Riflessioni Universo Pediatria - n°2 Giugno 2008

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TRIMESTRALE A CARATTERE SCIENTIFICO Anno III, N. 2 - Giugno 2008

Un bambino di tre anni con disfagia

Una pitiriasi rosea …viola!

Queste sono le immagini dell’esofagogramma. Che cosa notate?

C., 8 anni, ci viene inviata per la comparsa di chiazze eritematose di forma ovalare con desquamazione centrale .....

Uno strano caso di cefalea e calo del visus Mario A. è un bel bambino di 3 anni che giunge alla nostra osservazione in ambulatorio per cefalea, diplopia e deficit dell’acuità visiva

Cheratocongiuntivite Vernal: trattamento con ciclosporina collirio La cheratocongiuntivite Vernal (VKC) è una malattia oculare dell’età pediatrica con esordio intorno alla prima decade di vita .....

Sicurezza dell’ibuprofene nel trattamento della febbre del bambino Il Boston University Fever Study Lo studio noto come Boston University Fever study è stato condotto in maniera randomizzata .....

Sicurezza dell’ibuprofene e del paracetamolo nel bambino di meno di due anni Lo studio è stato condotto dallo Slone Epidemiology Unit, Boston University School of Medicine, Brookline, Massachussetts, .....

Edizione


Presentazione

Universo

ia r t a i Ped

Anno III, N. 2 Giugno 2008 Periodico trimestrale a carattere scientifico Registrazione Tribunale di Milano n. 607 del 02/10/2006 Editore SINERGIE S.r.l. Sede legale: Corso Italia, 1 - 20122 Milano Sede operativa: Via la Spezia, 1 - 20143 Milano Tel./Fax 02 58118054 E-mail: sinergie.milano@virgilio.it Direttore responsabile Mauro Rissa Redazione Sinergie S.r.l.

Questo numero di Riflessioni, si apre come sempre, con un caso per immagini di dermatologia. Una bambina di otto anni viene inviata perché presenta chiazze eritematose con desquamazione centrale. La localizzazione delle lesioni, prevalenti al tronco, fanno pensare a una possibile pitiriasi rosea di Gibert, esantema benigno che tende ad esaurirsi lentamente nel giro di poche settimane. Invece..... Segue il caso di un bambino di tre anni visitato per cefalea, sintomo non raro in pediatria, spesso di difficile interpretazione. Ma questa volta il caso è complicato da una anamnesi patologica complessa e da

Coordinatori e consulenti scientifici Baroukh Maurice Assael Direttore Centro Fibrosi Cistica Regione Veneto - Verona

un’obiettività neurologica preoccupante...

Milena Bray Pediatra

affrontare un problema meno frequente e di recente

Impaginazione Sinergie S.r.l.

Abbiamo poi ritenuto interessante per il pediatra inquadramento che ci da occasione di parlare di un farmaco come la ciclosporina che trova sempre più

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applicazioni in patologie specialistiche.

Tiratura 10.000 copie

La nostra rubrica di farmacoterapia, come sempre dedicata al trattamento di sintomi comuni nella prati-

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ca ambulatoriale. Sono presentati dati sulla terapia della febbre, relativi alla sicurezza dei farmaci antipiretici. Infine, i casi clinici proseguono con un piccolo quiz per

Sommario 3 4 6

poraneamente disfagia (sintomo prevalente) accompagnata da sintomi respiratori.

Una pitiriasi rosea …viola! Uno strano caso di cefalea e calo del visus Cheratocongiuntivite Vernal: trattamento con ciclosporina collirio

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Sicurezza dell’ibuprofene nel trattamento della febbre del bambino

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Sicurezza dell’ibuprofene e del paracetamolo nel bambino di meno di due anni

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immagine relativo a un bambino che presenta contem-

Un bambino di tre anni con disfagia

La redazione


Una pitiriasi rosea …viola! C., 8 anni, ci viene inviata per la comparsa di chiazze eritematose di forma ovalare con desquamazione centrale che interessano prevalentemente il tronco e che quindi suggeriscono la diagnosi di Pitiriasi rosea di Gibert, esantema benigno che tende ad esaurirsi lentamente nel giro di 6-8 settimane a cura di Carlo Gelmetti, Laura Maffeis Istituto di Scienze Dermatologiche dell’Università di Milano Fondazione “Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena” di Milano A distanza di due mesi, invece, la malattia non è guarita e la paziente torna da noi. Le lesioni più recenti sono nel complesso polimorfe, di colorito rosso-violaceo, distribuite su tutta la superficie cutanea, anche alle estremità ed accompagnate da intenso prurito. La paziente lamenta inoltre tosse, in assenza di un rialzo febbrile. Ad un’ispezione più attenta, le papule appaiono essere poligonali, a superficie liscia e piatta, coperte da un reticolo di sottili linee bianche. (Fig. 1). E’ presente un interessamento palmo-plantare, con placche ipercheratosiche che mostrano una sfumatura giallastra. Il quadro clinico è tipico di lichen planus, entità piuttosto rara nei bambini, ma le cui caratteristiche sono del tutto sovrapponibili con la forma degli adulti. In età infantile, la forma d’esordio più frequente è quella

eruttiva, come nella nostra paziente. Sempre nei bambini, il coinvolgimento delle mucose e delle unghie è poco comune. Nel nostro caso, l’ipercheratosi plantare avrebbe potuto ricordare una pitiriasi rubra pilare, mentre la storia clinica, considerata anche l’esistenza di una familiarità per psoriasi, avrebbe potuto orientare verso una psoriasi guttata. Ma le lesioni della nostra paziente alla seconda visita lasciavano pochi dubbi. Il lichen planus è causato da un’alterazione dell’immunità cellulo-mediata favorita da geni predisponenti (es. aplotipo HLA) e scatenata da agenti infettivi, patologie autoimmuni (come la cirrosi biliare primitiva e l’epatite cronica attiva), alcuni farmaci (antiepilettici, antimalarici, antiaritmici, FANS, antibiotici, sali d’oro), una sensibilizzazione da contatto e radiazioni solari. Nella nostra

paziente gli esami ematologici di routine, i tamponi faringeo e nasale, la sierologia per HCV, HAV, HBV, toxo, CMV, erano negativi. Vi erano segni di pregressa infezione non recente da HSV 1, HSV2, HHV8, HHV6, EBV, Parvovirus e Mycoplasma. Sebbene nei bambini la risoluzione della dermatosi possa essere spontanea e gli esiti cicatriziali o atrofici siano meno frequenti rispetto agli adulti, nella nostra paziente, l’esteso coinvolgimento cutaneo e l’intensa sintomatologia pruriginosa ponevano l’indicazione per un trattamento sintomatico (steroide e idrossizina per os per 5 settimane a scalare abbinato ad uno steroide topico per due settimane). Tale terapia portava un pronto sollievo della sintomatologia soggettiva ed una notevole riduzione delle lesioni dermatologiche (Fig. 2).

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Uno strano caso di cefalea e calo del visus Mario A. è un bel bambino di 3 anni che giunge alla nostra osservazione in ambulatorio per cefalea, diplopia e deficit dell’acuità visiva Dr. Paolo Manzoni, Dr. Elena Gallo Neonatologia Ospedale Sant’Anna - Torino All’anamnesi patologica remota risulta nato a termine da parto spontaneo con decorso neonatale regolare; il bimbo è funzionalmente portatore di monorene dalla nascita per la presenza di un rene multicistico, in seguito alla quale all’età di 10 mesi viene posta diagnosi di sindrome nefrosica corticodipendente da glomerulonefrite a lesioni minime. Da allora Mario è in terapia con prednisone al quale è stata associata ciclosporina da un anno. Circa due mesi prima della nostra visita viene scalata e infine sospesa la terapia cortisonica vista la remissione della sindrome nefrosica e viene proseguita ciclosporina per os. Più o meno dalla stessa data il bambino inizia a presentare episodi di incubi notturni, insonnia e stato ansioso. Su consiglio del nefrologo curante inizia terapia sostitutiva con cortone acetato (1-2 mg/kg/die). Dopo altri 15 giorni compaiono cefalea e disturbi visivi per cui M.A viene condotto in DEA per accertamenti e da qui, vista la rilevanza della sintomatologia e la patologia di base, ricoverato per accertamenti. All’esame obiettivo all’ingresso il bambino si presenta in buone condizioni generali, peso 18 kg, apirettico, pressione sanguigna borderline (105/60 mmHg), apparato respi-

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ratorio nella norma con frequenza respiratoria 30 atti/minuto, all’auscultazione cardiaca presenza di toni validi ritmici, pause libere, frequenza cardiaca 90 battiti/minuto; addome trattabile, organi ipocondriaci in limiti; faringe roseo, otoscopia nella norma, esame neurologico negativo ad eccezione di un’importante calo della vista associato a diplopia e cefalea; non segni di irritazione meningea, paziente vigile e orientato, collaborante durante la visita. In tale occasione vengono effettuate TC encefalo per escludere un’eventuale lesione intracranica e visita NPI, entrambe nella norma. Viene inoltre eseguita visita oculistica che evidenzia importante papilledema florido bilaterale con vasi congesti e tortuosi, emorragie peripapillari e paralisi del nervo abducente di destra con grave deficit dell’acuità visiva (ODV 3-4 /10, OSV 2/10 per lontano). Gli esami ematochimici risultano nella norma ad eccezione della creatinina (1,28 mg/dl) e dell’ACTH (68 pg/m; valori normali 8-53 pg/ml). Il primo giorno di ricovero, nel sospetto di una trombosi del seno cavernoso, viene immediatamente eseguita RMN e angio-RMN encefalica entrambe risultate nella norma. Viene quindi posto il sospetto diagnostico di pseudotumor cerebri a

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causa dell’assenza di lesioni o masse intracraniche e viene iniziata terapia cortisonica con desametasone ev (2 mg x 2/die), diuretica con acetazolamide per os (90 mg x 2/die) e sostitutiva con sali di potassio per os su indicazione dei consulenti neurochirurgo e oculista. La terapia con ciclosporina viene ridotta da 35 mg/die a 26 mg/die a causa dei suoi potenziali effetti neurotossici. Durante il ricovero, vista la persistenza del papilledema e del deficit di acuità visiva, viene effettuata rachicentesi con fuoriuscita di 10 cc di liquor limpido sotto tensione. Tale procedura viene ripetuta due giorni dopo (30 cc di liquor limpido) e una settimana dopo la seconda puntura lombare (altri 15 cc di liquor limpido) con miglioramento soggettivo della sintomatologia visiva. L’esame chimico-fisico e colturale del liquor prelevato risulta nella norma. A questo punto, il sospetto diagnostico di pseudotumor cerebri secondario alla sospensione della terapia cortisonica viene vieppiu’ corroborato. Durante la degenza il desametazone viene progressivamente scalato in concomitanza con il miglioramento della sintomatologia soggettiva del paziente e la riduzione del papilledema ai controlli oculistici; inoltre, la dose di ciclosporina viene ridotta ulteriormente senza


che si presenti una riacutizzazione della sindrome nefrosica. Il bambino presenta completa remissione con parametri laboratoristici nella norma (creatinina < 1 mg/dl ed esame urine normale). Alla dimissione, il quadro oculistico evidenzia un sostanziale miglioramento dell’acuità visiva (ODV 8/10; OSV 7-8/10) con persistenza del papilledema e normalizzazione della componente vascolare (vasi lievemente tortuosi ma non più congesti). Per tale motivo, a domicilio, viene proseguita terapia con acetazolomide, desametasone e ciclosporina per os. La terapia cortisonica viene gradualmente ridotta nell’arco di tre mesi. Ai successivi controlli clinici e oculistici post-ricovero, effettuati ogni 2 settimane, e durante il follow-up, il papilledema si riduce progressivamente fino a completa risoluzione. DISCUSSIONE Lo pseudotumor cerebri (PTC) è una patologia rara durante l’infanzia caratterizzata da aumento della pressione endocranica non sostenuta da patologie espansive, aumentata pressione del liquor (>20 cm H2O) e normale composizione del liquor stesso. Viene anche definita come ipertensione intracranica idiopatica. L’incidenza riportata in letteratura nella popolazione generale è di 0,9 casi/100.000 individui, in età pediatrica è ancora più rara. Lo pseudotumor cerebri può essere dovuto a cause specifiche ma può essere anche idiopatico; alcuni farmaci quali antibiotici, cortisonici e la ciclosporina sono stati identificati come agenti causali di PTC in particolare nei bambini. La patogenesi risulta tuttora sconosciuta. Sono state formulate diverse teorie quali aumentata produzione, ridotto riassorbimento o ostacolo al deflusso del liquor, alterazione dei processi emodinamici cerebrali e aumentata permeabilità dei capillari cerebrali. In età pediatrica il papilledema può essere determinato da numerose patologie quali neoplasie cerebrali, idrocefalo, trombosi dei seni venosi e necessita di un approccio multidisciplinare. In tutti i casi in cui non si riscontra un processo espansivo intracranico lo psudotumor cerebri va tenuto in

considerazione come diagnosi differenziale. Le cause di pseudotumor cerebri sono numerose e includono: alterazioni endocrine e metaboliche (ipoparatiroidismo, pseudoipoparatiroidismo, morbo di Addison, galattosemia, obesità, menarca), disordini autoimmuni, infezioni (GrillaneBarrè, mastoidite, otiti croniche), alterazioni ematologiche (anemia emolitica o sideropenica, policitemia, sindrome di Wiskott-Aldrich), trombosi dei vasi intracranici, traumi cranici e anche assunzione di farmaci quali vitamina A/D, alcuni antibiotici, litio, ciclosporina e corticosteroidi. La sintomatologia d’esordio è caratterizzata da cefalea esacerbata da manovre che aumentano la pressione intracranica (tosse, starnuto…), dolore al collo, vomito, diplopia (da paralisi del VI nervo cranico), tinniti, vertigini, nistagmo e riduzione del visus. I lattanti possono presentare irritabilità, fontanella anteriore bombèe e occhi a “sole calante”. Nei bambini spesso l’aumento della pressione intracranica può essere inizialmente asintomatico; l’elevazione cronica della pressione liquorale determina edema della papilla ottica. Il papilledema può essere mono o bilaterale e se non diagnosticato determina progressivo calo del visus fino all’atrofia del nervo ottico. Il riscontro di emorragie peripapillari, infarti delle fibre del nervo ottico o di pallore del disco ottico sono segni di danno severo del nervo. La risonanza magnetica (MR) e la tomografia computerizzata (TC) sono estremamente importanti per escludere la presenza di una lesione intracranica; nei casi di sospetta trombosi venosa o shunt artero venosi viene effettuata la risonanza magnetica angiografica intracranica o nel caso non fosse disponibile l’angiografia cerebrale convenzionale. Nel caso in cui le indagini neuroradiologiche fossero negative può essere eseguita la puntura lombare per valutare la pressione intracranica e la presenza di eventuali infezioni o neoplasie mediante coltura del liquor. Tale manovra può essere di per se stessa terapeutica in quanto, prelevando liquor, si determina una riduzione della pressione intracranica. Purtroppo è una manovra dolorosa, che richiede abilità nell’esecuzione e potenzialmente pericolosa per il rischio di infezioni, erniazione

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delle tonsille cerebrali, radicoliti o aracnoiditi. La terapia medica si basa sulla somministrazione di acetazolamide che inibisce a livello cellulare l’anidrasi carbonica con conseguente ridotta produzione di liquor a livello dei plessi coroidei. Nel caso in cui il farmaco non sia tollerato o risulti poco efficace si sostituisce o si associa furosemide + potassio. In tutti i casi devono sempre essere effettuati controlli emogasanalitici ed elettrolitici per il rischio di acidosi e ipokaliemia. Negli ultimi anni è stato proposto come farmaco per l’ipertensione endocranica il topiramato ma sono necessari ulteriori studi che confermino la sua efficacia. Nei pazienti che presentano cefalea intensa, importante papilledema e ipertensione intracranica severa possono essere utilizzati i corticosteroidi per trattamenti brevi. La sospensione brusca del cortisonico potrebbe causare un aumento “rebound” della pressione intracranica per cui la terapia deve essere scalata lentamente. In alcuni casi la terapia medica fallisce per cui si deve intervenire chirurgicamente. Le strategie chirurgiche più comunemente utilizzate sono due: lo shunt lombo-peritoneale nei casi in cui la cefalea rappresenta il sintomo predominante e la decompressione del nervo ottico mediante incisione della guaina del nervo (ONSF) quando prevalgono i disturbi visivi. Il nostro paziente presentava tre fattori di rischio per PTC: l’assunzione di ciclosporina per la sindrome nefrosica, la sospensione improvvisa dei cortisonici, e l'obesità. Tutte le indagini strumentali erano risultate negative e tutte le altre cause di ipertensione endocranica quali malattie sistemiche, infezioni virali o batteriche erano state escluse. Il liquor risultava normale mentre erano presenti segni clinici di ipertensione endocranica. La nostra ipotesi, rivedendo tutta la storia clinica, è che effettivamente lo pseudotumor cerebri in questo bambino sia stato causato dalla sospensione della terapia cortisonica in quanto i sintomi neurologici sono comparsi proprio in coincidenza della sospensione della terapia. L’acuità visiva è migliorata dopo il trattamento medico con acetazolamide e cortisonici e dopo l’esecuzione di punture lombari seriate.

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Cheratocongiuntivite Vernal: trattamento con ciclosporina collirio La cheratocongiuntivite Vernal (VKC) è una malattia oculare dell’età pediatrica con esordio intorno alla prima decade di vita ed una risoluzione spontanea nella maggioranza dei casi verso la fine della seconda decade di età1 Laura Spadavecchia*, Pietro Fanelli*, Riccardina Tesse*, Giovanna Rizzo **, Ugo Procoli **, Mario Bellizzi ** e Lucio Armenio* * Dipartimento di Biomedicina Dell’Età Evolutiva, Clinica Pediatrica “S. Maggiore” Università degli Studi di Bari ** Dipartimento di Oftalmologia e Otorinolaringoiatria, Clinica Oculistica II Università degli Studi di Bari

PREMESSE E’ una patologia emergente, si calcola che in Italia vi siano circa 5000 pazienti affetti, con una maggiore prevalenza nei soggetti di sesso maschile, ed è una condizione clinica importante che può comportare, se pur raramente, esiti sfavorevoli permanenti a livello oculare. E’ diffusa prevalentemente in regioni dal clima caldo e temperato come il Bacino del Mediterraneo, la Penisola Arabica, il Pakistan, l’India ed alcuni Stati dell'Africa Equatoriale1. Le manifestazioni cliniche della VKC hanno carattere stagionale, infatti iniziano a primavera e si protraggono fino all’autunno. Nella VKC si distinguono tre forme cliniche: tarsale, limbare e mista che differiscono per la localizzazione dei segni e per il diverso coinvolgimento corneale. Nella forma tarsale sono patognonomiche le

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papille giganti ad “acciottolato” (Fig. 1 A), mentre nella forma limbare sono caratteristici gli infiltrati gelatinosi multipli accompagnati a concrezioni di aspetto calcareo puntiformi all’apice, i cosìdetti punti di Trantas1 (Fig. 2 A). L’eziopatogenesi é ancora in gran parte sconosciuta. A sostegno di una patogenesi di tipo T helper(h)2 è il riscontro di elevati livelli di Th2 nelle lacrime e nei campioni bioptici congiuntivali2-4, e di Interleuchina (IL)-5 e proteina cationica degli eosinofili (ECP) nel

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secreto lacrimale5,6. Comunque il rapporto con l’atopia e la sensibilizzazione IgE é controverso. In una nostra casistica recentemente pubblicata solo il 50% dei soggetti con VKC presentava IgE specifiche per i comuni allergeni7. Pucci e coll. inoltre hanno documentato un diverso livello di sensibilizzazione IgE specifica nelle forme a localizzazione limbare piuttosto che tarsali8. Tuttavia il meccanismo IgE-mediato non spiegherebbe completamente la severità e il decorso clinico della malattia che

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sembrerebbero essere condizionate anche da risposte cellulomediate. Nel 2006 la Società Internazionale delle Malattie Infiammatorie Oculari ha proposto infatti la suddivisione delle VKC in forme IgE mediate e non-IgEmediate. Recentemente Leonardi e coll. hanno suggerito un ruolo delle cellule dendritiche in questa malattia, proponendo la attivazione diretta di cellule dendritiche dotate di recettori ad alta affinità per le IgE, come meccanismo alternativo capace di innescare la flogosi allergica in pazienti con o senza evidenza di sensibilizzazione IgE-mediata9. Il ruolo della immunità innata nella patogenesi della VKC è stato anche proposto da un altro gruppo di studio italiano che ha documentato un aumento degli infiltrati di cellule Natural Killer nel secreto congiuntivale e una riduzione delle stesse cellule nel sangue nei pazienti con questa malattia rispetto ai soggetti sani10. Altre indagini dimostrerebbero una ridotta attività enzimatica (istaminasi), geneticamente determinata, nei pazienti con VKC11. A supporto della base genetica della VKC vi sono due osservazioni. La prima è che esiste una diversa distribuzione etnica della malattia: la prevalenza di VKC nella popolazione svedese, ad esempio, sarebbe infatti 10 volte inferiore rispetto a quella di origine africana12; la seconda è che nei campioni di citologia congiuntivale di pazienti con VKC sono più significativamente rappresentate cellule HLADR positive rispetto ai soggetti sani2. La diagnosi differenziale va fatta principalmente con la congiuntivite allergica, stagionale o perenne, che è generalmente associata a ipersensibilità IgE-mediata ad aeroallergeni, elevati livelli sierici di IgE, e altre malattie allergiche, quali l'asma e la rinite13. La sintomatologia della congiuntivite allergica è meno grave della VKC, difficilmente porta a complicanze oculari, si giova delle terapie antiallergiche generali e topiche e della profilassi ambientale. La positività dei tests cutanei e sierici, i tests di provocazione congiuntivali, la correlazione delle conte

polliniche con il periodo e l’intensità dei sintomi ne rendono agevole la diagnosi13. Da un punto di vista sintomatologico la VKC è una grave forma di congiuntivite caratterizzata da iperemia congiuntivale, prurito oculare, fotofobia, lacrimazione, sensazione di corpo estraneo, secrezione mucosa, ipertrofia papillare (spesso causa di ptosi palpebrale), papille tarsali e lombari. Possibili complicazioni della malattia sono la neovascolarizzazione corneale e la cheratite puntata superficiale che può evolvere in ulcera corneale. Esiti con danni permanenti al visus sono riportati dall’8 al 47% dei casi, dovuti sia alla malattia (esiti cicatriziali di ulcere corneali, vizi di rifrazione, cheratocono) sia all'impiego di cortisonici topici per lunghi periodi (cataratta, glaucoma)1. Spesso i bambini affetti sono costretti a vivere praticamente al buio, senza poter svolgere le normali attività dei loro coetanei. Il continuo sfregamento delle palpebre favorisce la degranulazione dei mastociti e, quindi, il prurito e l’infiammazione, conducendo spesso alla sovrapposizione batterica. Il frequente senso di corpo estraneo è dovuto alla irregolarità della superficie congiuntivale ed alla secrezione mucosa; il dolore è invece indice di compromissione corneale. L’interessamento corneale può essere presente in tutte le forme di VKC, come cheratite puntata superficiale, mentre le ulcere corneali sono più frequenti nella forma tarsale. Il danno epiteliale corneale è da imputarsi alla degranulazione degli eosinofili attivati e all’effetto tossico delle proteine basiche maggiori (MBP) e dell'ECP5,14,15. Gli eosinofili sono infatti il reperto costante e l'elemento cellulare predominante (fino all’80%) della citologia congiuntivale e lacrimale in fase di attività, insieme ai basofili. La flogosi cronica congiuntivale nella VKC è stata assimilata al rimodellamento osservato nella flogosi allergica, in particolare nella infiammazione bronchiale dell’asma. La terapia delle forme lievi e medie è basata sull’uso di colliri

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antistaminici, inibitori della degranulazione dei mastociti e di antinfiammatori non steroidei; nelle forme gravi si ricorre a corticosteroidi anche per via sistemica e, più recentemente, a colliri a base di ciclosporina 2%16-19. Nello studio recentemente pubblicato dal nostro gruppo di lavoro è stata confrontata l’efficacia clinica e biologica dell’impiego di un collirio in preparazione galenica a base di ciclosporina all’1,25% e all’1% in soluzione, in 52 bambini affetti da VKC severa, non rispondente ad altre terapie7. Obiettivo del presente lavoro è stato verificare in una casistica ampliata di bambini affetti da VKC l’efficacia del trattamento oculare con la concentrazione minima di ciclosporina 1% e di identificare eventuali fattori prognostici della malattia nella popolazione oggetto di studio. LA NOSTRA ESPERIENZA Da Aprile 2004 a Dicembre 2007 sono stati arruolati nello studio 197 bambini (126 maschi e 71 femmine, range di età 5-14 anni) affetti da VKC grave, pervenuti da diverse regioni dell’Italia Meridionale, presso il Centro di Immunoallergologia della Clinica Pediatrica “Salvatore Maggiore” dell’Università di Bari. I pazienti reclutati hanno ricevuto in trial aperto ciclosporina 1% (Sandimmun®, preparazione galenica, in veicolo acquoso), alla dose di una goccia per occhio, quattro volte al giorno, per 4 mesi, e la maggior parte di loro ha ricevuto più cicli di trattamento farmacologico topico nel corso degli anni. Solo 7 pazienti con ulcere corneali hanno fatto ricorso ad un collirio concentrato al 2%. Un consenso informato è stato ottenuto dai genitori dei bambini che hanno partecipato allo studio. La ricerca è stata approvata dal Comitato Etico locale. La diagnosi di VKC è stata posta in base alla valutazione di un diarioscore sintomatologico (SS) compilato dai genitori dei piccoli, e di un diario-score obiettivo (SO) compilato dall’oculista, ciascuno con un punteggio da 0 “assente” a 2 “severo”, in base alla presenza ed alla gravità dei sintomi e segni sog-

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gettivi ed oggettivi quali: prurito oculare, sensazione di corpo estraneo, fotofobia, iperemia congiuntivale, lacrimazione, ipertrofia papillare, papille limbari e tarsali, ulcere corneali, neovascolarizzazione. I bambini erano considerati affetti da una forma grave di VKC se lo score era ≥ 3 punti per occhio, in ciascun diario. L’iter diagnostico è stato completato con la raccolta di dati anamnestici personali e familiari, la esecuzione di prick tests per comuni inalanti e il dosaggio sierico delle IgE totali e della ciclosporinemia. Sono stati definiti atopici i pazienti con prick-positività per almeno un aeroallergene e/o con livelli ematici di IgE ≥ 100kU/l. Ciascun paziente è stato rivalutato a due settimane e a quattro mesi dal trattamento, attraverso la determinazione degli scores, la visita oculistica completata con la fotografia del segmento anteriore dell’occhio, la conta delle cellule endoteliali della cornea attraverso l’uso di un microscopio speculare (Konan Noncon Specular Microscope SP/9000, Hyogo, Giappone). Dall’analisi degli scores si è osservato che già nelle prime due settimane di trattamento si era verificato un netto miglioramento della situazione oculare dei bambini rispetto all’epoca dell'arruolamento [SS (media ± DS): 2.5±1.7 vs 5.0±2.1, p<0.001; SO (media ± DS): 1.7±1.6 vs 4.1±1.6, p<0.001], sino alla quasi completa remissione clinica della malattia a 4 mesi [SS: 0.4±0.7 vs 5.0±2.1, p<0.001; SO: 0.2±0.5 vs 4.1±1.6, p<0.001]. Sul totale dei pazienti arruolati, 94 (48%) erano atopici; non c’era alcuna differenza nella media dei due scores nei bambini atopici rispetto ai non allergici. Le forme limbari erano significativamente meno rappresentate rispetto alle tarsali [49 (25%) vs 148 (75%), p<0.001] ed erano associate ad una minore

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percentuale di atopia dei soggetti [39 (41%) vs 55 (59%), p=NS]. Infine 16 (8%) pazienti avevano familiarità per patologie autoimmuni, in particolare celiachia, diabete e psoriasi. Si è inoltre osservato che il miglioramento clinico era più rapido: a) nei bambini in cui era trascorso un minor tempo tra l’inizio dei sintomi e l’impiego della ciclosporina; b) nei bambini con forme limbari rispetto alle tarsali; e c) nei bambini che avevano eseguito più cicli terapeutici successivi. Nella forma tarsale i segni scomparsi più lentamente con la terapia locale sono stati l’iperemia congiuntivale e le papille giganti e/o l’ipertrofia papillare (risultato del rimodellamento dovuto ai mediatori della flogosi cronica palpebrale), (Fig. 1B), mentre nella forma limbare regredivano prontamente, e quasi completamente, dopo terapia, le papille lombari (Fig. 2B), gli infiltrati e la neovascolarizzazione corneale. La ciclosporina nel circolo risultava indosabile in tutti i pazienti. Non sono stati apprezzati effetti collaterali dell’uso del collirio, infatti il numero delle cellule endoteliali della cornea risultava invariato ad ogni controllo oftalmologico. CONCLUSIONI Il nostro studio è unico in letteratura nella presentazione di dati sull’uso in una ampia popolazione Caucasica di un dosaggio molto basso di ciclosporina collirio nel trattamento della VKC severa. Altri autori hanno documentato la possibilità di impiego di collirio con ciclosporina a dosi più alte, in forme di VKC di vario grado di severità o in altre patologie oculari simili alla VKC, come la cheratocongiuntivite atopica20-24. La nostra osservazione principale è stata che la terapia della VKC severa con ciclosporina collirio all'1%

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può essere considerata la più efficace e sicura in età pediatrica, sicuramente preferibile al trattamento con colliri cortisonici per i noti effetti indesiderati, e in grado di diminuire per frequenza e gravità le recidive negli anni successivi. Una concentrazione di ciclosporina superiore fino al 2% può essere riservata nei casi particolarmente gravi e complicati. Già in un nostro precedente studio abbiamo dimostrato in 52 bambini affetti da VKC severa che non vi era differenza in termini di efficacia clinica nell’uso di un collirio a base di ciclosporina all’1,25% e all’1% in soluzione7. Il lavoro attuale inoltre suggerisce in una casistica più ampia che l’esito favorevole della risposta alla terapia sarebbe condizionato dalla tempistica nell’inizio del trattamento rispetto all’esordio clinico della malattia e dall’impiego costante in cicli successivi del collirio a base di ciclosporina. Infine la risposta al trattamento non sarebbe tanto dipendente dalla storia personale di atopia, quanto dalla forma di VKC di cui il soggetto è affetto e dalla familiarità per patologie su base autoimmune. In letteratura sono descritte alcune forme di cheratocongiuntiviti associate a concomitante malattia autoimmune nei pazienti, come la miastenia gravis25. E’ interessante segnalare che la ciclosporinemia effettuata prima e dopo i cicli terapeutici in ciascun bambino è risultata assente, testimoniando quindi che gli effetti clinici ottenuti sono attribuibili ad una azione immunomodulante locale e non sistemica della ciclosporina. Infine si è rilevato che tutti i pazienti hanno tollerato il trattamento e non sono stati segnalati dai loro genitori effetti secondari, fatta eccezione di un transitorio bruciore oculare riferito in alcuni casi all'atto della somministrazione del collirio. RIASSUNTO Introduzione: Colliri a base di cortisone e di ciclosporina ad alte concentrazioni sono stati proposti per il trattamento della cheratocongiuntivite Vernal (VKC) severa in età pediatrica. Obiettivo del nostro lavoro è stato verificare in una ampia casistica di bambini affetti da VKC l’efficacia del tratta-


mento con ciclosporina 1%, e di identificare eventuali fattori condizionanti la risposta alla terapia. Abbiamo arruolato in un trial aperto 197 bambini con VKC severa, i quali hanno ricevuto ciclosporina topica all’1% per 4 mesi. Sono stati determinati due scorad oculistici, uno oggettivo e l’altro soggettivo, all’ingresso dello studio, dopo 2 settimane e dopo 4 mesi. I pazienti sono stati sottoposti a skin prick tests e all’analisi microscopica delle cellule endoteliali corneali; sono stati anche determinati i loro valori sierici di IgE totali e di ciclosporinemia. Il valore medio degli scores di severità dei sintomi soggettivi e dei segni oggettivi oculari risultava significativamente ridotto in tutti i bambini dopo 2 settimane e dopo 4 mesi di trattamento rispetto all’ingresso (p<0.001). Non sono stati trovati livelli di ciclosporinemia nel sangue dei pazienti, nè le loro cellule corneali risultavano alterate. I soggetti che hanno iniziato precocemente la terapia, rispetto all’esordio della malattia, e/o che avevano eseguito più cicli terapeutici mostravano un miglioramento sensibile rispetto a tutti gli altri pazienti. I nostri dati suggeriscono che l'uso topico di ciclosporina 1% per periodi successivi di trattamento costituisce la terapia più efficace nel controllo dei sintomi e dell’infiammazione locale nella VKC severa dell’età pediatrica. BIBLIOGRAFIA 1. Bonini S, Coassin M, Aronni S, Lambiase A. Vernal keratoconjunctivitis. Eye 2004;18(4):345-51. 2. Baudouin C, Liang H, BremondGignac D, Hamard P, Hreiche R, Creuzot-Garcher C, et al. CCR 4 and CCR 5 expression in conjunctival specimens as differential markers of T(H)1/ T(H)2 in ocular surface disorders. J Allergy Clin Immunol 2005;116(3):614-9. 3. Leonardi A, DeFranchis G, Zancanaro F, Crivellari G, De Paoli M, Plebani M, et al. Identification of local Th2 and Th0 lymphocytes in vernal conjunctivitis by cytokine flow cytometry. Invest Ophthalmol Vis Sci. 1999;40(12):3036-40. 4. Anderson DF, Zhang S, Bradding

P, McGill JI, Holgate ST, Roche WR. The relative contribution of mast cell subsets to conjunctival TH2-like cytokines. Invest Ophthalmol Vis Sci. 2001;42(5):995-1001. 5. Leonardi A, Borghesan F, Faggian D, Secchi A, Plebani M. Eosinophil cationic protein in tears of normal subjects and patients affected by vernal keratoconjunctivitis. Allergy 1995;50(7):610-3. 6. Uchio E, Ono SY, Ikezawa Z, Ohno S. Tear levels of interferongamma, interleukin (IL) -2, IL-4 and IL-5 in patients with vernal keratoconjunctivitis, atopic keratoconjunctivitis and allergic conjunctivitis. Clin Exp Allergy 2000;30(1):103-9. 7. Spadavecchia L, Fanelli P, Tesse R, Brunetti L, Cardinale F, Bellizzi M, et al. Efficacy of 1.25% and 1% topical cyclosporine in the treatment of severe vernal keratoconjunctivitis in childhood. Pediatr Allergy Immunol 2006;17(7):527-32. 8. Pucci N, Novembre E, Lombardi E, Cianferoni A, Bernardini R, Massai C, et al. Atopy and serum eosinophil cationic protein in 110 white children with Vernal Keratoconjunctivitis: differences between tarsal and limbal forms. Clin Exp Allergy 2003;33:325-30. 9. Leonardi A, De Dominicis C, Motterle L. Immunopathogenesis of ocular allergy: a schematic approach to different clinical entities. Curr Opin Allergy Clin Immunol 2007;7(5):429-35. 10. Lambiase A, Normando EM, Vitiello L, Micera A, Sacchetti M, Perrella E, et al. Natural killer cells in vernal keratoconjunctivitis. Mol Vis 2007;13:1562-7. 11. Abelson MB, Leonardi A, Smith LM, Fregona IA, Michelle AG, Secchi AG. Histaminase activity in vernal keratoconjunctivitis. Ophthalmology 1995; 102:1958-65. 12. Montan PG, Ekstrom K, Hedlin G, van Hage-Hamsten M, Hjern A, Herrmann B. Vernal keratoconjunctivitis in a Stockholm ophthalmic centre-epidemiological, functional, and immunologic investigations. Acta Ophthalmol Scand 1999;77(5):559-63. 13. Bonini S. Atopic keratoconjunctivitis. Allergy 2004; 59 (78):71-3. 14. Trocme SD, Kephart GM, Allansmith MR, Bourne WM, Gleich GJ. Conjunctival deposition of eosinophil granule major basic protein in

9

vernal keratoconjunctivitis and contact lens-associated giant papillary conjunctivitis. Am J Ophthalmol 1989;108(1):57-63. 15. Saiga T, Shimizu Y. Activated eosinophils in vernal keratoconjunctivitis. Nippon Rinsho 1993; 51(3): 816-9. 16. Avunduk AM, Avunduk MC, Kapicioglu Z, Akyol N, Tavli L. Mechanisms and comparison of anti-allergic efficacy of topical lodoxamide and cromolyn sodium treatment in vernal keratoconjunctivitis. Ophthalmology 2000; 107(7):1333-7. 17. Berdy GJ. The effects of systemic medication on ocular allergic disease. Acta Ophthalmol Scand Suppl. 2000; (230):26-31. 18. Verin P, Allewaert R, Joyaux JC, Piozzi E, Koliopoulos J, Bloch-Michel E; Lodoxamide Study Group. Comparison of lodoxamide 0.1% ophthalmic solution and levocabastine 0.05% ophthalmic suspension in vernal keratoconjunctivitis. Eur J Ophthalmol 2001; 11(2):120-5. 19. Lisanework M. Supra-tarsal injection of dexamethasone in the treatment of patients with refractory vernal keratoconjunctivitis. Ethiop Med J 2003;41(1):19-24. 20. Pucci N, Novembre E, Cianferoni A, Lombardi E, Bernardini R, Caputo R, et al. Efficacy and safety of cyclosporine eyedrops in vernal keratoconjunctivitis. Ann Allergy Asthma Immunol 2002;89(3):298-303. 21. Gupta V, Sahu PK. Topical cyclosporin A in the management of vernal keratoconjunctivitis. Eye 2001; 15:39-41. 22. Kiliç A, Gürler B. Topical 2% cyclosporine A in preservative-free artificial tears for the treatment of vernal keratoconjunctivitis. Can J Ophthalmol 2006;41(6):693-8. 23. Tomida I, Schlote T, Brauning J, Heide PE, Zierhut M. Cyclosporin A 2% eyedrops in therapy of atopic and vernal keratoconjunctivitis. Ophthalmologe 2002; 99(10):761-7. 24. Ozcan AA, Ersoz TR, Dulger E. Management of severe allergic conjunctivitis with topical cyclosporin a 0.05% eyedrops. Cornea 2007;26(9):1035-8. 25. Murai H, Osoegawa M, Ochi H, Kira J. High frequency of allergic conjunctivitis in myasthenia gravis without thymoma. J Neurol Sci 2004;225:27-31.

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Sicurezza dell’ibuprofene nel trattamento della febbre del bambino Il Boston University Fever Study Lo studio noto come Boston University Fever study è stato condotto in maniera randomizzata, in doppio cieco su 84.192 bambini reclutati da 1735 ambulatori pediatrici negli Stati Uniti SM Lesko UCP Supplement 135 April 2003

L’obiettivo era di valutare il rischio

Gli endpoints primari dello stu-

senza che vi fossero differenze

di eventi rari, ma gravi, dopo la

dio sono stati: grave emorragia

fra i bambini trattati con ibupro-

somministrazione di ibuprofene al

gastrointestinale, grave insuffi-

fene o paracetamolo. Non vi

bambino febbrile. I bambini ave-

cienza renale, anafilassi e sin-

sono state differenze significati-

vano fra 6 mesi e 12 anni, doveva-

drome di Reye. Gli endpoints

ve di frequenza di eventi avver-

no presentare febbre e dovevano

secondari sono stati i ricoveri in

si considerati come endpoints

essere in grado di assumere la

ospedale per altre complican-

secondari fra le due dosi impie-

terapia per via orale.

ze. Sono state condotte analisi

gate di ibuprofene. La funziona-

I bambini sono stati suddivisi in

per sottogruppi di pazienti

lità renale è stata valutata in

tre gruppi: uno trattato con ibu-

asmatici.

288 bambini ricoverati. Non

profene alla dose di 5 o 10

sono stati rilevati casi significati-

mg/kg, il secondo trattato con

Risultati

vi di danno renale.

paracetamolo alla dose di 12

Nel corso dello studio vi sono

Nel sottogruppo di bambini

mg/kg per dose ogni 4-6 ore, in

stati 795 ricoveri. Pochi sono

asmatici, né il paracetamolo né

base a quanto necessario per il

stati i casi di ospedalizzazione

l’ibuprofene hano provocato

controllo della febbre.

per emorragia gastrointestinale

significative complicanze della

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Confronto fra la frequenza di eventi avversi gravi rilevati in bambini trattati per febbre con paracetamolo o ibuprofene

Parcetamolo

Ibuprofene 5 mg/kg

Ibuprofene 10 mg/kg

N di bambini

28 130

27 948

27 837

N di casi ricoverati (IC95%)

272 (0.86-1.1)

248 (0.78-1.0)

275 (0.88-1.1)

Ricoveri per emorragia

0 (0-11)

4 (2-18)

GI (IC 95%) Ricoveri per anafilassi,

0 (0-5.4)

0 (0-11)

insufficienza renale, s di Reye (IC95%) Ricoveri per asma

24 (55-130)

18 (38-100)

26 (61-140)

1

malattia di base. Il numero di

ciato a insorgenza di s di Reye e

con infezioni dei tessuti molli

ricoveri è stato uguale per i due

costituisce una controindicazio-

senza necrosi. Questi pazienti

gruppi (paracetamolo e ibupro-

ne all’uso di questi farmaci.

erano affetti da forme infettive

fene), tuttavia, i bambini tratta-

Inoltre, la varicella può essere

più gravi, come testimoniato da

ti con ibuprofene hanno avuto

un fattore favorente per infezio-

temperature più elevate e pro-

una necessità di visite pediatri-

ni invasive da Streptococco di

tratte. Non vi era associazione

che significativamente inferiore

gruppo A con conseguenti casi

fra l’infezione invasiva da strep-

a quelli trattati con paraceta-

di cellulite, batteriemia e fascite

tococco e l’uso di paracetamolo

molo.

necrotizzante.

o ibuprofene né con il numero

I dati più significativi dello

Lo stesso studio ha quindi valu-

di dosi di antipiretici sommini-

studio sono riportati nella

tato la frequenza di questi

strate.

Tabella 1.

eventi gravi. Sono stati identifi-

Gli autori escludono una possi-

cati 52 bambini di meno di 19

bile associazione fra l’uso a

Eventi rilevati in bambini con

anni ricoverati per varicella e

breve termine di ibuprofene o

varicella

infezione da Streptococco di

paracetaomolo e aumentato

Il trattamento con salicilati in

gruppo A, di cui 21 con diagno-

rischio di infezione invasiva da

corso di varicella è stato asso-

si di fascite necrotizzante e 18

Streptococco di gruppo A.

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Sicurezza dell’ibuprofene e del paracetamolo nel bambino di meno di due anni Lo studio è stato condotto dallo Slone Epidemiology Unit, Boston University School of Medicine, Brookline, Massachussetts, una delle principali istituzioni che si occupa di epidemiologia del farmaco SM Lesko e AA:Mitchell http://www.pediatrics.org/cgi/content/full/104/4/e39 Obiettivo dello studio è stata la valutazione dell’incidenza di eventi clinici avversi importanti in bambini di meno di due anni trattati con ibuprofene o paracetamolo. Lo studio è stato condotto nella pratica ambulatoriale, in maniera randomizzata. Sono stati complessivamente arruolati 27065 bambini con febbre trattati con paracetamolo alla dose di 12 mg/kg o ibuprofene alla dose di 5 oppure 10 mg/kg. E’ stata valutata la frequenza di ricoveri ospedalieri per emorragia gastrointestinale, i casi di insufficienza renale acuta, la frequenza di comparsa di sindrome di Reye, i casi di asma, bronchilite o vomito/gastrite.

significative differenze fra i bambini trattati con paracetamolo o con ibuprofene. Non si sono verificati casi di insufficienza renale, anafilassi o sindrome di Reye. Tre bambini sono stati ricoverati per emorragia gastrointestinale e avevano ricevuto trattamento con ibuprofene. Il rischio di ricovero per emorragia gastrointestinale fra i bambini che avevano ricevuto ibuprofene è stato di 17/100 000 (IC 95% 3.5-49) ma non era significativamente superiore al rischio calcolato nel caso di trattamento con paracetamolo. Il rischio di necessità di ricovero per asma, bronchiolite, o vomito/gastrite non è stato diverso fra i due gruppi.

Risultati Il 96% dei bambini reclutati hanno ricevuto uno dei due farmaci, con una mediana di 6-10 dosi in tre giorni. Il rischio di ricovero per qualsiasi tipo di diagnosi nelle quattro settimane successiva all’arruolamento nello studio sono stati 1.4% (1.3-1.6) senza

Commento Questi studi sono stati condotti nella pratica pediatrica di base su un ampio numero di pazienti affetti da forme febbrili di diversa origine. Essi possono essere considerati ben rappresentativi di quanto si tratti normalmente nella pediatria ambu-

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latoriale. I motivi principali che hanno indotto a disegnare questi due lavori stanno nella nota possibilità che trattamenti antipiretici con antiinfiammatori non steroidei possano indurre effetti collaterali a livello gastrointestinale o danni renali acuti. E’ nota, poi, la possibilità che i salicilati siano causa di sindrome di Reye, fatto che ha portato ad escluderli dalla pratica pediatrica ambulatoriale e a confinarne l’uso a casi e patologie selezionate. Infine, è possibile che antiinfiammatori non steroidei siano causa di reazioni di broncostruzione. Ibuprofene e paracetamolo si confermano fra i farmaci più tollerati in pediatria come viene confermato da questi due ampi studi di confronto. Non sono stati rilevati eventi gravi. Nel caso di bambini ricoverati erano disponibili esami di laboratorio che hanno permesso di escludere anche eventi biochimici importanti, come, per esempio, aumenti significativi della creatinina.


Un bambino di tre anni con disfagia Queste sono le immagini dell’esofagogramma. Che cosa notate?

L’esofagogramma mostra una immagine di compressione sull'esofago. In visione frontale, si vede una compresisone a livello dell’arco aortico, La TAC del torace mostra un arco aortico con arteria succlavia aberrante. Questa arteria esercita una pressione su un esofago e ne restringe il lume appena sopra la carena. Discussione Diagnosi differenziale di un bambino con difficoltà respiratoria e disfagia

mala raramente asosciata a malformazioni cardiache congenite (truncus arteriosus, tetrologia di Fallot, trasposizione dei grossi vasi, coartazione e atresia della tricuspide) • Oltre a problemi respiratori il paziente può presentare disfagia, come nel nostro caso. I problemi respiratori predominano nel paziente piccolo, mentre nel bambino più grande prevalgono i problemi esofagei. • La patognesi non è nota • La radiologia mostra assenza dell’arco aortico, con aorta

discendente a destra e un’immagine compressiva sula trachea e sull’esofago baritato. Bibliografia 1. eMedicine. Vascular Ring, Right Aortic Arch. http://www.emedicine.com/ ped/topic2542.htm. 2. Learning Radiology. Aortic Anomalies - Right Aortic Arch. http://www.learningradiology.co m/notes/cardiacnotes/rightarchespage.htm. 3. http://ercweb.bcm.tmc.edu/ rad_elect/Chest/ch-503/discussion.htm.

• Asma • Bronchiolite • Croup • Laringomalacia • Tracheomalacia • Anello vascolare, doppio arco aortico Diagnosi del caso: doppio arco aortico • Si verifica in circa 1-2% della popolazione • Vi sono almeno cinque diversi tipi, ma il più importante è una succlavia sinistra ano-

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RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO 1 DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE NUREFLEX Bambini, 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia. NUREFLEX Bambini, 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola. 2 COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA Ogni ml di sospensione orale contiene 20 mg di ibuprofene. Per gli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3 FORMA FARMACEUTICA Sospensione orale. 4 INFORMAZIONI CLINICHE 4.1 Indicazioni terapeutiche Trattamento della febbre e del dolore. Trattamento dei sintomi dell’artrite reumatoide giovanile. 4.2 Posologia e modo di somministrazione La posologia è strutturata in base all’età ed al peso del soggetto da trattare. Gli effetti indesiderati possono essere minimizzati con l’uso della più bassa dose efficace per la più breve durata possibile di trattamento che occorre per controllare i sintomi (vedere sezione 4.4). Per somministrazione orale a lattanti e bambini di età compresa fra 3 mesi e 12 anni, mediante siringa dosatrice o cucchiaino dosatore forniti con il prodotto. La scala graduata presente sul corpo della siringa riporta in evidenza le tacche per i due diversi dosaggi: la tacca da 2,5 ml corrispondente a 50 mg di ibuprofene e la tacca da 5 ml corrispondente a 100 mg di ibuprofene. Il cucchiaino dosatore riporta due tacche per i due diversi dosaggi: la tacca da 2,5 ml corrispondente a 50 mg di ibuprofene e la tacca da 5 ml corrispondente a 100 mg di ibuprofene. Per il trattamento del dolore e della febbre la dose giornaliera di 20-30 mg/kg di peso corporeo può essere somministrata sulla base dello schema che segue. ETÀ

PESO Kg

POSOLOGIA

3 mesi-6 mesi 6 mesi-12 mesi 1 anno-3 anni 4 anni-6 anni 7 anni-9 anni 10 anni-12 anni

5,6–7,7 7,8–10 11–15 16–20 21–28 29–40

2,5ml 3 volte al dì (150mg) 2,5ml 3 volte al dì (150mg) 5ml 3 volte al dì (300mg) 7,5ml 3 volte al dì (450mg) 10ml 3 volte al dì (600mg) 15ml 3 volte al dì (900mg)

DOSE mg/kg (media) 8,9–6,5 (7,7) 6,4–5,0 (5,7) 9,1–6,7 (7,9) 9,4–7,5 (8,5) 9,5–7,1 (8,3) 10,3–7,5 (8,9)

DOSE GIORNALIERA mg/kg/giorno (media) 26,7–19,5 (23,1) 19,2–15,0 (17,1) 27,3–20,1 (23,7) 28,2–22,5 (25,4) 28,5–21,3 (24,9) 30,9–22,5 (26,7)

L’azione del prodotto ha una durata fino a 8 ore, ma il medico potrà adottare, se necessario, intervalli più brevi, non superando comunque la dose giornaliera massima di 30 mg/kg. Per il trattamento sintomatico dell’artrite reumatoide giovanile la posologia giornaliera è di 30-40 mg/kg di peso corporeo suddivisi in 3 o 4 somministrazioni. Istruzioni per l’utilizzo della siringa dosatrice: 1-Svitare il tappo spingendolo verso il basso e girandolo verso sinistra. 2-Introdurre a fondo la punta della siringa nel foro del sottotappo. 3Agitare bene. 4-Capovolgere il flacone, quindi, tenendo saldamente la siringa, tirare delicatamente lo stantuffo verso il basso facendo defluire la sospensione nella siringa fino alla tacca corrispondente alla dose desiderata. 5-Rimettere il flacone in posizione verticale e rimuovere la siringa ruotandola delicatamente. 6-Introdurre la punta della siringa nella bocca del bambino, ed esercitare una lieve pressione sullo stantuffo per far defluire la sospensione. Dopo l’uso chiudere il flacone, avvitando il tappo e lavare la siringa con acqua calda. Lasciarla asciugare, tenendola fuori dalla portata e dalla vista dei bambini. 4.3 Controindicazioni •Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti. •Bambini di età inferiore a 3 mesi o di peso inferiore a 5,6 Kg. Il medicinale è inoltre controindicato nei soggetti con ipersensibilità all’acido acetilsalicilico o ad altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei (FANS), in particolare quando l’ipersensibilità è associata a poliposi nasale e asma. •Ulcera peptica attiva. •Grave insufficienza renale od epatica. •Grave insufficienza cardiaca. •Storia di emorragia gastrointestinale o perforazione relativa a precedenti trattamenti attivi o storia di emorragia / ulcera peptica ricorrente (due o più episodi distinti di dimostrata ulcerazione o sanguinamento). •Gravidanza e allattamento (vedere p. 4.6). 4.4 Avvertenze speciali e opportune precauzioni d’impiego Gli effetti indesiderati possono essere minimizzati con l’uso della dose minima efficace per la durata di trattamento più breve possibile che occorre per controllare i sintomi (vedere sezione 4.2 e i paragrafi sottostanti sui rischi gastrointestinali e cardiovascolari). L’uso di Nureflex deve essere evitato in concomitanza di FANS, inclusi gli inibitori selettivi della COX-2. Gli analgesici, antipiretici, antinfiammatori non-steroidei possono causare reazioni di ipersensibilità, potenzialmente gravi (reazioni anafilattoidi), anche in soggetti non precedentemente esposti a questo tipo di farmaci. Il rischio di reazioni di ipersensibilità dopo assunzione di ibuprofene è maggiore nei soggetti che abbiano presentato tali reazioni dopo l’uso di altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non-steroidei e nei soggetti con iperreattività bronchiale (asma), poliposi nasale o precedenti episodi di angioedema (vedere “Controindicazioni” ed “Effetti indesiderati”). Emorragia gastrointestinale, ulcerazione e perforazione: durante il trattamento con tutti i FANS, in qualsiasi momento, con o senza sintomi di preavviso o precedente storia di gravi eventi gastrointestinali, sono state riportate emorragia gastrointestinale, ulcerazione e perforazione, che possono essere fatali. Anziani: I pazienti anziani hanno un aumento della frequenza delle reazioni avverse ai FANS, specialmente emorragie e perforazioni gastrointestinali, che possono essere fatali (vedi sezione 4.2). Negli anziani e in pazienti con storia di ulcera, soprattutto se complicata da emorragia o perforazione (vedi sezione 4.3), il rischio di emorragia gastrointestinale, ulcerazione o perforazione è più alto con dosi aumentate di FANS. Questi pazienti devono iniziare il trattamento con la più bassa dose disponibile. L’uso concomitante di agenti protettori (misoprostolo o inibitori di pompa protonica) deve essere considerato per questi pazienti e anche per pazienti che assumono basse dosi di aspirina o altri farmaci che possono aumentare il rischio di eventi gastrointestinali (vedi sotto e sezione 4.5). Pazienti con storia di tossicità gastrointestinale, in particolare anziani, devono riferire qualsiasi sintomo gastrointestinale inusuale (soprattutto emorragia gastrointestinale) in particolare nelle fasi iniziali del trattamento. Cautela deve essere prestata ai pazienti che assumono farmaci concomitanti che potrebbero aumentare il rischio di ulcerazione o emorragia, come corticosteroidi orali, anticoagulanti come warfarin, inibitori selettivi del reuptake della serotonina o agenti antiaggreganti come l’aspirina (vedi sezione 4.5). Quando si verifica emorragia o ulcerazione gastrointestinale in pazienti che assumono Nureflex il trattamento deve essere sospeso. I FANS devono essere somministrati con cautela nei pazienti con una storia di malattia gastrointestinale (colite ulcerosa, morbo di Crohn) poiché tali condizioni possono essere esacerbate (vedi sezione 4.8). Gravi reazioni cutanee alcune delle quali fatali, includenti dermatite esfoliativa, sindrome di Stevens–Johnson e Necrolisi Tossica Epidermica, sono state riportate molto raramente in associazione con l’uso dei FANS (vedi sezione 4.8). Nelle prime fasi della terapia i pazienti sembrano essere a più alto rischio: l’insorgenza della reazione si verifica nella maggior parte dei casi entro il primo mese di trattamento. Nureflex deve essere interrotto alla prima comparsa di rash cutaneo, lesioni della mucosa o qualsiasi altro segno di ipersensibilità. L’uso di ibuprofene, di acido acetilsalicilico o di altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non-steroidei, richiede particolare cautela: • in caso di asma: possibile broncocostrizione; • in presenza di difetti della coagulazione: riduzione della coagulabilità; • in presenza di malattie renali, cardiache o di ipertensione: possibile riduzione critica della funzione renale (specialmente negli anziani o nei soggetti con funzione renale o epatica compromessa, insufficienza cardiaca o in trattamento con diuretici), nefrotossicità o ritenzione di fluidi; • in presenza di malattie epatiche: possibile epatotossicità. Inoltre, l’uso di ibuprofene, di acido acetilsalicilico o di altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non-steroidei, richiede adeguate precauzioni: • reidratare il soggetto prima dell’inizio e nel corso del trattamento in caso di disidratazione (ad esempio per febbre, vomito o diarrea); (le seguenti precauzioni assumono rilevanza nel corso di trattamenti prolungati): • sorvegliare i segni o sintomi di ulcerazioni o sanguinamenti gastrointestinali; • sorvegliare i segni o sintomi di epatotossicità; • sorvegliare i segni o sintomi di nefrotossicità; • se insorgono disturbi visivi (vista offuscata o ridotta, scotomi, alterazione della percezione dei colori): interrompere il trattamento e consultare l’oculista; • se insorgono segni o sintomi di meningite: valutare la rara possibilità che essa sia dovuta all’uso di ibuprofene (meningite asettica; più frequente nei soggetti affetti da lupus eritematoso sistemico o altre collagenopatie). Effetti cardiovascolari e cerebrovascolari Un adeguato monitoraggio ed opportune istruzioni sono necessarie nei pazienti con anamnesi positiva per ipertensione e/o insufficienza cardiaca congestizia da lieve a moderata poiché in associazione al trattamento con i FANS sono stati riscontrati ritenzione di liquidi ed edema. Studi clinici e dati epidemiologici suggeriscono che l’uso di ibuprofene, specialmente ad alti dosaggi (2400 mg/die) e per trattamenti di lunga durata, può essere associato ad un modesto aumento del rischio di eventi trombotici arteriosi (es. infarto del miocardio o ictus). In generale, gli studi epidemiologici non suggeriscono che basse dosi di ibuprofene (es. ≤ 1200 mg/die) siano associate ad un aumentato rischio di infarto del miocardio. I pazienti con ipertensione non controllata, insufficienza cardiaca congestizia, cardiopatia ischemica accertata, malattia arteriosa periferica e/o malattia cerebrovascolare devono essere trattati con ibuprofene soltanto dopo attenta considerazione. Analoghe considerazioni devono essere effettuate prima di iniziare un trattamento di lunga durata in pazienti con fattori di rischio per eventi cardiovascolari (es. ipertensione, iperlipidemia, diabete mellito, fumo). Poiché questo medicinale contiene maltitolo, è controindicato nei pazienti con intolleranze ereditarie al fruttosio. 4.5 Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione Le seguenti interazioni sono comuni all’ibuprofene, all’acido acetilsalicilico e agli altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non-steroi-

dei (FANS): evitare l’uso contemporaneo di due o più analgesici, antipiretici, antinfiammatori non-steroidei: aumento del rischio di effetti indesiderati; corticosteroidi: aumento del rischio di ulcerazione o emorragia gastrointestinale (vedi sezione 4.4); antibatterici: possibile aumento del rischio di convulsioni indotte da chinolonici; anticoagulanti: i FANS possono aumentare gli effetti degli anticoagulanti, come il warfarin (vedi sezione 4.4); agenti antiaggreganti e inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRIs): aumento del rischio di emorragie gastrointestinale (vedi sezione 4.4); antidiabetici: possibile aumento dell’effetto delle sulfaniluree; antivirali: ritonavir: possibile aumento della concentrazione dei FANS; ciclosporina: aumentato rischio di nefrotossicità; citotossici: metotressato: riduzione dell’escrezione (aumentato rischio di tossicità); litio: riduzione dell’escrezione (aumentato rischio di tossicità); tacrolimus: aumentato rischio di nefrotossicità; uricosurici: probenecid: rallenta l’escrezione dei FANS (aumento delle concentrazioni plasmatiche). Diuretici, ACE inibitori e Antagonisti dell’angiotensina II: I FANS possono ridurre l’effetto dei diuretici e di altri farmaci antiipertensivi. In alcuni pazienti con funzione renale compromessa (per esempio pazienti disidratati o pazienti anziani con funzione renale compromessa) la co-somministrazione di un ACE inibitore o di un antagonista dell’angiotensina II e di agenti che inibiscono il sistema della ciclo-ossigenasi può portare a un ulteriore deterioramento della funzione renale, che comprende una possibile insufficienza renale acuta, generalmente reversibile. Queste interazioni devono essere considerate in pazienti che assumono NUREFLEX in concomitanza con ACE inibitori o antagonisti dell’angiotensina II. Quindi, la combinazione deve essere somministrata con cautela, specialmente nei pazienti anziani. I pazienti devono essere adeguatamente idratati e deve essere preso in considerazione il monitoraggio della funzione renale dopo l’inizio della terapia concomitante. 4.6 Gravidanza e allattamento È improbabile che soggetti di età inferiore a 12 anni vadano incontro a gravidanza, o allattino al seno. Peraltro, in tali circostanze bisogna tenere presente le seguenti considerazioni. L’inibizione della sintesi di prostaglandine può interessare negativamente la gravidanza e/o lo sviluppo embrio/fetale. Risultati di studi epidemiologici suggeriscono un aumentato rischio di aborto e di malformazione cardiaca e di gastroschisi dopo l’uso di un inibitore della sintesi di prostaglandine nelle prime fasi della gravidanza. Il rischio assoluto di malformazioni cardiache aumentava da meno dell’1% fino a circa l’1,5%. È stato ritenuto che il rischio aumenta con la dose e la durata della terapia. Negli animali, la somministrazione di inibitori della sintesi di prostaglandine ha mostrato di provocare un aumento della perdita di pre e post-impianto e di mortalità embrione-fetale. Inoltre, un aumento di incidenza di varie malformazioni, inclusa quella cardiovascolare, è stato riportato in animali a cui erano stati somministrati inibitori di sintesi delle prostaglandine durante il periodo organogenetico. Durante il terzo trimestre di gravidanza, tutti gli inibitori della sintesi delle prostaglandine possono esporre il feto a: tossicità cardiopolmonare (con chiusura prematura del dotto arterioso e ipertensione polmonare); disfunzione renale che può progredire a insufficienza renale con oligoidroamnios; la madre e il neonato, alla fine della gravidanza, a: possibile prolungamento del tempo di sanguinamento, un effetto antiaggregante che può occorrere anche a dosi molto basse; inibizione delle contrazioni uterine risultanti in ritardo o prolungamento del travaglio. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari Non pertinente, considerata l’età del paziente. 4.8 Effetti indesiderati Gli effetti indesiderati osservati con ibuprofene sono generalmente comuni agli altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non-steroidei. Reazioni di ipersensibilità Raramente: reazioni anafilattoidi (gravi reazioni che possono comprendere: orticaria con o senza angioedema, dispnea (da ostruzione laringea o da broncospasmo), shock; sindrome caratterizzata da dolore addominale, febbre, brividi, nausea e vomito; broncospasmo (vedere “Controindicazioni” e “Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso”). Effetti sull’apparato gastrointestinale Gli eventi avversi più comunemente osservati sono di natura gastrointestinale. Possono verificarsi ulcere peptiche, perforazione o emorragia gastrointestinale, a volte fatale, in particolare negli anziani (vedi sezione 4.4). Dopo somministrazione di Nureflex sono stati riportati: nausea, vomito, diarrea, flatulenza, costipazione, dispepsia, dolore addominale, melena, ematemesi, stomatiti ulcerative, esacerbazione di colite e morbo di Crohn (vedi sezione 4.4). Meno frequentemente sono state osservate gastriti. Dolore epigastrico, pirosi gastrica. I disturbi gastrici possono essere ridotti assumendo il farmaco a stomaco pieno. Raramente: epatite, ittero, alterazione dei test della funzione epatica, pancreatite, duodenite, esofagite, sindrome epatorenale, necrosi epatica, insufficienza epatica. Effetti sul sistema nervoso e gli organi di senso Vertigine, cefalea, irritabilità, tinnito. Raramente: depressione, insonnia, difficoltà di concentrazione, labilità emotiva, sonnolenza, meningite asettica (vedere “Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso”), convulsioni, disturbi uditivi e visivi (vedere “Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso”). Effetti sull’apparato respiratorio Broncospasmo, dispnea, apnea. Effetti su cute e annessi Reazioni bollose includenti sindrome di Stevens–Johnson e Necrolisi Tossica Epidermica (molto raramente). Eruzioni cutanee (anche di tipo maculopapulare), prurito. Raramente: eruzioni vescicolo-bollose, orticaria, eritema multiforme, alopecia, dermatite esfoliativa, dermatite da fotosensibilità. Effetti sul sangue Raramente: neutropenia, agranulocitosi, anemia aplastica, anemia emolitica (possibile test di Coombs positivo), piastrinopenia (con o senza porpora), eosinofilia, riduzione di emoglobina e ematocrito, pancitopenia. Effetti sul sistema endocrino e sul metabolismo Riduzione dell’appetito. Effetti sul sistema cardiovascolare Edema, ipertensione e insufficienza cardiaca sono stati riportati in associazione al trattamento con FANS. Ritenzione di fluidi (generalmente risponde prontamente all’interruzione del trattamento) (vedere “Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso”). Raramente: accidenti cerebrovascolari, ipotensione, insufficienza cardiaca congestizia in soggetti con funzione cardiaca compromessa, palpitazioni. Studi clinici e dati epidemiologici suggeriscono che l’uso di ibuprofene, specialmente ad alti dosaggi (2400 mg/die) e per trattamenti di lunga durata, può essere associato ad un modesto aumento del rischio di eventi trombotici arteriosi (es. infarto del miocardio o ictus) (vedere sezione 4.4). Effetti sui reni Raramente: insufficienza renale acuta nei soggetti con preesistente significativa compromissione della funzione renale (vedere “Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso”), necrosi papillare, necrosi tubulare, glomerulonefrite, alterazione dei test della funzione renale, poliuria, cistite, ematuria. Vari Raramente: secchezza degli occhi e della bocca, ulcere gengivali, rinite. 4.9 Sovradosaggio I sintomi più comuni sono: dolore addominale, nausea, vomito, letargia e sonnolenza. Meno frequentemente: cefalea, tinnito, depressione del sistema nervoso centrale e convulsioni. Raramente: acidosi metabolica, insufficienza renale acuta, apnea (specialmente nei bambini molto piccoli), ipotensione, bradicardia, tachicardia e fibrillazione atriale. Non esiste alcun antidoto dell’ibuprofene. Il trattamento consiste essenzialmente negli idonei interventi di supporto; particolare attenzione è dovuta al controllo della pressione arteriosa, dell’equilibrio acido-base e di eventuali sanguinamenti gastrointestinali. In caso di sovradosaggio acuto lo svuotamento gastrico (vomito o lavanda gastrica) è tanto più efficace quanto più precocemente è attuato; può inoltre essere utile la somministrazione di alcali e l’induzione della diuresi; l’ingestione di carbone attivo può contribuire a ridurre l’assorbimento del farmaco. 5 PROPRIETA’ FARMACOLOGICHE 5.1 Proprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: farmaci antinfiammatori/antireumatici non steroidei, derivati dell’acido propionico. Codice ATC: M01AE01. Ibuprofene è un analgesico-antiinfiammatorio di sintesi, dotato di spiccata attività antipiretica. Chimicamente è il capostipite dei derivati fenil-propionici. L’attività analgesica è di tipo non narcotico. Ibuprofene è un potente inibitore della sintesi prostaglandinica ed esercita la sua attività inibendone la sintesi perifericamente. 5.2 Proprietà farmacocinetiche Ibuprofene è ben assorbito dopo somministrazione orale: assunto a stomaco vuoto produce nell’uomo livelli serici massimi dopo circa 45 minuti. La somministrazione di pari dosi precedute da ingestione di cibo ha rivelato un assorbimento più lento ed il raggiungimento dei livelli massimi in un periodo di tempo compreso entro un minimo di un’ora e mezzo ed un massimo di 3 ore. L’ibuprofene si lega in larga misura alle proteine plasmatiche, si distribuisce a livello tissutale e nel liquido sinoviale. L’emivita plasmatica della molecola è di circa due ore. L’ibuprofene è metabolizzato nel fegato in due metaboliti inattivi e questi, unitamente all’ibuprofene immodificato, vengono escreti dal rene sia come tali che coniugati. L’eliminazione dal rene è rapida e completa. 5.3 Dati preclinici di sicurezza Le prove tossicologiche su diverse specie animali, per diverse vie di somministrazione, hanno dimostrato che ibuprofene è ben tollerato (la DL 50 nel topo albino è di 800 mg/kg per os; mentre nel ratto, sempre per os, è di 1600 mg/kg); inoltre non è teratogeno. Va però notato che la somministrazione di FANS a ratte gravide può determinare restrizione del dotto arterioso fetale. 6 INFORMAZIONI FARMACEUTICHE 6.1 Elenco degli eccipienti Nureflex Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia Polisorbato 80, glicerina, sciroppo di maltitolo, saccarina sodica, acido citrico, sodio citrato, gomma di xanthan, sodio cloruro, aroma arancia, bromuro di domifene, acqua depurata. Nureflex Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola Polisorbato 80, glicerina, sciroppo di maltitolo, saccarina sodica, acido citrico, sodio citrato, gomma di xanthan, sodio cloruro, aroma fragola, bromuro di domifene, acqua depurata. 6.2 Incompatibilità Non pertinente. 6.3 Periodo di validità 3 anni. Periodo di validità dopo la prima apertura: 6 mesi. 6.4 Speciali precauzioni per la conservazione Nessuna particolare. 6.5 Natura e contenuto del contenitore Nureflex Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia Flacone color ambra in polietilene tereftalato (PET) con tappo e sottotappo in polietilene con chiusura a prova di bambino. Siringa dosatrice con corpo in polipropilene e stantuffo in polietilene. Nureflex Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola Flacone color ambra in polietilene tereftalato (PET) con tappo e sottotappo in polietilene con chiusura a prova di bambino. Siringa dosatrice con corpo in polipropilene e stantuffo in polietilene o cucchiaino dosatore in polipropilene. 6.6 Istruzioni per l’impiego e la manipolazione Nessuna particolare. 7 TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO Reckitt Benckiser Healthcare International Ltd – 103-105 Bath Road, Slough, Berkshire, SL1 3UH (UK) Rappresentante per l’Italia: Reckitt Benckiser Healthcare (Italia) S.p.A. – via Lampedusa 11/a – 20141 Milano 8 NUMERO DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO NUREFLEX Bambini 100mg/5ml sosp.orale gusto arancia, flacone da 100 ml con siringa per somministrazione orale: A.I.C. n. 034102018 • NUREFLEX Bambini 100mg/5ml sosp.orale gusto arancia, flacone da 150 ml con siringa per somministrazione orale: A.I.C. n. 034102020 • NUREFLEX Bambini 100mg/5ml sosp.orale gusto fragola, flacone da 100 ml con siringa per somministrazione orale: A.I.C. n. 034102259 • NUREFLEX Bambini 100mg/5ml sosp.orale gusto fragola, flacone da 100 ml con cucchiaio dosatore: A.I.C. n. 034102246 • NUREFLEX Bambini 100mg/5ml sosp.orale gusto fragola, flacone da 150 ml con siringa per somministrazione orale: A.I.C. n. 034102261 • NUREFLEX Bambini 100mg/5ml sosp.orale gusto fragola, flacone da 150 ml con cucchiaio dosatore: A.I.C. n. 034102273 9 DATA DI PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE Agosto 2000 10 DATA DI REVISIONE DEL TESTO Ottobre 2007 PP 7,14 € - Farmaco di Classe C - RR


Dep. AIFA in data 11/07/2008

M U LT I J O B

In uno studio in doppio cieco su 84.192 bambini, la sicurezza di impiego dell’ibuprofene è risultata paragonabile a quella del paracetamolo. Boston University Fever Study - USA(1)

r tire a p a à Gi esi dai 3 m

Antipiretico, analgesico, antinfiammatorio, sicuro per l’eccellente profilo di tollerabilità.

1. Lesko S. M. et al. JAMA, 273: 929-933, 1995


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