Nautilus viaggio al centro della salute - n°2 Aprile/Giugno 2007

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Nautilu Viaggio al Centro della Salute

TRIMESTRALE SCIENTIFICO - Anno I - N. 2, 2007

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Nautilu Viaggio al Centro della Salute

S p e c i a l e S I A PAV 2 0 0 7 TRIMESTRALE SCIENTIFICO - Anno I - N. 2, 2007

Editore SINERGIE S.r.l. Sede legale: Corso Italia, 1 - 20122 Milano Sede operativa: Via la Spezia, 1 - 20143 Milano Tel./Fax 02 58118054 E-mail: sinergie.milano@virgilio.it Direttore responsabile Mauro Rissa

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Chirurgien vasculaire, Chassieu, France

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SOMMARIO EDITORIALE Stasi venosa, rischio trombotico, flogosi. Nuove prospettive

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Giovanni B. Agus

Clinical governance del paziente flebopatico cronico: nuove prospettive

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Giovanni B. Agus

Flogosi e trombosi: nuovi target eparinici

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Chiara Cerletti, Norma Maugeri, Giovanni de Gaetano

Trombosi venose superficiali e profonde. Somiglianze e differenze

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Gualtiero Palareti

Lavori premiati al XXIX Congresso Nazionale SIAPAV. Palermo 14-17 Novembre 2007

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Nautilu

Stasi venosa, rischio trombotico, flogosi. Nuove prospettive La Società Italiana di Angiologia e Patologia Vascolare, SIAPAV in sigla ben nota da molti anni, rappresenta nel panorama scientifico e societario medico italiano solido punto di riferimento per i cultori della patologia vascolare, meglio indicabile fin dal 1945-1951 in Angiologia, da parte dei padri della moderna branca quali Ratschow, Leriche, Holman, Ochsner, De Bakey, Malan, soprattutto Martorell («I feel for this young specialty named Angiology whose best representative will be the International Society that bears its name…»). Da vice-presidente della SIAPAV, mi è subito parso interessante dedicare il n. 2 di questa nuova rivista, come numero Speciale dedicato ad alcuni aspetti emersi dal Congresso Nazionale della Società, ottimamente esitato quest’anno sotto la presidenza locale del Prof. Salvatore Novo, nella città di Palermo. L’omaggio a Palermo ci permette inoltre di esprimersi con due rappresentazioni dall’arte antica a quella contemporanea, attraverso il vaso - centro della farmacoterapia - e un uomo moderno, potremmo dire “vascolare”, simbolo delle difficoltà dell’oggi. La ricchezza dei temi non permetteva una troppo ampia scelta, pena ripetere un fascicolo di Atti. Ho fatto pertanto una scelta, di certo interessata, riguardo un Simposio centrale al Congresso che ha voluto portare all'attenzione dell’Angiologia, ma anche a tutti gli attori della moderna Governance della Sanità, una prospettiva di gestione di una patologia di larga diffusione e di fatto trasversale a più settori medici, le correlazioni tra stasi venosa cronica, rischio trombotico, flogosi. E’ degli stessi giorni di novembre 2007 il Disegno di Legge su “Interventi sulla qualità e la sicurezza del SSN” voluto dal Ministro della Salute Livia Turco, intervento sul governo clinico della sanità a 360 gradi in oltre 20 articoli e varato dal Consiglio dei Ministri. Il DdL collegato alla Finanziaria 2008 ha l’obiettivo di “ammodernare” la sanità italiana, “rafforzando i principi della

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legge che ha istituito il nostro Servizio Sanitario Nazionale”; e di fatto mi sono “sobbarcato” la sintesi che apriva il Simposio in un prosieguo di lavoro che si è sviluppato negli ultimi due anni. Le relazioni vengono riportate in essenziali ma si spera chiari e utili short report. Scelta infine anch’essa personale, esempio di molteplicità dei contributi emersi, quella di ricordare qui alcune delle migliori comunicazioni presentate e che hanno ottenuto il premio SIAPAV 2007.

Giovanni B. Agus

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Clinical governance del paziente flebopatico cronico: nuove prospettive Tra esigenze di governance dell’innovazione terapeutica e nuovi modelli di correlazione dell’IVC e flogosi-rischio trombotico Giovanni B. Agus Ordinario di Chirurgia Vascolare - Università di Milano

mento, costi e tempi di trasferimento ai luoghi di Fin dal 1992 si ebbe l’occasione di presentare a cura, ecc). Palermo in corso di Congresso nazionale un’espeLa clinical governance nell’uso rienza personale con uso di GAGs di farmaci innovativi ha già, in nel trattamento delle ulcere flebocampo arterioso, un modello statiche (1). Nello stesso anno era emblematico della necessità di stato pubblicato in Italia un impor“governare” l’innovazione nei tante testo sull’argomento, ove, Sistemi sanitari moderni attracon stile tipicamente britannico, verso il caso dell’uso dei disponel capitolo sui “Farmaci attivi sul sitivi a rilascio di farmaco o DES sistema venoso” si diceva “tenete (3). Questo è infatti il più tipico d’occhio questo spazio” (2) nel di uno dei problemi che i senso di una pronta disponibilità a Sistemi sanitari si trovano a provare nuovi farmaci in un dover affrontare, perché sostecampo sempre difficile come nuto da entusiasmi provenienti quello delle ulcere venose, quandalla ricerca clinica e da un uso to con un costo esorbitante sui dapprima limitato ad ambiti Sistemi sanitari europei, già foriesperimentali, ma pronto all’imro di necessità di un impegno piego routinario della pratica decisivo di governance sul probleclinica. E dunque si pone la ma (l’Ue stanzia circa il 2% dell' necessità di valutarne il costointero budget sanitario annuale beneficio e i futuri risparmi nel per la cura delle ulcere venose a Bombola ovoidale, momento in cui appare richiedecui bisogna aggiungere tutti i Palermo XVII secolo. re un surplus di risorse ed imporcosti indiretti di difficile valutazione; Collezioni della Fondazione tanti modifiche negli assetti ore lavorative perse, inabilità tempoorganizzativi dei servizi. Modelli Mormino, Villa Zito, Palermo ranea o definitiva, precoce pensiona-

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di verifica come quelli della Regione EmiliaRomagna appaiono interessanti nell’apertura a nuove possibilità di efficacia sanitaria, seppur con le dovute cautele (4). Per quanto riguarda l’insufficienza venosa cronica (IVC) punto d’arrivo di molti disturbi cronici venosi (DVC) epidemiologicamente importanti sia sulla qualità della vita dei pazienti sia sulle possibili complicanze, tra le quali la trombosi e l’ulcerazione sono frequenti, tuttavia la governance sui trattamenti farmacologici attraversa in questi tempi fasi per molti versi assai confuse. Da un lato si è messo in discussione l’uso dei farmaci bioflavonoidi, peraltro validati da numerosa letteratura evidencebased, magari poi “sostituiti” da sostanze similari, ma non-farmaci come gli integratori alimentari e prodotti erboristici a funzione unicamente co-adiuvante fisiologica; dall’altro, perfino la chirurgia delle varici appare come talvolta inappropriata e comunque da sottoporre all'osservazione critica nei LEA, quei livelli essenziali di assistenza un po’ cardine del SSN da quando introdotti già con la Legge 502 del 1992 e operativi dal 2002. Se i medici sostanzialmente hanno da tempo accettato tali criteri economicistici del loro agire, probabilmente

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Figura 1

non si è valutato appieno il dissenso da parte dei pazienti e dei cittadini nei confronti dell’esclusione di molte prestazioni che dall’esempio dell’UK potrebbero giungere anche in Italia colpendo non solo la spesa farmaceutica, ma anche quella chirurgica (5). La ricerca viceversa incalza con cospicui contributi sia sull’importanza nella società occidentale attuale delle malattie venose croniche e acute (tromboembolismo venoso o TEV, nelle sue varie manifestazioni), sia con nuovi modelli di interpretazione dei fenomeni patogenetici divisi tra danno emodinamico e danno di parete vasale; i primi maggiormente correggibili dalla chirurgia e, in parte, dalla scleroterapia; i secondi da nuove possibilità farmacologiche associate o meno alla tradizionale compressione elastica. Tre recenti messe a punto ci possono aiutare a sintetizzare le ricadute traslazionali pratiche della ricerca (6, 7, 8); rimandando tuttavia anche agli approfondimenti dei lavori originali sul ruolo del glicocalice


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danneggiato da adesione leucociti-endotelio e shear-stress (9, 10). L’IVC è infatti oggi da considerarsi patologia complessa e multifattoriale; e parlare solo di varici risulta estremamente limitativo. Esse, insieme ad altri “disturbi” venosi (DVC), sono epifenomeno di una malattia dominata da una alterata distensibilità della parete vascolare che sembra essere correlata con fattori genetici, come la nota frequenza familiare conferma. Vi sono poi una serie di fattori patogenetici acquisiti che possono iniziare il processo come altri che ne sviluppano le conseguenze o complicanze, quali le varici stesse e le alterazioni trofiche cutanee secondarie. Un carico ormonale e un carico idrostatico prolungato, in particolare quando il controllo del sistema nervoso simpatico è ridotto da aumenti della temperatura locale, rappresentano il primo tipo di fattori. L’incontinenza delle valvole, oggi considerata secondaria alla dilatazione delle vene, è all’origine del reflusso del sangue verso il basso e verso la cute e combinandosi all’ipertensione venosa, portano entrambe alla stasi venosa fonte di teleangectasie, varici ed edema. L’ipossia tissutale e l'edema locale favoriscono infiammazione e microtrombosi che, sinteticamente, sono causa di ulcere attraverso l’attivazione endoteliale, iniziando una cascata di insulti infiammatori locali e danni della muscolatura liscia. Condizioni di infiltrazione leucocitaria ed iperviscosità costituiscono il passaggio di mezzo a questi eventi per i vortici che si creano nei seni dei in piccoli vasi abitualmente vuoti. La ricerca di base sta producendo numerosi studi che esaminano il ruolo di differenti recettori incrementanti la produzione di endoteline, potenti vasocostrittori e mitogeni per le cellule della muscolatura liscia vascolare; così come viene invocato anche un ruolo della microcircolazione arteriosa e linfatica, ribadendo la visione di malattia circolatoria globale. Non sono irrilevanti infine i danni esterni ai vasi come i fenomeni di “cuffia fibrinica” pericapillare e si è studiato il ruolo dell'emosiderina, fenomeni che in clinica vengono letti attraverso le classiche iperpigmentazioni color ocra, lipodermatosclerosi ecc.

Bibliografia 1. Agus GB, De Angelis R, Mondani P, Marrocu R I GAGs nel trattamento delle ulcere flebostatiche. Acta Cardiol Mediter 1992; 10: 211-5. 2. Negus D. Le ulcere delle gambe. Edi-Ermes, Milano 1992. 3. Autori vari Introduzione di una nuova tecnologia in sanità: il primo stent a rilascio di sirolimus. Il Sole 24 Ore Sanità 2007; Suppl. giugno. 4. Grilli R. L’esperienza della Regione Emilia Romagna. In Stent medicati: passato, presente e futuro. iDES 2007: 19-23. 5. Harris MR, Davies RJ, Brown S et Al. Surgical treatment of varicose veins: effect of rationing. Ann R Coll Surg Engl 2006; 88: 37-9. 6. Eberhardt RT, Raffetto JD. Chronic venous insufficiency. Circulation 2005; 111: 2398-409. 7. Bergan JJ, Schmid-Schönbein GW, Coleridge Smith PD, Nicolaides AN, Boisseau MR, Eklof B Chronic venous disease. N Engl J Med 2006; 355: 488-98. 8. Bergan JJ, Schmid-Schönbein GW, Coleridge Smith PD, Nicolaides AN, Boisseau MR, Eklof B. Patologia venosa cronica. Min Cardioangiol 2007; 55: 459-76. 9. Mulivor AW, Lipowsky HH Role of the glycocalyx in leukocyte-endothelial cell adhesion. Am J Physiol Hearth Circ Physiol 2002; 283: H82-91. 10. Gouverneur M, Van der Berg B, Nieuwdorp M et Al Vasculoprotective properties of the endothelial glycocalyx: effects of fluid shear stress. J Inter Med; 259: 393-400. 11. Ulcere venose In Clinical Evidence 2005, 3° Ed., Ministero della Salute.

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Flogosi e trombosi: nuovi target eparinici L’infiammazione gioca un ruolo importante nella malattia venosa cronica Chiara Cerletti, Norma Maugeri*, Giovanni de Gaetano Laboratori di Ricerca, Centro di Ricerche e Formazione ad Alta Tecnologia nelle Scienze Biomediche “Giovanni Paolo II”, Università Cattolica, Campobasso * NM, Centro di Ricerca di Biologia Clinica Cardiovascolare, Dipartimento Cardio-Toracico e Vascolare, Università Vita-Salute San Raffaele, Milano In condizioni di elevata pressione venosa, a livello degli arti inferiori si verifica accumulo di leucociti: infatti, queste cellule aderiscono e migrano attraverso l’endotelio dei piccoli vasi (venule post-capillari), tramite attivazione cellulare e espressione di molecole adesive. I leucociti circolanti e le cellule vascolari endoteliali esprimono diversi tipi di molecole adesive di membrana: la P-selettina, che viene espressa sulla superficie dell’endotelio infiammato (o attivato) o delle piastrine attivate, che possono sostituire l’endotelio rimosso dal vaso come un monostrato, e stabilire un legame transitorio con il contro-recettore della P-selettina, il PSGL-1 (“P-Selectin Glycoprotein Ligand-1”), costitutivamente espresso sui leucociti. Questa interazione molecolare induce un signale intracellulare che porta all’attivazione dei leucociti e in particolare della integrina leucocitaria CD11b/CD18 (o Mac-1) che interagisce in modo stabile con le altre cellule vascolari (piastrine, leucociti stessi, endotelio), per poi portare alla trasmigrazione dei leucociti nel sottoendotelio. Questa via di segnale coinvolge una cascata di meccanismi, inclusi la fosforilazione di tirosin chinasi e l’interazione tramite l’actina con il citoscheletro (Figura 1). Nella patologia venosa cronica, oltre a fattori locali come il flusso, si ha un’attivazione sistemica dei processi di adesione leucocitaria. Ne consegue che un trattamento farmacologico volto a limitare le reazioni

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infiammatorie può avere come “target” le molecole adesive che regolano l’interazione tra piastrine, leucociti e cellule endoteliali (Figura 2). Tale trattamento potrebbe contribuire a ridurre le complicanze correlate alla malattia venosa cronica. In questo contesto, si è sviluppato recentemente un notevole interesse attorno alla possibilità che l’eparina e sostanze eparino-simili interferiscano con i meccanismi di adesione cellulare, e in modo particolare con le selettine, ed inibiscono tali interazioni. In particolare, l’interesse del nostro gruppo si è rivolto allo studio dell’attivazione dei leucociti polimorfonu-

Meccanismi piastrinici coinvolti nell’adesione piastrine-leucociti polimorfonucleati Leucocita PMN Piastrina attivata Danno vascolare Catepsina G Trombina

P-selectina

PSGL-1 attivazione

Ligando

CD11b/CD18

Mac-1

Modificata da: Cerletti et al., Thromb Haemost 1999

Figura 1


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In circolo

Rolling

Adesione e reclutamento di leucociti

Avvio dell’aggregazione sulla superficie cellulare

Piastrine attivate Monociti

Neutrofili

Cellule endoteliali

Infiammazione

Danno vascolare (placca aterosclerotica)

Piastrine attivate Adesione delle piastrine sulla parete vascolare danneggiata

Cellule endoteliali

Reclutamento di leucociti

Formazione di aggregati misti di piastrine e leucociti in aggregometro con collageno-ADP: effetto di eparine 50 Aggregati piastrine-PMN (%)

Sequenza delle interazioni adesive di piastrine e leucociti con le cellule endoteliali nel sangue circolante

0.3 IU/ml 0.5 IU/ml

40

0.8 IU/ml

30

*

20

*

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Occlusione trombotica

0 Da: de Gaetano et al, TIPS 2003

CONTROL

PNP

UFH

ENOX

PNP: parnaparina; UFH: eparina non frazionata; ENOX: enoxaparina

Figura 2 cleati (PMN) e della loro interazione con le piastrine, indotta da meccanismi dipendenti dalla P-selettina, e alla modulazione di questi fenomeni da parte di un’eparina a basso peso molecolare, il Parnaparin, in confronto con l’eparina non frazionata ed un’altra eparina a basso peso molecolare di riferimento, come l’enoxaparina. In una prima fase, abbiamo riscontrato su un modello che utilizza cellule separate dal sangue umano, la capacità del Parnaparin di ridurre in modo significativo e concentrazione dipendente l’attivazione dei leucociti PMN. Sono stati valutati tramite citofluorimetria a flusso diversi parametri di attivazione dei PMN, come la liberazione della L-selettina dalla membrana cellaulare, la de-granulazione dei PMN valutata come livelli di mieloperossidasi, l’espressione di fattore tissutale (Tissue factor) e infine la formazione di aggregati misti di piastrine e leucociti PMN. Nella seconda fase, l’effetto del Parnaparin sulle attivazioni cellulari è stato studiato in modelli su sangue intero, più vicini alle condizioni fisiopatologiche di interesse. L’attivazione delle cellule veniva indotta in vitro, in condizioni di flusso, dall’attivazione con agonisti piastrinici, come la coppia collageneADP, o con il peptide che attiva direttamente il recettore della trombina (“Thrombin Receptor Activating Peptide”, TRAP), o con il fattore tissutale a basse concentrazioni, sufficienti ad indurre la formazione di trombina, ma non la coagulazione del sangue. Anche in questi modelli il Parnaparin riduceva la formazione di aggregati misti e l'attivazione leucocitaria a concentra-

Da: Maugeri et al, Thromb Haemost 2007

Figura 3 zioni più basse di quelle dell’eparina non frazionata e dell’enoxaparina (Figura 3). In conclusione, l’effetto anti-infiammatorio esercitato da alcune eparine a basso peso molecolare sull’attivazione dei leucociti e sulla loro interazione con le piastrine, può contribuire in modo significativo al loro effetto antitrombotico generale. Bibliografia - Cerletti C, Evangelista V, de Gaetano G. P-selectin-β2 integrin cross-talk: a molecular mechanism for polymorphonuclear leukocyte recruitment at the site of vascular damage. Thromb Haemost 1999; 82: 787-93. - de Gaetano G, Donati MB, Cerletti C. Prevention of thrombosis and vascular inflammation: benefits and limitations of selective or combined COX-1, COX-2 and 5LOX inhibitors. Trends Pharmacol Sci 2003; 24:245-52. - Maugeri N, de Gaetano G, Barbanti M, Donati MB, Cerletti C. Prevention of platelet-polymorphonuclear leukocyte interactions: new clues to the antithrombotic properties of parnaparin, a low molecular weight heparin. Haematologica 2005;90:833-9. - Maugeri N, Di Fabio G, Barbanti M, de Gaetano G, Donati M B, Cerletti C. Parnaparin, a low molecular weight heparin, prevents P-selectin-dependent formation of platelet-leukocyte aggregates in human whole blood. Thromb Haemost 2007; 97: 965-73.

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Trombosi venose superficiali e profonde. Somiglianze e differenze La trombosi venosa superficiale (TVS), chiamata anche con il termine tromboflebite superficiale, indica la presenza di uno stato tromboticoinfiammatorio di una vena superficiale ovvero soprafasciale Gualtiero Palareti Direttore U.O. di Angiologia e Malattie della Coagulazione “Marino Golinelli” Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, Policlinico S. Orsola - Malpighi

La TVS si manifesta con dolore ed arrossamento localizzato ad un cordone palpabile che si estende lungo il decorso della vena, con edema ed eritema nelle zone circostanti. L’incidenza di TVS nella popolazione generale è sconosciuta; negli USA è stata stimata una incidenza di 125,000 nuovi casi per anno. La TVS si localizza pù frequente negli arti inferiori, dove coinvolge la vena grande safena nel 60-80% dei casi, la vena piccola safena nel 1020% dei casi e le rimanenti vene nel 10-20% dei casi (1). Sedi meno frequenti sono le vene degli arti superiori, del collo e delle pareti toraciche ed addominali. La TVS è considerata tradizionalmente un disordine benigno ed auto-limitantesi e spesso associata ad una sindrome varicosa che rappresenta il fattore predisponente più frequente. Tuttavia, più recentemente sono stati segnalati molti aspetti di rilevanza clinica della TVS (fattori di rischio, possibili complicanze, necessità di terapia adeguata, ecc) che rendono opportuna una riflessione sulla loro natura e sul loro più adeguato trattamento clinico, specie in paragone con le trombosi venose profonde (TVP), patologia sicuramente più studiata e meglio conosciuta. Le TVP indicano la presenza di trombi (completamente o parzialmente occlusivi) nelle vene profonde degli arti o più raramente in altre sedi (vene cerebrali,

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addominali, ecc.). La sede più frequente riguarda gli arti inferiori, dove si distingue un interessamento prossimale (dalla vena poplitea in su), rispetto ad uno esclusivamente distale (trombosi limitata alle vene del polpaccio). Tutte le TVP possono complicarsi con la comparsa di embolia polmonare (EP); tuttavia ciò accade più frequentemente in caso di TVP prossimali. Aspetti da considerare nel confronto tra TVS e TVP

Etiopatogenesi e fattori di rischio Tradizionalmente l’insorgenza delle TVS è attribuita in prevalenza ad un meccanismo infiammatorio, mentre quella delle TVP è più associata a meccanismi trombotici veri e propri. Questa distinzione deve oggi essere ritenuta vera solo in parte, in quanto le differenze tra i fattori di rischio delle due patologie risultano oggi molto più sfumate. Infatti, a parte l’importanza delle vene varicose come fattore favorente per le TVS e molto meno rilevanti per le TVP, gli altri fattori di rischio appaiono comuni ad entrambe le patologie. Come mostrato nella Figura 1, che insieme alle successive descrive i risultati ottenuti nella U.O. di Angiologia del Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna, le condizioni cliniche che si associano alla comparsa di TVS


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Altre alterazioni a carattere trombofilico in soggetti con TVS o TVP

Fattori di rischio per TVS e TVP 70 TVS (n. 692)

60

TVP (n. 2232)

50 %

40 30 20 10 0

Idiopatiche

Chirurgia o Gravidanza o Allettamento Puerperio

Terapia ormonale

Trauma o Gesso

Tumore

20 18 16 14 12 % 10 8 6 4 2 0

TVS (n. 207) TVP (n. 1142)

LAC

Figura 1

Iperomocisteinemia

Aumento FVIII

Alterazioni combinate

Figura 3 Alterazioni trombofiliche in soggetti con TVS o TVP 60 TVS (n. 207)

50

TVP (n. 1142) 40 % 30 20 10 0

Nessuna

Deficit inibitori

F V Leiden

Mut. G20210A protrombina

Figura 2

o TVP non sono molto diverse. Le TVP sono un pò più frequentemente secondarie a chirurgia, allettamento, traumo o gesso, cioè a condizioni di relativa ipo- o immobilizzazione; mentre la gravidanza e il puerperio sono più frequenti nelle TVS. Nessuna differenza è stata osservata per quanto riguarda tumore o terapia ormonale. Anche la presenza di alterazioni trombofiliche congenite (vedi Figura 2) o acquisite e varie (Figura 3) è ugualmente distribuita tra soggetti con TVS o TVP, salvo un più marcata prevalenza di alterazioni combinate, quindi a maggior potenziale ipercoagulante, tra i soggetti con TVP. Diagnosi e presenza di complicanze Per quanto riguarda la diagnosi, essa è sicuramente su base clinica nel caso di TVS, mentre necessita di accertamenti obiettivi, quali l'ecocolordoppler venoso, nel caso di sospetta TVP. Tuttavia, anche nel caso di TVS

l’ecocolordoppler venoso è fortemente raccomandato, non solo per verificare la precisa estensione prossimale della TVS, sempre sottostimata clinicamente, ma soprattutto per escludere la presenza della complicanza più temuta della TVS, e cioè l’estensione alle cross (safenofemorale o safeno-poplitea) o alle vene perforanti e di lì alle vene profonde, con possibile presenza di TVP e/o EP. La presenza di TVP in pazienti con TVS degli arti inferiori varia tra 5.6% e 44% a secondo dei diversi studi; la prevalenza di EP sintomatica varia tra 2% e 13%, mentre quella asintomatica, ricercata con metodiche obiettive, varia tra 20% e 33% (2). Questa alta variabilità delle stime dipende non solo dalla diversità delle popolazioni esaminate, ma anche dal diverso follow-up della TVS e dalla completezza delle indagini impiegate per esplorare il sistema venoso profondo e il circolo polmonare. Terapia La terapia della fase acuta è l’ambito nel quale si registra attualmente la più rilevante differenza tra le due manifestazioni morbose. Infatti, mentre per le TVP il trattamento della fase acuta è ben codificato (eparina non frazionata o eparine a baso peso molecolare [EBPM] a dosi terapeutiche e contemporaneo inizio della terapia anticoagulante orale da proseguire per non meno di 3 mesi), quello delle TVS non è ancora stabilito. Nonostante le potenziali importanti complicanze associate alla presenza di TVS, specie se degli arti inferiori, i trattamenti più disparati sono tuttora fattibili senza una chiara standardizzazione. Le opzioni terapeutiche finora proposte comprendono calze elastiche, antinfiammatori, eparina ed

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anticoagulanti orali in varia combinazione e dosaggi. Altre possibilità sono la trombectomia locale, la legatura della crosse safeno-femorale e lo stripping venoso. Sicuramente pochi sono gli studi clinici randomizzati condotti finora, verosimilmente per la difficoltà di definire la terapia ottimale in relazione alla diverse localizzazioni. Infatti mentre la varicoflebite di collaterali e di estensione limitata potrebbe giovarsi di un trattamento conservativo per la minor possibilità di complicarsi in TVP, la TVS della vena grande safena alla coscia o di vena piccola safena alla gamba è potenzialmente a rischio di estensione in profondità e anche di EP, dunque potrebbe richiedere un trattamento più aggressivo. Gli scopi del trattamento dellaTVS sono: a) la risoluzione dei sintomi, b) la prevenzione della recidiva e di estensione locale, e c) la prevenzione di estensione in profondità attraverso le cross o le vene perforanti che provoca TVP e aumenta il rischio di EP. La somministrazione di EBPM è attualmente il trattamento di riferimento per la prevenzione e il trattamento del tromboembolismo venoso; e poichè la TVS può estendersi in profondità e produrre TVP ed EP, la terapia antitrombotica sembrerebbe la scelta migliore. Una revisione sistematica (peraltro di case-series) ha indicato che l’anticoagulazione con eparina seguita da anticoagulanti orali è più efficace del trattamento chirurgico (legatura della cross safeno femorale da sola o con stripping venoso associato o meno a legatura delle perforanti) nella prevenzione di TVP ed EP nella TVS di v. grande safena di coscia (3). Nella TVS di vena grande safena alla coscia, uno studio clinico randomizzato ha dimostrato come eparina a dosi terapeutiche pari a 12.500 U due volte al giorno per una settimana seguito da 10.000 U due volte al giorno ha comportato meno complicanze rispetto alla dose di 5000 U due volte al giorno (6/30 nel gruppo a bassa dose e 1/30 nel gruppo ad alta dose; p< 0.05; NNT=6) senza complicanze emorragiche nei due gruppi (4). Lo studio STENOX, doppio-cieco e randomizzato, ha confrontato tenoxicam con EBPM o placebo per 8-12 giorni in 427 pazienti con TVS degli arti inferiori di estensione pari a 5 a o più cm. Tutti i pazienti hanno indossato anche calze elastiche terapeutiche. Sono stati esclusi pazienti che richiedevano anticoagulazione o legatura delle cross safeno femorale. Durante il trattamento (12 gg) si sono osservate TVP e/o estensione della TVS nel 30.6% del braccio placebo, nel 14.9% nel braccio tenoxicam, nel 8.3% nel braccio EBPM 40 mg/die e 6.9% nel braccio EBPM 1.5 mg/kg. Nel follow-up di 3 mesi, estensione o ricorrenza di TVS o TVP è stata osservata nel 35% dei

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soggetti trattati con placebo, mentre nei trattati si sono osservate complicanze solo nel 16-17% dei soggetti (NNT=6). Nei gruppi trattati l’estensione si è verificata nel primo mese dopo interruzione del trattamento. Non si è osservata differenza nell’outcome tra dosi fisse di EBPM (40 mg/d) o dosi agggiustate in base al peso (1.5 mg/kg) o tenoxicam 20 mg/d (5). Più recentemente, lo studio Vesalio, doppio-cieco e randomizzato, ha paragonato gli effetti di un trattamento con EBPM a dose piena per 10 giorni e dimezzata per altri 20 giorni, rispetto a quello con lo stesso farmaco a dose profilattica per 30 giorni. Non sono state apprezzate differenze significative tra i due trattamenti nel risultato clinico a tre mesi (6). Attualmente è in corso nel nostro Paese uno studio collaborativo, doppio-cieco randomizzato, in soggetti con TVS degli arti inferiori, che confronta schemi terapeutici diversi per dose e durata di trattamento con Parnaparin, la sola EBPM registrata in Italia per uso nelle TVS. Una interim analysis dei risultati dopo i primi 300 casi arruolati è prevista per la metà del 2008. Bibliografia 1. Quenet S, Laporte S, Decousus H, Leizorovicz A, Epinat M, Mismetti P. Factors predictive of venous thrombotic complications in patients with isolated superficial vein thrombosis. J Vasc Surg 2003;38 (5):944-9. 2. Verlato F, Zucchetta P, Prandoni P, Camporese G, Marzola MC, Salmistraro G, et al. An unexpectedly high rate of pulmonary embolism in patients with superficial thrombophlebitis of the thigh. J Vasc Surg 1999;30 (6):1113-5. 3. Sullivan V, Denk PM, Sonnad SS, Eagleton MJ, Wakefield TW. Ligation versus anticoagulation: Treatment of aboveknee superficial thrombophlebitis not involving the deep venous system. J Am Coll Surg 2001;193 (5):556-62. 4. Marchiori A, Verlato F, Sabbion P, Camporese G, Rosso F, Mosena L, et al. High versus low doses of unfractionated heparin for the treatment of superficial thrombophlebitis of the leg. A prospective, controlled, randomized study. Haematologica. 2002;87 (5):523-7. 5. Decousus H. A pilot randomized double-blind comparison of a low-molecular-weight heparin, a nonsteroidal anti-inflammatory agent, and placebo in the treatment of superficial vein thrombosis. Arch Intern Med 2003;163 (14):1657-63. 6. Prandoni P, Tormene D, Pesavento R. High vs. low doses of low-molecular-weight heparin for the treatment of superficial vein thrombosis of the legs: a double-blind, randomized trial. J Thromb Haemost 2005;3 (6):1152-7.


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Lavori premiati al XXIX Congresso Nazionale SIAPAV Palermo 14-17 Novembre 2007 Bibliografia e Tabelle in Atti Min Cardioangiol 2007; 55: Suppl. 1 al n. 6

ARTERIOPATIA OSTRUTTIVA PERIFERICA E STENOSI CAROTIDEA NEI PAZIENTI EMODIALIZZATI. STUDIO CASO - CONTROLLO S. Bilancini 1, M. Lucchi 1, R.A. Mangiafico 2, A. Medolla 1, F. Ferazzoli 3, C. Bianchi 1, E. Salvatori 1, Gabriella Lucchi 1 1 Centro studi malattie vascolari “J.F.Merlen” - Frosinone 2 Clinica medica “L. Condorelli” - Università di Catania 3 Reparto di nefrologia e dialisi Ospedale “Umberto I” - Frosinone fosfato, la malnutrizione e l’attivazione delle citochine. INTRODUZIONE. Le malattie cardiovascolari sono Lo scopo di questo studio è verificare la prevalenza di una frequente causa di mortalità e morbilità nei pazienArteriopatia Ostruttiva Periferica (P.O.A.D.) e Stenosi ti con insufficienza renale cronica terminale (End Stage Carotidea (C.S.) in un campione di pazienti con Renal Disease (E.S.R.D.). E.S.R.D. paragonato con un gruppo di controllo costiSi ritiene che la mortalità per cause cardiovascolari nei tuito da soggetti con normale funzionalità renale. pazienti sottoposti a dialisi sia da 10 a 20 volte maggioMATERIALI E METODI. Abbiamo reclutato 40 pazienre che nella popolazione generale. ti sottoposti ad emodialisi con Il rimodellamento arterioso, una età media di 58,8 anni, caratteristico dei pazienti con 46,6% uomini, in emodialisi E.S.R.D. presenta caratteristimediamente da 6 anni e lo che diverse dalla classica placca abbiamo confrontato con un ateromatosa e ciò rende partigruppo di 58 soggetti con norcolarmente difficile il trattamenmale funzionalità renale parato, specie chirurgico, di tali gonati per sesso, età, pressione lesioni. Esse infatti si presentaarteriosa, presenza di diabete e no più estese e più soggette a fumo di sigarette. Tutti i sogcalcificazioni che nella popolagetti sono stati sottoposti ad zione generale e ciò può essere …e gli dei, invidiosi, guardano esame Eco-Color-Doppler dei legato ad una serie di fattori di e ridono. Girolamo Balistreri. tronchi sopra aortici e degli arti rischio aggiuntivi, caratteristici Esposizione temporanea 2007, inferiori ed a misurazione. del paziente con E.S.R.D., quali le Palazzo Abatellis, Palermo dell’Indice Pressorio cavigliaalterazioni del bilancio calcio-

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braccio (A.B.I.). Come apparecchio Eco-Color-Doppler è stato utilizzato un apparecchio EUB-500 per la misurazione dell’A.B.I. un apparecchio Doppler C.W. di tipo tascabile. E’ stato valutato anche l’aspetto morfologico ecografico delle lesioni arteriose riscontrate. Sono state considerate le stenosi carotidee solo dal 50% del lume vasale in poi. I dati ottenuti nei due gruppi sono stati sottoposti ad analisi statistica con i seguenti metodi: ANOVA, Chi quadro, Test esatto di Fisher, regressione logistica. RISULTATI. Stenosi carotidea. La prevalenza di stenosi carotidea è stata del 20% nel gruppo dei pazienti con E.S.R.D. e del 12% nel gruppo di controllo. Il rischio relativo (odds ratio: O.R.) corretto per età e sesso è 5,5 per i pazienti sottoposti a dialisi, l’O.R. apprezzato anche per l’ipertensione è 7,9% (C.I. 95%, 1,3-47,7). L'età non sembra essere un fattore di rischio per i pazienti dializzati in quanto l’età media è la stessa tra malati e non malati (66 anni), nel gruppo di controllo, invece, i malati hanno un’età media significativamente più elevata rispetto ai sani (P = 0,005). Considerando il sottogruppo dei diabetici il rischio relativo di stenosi carotidea studiato con regressione logistica è di 6,3 (C.I. 95%, 1,2-32,6) per i pazienti diabetici sottoposti a dialisi. Dal punto di vista morfologico all’Eco-Color-Doppler le placche carotidee apparivano molto più ricche di calcificazioni nei pazienti sottoposti a dialisi. Arteriopatia Ostruttiva Periferica. La prevalenza di P.O.A.D. nei pazienti sottoposti a dialisi è del 20% contro il 9% nel gruppo di controllo. Il rischio relativo, corretto per età, sesso e presenza di diabete, è di 6,3 (C.I. 95%, 1,2-32,6) per i pazienti sottoposti a dialisi. Nel sottogruppo degli ipertesi l’O.R. è 5,2 (C.I. 95%, 1,0-27,0). Considerando il sottogruppo dei diabetici il rischio relativo sale a 7,9 (C.I. 95%, 1,3-47,7) nei diabetici sottoposti a dialisi. Dal punto di vista morfologico la stenosi e le occlusioni arteriose appaiono localizzate nelle arterie di gamba nel 90% dei pazienti arteriopatici con E.S.R.D. e nel 33% del gruppo di controllo e la compromissione iliaca o femorale era presente nel 50% dei pazienti arteriopatici sottoposti a dialisi e nel 50% dei pazienti arteriopatici del gruppo di controllo. L’aspetto delle lesioni era caratteristico, con ampie calcificazioni che nelle arterie sottopoplitee interessavano l’intera estensione dei vasi con aspetto “a coro-

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na di rosario” nel gruppo degli arteriopatici sottoposti a dialisi; tale aspetto era assente nel gruppo degli arteriopatici di controllo. Durata della dialisi. La durata media della dialisi nei pazienti esaminati era di 6 ± 3,9 anni (1-20). Considerando i pazienti con Stenosi Carotidea e quelli con P.O.A.D. si osserva che entrambi i gruppi hanno un tempo di dialisi leggermente superiore rispetto ai non malati (C.S. 6,1 vs 5; P.O.A.D. 6,2 vs 5,4); questa differenza non si mostra significativa in base alla analisi di varianza. CONCLUSIONI. Le malattie cardiovascolari costituiscono una importante causa di mortalità e morbilità nei pazienti con E.S.R.D.. La mortalità per malattie cardiovascolari è da 10 a 20 volte più alta che nella popolazione generale. Gli studi effettuati sugli assi carotidei (carotide comune in particolare) hanno rivelato una prevalenza di placche carotidee nel 50 - 60% dei pazienti di 50 anni con E.S.R.D. contro il 12 - 20% nella popolazione di controllo. Un recente studio ha mostrato una prevalenza di stenosi carotidea da moderata a severa nel 41% dei pazienti sottoposti a dialisi studiati. E’ noto che i pazienti con E.S.R.D. presentano un aumentato rischio di amputazione non traumatica che raggiunge 10 volte quello della popolazione generale e la P.O.A.D. è la più comune causa di amputazione, con una mortalità a due anni che raggiunge i due terzi dei soggetti nei diabetici. La prevalenza della P.O.A.D. nei pazienti con E.S.R.D. varia, a seconda delle casistiche, dal 5,5 al 23%, se diagnosticata con mezzi non invasivi. Lo studio H.E.M.O. ha mostrato una prevalenza di P.O.A.D. del 23% nei pazienti sottoposti ad emodialisi e lo studio di Webb e coll. ha mostrato una prevalenza di Claudicatio Intermittens del 19% in 325 P. con E.S.R.D.. Nella nostra casistica la prevalenza di C.S. è stata del 20% nei pazienti sottoposti a dialisi, con un rischio relativo molto elevato (R.R. 5,5), che diventa ancora più elevato nei diabetici (R.R. 6,3) confermando che il diabete accentua il rischio vascolare nei pazienti con E.S.R.D., l’età invece non ha influenzato il rischio. Per quanto riguarda la P.O.A.D. la prevalenza è del 20% nei nostri pazienti; tale valore corrisponde alle stime della letteratura, con un rischio relativo anche qui molto elevato (R.R. 6,3) che aumenta ulteriormente nei diabetici (R.R. 7,9), anche questo dato è conforme alla letteratura. L’ipertensione arteriosa, pur essendo un fattore di rischio maggiore, si è comporta-


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ta nello stesso modo sia nei pazienti dializzati che nei soggetti di controllo. Interessanti ci sembrano i dati morfologici: sono costanti infatti le calcificazioni parietali che, nelle arterie sottopoplitee, interessano l’intera estensione dei vasi. Tali calcificazioni sono presenti a tutti i livelli e rappresentano una nota costante delle lesioni arteriose sia carotidee che negli arti inferiori. La caratteristica estensione “a corona di rosario” nelle arterie di gamba rende queste ultime difficilmente compressibili e quindi rende poco attendibile la misura dell’A.B.I. che, nei nostri pazienti arteriopatici sottoposti a dialisi, si è dimostrato non adatto a discriminare il malato dal sano nel 47% dei casi. Tale aspetto, del tutto caratteristico e peculiare, è diverso da quello che, nella nostra esperienza, abbiamo riscontrato nei diabetici non dializzati, nei quali le calcificazioni sono più omogenee e non “a corona di rosario”. La calcificazione è legata, nei pazienti dializzati, all’iperparatiroidismo che condiziona la deposizione di calcio nei tessuti che giunge fino al grave quadro della calcifilassi ove il calcio si deposita nella cute con ulcere talora devastanti. La patogenesi dell’arteriopatia dell'E.S.R.D. è più complessa di quella dell’arteriosclerosi, in quanto, oltre ai classici fattori di rischio quali età, sesso, familiarità, fumo, ipertensione, iperlipemia, entrano in gioco fattori diversi quali l’iperomocistenemia, l’aumento dell’aplipoproteina (a) a basso peso molecolare, alterazioni del bilancio calcio-fosforo, malnutrizione, alterazione delle citochine, proteina C reattiva, danno endoteliale. Tali fattori rendono più frequente la patologia arteriosa nei pazienti con E.S.R.D. rispetto alla popolazione generale.

La maggior parte dei nostri pazienti con P.O.A.D. era asintomatica (95%) e nessun paziente presentava ischemia critica; questo dato ci porta a pensare che la ricerca di claudicardio intermittens nei pazienti con E.S.R.D. sia un dato che sottostima la reale prevalenza di P.O.A.D. in questi pazienti, soprattutto in relazione al fatto che le condizioni cliniche generali e il tipo di vita di questi pazienti tendono a farli camminare poco, rendendo difficile il manifestarsi della claudicatio. Anche le stenosi carotidee sono risultate, nel 50% dei casi, asintomatiche. In conclusione la nostra ricerca dimostra una alta prevalenza di C.S. e di P.O.A.D. nei pazienti sottoposti a dialisi, con un rischio relativo molto elevato rispetto alla popolazione di controllo. La casistica, pur non del tutto esigua, ha, però, determinato degli intervalli di confidenza molto ampi, per cui sono auspicabili studi su scala più vasta. La nostra casistica prevedeva una diagnosi basata su metodi oggettivi (Eco Color Doppler), ciò è importante perché nel nostro studio né la sintomatologia clinica né l’A.B.I. sono stati affidabili per valutare la prevalenza di P.O.A.D. nei pazienti dializzati. Il diabete si è rivelato capace di aumentare significativamente il rischio di C.S. e di P.O.A.D. e di ciò va tenuto conto nella gestione clinica dei pazienti con E.S.R.D.. Dai dati del nostro studio e da quelli della letteratura sembra consigliabile sottoporre i pazienti con E.S.R.D., specie se sottoposti a dialisi, a regolari controlli Eco Color Doppler dei tronchi sopra aortici e degli arti inferiori onde diagnosticare e trattare prontamente le patologie arteriose ostruttive, ancora di più se si tratta di soggetti diabetici.

DISCORDANZA TRA VELOCITA’ DI PICCO SISTOLICO ED IMMAGING ECOGRAFICO NELLA VALUTAZIONE DELLA STENOSI ATEROMASICA DELL’ARTERIA CAROTIDE INTERNA A. Cavallini, G. Lipari, G. Armatura, L. Boninsegna, P. Regi, E. Baggio Chirurgia Generale e Vascolare B - Università di Verona INTRODUZIONE. Durante un esame eco-colorDoppler TSA (DTSA) è possibile che i parametri universalmente più utilizzati nella quantificazione di una stenosi ateromasica dell’arteria carotide interna (ICA), la velocità di picco sistolico (VPS) e l’imma-

ging ecografico (IE), siano discordanti; in particolare è possibile riscontrare una VPS normale (≤ 120 cm/sec) a fronte di una stenosi valutata all’IE ≥ 70% o viceversa una VPS superiore a 120 cm/sec con una stenosi che all’IE risulta inferiore al 50%. Lo scopo

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dello studio è valutare quale delle due variabili (VPS ed IE) sia più sensibile e maggiormente predittiva della reale entità della stenosi qualora tra esse vi sia discrepanza. MATERIALI E METODI. Tutti i Pazienti sono stati esaminati con ecografo ATL 5000 ECD Philips System; la valutazione della placca all’IE è stato effettuato mediante la scala dei grigi, il color-Doppler ed il power-Doppler nelle scansioni sagittale e trasversale; si è quindi proceduti alla valutazione della stenosi dal punto di vista emodinamico mediante la misurazione della VPS. Da Gennaio 2005 a Luglio 2006 sono stati sottoposti a DTSA 1397 Pazienti, per un totale di 2794 ICA. Tra queste 402 presentavano una stenosi valutata all’IE ≤ 65% (14%) e 127 ≥ 65% (4.5%). Ogni esame è stato sottoposto a validazione da più di un operatore e tutti gli esami sono stati condotti dalla stessa equipe. I Pazienti con stenosi all’IE ≥ 70% sono stati quindi sottoposti ad angiografia digitale TSA. RISULTATI. Delle 402 ICA con stenosi ≤ 65%, 7 (1.7%) hanno mostrato una stenosi all’IE inferiore o uguale al 50% con una VPS alterata; nessuno di questi Pazienti presentava arterie con anomalie di decorso. Tra i 127 Pazienti con stenosi valutata all’IE ≥ 65%, nella maggioranza dei casi (102) si è riscontrata una consensuale alterazione della VPS; in 25 casi (10.7%) però la VPS risultava inferiore a 120 cm/sec. Di questi 25 Pazienti, 13 (tutti quelli con stenosi ≥ 70%) sono stati quindi sottoposti ad angiografia digitale TSA, che ha confer-

mato una stenosi ≥ 70% solo in 4 casi; in 9 casi invece è stata confermata la presenza di una placca, ma la percentuale di stenosi era inferiore al 70%. Nessun Paziente con stenosi all’IE ≤ al 50% con una VPS alterata è stato sottoposto ad angiografia. CONCLUSIONI. Riscontrare una discrepanza tra i due parametri, VPS e IE, nella valutazione di una stenosi carotidea è un evenienza rara ma che deve essere tenuta presente dal medico che esegue la diagnostica non invasiva, in particolare se la percentuale della stenosi è tale da porre indicazione ad un trattamento attivo. In questi casi è utile un approfondimento diagnostico mediante angiografia TSA o angioTC; il nostro studio dimostra che la VPS è un dato più affidabile nella valutazione della stenosi rispetto all’IE; su 13 Pazienti con stenosi dell’ICA valutata all’IE ≥ 70% ma con VPS nella norma al controllo Doppler PW, l’angiografia ha confermato una stenosi ≥ 70% soltanto in 4 Pazienti (30%); in 9 Pazienti (69%) invece la stenosi è risultata inferiore al 70%. La discrepanza tra i due criteri valutativi può derivare da condizioni cliniche del Paziente (ipertensione arteriosa, scompenso cardiaco), dalla presenza di lesioni ateromasiche “tandem”, lesioni a carico della carotide controlaterale o dell’arco aortico. In questi casi può essere utile prendere in considerazione altri parametri emodinamici (quali ICA/CCA PSV ratio, l’ICA EDV, il test di Maroon) per ridurre ulteriormente i falsi positivi.

PROTEASI E ULCERE CRONICHE DEGLI ARTI INFERIORI G. Failla, L. Denaro Salvatrice, S. Campo, G. Ardita, P. Finocchiaro, F. Mugno, L. Attanasio, M. Di Salvo U.O.C. Angiologia - Dipartimento per la cura delle malattie Mediche e Chirurgiche del cuore e dei vasi Azienda Ospedaliera - Universitaria V. Emanuele, Ferrarotto, S. Bambino - Catania INTRODUZIONE. La matrice extracellulare ha una struttura prevalentemente proteica e carboidratica complessa che, assicura il sistema di supporto per l’ancoraggio intercellulare attraverso proteine d’adesione e costituisce un sistema di “dialogo metabolico“ per la trasmissione di diversi segnali modulatori (differenziazione cellulare, apoptosi, migrazione cellulare, angiogenesi,ecc.). Il suo turn-over è affidato alla proteolisi extracellulare attuata attraverso due sistemi che lavorano in parallelo:

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1- Sistema fibrinolitico (plasmina e suoi attivatori) 2- Sistema delle metalloproteasi (MMPs) Il sistema fibrinolitico e quello delle metalloproteasi interagiscono nel favorire la rimozione della fibrina e della matrice cellulare danneggiata, in particolare nella fase di rimodellamento della riparazione tissutale allo scopo di rendere disponibili le macromolecole imbrigliate in questa rete, quali i fattori di crescita e favorendo la migrazione cellulare in senso centripeto. L’azione delle metalloproteasi in generale, solo rara-


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mente è specifica: solo alcune come la MMP2 e la MMP9 hanno azione più specifica in quanto denaturano il collagene di tipo 4. L’attività di queste proteasi è regolata dalla presenza di alcuni inibitori (TIMPs). Oltre che dalla specificità parziale delle MMPs, la bilancia proteasica - antiproteasica, è regolata da una sorta di organizzazione biologica del controllo spaziale che i tessuti esercitano e in modo da creare una muraglia di inibitori intorno alla zona ove le MMPs sono iperattivate. L’azione delle proteasi, alla lunga, finisce per ostacolare il processo di guarigione; infatti, alcuni autori l’hanno correlata ad un prolungamento della fase infiammatoria, ad un danneggiamento della matrice extracellulare e ad un ritardo della guarigione. Il danno tissutale è provocato dalla prolungata attivazione dei polimorfonucleati che determina un aumento di radicali liberi nella lesione e dunque stress ossidativo. Per contro altri autori hanno dimostrato che bassi livelli di proteasi sono correlati invece alla guarigione delle lesioni e che, nelle lesioni croniche, questa è favorita dalla riduzione dell’attività proteasica dipendente dalla presenza di inibitori specifici, dalla temperatura, da alcuni cofattori, dal pH. L’attività enzimatica è strettamente correlata ai valori di pH, ciascun enzima agendo entro uno stretto range. Ad un pH specifico gli enzimi mostrano un’elevata rapidità d’azione. E’ stato dimostrato, che diversamente dalle ulcere acute, il pH delle ulcere croniche si mantiene costantemente intorno a valori che oscillano tra 7 e 8 e che l’uso di sostanze che tendono ad acidificare il letto della ferita è correlabile ad una più rapida velocità di guarigione delle ulcere venose. Anche l’eparina a basso peso molecolare può essere in grado di influenzare la funzione e la struttura della matrice extracellulare attraverso l’attivazione del sistema plasminico e favorendo la degradazione della fibrina depositata nella matrice cellulare alterata del letto dell’ulcera, che intrappola i fattori di crescita prodotti dalle cellule e li rende inattivi. Si può ipotizzare un meccanismo di questo tipo per razionalizzarne l’uso nel trattamento delle ulcere vascolari. MATERIALI E METODI. Sono state esaminate le lesioni croniche di due gruppi di 10 pazienti ciascuno. Il primo gruppo di pazienti con ulcere di varia etiologia vascolare è stato sottoposto a trattamento locale con cadexomero unguento alla posologia di un’applicazione ogni tre giorni. La medicazione secondaria è stata effettuata con schiuma di poliuretano

Cadexomero unguento rilasciando ioni H+, abbassa il pH nell’essudato delle lesioni croniche da un valore (neutro/basico) di massima attività proteasica, ad un valore (acido) di minima attività proteasica. La patologia vascolare dei pazienti era trattata secondo i protocolli vigenti nella nostra Unità Operativa, con terapia farmacologica, elastocompressione in caso di presenza di edema, e, in due casi, con precedente rivascolarizzazione. Il secondo gruppo di pazienti, affetti da ulcera venosa, è stato trattato secondo la “buona pratica clinica” seguendo i protocolli della nostra U.O.C., con elastocompressione e medicazioni avanzate, prevalentemente idrofibra e schiuma di poliuretano arricchite con argento. La somma dell’area totale delle ulcere dei due gruppi in osservazione era praticamente sovrapponibile con una differenza inferiore al cm2. È stato osservato un periodo di trattamento di 4 settimane eseguendo una rilevazione fotografica digitale dell’ulcera e una misurazione con il software dedicato “Mimix” al giorno 0 e al giorno 28. RISULTATI. In tabella viene mostrata la regressione in cm2 per settimana del gruppo dei pazienti trattati con l’unguento modulatore delle proteasi: La somma di regressione dell’area totale per il gruppo trattato con unguento modulatore delle proteasi è stata di 9,67 cm2 /settimana con una media di 0,97 cm2 /settimana per paziente. La somma di regressione dell’area totale per il gruppo non trattato con unguento modulatore delle proteasi è stata di 6,11 cm2 /settimana con una media di 0,61 cm2 /settimana/ paziente. Nel gruppo trattato con unguento modulatore delle proteasi si è passati da un totale di 89,23 cm2 al Tempo 0 ad un totale di 52,65 cm2 al Tempo 28 per una regressione assoluta di 38,68 cm2 e percentuale del 43,49% dell’area delle lesioni, mentre nel gruppo non trattato da 88,93 cm2 si è passati ad un’area totale di 63,69 cm2 con una riduzione assoluta di 25,24 cm2 e percentuale del 28,38%. L’indice di riduzione percentuale a settimana è stato di 10,87% nel primo gruppo contro 7,09% del secondo gruppo. Il vantaggio totale per il primo gruppo in termini di contrazione è stato pari al 15,11% totale e 3,75% settimanale. CONCLUSIONI. Questa esperienza, numericamente limitata, mostra come il cadexomero unguento, attraverso l’intervento sulla modulazione della matrice

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extracellulare, sembra essere in grado di accelerare i tempi di guarigione delle lesioni trattate. Naturalmente il buon risultato dipende soprattutto, dall’applicazione dei principi della “Wound Bed preparation” e dalla tempistica degli interventi scandita dal T.I.M.E. andando dalla semplice applicazione della medicazione all’intervento di rivascolarizzazione. fino al trattamento intensivo farmacologico di salvataggio d’arto. Un’altra cosa di cui si deve tener conto è che alcuni dei pazienti trattati con cadexomero unguento

erano anche trattati, contrariamente all’altro gruppo, con eparina a basso peso molecolare, la quale, da alcuni dati in nostro possesso, sembra determinare riduzione dei tempi di guarigione delle ulcere venose. Questo può avere influenzato in senso positivo la velocità di guarigione nel primo gruppo. Riteniamo, comunque, interessanti le potenzialità del cadexomero unguento come coadiuvante nell’accelerare i tempi di guarigione delle lesioni croniche degli arti inferiori e la casistica merita un ampliamento per ottenere dei dati validi sul piano statistico.

STUDIO CLINICO-SPERIMENTALE SUGLI EFFETTI DELL’IDROMASSAGGIO CON ACQUA SALSOBROMOIODICA NEL TRATTAMENTO DELLA MALATTIA VARICOSA E. Ippolito 1, S. De Luca 2, S. Sommaruga 1, G. Nappi 2 1 Istituto di Chirurgia Vascolare e Angiologia (Direttore: Prof. G.B. Agus) 2 Cattedra e Centro Studi e Ricerche di Medicina Termale (Direttore: Prof. G. Nappi) INTRODUZIONE. Nel campo dell’insufficienza venosa cronica la sindrome varicosa occupa un posto di primo piano in relazione alla sua alta frequenza che arriva sino al 20% della popolazione Europea se consideriamo non solo le varici tronculari ma anche i collaterali safenici, le varici da incontinenza multipla o isolata di vene perforanti, quelle reticolari o le teleangectasie. Conseguenza delle varici essenziali primitive è lo stabilirsi di una ipertensione venosa a livello della gamba con stasi localizzata o diffusa e, nei casi più gravi, alla comparsa di alterazioni del trofismo cutaneo localizzate più frequentemente a livello perimalleolare. La variabilità della patologia varicosa, che la letteratura scientifica internazionale ha cercato di inquadrare in nella classificazione denominata con l’acronimo CEAP rende possibile diferenti azioni terapeutiche di tipo riabilitativo. Tra queste il ricorso a metodiche termali, quali l’idromassaggio eseguito con l’utilizzo di acque termali come le salsobromoiodiche, si rileva di grande utilità. Si realizza infatti in questo caso un meccanismo sinergico tra l’azione meccanica di stimolo e attivazione del circolo venoso di ritorno effettuata dal massaggio e le azioni specifiche antiedemigene, antisettiche e antiinfiammatorie delle acque termali. MATERIALI E METODI. Ai fini dello studio sono stati selezionati due campioni di pazienti:

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gruppo caso: che comprendeva 34 pazienti tra i quali 5 maschi (14,7%) e 29 femmine (85,3%), con età media di 54,6 ± 9,5 anni; gruppo controllo: composto da 10 pazienti, tra i quali 1 maschio (10%) e 9 femmine (90%) con età media di 50,1 ± 11,3 anni. Tutti i pazienti arruolati erano affetti da varici agli arti inferiori appartenenti alla classe 2-3-4 della classificazione clinica CEAP. Nell’ambito dell’anamnesi specialistica eseguita in tutti i casi sono stati considerati i seguenti indicatori sintomatologici: dolore agli arti, pesantezza, parestesie, crampi notturni, ”sindrome delle gambe senza riposo“ e prurito; per tutti questi sintomi è stata indagata sia l’intensità che la frequenza. I protocolli di trattamento applicati ai due campioni sono stati i seguenti: - Il gruppo caso è stato sottoposto, a cadenza giornaliera, per 12 giorni consecutivi, ad un trattamento termale che comprendeva idromassaggio in vasca singola con acqua salsobromoiodica alla temperatura di 33 gradi per 20 minuti. - Il gruppo di controllo ha indossato per lo stesso periodo, durante tutta la giornata, una calza elastica graduata con compressione di 12 mm Hg. Ai partecipanti allo studio, nel periodo di tempo nel quale è stata condotta la sperimentazione, è stato


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richiesto di non modificare le abitudini di vita e l’alimentazione, nonché di non assumere nessun farmaco. Qualsiasi effetto collaterale, l’assunzione di farmaci o l’insorgenza di complicanze o di patologie concomitanti ha comportato l’esclusione dei pazienti. Le scale di misura impiegate sono state le seguenti: INTENSITA’: da 0 (assenza della sintomatologia) a 4 (massima sintomatologia). I punteggi attribuiti ad ogni sintomo venivano quindi sommati e tale somma veniva considerata come punteggio relativo all’intensità della sintomatologia. PRESENZA NELLA GIORNATA: 0 = mai - 1 = qualche volta - 2 = frequentemente 3= sempre Anche in questo caso i punteggi attribuiti ad ogni sintomo venivano sommati e tale somma veniva considerata come punteggio relativo alla frequenza della sintomatologia Nell’ambito dell’esame obbiettivo come indicatori sono state considerate le misurazioni centimetiche dei diametri a livello sovra malleolare, del terzo medio del polpaccio ed a metà coscia. E’ stata inoltre valutata la presenza a livello malleolare di turbe trofiche di origine venosa quali ipodermiti, eczema e pigmentazione cutanea. L’ e s a m e c l i n i c o e l ’ e s e c u z i o n e d e l l ’ e s a m e ecocolorDoppler a livello del distretto venoso profondo e superficiale hanno permesso di identificare l’entità e la distribuzione dei segmenti venosi superficiali incontinenti confermando per altro in tutti i casi la pervietà e continenza dell’asse venoso femoropopliteo-tibiale bilateralmente. In entrambi i gruppi è stata verificata l’efficacia del trattamento confrontando i dati pre-post cura elaborandoli con i seguenti test: - INDICI SINTOMATOLOGICI (frequenza e intensità): test di Wilcoxon. - MISURAZIONI CENTIMETRICHE: test “t” di student. L’eventuale maggiore efficacia dell’acqua termale è stata ricercata confrontando i risultati ottenuti nel gruppo A con quelli ottenuti nel gruppo B. RISULTATI. INDICATORI CLINICI SINTOMATICI. Per quanto riguarda l’intensità della sintomatologia si è avuto in entrambi i gruppi un risultato favorevole; nel gruppo caso si è passati da 9.5 a 1 (con P< 0.05) mentre nel gruppo controllo da 8.0 a 3.0 (con P< 0.05): i valori si riferiscono alla mediana. Nei dati relativi alla frequenza dei disturbi il punteggio pre-cura dimostra una frequenza iniziale dei sintomi

superiore nel gruppo caso rispetto a quello controllo con 9 vs 5,5 (con P<0,05); dopo il trattamento la differenza varia a tal punto da essere inferiore nel gruppo caso rispetto al gruppo controllo con 1 vs 2,5 (con P<0,05). INDICATORI OBBIETTIVI. Le misurazioni centimetriche medie nel gruppo caso hanno evidenziato - a livello sovramalleolare valori di 23,18 +- 2,7 pretrattamento e 22,12 +- 2,6 post. (P<0.05) - a livello del polpaccio valori di 36,29 +- 3 pretrattamento (P<0.05) e 35,19 +- 5,2 post (P<0.05) - a livello del terzo medio di coscia valori di 47,56 +5,2 pretrattamento (P<0.05) e 45,6 +- 5 post (P<0.05). Le misurazioni centimetriche medie nel gruppo controllo hanno evidenziato - a livello sovramalleolare valori di 23 +- 1,4 pretrattamento e 23 +- 1,4 post. (n.s) - a livello del polpaccio valori di 38,5 +- 1,5 pretrattamento e 38,5 +- 1,6 post (n.s) - a livello del terzo medio di coscia valori di 53,6 +- 4,2 pretrattamento a 53,63 +- 4,2. Osservando i dati in sintesi è evidente che, per tutti e tre i diametri presi in considerazione, nel gruppo sottoposto a idromassaggio con acqua termale c’è stata una riduzione statisticamente significativa, cosa che non si è verificata per nessun diametro nel gruppo di controllo. Per quanto riguarda le alterazioni trofiche riscontrate prima del relativo trattamento in 4 pazienti del gruppo caso (2 eczemi varicosi e 2 dermatiti) e in 2 casi del gruppo controllo (2 dermatiti) è stata osservata una totale remissione nei primi e solamente una parziale guarigione nei secondi. CONCLUSIONI. Lo studio caso-controllo, idromassaggio con acqua termale salsobromoiodica versus elastocompressione di 12 mmhg graduata, effettuato in pazienti con varici essenziali della classe 2-3-4 della classificazione clinica CEAP, ha evidenziato quanto segue: - i pazienti sottoposti ad idromassaggio hanno ottenuto una riduzione della sintomatologia, sia riguardo l’intensità che la frequenza, accompagnata da una significativa riduzione centimetrica dei diametri agli arti inferiori - il confronto con il gruppo trattato con elastocompressione ha evidenziato un maggiore e significativo effetto terapeutico nel gruppo sottoposto a terapia termale sia per quanto riguarda la sintomatologia che i segni obbiettivi rappresentati dalle misurazioni centimetriche

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- solamente i pazienti sottoposti ad idromassaggio con acqua termale hanno beneficiato di una completa regressione delle turbe trofiche cutanee riscontrate al momento dell’arruolamento. I risultati dello studio mostrano pertanto come l’idromassaggio rappresenti un metodica termale di grande efficacia grazie all’azione della pressione idrostatica esercitata dall’acqua che induce un aumento della vis a tergo e favorisce un maggior deflusso venoso dagli arti. A ciò si aggiungono le caratteristiche chimiche e chimi-

co-fisiche delle acque salsobromoiodiche che per il loro elevato potere osmotico determinano una significativa azione antiedemigena. L’assorbimento cutaneo delle acque salsobromoiodiche favorisce inoltre, grazie all’azione antisettica ed antinfiammatoria delle acque salsobromoiodiche , la risoluzione delle turbe trofiche, (dermiti e ipodermiti) spesso presenti negli stadi avanzati di insufficienza venosa cronica da varici essenziali complicate (classe 4 della classificazione clinica CEAP).

LA PERSISTENZA DI FATTORI DI RISCHIO NON CONTROLLATI, INFLUENZA I RISULTATI DEL TRAINING FISICO CONTROLLATO? A. Leone 1, R. Laudani 1, G. Definite 1, R. Martini 2 E G.M. Andreozzi 2 1 U.Riabil.Vascol. - Clinica di Riabilitazione “Casa di Cura Carmide” Catania 2 U.O.C. di Angiologia - Azienda Ospedaliera Università Padova INTRODUZIONE. La claudicazione inermittente (CI), sintoma principale dell’arteriopatia obliteante periferica (AOP), ha una prevalenza variabile del 3-10% nella popolazione generale che raggiunge il 20% nella popolazione sopra i settanta anni, limitando significativamete le attività quotidiane e la qualità della vita dei pazienti. I principali obiettivi del management della CI sono la prevenzione della progressione della malattia, la prevenzione degli eventi cardiovascolari fatali e non fatali ed il miglioramento della capacità di marcia. L’opzione terapeutica primaria è l’identificazione e la correzione dei fattori di rischio, senza la quale l’efficacia di tutti gli interventi farmacologici è fortemente ridotta o compromessa. Il fumo di sigaretta è il fattore di rischio più frequente nei pazienti con CI con un ruolo importante sia nella patogenesi sia nella progressione della malattia nell’etiopatogenesi e nella fisiopatologia della malattia e causa un peggioramento duraturo della perfusione e dell’ossigenazione dei muscolare degli arti inferiori. I pazienti che continuano a fumare hanno una maggiore riduzione della capacità di marcia rispetto ai pazienti che smettono di fumare. Smettere di fumare è la prima opzione terapeutica indicata al paziente claudicante. Anche il diabete è particolarmente frequente come causa di AOP, ne anticipa la comparsa di circa un decennio ed azzera il rapporto uomo/donna presente

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per l’AOP non diabetica. È dimostrato che in almeno l’8% dei diabetici l’AOP è già presente al momento della diagnosi di diabete. L’ipercolesterolemia, pur essendo indicata soprattutto come fattore patogenetico, è responsabile di una sindrome da iperviscosità secondaria che riduce la perfusione, soprattutto microcircolatoria. Un adeguato intervento sulla correzione dei fattori di rischio rappresenta quindi l’opzione terapeutica principale del management della CI. Per quanto attiene il miglioramento della capacità di marcia sono disponibili varie proposte farmacologiche in grado di aumentare l’intervallo di marcia assoluto e relativo, ottenendo altresì un miglioramento della qualità della vita, tuttavia il mezzo più efficace e più raccomandato da tutte le linee guida è il training fisico controllato, che migliora la distanza di claudicazione iniziale (ICD), la distanza di claudicazione assoluta (ACD), la qualità di vita. Poiché la correzione dei fattori di rischio è presupposto imprescindibile per garantire la massima efficacia e durata di risultato delle terapie delle AOP (farmaci, interventi di rivascolarizzazione) ci è sembrato interessante valutare se la presenza/assenza di alcuni fattori di rischio e la bontà della correzione di altri, condiziona la risposta del paziente con CI al training fisico controllato. MATERIALI E METODI. 74 pazienti con CI, 33 affetti da claudicazione moderata (età media 64,93 anni,


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ACD 149,36±37,23 m) e 41 da claudicazione severa (età media 67,83 anni, ACD 69,04±21,86) sono stati arruolati consecutivamente presso la nostra clinica per un ciclo di training fisico controllato. È stato adottato un protocollo short-term (18 giorni, sei settimane, tre giorni la settimana) di tipo aerobico, i cui dettagli sono descritti in precedenti lavori del nostro gruppo. Prima e dopo l’allenamento sono stati misurati la distanza di claudicazione iniziale (ICD) la distanza di claudicazione assoluta (ACD) ed il tempo di recupero (TR). Il database dei risultati è stato quindi suddiviso in sette gruppi corrispondenti ai fattori di rischio presi in considerazione: fumo (diviso a sua volta in tre sottogruppi: non fumatore, fumatore, ex fumatore), diabete (assente, compensato, scompensato, cut-off emoglobina glicata < 7 mg%), ipercolesterolemia (assente, compensata, non compensata, cut-off LDL-Col < 100 mg/dl), body mass index (normale, sopra peso, obesità lieve), ipertensione (presente, assente), pregresso infarto miocardico (si, no), pregresso stroke (si, no). Per ognuno dei sottogruppi sono stati calcolati la media e l’errore standard di ICD, ACD e TR prima e dopo l’allenamento, ed il delta aritmetico tra il valore finale e quello iniziale. Per ogni sottogruppo i risultati di ICD ACD e TR, prima e dopo training, sono stati confrontati mediante il test T di Student. Sui delta di ogni gruppo è stata eseguita l’analisi multivariata della varianza (ANOVA). RISULTATI. 18 pazienti non avevano mai fumato, 24 fumavano più di 10 sigarette al giorno, 32 erano ex fumatori. 41 pazienti erano diabetici, solo 20 avevano

una emoglobina glicata < 7%. 36 pazienti erano ipercolesterolemici e 20 di essi presentavano un LDL-Col > 100 mg/dl. 43 pazienti erano in sopra peso e 7 presentavano un’obesità lieve. 15 pazienti avevano avuto un infarto miocardico e soltanto 6 uno stroke. ICD e ACD sono aumenti in tutti i sottogruppi considerata con differenze statisticamente molto significative, mentre il TR si è ridotto in tutti i sottogruppi in modo altrettanto significativo (Tabella 1). L’analisi multivariata della varianza ha dato valori molto al di sotto della significatività di p<0,05 in tutti i gruppi e sottogruppi considerati (Tabella 2). CONCLUSIONI. La prima opportuna considerazione che desideriamo sottolineare riguarda la rilevante prevalenza, vicina al 50%, osservata nella nostra casistica di pazienti con inadeguato controllo dei fattori di rischio. Questo dato non è occasionale, ed è stato già segnalato in un altro lavoro del nostro gruppo, e a parer nostro è da attribuire alla scarsa aderenza nella pratica clinica corrente alle raccomandazioni delle linee guida. Per quanto concerne l’obiettivo di questo studio confermiamo la significativa efficacia del training fisico controllato sulla capacità di marcia del paziente con claudicazione intermittente, e sottolineiamo che la persistenza di fattori di rischio non controllati è ininfluente sul risultato del training. Questo dato è un elemento in più a favore dell’impiego routinario del training fisico controllato nel management del paziente claudicante, purtroppo ancora poco frequentemente adottato.

SIGNIFICATO CLINICO E PROGNOSTICO DELL’ATEROSCLEROSI CAROTIDEA NELLA VALUTAZIONE DEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE GLOBALE S. Novo, I. Muratori, R. Tantillo, G. Novo, G. Coppola, G. Amoroso, F. Bonura, M.C. Mulè, V. Pitruzzella, F. Sutera, E. Corrado U.O.C. di Cardiologia, Dipartimento di Medicina Interna, Malattie Cardiovascolari e Nefro-Urologiche, Università degli Studi di Palermo INTRODUZIONE. L’aterosclerosi è una patologia sistemica e diffusa dell’apparato cardiovascolare; sino ad oggi il cardiologo ha rivolto la sua attenzione principalmente all’aterosclerosi coronarica e alle sue complicanze (infarto del miocardio, angina), anche se la localizzazione periferica della malattia, carotidea e

agli arti inferiori, si associa ad un’elevata morbilità e mortalità. Negli ultimi anni numerosi studi hanno documentato l’utilità dello spessore medio-intimale (IMT) carotideo per l’individuazione e il monitoraggio della malattia aterosclerotica della parete arteriosa.

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La misurazione ultrasonografia dell’IMT è stata dapprima studiata in modelli animali e successivamente nell’uomo. Uno dei più importanti studi di validazione è stato realizzato dal gruppo italiano Pignoli-Paoletti, i quali dimostrarono come la distanza tra le due linee ecogene rilevate nell’immagine ultrasonografia correlasse con la somma delle tuniche intima e media misurate con tecniche anatomo-patologiche in arterie con e senza aterosclerosi. Dopo questo studio iniziale, misurazioni dell’IMT carotideo sono state realizzate in diversi studi permettendo di raccogliere numerose informazioni concernenti l’associazione tra IMT e fattori di rischio cardiovascolare. Numerosi studi, tra cui l’ARIC (Atherosclerosis Risk in Communities Study), realizzato in soggetti adulti di età > 45 anni, hanno evidenziato come la presenza di fattori di rischio cardiovascolare “tradizionali” e “non tradizionali” si associ ad un aumento dell’IMT carotideo, indice di aterosclerosi subclinica. Tra i fattori di rischio accertati per lo sviluppo dell’aterosclerosi carotidea oltre l’ipertensione arteriosa correlano l’ipercolesterolemia, il diabete, e il fumo di sigaretta. Nello studio GESCO-MURST-CIFTI-4 sono stati esaminati 755 pazienti, con età compresa tra i 18 e gli 85 anni, osservando un significativa maggiore incidenza dell’IMT carotideo (32.5% vs 14,7%), di placca carotidea asintomatica (10.75% vs 5,37%), e di entrambe le lesioni carotidee considerate insieme (47.2% vs 16,2%) rispettivamente nei soggetti con uno o più fattori di rischio tradizionali in confronto ai soggetti senza fattori di rischio. In un altro recente studio abbiamo dimostrato come la presenza di aterosclerosi carotidea risultasse associata ai fattori di rischio tradizionali quali l’ipertensione arteriosa e l’età ed alcuni fattori di rischio emergenti quali, il fibrinogeno, la PCR e la sieropositività pregressa a diverse infezioni - total burden of infection. Un aumento dell’IMT carotideo si è dimostrato correlato anche alla presenza di lesioni aterosclerotiche in altri distretti vascolari, in particolare a lesioni coronariche come recentemente dimostrato con la tecnica dell’IVUS coronarico e con la coronarografia dal gruppo di ricerca dell’Istituto Monzino di Milano. Tale correlazione ha portato a considerare l’IMT carotideo come indicatore di aterosclerosi generalizzata. Numerosi studi prospettici hanno inoltre dimostrato come i soggetti con valori elevati di IMT carotideo abbiano una maggiore probabilità di incorrere nel tempo in un evento cardio o cerebrovascolare. La presenza di ispessimento

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medio intimale carotideo incrementa il rischio cardiovascolare nei pazienti con rischio intermedio calcolato secondo l’algoritmo di Framingham score più marcatamente rispetto ai soggetti con reperto ecografico normale. I dati di questi studi epidemiologici e clinici hanno condotto l’American Heart Association ad affermare che “nella valutazione del rischio cardiovascolare in soggetti asintomatici > 45 anni, la misurazione dell’IMT può fornire informazioni aggiuntive rispetto ai fattori di rischio tradizionali”. Una metanalisi recentemente pubblicata che riassume 8 studi di popolazione (il Kuopio Ischemic Heart Disease Risk Factor Study, l’Atherosclerosis Risk in Communities Study, il Rotterdam Study, il Cardiovascular Health Study, il Malmo Diet and Cancer Study, il Longitudinal Investigation for the Longevity and Ageing in Hokkaido Country, il Carotid Atherosclerosis Progression Study e lo studio prospettico di Kitamura-2004, senza acronimo) ha analizzato l'associazione tra IMT carotideo ed eventi cardio e cerebrovascolari, riferiti ad un totale di 37197 soggetti studiati per 5,5 anni. Questo lavoro ha dimostrato che una differenza di 0.1 mm di IMT si associa all'incremento del rischio di infarto del 10-15%, e del 13-18% di ictus dimostrando che l'esistenza di alterazioni parietali, anche precoci, costituisce un marker indipendente di eventi cerebro o cardiovascolari. Scopo dello studio: valutare se la presenza di aterosclerosi carotidea nei pazienti con rischio cardiovascolare < 20%, valutato utilizzando le carte del “Progetto Cuore”, possa fornire informazioni aggiuntive per una più corretta determinazione del rischio cardiovascolare globale. METODI. Abbiamo valutato la probabilità di un primo evento cardiovascolare nei 5 anni successivi utilizzando le carte del “Progetto Cuore” con un’analisi retrospettiva condotta su 454 soggetti asintomatici (215 M e 239 F, età media 57± 10 anni) per malattie cardiovascolari venuti alla nostra osservazione per una valutazione clinico diagnostica. Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad un accurata anamnesi ed un attento esame obiettivo per la valutazione dei fattori di rischio cardiovascolari più comuni ed ad un prelievo venoso per la valutazione dell’assetto lipidico e della glicemia a digiuno nonché ad esame ultrasonografico delle arterie carotidi per la valutazione dello spessore medio intimale. Analisi Statistica: l’analisi statistica è stata effettuata


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usando il programma Statview Program (Abacus Concepts Inc.). Sono state calcolate la media e la deviazione standard per le variabili numeriche e le differenze tra i gruppi sono state ottenute con il test t di Student. Sono state calcolate le prevalenze di alcune variabili cliniche e di laboratorio e le differenze tra i gruppi sono state ottenute utilizzando il test statistico chi-quadro. Per valutare le variabili indipendentemente associate agli eventi clinici durante il follow-up è stato costruito un modello di regressione logistica. RISULTATI. Il rischio medio della popolazione da noi studiata era del 9,8±7,7%; 422 pazienti (93%) presentavano un Rischio Cardiovascolare Globale (RCVG), calcolato secondo le carte del progetto CUORE < 20%; 32 pazienti (7%) presentavano un RCVG ≥ 20%. Nei soggetti con RCVG < 20% rispetto ai soggetti con RCVG > 20% la prevalenza di reperto ecografico normale era del 39% (n=166) vs 31% (n=10) p < .0007, quella di IMT del 25% (n=104) vs 28% (n=9) p < .0015 e infine di placca aterosclerotica carotidea asintomatica (PCA) del 36% (n=152) vs 41% (n=13) p < .0001. L’incidenza di eventi totali, fatali e non, nella nostra popolazione è stata del 14% (37% nei soggetti con RCVG > 20% e 12% nei soggetti con RCV < 20%, p < .0001). Abbiamo quindi valutato nel sottogruppo di pazienti con RCV < 20% l’incidenza di eventi cardio o cerebrovascolari fatali in relazione alla presenza o assenza di IMT e/o PCA. Nei pazienti con reperto ecografico normale l’incidenza di eventi totali (cardio o cerebro vascolari) è stata dell’8% (n=13), nei pazienti con IMT del 13% (n=14), nei pazienti con PCA del 15% (n=23) (p < .012). Rapportando tali dati a 10 anni di osservazioni tali percentuali si incrementano rispettivamente al 16%, 26% e 30%. Nessun evento fatale si è verificato nei soggetti con reperto ecografico normale, mentre sono stati registrati 2 decessi per cause cerebro o cardiovascolari nei soggetti con IMT e 2 nei soggetti con PCA. Abbiamo quindi effettuato un’analisi di regressione logistica per valutare quale tra i fattori di rischio CV considerati nella carta del “Progetto Cuore” fosse predittivo di eventi nel follow-up inserendo nell’analisi anche la presenza all’esame ultrasonografico di aterosclerosi carotidea. La presenza di un RCVG calcolato secondo le carte del “Progetto Cuore” > del 20% era significativamente associato all’incidenza di eventi durante il follow-up (OR 4.4, 95% IC 2.0-9.6, p < .0002). Tuttavia, un dato

molto interessante emerso dalla nostra analisi è stato il riscontro di una forte associazione tra presenza di aterosclerosi carotidea (IMT o PCA) e incidenza di eventi durante il follow-up (OR 2.7, 95% IC 1.4-5.1, p< .0024) nei soggetti con RCVG basale > 20%. CONCLUSIONI. Alla luce dei risultati emersi dal nostro studio la presenza di aterosclerosi carotidea dovrebbe essere considerata un fattore di rischio aggiuntivo per una valutazione più corretta del rischio cardiovascolare; infatti, abbiamo dimostrato nei pazienti con IMT e/o PCA un rischio di eventi cardiovascolari a dieci anni del 26% e del 30 % rispettivamente, evidenziando come attualmente una percentuale di pazienti considerati a rischio intermedio di eventi in realtà presenti un rischio cardiovascolare più elevato. Tali pazienti, pertanto, necessitano di raggiungere un target di LDL-C di 100 mg% e nella maggior parte dei casi per raggiungere tale target non basta la sola dieta ma è necessaria la somministrazione di una statina che, tuttavia, non rientra ancora fra le modalità di prescrizione a carico del SSN prevista dalla nota 13. In conclusione l’inserimento nelle attuali carte del “Progetto Cuore” della valutazione dello spessore medio-intimale carotideo potrebbe fornire informazioni aggiuntive per una più corretta determinazione del rischio cardiovascolare e per una prevenzione farmacologica più aggressiva in grado di ridurre gli eventi cerebro- e cardiovascolari.

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RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO 1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE: FLUXUM 3.200 U.I. AXA SOLUZIONE INIETTABILE PER USO SOTTOCUTANEO FLUXUM 4.250 U.I. AXA SOLUZIONE INIETTABILE PER USO SOTTOCUTANEO FLUXUM 6.400 U.I. AXA SOLUZIONE INIETTABILE PER USO SOTTOCUTANEO FLUXUM 8.500 U.I. AXA SOLUZIONE INIETTABILE PER USO SOTTOCUTANEO FLUXUM 12.800 U.I. AXA SOLUZIONE INIETTABILE PER USO SOTTOCUTANEO 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA: Una siringa preriempita s.c. da 0,3 ml contiene: Parnaparin U.I. aXa 3.200 Una siringa preriempita s.c. da 0,4 ml contiene: Parnaparin U.I. aXa 4.250 Una siringa preriempita s.c. da 0,6 ml contiene: Parnaparin U.I. aXa 6.400 Una siringa preriempita s.c. da 0,8 ml contiene: Parnaparin U.I. aXa 8.500 Una siringa preriempita s.c. da 1,2 ml contiene: Parnaparin U.I. aXa 12.800 Per gli eccipienti, vedere 6.1 3. FORMA FARMACEUTICA: Soluzione iniettabile per uso sottocutaneo Siringhe preriempite 0,3 ml Siringhe preriempite 0,4 ml Siringhe preriempite 0,6 ml Siringhe preriempite 0,8 ml Siringhe preriempite 1,2 ml 4. INFORMAZIONI CLINICHE: 4.1. Indicazioni terapeutiche - Profilassi delle trombosi venose profonde (TVP) in chirurgia generale ed in chirurgia ortopedica. - Trattamento delle patologie venose ad eziologia trombotica. 4.2. Posologia e modo di somministrazione FLUXUM va somministrato per via sottocutanea. Tecnica di iniezione. L’iniezione deve essere praticata nel tessuto sottocutaneo dei quadranti supero-esterni dei glutei, alternando il lato destro ed il lato sinistro, o nella cintura addominale anterolaterale e posterolaterale. L’ago deve essere introdotto interamente, perpendicolarmente e non tangenzialmente, nello spessore di una plica cutanea realizzata tra il pollice e l’indice dell’operatore. La plica deve essere mantenuta per tutta la durata dell’iniezione. • Nella profilassi delle trombosi venose profonde (TVP) in chirurgia generale ed in chirurgia ortopedica lo schema posologico da seguire è il seguente: Chirurgia generale: Una iniezione per via sottocutanea di 0,3 ml (3.200 U.I. aXa) 2 ore prima dell’intervento. Successivamente ogni 24 ore per almeno 7 giorni. Non sono necessari controlli emocoagulativi. Pazienti ad alto rischio tromboembolico e chirurgia ortopedica: Una iniezione per via sottocutanea di 0,4 ml (4.250 U.I. aXa) 12 ore prima e 12 ore dopo l’intervento, quindi una iniezione quotidiana nei successivi giorni del decorso post-operatorio. La durata del trattamento è di almeno 10 giorni. • Nella terapia delle trombosi venose profonde (TVP), il trattamento sottocutaneo può essere preceduto da 3-5 giorni di terapia per via endovenosa in infusione lenta. Trombosi Venosa Profonda: Due iniezioni/die per via sottocutanea di 0,6 ml (6.400 U.I. aXa): la terapia va protratta per almeno 7-10 giorni. Questa terapia può essere preceduta da 3-5 giorni di terapia con 12.800 U.I. aXa per via endovenosa in infusione lenta. Dopo la fase acuta, la terapia può essere protratta con 0,6 ml (6.400 U.I. aXa) per via s.c./die, oppure con 0,4 ml (4.250 U.I. aXa) per via s.c./die per altri 10-20 giorni. Se non ci sono controindicazioni, iniziare appena possibile una terapia orale anticoagulante. Non si deve interrompere il trattamento con FLUXUM prima di aver raggiunto l’INR (International Normalization Ratio) richiesto. Sindrome post-flebitica, insufficienza venosa cronica: Una iniezione per via sottocutanea di 0,8 ml (8.500 U.I. aXa), di 0,6 ml (6.400 U.I. aXa), di 0,4 ml (4.250 U.I. aXa), oppure di 0,3 ml (3.200 U.I. aXa), ogni 24 ore, a seconda della gravità. Il trattamento va protratto per almeno 30 giorni. Tromboflebite acuta superficiale, varicoflebite: Una iniezione per via sottocutanea di 0,8 ml (8.500 U.I. aXa), di 0,6 ml (6.400 U.I. aXa), di 0,4 ml (4.250 U.I. aXa), oppure di 0,3 ml (3.200 U.I. aXa), ogni 24 ore, a seconda della gravità. Il trattamento va protratto per almeno 20 giorni. 4.3. Controindicazioni L’anestesia loco-regionale per procedure di chirurgia elettiva è controindicata in quei pazienti che ricevono eparina per motivazioni diverse dalla profilassi. Generalmente controindicato in gravidanza e nell’allattamento (vedere anche 4.6). Anamnesi positiva per trombocitopenia con FLUXUM (vedere anche 4.4).

Manifestazioni o tendenze emorragiche legate a disturbi dell’emostasi, ad eccezione delle coagulopatie da consumo non legate all’eparina. Lesioni organiche a rischio di sanguinamento (ulcera peptica, retinopatie, sindrome emorragica). Endocardite infettiva acuta (ad eccezione di quelle relative a protesi meccaniche). Accidenti cerebrovascolari emorragici. Allergia al farmaco. Nefropatie e pancreopatie gravi, ipertensione arteriosa grave, traumi cranioencefalici gravi nel periodo post-operatorio. Periodo di attività terapeutica delle antivitamine K. Controindicazioni relative: associazione con ticlopidina, con salicilati o FANS, con antiaggreganti piastrinici (dipiridamolo, sulfinpirazone, ecc.). 4.4. Avvertenze speciali e opportune precauzioni d’impiego FLUXUM non va somministrato per via intramuscolare. Trombocitopenia da eparina. La trombocitopenia è una complicazione ben conosciuta della terapia con eparina e può comparire da 4 a 10 giorni dopo l’inizio del trattamento, ma anche prima in caso di precedente trombocitopenia da eparina. Nel 10 al 20% dei pazienti può comparire precocemente una lieve trombocitopenia (conta piastrinica maggiore di 100,000/mm3), che può restare stabile o regredire, anche se la somministrazione di eparina è continuata. In alcuni casi si può invece determinare una forma più grave (trombocitopenia da eparina di II tipo), immunomediata caratterizzata dalla formazione di anticorpi contro il complesso eparina-fattore piastrinico 4. In questi pazienti si possono sviluppare nuovi trombi associati con trombocitopenia, derivanti dall’irreversibile aggregazione di piastrine indotta dall’eparina, la cosiddetta “sindrome del trombo bianco”. Tale processo può portare a gravi complicazioni tromboemboliche come necrosi cutanea, embolia arteriosa delle estremità, infarto miocardico, embolia polmonare, stroke e a volte morte. Perciò, la somministrazione di eparina a basso peso molecolare dovrebbe essere interrotta oltre che per comparsa di piastrinopenia, anche se il paziente sviluppa una nuova trombosi o un peggioramento di una trombosi precedente. La prosecuzione della terapia anticoagulante, per la trombosi causa del trattamento in corso o per una nuova comparsa o peggioramento della stessa, andrebbe intrapresa, dopo sospensione dell’eparina, con un anticoagulante alternativo. E’ rischiosa in questi casi l’immediata introduzione della terapia anticoagulante orale (sono stati descritti casi di peggioramento della trombosi). Quindi una trombocitopenia di qualunque natura deve essere attentamente monitorata. Se la conta piastrinica scende al di sotto di 100,000/mm3, o se si verifica trombosi ricorrente, l’eparina a basso peso molecolare deve essere sospesa. Una conta piastrinica andrebbe valutata prima del trattamento e di seguito due volte alla settimana per il primo mese in caso di somministrazioni protratte. In caso di insorgenza di trombocitopenia con eparina classica, cioè non frazionata, la sostituzione con un’eparina a basso peso molecolare è una possibile soluzione. In questo caso è necessaria una sorveglianza quotidiana del numero delle piastrine ed il trattamento dovrà essere interrotto appena possibile; infatti sono state riportate osservazioni del mantenimento della trombocitopenia iniziale anche con eparina a basso peso molecolare (vedi sopra). Nei pazienti sottoposti ad anestesia spinale o peridurale, ad analgesia epidurale o a puntura lombare, la profilassi con basse dosi di eparina a basso peso molecolare può essere raramente associata con ematomi spinali o epidurali che possono portare a paralisi di durata prolungata o permanente. Il rischio è aumentato dall’uso di cateteri peridurali a permanenza per infusione continua, dall’assunzione concomitante di farmaci che influenzano l’emostasi come gli antinfiammatori non steroidei (FANS), gli inibitori dell’aggregazione piastrinica o gli anticoagulanti, da traumi o da punture spinali ripetute, dalla presenza di un sottostante disturbo della emostasi e dalla età avanzata. La presenza di uno o più di questi fattori di rischio dovrà essere attentamente valutata prima di procedere a questo tipo di anestesia/analgesia, in corso di profilassi con eparine a basso peso molecolare. Di regola l'inserimento del catetere spinale deve essere effettuato dopo almeno 8-12 ore dall'ultima somministrazione di eparina a basso peso molecolare a dosi profilattiche. Dosi successive non dovrebbero essere somministrate prima che siano trascorse almeno 2-4 ore dall’inserimento o dalla rimozione del catetere, ovvero ulteriormente ritardate o non somministrate nel caso di aspirato emorragico durante il posizionamento iniziale dell’ago spinale o epidurale. La rimozione di un catetere epidurale “a permanenza” dovrebbe essere fatta alla massima distanza possibile dalla ultima dose eparinica profilattica (8-12 ore circa) eseguita in corso di anestesia. Qualora si decida di somministrare eparina a basso peso molecolare prima o dopo di un’anestesia peridurale o spinale, si deve prestare estrema attenzione e praticare un frequente monitoraggio per individuare segni e sintomi di alterazioni neurologiche come: dolore lombare, deficit sensoriale e motorio (intorpidimento e debolezza degli arti inferiori), alterazioni della funzione vescicale o intestinale. Il personale infermieristico dovrebbe essere istruito ad individuare questi segni e sintomi. I pazienti dovrebbero essere istruiti ad informare immediatamente il personale medico o infermieristico se si verifica uno qualsiasi dei suddetti sintomi.


Se si sospettano segni o sintomi di ematoma epidurale o spinale, deve essere formulata una diagnosi immediata ed iniziato un trattamento che comprenda la decompressione del midollo spinale. Trattamento: da usare con precauzione in caso di insufficienza epatica, insufficienza renale, ipertensione arteriosa, anamnesi di ulcera gastrointestinale o di tutte le altre lesioni organiche suscettibili di sanguinamento, o di malattie vascolari della corioretina. Da usare con precauzione nel periodo post-operatorio a seguito di chirurgia cerebrale o del midollo spinale. Le eparine a basso peso molecolare differiscono, per il metodo impiegato nella produzione, nel peso molecolare e nella attività specifica. Si raccomanda pertanto di non passare da un marchio all’altro durante il trattamento. 4.5. Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione Associazioni sconsigliate: - Acido acetilsalicilico ed altri salicilati (per via generale): Aumento del rischio di emorragia (inibizione della funzione piastrinica ed aggressione della mucosa gastroduodenale da salicilati). Utilizzare altre sostanze per un effetto antalgico o antipiretico. - FANS (per via generale): Aumento del rischio emorragico (inibizione della funzione piastrinica e aggressione della mucosa gastroduodenale da farmaci antinfiammatori non steroidei). Se non è possibile evitare l’associazione, istituire un'attenta sorveglianza clinica e biologica. - Ticlopidina: Aumento del rischio emorragico (inibizione della funzione piastrinica da ticlopidina). E’ sconsigliata l’associazione a forti dosi di eparina. L’associazione a basse dosi di eparina (eparinoterapia preventiva) richiede un’attenta sorveglianza clinica e biologica. - Altri antiaggreganti piastrinici (clopidogrel, dipiridamolo, sulfinpirazone, ecc.): Aumento del rischio emorragico (inibizione della funzione piastrinica). Associazioni che necessitano di precauzioni d’uso: - Anticoagulanti orali: Potenziamento dell'azione anticoagulante. L’eparina falsa il dosaggio del tasso di protrombina. Al momento della sostituzione dell’eparina con gli anticoagulanti orali: a) rinforzare la sorveglianza clinica; b) per controllare l’effetto degli anticoagulanti orali effettuare il prelievo prima della somministrazione di eparina, nel caso questa sia discontinua o, di preferenza, utilizzare un reattivo non sensibile all’eparina. - Glicocorticoidi (via generale): Aggravamento del rischio emorragico proprio della terapia con glicocorticoidi (mucosa gastrica, fragilità vascolare) a dosi elevate o in trattamento prolungato superiore a dieci giorni. L’associazione deve essere giustificata; potenziare la sorveglianza clinica. - Destrano (via parenterale): Aumento del rischio emorragico (inibizione della funzione piastrinica). Adattare la posologia dell’eparina in modo da non superare una ipocoagulabilità superiore a 1,5 volte il valore di riferimento, durante l'associazione e dopo la sospensione di destrano. In caso di somministrazione contemporanea di acido ascorbico, antistaminici, digitale, penicillina e.v., tetracicline o fenotiazine si può avere una inibizione dell’attività del farmaco. 4.6. Gravidanza e allattamento Gli studi nell’animale non hanno evidenziato alcuna attività teratogena o embriotossica, tuttavia non vi sono dati conclusivi sul passaggio della barriera placentare e sull’escrezione nel latte materno. Pertanto non essendo escluso il rischio di effetti dannosi a carico del feto e/o del lattante a seguito di assunzione/somministrazione di PARNAPARIN, l’uso di FLUXUM in gravidanza e/o nell’allattamento è da riservare, a giudizio del medico, ai casi di assoluta necessità. 4.7. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari L’uso clinico di FLUXUM protratto anche per molti mesi non ha mai influenzato lo stato di vigilanza in tal senso. 4.8. Effetti indesiderati Manifestazioni emorragiche di entità limitata e prevalentemente legate a preesistenti fattori di rischio, quali lesioni organiche con tendenza emorragica, oppure ad effetti iatrogeni (vedere anche 4.3 e 4.5). Rari casi di trombocitopenia, a volte gravi (vedere anche 4.4). Rari casi di necrosi cutanea, generalmente localizzata nel punto di iniezione, osservati sia con le eparine classiche che con quelle a basso peso molecolare. Questi fenomeni sono preceduti dalla comparsa di porpora o di placche eritematose, infiltrate e doloranti, con o senza sintomi generali. In questi casi è necessario sospendere immediatamente il trattamento. Eccezionalmente lievi ematomi nel punto di iniezione. Rare manifestazioni di allergia cutanea o generale. Aumento delle transaminasi. Molto raramente sono stati riportati casi di ematomi spinali o epidurali in associazione con l’uso profilattico dell’eparina nel corso di anestesia spinale o peridurale o di puntura lombare. Gli ematomi hanno causato diversi gradi di alterazione neurologica compresa paralisi prolungata o permanente (vedere anche 4.4). 4.9. Sovradosaggio La particolare confezione in cui viene presentato il prodotto rende improbabile il sovradosaggio; tuttavia nel caso esso si verifichi accidentalmente, possono manifestarsi effetti legati all'attività anticoagulante (sanguinamento), normalmente non presenti alle dosi terapeutiche. Questi effetti possono essere neutralizzati mediante la somministrazione e.v. di solfato di protamina; sono necessari 0,6 ml di solfato di protamina per inibire 0,1 ml di FLUXUM. 5. PROPRIETA’ FARMACOLOGICHE: 5.1. Proprietà farmacodinamiche: FLUXUM (Parnaparin) è un glicosaminoglicano di basso peso molecolare (valore medio 4.500 Daltons) ottenuto mediante un processo originale e brevettato di frammentazione e purificazione dell'eparina. Categoria farmacoterapeutica: Antitrombotici eparinici - Codice ATC: B01AB07. Meccanismo d’azione/effetti farmacodinamici: FLUXUM è un farmaco antitrombotico dotato di azione rapida e prolungata, attivo nella terapia della malattia tromboembolica.

FLUXUM, diversamente dall'eparina, possiede la proprietà di dissociare l’attività antitrombotica da quella anticoagulante. Infatti il rapporto fra l’attività antitrombotica, misurata dal dosaggio del fattore X attivato, e l’attività anticoagulante, rappresentata dai valori di aPTT e TT, risulta, sempre nei confronti dell’eparina, superiore a 4; tale rapporto può essere considerato indice terapeutico o di sicurezza. FLUXUM, a differenza dell'eparina, non possiede attività pro-aggregante piastrinica. 5.2. Proprietà farmacocinetiche: FLUXUM, dopo somministrazione sottocutanea, presenta il picco plasmatico di massima attività anti-Xa mediamente alla 3a ora ed una emivita plasmatica di circa 6 ore; l’attività antiXa persiste nel plasma circa 20 ore dopo unica somministrazione, tali caratteristiche rendono possibile la monosomministrazione giornaliera. FLUXUM si distribuisce prevalentemente nel sangue, ove esercita la propria azione, ed è probabilmente soggetto al fenomeno della scomparsa per uptake endoteliale e/o transendoteliale come l’eparina. Ha un metabolismo epatico e renale e viene escreto per via urinaria. 5.3. Dati preclinici di sicurezza: Somministrazioni di parnaparina sodica nel ratto e nel cane, ripetute fino a 6 mesi, sono state ben tollerate; non è stato evidenziato nessun effetto organo-specifico, e le uniche alterazioni osservate sono legate alle proprietà farmacologiche del prodotto. Studi sulla funzione riproduttiva e sulla tossicità fetale nel coniglio e nel ratto, condotti alle dosi più alte impiegate negli studi di tossicità per somministrazioni ripetute, non hanno evidenziato alcun effetto nocivo a carico delle madri e dei feti oltreché dei neonati; non si è osservata alcuna modificazione della fertilità delle specie valutate. Il prodotto non è risultato mutageno in test condotti sia in vitro sia in vivo; inoltre, in base alla sua struttura chimica ed ai risultati degli studi di tossicità per somministrazioni ripetute e di mutagenesi, si esclude che possa avere un potere cancerogeno. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE: 6.1. Elenco degli eccipienti: Acqua per preparazioni iniettabili. 6.2. Incompatibilità: FLUXUM essendo un polisaccaride acido, se somministrato in associazione estemporanea può reagire complessandosi con tutte le sostanze basiche. Le sostanze di uso comune incompatibili con FLUXUM, per esempio le associazioni estemporanee per fleboclisi, sono: vitamina K, vitamine del complesso B, idrocortisone, jaluronidasi, gluconato di Ca, sali di ammonio quaternari, cloramfenicolo, tetraciclina e tutti gli aminoglicosidi. 6.3. Periodo di validità: 3 anni. La data di scadenza indicata si riferisce al prodotto in confezionamento integro, correttamente conservato. 6.4. Speciali precauzioni per la conservazione: FLUXUM 3.200 U.I. AXA - FLUXUM 4.250 U.I. AXA - FLUXUM 6.400 U.I. AXA - FLUXUM 8.500 U.I. AXA: Non conservare al di sopra di 30°C. FLUXUM 12.800 U.I. AXA: Nessuna speciale precauzione per la conservazione. 6.5. Natura e contenuto del contenitore: - FLUXUM 3.200 U.I. AXA soluzione iniettabile per uso sottocutaneo Astuccio di cartone litografato contenente 6 siringhe preriempite in vetro neutro inserite in adatto cassonetto di polistirolo. - FLUXUM 4.250 U.I. AXA soluzione iniettabile per uso sottocutaneo Astuccio di cartone litografato contenente 6 siringhe preriempite in vetro neutro inserite in adatto cassonetto di polistirolo. - FLUXUM 6.400 U.I. AXA soluzione iniettabile per uso sottocutaneo Astuccio di cartone litografato contenente 6 siringhe preriempite in vetro neutro inserite in adatto cassonetto di polistirolo. - FLUXUM 8.500 U.I. AXA soluzione iniettabile per uso sottocutaneo Astuccio di cartone litografato contenente 2 siringhe preriempite in vetro neutro inserite in adatto cassonetto di polistirolo. - FLUXUM 8.500 U.I. AXA soluzione iniettabile per uso sottocutaneo Astuccio di cartone litografato contenente 6 siringhe preriempite in vetro neutro inserite in adatto cassonetto di polistirolo. - FLUXUM 12.800 U.I. AXA soluzione iniettabile per uso sottocutaneo Astuccio di cartone litografato contenente 2 siringhe preriempite in vetro neutro inserite in adatto cassonetto di polistirolo. 6.6. Istruzioni per l’uso: Vale quanto riportato ai paragrafi precedenti. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO: ALFA WASSERMANN S.p.A. Sede legale: Via E. Fermi, n. 1 - Alanno (PE) Sede amministrativa: Via Ragazzi del ‘99, n. 5 - Bologna 8. NUMERI DELLE AUTORIZZAZIONI ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO: 6 siringhe preriempite 0,3 ml: A.I.C. n° 026270076 6 siringhe preriempite 0,4 ml: A.I.C. n° 026270088 6 siringhe preriempite 0,6 ml: A.I.C. n° 026270090 2 siringhe preriempite 0,8 ml: A.I.C. n° 026270114 6 siringhe preriempite 0,8 ml: A.I.C. n° 026270126 2 siringhe preriempite 1,2 ml: A.I.C. n° 026270102 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE / RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE: 16/2/1993 - 16/2/2003 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO: Settembre 2007. Medicinale soggetto a prescrizione medica 6 sir 0,3 ml 3.200 UI Prezzo € 18,56 Classe A (h-t) 6 sir 0,4 ml 4.250 UI Prezzo € 24,76 Classe A (h-t) 6 sir 0,6 ml 6.400 UI Prezzo € 32,94 Classe A (h-t) 6 sir 0,8 ml 8.500 UI Prezzo € 43,74 Classe A (h-t)


cod. 01812675


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