TRIMESTRALE SCIENTIFICO - Anno III - N. 1, 2009
PREVENZIONE VASCOLARE Tra counselling e criteri evidence based
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S p e c i a l e S I A PAV 2 0 0 8 TRIMESTRALE SCIENTIFICO Anno III - N. 1, 2009
Editore SINERGIE Edizioni Scientifiche S.r.l. Sede legale: Corso Italia, 1 - 20122 Milano Sede operativa: Via la Spezia, 1 - 20143 Milano Tel./Fax 02 58118054 E-mail: sinergie.milano@virgilio.it Direttore responsabile Mauro Rissa
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SOMMARIO EDITORIALE Prevenzione vascolare. Tra counselling efficace e criteri evidence-based Giovanni B. Agus
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LEADING ARTICLE Il rischio tromboembolico venoso nel paziente internistico. Il ruolo del medico di medicina generale Giovanni B. Agus, Guido Arpaia Sintomi da sindrome post-trombotica. Un caso di prevenzione necessaria Giovanni B. Agus
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AGGIORNAMENTO IN SLIDES Dal TEV alla SPT
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COUNSELLING Compressione elastica. Azioni ed indicazioni certe, in discussione, discutibili… Guido Arpaia, Giovanni B. Agus
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CULTURA La città che cambia in salute. Una riflessione da Milano Sergio Harari
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Prevenzione vascolare. Tra counselling efficace e criteri evidence-based Se è vero che la prevenzione più efficace, di miglior ritorno d’investimento economico, e che ha dato i più significativi risultati, è la medicina preventiva su ambiente, luogo di lavoro e comunità, la prevenzione richiesta al singolo cittadino su se stesso e la sua famiglia non è affatto da trascurare, pur a fronte di maggiori difficoltà e minori risultati. Prevenzione vascolare, la titolazione del primo numero del 2009 di Nautilus, appare allo stesso tempo ambigua e ambiziosa, comunque ambivalente. In fondo - e i lettori che ci hanno benevolmente e si spera utilmente seguito sino a questo terzo anno di edizione, lo sanno -, tutta l’impostazione del nostro percorso di confronto, aggiornamento e cultura, è già di fatto basata su prospettive di prevenzione vascolare: talvolta chirurgica, spesso farmacologica, sempre comportamentale per l’attenzione agli stili di vita. L’ambizione di iniziare il 2009 con il “cappello” della prevenzione nasce da un nostro particolare impegno in operazioni di più vasto respiro dirette al grande pubblico. Piace citare la collana di volumi “Guida alla Prevenzione” di Rizzoli-Corriere della Sera sotto l’egida della Fondazione Umberto Veronesi o la prossima diffusione del volume delle Edizioni Minerva Medica “Guide to self-care” prodotto dalla Mayo Clinic. E’ ambivalente d’altronde l’intenzione di unire la prevenzione ancora una volta al tema della “stasi venosa”. L’IVC o DVC, come meglio oggi vengono articolati i Disturbi Venosi Cronici, ed ancor più il tromboembolismo venoso che tanto si lega a questi, ci preoccupa e ci occupa nel trattarli. Per i Leading articles, sfumato il tradizionale articolo di autorevoli colleghi internazionali per un ritardo, ho affrontato personalmente e insieme ad un noto esperto angiologo dapprima il rischio tromboembolico venoso nei pazienti internistici, tema cruciale giunto all’attenzione dei medici di famiglia solo di recente; singolarmente poi, la prevenzione nel paziente post-trombotico, gruppo numericamente rilevante. L’Aggiornamento in Slides completa questi articoli.
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Poiché entrambi questi gruppi di pazienti a rischio trombotico acuto necessitano di compressione elastica, la Sezione Counselling, più didascalica quanto interrogativa di problemi, tratta appunto il vasto capitolo della compressione, pietra miliare della lotta alla stasi. Sia concesso, per questo spazio, un piccolo aneddoto personale sulle calze elastiche e la loro presunta difficoltà ad indossarle in un Paese del mare e del sole come l’Italia. In quella bellissima isola che è Favignana, che di mare e sole è ricca, nell’estate del 2008 proprio in un luogo chiamato Nautilus (vedi foto all’interno) ho avuto occasione fortuita di visitare un notissimo e simpaticissimo “indigeno” con severi DVC a rischio di alterazioni trofiche. La prescrizione di calze elastiche traspi-
ranti associate al giusto farmaco ha ottenuto immediatamente i suoi effetti: il “personaggio” (qui non lo voglio chiamare paziente) indossa le calze con beneficio e senza problemi! La Sezione Cultura, caratterizzata in immagine dalla “Città che sale” di Boccioni nell’anno centenario del Futurismo, grazie all’articolo di Sergio Harari, medico illustre e opinionista del Corriere della Sera, in qualche modo ci riporta alle necessità di un movimento generale di prevenzione per la sanità pubblica nelle nostre città, che attraverso uno sforzo congiunto di amministratori e architetti, cittadini residenti e lavoratori pendolari, e non ultimi di certo i medici, modifichi lo sviluppo e l’uso delle nostre città moderne nel momento in cui si sta andando verso il 2010 quando oltre il 50% della popolazione mondiale vivrà in città, con sempre maggiori necessità di integrazione di differenti popolazioni.
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Il rischio tromboembolico venoso nel paziente internistico. Il ruolo del medico di medicina generale Giovanni B. Agus*, Guido Arpaia** * Direttore Sezione di Chirurgia Vascolare e Angiologia, Dipartimento di Scienze Chirurgiche Specialistiche, Università di Milano ** Direttore U.O.S. di Angiologia, Azienda Ospedaliera di Desio e Vimercate, Presidio di Vimercate, Milano
Nella prima pagina del più recente Documento Internazionale di Consenso sul tromboembolismo venoso (TEV), stilato dall’Unione Internazionale di Angiologia (UIA) come Linee Guida basate sull’evidenza scientifica (1), colpiscono due affermazioni: - la triade di Virchow dei fattori predisponenti al TEV include stasi venosa, alterazione dei costituenti ematici e modificazioni endoteliali. Questi fattori sono validi oggi come quando originariamente postulati nel XIX secolo; - un effetto della TVP spesso sottostimato è l’insufficienza venosa cronica [IVC] post-trombotica, che deriva dal reflusso venoso o dall’ostruzione venosa profonda, con modificazioni e ulcerazioni cutanee di impatto notevolmente avverso sulla qualità di vita e sui costi sanitari [SPT]. Pur ribadendo infatti il Documento, e così altre Linee Guida (2, 3), l’importanza del TEV in pazienti chirurgici, sempre più in maniera forte e convincente si è compreso come i principali fattori clinici predisponenti al TEV siano presenti in più larga parte in pazienti non chirurgici, definibili internistici. Non volendo appesantire questa lettura con elen-
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chi numerici riguardo i dati epidemiologici, che peraltro devono essere ricordati se non altro nella essenzialità della nozione del TEV quale terza causa di morte cardiovascolare e in pazienti “insospettati” sino ad ora (Tab. 1), si porterà direttamente l’attenzione al fatto che il primo fattore della triade è realmente importante nella popolazione extra-ospedaliera e comunque non chirurgica. L’età avanzata, l’obesità, l’immobilità o ipomobilità, la presenza di varici o pregresse TVP (le prime disturbi venosi cronici o DVC; le seconde, SPT, facenti parte dell’IVC), costituiscono un insieme di fattori caratteristici della stasi venosa. Alterazioni dei costituenti ematici e modificazioni EPIDEMIOLOGIA REALE DEL RISCHIO TEV • Circa i ¾ del TEV si riscontrano in pazienti medici • Circa ¼ di TEV è riscontrato in pazienti chirurgici, nei quali i singoli fattori di rischio rappresentano precise condizioni Donald Schreiber, Stanford University
Tabella 1
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CONDIZIONI INTERNISTICHE DI RISCHIO TEV GRADO ALTO
GRADO INTERMEDIO
> 75 anni
60/75 anni
Pregresso TEV
Familiarità per TEV
SPT/Trombosi venosa superficiale
Gravidanza/Puerperio/Abortività/Estroprogestinici
Trombofilia
Fumo (>15 sigarette/die)
Neoplasie
Obesità
Malattie autoimmuni
Insufficienza venosa cronica
Infarto miocardico
Sepsi
Scompenso cardiaco (III-IV NYHA)
Scompenso cardiaco (I-II NYHA)
Ictus
TIA
Immobilizzazione
BPCO/Malattie infiammatorie dell’intestino
Ricovero in terapia intensiva
Recente ricovero ospedaliero (>10 giorni)
Tabella 2
FREQUENZA DI TVP IN PAZIENTI INTERNISTICI IN ASSENZA DI PROFILASSI ANTITROMBOTICA GRUPPI DI PAZIENTI
NUMERO PAZIENTI (studi storici al 2004)
INCIDENZA (media pesata)
Ictus
395
224 (56%)
Lesione midollare
458
160 (35%)
Pazienti in terapia intensiva
178
45 (25%)
Infarto miocardico
180
40 (22%)
Medicina generale
2822
228 (8,1%)
Geriatria
131
12 (9%)
Tabella 3
endoteliali d’altronde, certo presenti in molteplici situazioni chirurgiche, sono facilmente riscontrabili in patologia tumorale, frequente, quanto secondari a stati trombofilici, meno frequenti nella popolazione ma non però rari (circa il 7% per alcuni fattori trombofilici). IL MEDICO DI FAMIGLIA E’ facile intuire pertanto perché il medico di famiglia o MMG sia direttamente e fortemente implicato ne “il problema e la necessità della preven-
zione” (questo è il titolo dell’introduzione del Documento dell’UIA citato) ovvero nel prevenire il TEV in molti dei suoi abituali pazienti (Tab. 2) e di fatto sia “in prima linea” nell’affrontare il TEV extra-ospedaliero. Ancora una volta, per non annoiare con gli imprescindibili numeri di una medicina basata sulle evidenze, sarà sufficiente posare uno sguardo sulla Tab. 3 che riporta riferimenti bibliografici autorevoli (1) e le percentuali di rischio in determinati gruppi di pazienti internistici, tra cui non devono essere sottovalutati l’8-9% dei comuni pazienti medici e anziani.
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SITUAZIONI INTERNISTICHE DI FREQUENTE RISCONTRO Ormai da una decina d’anni sappiamo che anche nei reparti di medicina il problema del TEV è molto importante. Samama nel suo lavoro comparso sul New England Journal of Medicine nel 1999 aveva dimostrato che il 15% circa dei pazienti ricoverati nei reparti non chirurgici può sviluppare una trombosi. Sino ad allora questi dati erano stati ipotizzati solo sulla base di studi autoptici che affermavano che la maggior parte di morti per embolia polmonare in ospedale sarebbe provenuta dai reparti medici piuttosto che chirurgici (Sandler, 1989). Per di più, il rischio TEV non si conclude con la dimissione ed è presente anche dopo il superamento della fase acuta della malattia. E’ ormai acquisita la prassi di proseguire la profilassi della trombosi al domicilio del paziente dopo molte situazioni postchirurgiche, ed il MMG ne diviene il gestore della prevenzione prolungata. Del tutto recentemente, grazie ai risultati dello studio Exclaim, anche per i pazienti medici è stata dimostrata la possibilità di sviluppare una trombosi venosa ed eventualmente una embolia polmonare, una volta dimessi e tornati alle loro case. Situazioni chiaramente internistiche sono anche quelle riscontrabili in terapia intensiva ed in cardiologia, peraltro più accomunabili al rischio TEV in chirurgia per l’ambito ospedaliero di riscontro e trattamento. Vengono di seguito ricordate situazioni viceversa riscontrabili nella quotidianità del MMG. SINDROME POST-TROMBOTICA E TROMBOSI VENOSE SUPERFICIALI La SPT rappresenta a nostro avviso un capitolo di rischio talmente specifico che tornerà più adeguatamente trattato in altri articoli di questo numero. Qualche riga vogliamo spendere qui per ricordare come anche le tromboflebiti, o trombosi venose superficiali (TVS), considerate a lungo malattia benigna quale comune complicanza delle varici, possono portare ad embolia polmonare in molti casi, ed essere fatali in altri.
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Pur non ben quantizzate in studi epidemiologici, un rilevante studio italiano indicò una inaspettata alta percentuale di embolie polmonari nonostante fosse assente ogni sintomatologia (4). Il significato clinico delle TVS , al di là dei classici segni alla palpazione di cordone con edema circostante, doloroso, eritematoso, ipertermico (tumor, dolor, rubor, calor) assume per queste nuove acquisizioni rilevanza e maggior attenzione diagnosticoterapeutica. Ed ancora una volta il trattamento eparinico con EBPM, unito alla compressione elastica ed alla deambulazione, trova la prima indicazione di cura e prevenzione dell’estensione della trombosi. NEOPLASIE Dovrebbe essere noto che la complicanza tromboembolica venosa costituisce la seconda causa di morte nel paziente neoplastico; infatti una serie di dati osservazionali hanno mostrato come la prognosi dei pazienti con TEV e cancro sia peggiore che in pazienti con solo cancro. Viceversa, certo è noto come circa il 20% dei pazienti con TEV acuto ha una neoplasia in atto e molto spesso la diagnosi di TEV e cancro è concomitante, oppure la neoplasia si manifesta e si scopre entro 12-18 mesi dall’evento trombotico. Né si consideri che si stia parlando di oncologia chirurgica facendo rientrare il rischio TEV nella chirurgia, anche se questa evidentemente ne aumenta il rischio (raddoppia rispetto ai pazienti non neoplastici). Per tali motivi, l’argomento è stato oggetto di approfondimenti e aggiornamento all’ultimo Congresso della SIAPAV (5). Primo, i pazienti neoplastici presentano uno stato di ipercoagulabilità di base anche in assenza di trombosi manifeste. L’attivazione della cascata coagulativa documentata da alterazioni dei test dell’emostasi è presente in circa il 90% dei pazienti e coinvolta nella crescita locale della neoplasia. Per quanto riguarda la tipologia dei tumori, le neoplasie polmonari, gastrointestinali, dell’ovaio e i gliomi maligni hanno un’incidenza di TEV del 10-30%; le neoplasie oncoematologiche del 10% (è il caso dei linfo-
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mi di Hodgkin e non-Hodgkin). Pertanto, sul piano clinico, la comparsa di un edema acuto (va ipotizzata una TVP o la compressione venosa da massa tumorale soprastante l’asse venoso), la comparsa di trombosi venose superficiali e/o migranti su vene sane, deve far porre domande urgenti sul singolo caso e decisioni sull’effettuare più ampi screening di popolazioni che potrebbero beneficiare di una profilassi primaria del TEV e dello stesso tumore, grazie all’uso di EBPM. L’eparina infatti si è rivelata efficace nel prevenire la tromboembolia quanto l’evoluzione dello stesso tumore. Nei pazienti affetti da tumore e TEV la EBPM è risultata sin dai primi studi, in particolare, più efficace degli anticoagulanti per via orale (somministrati per 6 mesi) nella riduzione del rischio di tromboembolia recidivante (probabilità di recidiva a 6 mesi = 17% vs 9%) senza aumentare il rischio di emorragie gravi (6% vs 4%) o di emorragie in genere (14% vs 19%). Il tasso di mortalità sei mesi dopo il primo evento tromboembolico risulta minore con l’uso dell’EBPM che con gli anticoagulanti per via orale. Ma anche le stesse terapie mediche oncologiche aumentano di per se il rischio di TEV e i pazienti sottoposti a chemioterapia sono responsabili del 13% degli eventi tromboembolici nella popolazione. Utilizzare EBPM prima di sottoporsi alla chemioterapia riduce i rischi di TVP. A queste conclusioni è giunto il più ampio studio al mondo sull’efficacia dei farmaci antitrombotici nei pazienti malati di cancro. Agnelli, dell’Università di Perugia, ne ha riferito a San Francisco al 50° Congresso dell’American Society of Hematology (ASH), a fine 2008. Uno studio multicentrico, condotto su 1.166 pazienti con tumore in fase avanzata ai polmoni (279), colon (235), seno (165), ovaie (143), stomaco (98), retto (87), pancreas (53), testa e collo (36) e in altri distretti (54) ha utilizzato una EBPM a tale scopo. Ad alcuni pazienti è stato somministrato il farmaco, ad altri un placebo. Il trattamento è iniziato in coincidenza con il primo ciclo di chemioterapia, ed è stato prolungato per un massimo di 4 mesi. Solamente 16 dei 769 malati trattati con la EBPM ha avuto qualche caso di TVP (2,1%), rispet-
to ai 15 dei 381 pazienti a cui era stato dato il placebo (3.9%). Inoltre il farmaco è risultato sicuro, con una percentuale molto bassa di malati con perdite di sangue (0,7%). Un altro importante dato messo in evidenza dalla ricerca italiana indica come i tumori che determinano più trombosi siano quelli al polmone e al pancreas. Infine, ricorderemo come anche i pazienti oncologici in radioterapia e in ormonoterapia (tamoxifene) vedano incrementata la possibilità di insorgenza di trombosi. Sulla terapia del TEV in tutti questi pazienti , il MMG si troverà nella necessità di trattare con EBPM o continuare questo trattamento iniziato dallo specialista angiologo od oncologo, per un periodo prolungato a 3-6 mesi (grado 1A), e successivamente usando anticoagulanti orali o EBPM a tempo indeterminato o finché il cancro non sia risolto (grado 1C). In caso di rilievo occasionale di TEV/EP asintomatiche è raccomandato lo stesso trattamento del TEV sintomatico (grado 1C) (3). IPOMOBILITÀ ED IMMOBILITÀ La chiave di volta del problema è sicuramente rappresentata dalla immobilizzazione (6). Già Virchow - che non finiremo mai di ammirare per la sua lungimiranza in molti punti miliari della storia della medicina - aveva ipotizzato come questa potesse essere di per se causa di trombosi. Nel paziente allettato o comunque ipomobile la velocità del sangue nelle vene degli arti inferiori, in carenza di pompa muscolare, attivata a sua volta dal cammino, rallenta molto, la carenza di ossigeno determina danno della parete del vaso e le malattie concomitanti possono determinare a loro volta uno stato di attivazione della coagulazione. Usualmente si considera che un allettamento di tre o più giorni può esporre a rischio trombotico. Lo score di probabilità clinica di Wells (2001) prevede oltre ad altri dati clinici ed anamnestici proprio questa situazione per porre il sospetto di TVP in pazienti con edema improvviso. Come considerare e classificare il livello di ipomobilità? Lo studio Exclaim, già citato, per la prima volta ne prevedeva una sorta di
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graduazione. La popolazione in studio era stata infatti selezionata in base all’età (> di 40 anni), ai giorni di ipomobilità trascorsa, alla malattia che ha comportato l’ospedalizzazione. Il livello di autonomia è stato poi stratificato in base alla capacità di muoversi autonomamente anche se in maniera limitata. Appartenenti al livello 1 sono stati classificati i pazienti incapaci di muoversi con autonomia e pertanto costretti alla immobilità tra letto e poltrona, al livello 2 quelli capaci di fruire senza aiuto dei servizi igienici ma comunque costretti alla ipomobilità per il resto del tempo. L’età superiore od uguale ai 75 anni od una storia di pregressa TEV, od ancora una diagnosi di cancro erano nel secondo caso una caratteristica necessaria a considerare a rischio i pazienti (7). Non molto si sa su incidenza e prevalenza degli eventi TEV nei pazienti cronicamente ipomobili e soprattutto ancora meno si sa sulla opportunità e sulla eventuale durata della profilassi meccanica o farmacologica in questo tipo di situazioni. Da dati epidemiologici (Heit, 2002) il 13% degli episodi di trombosi ed embolia polmonare sarebbero a carico di persone ricoverate in residenze sanitarie (RSA). L’attitudine alla profilassi in questi ambienti, da dati francesi (8), sarebbe maggiore per pazienti il cui soggiorno è programmato come breve (22.4%) od in fase post-acuta (9.8%), piuttosto che il lungo-degenti (3.1%). Vi è grande differenza numerica quando si indaghi una possibile trombosi con una indagine strumentale rispetto alla osservazione puramente clinica. Quando le persone prolungatamente allettate sono sottoposte ad indagine ultrasonografica, il metodo attualmente ritenuto più efficace e con un ottimo rapporto costo/beneficio per la diagnosi vascolare venosa, viene riscontrata una prevalenza del 13% di TVP sia sintomatiche che asintomatiche (Sellier, 2008). L’incidenza di TEV sintomatico, cioè caratterizzato da una clinica suggestiva con intero arto o gamba gonfia, varierebbe invece dagli 1.3 agli 1.5 eventi/100 pazienti/anno (Gomes, 2003; Gatt 2004). Negli ultimi anni, noi stessi, nella provincia di Milano, stiamo riscontrando il problema della TVP in pazienti in fase non acuta di malattia. In particolare abbiamo potuto raccogliere dati in ambienti riabilita-
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tivi dedicati a persone affette da malattie neurologiche croniche quali la sclerosi multipla, su di un nutrito gruppo di pazienti allettati a domicilio seguiti dai servizi di Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) e su pazienti istituzionalizzati in RSA. In tutti i casi viene fatta una distinzione tra ipomobilità assoluta e relativa escludendo dalle indagini chi può camminare autonomamente in casa o nell’ambito della residenza, registrando i casi già in terapia anticoagulante per altre co-morbidità o con profilassi farmacologica antitrombotica (eparina calcica/EBPM). La prevalenza di TVP in fase acuta od in esiti documentati è risultata del 12% circa nei pazienti con malattia neurologica, equivalente in quelli seguiti al domicilio dai servizi ADI e addirittura del 30% nei ricoverati presso una RSA. Pur essendo dati del tutto preliminari che necessitano di ulteriori valutazioni su fattori di rischio personali, livello di mobilità, patologie concomitanti e trattamenti farmacologici associati, essi confermano la presenza di un problema per ora irrisolto circa la opportunità di un trattamento profilattico in queste categorie di pazienti. In molti casi infatti l’esistenza di residui trombotici in carenza di una pregressa diagnosi documentata di TVP non consente di datare l’evento; e la stessa variabilità del tempo di allettamento dall’esordio della patologia, concomitante all'esecuzione della indagine ultrasonografica, può risultare confondente. Infine, in tempi di deospedalizzazione precoce e di trasferimento dell'assistenza post-acuta dall’ospedale al territorio, molte delle problematiche che erano riservate al periodo di degenza in nosocomio ricadono sul MMG. Probabilmente, il paziente nel suo letto di casa non corre rischi diversi da quello ricoverato in ospedale od in una residenza sanitaria. Non vi sono allo stato delle conoscenze linee-guida sulla profilassi del TEV prolungata e lo stesso uso delle eparine non è scevro da problemi quando divenga indefinito. E’ possibile in questi casi ipotizzare un ruolo per la profilassi meccanica in particolare con calze antitromboemboliche in grado oltre che di ridurre le probabilità di sviluppare una trombosi, di contrastare lo sviluppo di edemi declivi posturali da disuso, molto frequenti nei pazienti non deambulanti ed a loro volta invalidanti.
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L’ANZIANO “FRAGILE”
LA BPCO
L’invecchiamento della popolazione comporta una serie di problematiche emergenti che coinvolgono sia il versante sanitario che sociale. La domanda di salute aumenta mentre le disponibilità economiche diminuiscono. Sarà sempre più fondamentale “mirare” alla persona più che alla categoria. Dare e fare cioè tutto quello che serve, ma solo a chi serve evitando di disperdere risorse a pioggia. Il termine “fragile”, frailty, in geriatria viene utilizzato per definire ed inquadrare lo stato di autosufficienza dell’anziano, in un certo modo indipendentemente dall’età e dalle patologie di cui è affetto, anche se l’accumularsi di queste sicuramente influenza il dato finale. Hazzard ha così descritto nel 2004 la condizione di fragilità: “… un uomo, o più spesso una donna, che vive sul filo del rasoio, in bilico tra il mantenimento della propria indipendenza e il rischio di una tragica cascata di eventi patologici, disabilità e complicanze, che troppo spesso si dimostrano irreversibili, rappresentando i più complessi problemi che i medici e tutte le figure professionali sanitarie si trovano a dover affrontare… Si tratta di un’enorme sfida in quanto la coesistenza di molteplici patologie croniche e progressive è la regola, mentre problemi semplici, che si risolvono spontaneamente o che facilmente si curano, rappresentano l’eccezione…” Il Canadian Study of Health and Aging ha fornito una scala di valutazione del grado di fragilità che ci consente di classificare adeguatamente lo stadio in cui si trova il paziente e che anche ci aiuta a comprendere la sua definizione nella pratica clinica: si va dalle persone ancora in forma (fit) o in buone condizioni (well), senza malattie evidenti ma meno attive rispetto al gruppo precedente; a persone vulnerabili con sintomi di malattia, “rallentamento” nello svolgimento delle attività quotidiane, ad altre moderatamente fragili che necessitano aiuto in tutte le attività quotidiane, sino ai gravemente fragili, dipendente in maniera totale dagli altri. In Italia si stima in più di un milione il numero degli anziani fragili con una prospettiva di raddoppio nei prossimi 20 anni. Qui anche, si annida il pericolo TEV che deve essere considerato e prevenuto (9).
La broncopneumopatia cronica ostruttiva è tra le affezioni mediche oggi più frequenti e di mortalità alta. Si stima una mortalità di 33/100.000 abitanti/anno. E’ difficile calcolare il peso del TEV in questa mortalità, ma certamente la relazione tra le due patologie ha una lunga storia con dati di incidenza del TEV tra 28-51% (10) e sempre maggiori evidenze ne riportano l’attenzione tra le malattie croniche di comune osservazione del MMG. Perché tale presenza reale del pericolo TEV in questi pazienti ? Sono stati descritti valori plasmatici elevati della frazione 1+2 della protrombina, del Ddimero e del fibrinogeno, maggiori in affetti da BPCO che in soggetti sani, così come si è rilevato l'aumento di sintesi del trombossano, riflesso di attività piastrinica ed è stato suggerito uno vero e proprio stato protrombotico in questi pazienti. Sembra esservi relazione tra fumatori e non fumatori, ed una eccellente review ha evidenziato i meccanismi potenziali procoagulanti del tabacco, vari dei quali coincidenti con i fattori caratteristici della BPCO già ricordati, oltre ad incremento dell’omocisteina e diminuzione dell’antitrombina III (11). Nonostante tali evidenze del problema, risulta tutto ancora da indagare l’impiego preventivo dell’anticoagulazione nei pazienti in fase stabile; risultando più studiata le prevenzione nel paziente medico acuto (12). LA CHANCE EBPM NELLA PREVENZIONE DEL TEV NEL PAZIENTE INTERNISTICO Negli ultimi 20 anni, e con una progressione crescente, molti studi stanno via via mostrando come le EBPM rappresentino una valida terapia delle TVP e di prevenzione delle embolie polmonari; riducendo inoltre varie complicanze dell’evento, sia acute come le emorragie, sia croniche come la SPT. L’elenco della letteratura va infatti infittendosi (Belch, 1981; Halkin, 1982; Gardlund, 1996; Samama, 1999; Mismetti, 2000; Goldhaber, 2000; Arpaia, 2000; Merli, 2001; Meyer, 2002; Cohen, 2003; Leizorovicz, 2004; Hull, 2006; Dentali, 2007; Gonzàlez-Fajardo, 2008).
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Per tale motivo scegliamo qui, in conclusione, di citare un solo lavoro, recente ed italiano, di trattamento con EBPM, domiciliare “semplificato”. Lo studio condotto in Italia e pubblicato dapprima su Minerva Cardioangiologica, come premio di miglior presentazione a Congresso della SIAPAV, poi negli USA riscontrando significativo interesse (13), rappresenta, come detto, esempio di terapia domiciliare in pazienti prevalentemente internistici (immobilizzati, con TVP idiopatica ...). Questo, valutando l’efficacia di due diverse EBPM e mettendole a confronto, una delle quali la parnaparina. Lo studio ha confermato l’efficacia delle EBPM sia in termini di prevenzione del rischio tromboembolico, sia di sicurezza per complicanze emorragiche. Di particolare interesse, i dati hanno dimostrato che non esiste differenza significativa in termine di rischio tromboembolico, di complicanze emorragiche, né di eventi avversi tra una somministrazione a dosaggio terapeutico per tutto il periodo di trattamento o a dose terapeutica solo per il primo mese seguita da una dose dimezzata successivamente. Ciò è risultato più evidente per il gruppo di pazienti trattati con la parnaparina. Non ultimo, sempre nel gruppo parnaparina, l’EBPM ha maggiormente favorito un più rapido processo di ricanalizzazione del vaso, ottenendosi una ricanalizzazione venosa totale a 3-6 mesi nel 62% dei casi Bibliografia 1. Nicolaides AN et Al. Prevention and treatment of venous thromboembolism. International Consensus Statement (Guidelines according to scientific evidence). Intern. Angiol. 2006; 25: 101-61. 2. Agus GB, Allegra C, Arpaia G et Al. Linee Guida diagnostico- terapeutiche delle malattie delle vene e dei linfatici. Acta Phlebologica 2000; 1 (Suppl.1 al n.1):1- 55. Revisione 2003 in Acta Phlebologica 2003; 4: 1-52. 3. Kearon C, Kahn SR , Agnelli GC, Goldhaber S, Raskob GE and Comerota AJ. Antithrombotic Therapy for Venous Thromboembolic Disease: American College of Chest Physicians EvidenceBased Clinical Practice Guidelines (8th Edition). Chest 2008; 133: Supplement.
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4. Verlato F, Zucchetta P, Prandoni P et Al. An unexpectedly high rate of pulmonary embolism in patients with superficial thrombophlebitis of the thigh. J Vasc Surg 1999; 30: 1113-5. 5. Carlizza A. Approccio clinico alle trombosi venose nel paziente neoplastico. Min Cardioangiol 2008; 56, Suppl 1 al N. 6: 24-7. 6. Bosson JL, Pouchain D, Bergmann JF for the ETAPE Study Group. A prospective observational study of a cohort of outpatients with an acute medical event and reduced mobility: incidence of symptomatic thromboembolism and description of thromboprophylaxis practices. J Intern Med 2006;260:168-76. 7. Hull RD, Schellong SM, Tapson VF, Monreal M, Samama MM, Turpie AGG, Yusen RD: late breaking clinical trial: Extended-duration venous thromboembolism (VTE) prophylaxis in acutely ill medical patients with recent reduced mobility: The EXCLAIM study. J Thromb Haemost 2007; 5, Suppl 2. 8. Trivalle C, Ongaro G for the European Acadamy for Medicine of Ageing (EAMA). Use of low molecular weight heparin for medical prophylaxis by European geriatricians. Rev Med Interne 2006;27:10-5. 9. Folsom AR, Boland LL, Cushman M et Al. Frailty and risk of venous thromboembolism in older adults. J Gerontol A Biol Sci Med Sci 2007;62:79-82. 10. Tille-Leblond I, Marquette C-H, Pérez T et Al. Pumonary embolism in patients with unexplained exacerbation of chronic obstructive pumonary disease: prevalence and risk factors. Ann Intern Med 2006; 144: 390-6. 11. Tapson VF. The role of smoking in coagulation and thromboembolism in chronic obstructive pulmonary disease. Proc Am Thorac Soc 2005; 2: 71-7. 12. Tapson VF, Decousus H, Piovella F et Al. A multinational observational color study in acutely ill medical patients of practices in prevention of venous thromboembolism: findings of the International Medical Prevention Registry on Venous Thromboembolism (IMPROVE). Blood 2003; 102, Suppl: 321a. 13. Bellosta R, Ferrari P, Luzzani L et Al. Home therapy with LMWH in deep vein thrombosis. Angiology 2007; 58: 316-22.
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Sintomi da sindrome post-trombotica. Un caso di prevenzione necessaria Giovanni B. Agus Direttore Sezione di Chirurgia Vascolare e Angiologia, Dipartimento di Scienze Chirurgiche Specialistiche, Università di Milano
come concomitanti fattori di rischio quali l’obesità, Riprendendo opportunamente l’affermazione del la posizione ortostatica prolungata ed anche sempliDocumento Internazionale di Consenso sul tromboci situazioni quali tosse, starnuto, accovacciamento, embolismo venoso dell’UIA (1), già citato in apertusforzo, compressioni ecc., facciano sì che il flusso ra del precedente articolo - “un effetto della TVP centripeto della colonna ematica venosa subisca un spesso sottostimato è l’insufficienza venosa cronica freno o addirittura un’inversione ed in tali condizioni post-trombotica [SPT], che deriva dal reflusso venosi verifichi un aumento della quantità di sangue so o dall’ostruzione venosa profonda, con modificasospinta verso il circolo superficiale attraverso le zioni e ulcerazioni cutanee di impatto notevolmente vene perforanti divenute incontinenti già di per se avverso sulla qualità di vita e sui costi sanitari” -, per la pregressa trombosi profonda. aggiungeremo come a questa piaga sociale ed economica delle ulcere sia affiancato il reale rischio di recidiva trombotica in molti casi. FLUSSO DEL SANGUE La SPT in passato comportava sequele a 15 IN CONDIZIONE FISIOLOGICA (a) E PATOLOGICA (b) anni di distanza superiori all’80%. Grazie all’era della profilassi e terapia eparinica e della compressione graduata è sicuramente migliorata la storia naturale nella maggioranza dei casi. Esiste tuttavia ancora un’alta percentuale di pazienti che va incontro ad un deterioramento progressivo della circolazione venosa causato dall’ipertensione venosa cronica e dello stato trofico cutaneo dell'arto, oltre che a recidiva trombotica. Un atteggiamento più aggressivo al problema è pertanto raccomandabile proprio sul piano della prevenzione e della gestione del corredo sintomatologico del paziente. b a Questa deve partire da un counselling attento Figura 1 ad aspetti in genere trascurati. Basti pensare
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LA SINTOMATOLOGIA DELLA SPT L’instaurarsi di una ipertensione venosa cronica pone sotto pressione continuativamente il microcircolo superficiale dell’arto interessato, determinando tipicamente un corredo di sintomi quali dolore, pesantezza, gonfiore, crampi, prurito o formicolii che possono risultare intermittenti o, più spesso, permanenti. Un’indagine epidemiologica recente su di una popolazione con pregressa TVP ha registrato lo sviluppo di insufficienza venosa nel 7,3% dei pazienti già ad un anno dall’evento trombotico, percentuale che saliva al 14,3% a cinque anni ed al 19,7% a dieci anni. Si stima che oltre il 25% dei nuovi pazienti con sintomatologia venosa siano da ricondurre a eventi trombotici pregressi, più o meno diagnosticati, e che nella maggior parte dei casi l’esordio dei sintomi si ha fra il primo ed il secondo anno dall’evento acuto (2, 3, 4). Attualmente non esistono molti score diagnostici validati in letteratura per la valutazione della SPT. Fra i più riconosciuti vi è lo score di Villalta, che riportiamo nella sezione Aggiornamento in Slides del presente numero di Nautilus. Si tratta di uno strumento agile che permette in modo semplice e rapido di valutare la severità della SPT nel paziente in esame. LE VARICI SECONDARIE NELLA SPT Le vene superficiali, esaurita la funzione di supplenza nel momento dell’ostruzione della via principale il circolo profondo trombizzato -, sono soggette alle tipiche degenerazioni di parete che portano alla dilatazione, dando luogo al quadro clinico delle varici post-trombotiche. E’ utile al riguardo riprendere i nuovi concetti sintetizzati nella review di Bergan del 2006 sulla evoluzione dei Disturbi Venosi Cronici, in particolare riguardo alla genesi delle varici, che vedono il danno endoteliale, prodotto dalla ipertensione venosa, e l’infiammazione a carico del microcircolo e delle vene superficiali, quali promotori di una alterata produzione di collagene, attraverso lo sbilancio del sistema regolatore proprio delle metalloproteinasi (MMPs 2,9). L’alterazione della produzione del collagene Tipo I (elasticità) e Tipo III (resistenza) è alla base della deformazione venosa che caratterizza la patogenesi varicosa.
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LA SPT SEVERA La stasi venosa generalizzata al macrocircolo, oltre che alla microcircolazione, è in grado di fare progredire i segni della patologia venosa in tempi molto più rapidi, rispetto al paziente sintomatico idiopatico (Fig. 1). Soprattutto dalle alterazione del microcircolo deriva la sofferenza tissutale le cui manifestazioni cliniche sono sotto i nostri occhi: eczema, distrofia cutanea e infine l’ulcera, a cui corrispondono gravose sintomatologie, come il dolore profondo e bruciante durante la marcia, vera “claudicatio venosa”, motivato dall’inefficienza del meccanismo di pompa muscolare del polpaccio e dall’ipertensione venosa. Dolore che diviene particolarmente intenso e continuo quando compare e si stabilizza l’ulcera; anche perché peggiorato dalle frequenti sovrainfezioni microbiche. Il dolore è frequentemente esacerbato nella notte, perfino urente, di tipo causalgico. In un precedente numero di “Nautilus” Giorgio Guarnera trattò articolatamente le correlazioni tra dolore delle ulcere e qualità della vita compromessa. Recentemente, a fine 2008, è comparsa una monografia sulla SPT che riempie un vuoto sull’affronto di questa complessa affezione (5). Sono convinto dell’utilità di una trattazione specifica ed in passato ho più volte avuto occasione di farlo (6, 7); così come non posso dimenticare l’opera del francese P. Langeron nel popolarizzare una affezione su cui regnava parecchia confusione e ignoranza, a cominciare dalla definizione poi passata da sindrome post-flebitica a s. post-trombotica. TERAPIA DELLA SPT Il recente libro di Marco Moia con Gualtiero Palareti titola il capitolo centrale “La SPT: una condizione da prevenire”. Il trattamento della SPT è infatti eminentemente preventivo, e se una terapia si impone, essa deve riguardare tanto la diagnosi e la terapia, entrambe tempestive, della TVP in fase acuta. La prevenzione delle recidive della trombosi è soprattutto farmacologica. Diversi ruoli in diversi momenti possono svolgere le eparine a basso peso molecolare così come gli anticoagulanti orali. Da 25 anni un ricca serie di studi che qui ricorderò con due soli esempi per le stessa titolazione dei
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Bibliografia 1. Nicolaides AN et Al. Prevention and treatment o f v e n o u s t h ro m b o e m b o l i s m . I n t e r n a t i o n a l Consensus Statement (Guidelines according to scientific evidence). Intern. Angiol. 2006; 25: 101-61. 2. Mohr DN, Silerstein MD, Heit JA et Al. The venous stasis syndrome after deep venous thrombosis or polmunary embolism: a populat i o n - b a s e d s t u d y. M a y o C l i n P ro c 2 0 0 0 ; 75:1249-56. 3. Heit JA, Rooke TW, Silverstein MD et Al. Trends in the incidence of venous stasis syndrome and venous ulcer: A 25-year population-based study. J Vasc Surg 2001; 33:1022-102. 4. Kahn SR et Al. Arch Intern Med 2004;164:17-26. 5. Moia M, Palareti G. Il paziente post-trombotico. Linee Guida ACCP 2008. Focus on: La cronicizzazione delle ulcere venose. Mediamed Ed Scient, Milano 2008. 6. Agus GB et Al. La sindrome post-flebitica di interesse chirurgico. Chirurgia Arch Trimestr 1978, Supplementum, CEA, Milano. 7. Agus GB. Sindrome post-trombotica. In Benedetti Valentini F ed, SICVE: Chirurgia Vascolare. Minerva Medica Ed, Torino 2001: 612- 23. 8. Buchanan MR, Brister SJ, Ofosu F. Prevention and treatment of thrombosis: Novel strategies arising from our understanding the healthy endotelium. Wien Klin SULODEXIDE - Attività antitrombotica profibrinolitica Wochenschr 1993; 105: 309-13. 9. Errichi BM, Cesarone MR, Belcaro fattore X G et Al. Prevention of Recurrent trombo D e e p Ve n o u s T h ro m b o s i s w i t h genesi inibizione della formazione Sulodexide: The SanVal Registry. di trombina (azione eparinica) Angiology 2004; 55: 243-9. trombina 10. Clinical Evidence. Venous leg inibizione della trombina ulcers. Clin Ev, BMJ Publ Group 2006; adesa al trombo (azione ombo crescita tr 15: 1-3. dermatanica) fibrina 11. Kearon C, Kahn SR, Agnelli GC, trombina attivazione Goldhaber S, Raskob GE and fibrinolisi (azione Comerota AJ. Antithrombotic Therapy PAI dermatanica) A tP for Venous Thromboembolic Disease: plasmina American College of Chest Physicians Evidence-Based Clinical Practice F.D.P. Prodotti di degradazione della fibrina Guidelines (8th Edition). Chest 2008; 133: Supplement. Figura 2 lavori pubblicati, “prevenzione” della trombosi e della trombosi ricorrente, ha documentato gli effetti antitrombotici e l’azione fibrinolitica di eparinoidi nella prevenzione delle recidive, tra cui il GAG sulodexide domina ormai la scena (8, 9). Sono poi venute, e siamo al 2008, evidenze forti sull’uso di questi farmaci, particolarmente nella cura della complicanza ulcerativa (10, 11). Della compressione elastica rigorosa durante i primi due anni dopo una TVP di qualsiasi estensione e gravità se ne parla in altro articolo. Non vanno dimenticate, perché importanti, le norme igieniche e posturali, delle quali il paziente deve essere ben istruito. Il paziente post-trombotico deve avere una vita attiva, praticare una idonea attività fisica - meglio se con programma controllato - ed anche sportiva, ridurre il peso corporeo, evitare traumatismi delle gambe, dormire con gli arti in posizione antideclive corretta. Se il trattamento della SPT è largamente preventivofarmacologico- riabilitativo, con largo spazio per farmaci a valenza fibrinolitico-antitrombotica, il ruolo della chirurgia non deve essere dimenticato seppure limitato alla risoluzione di singoli aspetti fisiopatologici (l’incontinenza irreversibile di vene perforanti; la comparsa di varici secondarie sintomatiche o causa di complicanze) o anatomici (il danno valvolare venoso profondo). L’indicazione chirurgica, in particolari casi, appare dunque importante (6, 7).
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Dal TEV alla SPT TromboEmbolismo Venoso • Una delle più frequenti malattie multifattoriali1 • Si manifesta clinicamente come Trombosi Venosa Profonda o Embolia Polmonare1 • Mortalità elevata (6%)1 • Circa il 50% degli affetti non presenta sintomi clinici manifesti1 • Circa 1/3 dei pazienti con TEV sintomatica manifesta sintomi clinici di EP1 • Fattori acquisiti ed ereditari contribuiscono al manifestarsi della patologia1 • Incidenza elevatissima in chirurgia ortopedica (chirurgia d’anca e di ginocchio, frattura d’anca)2 1. Gathof BS et al. Eur J Med Res 2004; 9: 95-103. 2. Geerts WH et al. Chest 2004; 126: 338S-400S
1
Morte per embolia polmonare in pazienti ospedalizzati
25%
75%
Pazienti Chirurgici Pazienti Medici
Cooper, Consult Pharm, 2001
2
Score clinico Ginsberg* DEFINIZIONE DI SPT Dolore e gonfiore della gamba cronici (durata > mese) con caratteristiche tipiche (miglioramento dopo una notte di riposo e con l’arto sollevato; peggioramento a fine giornata e dopo un prolungato periodo in piedi o seduto), che si sono presentati 6 mesi o più dopo una TVP prossimale In aggiunta Evidenza oggettiva di incompetenza valvolare (diagnosticata mediante pletismografia o Doppler venoso) Entrambi i criteri sono presenti
diagnosi di SPT
*Modificato da Ginsberg JS, et al. Arch Intern Med 2001; 161:2105-2109)
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Lo Score di Villalta per la S.P.T. Metodo standardizzato per la valutazione della sindrome post-trombotica SCORE CLINICO VILLALTA* SINTOMI SOGGETTIVI* SEGNI OBIETTIVI* Pesantezza Edema pre-tibiale Dolore Aumento della consistenza cutanea Crampi Iperpigmentazione Prurito Nuove ectasie venose Parestesie Rossore Dolore suscitato da pressione sul polpaccio Ulcera cutanea *Ogni sintomo o segno riceve uno score tra 0 (assente), 1 (lieve), 2 (moderato), 3 (grave), ad eccezione dell’ulcera cutanea, di cui viene semplicemente rilevata la presenza DEFINIZIONE DELLA SINDROME POST-TROMBOTICA Grave:
rilievo di ulcera cutanea in una occasione o score >15 misurato in due visite consecutive (assegnazione della PTS alla seconda visita) score tra 5 e 14 in due visite consecutive (assegnazione della PTS alla seconda visita) score <4
Lieve: Assente:
4
Source: Pesavento R, Prandoni P. Phlebology Digest 2007;20:4-8
Valutazione Grade** degli interventi per le ulcere venose della gamba Numero Risultato di studi 4 (488) frequenza di guarigione ulcera 8 (682)
5 (723)
frequenza di guarigione ulcera frequenza di guarigione ulcera
Confronto Sulodexide os + compressione vs compressione da sola Pentossifillina os vs placebo
Commento
4
0
0
0
0
alto
MPFS os+ 4 compressione vs compressione da sola
-1
-1
0
+1
moderato il punteggio della qualità attribuito per incompleta presentazione dei risultati il punteggio della coerenza attribuito per risultati in conflitto il punteggio della dimensione dell’effetto attribuito per RR/OR >2 ma <5
Tipo di evidenza: Coerenza: Dimensione dell’effetto: Applicabilità:
5
Tipo di Qualità Coerenza Applica- Dimensione Grado evidenza bilità dell’effetto 4 0 0 0 0 alto
4=RCT; 2=studi osservazionali silimilitudine dei risultati tra diversi studi basato su Rischio Relativo oppure Odds Ratio; generalizzabilità della popolazione o dei risultati
*Modificato da Nelson EA, BMJ Clinical Evidence 2008;09;1902 *Grades of Recommendation, Assessment, Development and Evaluation Working Group
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Compressione elastica. Azioni ed indicazioni certe, in discussione, discutibili... Guido Arpaia*, Giovanni Agus** *Direttore U.O.S. di Angiologia, Azienda Ospedaliera di Desio e Vimercate, Presidio di Vimercate, Milano ** Direttore Sezione di Chirurgia Vascolare e Angiologia, Dipartimento di Scienze Chirurgiche Specialistiche, Università di Milano
La pianta spugnosa del piede è la prima ad agire - vero Negli ultimi anni il trattamento compressivo delle “cuore venoso” -, in quanto durante il cammino viene malattie del sistema venoso e linfatico, ha visto un compressa tra terreno e piano osseo ed il sangue in incremento notevole delle conoscenze e delle indicaessa contenuto viene letteralmente spremuto verso zioni che giocoforza si stanno imponendo anche l’alto; a seguire, interviene la muscolatura del polpacall’attenzione di tutti i MMG. A dispetto dell’azione cio che, sempre durante la deambulazione, comprime selettiva sui grossi vasi venosi è sul microcircolo che le le vene profonde facendo progredire a sua volta la azioni “farmacologiche” della compressione si esplecolonna ematica (anche le articolazioni giocano un tano compiutamente. Solo nel tratto capillare tessuti, ruolo). Normalmente quindi pompe e valvole fanno si interstizio e cellule giungono a stretto contatto e posche durante il cammino la colonna di sangue venga sono mettere in atto gli scambi metabolici (Fig. 1). costretta a risalire gli arti inferiori e da qui i vasi addoA questo livello la pressione arteriosa residua è minima, minali per tornare al cuore. I vasi linfatici rappresentama dato che all’esterno del capillare è minore è grazie no una sorta di circolazione parallela a quella venosa; al gradiente idrostatico che avvengono molti degli nascono a fondo cieco accanto ai scambi tissutali. Ma anche le diffecapillari e si occupano, molto grosrenti concentrazioni di sali e proteiArteriole Venule solanamente, di trasportare verso il ne vi contribuiscono in funzione dei Linfa cuore, quindi ancora nelle vene, differenti gradienti osmotico ed sostanze che per caratteristiche e oncotico. Nel caso degli arti inferioca. 10% dimensioni molecolari vengono ri il ritorno venoso è ulteriormente ca. 90% assorbite tramite le fenestrature del ostacolato dalla stazione eretta, che Riassorversante venoso del capillare. Quale aggiunge la forza di gravità all’esaubimento ne sia la causa, le malattie delle vene rimento della “vis a tergo” cardiaca. solitamente colpiscono la funzione A questo scopo intervengono le Filtrazione valvolare facendo venir meno il foncosiddette “pompe venose ” la cui Capillare damentale supporto emodinamico funzione è fornire una spinta tale da alle pompe venose (Fig. 2). muovere la colonna ematica verso Interstizio La stasi che ne deriva provoca un l’alto e in profondità, con la fondaingorgo del microcircolo a monte, mentale collaborazione delle valvo- Figura 1 - Schema degli scambi alterando gli equilibri idrostatici e le venose ad impedirne il reflusso. capillaro-interstiziali
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gere emodinamicamente il sistema grazie proprio alla azione fisica sui tessuti. La pressione dall’esterno potrà far collabire le pareti di vene ectasiche superficiali o ridurre il diametro di vasi più profondi. Nel primo caso la esclusione dal circolo di vene patologiche costringerà il flusso attraverso vasi sani con funzione valvolare efficace, nel secondo si potrà ottenere il riavvicinamento di lembi valvolari ancora funzionali e comunque aumentare la velocità di scorrimento grazie alla deviazione del circolo dal sistema superficiale al profondo. Figura 2 - Schema di valvola Ma tutto questo avviene efficacenormale e danneggiata che mente solo se il paziente è in grado consente il reflusso del sangue di camminare! Una calza da sola, ma con conseguente stasi anche un bendaggio più o meno rigido, non possono se non minimamente influenzare l’emodinamica di un arto inferiore in IL RUOLO DELLA COMPRESSIONE assenza di attività muscolare. In pratica la spinta dal basso verso l’alto è fondamentale per rendere efficaLa compressione, sia mediante fasciature elastiche che ce una qualsiasi terapia venosa. rigide o calze di tipo terapeutico, è in grado di corregchimico-fisici e inducendo una “ipossia da stasi” da difficoltosa progressione del sangue ossigenato nell’unità microvascolare con danno cellulare ed attivazione infiammatoria. Si verifica quindi un circolo vizioso nel quale la carenza di ossigeno, la stasi nei capillari, l’edema interstiziale, l’accumularsi di sostanze potenzialmente tossiche, la attivazione dell’infiammazione provocano un danno alla lunga irreversibile. La stessa sintomatologia tipica dell’insufficienza venosa, pesantezza, dolore, gambe irrequiete, edema, formicolii sono determinati da questi meccanismi. L’ulcera venosa ne è l'espressione più grave ed eclatante.
AZIONI EMODINAMICHE E METABOLICHE DELLA COMPRESSIONE A livello macrocircolatorio: riduzione del calibro delle vene superficiali e profonde (Emter 1989) riduzione di circa il 40% i reflussi patologici (Sarin 1992) riduzione del sovraccarico delle valvole venose soprattutto del sistema venoso profondo (Partsch 1979) aumento della velocità del sangue di circa 5 volte (Emter 1992) aumento dell’attività fibrinolitica (Altenkamper 1979) accelerazione del trasporto linfatico (Stoberl 1989)
A livello microcircolatorio: diminuzione dell’ectasia capillaro-venulare (Curri 1989) blocco dell’ispessimento della membrana basale (Curri 1982) diminuzione dell’edema interstiziale (Stemmer 1984) miglioramento delle condizioni fisiochimiche dell’interstizio (Bollinger 1993, Rashid 1992) diminuzione della pressione endolinfatica ed interstiziale (Allegra 1995) aumento dell’ematocrito e della viscosità ematica (Allegra 1995) LG CIF su compressione, 2000
Tabella 1
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BENDAGGI O CALZE ELASTICHE? Un bendaggio normalmente viene effettuato utilizzando materiali poco elastici creando attorno alla gamba malata un baluardo rigido. I muscoli contraendosi durante la deambulazione tendono ad incrementare il loro diametro, ma la fasciatura rigida lo impedisce e tutta la forza si riversa verso l’interno sulle vene sia superficiali che profonde e gli spazi interstiziali. Si ha quindi la massima attività durante il lavoro muscolare (alta pressione di lavoro), minima durante il riposo (bassa pressione di riposo). Quest’ultima caratteristica consente di indossare un bendaggio rigido nelle 24 ore. E’ il sistema migliore per ottenere velocemente la riduzione di un edema da stasi cronica che interferisca sulla guarigione di un’ulcera. Si determina una decongestione del microcircolo consentendo a sangue fresco di arrivare alle cellule iniziando i processi riparativi tissutali. Una calza elastica si comporta diversamente, essendo appunto elastica agisce sia a riposo che durante il lavoro, ma essendo cedevole consente una certa dilatazione laterale della muscolatura ottenendo una pressione durante il lavoro inferiore rispetto al bendaggio. Lavorando anche a riposo, è intuitivo che solo pressioni basse potranno essere sopportate nelle 24 ore, mentre quelle elevate verranno indossate solo durante il giorno e con la deambulazione. Recenti acquisizioni tecnicoscientifiche hanno però aggiunto alcune variabili a questi dati. Uno dei possibili parametri per la valutazione della elasticità è il cosiddetto Indice di Stiffness. Rappresenta l’incremento di pressione trasmessa dal tutore all’aumento della circonferenza della gamba (ad esempio passando dal clino all’ortostatismo). La misura assume come base l’aumento di un centimetro. Teoricamente pertanto misurando la pressione a livello della caviglia al di sotto di una calza terapeutica di taglia corretta si dovrebbe rilevare un incremento costante aumentando la circonferenza dell’arto di un centimetro. Ebbene, non è poi così vero. Tutto dipende proprio da grado di elasticità del singolo prodotto, a sua volta determinato da tecniche di confezione, filati ecc. A parità di classe di compressione vi sono calze che incrementano di più la pressione (indice di Stiffness alto) ed altre di meno (indice di Stiffness basso). Le prime avranno pressioni di lavoro più alte delle seconde e saranno più efficaci sull’edema, ma
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saranno anche più difficili da indossare e meno sopportabili a riposo. Calze di queste caratteristiche hanno dimostrato pari o superiore efficacia rispetto ai bendaggi per il trattamento dell’ulcera venosa, con molta maggior facilità di gestione. LE NORMATIVE DI RIFERIMENTO In Italia non esiste tuttora una normativa di riferimento per la compressione elastica terapeutica mediante calze. I riferimenti sono rappresentati dalle norme riconosciute dai sistemi sanitari tedesco e francese (Fig. 3; Tab. 2), non essendo stata ancora recepita una proposta di normativa europea, in corso da anni.
Figura 3 - I marchi di qualità riconosciuti dai sistemi sanitari tedesco e francese. Devono essere repertati sulle confezioni delle calze commercializzate in quei paesi Classe 1a 2a 3a 4a
A
B
18,7 - 21,7 25,5 - 32,5 36,7 - 46,5 > 58,5
10 - 15 16 - 20 21 - 36 > 36
Tabella 2 - Livelli di compressione in mm di Hg alla caviglia secondo la normativa tedesca RAL-GZ 387 (A) e francese NFG 30-102B (B) LA CLASSIFICAZIONE DI RIFERIMENTO Le classificazioni in medicina hanno più scopi, far impazzire gli studenti, far discutere gli specialisti, essere ignorate dai medici. Ciò non di meno si tratta di tentativi per parlare una lingua comune e per far sì che lo stesso paziente abbia la stessa malattia per chiunque lo affronti. In flebologia la classificazione attualmente di riferimento per le malattie delle vene è denominata CEAP, acronimo di Clinical-Ethiology-Anatomy-
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LA CLASSIFICAZIONE CEAP Classi cliniche (C 0-6)
a = asintomatico s = sintomatico
classe 0: assenza di segni clinici visibili o palpabili di malattia venosa classe 1: presenza di teleangiectasie o vene reticolari classe 2: presenza di vene varicose classe 3: presenza di edema classe 4 (a e b): turbe trofiche di origine venosa: pigmentazione, eczema, ipodermite, atrofia bianca classe 5: come classe 4 con ulcere cicatrizzate classe 6: come classe 4 con ulcere in fase attiva
Tabella 3 Pathophysiology, grazie alla quale è possibile descrivere in maniera estremamente precisa la situazione del singolo paziente Nella pratica clinica la parte della CEAP di uso corrente è la parte riferita alla lettera C, la condizione clinica (Tab. 3). LE INDICAZIONI CERTE
Le trombosi venose - E’ ormai assodato che la compressione elastica, con la deambulazione e il trattamento antitrombotico-anticoagulante, riveste un ruolo fondamentale nel trattamento delle trombosi venose sia superficiali (TVS) che profonde (TVP). Nel caso delle TVS una prima classe RAL sembra efficace vista la estrema superficialità delle vene interessate (safene, varici…). La prescrizione deve essere fatta all’atto della diagnosi e la calza fatta indossare nelle ore diurne, la deambulazione deve essere incoraggiata. Nel caso delle TVP la classe di compressione più adatta sembra essere la 2 RAL, anche se la letteratura anglosassone tende a privilegiare la 3. Anche in questo caso la calza deve essere prescritta da subito per ottenere la dimostrata accelerazione nella riduzione del trombo oltre che per prevenire il danno valvolare con conseguente sindrome post-trombotica (SPT). La calza deve essere indossata durante il giorno, il paziente deve camminare (proscritto il riposo a letto!) e la durata del trattamento deve proseguire per almeno due anni. Il solo gambaletto ha dimostrato altrettanta efficacia di monocollant e collant. Altrettanto importante il ruolo delle calze antitromboemboliche (ATE) per la pre-
venzione delle trombosi nei pazienti a rischio. Questo tipo di tutori, classicamente caratterizzati da compressioni decrescenti 18 __ > 8 mm Hg dalla caviglia alla coscia, possono essere indossati nelle 24 ore da pazienti allettati o comunque ipomobili. Ottengono un importante incremento della velocità di flusso nelle vene profonde. Essendo la stasi assieme al danno di parete ed alla ipercoagulabilità le tre cause riconosciute delle trombosi, riducono da sole o specie in associazione con eparina di oltre il 70% il rischio trombotico. Vanno considerate in tutti quei casi nei quali i farmaci sono controindicati e negli allettamenti prolungati per malattie croniche. La Malattia Venosa Cronica (MVC) - La MVC con varici (CEAP 2), in assenza di segni di sofferenza da stasi cronica dei tessuti, trova nella compressione la prima base del trattamento insieme a farmaci flebotropi (diosmina ed altri). L’indicazione è per una calza con compressione di almeno 18 mmHg alla caviglia, 2 classe francese o 1 classe tedesca RAL-GZ 387. La presenza di segni di sofferenza tissutale (CEAP 4) darebbe indicazione ad incremento della compressione (2 o 3 classe RAL), dato ancora più valido nel caso della prevenzione della recidiva di ulcera venosa (CEAP 5); quanto all’uso di farmaci efficaci come i GAGs, tra i quali il sulodexide. Il trattamento dell’ulcera (CEAP 6) può prevedere sia l’uso dei bendaggi “rigidi” che di calze. Usualmente in quest'ultimo caso si tende a far sovrapporre due calze, la prima più leggera (antitrombo), indossata nelle 24h, anche a scopo antiedema oltre che a protezione di eventuali medicazioni sottostanti e la seconda più pesante (1 o 2 classe RAL) per la correzione emodina-
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mica durante il giorno e la deambulazione. Ancora una volta, evidenze vecchie e recentissime confermano l’impiego di farmaci come il sulodexide. LE INDICAZIONI IN DISCUSSIONE
Il linfedema - La compressione nel linfedema sconta ancora troppi anni di improvvisazione e metodologia per lo meno personalistica. Solo poche scuole in Italia tuttora si approcciano al linfedema in termini scientificamente corretti. E’ concetto comunemente accettato che nella fase acuta del trattamento, quando si persegua la riduzione dell’edema con linfodrenaggio manuale le fasciature siano il mezzo compressivo più adatto in quanto maggiormente adattabili alla anatomia spesso abnorme ed in grado di trasmettere livelli di pressione elevati durante la deambulazione (o la attività fisica nel caso del linfedema del braccio). Questo tipo di trattamento sarebbe anche in grado di ridurre eventuali alterazioni anatomiche causate da accumuli di linfa localizzati per ridare regolarità di forma all’arto colpito. Una volta raggiunto il punto di equilibrio, quando cioè i diametri dell’arto si stabilizzano ad un livello minimo senza mostrare ulteriori riduzioni significative, è il momento di passare a calze o bracciali standard o su misura. L’edema linfatico è un edema duro e caratterizzato dalla importante componente proteica. Ricorderemo che le proteine tendono a trattenere acqua in funzione della elevata pressione oncotica, per cui la cura deve ottenere la rimozione delle proteine e contrastare un edema particolarmente “difficile”. Le compressioni in questi casi devono essere elevate proprio per contrastare forze rilevanti. A questo punto è fondamentale la stretta collaborazione tra industria e medici. I tempi di confezione di calze e bracciali su misura devono essere brevi (48 - 72 ore!) per evitare di fornire un tutore divenuto già inadatto. Le misure vanno prese al momento della massima riduzione dei diametri dell’arto, misurati nel corso di due-tre sedute per sicurezza, senza interrompere il trattamento in attesa della fornitura. I tutori devono comunque essere certificati. La compressione nel linfedema trova applicazione dai primi stadi, ma generalmente è più elevata di quanto necessario per il trattamento della MVC. Nel II stadio con edema ancora almeno parzialmente reversibile durante il riposo notturno trova indicazione una 2 classe RAL, negli stadi
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più avanzati e per il mantenimento dei risultati della terapia fisica si arriva alla prescrizione di una 3 o 4 classe, con tutte le limitazioni per le difficoltà ad indossare questi livelli di compressione! Compressione post-chirurgia venosa: il caos! Purtroppo molto si è scritto ma poco si è capito. La stragrande maggioranza dei chirurghi che si occupano di chirurgia delle vene ritengono fondamentale un trattamento compressivo nel post-operatorio. Roberto Bisacci, chirurgo dell’Università di Perugia ed esperto in compressione, ha avuto negli anni scorsi il grande merito di tentare per lo meno di conoscere gli usi italiani attraverso un questionario che costituisce la base su cui impostare ogni futuro ragionamento e studio su questo argomento. La maggior parte dei chirurghi privilegiano le calze alle fasciature per la maggiore facilità di gestione, ma non vi è un chiaro consenso per il tipo di calza. Vi sono in commercio calze tipo antitrombo con pressioni più elevate delle tradizionali (25 mmHg alla caviglia), molto usate ma con poca evidenza in letteratura, da far indossare già sul tavolo operatorio. Altri prescrivono calze di 1 o 2 classe sempre nell’immediato p-o. L’indicazione è estesa sia alla chirurgia tradizionale, lo stripping, che alle nuove tecniche di trattamento endovascolare laser o con RF. Lo scopo è ridurre edema, ematomi, dolore. I tempi di trattamento spaziano dalla settimana al mese; anche in questi casi la deambulazione e ritenuta fondamentale. LE INDICAZIONI DISCUTIBILI
La MVC iniziale - Nelle prime fasi della MVC (disturbi inquadrabili secondo la classificazione CEAP ai livelli 0 e 1) in pazienti cioè con sintomi ma senza segni clinici evidenti di malattia o con benigne teleangiectasie e vene reticolari, od ancora nei casi di disturbi attribuibili alla stazione eretta prolungata, malpostura od al caldo, situazioni frequentissime in vari ambienti di lavoro, il ruolo della compressione è discutibile. I tutori che fanno riferimento alle classi di compressione RAL sono decisamente sovradimensionati rispetto alla necessità e scontano problemi non indifferenti di compliance al trattamento. I francesi, disponendo di prodotti con compressioni decisamente inferiori anche se definibili a tutti gli effetti come terapeutiche per qualità di confezione e decrescenza delle pressioni dalla caviglia dove sono com-
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co, hanno recepito e sancito con grado di raccomanprese tra i 10 ed i 15 mmHg alla coscia, ne sostengodazione molto elevato il ruolo delle calze elastiche no - e noi con loro - l’efficacia e le ritengono più che nella prevenzione e nel trattamento delle trombosi. sufficienti per il trattamento di queste situazioni. La ricerca clinica e tecnologica su filati e confezione, Corrispondono alle calze terapeutiche graduate hanno fatto passi da gigante mettendo a disposiziosecondo il metodo francese NFG 30-102B, 1 classe ne prodotti sempre più efficaci ed esteticamente di compressione, hanno caratteristiche di indossabiliaccettabili, quanto linee-guida e consensus indirizzatà e non irrilevanti qualità estetiche tali da renderle no coerentemente i medici nell’uso di queste teraben accette anche alle pazienti più esigenti. L’edema da stasi venosa - In presenza di edema di pie. Dal 2000, anno della pubblicazione delle prime sicura natura venosa o venolinfatica (Classe CEAP 3) linee-guida in Italia - alle quali abbiamo personall’entità della compressione sarebbe secondo molti mente contribuito -, ad oggi sono stati fatti enormi quella indicata per la patologia venosa di base, ma è progressi e noi Italiani possiamo orgogliosamente proprio in questo caso che la conoscenza dell’indice affermare di essere all’avanguardia in questo di stiffness della singola calza potrebbe consentire un campo. Molto resta da fare nella ricerca, ed altrettrattamento più efficace in quanto valori più elevati di tanto nella regolamentazione della produzione e questo consentirebbero un più efficace contrasto alla della vendita. Purtroppo in Italia chiunque può venritenzione di liquidi negli dere, commercializzare, prospazi interstiziali. durre, tutori elastici non cerLe calze riposanti, preventive tificati né, in molti casi, cero di supporto - Queste tre tificabili. Molti medici prediverse definizioni inquadrascrivono calze in maniera no lo stesso prodotto. Sono non adeguata, alcuni comcalze usualmente graduate in mercianti privilegiano l’inteDenari; in alcuni casi è indicaresse economico personale to il livello di compressione alla fornitura della calza prealla caviglia dichiarato dal scritta dallo specialista. Produttore. Sono prodotte in L’implementazione e la maniera differente dalle teramaggiore diffusione delle peutiche, in maniera del tutto conoscenze può supplire a simile alle calze “moda”. Figura 4 - Nautilus a Favignana queste carenze, così come L’unità di misura “Denaro” la promulgazione di regole, non corrisponde assolutaper esempio da parte delle mente a livelli di compressione, ma è relativa al peso società scientifiche e della associazioni di categoria del filato e l’eventuale livello di compressione dichiarainteressate, potrebbero rendere questo capitolo to dal produttore non è certificabile per questo tipo di della medicina ancora più rigoroso. calza. La confezione in taglie “tradizionali” non garantisce la corretta corrispondenza anatomica calza/arto. Approfondimenti Per tutte queste ragioni questo tipo di prodotto non - Agus GB, Allegra C, Arpaia G et Al Linee guida dovrebbe essere prescritto in persone che mostrino sulla terapia compressiva . Acta Phlebologica 2000; segni od accusino sintomatologia di reale MVC. 1: Suppl 1 al n.2. - Mariani F ed Compression. Consensus conference IN CONCLUSIONE sulla terapia compressiva. Ed Minerva Medica 2006. - Kearon C, S.R. Kahn SR, GC Agnelli GC et Al Nel corso degli ultimi anni la terapia compressiva ha Antithrombotic Therapy for Venous Thromboembolic mostrato segni di ripresa nella considerazione della Disease: American College of Chest Physicians classe medica e estrema vivacità nella ricerca. Le più Evidence-Based Clinical Practice Guidelines (8th prestigiose linee-guida mondiali in ambito trombotiEdition). Chest 2008; 133: Suppl 1.
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La città che cambia in salute. Una riflessione da Milano Sergio Harari Direttore U.O. di Pneumologia, Ospedale San Giuseppe, Milano
La società cambia e cambiano le sue malattie, sta avvenendo anche a Milano. Immigrazione, inquinamento, stress, cambiamenti sociali hanno modificato il panorama della nostra salute. Oltre 200.000 milanesi vengono ricoverati ogni anno nei nostri ospedali, 120.000 sono donne. Negli anni le cause di ricovero sono cambiate. Oggi ci ritroviamo a temere malattie che ormai erano quasi dimenticate (blenorragia, sifilide, tubercolosi), a convivere con le malattie da inquinamento, a pagare il prezzo di comportamenti che hanno dimenticato che l’HIV uccide certamente meno di 20 anni fa ma esiste sempre, ad assistere alla crescita dei disturbi psichici. Le malattie hanno un impatto non solo sulla nostra salute fisi-
Figura 1 - La città che sale, Umberto Boccioni 1910
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ca ma anche sulle nostre ansie e sulle nostre paure e viceversa. IMMIGRAZIONE E MALATTIE INFETTIVE Tutte le malattie sessualmente trasmissibili (MST) sono andate aumentando in Italia e nella nostra città dal 2000 in poi. La sifilide è cresciuta con un andamento costante a un ritmo annuale del 2%. Nel nostro Paese si è passati da circa 300 casi registrati nel 2000 a 1350 nel 2004, 350 nella sola Milano, quanti 10 anni fa se ne registravano in un anno in tutta Italia. Inoltre, malgrado la notifica di malattia sia per legge obbligatoria, si stima che almeno 50% dei casi non vengano segnalati. Anche la blenorragia e le infezioni genitali da Chlamydia (un microrganismo atipico molto diffuso, responsabile anche di infezioni a carico di altri organi) sono molto aumentate in città. I dati del Centro per le MST dell’ASL di Milano sono esemplificativi della situazione: su 2900 pazienti valutati ambulatorialmente nel 2007, il 7,3% avevano contratto la sifilide, 5% condilomi, 1% la gonorrea e 1,4% erano primi riscontri di positività all'HIV. Sono colpiti dalle MST i maschi omosessuali (34%) ed eterosessuali (17%), in particolare i giovani tra i 25 e i 35
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anni, in misura minore le donne. Le malattie sessualmente trasmesse non sembrano conoscere distinzioni sociali: coloro che si rivolgono agli ambulatori dedicati dell’ASL sono spesso giovani di buon livello di istruzione, che hanno dimenticato le più semplici norme di prevenzione, credendo che malattie come la gonorrea e la sifilide fossero appannaggio esclusivo delle generazioni dei loro nonni e non esistessero più. Cocaina, popper e alcol fanno il resto nel favorire comportamenti disinibiti e a rischio. L’aumento della prostituzione, particolarmente di transessuali (tra i quali la percentuale di HIV positività è particolarmente alta), contribuisce anch’essa all’aumento dei casi. Se è vero che la sospensione delle campagne di prevenzione e cura per le MST nei paesi dell’Est europeo ha contribuito all’importazione in Italia di queste malattie attraverso i canali della prostituzione, bisogna comunque registrare che, secondo i dati dell’OMS, l’aumento di MST non è un fenomeno locale ma mondiale. Un altro importante fenomeno infettivo è rappresentato dalla tubercolosi, che ha colpito a Milano, dal 2000 ad oggi, circa 4500 soggetti, secondo i dati disponibili della ASL. I casi sono stati 570 nel 2000, 436 nel 2004, 503 nel 2007: non sembra quindi esserci un aumento allarmante ma la situazione deve essere monitorata. Se il numero dei casi totali non è aumentato, è però cambiata la distribuzione epidemiologica, oltre il 50% dei casi si verificano nella popolazione immigrata di età compresa tra i 20 e i 40 anni. E’ una malattia caratteristica della povertà e della promiscuità. La prevenzione dipende soprattutto da interventi di natura sociale che garantiscano dignitose e igieniche condizioni di vita alla popolazione più povera e immigrata. L’attuale disponibilità di accesso gratuito alle cure per tutti costituisce uno strumento fondamentale per controllare la diffusione della malattia, evitare i contagi e lo sviluppo di forme resistenti alle cure antibiotiche. Sintetizzando, in questi anni il panorama delle malattie infettive della nostra
città è stato influenzato in parte dal fenomeno immigrazione, ma in maggiore misura da un cambiamento nei comportamenti sociali e da una diminuita attenzione alla prevenzione. INQUINAMENTO E SALUTE Un altro capitolo molto importante che preoccupa i milanesi e tanto fa discutere è quello delle ricadute sulla nostra salute dell’inquinamento dell’aria. Indubbiamente i casi di malattie polmonari sono molto aumentati in città colpendo maggiormente bambini, anziani e soggetti con preesistenti problemi respiratori. Anche il cuore e i vasi risentono negativamente dello smog con un aumento dei casi di malattie cardio-vascolari. Asmatici, bronchitici, cardiopatici hanno vita difficile a Milano. E molti sono i nuovi casi di asma, particolarmente tra i bambini, di bronchite cronica in non fumatori, di polmoniti. Si registra inoltre un tempo più lungo per le guarigioni, se una volta bastava qualche giorno per guarire da una bronchite acuta ora una settimana non è sufficiente. Aumentano anche fastidiosi disturbi minori come le congiuntiviti causate dallo smog. L’incremento delle malattie respiratorie è denunciato dall'OMS in tutto il mondo e in tutti i paesi a economie avanzate come il nostro (nel 2004 i tumori polmonari, le infezioni delle basse vie respiratorie e la bronchite cronica sono state rispettivamente la terza, quarta e quinta causa di morte nei paesi ricchi) ma certo Milano primeggia; nella nostra città si registrano ogni anno circa 10.000 nuovi casi di malattie dell’apparato respiratorio e, complessivamente, il numero di milanesi che soffrono di problemi respiratori è arrivato quasi al 10% della popolazione. A questi, oggi si aggiungono nuovi dati sui rischi di trombosi arteriose e venose periferiche. Solo adeguate politiche sull’inquinamento in associazione a una strategica politica sanitaria di potenziamento delle strutture specialistiche dedicate potranno fronteggiare questo fenomeno.
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HIV
e purtroppo la crisi economica non migliorerà la situazione.
L’infezione da HIV è una fedele cartina di tornasole di come le malattie e i contesti cambino. Oggi non è più appannaggio di categorie a rischio. Si contano 750 nuovi casi in un anno a Milano, 2000 in Lombardia (30% di tutti i casi italiani), per lo più causati da un calo di attenzione all’uso del profilattico. Certo si muore molto meno: se la mortalità era altissima 15 anni fa, oggi è inferiore al 10 %, ma se ne parla di meno e la gente comincia a non ricordare più cosa sia il virus dell’HIV. Così, purtroppo, crescono le file di persone che nelle farmacie degli ospedali fanno la coda per ritirare i farmaci antivirali, cercando di mimetizzarsi e non farsi riconoscere dagli altri. Aumentano i casi di chi contrae l’infezione con una scappatella e ignaro contagia la moglie. Un universo di dolore, di drammi, che si abbatte sui rapporti e sulle famiglie mettendole a dura prova, spesso distruggendole, aggiungendo altra sofferenza alla tragedia. ANSIA E DEPRESSIONE Se dovessimo però indicare il “segno” della salute della città di questi anni, allora questo è certamente nel boom di disturbi psichici: depressione, ansia, nevrosi, crisi di panico. La città trita, l’alcol e le droghe fanno il resto. Milano, come molti suoi abitanti, sembra sempre su e giù, un po’ “up” e un po’ “down”, come la depressione che alterna fasi di grande e falsa euforia a fasi di profonda prostrazione. Secondo il rapporto “Osservasalute” i disturbi psichici nel 2004 hanno portato al ricovero 52 italiani su 10.000, ma a Milano le cifre sono più alte, 3500 gli uomini ricoverati per cause psichiche, 4648 le donne (complessivamente 18% per disturbi affettivi e 13% per nevrosi); più di 2000 i nuovi casi ogni anno. I milanesi che non assumono qualcosa per dormire, o per controllare un pò d’ansia, o per trattare uno stato depressivo, sembrano essere ormai una minoranza. Il disagio sociale, psichico è palpabile
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IN CONCLUSIONE Malgrado Milano sia una città con molti anziani, qui si muore meno che nel resto di Italia grazie all’onda lunga di un recente passato di benessere (la mortalità è nettamente più bassa nelle fasce sociali più ricche) e a una buona accessibilità ai servizi sanitari. La città ha però i suoi problemi: inquinamento, disagio sociale, disturbi psichici, immigrazione, cocaina, comportamenti che cambiano. Una città che chiede attenzione, una umanità che chiede aiuto. Forse possiamo fare tutti qualcosa di più per aiutare Milano - ma come Milano, tante altre città della nostra Italia - , per aiutarci, per dare ascolto, ma anche le istituzioni e la politica devono fare la loro parte, una parte molto importante e da tutti noi attesa, a loro spettano gli interventi che aiutino la nostra salute e che migliorino la qualità della nostra vita.
cod. 01819230
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