TRIMESTRALE SCIENTIFICO - Anno III - N. 3, 2009
“Speciale SIAPAV SPECIALE SIAPAV2008” 2009
Dall’epidemiologia nuovi “numeri” per l’affronto dei disturbi venosi cronici
Nautilu Viaggio al Centro della Salute
S p e c i a l e S I A PAV 2 0 0 9 TRIMESTRALE SCIENTIFICO Anno III - N. 3, 2009
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SOMMARIO EDITORIALE Dall’epidemiologia nuovi “numeri” per l’affronto dei disturbi venosi cronici Giovanni B. Agus
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LEADING ARTICLE Studio dei disturbi venosi cronici. Ruolo dell’epidemiologia Piero Bonadeo
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REPORT Survey Nautilus sui Disturbi Venosi Cronici
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NEWS “Premio Mauro Bartolo”, Lavori premiati al XXXI Congresso Nazionale SIAPAV, Roma 25-28 novembre 2009
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CULTURA L’uomo, il giardino, il fiore Stefano Ricci
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Nautilu
Editoriale
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Dall’epidemiologia nuovi “numeri” per l’affronto dei disturbi venosi cronici Questo numero di Nautilus, credo di poter dire, si presenta con un buon “numero” di novità sul piano comunicazionale, epidemiologico, scientifico, culturale. E’ infatti innanzi tutto un invito a così vasto “numero” di medici a coinvolgersi con il
Progetto Nautilus partito tre anni fa. La prima novità è data dal nuovo sito Internet della rivista; qualcosa di più di un sito di rivista. Il www.nautilussalute.com ambisce ad essere spazio/forum di novità in campo angiologico e discussione online. Ed ha trovato adeguato primo annuncio in un workshop inaugurale del XXXI Congresso Nazionale della SIAPAV a Roma il 26 novembre. L’epidemiologia, in questa occasione riferentesi ai Disturbi Venosi Cronici (DVC) per omogeneità, sia nel leading article di un esperto come Piero Bonadeo, della Scuola universitaria milanese ora attivo anche in Piemonte, sia nella presentazione dei dati completi del Survey Nautilus sui DVC, permette di pesare l’entità di una delle più frequenti malattie del nostro Paese, non tralasciando l’ottica delle ricadute operative di tipo preventivo-terapeutico. Questo studio può ben gareggiare per qualità e numeri con recenti esempi d’oltralpe come lo Studio Privilège sulla presa in carico dei pazienti flebopatici in medicina generale. Complimentandoci con i medici italiani di medicina generale che troverete nel Dietro le quinte dell’articolo, desideriamo ringraziarli uno per uno qui. Novità sul piano scientifico sono senza dubbio i contributi che, presentati sempre al XXXI Congresso Nazionale della SIAPAV, hanno ricevuto il Premio Bartolo come migliori comunicazioni per il 2009. Il presentarli su Nautilus è divenuto una nostra costruttiva e gradita tradizione editoriale nel diffondere la cultura e la ricerca
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angiologica; e da quest’anno sarà inoltre possibile discuterla attraverso la Sezione Forum del sito www.nautilussalute.com. E’ inoltre un piacere segnalare i due primi articoli premiati, per la partecipazione di due eminenti membri del Board di Nautilus. Profili. In realtà poche righe, a caldo e con emozione, dedicate in questo Editoriale alla perdita incolmabile di un grande protagonista della chirurgia vascolare e angiologia italiana, appena avvenuta: Sandro Costantini Brancadoro, allievo di grandi maestri come Rodolfo Margaria ed Edmondo Malan e lui stesso maestro di tanti allievi, è stato medico che ha saputo unire a una non comune abilità chirurgica una rara intelligenza al servizio del malato vascolare. Infine, la Sezione Cultura in maniera del tutto originale ci conduce in un percorso inusuale ed usuale allo stesso tempo per il medico curioso ed amante del bello, conscio del legame che da sempre la medicina ha con piante e fiori e la cura delle malattie. Stefano Ricci, appassionato flebologo quanto cultore dei fiori (non floricultore), ci affascina in questo percorso.
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Studio dei disturbi venosi cronici. Ruolo dell’epidemiologia Piero Bonadeo UOVD di Day Surgery e Chirurgia Vascolare, Dipartimento di Chirurgia - Asl AL, P.O. Tortona
“La validazione della reale incidenza delle flebopatie in Italia è non solo difficile ma impossibile. Infatti molti casi sono trattati ambulatorialmente, per cui un’analisi attendibile dipende sia dall’opinione personale dell’Autore sia dal disegno dello studio…” (1). Così AM Raso si esprimeva 10 anni fa sottolineando e confermando le difficoltà che sempre si incontrano quando si affronti il problema epidemiologico anche semplicemente a partire dalle modalità della raccolta del dato. “Chronic venous insufficiency is a poorly defined term and means a different set of symptoms and signs to different clinicians” (2). Fowkes nel 2001 con tale affermazione segnalava come ulteriore criticità la definizione stessa di Insufficienza Venosa Cronica (IVC) e, implicitamente la classificazione CEAP nella sua interpretazione dell’aspetto clinico (C) quale delineata dall’American Venous Forum nel 1994. Nel 2004 è stata pubblicata una versione aggiornata della CEAP che ha ridefinito l’IVC come Chronic Venous Disorders (CVD) ovvero Disturbi Venosi Cronici (invece di Malattia Venosa Cronica) (3). E’fondamentale osservare come la base di ogni studio epidemiologico sia partire da definizioni comuni e condivise ovvero da un sistema globale di classificazione univoco. Così bisogna valutare, per esempio, se nell’analisi di prevalenza o di incidenza vengano comprese la flebopatia ipotonica costituzionale, le teleangectasie, le ulcere guarite, quelle attive o entrambe corrispondenti a classi diverse della classificazione clinica della CEAP. Infatti la stessa terminologia è fonte di confusione e costituisce il vizio d’origine di molte indagini se l’impianto metodologico non è chiaro e preventivamente discusso. Fino ad alcuni anni fa, come abbiamo visto, vi è stata una significativa carenza di dati epidemiologi-
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ci sui “disturbi” e sulle “malattie venose” periferiche nella popolazione. Tuttavia anche in Italia ultimamente si sono pubblicati studi e review in merito pur non riuscendosi a superare il limite della frammentarietà e della scarsa diffusione, fra i motivi dello scarso interesse o peso dato dai più all’Epidemiologia intesa come insegnamento e come vero corpo dottrinario. Basti pensare all’equivoco ancora presente circa la differenza concettuale e di contenuti fra epidemiologia e statistica. In effetti, se consideriamo la sola prevalenza, ovvero la frequenza della malattia presente nella popolazione in un dato tempo stabilito, noi otteniamo solo un dato statico; al contrario se valutiamo l’ incidenza, ossia in numero di nuovi casi diagnosticati longitudinalmente in un determinato periodo nella popolazione, ne ricaviamo una misura dinamica. Eppure nello stesso momento in cui definiamo un evento così frequente come i CVD, considerando sia il disturbo (disorder) sia la malattia (disease) come integrati nel contesto della Patologia Venosa Cronica, ci riferiamo proprio alla significativa prevalenza dell’IVC/CVD nelle nostre società, comprendendo essa tutti i casi di insufficienza venosa - vene varicose in quanto vecchi e nuovi insieme. In realtà l’ incidenza potrebbe essere inferiore, come rilevato da talune analisi, anche se una maggiore conoscenza ed uniformità di definizione della clinica e degli indicatori di rischio ovvero dei fattori favorenti o predisponesti confermano la vastità del problema che dunque non è solo di salute ma pure di sanità pubblica, specialmente se si considerano gli stadi più avanzati dell’IVC, C5 - C6, in la lesione ulcerativa cutanea comporta sofferenza, ripercussioni socio-economiche rilevanti, strategie aziendali, attività formative e politiche sanitarie specifiche (4).
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PERCHE’ UN’EPIDEMIOLOGIA DELL’IVC? In generale il dato epidemiologico giustifica: • l’interesse per un dato stato morboso • un percorso assistenziale • l’impiego di risorse umane ed economiche • il monitoraggio della malattia • l’esigenza di un’attività di ricerca • la necessità della formazione • l’inserimento di un evento morboso e dei provvedimenti ad esso connessi in autonomo capitolo della medicina. Il primo e principale problema metodologico, come si è accennato, è la definizione tant’è vero che le Linee Guida diagnostico terapeutiche delle malattie delle vene e dei linfatici del Collegio Italiano di Flebologia indicano un elenco di definizioni dei termini clinici (5). Limitandoci alla definizione di “vena varicosa” notiamo si possa privilegiare l’aspetto clinico (“dilatazioni sacculari spesso tortuose”) o quello emodinamico (”ogni vena del circolo superficiale che non assicura in permanenza un drenaggio unidirezionale, a flusso e pressione normali, del sangue dai territori da cui essa dipende verso il circolo venoso profondo”) o infine quello clinico – fisiopatologico (“ vena permanentemente dilatata con valvole incompetenti e lesioni degenerative della parete venosa comportanti una circolazione venosa anormale”). La nozione di varici, intese come ectasie o dilatazioni, è spesso vaga anche per l’eterogeneità delle classificazioni, da quella di Widmer alla CEAP. Questo spiega le grandi differenze di prevalenza e di incidenza osservate fra i vari studi molti dei quali accomunano senza distinzione i pazienti con teleangectasie a quelli con varici, altri classificano le varici in base al loro diametro in mm o secondo le definizioni o per topografia dei reflussi o per loro estensione e grado di estasia non proporzionalmente all’entità del quadro clinico. Per tutti questi motivi non sorprende che in letteratura la prevalenza delle varici sia del 10-56% in virtù dell’assenza di una unità dottrinaria. Si tratta comunque di una quota assai consistente nell’ambito dell’IVC che nel mondo evoluto colpisce circa il 35% della popolazione. Per “ulcera venosa” si intende invece una soluzione di continuo della cute secondaria a flebopatie,
con carattere di cronicità, ovvero presente da oltre tre mesi, non tendente alla guarigione spontanea. In questo caso lo studio epidemiologico si complica per la necessità di includere ulcere attive nel quadro di una prevalenza attuale o point prevalence ed ulcere guarite, ma ad elevata tendenza a recidivare, nell’ambito di una prevalenza globale o overall prevalence. A ciò si aggiunga il problema delle ulcere dell’avampiede e quello delle microulcerazioni. Inoltre non è immediato l’individuare portatori di ulcera nella popolazione in toto. D’altra parte esaminarne una già sottoposta a cura espone ad un significativo rischio di sottostima. Non trascurabile è poi il consistente gruppo dei pazienti autogestiti (6). Non si dimentichi poi che anche l’esame delle cartelle di dimissione ospedaliera o SDO è riduttivo in quanto raramente l’ulcera compare come prima diagnosi o è segnalata quale complicazione seppure solo negli ultimi tempi, su sollecitazione delle dirigenze ospedaliere ad una maggiore attenzione nella compilazione del documento inserita negli obiettivi primari, si assiste ad un’inversione di tendenza. L’analisi della letteratura riferisce una prevalenza per ulcera in fase attiva dello 0.3% e dell’ 1.0%, con sconfinamenti oltre il 6% per ultrasettantacinquenni, per la somma ulcere attive e guarite. Anche questo dato giustifica studi epidemiologici specifici. Altro punto fondamentale è stabilire e verificare l’affidabilità dei criteri usati per la descrizione dei diversi studi. Il criterio qualitativo equivale alla tecnica di rilevamento dei dati. Diverso è somministrare un questionario individuale compilato dal paziente o da un medico [NdR come nel presente Survey di Nautilus]. In genere le anamnesi basate su questionari sono affidate alla sensazione soggettiva se non, in assenza del medico, ad opinioni dei familiari. Analogamente l’esame diretto del paziente, che conferisce maggiore attendibilità alla ricerca, può essere solo obiettivo od obiettivo e strumentale, condotto da un medico generalista o da uno specialista. In molti casi possono così venir meno omogeneità e standardizzazione (per es. un esame può essere condotto dopo riposo o solo in ortostatismo). Sarebbe pertanto auspicabile un training sia per gli intervistatori che per gli esaminatori, specialisti e non, oltre ad una documentazione sussidiaria all’esame clinico.
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Figura 2
Figura 1
Le popolazioni esaminate nei diversi studi sono varie e disomogenee per analisi comparative (popolazione in generale, pazienti ospedalizzati o noti agli ambulatori specialistici, pertanto troppo selezionati, lavoratori dell’industria, popolazioni rurali o metropolitane appartenenti ad aree geoclimatiche diverse o valutate in una sola stagione dell’anno ecc.) (7). Talvolta gli studi sono poco indicativi della popolazione in toto perché bisognerebbe esaminare migliaia di persone per ottenere una stima precisa di prevalenza specialmente per affezioni a frequenza troppo bassa, dal punto di vista statistico ma non epidemiologico, quali le ulcere cutanee. Doveroso a questo punto citare il celebre studio di Leo Widmer (Fig.1), professore di Angiologia presso il dipartimento di Medicina dell’Università di Basilea (CH), eseguito negli anni ’70 nella celebre carrozza ferroviaria messa a disposizione dalle Ferrovie Elvetiche a Basilea (Fig.2), quindi noto come Basle Study, per esaminare oltre 4500 lavoratori dell’industria chimica ognuno dei quali fu visitato e fotogra-
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fato. Insieme al Framingham Study costituì l’inizio dei moderni studi epidemiologici in patologia vascolare. Così si espresse Widmer nel 1978: “In 1958, as an unexpectedly large number of patients attended a newly opened clinic for vascular diseases, it seemed appropriate to investigate the prevalence of peripheral artery disease, as well as the possibilities of non- invasive early diagnosis in a small group of apparently healthy working people. However, when about 2500 instead of the expected 200 persons responded to the invitation…the matter was given new consideration. Finally, a prospective investigation, including also the study of risk factors, was planned…Thus, it was just by chance, that from a modest project of checking the circulation in a small group, the prospective Basle study…originated. In addition to occlusive peripheral artery disease, heart and peripheral venous disorders was also included later” (8). Il lavoro fu opera di quattro gruppi che si occuparono rispettivamente dell’organizzazione e dell’esame clinico, dell’elaborazione statistica, dell’interpretazione e della valutazione dei dati, della parte segretariale, burocratica e grafica per un totale di 52 persone coinvolte. L’egida fu data dalle Società elvetiche di Flebologia, di Angiologia e di Cardiologia nonché da alcune grandi aziende farmaceutiche. Tutto ciò per sottolineare come gli studi epidemiologici richiedano tempo, collaborazione, impegno e risorse umane ed economiche.
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ESEMPI DI STUDI EPIDEMIOLOGICI Abbiamo sottolineato come lo studio dell’epidemiologia dell’IVC/CVD, nonostante un incremento di contributi in Italia e nel mondo occidentale (ove il dato è più evidente rispetto all’Oriente ed all’Africa) (7), non nasconda evidenti carenze soprattutto qualitative. Alle flebopatie periferiche non acute nella popolazione viene data scarsa importanza principalmente per la loro elevata diffusione e per la trascurabile mortalità ad esse associata. Da questa globale e già sottolineata sottovalutazione deriva l’ambiguità degli studi e delle ricerche epidemiologiche. I lavori talvolta si focalizzano su un solo aspetto, le varici o le ulcere mentre è noto che, restando all’aspetto clinico della classificazione CEAP vi sia una variabilità di presentazione della malattia compresa tra l’assenza di segni (C0) e la presenza di ulcera attiva (C6). Un esempio di scarsa conoscenza del problema a livello legislativo dovuto anche a carenza del dato epidemiologico, ovvero delle dimensioni del problema che giustificano una pianificazione sanitaria ed una programmazione dell’erogazione di risorse economiche ed umane, sta nel fatto che le Linee Guida diagnostico-terapeutiche delle malattie dei linfatici italiane e straniere suffragate da una letteratura importante per qualità e numerosità considerino l’elastocompressione raccomandazione di grado A nella terapia e nella prevenzione di qualsiasi forma di flebopatia. Eppure, tranne isolate eccezioni, il SSN non prevede alcun rimborso per calze o dispositivi elastici nonostante il Ministero della Salute obblighi i sanitari ad attuare tutte le forme di prevenzione possibili. Ulteriore esempio viene dallo studio delle ulcere venose per cui l’elastocompressione è, insieme alla correzione chirurgica dell’ipertensione-stasi ed alla chirurgia rigenerativa, essenziale non solo per la terapia ma anche, e soprattutto, per la prevenzione della recidiva. Studi epidemiologici portano anche a conoscenza dei 104.892 interventi sul sistema venoso superficiale effettuati in Italia nel 2005 (ultima rilevazione del Ministero della Salute) di cui 61.373 in regime di day surgery e 43.519 in ricovero ordinario da cui si potrebbe aprire ampio dibattito su talune indicazioni ministeriali circa la normativa sugli interventi ambulatoriali e sui Livelli Essenziali di Assistenza (9). Nel 2007 Nautilus ha pubblicato un interessante lavo-
ro sull’Epidemiologia della Patologia Venosa Cronica a firma di A. Jawien e T. Grzela in cui gli AA riportano risultati di uno studio multicentrico incrociato su 40.095 polacchi in cui, fra l’altro, emerge che i DVC interessano oltre il 50% degli over-50 (10). Sempre Nautilus nella primavera 2009 ha proposto ai medici italiani una campagna di Survey epidemiologico sui DVC che ha visto coinvolti circa 1000 MMG su tutto il territorio nazionale che hanno raccolto i dati di più di 10.000 portatori di patologia venosa, stratificati per gruppi di età e severità della malattia. Nel numero 2/2009 sono stati presentati i risultati preliminari ed il presente numero pubblica quelli definitivi. L’obiettivo è stato ricavare indicatori utili nella pratica ambulatoriale a definire il quadro evolutivo atteso per un determinato paziente (11). Il lavoro ha seguito i criteri dell’epidemiologia descrittiva (precisa età, sesso, familiarità, gravidanze, ecc.) e quelli dell’epidemiologia analitica ( evidenzia i fattori di rischio e predisponesti, i sintomi ed i segni ecc.) per verificare, stratificando tre fasce d’età, le costanti trasversali fra i gruppi e pesare i parametri variabili più significativi. Il lavoro ha permesso di riscontrare un razionale considerando il ruolo della flogosi endoteliale presente in tutti gli stadi dell’IVC e nella Sindrome PostTrombotica in particolare, che può presentare un’ ulcera nel 10-20% dei casi anche a distanza di anni dalla trombosi venosa profonda. Nicolaides (12) ha enfatizzato il ruolo del microcircolo e le conseguenze emodinamiche e bioumorali del legame adesivo fra leucociti ed endotelio orientate verso un‘infiammazione cronica coinvolgente sia la componente arteriolare che quella venulare e linfatica pericapillare coinvolgente infine tutta l’unità microvasculotissutale con conseguenze clinicamente manifeste, dal senso di peso, alle varici, all’edema, all’ulcera. Accanto a studi epidemiologici su vasta scala e nazionali infine, ve ne possono essere altri locali non meno interessanti sia per i risultati sia per il modello di rilevazione esportabile e fruibile in analoghe realtà con la possibilità di incrementare i dati e migliorare la significatività statistica. Nel 2007-2008 nell’ASL AL, distretto sanitario di Tortona (Al), è stata condotta un ‘indagine di prevalenza delle ulcere cutanee coinvolgendo 35 MMG per un bacino d’utenza di oltre 41.000 assistiti, 2 specialisti in chirurgia e in chirurgia vascolare, infermieri ambulatoriali e territoriali. Sono stati presi in conside-
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razione assistiti ordinari, domiciliari, ospiti di RSA. L’indagine ha previsto l’esame diretto dei pazienti e la compilazione di un questionario a cura degli operatori. Le informazioni comprendevano i dati anagrafici, l’attività lavorativa, le condizioni sociali, l’inquadramento olistico del paziente, le terapie abituali ecc, la presenza di ulcere attive o pregresse, l’eziologia delle stesse, la sintomatologia dolorosa, le sedi ecc. Sono stati ricavati numerosi dati, elaborati dal Servizio di Epidemiologia di Alessandria, fra cui un tasso di prevalenza di ulcere aperte del 3.7 per 1000 assistiti e del 6.1 per le ulcere chiuse ma anche altre informazioni sulle comorbidità, alcune sorprendenti come, ad esempio, l’obesità in oltre il 25% dei portatori di ulcera, dato di poco inferiore nelle RSA, e l’uso prevalente, laddove il dolore venga preso in considerazione, dei FANS (13). Ecco il caso di come un’indagine epidemiologica faccia emergere problematiche diverse dall’obiettivo primario della ricerca e indirizzi gli operatori verso modifiche dei percorsi preventivi e terapeutici. Non si dimentichi infine la parte svolta dall’epidemiologia economica che analizza le ripercussioni socioeconomiche (che possono condizionare un percorso terapeutico come nel caso delle ulcere per le quali non è previsto alcun rimborso per le medicazioni tecnologicamente avanzate e per i presidi elastocompressivi, con rare e locali eccezioni; quanto per farmaci evidence-based come il sulodexide); i costi diretti (visite mediche di base e specialistiche, spostamenti, prescrizioni diagnostiche e terapeutiche, ospedalizzazioni, costi per diagnosi clinico-strumentali errate o inutili o per ricoveri impropri o per complicanze prevedibili ed evitabili, ecc); i costi indiretti (indennità per giorni lavorativi persi, inabilità, perdita di produttività, anche per gli accompagnatori o per i care givers ovvero per i familiari e badanti, ecc); i costi intangibili (sofferenza, depressione, turbe psicologiche, cattiva qualità di vita). La conclusione vuole essere un invito a dedicare più tempo ed attenzione alla raccolta di tutti i dati che formano il corredo epidemiologico di uno stato morboso del quale costituisce il primo motivo di attenzione e ne giustifica la presenza nel corpo dottrinario medico-chirurgico. Non a caso ogni articolo scientifico inizia col dato epidemiologico con le relative citazioni bibliografiche, non a caso però tali citazioni sono spesso datate e comunque ripetitive, non a caso gli atti di congressi nazionali, internazionali o anche mon-
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diali contengono ben pochi contributi specificamente dedicati all’epidemiologia. Anche le malattie rare, se si pensa, sono definite tali proprio per la loro epidemiologia. Bibliografia 1. Raso MA, Sandrone N, Bellan A, Zan S Epidemiology of venous disease in years ’90 and in future perspectives. Abs International Symposium Chronic Venous Insufficiency o the lower limbs. Florence 1999; 14. 2. Fowkes FG, Evans CJ, Lee AJ Prevalence and risk factors of chronic venous insufficiency. Angiology 2001; 52 ( suppl 1): S5- S15. 3. Eklof B, Rutherford RB, Bergan JJ et Al Revision of the CEAP classification for chronic venous disorders: Consensus statement. J Vasc Surg 2004; 40: 1248-52. 4. Agus GB, Bonadeo P, Mondani P Epidemiologia e costi socio-economici dell’insufficienza venosa cronica. In Agus GB Chirurgia delle Varici.Un osservatorio italiano. Edra Ed, Milano 2006: 49-71. 5. Agus GB, Allegra C, Antignani PL, Arpaia G, Bonadeo P, et Al Guidelines for the diagnosis and therapy of the vein and lymphatic disorders. Intern Angiology 2005; 24: 107-68. 6. Marone EM, Volontè M, Limoni C, Petrini O, Chiesa R Therapeutic Options of Prescription in Chronic Venous Disorders: Results of a 3-Year Survey in Italy. Eur J Endovasc Surg 2009; 38: 511-7. 7. Bonadeo P, Mondani P, Brambilla S, Agus GB Insufficienza venosa cronica. Un’indagine epidemiologica con i medici di famiglia. Minerva Cardioangiol 2000; 48 (suppl 2 al n 12): 14-8. 8. Widmer LK Peripheral Venous Disorders. Hans Huber Ed, Berna 1978. 9. Ministero della Salute Ricerca on line.www.ministerosalute.it/ricoveriOspedalieri. 10. Jawien A, Grzela T. Epidemiologia della Patologia Venosa Cronica. Nautilus, Sinergie Ed, Milano 2007; 1: 5-9. 11. AAVV Survey Nautilus sui disturbi venosi cronici. Anteprima. Nautilus, Sinergie Ed, Milano 2009; 2: 20-5. 12. Nicolaides AN Chronic Venous Disease and the Leukocyte-Endotelium Interaction: From Symptoms to Ulceration. Angiology 56 (suppl 1): S11-S19. 13. Feltri R, Bonadeo P, Cavallero ML, Finesso A, Di Pietrantonj C. Indagine di prevalenza delle ulcere cutanee nel distretto di Tortona (2007-2008) a cura del Servizio Sovrazonale di Epidemiologia ASL AL (Disponibile c/o Distretto SocioSanitario di Tortona, via Milazzo, 1).
Repor t
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Survey Nautilus sui Disturbi Venosi Cronici zione da indagare per i Disturbi Venosi Cronici (DVC) è quella clinica che incontra la classe medica, Nautilus ha proposto alla Medicina Generale italiana una campagna di monitoraggio sul territorio nazionale da marzo a luglio 2009 con l’obiettivo di indagare i Disturbi Venosi Cronici (D.V.C.) nel periodo di massima manifestazione della sintomatologia, con lo scopo di fotografare la popolazione italiana, stratificata per età e severità della patologia, ricavando indicatori clinici utili nella pratica ambulatoriale per ogni segmento di “popolazione venosa” individuato. Alla campagna ha aderito una rappresentanza significativa della Medicina Generale italiana, con 1.000 Medici su tutto il territorio nazionale, che hanno pro-
I dati più recenti sulla prevalenza della patologia vascolare e l’incidenza delle complicanze venose nella popolazione generale occidentale, presentati al ISVS (International Society for Vascular Surgery) lo scorso mese di novembre a Milano , stimano in 20 milioni gli italiani interessati, mentre risultano 2 milioni le TVP negli USA ogni anno, con 200 mila decessi per EP e 800 mila nuovi casi di Sindrome Post-Trombotica (SPT). Questa ampia diffusione dei Disturbi Venosi Cronici trova riscontro nelle indagini effettuate negli anni in Europa e in America del Nord, ed è alla base della campagna di monitoraggio sulla popolazione con Patologia Venosa lanciata da Nautilus in Italia la scorsa primavera con oltre 1.000 Medici di Medicina Generale coinvolti sul territorio nazionale. INTRODUZIONE AL SURVEY 2009 L’ ampia diffusione della patologia venosa trova riscontro in diverse indagini in Europa e negli USA svolte negli anni (Fig. 1), fra i quali il più importante per numero di casi raccolti è quello sulla popolazione polacca (Jawien 2003 - Pubbl. Nautilus Anno I - n.1) con oltre 40.000 soggetti valutati per la presenza di disturbi venosi cronici in occasione dell’accesso al servizio sanitario. In questo caso, con il semplice filtro della popolazione che richiede assistenza sanitaria, a prescindere dalla causa, è stato possibile individuare manifestazioni della patologia venosa in oltre il 50% della popolazione femminile e in quasi il 40% di quella maschile. Seguendo il principio che la prima popola-
Prevalenza di varicosità in base al sesso nei paesi occidentali ed in Polonia Polonia [3] Edimburgo (Regno Unito) [9] Finlandia [8] Londra (Regno Unito) [7] Gerusalemme (Israele) [6] Tecumseh (USA) [4]
0
Maschi
10
20
30
40
50
Femmine
Figura 1
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RISULTATI DEL SURVEY 2009
Caratteristiche demografiche dei soggetti valutati Totale (n=8295)
≤ 30 anni (n=253)
31-60 anni (n=4075)
Genere - Femmine
6548 (78.9%)
226 (89.3%) 3373 (82.8%)
- Maschi
1747 (21.1%)
27 (10.7%)
702 (17.2%)
Età (anni)
58.9±15.1 (18-99)
26.6±3.6
48.1±8.0
Età (classi) - ≤ 30 anni
253 (3.1%)
- 31-60 anni
4075 (49.1%)
- > 60 anni
3967 (47.8%)
Tabella 1
dotto i dati anamnestici e clinici di 10.000 pazienti con patologia venosa, dei quali l’83% validi a fini statistici (Tab. 1). La fotografia dei pazienti flebopatici valutati riflette sostanzialmente una popolazione adulta e anziana, nella quale quattro soggetti su cinque appartengono al genere femminile.
La scheda di Survey approntata prevedeva la raccolta dei dati anamnestici (familiarità, gravidanze, lavoro, stile di vita) e clinici (matrice dei sintomi principali e segni CEAP 2949 (74.3%) incrociati) e la segnalazione delle eventuali 1018 (25.7%) comorbidità vascolari. 72.0±7.3 Per l’anamnesi è stata effettuata un’analisi dinamica dei fattori di rischio, dei sintomi e dei segni, attraverso tre fasce di età (≤ 30 aa.; 3160 aa.; > 60 aa.), evidenziando i fattori di rischio trasversali e quelli che acquisiscono importanza con l’età (Tab 2). La familiarità e la stipsi si sono confermati come fattori trasversali che coinvolgono circa 1 paziente su due, mentre le precedenti gravidanze sono il primo fattore di rischio nella popolazione adulto-anziana. Tra fattori dinamici più riscontrati l’ortostatismo prolungato è la prima voce solo nella popolazione giovanile, mentre sovrappeso e pregresse TVP/TVS sono i fattori che acquisiscono più peso con l’avanzare dell’età, arrivando a coinvolgere rispettivamente 58 e 44 pazienti su 100 indagati fra gli over 60. > 60 anni (n=3967)
Anamnesi Vascolare: frequenza dei vari fattori nel campione osservato ≤ 30 anni (%)
31-60 anni (%)
> 60 anni (%)
Ortostatismo prolungato
60
Gravidanza
80
Gravidanza
85
Familiarità
55
Familiarità
55
Sovrappeso
58
Estroprogestinici/TOS
53
Ortostatismo prolungato
50
Familiarità
48
Fumo
49
Sovrappeso
46
Stipsi
46
Sedentarietà prolungata
46
Sedentarietà prolungata
44
Pregressa TVP/TVS
44
Stipsi
41
Fumo
44
Postura piedi
34
Gravidanza
34
Stipsi
40
Sedentarietà prolungata
33
Spostament per lavoro > 1h
28
Estroprogestinici/TOS
35
Diabete
30
Sovrappeso
27
Spostament per lavoro > 1h
27
Ortostatismo prolungato
30
Postura piedi
20
Postura piedi
24
Fumo
25
Pregressa TVP/TVS
10
Pregressa TVP/TVS
21
Spostament per lavoro > 1h
10
Diabete
12
Estroprogestinici/TOS
Diabete
3
Tabella 2
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Anno III - N. 3 - Speciale SIAPAV 2009
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Repor t
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Distribuzione delle classi CEAP (%) 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0%
≤ 30 anni
31-60 anni
> 60 anni
C0 Sintomi
66%
54%
50%
C1 Teleangectasie
61%
48%
34%
C2 Varici
32%
54%
58%
C3 Edema
23%
40%
50%
C4 Iperpigmentazione
8%
18%
36%
C5 Lesioni
2%
4%
12%
C6 Ulcere Attive
1%
2%
9%
Figura 2
La distribuzione dei segni nelle tre fascie d’età mostra un deciso incremento della varicosità nel passaggio dei 30 anni, quasi certamente legato alle gravidanze che creano condizioni di ipertensione venosa cronica, mentre i
segni più severi, dall’edema alle ulcere venose croniche, progrediscono in modo significativo attraverso i tre strati di popolazione indagata, con l’edema che arriva a colpire 1 paziente su 2 nella popolazione anziana (Figura 2).
Distribuzione dei sintomi (%) 100%
98%
98%
98%
80% 60%
66% 56% 49%
40% 20% 0%
≤ 30 anni Gambe gonfie, pesanti, doloranti
31-60 anni
> 60 anni
Prurito, crampi notturni
Figura 3
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Frequenza dei soggetti con e senza Pregressa TVP 100% 80%
Pregressa TVP/TVS
79% 57%
60%
54%
40% 20% 0% 100%
92%
80%
Nessuna Pregressa TVP/TVS
60%
38%
40%
20%
20% 0%
C0 - Sintomi C1 - Teleangectasie C2 - Varici
C3 - Edema
C4 - Iperpigment. C5 - Lesioni C6 - Ulcere attive
Figura 4
I sintomi rispecchiano l’andamento dei segni con un corredo clinico trasversale nelle tre fascie d’età per i quadri caratteristici di un’attivazione endoteliale su base flogistica (gambe gonfie, pesanti, doloranti), mentre la sintomatologia emoreologica (prurito e crampi notturni) progredisce insieme all’avanzare dei segni (Figura 3). L’anamnesi di pregresse TVP/TVS si conferma come fattore determinante nell’accelerare la progressione dei segni della Patologia Venosa con un riscontro di segni severi (C4-C6) in oltre il 50% dei pazienti indagati contro il 20% dei pazienti senza una storia trombotica (Figura 4). Fra le comorbidità il Diabete è risultato correlato a segni severi in un paziente su due. Questo dato è certamente influenzato dalla maggiore prevalenza del diabete nella popolazione anziana, ma rappresenta un parametro da tenere sotto osservazione per il suo ruolo acclarato nella attivazione endoteliale a livello microcircolatorio e per i recenti studi sul rischio trombotico che hanno acceso una luce d’interesse su questo potenziale fattore di catalizzazione dei processi flogistici alla base della evoluzione della Patologia Venosa e del Rischio Trombotico.
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CONCLUSIONI Il Survey Nautilus sui Disturbi Venosi Cronici ha messo in luce come, al di là dei singoli fattori di rischio che caratterizzano le diverse fasce d'età, vi siano fattori determinanti nell'esordio e/o la progressione della patologia venosa. In particolare l'aumento ponderale sembra essere un fattore che favorisce l'esordio della patologia, mentre una nuova gravidanza in una donna con semplice sintomatologia pare accelerare in modo deciso la progressione della patologia fino alle varici. Inoltre la presenza di sintomi emoreologici come prurito e crampi possono rappresentare campanelli d'allarme di una progressione agli stadi severi della malattia. I dati del monitoraggio confermano quanto già noto, circa il ruolo di catalizzatore dell’evoluzione dei segni delle pregresse TVS e TVP, che individuano il tipico paziente con Sindrome Post-Trombotica. L'andamento del peso ponderale, delle gravidanze nelle donne e la presenza di crampi e prurito potrebbero dunque rappresentare parametri di pratica clinica interessanti per definire l'evoluzione dei quadri clinici attesi e ottimizzare il panel di interventi medici.
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APPROFONDIMENTO AL REPORT IL RAZIONALE DEL SURVEY 2009
attivazione endoteliale collegate ad alterazioni del flusso sulla parete vascolare Il razionale del monitoraggio condotto (shear stress) sia in condizioni di ipertensionelle primavera-estate 2009 prende origine che di stasi venosa. ne dal ruolo emergente della flogosi nei L’alterazione del glicocalice di GAGs sintomi e segni dei Disturbi Venosi Cronici, che ricopre il lume endoteliale, in conche ha rivoluzionato negli ultimi dieci anni dizioni di ipertensione venosa, è il priil pensiero clinico sulla fisiopatologia delle mum movens che attiva l’endotelio flebopatie, sino a ieri confinato al solo fatlasciando liberi i recettori di parete per tore emodinamico, ed oggi esteso all’unil’adesione dei leucociti e delle piastrine, tà funzionale vascolare (flusso e parete), Figura 1 - Glicocalice di GAGs ottenendo così una parete vascolare (rappresentazione) dove i leucociti rappresentano il principale disponibile ai processi infiammatori mediatore che trasferisce le alterazioni emodinamiche endoteliali che sono alla base dei sintomi, dei segni e (ipertensione venosa o stasi) all’endotelio attivato. del rischio trombotico tanto nel microcircolo, quanto nelle vene di maggior calibro e nelle vene varicose. Una ridefinizione della Patologia Venosa è stata ufficializzata in occasione dell’aggiornamento della classificaNei primi stadi della Malattia Venosa Cronica (sintomi zione CEAP nel 2004 da parte dell’American Venous - CEAP C0) l’attivazione endoteliale si verifica soprattutForum, passando da IVC (Insufficienza Venosa Cronica) a to nel microcircolo superficiale (venule post-capillari) dei DVC (Disturbi Venosi Cronici). Questa nuova definizione plessi venosi sottocutanei, dove si raggiunge la massima è stata ripresa in Italia lo scorso mese di novembre in pressione (direzione centrifuga del reflusso venoso (Fig. occasione del XXXI Congresso SIAPAV e tradotta come 2), dando luogo al corredo sintomatologico classico (gambe gonfie, pesanti, doloranti) senza segni. MVC (Malattia Venosa Cronica). L’adesione dei leucociti alla parete venosa rappresenta Le gambe doloranti, uno dei sintomi più precoci e frequenun passaggio chiave nei processi fisiopatologici della ti del corredo clinico che accompagna la Malattia Venosa Malattia Venosa Cronica su tutti gli stadi clinici (dai sintoCronica, sono state di recente indagate, studiando le unità mi ai segni più severi) ed è stata documentata in aree di neuro-vascolari del microcircolo che servono gli strati sottocutanei e più in profondità le vene di maggior Teleangectasie Ipertensione venosa Reflusso calibro. Si è potuto così individuare nei bottoni Fisiologico a c b sinaptici terminali delle fibre nervose demielinizzante Aδ e C i probabili nocicettori sensibili ai mediatori chimici prodotti (citochine) dall’adesione dei leucociti all’endotelio attivato (Fig. 3). Negli stadi successivi (teleangectasie e varici – CEAP C1, C2) la cronicizzazione della ipertensione venosa attiva progressivamente i vasi di maggior calibro, coinvolgendo le vene del sistema superficiale nelle quali si avvia un processo di deformazione della parete vascolare sostenuto Figura 2 - a. Schema direzione del ritorno venoso (centripeta) vs reflusso venodall’infiammazione endoteliale che conduce al so (centrifuga); b. Sistema venoso superficiale: il reflusso dalle vene perforanti quadro clinico varicoso attraverso l’alterazione e/o dal sistema superficiale si trasmette ai plessi capillari venosi superficiali dove dei valori delle metalloproteasi (MMPs/TIMPs) si raggiunge la massima pressione di reflusso venoso che avvia i processi di deputate al fisiologico rimodellamento vascolainfiammazione (rimozione GAGs e adesione leucociti); c. Vene perforanti incontinenti con dilatazione delle vene reticolari di superficie (teleangectasie). re (Fig. 4). La presenza nelle vene varicose di
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Figura 3 - Le condizioni di alterato shear stress (ipertensione o stasi) attivano l’endotelio attraverso i leucociti producendo la migrazione di un cluster di cellule, soprattutto mastociti che formano le basi biologiche della dolorabilità agli arti inferiori. Inoltre l’ipertensione venosa rappresenta uno stimolo meccanico ulteriore alle terminazioni nocicettive.
Ipertensione venosa + ipossia Rolling leucociti Adesione dei leucociti alla parete vascolare
Attivazione cellule endoteliali
Priming leucociti Migrazione di mast-cellule e monciti Rilascio mediatori
aree di infiammazione infarcite di leucociti è stato ampiamente documentato. Nell’edema (CEAP - C3) l’adesione dei leucociti all’endotelio attivato rappresenta il principale meccanismo di iperpermeabilità che favorisce l’accumulo di liquidi nell’interstizio (gonfiore) sino al breakdown funzionale del sistema linfatico (edema) che diviene incompetente. Negli stadi più severi della Malattia Venosa Cronica (CEAP C4, C5, C6) il numero di leucociti nel microcircolo e nelle vene varicose aumenta, indicando il ruolo cronico progressivo del processo infiammatorio sostenuto dai leucociti sulla parete endoteliale attivata attraverso la rimozione della struttura funzionale del glicocalice di GAGs. La correlazione tra l’attivazione della parete vascolare (flogosi endoteliale) ed i segni e sintomi della Malattia Venosa Cronica sono stati di recente descritti sulla base degli studi sperimentali clinici finora effettuati (Tabella 1).
Microcircolo sottocutaneo
Vene varicose Attivazione nervi nocicettive (fibre C eAδ) Infiammazione dei nervi
DOLORE Paziente
Dolorabilità
Figura 3 - Le condizioni di alterato shear stress (ipertensione o stasi) attivano l’endotelio attraverso i leucociti producendo la migrazione di un cluster di cellule, soprattutto mastociti che formano le basi biologiche della dolorabilità agli arti inferiori. Inoltre l’ipertensione venosa rappresenta uno stimolo meccanico ulteriore alle terminazioni nocicettive
MCP-1 VCAM-1
Attivazione angiogenesi
Angiotensina II Endotelina 1 PDGF
Danno della parete venosa
Figura 4 - Attivazione rimodellamento vascolare patologico (varicosità)
VENE Rimodellamento vene (Varici) Rischio trombotico
Tabella 1
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qualità della vita
Nessun dolore
MICROCIRCOLO SINTOMO FLOGOSI ENDOTELIALE Gonfiore Iperpermeabilità Pesantezza Ipossia Dolorabilità Ipossia / ril. bradichinina Iperpermeabilità / Breakdown drenaggio linfatico Edema Prurito / Crampi Alterazioni emoreologiche Ipossia / Microtrombi / Fibrin Cuffs Ulcere Venose Disfunzione endoteliale / MMPs (2-9) Stasi
Sensibilizzazione Riduzione sensibilità
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BIBLIOGRAFIA 1. Eklof E et al. Revision of the CEAP classification for chronic venous disorders: Consensus statement. Vol 40, N 6. J VASC S:1248-1252, 2004. 2. Nicolaides AN. Chronic Venous Disease and the Leukocyte-Endothelium Interaction: From Symptoms to Ulceration Angiology 56(suppl 1):S11–S19, 2005. 3. Bergan JJ et al. - Chronic Venous Disease; NEJM 355;5: 488-498, 2006. 4. Boisseau MR. Leukocyte involvement in the signs and symptoms of chronic venous disease. Perspectives for therapy. Clinical Heamoreheology and Microcirculation 37: 277-290, 2007. 5. Prandoni P. Links between arterial and venous disease. J Intern Med. 2007 Sep;262(3):341-50.
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DIETRO LE QUINTE Medici di Medicina Generale che hanno partecipato al Survey Nautilus
Abbadessa Alfia (CT), Acampora Pasquale (RA), Accardo Gianfranco (RM), Accardo Vito (TP), Acciarri Sandro (BO), Agnesini Giovanni (VE), Agosto Claudio (AL), Ahmadi Fariba (AL), Aires Emiliano (TO), Aisa Sebastiano (PG), Alessandria Marco (MI), Alessi Alessio (PD), Alessi Antonina Maria Rita (AL), Alfieri Pasquale (VE), Alfonsi Roberto (RM), Aloisio Domenico (CT), Alvino Nicola (NA), Ambrosanio Antonio (NA), Ammadi Farina (AL), Amodeo Espedito (AV), Andaloro Fabio (CL), Andena Annamaria (PC), Anedda Alberto (VE), Angioni Loredana (CA), Antonelli Arturo (AV), Antonello Giorgio (PD), Antonucci Asmerino (BO), Aragni Luigi Leopoldo (AL), Argentino Ornella (SA), Arneodo Anna Laura (TO), Arnulfo Giovanni (GE), Arosio Elisabetta (MI), Artuso Vladimiro (VE), Aureli Gianni (RM), Avella Giuseppe (RM), Avellino Laura (OR), Aveni Tramazza Pier Luigi (PI), Baccelli Alberto (LU), Bagolin Fabio (VE), Baio Francesco (AG), Baldini Gianluigi (RA), Balducci Andrea (BG), Balestrazzi Valerio (SA), Balsamo Salvatore (CS), Baraldi Valerio (BO), Barbacane Luca (VE), Barbagli Riccardo (LU), Barberis Claudio (VC), Barbero Sabrina (TO), Barbieri Gian Luigi (VE), Barducci Guido (RM), Bartolini Antonio (RM), Basile Antonio (MI), Baso Lino Antonio (VE), Bassini Marco (BO), Bastianon Romeo (TV), Battaglia Gianfranco (RM), Bauleo Salvatore (BO), Belfiore Maria Grazia (RM), Bellino Maurizio (RM), Bellitti Cosima Damiano (TA), Benagiano Rosa Maria (TA), Benedetti Claudio (RA), Benedetto Enrico (NA), Berardino Loredana (TV), Berarducci Filippo (AQ), Bertinetti Giampiero (AL), Bertoni Stiffelio (VT), Bertuccelli Franco (LC), Biagetti Mauro (PG), Biagini Andrea (AL), Bianchi Enrico (LI), Bianchi Patrizia (RM), Bianchini Francesco (IS), Bianco Felice (NA), Bianconi Giuseppe (MO), Bifferoni Enrico (VT), Bigini Danilo (RM), Bignone Giovanni Filippo (GE), Biosa M. Maddalena (OT), Bishara Khalil (PN), Bitonti Vincenzo (RM), Bivona Salvatore (CT), Blunda Lucia (TP), Boassa Giorgio (CA), Bonecchi Maria Cristina (MI), Bonecchi Massimo (MI), Bongera Patrizia (GE), Bonin Claudio (LU), Borghi Mariarosa (MI), Borrelli Giuseppe (IS), Bosco Lucia Anna (PV), Bosco Vincenzo (SR), Botticella Franco (GE), Bozza Felice
(PD), Brancaleoni Marco (FC), Briccetti Giuseppe (RM), Brundu Anna (CA), Bruni Alessandra (RM), Brusca Salvatore (LT), Brustia Pierdomenico (NO), Bruzzese Angela (RM), Bucci Giancarlo (IS), Buscaroli Leana (BO), Cabascia Andrea (MC), Cacchi Umberto (VR), Cagnano Antonio (TO), Caiazzo Leonardo (NA), Calisi Egidio (LT), Calza Carlo (BO), Cammisa Nicolò (TP), Campagnoli Maurizio (PV), Campisi Anna (SR), Canale Antonio (LT), Candeo Paolo (PD), Canelli Pier Matteo (BO), Canepari Claudio (AL), Cannas Francesco (SS), Cannizzo Diego (AG), Cantarini Claudio (RM), Capra Daniela (LC), Capriotti Elpidio (AP), Carbonaro Giuseppe (RG), Carbone Domenico (RM), Carcano Maurizio (MI), Cardines Eufemia (IS), Carlone Maria Palma (CB), Carulli Oreste (RM), Casali Luigia (MI), Caserini Adriana (MI), Cassini Salvatore (AG), Castaldo Giuseppe (NA), Castellana Gaetana (AG), Castellitto Anthony (BO), Catalani Franco (GE), Cavarra Pietro (ME), Caviglione Silvana (GE), Ceccato Maria Bernarda (TV), Cecere Aniello (NA), Celin Stefano (TV), Cempanari Angelo (VT), Centurione Rocco Enrico (CH), Cerchiaro Pietro (TV), Cervone Maria Grazia (NA), Cesarini Eugenio (VT), Chiarelli Luigi (PD), Chiarini Matilde (AG), Chistoni Valerio (LI), Ciamarra Maria Rosaria (CB), Cianfrone Gerardina (IS), Ciardella Stefano (LC), Ciarlante Maria (CB), Ciavattini Carlo (TV), Cignini Cesare (VT), Ciletti Placido (FG), Cimmino Margherita (NA), Cinti Vincenzo (FE), Ciolli Gemma (RM), Ciotta Angelo (NA), Cirmi Salvatore (CT), Cocca Velia (NA), Coccia Dante (RM), Cocciolillo Giuseppina Marta (CB), Colman Angelo (TV), Colombo Nadia (MI), Columbano Antonica (SS), Comandini Danilo (RM), Consalvi Genesio (LT), Consani Giuseppe (GE), Coratza Mario (SS), Cormaci Filadelfo (SR), Coronelli Maurizio Maria (PV), Cortese Filippo (NA), Costa Mauro (GE), Cottani Antonio (RM), Cremonini Nicla (LC), Cresce Massimo (RM), Crispino Vincenza (NA), Cucuccio Ivo (GE), Cugno Francesco (SR), Curti Carlo (VT), Cusumano Mariano (TP), D'Agostino Valter (NA), Dal Borgo Giuseppe (TV), D'amato Giuseppe (RN), Damiano Filomena (MI), D'Amicis Pietro (RM), D'Andrea Patrizia (RM), Danieli Dorino (VE), De Bellis Antonio (FG), De Blasi Nicola (ME), De Bortoli
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Luigina (TV), De Carlo Giuseppe (NA), De Petrillo Guido (RM), De Regibus Gianluca (NO), De Robertis Renato (BA), De Stefano Franco (UD), De Tullio Paolo (PR), Debidda Bernardino (OT), Degrà Luciano (RM), Del Genio Francesco (NA), Del Signore Giancarlo (RM), Del Vecchio Adolfo (NA), Del Vecchio Pio (NA), D'Eletto Clino (RM), Della Casa Giancarlo (VT), Della Corte Gennaro (NA), Denni Roberto (RM), Depau Bianca Rosa (CA), Derenzis Alfredo (IS), Derobertis Renato (BA), Derosa Giovanni (NA), Dessole Paola (OT), Di Benedetto Emanuele (SR), Di Cerbo Silvana (IS), Di Ciesco Giuseppe (PZ), Di Fazio Fernando (LT), Di Fazio Placido (CT), Di Fiore Giovanni (NA), Di Giorgio Antonio (ME), Di Giovanni Francesco (TP), Di Leo Francesco (PZ), Di Lorenzo Graziano (NA), Di Luciano Carmela (SR), Di Ludovico Anna (RM), Di Menna Dario (RM), Di Miceli Pietro (PA), Di Perna Angelo (NA), Di Pietro Elio (SR), Di Schino Maria (NA), Di Stefano Concetta (TO), Di Vincenzo Armando (PA), Dichirico Antonio (PZ), Diotallevi Orazio (RM), Divisoli Paolo Fausto (NO), Drago Claudio (PD), Eufrate Gianfranco (CL), Faggiani Comincio (VT), Falcone Enrico (BO), Fanton Livio (PD), Farioli Francesca (BO), Farneti Piero (BO), Farnetti Anna (RM), Fascetta Franca (SR), Fati Franco (GE), Fele Gerardo (NA), Feola Generoso (RM), Ferrara Salvatore (ME), Ferrari Antonio (GE), Ferraro Ettore (NA), Ferretti Laura (RM), Figaroli Clemente (CO), Fioretti Antonio (NA), Fonti Patrizia (CL), Formica Francesco (RM), Fort Daniela (PN), Fortini Carlo Maria (VT), Fortino Antonio (SA), Frainetti Giancarlo (LT), Francheo Roberto (PD), Franco Giuseppe (NA), Fratantonio Alfredo (NA), Freda Renato (AL), Frigola Andrea (VT), Fusciardi Rosaria (RM), Gadducci Paola (PI), Gaggioli Licia (BO), Galati Maria (CO), Galdieri Pasquale (NA), Galdiero Pasquale (NA), Galfo Francesco (RG), Gallus Andrea (OT), Galota Ignazio (RG), Gambardella Pier Francesco (GE), Gambarin Fulvia (PD), Gammone Maria Luigia (PZ), Garasto Michele (RM), Gardenghi Amleto (BO), Gargiulo Antonio (NA), Garro Nicola (PD), Gatti Fabio (CO), Gatti Maria Angela (MI), Gaudio Marcello (CS), Gelli Angelo Paolo (LU), Gellona Aldo (VC), Gelpi Giovanni (BG), Genevois Paolo Eugenio (SR), Gentilucci Giuseppe (RM), Geraci Giovanni (PA), Gervasi Mario (VE), Giangrande Silvana (RM), Gigante Laura (GE), Gigante Maria (CO), Gini Roberto (CO), Giobbi Leonardo (RM), Giordano Carmine (SA), Giovannelli Carlo (BO), Giovannelli Ernesto (NA), Giudici Angelo (VA), Giudici Valter (MB), Giunta Giovanni (RG),
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Giunta Vincenza Cinzia (CL), Giunti Paolo (RM), Go' Nazario (PD), Graffi Giuseppe (TO), Granata Anna Maria (RM), Granata Sandra (RM), Grassi Silvia (PI), Grasso Salvatore (SR), Greco Francesco (SR), Greguolo Ornella (VE), Grilli Sandro (RM), Grimaldi Maurizio (AG), Grobbo Antonella (TV), Guadagno Salvatore (NA), Guariglia Pietro (NA), Guatteo Massimo (TO), Guida Vincenzo (NA), Gulinatti Luigi (LO), Guzzoni Iudice Massimo (BA), Iaccarino Annamaria (LT), Iacolare Rosa (NA), Iannello Luigi (CE), Iaquinta Lina (BO), Igne Franco (PN), Ilaqua Gaetano (ME), Impalà Salvatore (ME), Imperiali Renzo (VA), Ingaldi Filippo (NA), Ippolito Enrico (PI), Iurato Benedetto (TO), L'Amante Claudio (LT), La Motta Benedetto (RM), La Penna Fabio (LT), La Salvia Rocchino (VA), Labianca Rosario Antonio (RM), Laganà Mario (RM), Lai Alessandra (CA), Lamieri Cristina (BO), Laurenzi Riccardo (PG), Lazzarini Enrico (AL), Lazzarino Walter (TO), Lembo Pasquale (ME), Levi Minzi Susanna (PD), Levi Patrizia (MI), Liguori Antonio (CS), Liguoro Antonio (NA), Linsalata Isabella (BO), Liviadotti Daniela (RM), Livraga Stefania (PC), Lo Monaco Claudio (AL), Lobefaro Sandro (RM), Loddo Paolo (NU), Lolli Graziano (BO), Lombardo Lucilla (RM), Longa Giorgio (LU), Lorrai Ascanio (RN), Losurdo Elena (GE), Lucca Raffaella (VC), Lucchetti Angelo (BG), Luce Luigi (VA), Luchetti Mauro (PD), Luciano Gennaro (CE), Lumbroso Massimiliano (PI), Lumera Salvatore (SR), Lunardi Giuseppe (LC), Maccapani Roberto (MI), Maccarone Emilia (TV), Macrì Loris (RA), Maggi Marco (RM), Maglia Diego (MB), Maio Mariano (GE), Maisto Angela (NA), Malachin Fabio (PD), Mallamace Agostino (RM), Maltempi Maura (MI), Mandracchia Mario (AG), Mangiagalli Maurizio (PV), Manocchio Bruno (CB), Manuali Stefano (PG), Manzetti Stefano (RM), Marasco Michele Giovanni (CS), Marcato Emmalisa (PD), Marchiori Amedeo (PD), Marconi Roberto (RM), Maresca Giovanni (RM), Marrazzo Giuseppe (NA), Martino Giovanna (NA), Marturano Salvatore (SR), Marusso Tiziana (VE), Mastrangelo Giuseppe (CB), Mastrantoni Angela (RM), Mauri Ivan (LC), Mauri Luigi (CO), Maurizio Walter (RM), Mauro Gian Piero (VC), Mazzarello Dario (GE), Mazzei Rosa (RM), Meloni Maria Concetta (CA), Menchinelli Marco (VT), Menolascina Maria (PN), Merola Nicola (IS), Mezzopra Maria Rita (VT), Michieletto Maurizio (TV), Migliari Massimo (RM), Migliavacca Umberto (MI), Miletti Giuliano (NA), Milito Mario Gerardo (LT), Mingozzi Stefano (BO), Miraglia Maurizio (CL), Miranda Salvatore (SR), Mirelli Michele (BO),
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Mirrione Antonio (TP), Misso Michele (CE), Moltisanti Giuseppe (RG), Montani Oscar (SV), Montis Gianpiero (CA), Montori Claudio (BO), Morana Dario (RG), Morello Vincenzo (RG), Morgantini Domenico (VT), Morrone Nicola (CB), Moschetti Bruno (RM), Mosillo Felice (LT), Musconi Marinella (BO), Mutalipassi Giuseppe (RM), Nanni Angelo (IM), Narducci Pierpaolo (AV), Negretto Ezio Antonio (MI), Nero Gianfranco (RM), Nezi Attilio (AP), Nicola Leo (FG), Nicotra Alfonso (PA), Nitto Emidio (RM), Noia Emanuela (MI), Novellino Antonio (MI), Occhipinti Rosario (RG), Ognibene Giuseppe (PA), Oldani Roberto (GE), Oliva Francesco (RM), Ombra Fulvio (AL), Oriolo Annunziata (MT), Orlandi Sergio (PG), Orsolini Pierluigi (LC), Pacino Giuseppe (RM), Padula Vitantonio (VE), Pagano Antonio (RM), Palazzetti Daniele (PG), Palladino Mauro (RM), Palomba Antonio (NA), Palumbo Andrea Vincenzo (CB), Palumbo Stefania (SV), Panata Luigi (PG), Parisi Maurizio (RM), Parodi Luigi (GE), Pasolini Valerio (AL), Pasqual Fabio (VE), Pastorino Sandro (GE), Pellegrini Adriana Patrizia (MI), Pelletteri Antonio (GE), Perasso Paolo (AL), Perna Rosaria (NA), Perri Francesco (CS), Perucchini Marco (MI), Peruzzi Maria Grazia (RM), Pescio Gian Stefano (GE), Petti Roberto (RM), Pezzoli Andrea (BO), Pezzulo Tiziana (TO), Piacenza Antonio Giulio (MI), Picone Raffaele (CE), Pietrini Franco (RM), Piferi Gianfranco (LT), Piganti Enrico (FE), Pinna Roberto (TO), Pintus Giovanni (SS), Piovera Giuseppe (PV), Piro Silverio (OT), Piro Vincenzo (CS), Pisculli Michele (RM), Polenghi Alessandra (MI), Pollastri Giovanni (BO), Popolo Anna Maria (TO), Porzio Domenico (FG), Posca Roberto (CS), Premoli Carlo (CO), Previtera Antonio (CT), Princi Antonietta (RM), Priori Arnaldo (RM), Provenzale Vincenzo (ME), Puccini Giancarlo (VT), Pulitanò Vincenzo (MO) Puma Ippolito (TP), Quatrini Enrico (VT), Raggi Augusto (VT), Ragni Guglielmo (SA), Rainaldi Roberto (RM), Ramanzini Adriano (VR), Ramezzana Lorenzo (AL), Re Andrea Maria (AL), Reale Alberto (AL), Redaelli Valentino (MB), Reed Louise Ann (NA), Reina Roberto (CA), Renzi Carlo (RN), Repetto Enrico (GE), Ricci Francesco (RM), Ricciardello Massimo (TO), Riganò Antonio (RM), Riglietti Sabino Alberti (VT), Rinaldi Rinaldo (RM), Rizzo Alberto (RM), Rodriguez Lucia (TV), Roggio Ebe Aida (AL), Romano Annibale (FG), Romano Giulio (NA), Ronzani Walter (BG), Rosanio Vincenzo (NA), Rossetti Severino (CO), Rossi Florica (MI), Russo Mafalda (NA), Russo Sebastiano (SR), Russo Vincenzo (NA), Rutigliano Maria Verina (RM),
Rutigliano Renato (RM), Sabatelli Veneranda (BR), Sabatini Alessandro (RM), Sabbatelli Maria Giovanna (BA), Saleh Mazen (BO), Saltalamacchia Policarpo (NA), Salvaggio Giuseppe (AG), Salvoni Franco Antonio (LU), Sampaolo Cesare (RM), Sancinito Giuseppa (AG), Sandiano Laura Antonella (TO), Sanna Gianpaolo (CA), Santi Sandra (BO), Sarcinella Roberta (RM), Sarti Riccardo (LU), Sassi Enzo (IS), Savelloni Gilberto (RM), Savì Ippolito (RN), Sburlino Alberto (RM), Scandale Cogliandro Giovanna (AP), Scarrone Giovanni (VC), Scavone Gianfranco (MI), Sciarini Giorgio Roberto(VA), Scognamiglio Vincenzo (NA), Sconosciuto Giovanni (LT), Serafini Antonella (LC), Serra Roberto (CA), Settimi Maria Vittoria (PG), Silvestri Giovanni (IS), Smaldone Antonio (NA), Smaldone Massimo (NA), Solaro Vincenzo (PA), Soleti Fabrizio Fernando (RM), Soraggi Pietro (LC), Soverini Paolo (BO), Spada Patrizia (BO), Spadaro Giorgio (RM), Spano Salvatore (OT), Sparano Luigi (NA), Spezzano Alfredo (NA), Stamerra Vincenzo (LE), Stefani Roberto (TV), Stellini Fabio (GE), Sulas Giuseppina (NU), Sulpizio Giuseppe (VC), Taglioli Monica (SS), Tamburrino Raffaele (CE), Tarantini Giuseppe (IM), Tavolieri Mario (IS), Tedde Francesca (SS), Tempera Enrico (RM), Tentoni Giovannino (RN), Teodoro Paolo (SR), Terzano Mauro (VC), Testoni Liano (BO), Tibaldi Marco (BO), Tibaldi Marco (IM), Tidona Antonio (RG), Tizzoni Stefano (PC), Tognacci Anna Maria (FC), Tomasi Emanuela (TV), Tombolini Giorgio (AP), Tommasi Eros (BO), Tornincasa Giuseppe (RM), Torre Filippo (LU), Torre Vito (NA), Torregiani Federico (AL), Tosto Giacomo (TP), Totè Annamaria (MI), Traversa Angela (LT), Trevisan Francesco (GE), Tripodi Giuseppe (RM), Trotta Elio (RM), Tua Oscar (TO), Tubili Dario (RM), Tuccori Fabrizio (LC), Tufano Aniello (NA), Tura Mauro (BO), Tuzi Paolo (RM), Ugliano Enzo (NA), Urso Gerlanda (CL), Urso Giovanni (BO), Varinelli Giovanni (BG), Vario Teresa (ME), Vastarella Ottone Bruno (NA), Vecchietti Maurizio (RM), Velicogna Aldo (LT), Ventriglia Luciano (BG), Verza Paola (MI), Vigano' Anna (PI), Villa Gianfranco (MB), Vinco Mauro (MI), Violanti Giancarlo (AL), Visconti Giovanni (VA), Vitagliano Angelo Michele (LT), Vitale Luigi (RM), Vitulo Enrico (BO), Volpini Claudio (RM), Vulpiani Anna Maria (RM), Vulpis Lorenzo (RM), Zala Massimo (RM), Zanetti Giuseppe (PD), Zavattaro Gabriella (AL), Zedda Maria Teresa (CA), Zilli Orietta (TV), Ziri Maria (CA), Zito Francesco (RM), Zomparelli Maurizio (RM), Zoppi Annalisa (PC), Zorzetti Giancarlo (AL), Zorzi Michele (PD).
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“Premio Mauro Bartolo” Lavori premiati al XXXI Congresso Nazionale SIAPAV Roma 25-28 novembre 2009 Bibliografia e Figure/Tabelle disponibili e aperti a discussione in Forum del sito di Nautilus : www.nautilussalute.com STUDIO RANDOMIZZATO, PROSPETTICO, IN APERTO SULLE TROMBOSI VENOSE DISTALI (EPARINA A BASSO PESO MOLECOLARE VERSUS WARFARIN PER SEI SETTIMANE): STUDIO TODI Ghirarduzzi A1, Camporese G2, Siragusa S3, Imberti D4, Bucherini E5, Landini F1, Ageno W6, Prandoni P7 1 S.S.D. Angiologia, Arcispedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia; 2Unità di Angiologia, Ospedale Universitario di Padova; 3 Dipartimento di Oncologia, Ospedale Universitario di Palermo; 4Medicina Interna, Ospedale di Piacenza; 5 U.O. di Angiologia, Ospedale di Faenza; 6Clinica Medica, Ospedale Universitario di Varese; 7 Dipartimento Cardiotoracico e di Malattie Vascolari, Ospedale Universitario di Padova
Introduzione e Obiettivi. In contrasto con le numerose informazioni riguardanti il trattamento delle trombosi venose prossimali degli arti inferiori, esistono in letteratura pochi dati riguardanti il trattamento ottimale delle trombosi venose distali isolate sintomatiche (sia in termini di dosaggio terapeutico che di durata della terapia). Obiettivo dello studio è stato dimostrare che un trattamento breve con eparina a basso peso molecolare è un’alternativa efficace e sicura al warfarin in questo tipo di patologia trombotica. Metodi. In uno studio multicentrico, in aperto sono stati randomizzati 260 pazienti consecutivi affetti da trombosi venosa distale isolata sintomatica (diagnosticata mediante ecocolordoppler) a ricevere eparina a basso peso molecolare (EBPM) in dosi terapeutiche per almeno 5 giorni seguita da warfarin (target INR 2.0) a completare le sei settimane di terapia o EBPM in dosi terapeutiche per due settimane seguita da metà dose per altre quattro settimane. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a rivalutazione ecocolordoppler al termine del periodo di trattamento. Gli end-point combinati dello studio erano 1) estensione o recidiva sintomatica di trombosi venosa
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Acute distal DVT (n=506) Excluded (n=246) - Previous VTE: 49 - Active Cancer: 1068 - Inaccessibility for F-UP: 33 - Chronic Medical diseases: 44 - Others: 12 Randomly Assigned (n=260)
Infrapopliteal Veins (Tibial and/or peroneal veins) (n=130)
Warfarin 6 weeks (n=65)
Figura 1
LMWH 6 weeks (n=65)
Muscular Calf Veins (soleal and/or gemellar) (n=130)
Warfarin 6 weeks (n=65)
LMWH 6 weeks (n=65)
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distale; 2) sviluppo di eventi tromboembolici sintomatici, incluso trombosi venose prossimali e/o embolia polmonare; 3) necessità di prolungare la terapia oltre le sei settimane per peggioramento clinico o strumentale; 4) sviluppo di trombosi venosa superficiale (Tabella 1). Risultati. I dati demografici e clinici sono riportati in tabella 2. Durante il periodo di sei mesi dello studio, 25/130 pazienti (19%) appartenenti al gruppo EBPM hanno presentato un outcome clinico, contro 22/130 pazienti del gruppo warfarin (16.9%) (differenza assoluta (2.1; 95% CI, 6.8 to 9.9; P=0.64). La maggior parte degli eventi è stata rappresentata da estensione o recidiva di trombosi venosa distale. Non si sono evidenziate differenze significative tra i due gruppi in merito agli eventi emorragici maggiori. Conclusioni. Le due strategie terapeutiche hanno un profilo simile in termini di efficacia e sicurezza per il trattamento dei pazienti afffetti da trombosi venosa distale isolata sintomatica.
CARATTERISTICHE DEMOGRAFICHE E CLINICHE DEI PAZIENTI IN STUDIO Warfarin Group LMWH Group 55:78 49:81 Sesso (M:F) 169.1 ± 15.7 166.4 ± 8.9 Altezza (cm) 78.8 ± 17.4 77.5 ± 14.8 Peso (Kg) 59.6 ± 15.8 61.9 ± 15.4 Età 5.9 ± 2.8 5.4 ± 2.7 Intervalo insorgenza sintomi-diagnosi Sintomi/segni alla diagnosi - Prevalente dolore 70 54 - Prevalente edema 18 23 - Entrambi 42 53 D-dimer alla diagnosi (% Positive) 118 (90.7%) 104 (80%) D-dimer 1 mese dopo la fine del trattamento (% Positivi) 48 (36.9%) 47 (36.1%) Unprovoked DVT 70 69 Provoked DVT 60 61 - Recent Trauma or Orthopedic Surgery 39 39 - Recent General surgery 6 5 - Hormonal treatment or pueperium 7 6 - Medical diseases 1 7 - Others and combined factors 7 4
Tabella 1
Warfarin Treatment/F-UP period
Study outcome 1) symptomatic extension or recurrence of the below-knee thrombosis 2) development of symptomatic thromboembolicevents, including proximal VT and/or pulmonary embolism 3) need to extend the therapy beyond six weeks for worsening of both ultrasound and clinical features 4) development of superficial vein thrombosis TOTAL
Outcomes free survival %
Major Bleedings
LMWH Treatment/F-UP period
1/4
1/11
0/1 (PE)
1/0 (proximal DVT)
13/0
11/0
1/2
0/1
15/7 = 22
13/12 = 25
2
2
100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0
Warfarin Group LMWH Group
0
30
60
90
120
150
180
Days
Tabella 2
FATTORI DI RISCHIO TROMBOTICO E PROGNOSI DEL PAZIENTE CON ARTERIOPATIA OSTRUTTIVA PERIFERICA Sartori M, Conti E, Favaretto E, Legnani C, Pili C, Amato A, Palareti G U.O. Angiologia e Malattie della Coagulazione “Marino Golinelli”, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna
Introduzione. L’arteriopatia ostruttiva periferica (AOP) di origine aterosclerotica è una condizione clinica caratterizzata da placche aterosclerotiche in grado di ridurre il flusso ematico agli arti inferiori. Circa il 75% dei pazienti lamenta solamente claudicatio intermittens e tale condizione è stabile nel tempo. In una piccola per-
centuale di essi, invece, si assiste ad un progressivo peggioramento e/o un evento acuto potenzialmente catastrofico come l’ischemia acuta di un arto. Tali pazienti sono, sovente, sottoposti a procedure di angioplastica transluminale percutanea (PTA), con o senza applicazione di stent. Nei pazienti sottoposti a tali procedu-
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re la probabilità di eventi cardiovascolari maggiori è molto elevata. Risulta, quindi, importante riconoscere tutti quei paziente che sono a rischio di peggioramento o di sviluppare eventi cardiovascolari maggiori. I noti fattori di rischio cardiovascolare come il fumo di sigaretta, il diabete la ridotta funzionalità renale, la razza nera sono fattori di rischio per l’AOP, ma non sono indicatori prognostici a breve termine. Elevati livelli di omocisteina plasmatica, la presenza del fenomeno lupus anticoagulant (LAC), elevati livelli plasmatici di fattore VIII (FVIII), la mutazione G20210A del gene della protrombina (PT), la mutazione R506Q del fattore V (FV Leiden) sono fattori di rischio per la trombosi venosa, ma il loro ruolo nella patologia arteriosa non è ancora chiaro. Tali fattori di rischio potrebbero interagire con i classici fattori di rischio cardiovascolare per aumentare l’instabilità della placca e/o la trombosi favorendo la progressione della malattia aterosclerotica. Potrebbero, quindi, essere marker prognostici nei pazienti in cui è già presente malattia aterotrombotica e già sottoposti ad interventi di rivascolarizzazione. Per verificare tale ipotesi, abbiamo studiato una coorte di pazienti con AOP sintomatica sottoposti a PTA, verificando se la presenza di tali fattori fosse associata ad una prognosi più grave. Materiali e metodi. Dal gennaio 2003 al gennaio 2006 sono stati consecutivamente inclusi nello studio tutti i 131 pazienti affetti da AOP, allo stadio IIB-III-IV sec Fontaine o con ischemia acuta di un arto, che hanno eseguito almeno una procedura di PTA, con o senza applicazione di stent, preceduta o meno da trombolisi loco-regionale. Sono stati esclusi dallo studio i 29 pazienti trattati nello stesso periodo con la solo trombolisi. In tutti i pazienti è stato eseguito un follow-up clinico e strumentale con periodici controlli stabiliti ad 1, 6, 12 mesi dopo la procedura ed in seguito annuali. La mortalità totale, gli eventi cardiovascolari maggiori (stroke, infarto miocardio e rivascolarizzazione in altre sedi) costituivano l’end-point dello studio. End-point secondario era lo sviluppo di ristesosi nel tratto precedentemente sottoposto a PTA. I controlli periodici hanno incluso: a) una visita angiologica con valutazione clinica complessiva; b) l’esecuzione di ecocolordoppler arterioso degli arti inferiori per registrare l’eventuale comparsa di ristesosi. In tutti i casi è stato effettuato il seguente trattamento antitrombotico post-procedurale: a) doppia antiaggregazione con acido acetilsalicilico (ASA) 100 mg e ticlopidina 250 mg x 2 volte al dì, per il primo mese, seguita da mono terapia antiaggregante (solitamente ASA 100 mg); b) eparina a basso p.m. a metà della dose terapeutica per la prima settimana, solo nei casi di procedure sottoinguinali; c) statine a dose medio-alta (solitamente atorvastatina 40 mg 1 volta al dì). Tutti i partecipanti allo studio sono stati sottoposti a prelievo di sangue venoso, che dopo centrifugazione è stato congelato a -70°C. I seguenti test di trombofilia sono stati eseguiti come altrove descritto: dosaggio del fibrinogeno, del FVIII, dell’omocisteina, resistenza all’attivazione della proteina C (APCR), in caso di un rapporto normalizzato < 0,80 è stata eseguita l’analisi genetica per la ricerca della
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mutazione FV Leiden, in tutti i partecipanti è stato inoltre ricercato il fenomeno LAC ed è stata eseguita l’analisi genetica per la mutazione PT G20210A. L’analisi statistica è stata eseguita con il software SPSS™ (version 15.0; SPSS Inc. Chicago, Illinois, USA). Per le relazioni tra variabili continue è stato utilizzato il test di Pearson, per le variabili categoriche il test di Fischer. Per il confronto di medie tra i differenti gruppi l’analisi della varianza, per il calcolo della sopravvivenza l’analisi di Kaplan-Mayer e la regressione di Cox per il calcolo del rischio relativo associato a ciascuna variabile. Risultati. I pazienti ( / 64/38) inclusi nello studio presentavano un’età media di 69+1 anni. 176 erano in stadio IIB, 106 in stadio III e IV (ischemia critica). Il 13% dei pazienti era diabetico, il 34% era affetto da ipertensione arteriosa, il 36% da ipercolesterolemia, il 28% era fumatore all’arruolamento. Per quanto riguarda i fattori di rischio trombotico, il 34% dei pazienti presentava elevati livelli di omocisteinemia, il 29% elevati livelli di FVIII. Il fenomeno LAC era presente nel 9.9% dei pazienti. La frequenza della mutazione PT G20210A era il 3%, simile la frequenza della mutazione FV Leiden. La frequenza dei pazienti con almeno due fattori di rischio trombotico era il 21%. Durante il follow-up (37±2 mesi), la mortalità (32 vs 10% log-rank p=0.001) e gli eventi cardiovascolari maggiori (38 vs 18% log-rank p=0.001) erano più frequenti nei pazienti con almeno due fattori di rischio trombotico rispetto a quelli con uno o nessun fattore di rischio trombotico. Il tasso di ristesosi era simile nei due gruppi (24 vs 20%, p=ns). Secondo l’analisi di Cox, il FVIII (RR 2.58 CI 1.21-5.51) e la presenza di LAC (RR 6.71 CI 1.13-39.73), erano associati alla mortalità ed agli eventi cardiovascolari, mentre l’omocisteina non era associata alla prognosi dei pazienti con AOP. Conclusioni. Il nostro studio dimostra che nei pazienti sottoposti a PTA per AOP, la presenza di almeno due tra i seguenti fattori di rischio trombotico: omocisteina, FVIII, fenomeno LAC, la mutazione del gene della protrombina e del fattore V (FV Leiden) è associata ad un più alto rischio di morte e di eventi cardiovascolari maggiori. I pazienti con AOP presentano con elevata frequenza alterazioni trombofiliche, nel nostro studio, quelli associati ad una prognosi peggiore erano il FVIII e il LAC. I pazienti sottoposti a PTA sono ad elevato rischio cardiovascolare, i nostri dati evidenziano che il marker di gravità più importante è il numero di alterazioni trombofiliche presente in ciascun paziente: i pazienti con almeno due fattori di rischio trombofilico presentano un rischio relativo quasi doppio di sviluppare eventi cardiovascolari rispetto ai pazienti con 1 o 0 fattori di rischio trombotico. Nel nostro studio, la presenza di fattori di rischio trombofilico non ha influenzato significativamente il tasso di ristesosi. Al momento attuale, lo screening dei fattori di rischio trombofilico potrebbe essere utile per individuare quei pazienti già sottoposti a PTA che presentano più alterazioni ed impostare, quindi, un followup più stretto ed una più aggressiva terapia cardiovascolare.
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EFFETTI DELLA STIMOLAZIONE ELETTRICA TRANSCUTANEA SUL FLUSSO MICROCIRCOLO E SUL DOLORE IN PAZIENTI CON ISCHEMIA CRITICA De Marchi S, Prior M, Bianchini D, Rigoni A, Chiaramonte A, Arosio E U.O. di Riabilitazione Vascolare, Policlinico di Verona, Università di Verona
Obiettivi. Valutare gli effetti dell’applicazione di correnti interferenziali agli arti inferiori di pazienti affetti da ischemia critica cronica, in aggiunta al trattamento riabilitativo, su: flusso all’arteria femorale, indice caviglia braccio, flusso microcircolo cutaneo al piede (a riposo e con test funzionali), controllo del dolore (consumo di farmaci e valutazione del dolore). L’ischemia critica cronica costituisce una patologia con prognosi sfavorevole ed è inoltre responsabile di un importante scadimento della qualità di vita per la ridotta capacità deambulatoria e per la presenza di dolore cronico. Le risorse terapeutiche risultano particolarmente ridotte e di efficacia spesso scarsa. L’utilizzo dell’elettroterapia interferenziale trova un razionale negli effetti di modulazione del tono vasale (vasodilatazione e vasocostrizione) e negli effetti neuromediati in particolare sulla riduzione del dolore. Materiali e metodi. Sono stati arruolati 16 pazienti affetti da ischemia critica cronica e randomizzati in due gruppi: un gruppo sottoposto a trattamento medico-riabilitativo/gruppo A (30’ di ginnastica medica 1v/die e infusioni di alrpostadil 40 mcg x 2/die) e ciclo di terapia interferenziale, e un gruppo sottoposto al solo trattamento medico-riabilitativo/ gruppo B. Il trattamento con corrente interferenziale (f=1÷100Hz, cicli 20’’; Imedia=15 mA) era applicato all’arto sintomatico (t=15’, 1v/die, 10 giorni). Sono state effettuate valutazioni mediante Laser-Doppler del flusso micorcirolatorio (a riposo, durante stimolo del riflesso venulo-arteriolare e dopo ischemia) nel gruppo in elettroterapia prima dell’inizio del trattamento interferenziale, 20 minuti dopo la prima seduta e 6 ore dopo l’ultima seduta. Per quanto riguarda il gruppo di controllo le valutazioni sono state effettuate prima e dopo 10 giorni di trattamento medico-riabilitativo standard. Indice di Winsor, flusso all’arteria femorale e valutazioni del
dolore/consumo di farmaci venivano effettuate prima e dopo il ciclo di terapia con interferenziali, nel gruppo di controllo prima e dopo 10 giorni di trattamento standard. I dati sono espressi come media±DS, abbiamo utilizzato l’analisi della varianza (ANOVA; SPSS, SPSS Italia srl, Italy) seguita da post-hoc t test per dati appaiati (significatività per p<0.05). Risultati. Nel gruppo A abbiamo documentato un incremento del flusso microcircolatorio (laser Doppler) a riposo dopo la prima seduta (Fig 1); si è potuto inoltre documentare un miglioramento della riserva microcircolatoria analizzata con l’iperemia postischemica (Tab. 1) e un recupero del riflesso venulo-arteriolare (Tab. 1) che protegge e modula i regimi pressori a livello microcircolatorio, sin dalla prima seduta. Abbiamo inoltre registrato un decremento significativo nell’utilizzo di farmaci analgesici e della percezione del dolore in entrambi i gruppi (Tab), in maniera significativamente maggiore nel gruppo trattato con elettroterapia. Nei due gruppi è rimasta invariato il flusso rilevato all’arteria femorale e l’indice caviglia braccio (Tab. 1). Conclusioni. L’applicazione di terapia interferenziale all’arto inferiore di pazienti con ischemia critica cronica potenzia la riserva microcircolatoria e la vasoregolazione cutanea, migliora significativamente il controllo del dolore e riduce il consumo di farmaci analgesici. Il nostro studio dimostra quindi un vantaggio significativo dell’utilizzo di terapia interferenziale in associazione a terapia medico-riabilitativa in pazienti affetti da ischemia critica cronica degli arti inferiori sia sotto il profilo clinico/strumentale che per quanto riguarda la qualità di vita. Gruppo A Basale
LASER-DOPPLER FLOW A RIPOSO Flusso femorale (l/min)
% 25
*
Indice di Winsor
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5,1±2,1
Fine terapia 6,8±4,1
Gruppo B Basale 5,6±1,8
Fine terapia 6,1±3,2
0,51±0,11 0,53±0,13 0,52±0,15 0,52±0,18
15
LaserDoppler VAR (%) (dopo 1 seduta >)
-19±3
-32±5# (-29±6#)
-18±4
-19±6
10
LaserDoppler post-ischemico (dopo 1 seduta >)
29±18
52±22# (56±27#)
28±14
42±16#
Pain score (cm)
9,2±0,6
5,3±1,2*
9,1±0,5
7,3±0,9#
Paracetamolo (gr/die)
1,7±0,2
0,7±0,2**
1,8±0,1
1,2±0,2§
5 0 basale Gruppo A
I seduta
10 giorni
Gruppo B
Medie = DS; * p < 0,05 vs basale corrispondente
Figura 1
Parametri emodinamici e valutazione del dolore (VAS). Media±DS; *p<0,001 vs basale e p<0,05 vs gruppo B fine terapia; **p<0,005 vs base e p<0,05 vs Gruppo B fine terapia; #p<0,05 vs basale; §p<0,05 vs basale.
Tabella 1
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PROCEDURE IBRIDE VASCOLARI ED ENDOVASCOLARI NEL TRATTAMENTO DELL’ARTERIOPATIA CRONICA DEGLI ARTI INFERIORI Gattuso R, Irace L, Venosi S, Jabbour J, Faccenna F, Laurito A, Castiglione A, Alunno A, Felli MMG, Malaj A, De Marchi F, Gossetti B. U.O.C. di Chirurgia vascolare, Policlinico Umberto I di Roma
Introduzione. Per procedura ibrida si intende l’associazione di un intervento chirurgico tradizionale (bypass periferico) e di trattamenti endovascolari (PTA/Stenting) dei vasi a monte e/o a valle con lo scopo di migliorare l’inflow e l’outflow del bypass stesso. L’associazione di tali procedure, in pazienti con arteriopatia ostruttiva cronica degli arti inferiori, offre al chirurgo vascolare la possibilità di un singolo trattamento per lesioni multisegmentarie, che in passato erano trattate mediante procedure chirurgiche tradizionali invasive eseguite in tempi diversi. Materiali e metodi. Dal gennaio 2003 al gennaio 2008, 62 pazienti (51 maschi e 11 femmine), affetti da arteriopatia cronica ostruttiva degli arti inferiori (3° - 4° stadio di Fontaine-Leriche) sono stati sottoposti a trattamento combinato vascolare ed endovascolare. Tutti i pazienti sono stati valutati nel preoperatorio mediante uno studio eseguito con: indici caviglia-braccio (ABI), treadmill test, ecocolordoppler arterioso degli arti inferiori e AngioTC o AngioRM. In 5 paziente è stato necessario eseguire uno studio angiografico preoperatorio. I fattori di rischio associati erano rappresentati da: ipertensione arteriosa sistemica, cardiopatia ischemica, diabete mellito, dislipidemia, obesità e fumo di sigaretta. In base alla valutazione strumentale preoperatoria i pazienti sono stati suddivisi in 3 classi, considerando il risultato del calcolo dell’ABI: classe A pazienti con ABI compreso tra 0.5 - 0.4 (30 casi 48.3%); classe B pazienti con ABI compreso tra 0.39 – 0.3 (24 casi 38.7%); classe C con ABI < 0.3 (8 casi 13%). In 43 pazienti (69.4%) (gruppo 1) è stato eseguito un bypass femoropopliteo dopo PTA / stenting delle arterie iliache; negli altri 19 pazienti (30.6%) (gruppo 2) è stata eseguita una procedura endovascolare sui vasi tibiali dopo il confezionamento di un bypass femoro-popliteo sottogenicolato. 50 pazienti (80.6%) sono stati sottoposti nel periodo preoperatorio e postoperatorio, fino alla dimissione, a terapia medica con iloprost. Nei restanti 12 (19.4%) non è stato possibile somministrare tale terapia per controindicazioni di natura cardiologica. Tutti i pazienti dopo l’intervento hanno eseguito terapia medica con statine e doppia antiaggregazione (ASA o ticlopidina in associazione a clopidogrel) per 6 mesi con successiva sospensione del clopidogrel. Durante il follow-up, compreso tra 3 e 48 mesi, i pazienti sono stati seguiti mediante valutazione ABI, Treadmill test ed ecocolordoppler. Esami di secondo livello come AngioRM/TC e l’arteriografia sono stati riservati ai soli casi con complicanze. Risultati. Tre pazienti (4.8%) sono deceduti durante il follow-up per infarto del miocardio. L’occlusione del bypass si è verificata in 13 pazienti del primo gruppo (30.2%) ed in 11 del secondo (58%). In 15 di questi
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pazienti si è verificata un’ischemia acuta dell’arto, in 6 pazienti si è manifestata nuovamente un’ischemia critica e 3 pazienti non hanno riferito alcuna sintomatologia clinica: l’occlusione del bypass e/o degli stent è stata diagnosticata durante esami strumentali di controllo. I 15 pazienti con ischemia acuta sono stati sottoposti a fibrinolisi e in 9 di essi abbiamo osservato la risoluzione del quadro clinico e una buona pervietà del bypass, dopo correzione endovascolare delle cause che hanno provocato la trombosi del bypass. In 6 pazienti la fibrinolisi non ha avuto successo; 2 pazienti sono stati sottoposti a revisione chirurgica: in 1 caso è stato confezionato un bypass aorto-femorale e nell’altro un bypass femoro-popliteo sottogenicolato. Quattro pazienti sono stati sottoposti ad amputazione di coscia. I 6 pazienti con ischemia critica sono stato sottoposti a terapia medica con iloprost ed eparina a basso peso molecolare: 4 pazienti hanno mostrato buoni risultati, i restanti 2 hanno subito un’amputazione di gamba. I pazienti che non hanno avuto complicanze (38 casi 64.4%) e i pazienti in cui le complicanze sono state risolte mediante ulteriori trattamenti chirurgici, endovascolari e/o farmacologici, hanno mostrato nel follow-up un miglioramento del quadro clinico presente al momento del ricovero. Tutti hanno riferito un miglioramento della sintomatologia dolorosa e in quei casi in cui erano presenti delle lesioni trofiche abbiamo assistito ad un miglioramento delle stesse con risoluzione completa in 6 casi. Da un punto di vista strumentale si è avuto un netto miglioramento dei valori di ABI: in 26 pazienti (49%) il valore è risultato compreso tra 0.7 – 0.6; in 24 casi (45.3%) tra 0.59 – 0.4 e in 3 casi (5.7%) < 0.39. Conclusioni. L’approccio endovascolare delle lesioni stenotiche prossimali e distali ad un bypass femoro-popliteo garantisce migliori risultati di pervietà a distanza e riduce il rischio operatorio della chirurgia classica. Nella nostra esperienza il trattamento ibrido è stato seguito da una buona pervietà a distanza e un miglioramento del quadro clinico e strumentale di tali pazienti. Una revisione della letteratura internazionale non ha ancora permesso la standardizzazione di protocolli per il trattamento combinato, così che tale scelta è riservata a tutt’oggi all’esperienza soggettiva del terapeuta. I buoni risultati ottenuti sono attribuibili all’attenta selezione dei pazienti mediante esami strumentali preoperatori atti a valutare la localizzazione, l’estensione e le caratteristiche morfologiche delle lesioni, ad una tecnica operatoria rigorosa ed accurata, nonché ad una mirata terapia farmacologica pre e postoperatoria. Ulteriori valutazioni su campioni più ampi sono necessarie per validare il miglioramento dei risultati immediati e a distanza.
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RISULTATI A DISTANZA NELLE RIVASCOLARIZZAZIONI DISTALI: SOPRAVVIVENZA E SALVATAGGIO D’ARTO Macrì I*, Atteritano M**, Benedetto F*, Stilo F*, De Caridi G*, Spinelli F* *Dipartimento di Medicina Clinica Sperimentale e Farmacologica, UOC di Chirurgia Vascolare, Università di Messina. **Dipartimento di Medicina Interna e Terapia Medica, UOC di Medicina Interna, Università di Messina
Introduzione. L’ischemia critica degli arti inferiori la cui incidenza in Italia è stimata tra i 500 e i 1000 nuovi casi/anno per milione di abitanti,e, destinata ad un progressivo aumento per l’invecchiamento della popolazione,è una grave condizione patologica la cui storia naturale comporta il 44% di amputazioni ad 1 anno nonché una più elevata morbilità e mortalità c-v. L’incidenza di amputazioni maggiori in Italia varia da 120 a 500 nuovi casi/anno ed il 10% muore nel periodo perioperatorio. Inoltre la riabilitazione ad essa successiva è limitata al massimo a due terzi dei sopravvissuti. Anche se l’amputazione al di sotto del ginocchio può consentire una rapida riabilitazione ,i pazienti più anziani, con plurime comorbidità,,non camminano facilmente con una protesi sotto il ginocchio. Non è infine da sottovalutare il fatto che in molti pazienti anche l’arto controlaterale può andare incontro alla stessa evoluzione della malattia precludendo la possibilità di autosufficienza. La rivascolarizzazione distale,secondo la maggior parte degli studi osservazionali e di intervento consente di evitare l’amputazione in più dei ? dei pazienti e-o comunque di abbassarne il livello, e non solo, è associata ad una più bassa mortalità. Materiale e metodi. Con questo studio abbiamo voluto valutare sopravvivenza e salvataggio d’arto attraverso una analisi retrospettiva condotta su 284 pazienti con ischemia critica degli arti inferiori trattati mediante rivascolarizzazione distale (chirurgica-endovascolare-ibrida) dal febbraio 2004 all’agosto 2008 in questa UOC di Chirurgia Vascolare con follow-up fino al gennaio 2009, completato su 279 pazienti (98,24%). Si trattava in prevalenza di maschi (201) di età media 67,7 anni, con-
tro 83 femmine di età media 72,8 anni. I fattori di rischio maggiormente rappresentati erano il diabete mellito II (65%), l’ipertensione arteriosa (62%), fumo pregresso o attuale (42,2%), dislipidemia (17,8%). Inoltre il 12,4% presentava una insufficienza renale cronica in trattamento conservativo ed il 12,4% in trattamento dialitico, il 17,8% fibrillazione atriale, il 40% una cardiopatia ischemica ed il 20% una broncopatia cronica ostruttiva. Risultati. Al termine del follow-up i pazienti sopravvissuti erano 188 (68,4%) contro i 91 deceduti ( 32,6%). Dei pazienti deceduti soltanto il 19,8% (n.18) avevano perso l’arto mentre l’80,2% (n. 73) lo conservavano fino al decesso. Dei pazienti sopravvissuti 170 (90,5%) conservano ancora il proprio arto, 18(9,5%) vivono senza arto. Il salvataggio d’arto cumulativo è quindi del 87%. La sopravvivenza a 1 anno è risultata essere del 85,6%, a 2 anni del 83,1%, a 3 anni del 74,3%, a 4 anni del 62,1%, a 5 anni del 59,3%. Il salvataggio d’arto a 1 anno del 90%, a 2 anni del 89,7% , a 3 anni del 84,3%, a 4 anni del 82,9%, a 5 anni del 81,8% Conclusioni. Tali risultati,in accordo con la letteratura internazionale e rispetto ai dati relativi alla storia naturale della CLI ed alla amputazione primaria, consentono di concludere che la rivascolarizzazione distale migliora la sopravvivenza dei pazienti con CLI consentendo loro di potere godere di una sufficiente autonomia. Gli ulteriori progressi attesi nell’ambito della chirurgia ricostruttiva arteriosa distale unitamente ad una più accurata prevenzione secondaria e ad un potenziamento del bagaglio terapeutico medico, potranno ragionevolmente consentire in futuro risultati migliori con benefici maggiori e più duraturi, specie sulla qualità della vita.
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L’uomo, il giardino, il fiore Stefano Ricci Fondatore e coordinatore del Flebo Club, Roma
L’interesse per il mondo dei fiori e delle piante si identifica, nel senso comune attuale, con l’età matura, con la femminilità, con il tempo libero, con la disponibilità di denaro, con il disimpegno mentale, con il lavoro puramente manuale, con una tendenza estetizzante, con lo slow living, cioè con aspetti evidentemente contrari ai miti della vita moderna. Eppure il rapporto con il giardino è alla base della nostra cultura. Al contrario, il rapporto con il fiore è più complesso, relativamente recente e ancora in evoluzione. Citando Borchardt: “C’è un contrasto infatti tra il fiore e il giardino che è antico . I rapporti tra l’uomo e il fiore possono fare a meno del giardino; e i rapporti tra l’uomo e il giardino possono essere esistiti, a volte, quasi in assenza di fiori. Il fiore rappresenta un ordine indipendente dall’uomo; il giardino è un ordine essenzialmente umano, dell’uomo padrone, maestro, e trasformatore. Al fiore l’uomo è legato da un’irragionevole nostalgia, al giardino da una volontà razionale. Con il primo ha in comune possibilità sconfinate, con il secondo l’accettazione del limite, che è quasi una rinuncia.” “L’umanità è nata in un giardino. Quasi tutto ciò che le è toccato, a partire dalle sue lontane origini, si ricollega a una colpa commessa in un giardino”, anzi, a due colpe: l’ingestione di frutti proibiti e l’uso della splendida vegetazione per scopi volgarmente pratici d’indumento intimo. Paradossalmente sappiamo abbastanza del primo giardino, chiamato Eden (Genesi, 3): si trattava di una struttura simmetrica e regolare, vicina all’ordine divino, quadrata, irrigata da quattro fiumi che sgorgavano dal centro formando una croce. Circa la vegetazione, sicuramente erano presenti tre piante: l’albero della Vita, l’albero della Conoscenza e il fico. Solo quest’ultimo è rimasto oggi, utile per alimentarsi e coprirsi fin da sempre. Da notare che per fare il giardino ci volle un giorno intero come per fare l’uomo. Da un punto di vista
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storico il giardino rappresenta quella soglia che gli antichi popoli nomadi prima o poi dovettero varcare per unirsi ai più antichi popoli sedentari. L’uomo sedentario inventò un recinto e vi si ritirò raccogliendovi piante che dovevano essere protette dagli animali che grufolavano e razzolavano. Queste furono all’inizio,e per lungo tempo ancora, le misure adottate da un mondo eminentemente pratico ed esse non condussero alla creazione di alcun giardino. All’inizio fu la raccolta delle piante in loco, sottoforma di parti, da ripiantare, o di semi da coltivare, poi fu la moltiplicazione e il trapianto, poi fu la creazione di piante nuove. Piante tolte dal loro abitat naturale per poterle “possedere” in luoghi recinteti e irrigati fu all’origine dell’agricoltura (ma poi gli stessi criteri furono utilizzati per il giardinaggio), con la possibilità di consociare o rotare cereali, ortaggi, alberi da frutta viti, spezie e piante medicinali e, quindi, pianificare l’ordine di tali prodotti nello spazio e nel tempo, secondo regole elaborate e tramandate da tempi antichi. Accanto a questo aspetto pratico, vi fu un aspetto collegato alle esigenze del sacro: l’usanza di offrire nei templi cesti o vasi pieni di fiori come documentato da scavi archeologici di siti asiatici risalenti al terzo millennio A.C. I fiori potevano venire solo da giardini coltivati che presumibilmente erano collegati a templi. I “giardini pensili” fanno parte di questo contesto è la loro fama è nota a tutti: si trattava di grandi terrazze irrigate artificialmente da acqua sollevata mediante macchine idrauliche. Per finire, ci fu anche il bisogno di un giardino come spazio chiuso simbolo del “possesso “ di un pezzo di natura separato dallo spazio di tutti, di proprietà esclusiva della propria casa: i “paradisi “ dell’antica Persia dove pairi-daësa (termine avestico, antica lingua iranica) vuol dire semplicemente muro. Considerando gli elementi base - terra, piante, acqua, costruzioni - il disegno essenziale del giardino ha seguito sempre uno schema regolare, univoco dal modello
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biblico ad oggi. Le sole variazioni sono venute dal rifiuto della regolarità dei landscape gardens inglesi nel 18° secolo. I Greci non furono giardinieri. I giardini più famosi dell’antichità furono quelli di Tolomeo ad Alessandria, che ispirarono per il tramite di Lucullo, il giardino romano. Questo era luogo di pace e tranquillità. L’orto aveva funzione utilitaristica ma anche ornamentale. L’impianto è quello tradizionale da sempre e di sempre: quadrangolare, suddiviso da sentieri, con una vasca d’acqua, sculture, fontane. In terra arbusti ed alberi: bosso, mirto, alloro ,edera, oleandro, rosmarino. Come piante decidue ,l ’acanto, le rose, la vite, fra i fiori varietà di narciso e viole. Il giardino è verde, ma non è colorato. I fiori non ne fanno parte essenziale certo perché non ce n’era una scelta abbondante, ma soprattutto per un’austerità che favorisce l’ordine e la severità alla frivolezza ed alla seduzione. “Presso Orazio nulla fiorisce (Carmina 1, 38- citato da Borchardt), anzi egli bandisce i fiori con la voce dell’antica religione italica della virtù contadina. Qui è ammessa solo la rosa, purché accompagnata al vino ed all’olio sacro, secondo l’usanza; i ricchi serti florali, le ghirlande, sono cose dell’odiata Asia. Un ramoscello di mirto, strappato alla più vicina siepe, basta per te e per me. Queste erano le prescrizioni per quei tempi austeri”. Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente il giardino si trasferisce nei conventi. Qui i monaci escono dal mondo terreno per avvicinarsi al mondo divino. Il giardino circondato da mura (hortus conclusus) vive compiutamente per sé stesso e rappresenta un’idea del Paradiso terrestre. L'Hortus conclusus è un giardino segreto e fantastico, all'interno del chiostro offre riparo e preclude il male. Per entrare nell’universo protetto del monastero medievale è bene ricordare le raccomandazioni della regola di San Benedetto, riferite alla necessaria presenza di acqua e di un hortus all’interno dell’insediamento monastico. Come le Villae Rusticae della campagna romana questi edifici religiosi erano corredati da quattro tipologie di spazi coltivati: orti, frutteti (pomaria), giardini con alberi (viridaria), erbari (herbaria). Al centro del chiostro sorgeva un albero, l’arbor vitae della genesi con quattro sentieri d’acqua, reminiscenza dei quattro fiumi di biblica memoria. Lo spazio risulta diviso geometricamente da aiuole separate e da vialetti coperti da pergole ed è costituito da varie parti, ognuna delle quali ha una sua propria destinazione ben definita. La globalità di questa realiz-
zazione così concepita rappresentava la perfetta sincronia tra aspettativa intellettuale teologica della Gerusalemme celeste e una mondana ma rassicurante organizzazione razionale dello spazio interno. L’immaginario collettivo del mondo cristiano, dai Benedettini ai Certosini, fino ai Circestensi di Bernardo di Chiaravalle è permeato dall’identificazione col processo simbolico del giardino. Per citare un pensiero di Bernardo: “troverai più nei boschi che nei libri, alberi e rocce ti insegneranno ciò che nessun maestro ti dirà”. Qui trovano posto fiori e frutti densi di significato simbolico sacro: la rosa (fiore sacro a Venere, attributo delle Grazie) rappresenta la Vergine ma anche simbolo del sangue divino e per le sue spine oltremodo simbolo delle pene di amore; il giglio (nato dal latte versato da Giunone mentre allattava Ercole), simbolo della purezza e della povertà; le violette (nascono dal sangue del Dio Atti, morto pazzo), simbolo della modestia e dell’umiltà; la melagrana (nasce dal sangue di Bacco) che rappresenta la salda unità della chiesa; la palma (prima della nascita di Romolo e Remo due palme appaiono in sogno a Rea Silvia), simbolo della giustizia, vittoria e fama; il fico (albero sacro a Saturno), metafora della dolcezza, della fertilità, del benessere, della salvezza ; l'olivo (pianta sacra a Minerva), simbolo della misericordia, pace, e perfino il trifoglio che allude alla trinità. Ed ancora la violaciocca, il croco, la bocca di leone, il garofano, la malva, l’assortimento dei fiori degli antichi paesi mediterranei. I monaci (e gli agricoltori) tramandano questi fiori e li trasportano in altri paesi a clima meno favorevole, imparando (ed insegnando) ad acclimatarli con nuove tecniche di coltivazione ed artifici. Si creano così nuove varietà incrociate, a fiore doppio, giganti o nane. Le piante viaggiano nei vasi; le stalle possono servire da serra calde; il letto di letame protegge dal freddo. Si sviluppa così una conoscenza di base che non attende altro che in nuovo impulso, secondo uno schema ormai accettato, per cui i secoli “bui” sono in realtà momenti di preparazione ai fasti futuri. I medici e gli speziali percorrono una strada parallela dopo una partenza comune. Nel 1320 nasce all’ombra della medicina salernitana il primo giardino botanico a cura di Matthias Salvaticus. Nel 1333 Venezia crea il primo giardino di piante medicinali del mondo. Padova, Pisa, Bologna hanno i loro giardini botanici annessi all’università. Verso la metà del 15° secolo il
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Rinascimento trasformò il giardino abbattendo i muri degli “Horti conclusi”, attraverso la riscoperta del giardino (o del giardinaggio) romano, descritto da Plinio il Vecchio, Plinio il Giovane, Ovidio, Varrone. Una riscoperta e non una rivoluzione. Si inseriscono oggetti rari e costosi in un giardino geometrico dalle siepi modellate con forbici , con uno scenario finale di “arcadia di semidei”. Se si vuole stupire, si usano fontane, pietre, illusioni ottiche, ma non fiori. Questi sono troppo ciclici, mutevoli, deperibili, in un insieme che vuole essere perfetto, immutabile, limitato. Al massimo vengono tenuti a parte, in vasi. La botanica italiana dovrà scontare questo fatto. Sarà un tedesco di Zurigo (Konrad Gesner) a scrutare nelle raccolte italiane in un primo tentativo di classificazione scientifica delle piante. I successivi studiosi di sistematica saranno Linneo, Jussieu, De Candolle, Engler, ma nessun rappresentante di un popolo che aveva inventato i primi giardini botanici. L’unica eccezione è con Pier Andrea Mattioli, personaggio, però, già proiettato fuori dall’Italia. Il suo volume “Commentari a Dioscoride” , divenne lo standard per i medici ed i botanici europei nella seconda metà del 1500. Questa è la situazione quando sopravvennero due avvenimenti storici decisivi: la caduta di Costantinopoli (1453) e la scoperta delle Americhe (1492). Il Cinquecento fu il secolo in cui questi due avvenimenti cominciarono a farsi sentire contrapponendo al giardino il “nuovo” fiore. La flora ornamentale dell’oriente, quella persiana in prima linea- per il tramite dei Turchi- divenne dapprima olandese, poi austroasburgica, infine francese,inglese, tedesca. La flora tropicale e subtropicale delle Indie Occidentali - che con il fagiolo, la patata, il tabacco, il granoturco, e poi ancora con il pomodoro, la melanzana, il peperone - rivoluzionò il vitto degli europei, irruppe da noi come un torrente di fiori e diede inizio a quell’invasione dell’Europa a tutt’oggi non ancora conclusa. Le piante del giardino sono gradualmente cambiate attraverso i tempi. Questo è stato più evidente a partire dal 16° secolo in poi a seguito dell’introduzione dei bulbi dalla Turchia e dall’estremo oriente da una parte, e la scoperta dell’America con l’arrivo di patate, pomodori, e centinaia di altre piante dall’altra. Successive esplorazioni e scoperte hanno introdotto una galassia di nuove piante ed alberi in Europa, soprattutto nel 18°-19° secolo, ma la tipologia del disegno dei giardini non è cambiata proporzionalmente. E’ cambiato però il rapporto con il
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fiore il quale, seppure lentamente, è diventato protagonista di un giardino che lo aveva rifiutato come sua parte essenziale. IL TULIPANO, UNA RIVOLUZIONE Il tulipano è il fiore che ha cambiato il modo di considerare il fiore (i fiori) nella mente dell’uomo occidentale. Prima del tulipano i fiori erano pochi, limitati nei colori e nelle varietà, poco interessanti commercialmente se non perché espressione di piante utilizzabili dal punto di vista alimentare o medicinale. Parallelamente al tulipano (in relazione ma non necessariamente) corre la storia della botanica associata alla figura di Carolus Clausius (Charles de l'Ecluse: 15261609), umanista, medico, botanico francese, che descrisse scientificamente per primo il tulipano e che lo introdusse in Olanda. Grande viaggiatore fu creatore di giardini per tutta l’Europa, responsabile d’incarichi imperiali (Orto botanico di Vienna -1573 e poi di Layden - 1593) . La botanica stava diventando una disciplina autonoma, non più branca della medicina; le piante cominciavano ad essere interessanti non solo per le proprietà curative od alimentari. Clausius fu uno dei primi europei a riconoscere il valore delle piante in quanto tali, per la loro bellezza e per l’utilizzo che ne deriva. Vuole la leggenda che Ogier Ghiselin de Busbecq (Augerius Gislenius Busbequius: 1521-1592) fiammingo, scrittore, erborista, diplomatico della monarchia austriaca, in servizio come ambasciatore presso l’impero Ottomano ad Istanbul durante le sue esplorazioni del mondo attorno a lui, notò la bellezza di certi fiori, che prendevano nome dalla parola “turbante” (tulban) forse per la somiglianza del bulbo con il turbante degli Schiavoni ottomani. Dopo averne ottenuti bulbi e semi, li inviò a Vienna a Clausius. Questi piantò i bulbi e seminò i semi ma non capì esattamente la loro importanza , facendone dono ai suoi collaboratori. I bulbi infatti non erano commestibili (anche se in alcuni paesi orientali facciano parte della tradizione alimentare ed in tempi di carestia anche gli olandesi ne abbiano approfittato). Lentamente ma inesorabilmente i bulbi cominciarono a diffondersi a Vienna e dintorni mentre nuovi bulbi giungevano dalla Russia meridionale o dalla Turchia tramite i mercanti veneziani. Clausius era contrario al commercio delle meraviglie della natura a sua disposizione nonostante
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le molte richieste da parte di persone meno idealiste e con meno scrupoli. Egli subì come conseguenza furti continui di bulbi per molti anni (giardinieri ?, servitori ?) . Per capire come la diffusione dei bulbi fosse inesorabile, lo stesso Clausius racconta come un mercante di Anversa gli avesse segnalato di aver trovato dei bulbi in un lotto di stoffe; dopo averli assaggiati scambiandoli per cipolle li aveva messi a terra; da qui erano stati prelevati da un amico della vicina Mechelen dove si erano rapidamente diffusi. Fra il 1577 ed il 1582 varie specie di tulipani raggiunsero l’Inghilterra e all’inizio del secolo anche Parigi: nel 1610 le signore francesi non potevano non avere un tulipano nel décolleté. La febbre del nuovo fiore si parse per tutta l’Europa, ma fu in Olanda che raggiunse il delirio. E’ possibile che Clausius, diventando professore di botanica a Leyda per la creazione dell’Hortus Academicus di quella sede (1593) abbia di fatto introdotto i bulbi di sua appartenenza, compresi quelli variegati, insieme al gusto per il nuovo fiore. Ebbe inizio così la “tulipmania”, fenomeno socio-economico prototipo delle pazzie speculative del mercato azionario; il termine è metaforicamente usato ancora oggi in riferimento alle grosse “bolle” borsistiche (deviazione dei prezzi dei beni investiti dal loro valore intrinseco) di cui abbiamo sentito parlare molto negli ultimi anni (la recente “dot.com bubble” p.e.). L’Olanda era un paese in pieno sviluppo economico, tanto che storicamente il 17° secolo è considerato come Il Secolo D’oro dell’Olanda (Dutch Golden
Figura 1 - Tulipano screziato ADONIS del gruppo Rembrandt. Questo gruppo riproduce le screziature tipiche dei fiori “broken”, ma senza la presenza del virus. (foto della collezione Sheibal per gentile concessione)
Age). Gli olandesi, abili navigatori e creatori di mappe geografiche cominciarono a dominare il commercio nei mercati del mondo conosciuto, sostituendosi a Portoghesi e Spagnoli. Nel 1602 nasce la Compagnia Olandese delle Indie Orientali, una corporazione multinazionale finanziate da azioni che costituirono la prima “Borsa Valori ” moderna. Per finanziare il crescente commercio viene fondata nel 1609 la Banca di Amsterdam, prototipo della futura banca centrale. Nuova energia facilmente utilizzabile dall’industria e manifattura venne dai mulini a vento e dall’abbondanza di torba (usata come concime, combustibile) facilmente trasportabile sui canali alle città. L’invenzione della segheria permise la costruzione rapida di navi. L’immigrazione di protestanti scacciati da Anversa nel corso della Guerra degli 80 anni fra le “Basse terre” e Filippo II di Spagna, fornì un importante contributo di commercianti ed artigiani, che insieme ai Sefarditi da Spagna e Portogallo ed Ugonotti dalla Francia rapidamente svilupparono una società multietnica erudita, abile, attiva, forza trainante dello sviluppo economico. I tulipani erano belli, facili da coltivare seppure costosi; nuovi ibridi semplici da creare. Il fiore divenne rapidamente un oggetto di lusso ambito, uno status symbol. Ognuno voleva avere un fiore raro che altri non avevano. Una profusione di varietà vennero prodotte ed immesse sul mercato. C’erano i tulipani colorati (gialli, rossi, bianchi), ma c’erano anche i tulipani “striati” (broken tulips) rossi o rosa su fondo bianco, porpora o lilla su fondo bianco, rosso o rosa su fondo giallo (Fig. 1). Per complicare la situazione, c’era il fatto che dei bulbi normali potevano diventare striati perché si infettavano, ma i bulbi “malati” erano meno resistenti, più piccoli, meno tendenti a formare i piccoli bulbi “figli” per la moltiplicazione. Di conseguenza non vi era la certezza di acquistare bulbi striati, ma potevano improvvisamente diventare striati da un anno all’altro bulbi normali. Le strie erano spettacolari e molto ambite. Erano lineari, fiammate, sempre diverse ed imprevedibili (Fig. 2). Si trattava di bulbi infetti da un virus scoperto solo nel Novecento, e non a mutazioni genetiche. Il Tulip breaking virus, o meglio un gruppo di 5 virus del genere Potyvirus era in grado di produrre la rottura del colore (le strie chiare) sui petali. Il virus era trasmesso dagli afidi, piccoli parassiti degli alberi da frutta dei giardini, ma gli olandesi di allora non lo sapevano e per ottene-
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Figura 2 - Acquarello di anonimo del 17 ° secolo del Semper Augustus, il tulipano più costosi venduto durante la “Tulipmania”. Il fiore era infetto dal virus e presentava i tipici colori “spezzati” che lo rendevano unico ed imprevedibile, ma anche lo indebolivano. Oggi questo tulipano non esiste più.
Figura 3 - Tulipano “the Viceroy” raffigurato in un catalogo olandese del 1637. Il suo bulbo costava da 3000 a 4200 fiorini in relazione alla grandezza. Un artigiano bravo al tempo guadagnava 300 fiorini all’anno
re l’effetto striato le provarono di tutte senza risultato, rendendo ancora più ambiti i bulbi striati. La diffusione di nuove varietà nel 1634 abbatté i prezzi così che i tulipani divennero accessibili ad un mercato più popolare. Non più appannaggio di professionisti ed appassionati, i bulbi poterono essere acquisiti ,spesso pagati in natura, da piccoli speculatori, nati dall’ambito di artigiani, tessitori, filatori, commercianti. L’attenzione di tutta la nazione fu presa dai mercati dei tulipani. Nello stesso anno, stimolato dalla richiesta, i prezzi ricominciarono a salire vertiginosamente. Documenti dell’epoca riferiscono che nel 1635 fu pattuita la vendita di 40 bulbi per 100.000 fiorini (1 fiorino = 10 Euro), quando il costo di una tonnellata di burro era di 100 fiorini, lo stipendio annuo di un operaio era di 150 fiorini, e “otto suini grassi” valevano 240 fiorini. Nel 1636, quasi all’apice della bolla speculativa, i tulipani erano venduti sui mercati delle maggiori città Olandesi; tutti i componenti della società, attratti da guadagni del 20-30% fra una stagione e l’altra, si misero a speculare sul mercato del tulipano vendendo e scambiando i propri beni mobili e immobili, fino a offrire 12 acri (49000 m2) di terra per uno dei due unici bulbi di Semper Agustus, o un paniere di beni del valore di 2500 fiorini per un unico bulbo del Viceroy (Fig 3). La gente comprava bulbi a prezzi sempre più alti con l’intenzione di rivenderli con profitto, avendo scoperto come diventare ricca senza lavorare; la povertà era
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scomparsa, il futuro era radioso. Per rispondere alla domanda si cominciarono a vendere i bulbi prima del periodo della loro estrazione dal terreno in estate sottoforma di contratti a termine (futures). Si cominciarono a vendere così anche i piccoli bulbi “figli” che sarebbero apparsi (statisticamente) nei bulbi più grossi. Nel febbraio del 1637 improvvisamente nessuno più volle comprare i bulbi ai prezzi correnti, la domanda crollò, così come i prezzi: la bolla speculativa scoppiò. C’era gente con contratti a comprare bulbi a prezzi 10 volte quelli reali, c’era gente con bulbi da vendere a 10 volte meno del prezzo pagato. La situazione era talmente grave che le autorità consentirono di risolvere tutti i contratti a termine con il pagamento del 10% del valore con la soddisfazione di nessuno. Alla fine della crisi ognuno si ritrovò con i bulbi che aveva in mano. La febbre del tulipano colpì anche altri paesi d’Europa, ma non con lo stesso livello di pazzia. Un nuovo rapporto con il fiore era nato. Ci sarebbe voluto ancora molto tempo perché l’enorme quantità di fiori introdotta in Europa nei due secoli successivi s’impadronisse dei giardini, lungamente legati a schemi antichi e classici. Approfondimenti Borchardt Rudolf. Il giardiniere appassionato. Adelfi Ed, Milano 2007, e bibliografia completa in www.nautilussalute.com.
cod. 01819169
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