiamate addirittura “prove” - scientifiche, ma questo rende la loro concezione fortemente dipendente dalla validità di tali prove e tali teorie: ecco perché ogni contestazione della teoria dell’evoluzione è percepita come un attacco alla loro visione del mondo (e di fatto lo è). Il problema è che il punto debole dell’evoluzionismo è proprio la consistenza scientifica del darwinismo. Gli aspetti scientifici della teoria di Darwin non hanno mai avuto un successo paragonabile a quello delle sue conseguenze culturali, filosofiche e sociali. Sin dall’inizio i maggiori esponenti delle scienze naturali e della medicina basterebbe citare, tra i contemporanei di Darwin, Rudolf Virchow e Louis Pasteur - consideravano la teoria poco più di una speculazione, sconsigliandone addirittura l’insegnamento. Il progresso delle scienze biologiche anziché confermare, inficiava la teoria, e comunque procedeva senza alcun contributo da parte di quest’ultima: persino Pietro Greco, evoluzionista
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dichiarato, scrive che “ancora negli anni ’30 del XX secolo le diverse idee sulla natura complessa degli organismi viventi determinano la separazione di fatto tra la biologia evolutiva e la biologia funzionale”. (Pietro Greco, Einstein e il ciabattino, Editori Riuniti, Roma 2004, p. 103). I successivi tentativi di armonizzare la teoria con le nuove conoscenze della biologia hanno prodotto alcune versioni “neodarwiniste”, che però sono state contestate da autorevoli scienziati, spesso tra i maggiori esperti nei rispettivi campi: basterebbe citare, tra gli italiani, Giuseppe Sermonti (genetista), Roberto Fondi (paleontologo), Giovanni Monastra (biologo). Dopo Darwin. Critica dell’evoluzionismo di G. Sermonti e R. Fondi (Rusconi, Milano 1980) e Dimenticare Darwin di G. Sermonti (Rusconi, Milano 1999) sono ormai dei classici (il secondo è stato tradotto di recente in inglese). Nel mondo anglosassone spiccava un altro classico della confutazione scientifica del darwinismo, Evolution: A Theory in Crisis. New developments in science are challenging orthodox darwinism di Michael Denton, biologo molecolare (Burnett Books, London 1985). Il dibattito sulla validità scientifica dell’evoluzione subiva una brusca accelerazione durante gli anni ’90 negli USA, grazie all’attività di alcuni intellettuali e scienziati, la maggior parte dei quali affiliati al Discovery Institute di Seattle, promotore del movimento Intelligent Design (Progetto Intelligente). Il movimento si propone di scardinare il monopolio materialista nelle scienze, reintroducendo la legittimità dell’interpretazione non materialista e del concetto di progetto intelligente nelle scienze naturali. Concetto che per lunghi secoli ha avuto, tra i filosofi e gli scienziati, sia sostenitori sia avversari, ma che è stato espulso dalla scienza soprattutto per merito della teoria dell’evoluzione proposta da Darwin. Quanto basta per far diventare quest’ultima il bersaglio principale del movimento. Il Progetto intelligente è nato nel 1992 ed ha aperto
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il dibattito su evoluzione e creazione con un simposio dal titolo Il darwinismo: inferenza scientifica o preferenza filosofica. La discussione e poi proseguita, tra il 1996 ed il 2002, sulla rivista Boston Review (http://bostonreview.mit.edu/evolution.html), nonché su una serie di libri scritti da scienziati membri e non del Discovery Institute. Il libro che ha avuto maggiore visibilità, lanciando di fatto il Progetto Intelligente è La scatola nera di Darwin: La sfida biochimica all’evoluzione, di Michael Behe, biochimico (Simon & Shuster, New York 1996), la cui traduzione italiana, con la prefazione di Giuseppe Sermonti, è appena uscita di stampa (Alfa & Omega, Caltanissetta, agosto 2007). Un elenco non esaustivo di altri libri che sfidano la consistenza scientifica del darwinismo da l’idea del “fuoco concentrico” cui è attualmente sottoposta l’evoluzione da parte di esperti in biologia, biochimica, biofisica, genetica, matematica, teoria delle probabilità: Not by Chance! Shattering the Modern Theory of Evolution di Lee Spetner, biofisico (The Judaica Press, New York 1997); The Design Inference. Eliminating Chance Through Small Probabilities William Dembski, matematico (Cambridge University Press, Cambridge 1999), e dello stesso autore No Free Lunch. Why Specified Complexity Cannot Be Purchased without Intelligence (Rowman & Littlefield, Lanham, Maryland 2002); Genetic Entropy & The Mystery of the Genome di John Sanford, genetista (Ivan Press, Lima, New York 2005), ed infine il secondo libro di Michael Behe The Edge of Evolution. The Search for the Limits of Darwinism (Free Press, Simon & Schuster, New York 2006). A questa offensiva gli evoluzionisti hanno risposto organizzando, dal 1997 e per l’iniziativa di Massimo Pigliucci dell’Università di Tennessee (USA), delle celebrazioni pubbliche del compleanno di Darwin (12 febbraio), chiamate Darwin Day. Per l’iniziativa dell’UAAR (Unione degli atei e degli agnostici razionalisti) dal 2004 il Darwin Day si celebra anche in Italia. Nel 2007 la celebrazione si è svolta in 23 città italiane, con una
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coreografia che richiama quella della venerazione dei santi e al culto dei capi di certi regimi politici, trasformando il naturalista inglese in un vero e proprio profeta della religione materialista ed atea. Il dibattito evoluzione-creazione non è però soltanto culturale, ma ha coinvolto anche le istituzioni giuridiche e legislative delle due sponde dell’Atlantico. La questione è finita nei tribunali e nei parlamenti a motivo delle controversie sull’insegnamento dell’evoluzione a scuola. In Italia con la circolare n. 29 del 5 marzo 2004 il ministro dell’Istruzione Letizia Moratti di fatto eliminava la voce “evoluzione” dai primi anni di scuola. Questo “colpo di mano” è stato contrastato per merito del quotidiano la Repubblica che prima pubblicava l’appello di 12 importanti scienziati, poi in pochi giorni raccoglieva 47 mila firme a favore dell’insegnamento dell’evoluzione: di conseguenza le modifiche previste dalla circolare non sono state applicate. Negli USA alcuni ambienti creazionisti (da non confondere con il movimento Progetto intelligente) sfidano periodicamente gli evoluzionisti, introducendo nei programmi scolastici l’insegnamento dell’interpretazione creazionista della natura. Queste iniziative vengono puntualmente contestate dagli evoluzionisti. Nel più recente dei processi, il 20 dicembre 2005 il tribunale di Dover (Pennsylvania) accoglieva la richiesta degli evoluzionisti e proibiva l’insegnamento del concetto di Progetto intelligente nelle ore di scienze accanto all’evoluzione. In un simile processo svoltosi in Russia, il 21 febbraio 2007 il tribunale di San Pietroburgo emetteva analoga sentenza. Di recente il professore di matematica e deputato francese Guy Lengagne ha presentato alla Commissione di cultura, scienza ed educazione del Consiglio d’Europa un documento contro l’insegnamento del creazionismo a scuola. Il documento non è dapprima passato per il voto contrario di 63 dei 119 membri del Consiglio, ma una versione modificata ha ottenuto il voto favo-
revole il 4 ottobre 2007. A prescindere dall’esito del voto al Consiglio d’Europa, sentenze e provvedimenti di questo tipo hanno efficacia limitata nei paesi di mentalità e legislazione liberale come gli USA, dove molte scuole sono private, per non parlare del crescente fenomeno di home schooling, oppure Olanda, dove gli istituti scolastici sono liberi di elaborare i propri programmi di studio. Inoltre, il ricorso ai tribunali e ai provvedimenti legislativi per imporre un “pensiero unico” rischia di apparire come segno di debolezza sul piano scientifico e filosofico, nonché di natura censoria. Tutto questo potrebbe, a lungo termine, ostacolare anziché promuovere la causa evoluzionista: il tempo ha sempre lavorato contro le censure. La mentalità scientifica non porta alla venerazione dei maestri del passato e la difesa delle loro dottrine, ma alla ricerca - senza pregiudizi - di risposte sempre migliori alle domande che la mente umana fa alla natura. Nel 2005, al tradizionale incontro di Lindau (Germania) tra 44 premi Nobel e 700 studenti universitari scelti per l’alto rendimento scolastico, nelle discussioni dopo la lezione di biologia evolutiva di Christian de Duve (Nobel per la medicina 1974), Günter Blobel (Nobel per la medicina 1999) si è dichiarato stupito di trovare alcuni studenti che dimostravano tanto interesse per la “mano creativa conduttrice” del Progetto intelligente (Nature 436, 2005:170-171).
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