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T R I M E ST R A L E
D I
A G G I O R N A M E N TO
S C I E N T I F I CO Anno I - N. 1, 2 0 0 9
Mikhail Nesterov (1882-1942) - Ritratto del chirurgo Sergi Yudin. Olio su tela 1935 State Tretyakov Gallery, Moscow
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TRIMESTRALE D I AG G I O R N A M E N TO S C I E N T I F I CO Anno I - N. 1, 2009
S
O M M A R I O
5
Dal paziente al paziente: un circolo virtuoso Ettore Ambrosioni
6
Le possibili cause delle mancate risposte dei clinical trial Prof. Giuseppe Mancia
9
Le nuove linee guida per l’automisurazione della pressione arteriosa domiciliare Prof. Guido Grassi
12
L’automisurazione della pressione arteriosa: il parere del medico Prof. Augusto Zaninelli
16
Linee Guida per il trattamento dell’ipertensione arteriosa Dott. Eugenio Roberto Cosentino, Dott.ssa Elisa Rebecca Rinaldi
20
Il rischio del paziente con dismetabolismo Prof. Paolo Cavallo Perin
23
La cardiopatia ischemica nella donna Dr. Enrico Strocchi
25
La fibrillazione atriale: lo stato dell’arte Dr. Simone Mininni
28
Approccio clinico al paziente con scompenso diastolico Prof. Gianfranco Sinagra, Bianca D'Agata, Stefano Bardari, Stelios Pyxaras, Anna Maria Iorio, Aneta Aleksova, Geraldina Lardieri
31
A partire dal mese di maggio saremo anche in rete
Editore SINERGIE Edizioni Scientifiche S.r.l. Via la Spezia, 1 - 20143 Milano Tel./Fax 02 58118054 E-mail: redazione@edizionisinergie.com www.patientandcvr.com www.edizionisinergie.com
Redazione scientifica
Daniela Degli Espositi Marco Pombeni Elisa Rebecca Rinaldi
Segreteria di redazione
SINERGIE Edizioni Scientifiche S.r.l. redazione@edizionisinergie.com
Impaginazione
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Direttore responsabile
Mauro Rissa
Stampa
Direttore scientifico
Ettore Ambrosioni
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32.000 copie
Comitato scientifico
Claudio Borghi Vittorio Costa Ada Dormi Guido Grassi Giuseppe Mancia Simone Mininni Pietro Putignano Enrico Strocchi Stefano Taddei Bruno Trimarco Paolo Verdecchia Augusto Zaninelli
Capo redattore
Eugenio Roberto Cosentino
Registrazione presso Tribunale di Milano n. 207 del 28-03-2006 Pubblicazione fuori commercio riservata alla Classe Medica. L’Editore è disponibile al riconoscimento dei diritti di copyright per qualsiasi immagine utilizzata e della quale non si sia riusciti ad ottenere l’autorizzazione alla riproduzione. Nonostante la grande cura posta nel compilare e controllare il contenuto, l’Editore non sarà ritenuto responsabile per ogni eventuale utilizzo di questa pubblicazione nonchè per eventuali errori, omissioni o inesattezze nella stessa. Copyright ©2009 SINERGIE S.r.l. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata o riprodotta senza l’autorizzazione dell’Editore.
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Dal paziente al paziente: un circolo virtuoso L’enorme progresso ed il continuo progredire delle cono-
le perché ipertensione e ipercolesterolemia comportano un
scenze nel campo della medicina si è tradotto in un amplia-
rischio additivo. La riduzione parziale di uno dei due fattori di
mento sostanziale delle possibilità diagnostiche e terapeu-
rischio non consente di modificare la condizione di alto
tiche.
rischio del paziente.
Nel campo delle patologia cardiovascolare, che rappresenta
Più di frequente il grave carico di lavoro e la conseguente
la principale causa di morbilità e mortalità in tutto il mondo,
scarsità di tempo del medico riducono l’approfondimento
le potenzialità di intervento fornite da questo progresso
anamnestico così che alcuni fattori di rischio (es. mortalità
sono utilizzate in maniera completamente insufficiente.
cardiovascolare precoce nella famiglia, contemporanea pre-
Tutto ciò a fronte di un impegno sostanziale di autorità sani-
senza di diversi fattori di rischio) vengono sottovalutati o tra-
tarie, società scientifiche, della disponibilità di linee guida
lasciati, insieme ad altre condizioni cliniche pure presenti e
ben preparate, di corsi di aggiornamento specificamente
capaci di interferire anche a livello terapeutico. A questo si
indirizzati.
deve aggiungere la “distrazione“ del medico a seguire le indi-
Nel novero delle condizioni e delle cause che sottendono a
cazioni delle linee guida e le limitazioni che gli vengono dal
questa povertà di risultati due meritano particolare atten-
servizio sanitario. Il tutto condito dal fatto che a cominciare
zione.
dal corso di medicina, per continuare con le linee guida e
L’acquisizione di sempre nuovi dati di rilevanza clinica rende
finire con i corsi di aggiornamento, il medico viene indirizza-
obiettivamente difficile stare al passo soprattutto se deter-
to verso la malattia ovvero sul rischio cardiovascolare facili-
minano delle modificazioni concettuali che impegnano for-
tandolo a sottovalutare, quasi dimenticare, il più importante:
temente medico e paziente sul piano della loro comprensio-
il PAZIENTE.
ne ed applicazione pratica, spesso in controtendenza con
Si tratta di ripristinare nei fatti un ordine di precedenza di cui
quanto perseguito in precedenza e non ancora recepito, se
tutti siamo convinti ma che metodologicamente trascuria-
non contrastato da servizio sanitario e dai media. Com’è tipi-
mo. Meravigliandoci poi dei risultati inaccettabili.
camente il caso del rischio cardiovascolare globale che ha
E’ per queste ragioni che, dopo aver speso un intero anno
tolto “certezza” ai valori di “normalità“ dei vari fattori di
dedicato ad illustrare in tutti i suoi aspetti principali il rischio
rischio: così un valore di pressione arteriosa di 140/90 mmHg
cardiovascolare globale, intendiamo riprendere il cammino
è elevato in un paziente diabetico o con insufficienza rena-
ricominciando dal malato, riproponendo la sua centralità per
le, un colesterolo LDL di 130 mg/dl va abbassato a livelli assai
portare a frutto tutte le potenzialità diagnostiche, di preven-
inferiori in un paziente ad alto rischio. Questo nella percezio-
zione e terapeutiche di cui disponiamo in ambito cardiova-
ne comune significa trattare inutilmente una persona
scolare.
sana! Di più: se in un paziente con ipertensione arteriosa e
Per testimoniare la nostra determinazione abbiamo dato
ipercolesterolemia (condizione presente in oltre il 50% degli
priorità al Paziente anche nella testata della rivista.
ipertesi) la pressione arteriosa non viene riportata entro i valori prescritti, il trattamento con statine diviene quasi inuti-
Ettore Ambrosioni
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Le possibili cause delle mancate risposte dei clinical trial Prof. Giuseppe Mancia Professore Ordinario di Medicina Interna Clinica Medica, Ospedale San Gerardo, Università Milano-Bicocca
E' sempre più comune, negli ultimi anni, il caso di grandi clinical trial che esplorano i vantaggi di nuovi farmaci o strategie terapeutiche i cui risultati si rivelano inferiori alle attese quando non del tutto deludenti rispetto alle aspettative e speranze che li hanno accompagnati nel loro svolgimento. Ciò può essere legato al fatto che i farmaci o le strategie in questione si rivelano clinicamente meno vantaggiosi (o comportano più svantaggi) di quanto inizialmente ipotizzato. La crescente frequenza di risultati inferiori alle attese è però legata, almeno in parte, anche ad altri fattori che non hanno a che fare con la bontà del nuovo farmaco o della nuova strategia terapeutica impiegata bensì con il disegno sperimentale del trial stesso nonché con il modificarsi della realtà clinica sulla quale il trial viene ad operare. Questo Editoriale ricorderà alcuni di questi fattori e discuterà la loro influenza nel rendere più difficile la dimostrazione della diversità di effetto tra diversi farmaci o strategie terapeutiche nonché nel minimizzare l'entità delle diversità esistenti (1). Pazienti che non seguono la terapia prescritta L'analisi dei dati di un trial viene normalmente eseguita secondo il modello “intenzione di trattare”, nel senso che i pazienti randomizzati ad una o ad altra terapia vengono considerati come ad essa appartenenti, indipendentemente dal fatto che l'abbiano effettivamente assunta o no. Ciò perché tale procedura garantisce l'uguaglianza delle iniziali caratteristiche demografiche e cliniche tra i gruppi successivamente sottoposti a terapie diverse, condizione necessaria per un corretto paragone dei loro effetti terapeutici. Nei trial, tuttavia, i pazienti che non seguono correttamente la terapia a loro inizialmente assegnata rappresentano tutt'altro che un’entità marginale. Vi è in primo luogo il fenomeno dell'interruzione della terapia (legato in genere, ma non esclusivamente, alla comparsa di effetti collaterali) che può coinvolgere fino a 30-40% dei pazienti.Vi è inoltre il fenomeno dei pazienti che, assegnati ad una determinata terapia,prendono invece solo od anche quel-
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la che ad essa viene paragonata (una sorta di cross-over non voluto), che può in alcuni trial raggiungere anch'esso dimensioni ragguardevoli, a volte come nell'ALLHAT superiori al 20% (2). Vi è infine il fenomeno dei pazienti persi a qualunque tipo di informazione, quelli cioè dei quali per varie ragioni si smarrisce traccia. E' evidente come questi casi comportino l'assenza della diversità terapeutica tra gruppi che è stata inizialmente pianificata,con una importante riduzione della capacità statistica di dimostrarne la diversità. Nel caso dei pazienti di cui si smarrisca traccia (fenomeno per fortuna ridotto al minimo nei più recenti trial) gli inconvenienti sono addirittura maggiori perché alla mancata assunzione della terapia prevista si associa, a differenza dei primi due casi, l'assenza di qualunque dato sulla comparsa o meno degli eventi patologici sui quali il trial si basa. Disegno sperimentale dei trial Forse non viene sufficientemente sottolineato come l'abituale disegno sperimentale di un trial possa rendere più difficile la dimostrazione dei vantaggi di una nuova terapia, favorendo invece la conclusione di una equivalenza clinica (che in realtà può essere solo una “pseudoequivalenza”) con le terapie di uso corrente con le quali essa viene paragonata. Tale disegno infatti prevede che un paziente randomizzato ad una determinata terapia continui ad assumerla anche in assenza di efficacia clinica, che per i trial sulla terapia antipertensiva vuol dire l'assenza di un’adeguata riduzione pressoria. Ciò è dissimile da quanto avviene nella pratica clinica nella quale la mancata risposta antipertensiva ad un farmaco comporta la sua sostituzione con un alto farmaco e non il suo forzoso mantenimento nella strategia terapeutica. E' inoltre un elemento di distorsione dell'efficacia complessiva dell'intervento terapeutico studiato, che viene ad essere grandemente diluito dalla mescolanza di pazienti nei quali esso è stato efficace con quelli nei quali nessuna risposta è stata ottenuta. In effetti, quanto noi vorremmo sapere da un
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Terapie aggiuntive e concomitanti Nella maggioranza dei trial sugli effetti della terapia antipertensiva il disegno sperimentale prevede che i farmaci da paragonare siano somministrati come primo gradino e che ad essi faccia seguito, con l'obiettivo di ottenere un’efficace riduzione della pressione arteriosa, la somministrazione di altri farmaci in modo del tutto identico per i diversi gruppi di pazienti. Tali gruppi finiscono quindi per differire solo per il farmaco iniziale (o più recentemente per la combinazione di due farmaci impiegata come gradino iniziale) (3,4), avendo in comune i 2, 3 o a volte 4 farmaci successivi, la cui somministrazione deve essere peraltro frequente affinché il controllo pressorio venga raggiunto. E' evidente che anche tale fenomeno può rendere più difficile la dimostrazione dell'eventuale differenza tra i farmaci che vengono paragonati, dal momento che essi sono inseriti in un contesto terapeutico complesso che ha importanti elementi in comune. A ciò si aggiunge l'uso assai frequente di terapie protettive di fondo
che, riducendo l'incidenza di eventi patologici in tutti i gruppi, riduce l'entità dell’ulteriore riduzione prevista con il farmaco o la strategia terapeutica che ci si accinge a studiare. Uno degli ultimi esempi ci viene dal TRANSCEND (5), un trial nel quale è stata paragonata, in pazienti normotesi o ipertesi ad alto rischio cardiovascolare che avevano una intolleranza all'ace-inibizione, la protezione offerta dal telmisartan (un sartano a lunga durata di azione) nei confronti di un analogo gruppo di pazienti in placebo. Rispetto al placebo il gruppo in terapia con telmisartan manifestò una modesta riduzione della pressione arteriosa alla quale si associò una riduzione degli eventi patologici cardiovascolari, che raggiunse la significatività statistica quando l'analisi si limitò all'insieme delle morti cardiovascolari, dell'ictus e dell'infarto miocardio (Figura 1). La differenza risultò però essere complessivamente inferiore a quanto ci si poteva aspettare paragonando strategie terapeutiche con e senza la neutralizzazione dei noti effetti nocivi dell'angiotensina II (6), ed è ragionevole pensare che ciò possa essere dipeso dal fatto che i pazienti in placebo assumevano all'origine, e ancor più durante il trial, numerosi altri farmaci con dimostrata capacità protettive nei confronti del sistema cardiovascolare (statine, beta-bloccanti, diuretici, ecc.). Ciò può in effetti essere considerato più che una ragionevole ipotesi perché nello studio TRANSCEND 1) la somministrazione di farmaci con protezione cardiovascolare è risultata essere di gran lunga superiore a quella riscontrata nello studio HOPE, un trial eseguito 10 anni prima nel quale al gruppo placebo era contrapposto un gruppo in terapia con un ace-inibitore (7) (Figura 2) e 2) a tale “ipertrattamento” si è in effetti associata una maggiore protezione dal momento che l'incidenza di eventi patologici cardiova-
Kaplan-Meier Curves for the Secondary Outcome of CV Death, MI, or Stroke (HOPE study outcome (in TRASCEND)
Higher Use of Concomitant Medications in TRANSCEND vs HOPE
Cumulative incidence (%)
trial è se vi sono differenze di protezione tra strategie terapeutiche nei pazienti che ad esse rispondono, i “non-responsivi” essendo per definizione insensibili alla terapia instaurata e quindi incapaci di rivelarne la differenza con altre terapie. Il problema non è di facile soluzione perché limitare l'analisi ai pazienti che rispondono alla terapia vorrebbe dire introdurre una serie di elementi a loro volta non compatibili con una disamina il più possibile obiettiva dei dati. Di tale limite va però preso atto sia perché forse non in piccola parte responsabile della frequente somiglianza degli effetti delle diverse strategie terapeutiche studiate nei trial sia per cercare di superarlo mediante disegni sperimentali innovativi.
0.20
Placebo Telmisartan
Hazard ratio 0·87 (95% CI 0·76–1·00); p=0·048
% 79,4 77 76,1
80
0.15
20
0.00 0
1
2954 2972
2839 2866
2 3 4 Follow-up (years) 2745 2745
2634 2625
2344 2306
33,5
40,2 41,9
36,9
47,1 28,2
15,3
5 0 1127 1103
Antiplatelet agents%
BB
TRANSCEND, baseline
TRANSCEND investigators, Lancet, published online August 31, 2008
Figura 1
55,2 39,5
40
0.05
63,6
58,3 57,8
60
0.10
Number at risk Telmisartan Placebo
100
Diuretics
CA
TRANSCEND, final
Lipid lowering agents HOPE
Figura 2
7
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Yearly event rates in HOPE and TRANSCEND CV death, MI and stroke rate 100 80
TRANSCEND
HOPE*
2.92
60
4.40 3.34
3.40
Placebo
Ramipril 10 mg
40 20 0 Telmisartan 80 mg
Placebo *estimated values
Figura 3
scolari riscontrata nel gruppo trattato con ace-inibitore dello studio HOPE è risultata essere simile a quella del gruppo placebo del TRANSCEND, la somministrazione del sartano determinando, come sopra riportato, una ulteriore modesta riduzione (Figura 3). E' dunque giocoforza prevedere che il futuro ci riserverà, in ragione di una crescente protezione di fondo dei pazienti, trial nei quali ulteriori proposte terapeutiche riveleranno benefici ulteriori complessivamente modesti o limitati ad alcuni aspetti soltanto dell'obiettivo iniziale. Ciò non va peraltro interpretato in senso negativo. Oltre ai motivi di cui sopra, un beneficio terapeutico rappresenta comunque un progresso. Ciò è vero, in diversi casi, anche per l'equivalenza di una nuova terapia nei confronti di quelle esistenti in precedenza perché, come esemplificato dal recente studio ONTARGET (8), ciò vuol dire un incremento delle opzioni a disposizione del medico per proteggere i pazienti. Durata dei trial e caratteristiche cliniche dei pazienti Un trial con disegno sperimentale controllato non può che avere una durata limitata a pochi anni (in genere non più di 5 o 6), il proseguimento comportando difficoltà organizzative, costi e interruzione della terapia da parte dei pazienti così elevati da renderlo irrealizzabile o di limitato valore scientifico. Nel caso di trial basati sulla mortalità e morbilità ciò rende necessario l'arruolamento di pazienti ad alto rischio che soli possono garantire nei pochi anni a disposizione, un numero di eventi sufficienti a mostrare, in modo statisticamente adeguato, eventuali differenze tra le terapie in studio. In tali pazienti tuttavia l'effetto dei farmaci può essere diverso da quello dei pazienti a minori livelli di rischio. Nei pazienti ad elevato rischio cardiovascolare, per esempio, l'avanzata com-
8
promissione di cuore e vasi può rendere inane la capacità di un nuovo farmaco di impedire o rallentare, attraverso innovativi meccanismi di azione, la comparsa o la progressione del danno cardiaco o vascolare, impedendo di mettere in luce vantaggi clinicamente rilevanti in pazienti a basso rischio nei quali l'obiettivo terapeutico è quello non di impedire un improbabile infarto od un ictus nei pochi anni successivi ma di preservare il più a lungo possibile la funzione e la struttura degli organi vitali. Ciò è alla base della sempre più diffusa percezione che in campo cardiovascolare i trial futuri dovranno avere una struttura e degli obiettivi diversi da quelli del passato. Primo, essi dovranno cercare di avere, anche a prezzo di un disegno sperimentale meno controllato, una durata maggiore. Secondo, si dovrà, nel caso delle condizioni patologiche che si articolano nell'arco di decenni (diabete, ipertensione, dislipidemia, ecc) rivolgere l'attenzione non solo alla prevenzione di eventi patologici clinicamente manifesti, ma anche alla protezione nei confronti del danno d'organo silente, con l'obiettivo di dilazionarne l'evoluzione verso una condizione di rischio cardiovascolare elevato, che una volta raggiunta non è mai interamente reversibile (9). Terzo, la ricerca dovrà cercare di incrementare le misure di danno d'organo di significato clinico (e cioè con una sicura relazione con la prognosi del paziente) che abbiano caratteristiche tali (buona riproducibilità, semplicità d'uso, elevata diffusione, costo ridotto) da essere utilizzabili in trial di grandi dimensioni. BIBLIOGRAFIA 1. Mancia G. Role of outcome trials in providing information on antihypertensive treatment: importance and limitations. Am J Hypertens. 2006;19:1-7. 2. ALLHAT Officers and Coordinators for the ALLHAT Collaborative Research Group. The Antihypertensive and Lipid-Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial. Major outcomes in high-risk hypertensive patients randomized to angiotensin-converting enzyme inhibitor or calcium channel blocker vs diuretic: The Antihypertensive and Lipid-Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial (ALLHAT). JAMA. 2002;288:2981-97. 3. Jamerson K,Weber MA, Bakris GL, Dahlöf B, Pitt B, Shi V, Hester A, Gupte J, Gatlin M,Velazquez EJ; ACCOMPLISH Trial Investigators. Benazepril plus amlodipine or hydrochlorothiazide for hypertension in high-risk patients. N Engl J Med;359:2417-28. 4. Dahlöf B, Sever PS, Poulter NR, Wedel H, Beevers DG, Caulfield M, Collins R, Kjeldsen SE, Kristinsson A, McInnes GT, Mehlsen J, Nieminen M, O'Brien E, Ostergren J; ASCOT Investigators. Prevention of cardiovascular events with an antihypertensive regimen of amlodipine adding perindopril as required versus atenolol adding bendroflumethiazide as required, in the AngloScandinavian Cardiac Outcomes Trial-Blood Pressure Lowering Arm (ASCOT-BPLA): a multicentre randomised controlled trial. Lancet. 2005;366:895-906. 5. Telmisartan Randomised AssessmeNt Study in ACE iNtolerant subjects with cardiovascular Disease (TRANSCEND) Investigators, Yusuf S, Teo K, Anderson C, Pogue J, Dyal L, Copland I, Schumacher H,Dagenais G,Sleight P.Effects of the angiotensin-receptor blocker telmisartan on cardiovascular events in high-risk patients intolerant to angiotensin-converting enzyme inhibitors: a randomised controlled trial. Lancet. 2008 Sep 27;372:1174-83. 6.Victor RG.Pathophysiology of target-organ disease:does angiotensin II remain the key? J Clin Hypertens (Greenwich). 2007 Nov;9(11 Suppl 4):4-10 7.Sleight P,Yusuf S,Pogue J,Tsuyuki R,Diaz R,Probstfield J;Heart Outcomes Prevention Evaluation (HOPE) Study.Blood-pressure reduction and cardiovascular risk in HOPE study.Lancet.2001;358:2130-1. 8. ONTARGET Investigators. Telmisartan, ramipril, or both in patients at high risk for vascular events. N Engl J Med. 2008 ;358:1547-59. 9.Five-year findings of the hypertension detection and follow-up program.I.Reduction in mortality of persons with high blood pressure, including mild hypertension. Hypertension Detection and Follow-up Program Cooperative Group. JAMA. 1979 Dec 7;242(23):2562-71.
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Le nuove linee guida per l’automisurazione della pressione arteriosa domiciliare Prof. Guido Grassi Clinica Medica, Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione, Università Milano-Bicocca Ospedale S. Gerardo, Monza (Milano)
L'automisurazione pressoria domiciliare rappresenta assieme alla pressione ambulatoria delle 24 ore, una metodica di estremo interesse e di grandi potenzialità applicative. Inizialmente descritta nel 1930, la tecnica ha dovuto attendere alcuni decenni per le prime versioni commerciali che, da un modello elettronico di rilevazione pressoria hanno visto l'impiego del modello oscillometrico e quindi della rilevazione pressoria al polso. L'importanza clinica della pressione domiciliare risiede nel fatto che sin dalle prime esperienze si osservò che i valori pressori rilevati in questo modo risultavano sensibilmente inferiori rispetto a quelli rilevati nello studio del medico. Ciò consentiva di rilevare pressioni più simili al reale “carico quotidiano” pressorio, che potevano dunque avere un maggiore impatto sia sotto il profilo diagnostico che terapeutico. Come tutte le metodiche di impiego medico, anche l'automisurazione pressoria è stato oggetto di periodici documenti e Linee Guida che ne hanno delineato le modalità d'impiego, i limiti e i vantaggi rispetto ad altre metodiche nonché le principali applicazioni cliniche. Alcuni mesi fa, sono state pubblicate le più recenti Linee Guida sulla misurazione pressoria domiciliare, a cura di un comitato “ad hoc” di esperti, sotto l'egidia Società Europea di Ipertensione (1). Questo articolo evidenzierà i principali elementi di novità di queste Linee Guida Europee, rimandando il lettore al testo integrale per un approfondimento (1). Automisurazione pressoria: le caratteristiche principali L'automisurazione pressoria a domicilio è in grado di fornire una valutazione accurata del reale “carico pressorio” giornaliero di un dato paziente, in quanto la metodica è scevra della cosiddetta “reazione d'allarme”o reazione “da camice bianco”
che provoca un incremento pressorio da stress, inficiando in tal modo la diagnosi (e ovviamente l'approccio terapeutico) alla presunta condizione di ipertensione. La tecnica, quindi, presenta notevoli vantaggi rispetto alla metodica di rilevazione pressoria da parte del medico (o pressione clinica). Rispetto, tuttavia, ad un altro approccio di largo impiego clinico per la rilevazione dinamica della pressione arteriosa, e cioè la pressione delle 24 ore o ambulatoria, si differenzia principalmente per il numero limitato di rilevazioni nell'arco della giornata e ovviamente per l'assenza di informazioni sul profilo pressorio circadiano. I principali vantaggi della metodica includono: 1. l'elevata riproducibilità dei valori pressori misurati, 2. la stretta relazione esistente tra valori pressori, sviluppo e progressione del danno d'organo e rischio di eventi cardiovascolari, 3. il ridotto impatto economico della metodica, 4.la possibilità di fornire preziose informazioni sul controllo pressorio in terapia e sulla compliance del paziente al trattamento. Automisurazione pressoria: le raccomandazioni e i valori di normalità Come per la pressione clinica, anche la pressione domiciliare automisurata dal paziente è soggetta a diverse raccomandazioni. Oltre a quelle strettamente tecniche, legate cioè alle modalità operative di rilievo pressorio, se ne possono evidenziare altre di carattere più generale. E' ad esempio importante ricordare che l'automisurazione pressoria è un approccio che deve essere richiesto, seguito e interpretato nei risultati dal medico curante. Questo accorgimento, infatti, consente di evitare che il paziente analizzi autonomamente i propri valori pressori, decidendo, senza consultare il medico,
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Principali indicazioni dell’Automisurazione domiciliare Ipertensione da camice biaco Ipertensione resistente
Ipertensione e diabete
Ipertensione mascherata
Automisurazione domiciliare pressoria
Ipertensione gravidica
Miglioramento della compliance terapuetica
Ipertensione e sindrome metabolica
Ipertensione nell’anziano
Figura 1
quando e se iniziare il trattamento farmacologico e la posologia dei farmaci impiegati. E' inoltre utile che l'automisurazione pressoria non diventi di per sé stessa una malattia e che dunque non si ecceda nel numero di rilevazioni giornaliere o settimanali. Come illustrato nella Figura 1 diverse sono le indicazioni cliniche all'automisurazione pressoria. Per ragioni di brevità due meritano di essere ricordate. La prima riguarda l'identificazione dei soggetti affetti dalla cosiddetta “ipertensione da camice bianco” e cioè una condizione clinica in cui l'incremento pressorio registrato durante la visita clinica, ma assoluta normalità della pressione domiciliare e/o ambulatoria, può far erroneamente etichettare come iperteso chi in realtà non lo è, con ovvie ricadute negative sul profilo terapeutico e sul piano sanitario / economico. La seconda indicazione riguarda invece la possibilità che l'automisurazione pressoria eseguita a domicilio consenta di coinvolgere maggiormente i pazienti nell'approccio terapeutico, dimostrando “numericamente” come l'aderenza al trattamento possa influenzare favorevolmente il controllo pressorio. Un'ulteriore peculiarità dell'automisurazione domiciliare riguarda il fatto che i valori pressori di normalità rilevati con Valori pressori di normalità per la pressione clinica, domiciliare o ambulatoria secondo le Nuove Linee Guida (1,3) Parametro
Pressione sistolica Pressione diastolica (mmHg) (mmHg)
Pressione clinica
≤ 140
≤ 90
Pressione domiciliare
≤ 135
≤ 85
Pressione ambulatoria
≤ 125
≤ 80
Tabella 1
10
questa metodica sono in realtà inferiori a quelli ottenuti con la pressione clinica e di poco più elevati della pressione ambulatoria (Tabella 1). Tale dato ha ovvie importanti implicazioni diagnostiche e terapeutiche. L'automisurazione pressoria: significato prognostico e quesiti irrisolti Oltre 15 studi prospettici hanno dimostrato che l'automisurazione pressoria consente di acquisire informazioni rilevanti per definire la prognosi dello stato ipertensivo e, quindi, impostare un intervento terapeutico più o meno aggressivo. Le evidenze sinora raccolte dimostrano che la rilevanza prognostica dell'automisurazione pressoria 1) è superiore alla pressione clinica, 2) è valida per tutte le fasce di età dei pazienti, 3) è indipendente dal numero di rilevazioni pressorie domiciliari effettuate e 4) riguarda non solo gli eventi cerebrovascolari e coronarici ma anche quelli renali. Di recente, lo studio PAMELA, iniziato oltre 15 anni fa dal nostro gruppo nell'area Brianza, ha fornito ulteriore conferma dell'importanza prognostica della pressione domiciliare, dimostrando la sua capacità di predire lo sviluppo e la progressione non solo dell'ipertrofia cardiaca ma anche delle patologie dismetaboliche, quali il pre-diabete, il diabete e la sindrome metabolica (2). Accanto a queste evidenze, l'automisurazione pressoria presenta anche dei limiti e degli aspetti non chiari, meritevoli di ulteriore approfondimento. Questi riguardano l'impiego e i valori di normalità della metodica in popolazioni particolari, quali gli obesi, i bambini, gli adolescenti, le gravide e gli anziani. Inoltre è da rilevare che in alcune condizioni cliniche (ad esempio fibrillazione atriale) la metodica non consente di ottenere informazioni attendibili data la presenza di un ritmo cardiaco caotico. Infine studi preliminari che utilizzano le risorse telematiche per l'archiviazione dei dati sembrano risolvere il problema della trascrizione (spesso errata) dei valori pressori su appositi diari da parte del paziente. Pur con questi quesiti aperti, la metodica può consentire, come ricordato dalle Linee Guida Europee sulla diagnosi e trattamento dell'ipertensione (3), di migliorare sensibilmente il controllo pressorio dell'iperteso trattato, proponendosi come tecnica d'elezione in campo ipertensivologico. BIBLIOGRAFIA 1. Parati G, Stergiou GS, Asmar R, et al. ESH Working Group on Blood Pressure Monitoring. European Society of Hypertension Guidelines for blood pressure monitoring at home. J Hypertens 2008;26:1505-1526. 2. Mancia G, Facchetti R, Bombelli M, et al. Relationship of office, home and ambulatory blood pressure to blood glucose and lipid variables in the PAMELA population. Hypertension 2005;45:1072-1077. 3. Mancia G, De Backer G, Dominiczak A, et al. 2007 Guidelines for the management of arterial hypertension. J Hypertens 2007;25:1105-1187.
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Sindrome metabolica Oltre il 20% degli italiani è affetto da sindrome metabolica. Un nuovo stile di vita è la chiave per prevenire le conseguenze di questa patologia e migliorare l’efficacia di qualsiasi terapia. Anche su questo fronte la ricerca Omron si impegna a mettere a disposizione di medici e pazienti una gamma di dispositivi che rendono più semplice impostare uno stile di vita salutare e monitorarne i risultati nel tempo.
Esercizio fisico
Monitoraggio risultati
Dieta ipocalorica
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L’automisurazione della pressione arteriosa: il parere del medico Prof. Augusto Zaninelli Medicina Generale, Università di Firenze
Le Linee Guida per la diagnosi e la cura dell'ipertensione arteriosa dell'Organizzazione Mondiale della Sanità e dalla Società Internazionale dell'Ipertensione Arteriosa1 (1999) e quelle più recenti della Società Europea dell'Ipertensione Arteriosa e della Società Europea di Cardiologia2 (2007), hanno sottolineato l'importanza di ottenere un buon controllo dei valori pressori (<140/90 mmHg) nei pazienti ipertesi. Tale obbiettivo è tuttavia difficile da conseguire, soprattutto se non si ottiene la massima collaborazione tra paziente e medico e se il paziente non assume le terapie prescritte con regolarità. Per il raggiungimento di questo risultato, si sono recentemente rivelate di grande utilità metodiche innovative che consentono di estendere la misurazione della pressione arteriosa alla vita quotidiana, al di fuori dell'ambulatorio del medico. Lo sviluppo tecnologico ha, infatti, reso oggi disponibili sofisticate tecniche che offrono la possibilità al paziente di misurarsi facilmente la pressione arteriosa a casa propria. Gli apparecchi elettronici utilizzati per questo scopo, sono completamente automatici e permettono la misurazione della pressione arteriosa a livello del braccio mediante la semplice pressione di un tasto. Essi sono oggi molto diffusi grazie all'accuratezza con la quale rilevano la pressione arteriosa, ma anche grazie alla facilità d'uso ed ai costi contenuti, come dimostrato da alcuni studi condotti in Germania, che hanno evidenziato come almeno il 40% degli ipertesi pratichi l'automisurazione della pressione arteriosa3. Un'ulteriore diffusione della metodica dell'automisurazione della pressione è prevedibile con la progressiva integrazione di questi apparecchi nei servizi di telemedicina (trasmissione telefonica o via web dei valori pressori), integrazione che permetterà di facilitare l'interpretazione dei risultati e di renderli disponibili, per decisioni diagnostiche o terapeutiche.
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Vantaggi e limiti dell'automisurazione domiciliare Il vantaggio più evidente è quello di evitare l'"effetto camice bianco", cioè da quel rialzo pressorio generato dalla reazione emotiva che colpisce talvolta il paziente al momento della misurazione della pressione da parte del medico, rialzo la cui entità e durata sono variabili da soggetto a soggetto4. La pressione automisurata a domicilio è, invece, immune da questo fenomeno e ciò spiega perché le pressioni misurate dal medico sono in genere più elevate della pressione domiciliare ed anche perché, in un non piccolo numero di soggetti, la pressione è alta nell'ambulatorio del medico, ma normale quando misurata dal paziente a casa propria, durante la vita quotidiana5. Altri vantaggi sono: • Possibilità di ottenere numerose misurazioni nel tempo • Basso costo e semplicità d'uso • Elevata riproducibilità • Possibilità di memorizzazione digitale, stampa e teletrasmissione delle misurazioni pressorie. Sono, invece, da considerare come possibili svantaggi dell'automisurazione domiciliare: • Necessità di addestrare il paziente • “Nevrotizzazione” da misure ripetute in soggetti ansiosi • Scarsa attendibilità dei valori riferiti al medico (valori riportati in maniera non accurata, omissione di valori, aggiunta di valori non misurati) • Uso di strumenti a volte non validati ed imprecisi (accuratezza) • Errori nella misurazione per problemi tecnici (es. malposizionamento del manicotto, strumenti da polso). Vanno, tuttavia, effettuate alcune precisazioni, in quanto, recentemente, sono stati parzialmente rivalutati gli strumenti per la misurazione al polso. Infatti, la pressione misurata al braccio con un bracciale standard può essere sovrastimata negli individui obesi con ampie braccia. La misurazione al polso potrebbe ovviare a questo problema. E'
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Numero di misurazioni giornaliere
Durata del periodo di monitoraggio
Fase di valutazione diagnostica
2 al mattino (6-9) e 2 alla sera (18-21)
1 settimana
Inizio del trattamento antiipertensivo
2 al mattino (6-9) e 2 alla sera (18-21)
1 settimana
Fase stabilizzata
2 al mattino (6-9) e 2 alla sera (18-21)
Almeno 1 giorno ogni settimana
Tabella 1 stato pertanto verificato in 15 soggetti obesi ed in 11 soggetti di normale corporatura la differenza tra la pressione misurata al braccio ed al polso6. Non si è osservata alcuna differenza nella pressione diastolica tra i due gruppi sia al braccio che al polso, anche se la pressione sistolica misurata a livello del braccio negli obesi era più bassa che nei soggetti normali (99± mmHg vs. 107±14 mmHg; p<0,001). Questo studio, seppur condotto su un numero ristretto di soggetti suggerisce come un misuratore da polso clinicamente validato ed accurato possa rappresentare un'alternativa alla misurazione al braccio negli obesi, purché correttamente utilizzato. In molti casi i Pazienti non compilano un diario pressorio, mentre in altri, i Pazienti non mostrano tale diario al Medico, rendendo meno efficace il valore intrinseco dell'automisurazione domiciliare della pressione. Un gruppo di ricercatori giapponesi ha cercato di identificare le caratteristiche del paziente poco propenso a comunicare al medico i propri valori pressori automisurati7. Su 325 soggetti ipertesi dello studio J-HOME, circa il 63% ha riportato il proprio diario pressorio al medico. Questi pazienti erano in genere soggetti più giovani, con pressione sistolica più elevata ed in trattamento con più farmaci antiipertensivi. I ricercatori sono pertanto giunti alla conclusione che il medico dovrebbe prestare particolare attenzione ai pazienti più anziani e meglio controllati, per i quali potrebbe essere utile consigliare l'utilizzo di un misuratore dotato di memoria, da riportare al medico in occasione della visita, per la verifica dei valori pressori misurati. I valori normali di pressione arteriosa per l'autormisurazione domiciliare Una rassegna della letteratura che ha incluso due meta-analisi e tutti gli studi prospettici e clinici fino ad ora effettuati, per un totale di circa 22.500 soggetti studiati8, ha permesso di confermare i valori raccomandati dalle recenti linee guida italiane ed europee sull'automisurazione della pressione. Una diagnosi di ipertensione arteriosa, basata sull'automisu-
razione domiciliare, è possibile in presenza di valori medi di una settimana di monitoraggio ≥135 mmHg per la pressione sistolica e ≥85 mmHg per quella diastolica. Valori <130/85 mmHg vengono considerati normali, mentre valori <120/80 mmHg ottimali più utili, ad esempio, in soggetti ad alto rischio cardiovascolare. L'obiettivo della terapia antiipertensiva deve essere, quindi, la riduzione della pressione almeno a valori <135/85 mmHg, anche se l'associazione tra piccole riduzioni della pressione domiciliare e grandi variazioni del rischio cardiovascolare, suggeriscono il raggiungimento di valori pressori più bassi. La Tabella 1, mostra le raccomandazioni della Società Europea dell'Ipertensione Arteriosa sulle procedure per l'automisurazione della pressione arteriosa9. Le indicazioni L'automisurazione domiciliare della pressione arteriosa si è dimostrata utile nel ridurre il numero di visite mediche, anche se aumenta il numero di contatti telefonici tra paziente e medico. Anche il numero di esami clinici si riduce e così pure la necessità di modifiche della terapia e il numero di prescrizioni di nuovi farmaci. Questo è il risultato del fatto che il livello di pressione arteriosa è stimato in maniera più precisa, su più misurazioni ed in un arco di tempo più lungo. Alcuni pazienti, che mostrano valori pressori superiori alla norma quando misurati dal medico e normali al di fuori dello studio medico (“ipertensione da camice bianco” o “ipertensione clinica isolata”), possono trarre grande beneficio dall'automisurazione della pressione, anche se il fatto di avere una pressione normale misurata a domicilio in particolari ore del giorno, non esclude che in altri momenti essa sia superiore alla norma. Uno studio condotto su 5.211 ipertesi10 ha dimostrato che l'11% di pazienti era affetto da “ipertensione mascherata” (valori di pressione normale quando misurata dal medico e superiore alla norma quando automisurata a domicilio) ed aveva una frequenza di fattori di rischio cardiovascolare e di malattie cardiovascolari in anamnesi identico a quello di
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pazienti con ipertensione arteriosa non controllata dalla terapia. Uno studio italiano11 condotto in 1.637 soggetti, di cui il 10% con “ipertensione mascherata”, ha dimostrato come in questi ultimi la massa ventricolare sinistra fosse aumentata. L'automisurazione permette di valutare l'efficacia della terapia antiipertensiva nella vita di tutti i giorni, ma anche la durata d'azione del farmaco, ed è particolarmente utile nel caso di resistenza alla terapia antiipertensiva. L'uso di apparecchi automatici, facili da usare, può rappresentare un vantaggio per la misurazione della pressione nell'anziano, che spesso ha difficoltà a recarsi dal medico o presenta eccessive variazioni della pressione durante la giornata, difficili da rilevare nel corso di una misurazione occasionale nell'ambulatorio del medico. Nella donna in gravidanza, poi, l'automisurazione della pressione arteriosa può aiutare a diagnosticare un'ipertensione da camice bianco o causata da una pre-eclampsia e quindi a valutare l'efficacia del trattamento antiipertensivo in questa condizione. Nel Paziente diabetico, che richiede un controllo molto stretto della pressione da parte della terapia, questo può essere raggiunto con automisurazioni domiciliari ripetute nel tempo. Inoltre, la misurazione domiciliare della pressione arteriosa può essere utile per migliorare il grado di aderenza del paziente alla terapia, in quanto coinvolge in maniera attiva il paziente nella gestione del proprio controllo pressorio e può “sostituire” la visita ambulatoria con viste mediche “telefoniche”, laddove le visite mediche sono difficili12. Infine, la variabilità ultradiana della pressione valutata con l'automisurazione domiciliare rappresenta un utile ed importante indicatore di prognosi per malattie cardiovascolari. In 2.455 soggetti di uno studio giapponese, è stata valuta la variabilità ultradiana della pressione automisurata, calcolata come deviazione standard della media di pressione arteriosa e frequenza cardiaca del periodo di monitoraggio13. La pressione domiciliare è stata misurata per un periodo mediano di 26 giorni con un misuratore elettronico automatico da braccio. Un aumento di 1 mmHg di variabilità della pressione sistolica si associava ad un aumentato rischio per mortalità cardiovascolare (1,27; p=0,002) e per ictus (1,41; p=0,0009), entrambe aggiustate per pressione basale, genere, età, fattori di rischio cardiovascolare, precedenti malattie cardiovascolari, diabete, dislipidemia e trattamento antiipertensivo. Anche la variabilità della frequenza cardiaca automisurata è risultata un buon indicatore di mortalità cardiovascolare (1,24; p=0,002) e cardiaca (1,30; p=0,003), così come la variabilità di pressione diastolica. Questo studio ha pertanto dimostrato come la variabilità
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della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca automisurate rappresentino, insieme al calcolo del valore medio, un semplice ed utile strumento per valutare il rischio cardiovascolare di un individuo. Conclusioni L'automisurazione domiciliare della pressione arteriosa appare come una manovra semplice, ripetibile, affidabile ed utile nel governo complessivo del paziente con ipertensione arteriosa. Anche se da un lato il Paziente deve acquistare l'apparecchio e dall'altro si rischia un sovra utilizzo ansiogeno delle misurazioni, i benefici clinici e gestionali, sono di gran lunga superiori. Bibliografia 1. Subcommittee of the World Health Organization-International Society of Hypertension (WHO-ISH) Mild Hypertension Liaison Committee. 1999 World Health OrganizationInternational Society of Hypertension Guidelines for the Management of Hypertension. J Hypertens 1999;17:151-183. 2. European Society of Hypertension-European Society of Cardiology Guidelines Committee. 2007 European Society of Hypertension-European Society of Cardiology guidelines for the management of arterial hypertension. J Hypertens 2007;25:1105-1187. 3. Krecke HJ, Lutkes P, Maiwald M.Patient assessment of self-measurement of blood pressure: results of a telephone survey in Germany. J Hypertens 1996;14:323-326. 4. Parati G, Pomidossi G, Casadei R, Mancia G. Lack of alerting reactions to intermittent cuff inflations during noninvasive blood pressure monitoring. Hypertension 1985;7:597601. 5. O'Brien E, Asmar R, Beilin L, Imai Y, Mallion JM, Mancia G, Mengden T, Myers M, Padfield P, Palatini P, Parati G, Pickering T, Redon J, Staessen J, Stergiou G, Verdecchia P; European Society of Hypertension Working Group on Blood Pressure Monitoring. European Society of Hypertension recommendations for conventional, ambulatory and home blood pressure measurement. J Hypertens 2003;21:821-848. 6. de Senarclens O, Feihl F, Giusti V, Engelberger RP, Rodieux F, Gomez P, Liaudet L, Waeber B. Brachial or wrist blood pressure in obese patients: which is the best? Blood Press Monit 2008;13:149-151. 7.Tamaki S, Nakamura Y,Teramura M, Sakai H,Takayama T, Okabayashi T, Kawashima T, Horie M. The factors contributing to whether or not hypertensive patients bring their home blood pressure record to the outpatient clinic. Intern Med 2008;47:1561-1565. 8. Staessen JA, Thijs L, Ohkubo T, Kikuya M, Richart T, Boggia J, Adiyaman A, Dechering DG, Kuznetsova T,Thien T, de Leeuw P, Imai Y, O'brien E, Parati G.Thirty years of research on diagnostic and therapeutic thresholds for the self-measured blood pressure at home. Blood Press Monit 2008;13:352-365. 9. Parati G, Omboni S, Palatini P, Rizzoni D, Bilo G, Valentini M, Agabiti-Rosei E, Mancia G. Linee Guida della Società Italiana dell'Ipertensione Arteriosa sulla misurazione convenzionale e automatica della pressione arteriosa nello studio medico, a domicilio e nelle 24 ore. Ipertensione Prev. Cardiovaasc 2008. 10. Bobrie G, Chatellier G, Genes N, Clerson P, Vaur L, Vaisse B, Menard J, Mallion JM. Cardiovascular prognosis of "masked hypertension" detected by blood pressure self-measurement in elderly treated hypertensive patients. JAMA 2004;291:1342-1349. 11. Sega R, Trocino G, Lanzarotti A, Carugo S, Cesana G, Schiavina R, Valagussa F, Bombelli M, Giannattasio C, Zanchetti A, Mancia G. Alterations of cardiac structure in patients with isolated office, ambulatory, or home hypertension: Data from the general population (Pressione Arteriose Monitorate E Loro Associazioni [PAMELA] Study). Circulation 2001 18;104:13851392. 12. Parati G, Stergiou GS, Asmar R, Bilo G, de Leeuw P, Imai Y, Kario K, Lurbe E, Manolis A, Mengden T, O'Brien E, Ohkubo T, Padfield P, Palatini P, Pickering T, Redon J, Revera M, Ruilope LM, Shennan A, Staessen JA, Tisler A, Waeber B, Zanchetti A, Mancia G; ESH Working Group on Blood Pressure Monitoring. European Society of Hypertension guidelines for blood pressure monitoring at home: a summary report of the Second International Consensus Conference on Home Blood Pressure Monitoring. J Hypertens 2008;26:1505-1526. 13. Kikuya M, Ohkubo T, Metoki H, Asayama K, Hara A, Obara T, Inoue R, Hoshi H, Hashimoto J, Totsune K, Satoh H, Imai Y. Hypertension 2008;52:1045-1050.
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OMRON M6 COMFORT MISURATORE DI PRESSIONE
Il misuratore della pressione Omron M6 comfort è Clinicamente validato secondo i protocolli della European Society of Hypertension e della British Hypertension Society, anche per popolazioni speciali come obesi e anziani. Tutte le validazioni sono pubblicate su riviste scientifiche internazionali (riferimenti bibliografici sul sito www.dableducational.org) Le validazioni cliniche sono conseguenza della grande accuratezza e ripetibilità delle misurazioni dello strumento, garantite anche dagli esclusivi sensori Omron che rilevano pulsazioni irregolari e movimenti anomali del braccio: i due principali fattori di inaccuratezza degli sfigmomanometri digitali. Il misuratore è dotato di BRACCIALE COMFORT che grazie alla sua doppia camera d’aria assicura una compressione del braccio non dolorosa ma estremamente efficace; adatto anche al paziente obeso per il quale non è richiesto un bracciale apposito. Display di grandi dimensioni, unico bottone di funzionamento e memorie automatiche per rendere estremamente semplice l'utilizzo anche per un pubblico anziano.
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Linee Guida per i dell’IPERTEN S LINEE GUIDA 1999 OMS - Organizzazione Mondiale della Sanità ISH - Società Internazionale dell’Ipertensione Arteriosa Da: Journal of Hypertension, 1999; 17:151-183 Dott. Eugenio Roberto Cosentino, Dott.ssa Elisa Rebecca Rinaldi Dipartimento di Medicina Interna S. Orsola - Malpighi Bologna
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DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE DEI VALORI PRESSORI SECONDO ESH/ESC 2003 CATEGORIA OTTIMALE NORMALE NORMALE-ALTA IPERT. GRADO 1 (LIEVE) IPERT. GRADO 2 (MODERATA) IPERT. GRADO 3 (SEVERA) IPERT. SISTOLICA ISOLATA
SISTOLICA < 120 120-129 130-139 140-159 160-179 ≥ 180 ≥ 140
DIASTOLICA <80 80-84 85-89 90-99 100-109 ≥ 110 ≤ 90
Quando la pressione sistolica e diastolica di un paziente rientrano in categorie differenti, la classificazione va fatta in base alla categoria maggiore
2
DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE DEI VALORI PRESSORI SECONDO JNC VII CATEGORIA
SISTOLICA
DIASTOLICA
< 120
< 80
PRE-IPERTENSIONE
120-139
80-89
STADIO 1 IPERTENSIONE
140-159
90-99
STADIO 2 IPERTENSIONE
≥ 160
≥ 100
NORMALE
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r il trattamento N SIONE ARTERIOSA LINEE GUIDA 2003 ESH - Società Europea dell’Ipertensione Arteriosa ESC - Società Europea di Cardiologia sotto gli auspici dell’ISH JNC - Commissione Nazionale Americana Da: Journal of Hypertension, 2003; 21:1011-1053 Website: www.eshonline.org JNC 7 Report. JAMA. 2003; 289(19):2560-71
MISURAZIONE DELLA PRESSIONE ARTERIOSA SECONDO ESH-ESC 2003 • Sfigmomanometria clinica ambulatoriale
(140/90 mmHg)
• Misurazione domiciliare (automisurazione)
(135/85 mmHg)
• Monitoraggio delle 24 ore
(125/85 mmHg)
MISURAZIONE DELLA PRESSIONE ARTERIOSA SECONDO JNC VII • Sfigmomanometria clinica ambulatoriale
(140/90 mmHg)
• Misurazione domiciliare (automisurazione)
(135/85 mmHg)
• Monitoraggio delle 24 ore (veglia)
(135/85 mmHg)
• Monitoraggio delle 24 ore (sonno)
(120/75 mmHg)
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IPERTENSIONE CLINICA ISOLATA (IPERTENSIONE DA CAMICE BIANCO) SECONDO ESH-ESC 2003 DIAGNOSI PA ambulatoriale ≥ 140/90 mmHg (in più visite);
Monitoraggio 24 h < 125/80 mmHg.
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IPERTENSIONE IN POPOLAZIONI SPECIALI SECONDO ESH-ESC 2003 IPERTENSIONE E DIABETE La terapia antipertensiva di tipo farmacologico è finalizzata a raggiungere valori pressori inferiori a 130/80 mmHg IPERTENSIONE E INSUFFICIENZA RENALE La terapia antipertensiva di tipo farmacologico è finalizzata a raggiungere valori pressori al di sotto di 130/80 mmHg e anche inferiori se è presente proteinuria < 1g/die
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IPERTENSIONE IN GRAVIDANZA SECONDO ESH-ESC 2003 IPERTENSIONE PREESISTENTE ALLA GRAVIDANZA Incremento dei valori pressori ≥ 140/90 mmHg prima della gravidanza o entro la 20a settimana di gestazione
Di solito si mantiene per più di 42 giorni dopo il parto
Si può associare a proteinuria
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IPERTENSIONE IN GRAVIDANZA SECONDO ESH-ESC 2003
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IPERTENSIONE PRENATALE NON CLASSIFICABILE Riscontro di ipertensione se la pressione è stata misurata per la prima volta dopo 20 settimane di gestazione Necessaria nuova valutazione al 42° giorno dal parto o subito dopo In caso di persistenza di elevati valori si può parlare di ipertensione preesistente; in caso contrario si tratta di ipertensione gravidica con o senza proteinuria
IPERTENSIONE IN GRAVIDANZA SECONDO ESH-ESC 2003
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IPERTENSIONE PREESISTENTE ALLA GRAVIDANZA CON ASSOCIATA IPERTENSIONE GRAVIDICA E PROTEINURIA Ipertensione preesistente alla gravidanza con peggioramento clinico dopo 20 serttimane di gestazione Presenza di proteinuria ≥ 3 g/die Tale condizione corrisponde alla definizione di “ipertensione cronica con sovraimposta eclampsia”
IPERTENSIONE IN GRAVIDANZA SECONDO ESH-ESC 2003
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IPERTENSIONE GRAVIDICA Costituisce lo stato ipertensivo indotto dalla gravidanza e si sviluppa dopo la 20a settimana di gestazione Frequentemente regredisce entro 42 giorni dal parto Si può associare a proteinuria. Il riscontro di proteinuria > 300 mg/l o > 500 mg/24h viene definita preeclampsia
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Il rischio del paziente con dismetabolismo Prof. Paolo Cavallo Perin Dipartimento di Medicina Interna - Università di Torino
Introduzione Le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte soprattutto nei paesi occidentali. L'aumento della vita media, della sopravvivenza agli episodi cardiovascolari, dell'obesità e del diabete lasciano intravedere un futuro incremento di eventi cardiovascolari. La prevenzione deve riguardare soprattutto i soggetti a rischio elevato ancora esenti da eventi cardiovascolari. I pazienti con dismetabolismo rappresentano una parte rilevante di questa popolazione in continua crescita, che risulta composta da soggetti con diabete ed altre condizioni di alterata regolazione glicemica, dislipidemie, sindrome metabolica. Questi soggetti possono essere oggi identificati in base a criteri e strumenti diagnostici semplici e poco costosi, ma che consentono l'intervento per la riduzione del rischio cardiovascolare. Diabete e altre categorie di alterata regolazione glicemica (1,2) Il diabete è una malattia invalidante, la cui prevalenza del 610% è in continua crescita. La forma più diffusa è il diabete tipo 2, il cui aumento è riconducibile all'incremento di soprappeso o obesità nei soggetti predisposti. Il diabete tipo 2 può decorrere a lungo asintomatico con ritardo nella diagnosi, oggi evitabile con lo screening nei soggetti a rischio. Il diabete tipo 2 è sempre preceduto da difetti più lievi come l'iperglicemia a digiuno (IFG) e/o l'alterata tolleranza al glucosio (IGT), la cui prevalenza stimata è del 20-25%. La diagnosi di IFG e IGT è giustificata dall'efficacia degli interventi (correzione dello stile di vita, farmaci) utili a prevenire o ritardare l'insorgenza del diabete tipo 2. I criteri per la diagnosi di diabete, IFG e IGT sono riportati in Tabella 1. L'aumento del rischio cardiovascolare è da 2-4 volte nella popolazione diabetica, risulta già evidente nei soggetti con IFG e/o IGT e è spiegato dall'aggregazione di vari fattori di rischio: iperglicemia, dislipidemia, ipertensione, soprappesoobesità, aumentata trombofilia.
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Criteri per la diagnosi diabete, IFG e IGT • DIABETE glicemia a digiuno ≥ 126 mg/dl * oppure sintomi legati all’iperglicemia (poliuria, polidipsia, calo ponderale inspiegato) e glicemia casuale (in qualsiasi momento del giorno) ≥ 200 mg/dl oppure glicemia 2 ore dopo OGTT 75 g ≥ 200 mg/dl * • IFG: glicemia a digiuno compresa tra 100 e 125 mg/dl • IGT: glicemia 2 ore dopo OGTT (75 g) compresa tra 140 e 199 mg/dl * questi criteri devono essere confermati ripetendo la misura in un giorno diverso, a meno che il valore ottenuto risulti inequivocabilmente elevato. OGTT 75 g = curva da carico orale con 75 grammi di glucosio
Tabella 1 Il diabete tipo 2 e l'alterata regolazione glicemica riconoscono gli stessi fattori di rischio per cui lo screening delle due condizioni è rivolto alle stesse categorie di soggetti ad alto rischio (Tabella 2), che il medico di Medicina Generale ha modo di identificare tra i suoi assistiti. Poiché l'obesità e il diabete tipo 2 sono in crescita anche nell'età infanto-giovanile, lo screening è raccomandato nei soggetti a rischio anche in questa fascia di età (Tabella 3). Per la prevenzione delle complicanze croniche e la riduzione del rischio cardiovascolare è necessario affiancare al compenso della glicemia anche quello della pressione arteriosa e della lipidemia (concetto di compenso globale) (tabella 4). Il raggiungimento del compenso globale richiede che l'intervento sullo stile di vita (dieta, attività fisica, sospensione del fumo) sia associato all'uso di farmaci antidiabetici, antidislipidemici e anti-ipertensivi (1, 2). Dislipidemie La correlazione positiva tra livelli di colesterolo totale o colesterolo-LDL ed eventi cardiovascolari è ben nota, ma circa il 50% dei pazienti colpiti da evento cardiovascolare presenta
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Screening per IFG, IGT e diabete negli adulti asintomatici Tutti gli adulti in soprappeso o obesità (BMI ≥ 25 kg/m2) e/o con almeno una delle seguenti condizioni: • stile di vita sedentario; • un parente di I grado con diabete (genitore, fratello/sorella, figlio/figlia); • appartenenza ad etnie ad alto rischio di diabete; • donne che abbiano partorito un neonato macrosomico ( > 4000 g) • donne con precedente diagnosi di diabete gestazionale; • ipertensione (≥ 140/90 mmHg o in trattamento per ipertensione); • livelli di HDL-colesterolo < 35 mg/dl e/o livelli di trigliceridi > 250 mg/dl; • donne con sindrome dell’ovaio policistico; • soggetti con precedente diagnosi di IGT, IFG o diabete, successivamente non confermata; • malattia cardiovascolare su base aterosclerotica (coronarica, cerebrale, periferica)
Tabella 2 Screening per il diabete tipo 2 nei soggetti asintomatici nell’infanzia e nell’adolescenza. Tutti i soggetti in sovrappeso (BMI > 85° percentile per età e sesso; peso > 85° percentile per altezza; peso > 120% del peso ideale per altezza) con almeno due delle seguenti condizioni: - anamnesi familiare positiva per diabete tipo 2 nei parenti di I o II grado - madre con diabete o diabete gestazionale - appartenenza ad etnie ad alto rischio di diabete - segni di insulino-resistenza (ad es. acanthosis nigrigans) - ipertensione - dislipidemia - sindrome dell’ovaio policistico
livelli di colesterolo-LDL “normali”. A parte il ruolo di altri fattori di rischio, è possibile in questi casi un eccesso di particelle LDL più piccole e dense, dotate di un maggior potere aterogeno, che possono essere svelate da aumentati livelli di apoB. La relazione tra ipertrigliceridemia e rischio cardiovascolare è più complessa e sembra dipendere da altre alterazioni dislipidemiche associate, come bassi valori di HDL-colesterolo (o di apoA1) o presenza di elevati livelli di particelle LDL piccole e dense. Il colesterolo-HDL è considerato un fattore “protettivo” in quanto presenta una relazione inversa con il rischio cardiovascolare; infatti, per ogni livello di colesterolo-LDL il rischio risulta anche determinato dal colesterolo-HDL. Di fronte ad un soggetto con dislipidemia, è opportuno innanzitutto escludere le dislipidemie secondarie (tabella 5); tra queste, l'unica che clinicamente può sfuggire è l'ipotiroidismo, soprattutto nell'anziano. E' quindi buona regola eseguire in tutti i casi il dosaggio del TSH in quanto l'ipotiroidismo necessita di terapia sostitutiva (tiroxina) e si associa ad un elevato rischio di rabdomiolisi in caso di trattamento con statine. Per quanto concerne le forme primarie, a seconda dell'elevazione dei livelli di LDL-colesterolo, dei trigliceridi o di entrambi si distinguono: ipercolesterolemia-LDL isolata (mono- o poligenica, sporadica) iperlipidemia combinata, ipertrigliceridemia isolata (moderata, severa, da deficit familiare di lipoproteinlipasi), ridotti livelli di HDL-colesterolo isolati o associati ad altra dislipidemia. Lo screening per la dislipidemia deve essere effettuato non solo nei soggetti adulti che presentino un qualsiasi fattore di rischio cardiovascolare, ma anche in età infanto-giovanile nei soggetti ad alto rischio (soprappeso/obesità, genitori con dislipidemia o eventi cardiovascolari in età precoce, ecc.) (3,4,5). L'approccio terapeutico richiede la valutazione del rischio cardiovascolare globale sulla base dell'algoritmo dell'Istituto
Tabella 3 Condizioni associate a dislipidemia o dislipidemie secondarie
Obiettivi per il compenso “globale” del diabete
A. Endocrinopatie: diabete mellito, ipotiroidismo, malattie ipofisarie
A. Compenso glicemico HbA1c Glicemia pre-prandiale Glicemia post-prandiale
< 7% 90-130 mg/dl < 180 mg/dl
B. Epatopatie: colestasi, epatopatie croniche, colelitiasi
B. Pressione arteriosa
< 130/80 mmHg
D. Iperimmunoglobulinemie: mileoma, macroglobulinemia, LES
C. Lipidi LDL-colesterolo Trigliceridi HDL-colesterolo
< 100 mg/dl < 150 mg/dl > 40 mg/dl
Tabella 4
C. Nefropatie: sindrome nefrosica, insufficienza renale cronica E. Farmaci: beta-bloccanti, diuretici tiazidici, steroidi, farmaci antiretrovirali HIV F. Altre: iperuricemia, obesità, etilismo, anoressia nervosa, glicogenosi, lipodistrofie
Tabella 5
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Concentrazioni desiderabili di colesterolo-LDL in base al rischio Categoria di rischio
Colesterolo-LDL desiderabile
CHD con rischio molto elevato
< 70 mg/dl
CHD o rischio equivalente alla CHD <100 mg/dl ≥2 fattori di rischio
<130 mg/dl
0-1 Fattore di rischio
<160 mg/dl
CHD= cardiopatia ischemica
Tabella 6 Superiore di Sanità (sito www.cuore.iss.it) o delle carte del rischio (6) o delle linee guida dell'ATP III (tabella 6)(4). ll target primario dell'ATP III è di ridurre i livelli di colesterolo-LDL. Il target secondario è la correzione del colesterolo-non-HDL nei pazienti con elevati livelli di trigliceridi (≥ 200 mg/dl) con l'obiettivo di raggiungere valori superiori di 30 mg/dl rispetto ai valori target del colesterolo-LDL. Oltre all'intervento sullo stile di vita (dieta, attività fisica), per la riduzione del colesterolo-LDL sono consigliate le statine, che presentano anche una modesta attività ipotrigliceridemizzante.Tuttavia, la persistenza di livelli di trigliceridi elevati durante trattamento con dieta e statine può richiedere l'associazione con fibrati, soprattutto nei pazienti con bassi livelli di HDL-colesterolo. Il rischio di miopatia dovuto all'associazione statinefibrati può essere ridotto utilizzando il fenofibrato. Sindrome metabolica La Sindrome Metabolica (SM) è definita dall'aggregazione nello stesso soggetto di vari fattori di rischio cardiovascolare. I meccanismi fisiopatologici alla base della SM non sono del tutto chiari, ma l'insulino-resistenza sembra contribuire allo sviluppo dei fattori di rischio cardiovascolare della SM. L'importanza della SM deriva da tre considerazioni: a) la SM è frequente (15-30%), la sua frequenza aumenta al crescere dell'età, ed è atteso un aumento di frequenza legato al crescere della prevalenza dell'obesità nella popolazione generale; 2) la SM si associa ad un aumento del rischio cardiovascolare (1.5-2 volte) e del rischio di sviluppare diabete tipo 2 (circa 5 volte); 3) l'intervento sullo stile di vita e l'impiego di farmaci sono probabilmente in grado di ridurre il rischio di diabete tipo 2 ed il rischio di eventi cardiovascolari (7,8).Vari sono i criteri diagnostici per identificare la SM; quelli finora più largamente impiegati sono quelli proposti dall'ATP III (Tabella 7) (4). Nonostante alcuni abbiano messo in discussione la definizione ed i criteri diagnostici della SM, alcuni punti sono da tutti condivisi: 1) il concetto di sindrome metabolica ha almeno l'utilità di ricordare al medico l'importanza di ricercare tutti i fattori di rischio per la valutazione del rischio cardiovascolare
22
Criteri diagnostici per la Sindrome Metabolica Presenza di 3 o più fra i seguenti fattori di rischio: 1. Obesità addominale (circonferenza vita) a. Uomini > 102 cm b. Donne > 88 cm 2. Trigliceridi
≥150 mg/dl
3. Colesterolo-HDL a. Uomini b. Donne
< 40 mg/dl < 50 mg/dl
4. Pressione arteriosa
≥130/≥85 mm Hg
5. Glicemia a digiuno
≥100 mg/dl
Tabella 7 globale; 2) la terapia deve essere rivolta alla correzione di ciascuno dei fattori di rischio presenti, indipendentemente dalla loro aggregazione. L'identificazione della SM assume un significato clinico essenzialmente nel soggetto non diabetico, in quanto nel paziente diabetico i criteri diagnostici e le modalità di intervento terapeutico sono meglio definiti. Conclusioni Il numero dei soggetti con dismetabolismo è in continua crescita e il loro riconoscimento deve avvenire mediante screening nelle categorie dei soggetti a rischio elevato di sviluppare diabete, IFG/IGT, dislipidemia e sindrome metabolica, soprattutto ad opera del Medico di Medicina Generale. I criteri e gli strumenti diagnostici di queste condizioni sono semplici e a basso costo. La correzione dei fattori di rischio mediante intervento sullo stile di vita e l'uso di farmaci deve avvenire il più precocemente possibile, sia nell'adulto, sia nell'età infanto-giovanile. Bibliografia essenziale 1. American Diabetes Association. Standards of Medical care in Diabetes - 2009. Diabetes Care 32(Suppl. 1):S13-S61,2009. 2. Standard italiani per la cura del diabete mellito. AMD, SID. Edizioni Infomedica 2006. 3. Kwiterovich PO Jr. Recognition and Management of Dyslipidemia in Children and Adolescents. J Clin Endocrinol Metab 93:4200-4209, 2008. 4. National Cholesterol Education Program (NCEP) Expert Panel on Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Cholesterol in Adults (Adult Treatment Panel III). Third Report of the National Cholesterol Education Program (NCEP) Expert Panel on Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Cholesterol in Adults (Adult Treatment Panel III). Final report. Circulation 106:3143-421,2002. 5. Grundy SM, Cleeman JI, Merz CN, Brewer HB, Clark LT, Hunninghake DB, Pasternak RC, Smith SC, Stone NJ, for the National Heart, Lung and Blood Institute; American College of Cardiology Foundation; American Heart Association. Implications of recent clinical trials for the National Cholesterol Education Program Adult TreatmentPanel III guidelines.Circulation 2004;110:227-239. 6. Giampaoli S, Calmieri L, Cesana G, a nome del Gruppo di Ricerca del Progetto CUORE - Studi longitudinali, Valutazione del rischio cardiovascolare globale assoluto: la carta del progetto CUORE. Not Ist Super Sanità 18: iii-iv,2005. 7. Blaha MJ, Bansal S, Rouf R, Golden SH, Blumenthal RS, Defilippis AP. A Practical “ABCDE” Approach to the Metabolic Syndrome. Mayo Clin Proc 83:932-943,2008. 8. Cornier M-A, Dabelea D, Hernandez TL, Lindstrom RC, Steig AJ, Stob NR,Van Pelt RE,Wang H, Eckel RH.The Metabolic Syndrome. Endocrine Reviews 29: 777-822, 2008.
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La cardiopatia ischemica nella donna L’epidemiologia e nuovi aspetti fisiopatologici richiedono una diversa strategia di intervento Dr. Enrico Strocchi Dipartimento di Medicina Interna, S. Orsola - Malpighi - Bologna Pregiudizi,superficialità e la disponibilità di studi scientifici fortemente sbilanciati per quanto riguarda la distribuzione maschi/femmine con una scarsa rappresentanza del gentil sesso avevano portato ad una erronea sottostima del problema.Se resta vero il fatto che,con l'eccezione delle ultime decadi di vita, l'incidenza di cardiopatia ischemica è più bassa nelle donne rispetto agli uomini di pari età, è altrettanto vero che nelle popolazioni occidentali la malattia coronarica è la prima causa di morte e disabilità nel sesso femminile (in Italia, secondo dati ISTAT, 143.616 morti nel 2002); l'insorgenza e lo sviluppo della malattia coronarica nelle donne è sì ritardato di circa 10 anni rispetto a quanto accade negli uomini ma, dopo la menopausa, la prevalenza di malattia aumenta rapidamente e raggiunge quella del sesso maschile a partire dalla settima decade.Ancora più rilevante è il fatto che,sulla base di dati raccolti negli USA, mentre la mortalità per malattia coronarica negli uomini si è progressivamente ridotta negli anni, grazie alle misure di prevenzione dei fattori di rischio che sono state Mortalità per malattia cardiovascolare negli USA
Deaths (in thousands)
550
implementate ed alla disponibilità di nuovi e più efficaci sistemi di cura,lo stesso non si è verificato nelle donne,per lo meno fino al 2000 (vedi fig.1). Quando una donna va incontro ad un infarto la sua prognosi, a parità di altre condizioni, risulta peggiore di quella di un uomo; la mortalità e l'incidenza di complicanze in fase acuta sono infatti maggiori soprattutto per le pazienti più giovani; queste ultime hanno spesso un maggior numero di comorbidità e di fattori di rischio (necessari per cercare di spiegare il verificarsi dell'IMA nonostante l'azione protettiva degli estrogeni ancora presente o scomparsa solo da pochi anni) ma, l'aggiustamento per questi fattori non elimina completamente la differenza nel rischio di morte (fig. 2). Sarebbe tuttavia semplicistico affrontare il problema solo da un punto di vista quantitativo perché le evidenze che si sono rese disponibili soprattutto negli ultimi anni suggeriscono l'esistenza di profonde differenze qualitative; il quadro cliniRischio Relativo di morte in ospedale post-IMA delle donne rispetto agli uomini, stratificato per età (dati relativi a 155.565 donne e 229.313 uomini inclusi nel registro nazionale NRMI-2) 3.0
Women
2.5
500
2.0 1.5 Men
450
1.0 NCEP I 1988
400 1980
1985
1990
NCEP II 1993
1995 Years d
Figura 1
k
NCEP III 1999
0.5 30
2000
2005
35
40
45
50
55 60 65 Age (years)
70
75
80
85
90
da Vaccarino et Al, N Engl J Med 1999 l
Figura 2
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co di presentazione della cardiopatia ischemica più frequente nelle donne è l'angina a differenza degli uomini dove prevale l'IMA e la morte improvvisa; per converso nelle donne al posto del dolore toracico tipico sono spesso presenti sintomi atipici come la dispnea o l'astenia; le caratteristiche spesso atipiche della sintomatologia spiegano una parte del ritardo nell'arrivo in ospedale e/o nella diagnosi e nell'avvio del trattamento. Rispetto agli uomini maggiore è la frequenza di donne con manifestazioni cliniche atipiche in presenza di aterosclerosi coronarica o, viceversa, di angina da sforzo o di sindromi coronariche acute in assenza di stenosi significative delle arterie epicardiche.; quest'ultima condizione si ritrovava in quasi il 60% delle donne incluse nello studio WISE e sottoposte a coronarografia per la presenza di dolore toracico tipico o di positività del test da sforzo. Nonostante l'assenza di stenosi coronariche significative (>50%) la loro sintomatologia durava nel tempo e/o si aggravava e il rischio di eventi cardiovascolari nei successivi 4-5 anni risultava più elevato rispetto alla popolazione generale di pari età. Anche nell'ambito del registro delle coronarografie promosso dall'ACC (375.886 pazienti, 45% donne) la percentuale di stenosi emodinamicamente significative risultava inferiore nei pazienti di sesso femminile rispetto ai pari-età di sesso maschile (dal 12% al 35% vs dal 32% al 65%). La presenza di segni diretti (ECG, scintigrafia) e/o indiretti (eco-stress) di ischemia tissutale in assenza di stenosi significative delle arterie epicardiche toglie alla coronarografia il ruolo di “gold-standard” per la diagnosi di cardiopatia ischemica e ci costringe a riconsiderare tutti quei casi che, sulla base di una coronarografia “normale” venivano etichettati come “falsi positivi” e ad ipotizzare, sulla base di nuove conoscenze, un diverso meccanismo fisiopatologico. Grazie a nuove metodiche di indagine oggi sappiamo che in una percentuale maggiore rispetto ai pazienti maschi, le donne senza lesioni stenosanti delle coronarie possono avere un “rimodellamento positivo”e cioè una aterosclerosi intramurale che, pur non modificando il lume della coronaria, ne altera la struttura di parete e può essere soggetta a complicanze (soprattutto erosione con sovrapposta trombosi); nelle donne dello studio WISE nelle quali è stata misurata la riserva coronarica mediante infusione di adenosina o nitroprussiato, questa è risultata ridotta a testimonianza di una disfunzione microvascolare; in un altro sottogruppo di donne con coronarie non stenotiche, la dimostrazione mediante RMN di una ischemia sub-endocardica è stata attribuita alla presenza di disfunzione endoteliale, che come è noto spesso si associa ai più comuni fattori di rischio cardiovascolare (ipertensione, dislipidemia, fumo, ecc... che, per inciso, mantengono il loro ruolo anche nel sesso femmi-
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nile!) ma che nelle donne potrebbe giocare un ruolo più rilevante a causa del minor calibro delle arterie coronariche. Queste nuove ipotesi fisiopatologiche rendono necessario un ripensamento dell'intero approccio al problema della cardiopatia ischemica nelle donne che, nel passato, è stato sicuramente sottovalutato per ragioni culturali,da un lato,e per il fatto che la sensibilità e la specificità dei test comunemente impiegati per la diagnosi di cardiopatia ischemica venivano ritenute inferiori; la minore “affidabilità”di questi test portava inevitabilmente ad un loro minor utilizzo e/o ad un approccio diagnostico/terapeutico meno aggressivo. Studi osservazionali documentano il minor impiego della coronarografia, di tecniche di rivascolarizzazione e degli stessi capisaldi della terapia medica nel sesso femminile, anche quando la diagnosi sia accertata. Oggi disponendo di tecniche di imaging affidabili anche nella donna e avendo superato il concetto di una necessaria equivalenza fra cardiopatia ischemica e stenosi coronarica non dobbiamo concentrare la nostra attenzione sulla possibilità di identificare la presenza di quest'ultima ma il sottogruppo di donne “a maggior rischio”, indipendentemente dal grado di aterosclerosi coronarica. A questo proposito l'ECG da sforzo mantiene la sua validità soprattutto nelle donne in grado di effettuare uno sforzo valido (> 5 METs); d'altra parte l'incapacità a raggiungere questo livello di sforzo ha già di per se un significato prognostico negativo e poiché 5 METs corrispondono alla capacità di esercizio necessaria per svolgere le normali attività quotidiane, un semplice questionario rivolto ad indagare questo aspetto (Duke Activity Status Index; DASI) può essere molto utile per decidere quale indagine richiedere per valutare una possibile insufficienza coronarica. In alternativa al test da sforzo l'ecocardiografia da sforzo o con stress farmacologico (dobutamina o dipiridamolo) è una indagine valida e il numero di aree discinetiche evidenziate ha valore prognostico. L'eco-stress non espone il paziente a radiazioni come accade invece con la scintigrafia ma rispetto a quest'ultima presenta una sensibilità leggermente inferiore a causa del fatto che l'ischemia necessariamente precede la comparsa di alterazioni contrattili. In presenza della positività di queste indagini la coronarografia è indicata per valutare l'anatomia coronarica e la possibilità e rivascolarizzazione ma l'assenza di stenosi coronariche significative non è più sufficiente per escludere la presenza di cardiopatia ischemica che, soprattutto nelle donne, può dipendere da altri meccanismi che,tuttavia,sembrano giovarsi delle stesse misure di prevenzione/correzione dei fattori di rischio cardiovascolare, adottate per i pazienti con aterosclerosi coronarica. Tuttavia, considerata l'attenzione relativamente recente verso questi nuovi aspetti della cardiopatia ischemica della donna, i dati della letteratura sono ancora scarsi e meritevoli di conferme.
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La fibrillazione atriale: lo stato dell’arte Dr. Simone Mininni Direttore Sanitario, Istituto Leonardo da Vinci, Cardiologia Firenze
E' riscontro comune nella pratica clinica quotidiana di incontrare un paziente portatore di fibrillazione atriale. E' una delle aritmie di più frequente riscontro; i dati epidemiologici ci dicono che è presente nell'1% dei soggetti oltre i 60 anni ed in più del 5% dei soggetti oltre i 69 anni (figura 1). Il classico studio Framingham ci evidenzia come la probabilità che un soggetto di 30 anni abbia un episodio di fibrillazione atriale nei successivi 20 anni è di circa il 2%.Tutto questo ci indica in modo chiaro come le problematiche connesse con tale patologia non possono essere gestite esclusivamente in ambito specialistico ma che il medico di medicina generale, principale artefice della gestione della salute della popolazione generale,deve conoscerle a fondo e trattarle spesso in prima persona. Il principale fattore di rischio per lo sviluppo di fibrillazione è rappresentato dall'ipertensione, altri fattori predisponenti sono lo scompenso cardiaco,le patologie della valvola mitrale e della valvola aortica, l'età avanzata. In linea generale la fibrillazione atriale è caratterizzata da depolarizzazioni atriali disorganizzate che impediscono una vera e propria contrazione atriale. Mentre prima si pensava che alla base dell'aritmia ci fosse un singolo meccanismo con molteplici fronti d'onda che si propagavano casualmente attraverso gli atri, oggi invece sappiamo che i meccanismi possono essere molteplici. In ogni caso il quadro rilevabile al tracciato elettroRelative Risk Reduction of Stroke in Atrial Fibrillation - Warfarin Compared with ASA1 Relative risk reduction (95% Cl) AFASAK I AFASAK II EAFT PATAF SPAF II All trials (n=5)
100 50 Warfarin better
36% (14% to 52%)
0
-50
-100 ASA better
1. Lip GYH et al. BMJ2002; 325: 1022-1025
Figura 1
cardiografico è sempre lo stesso ed è caratterizzato dalla mancanza dell'onda P che è “sostituita” da piccole ondulazioni irregolari della linea isoelettrica di ampiezza e morfologia variabili, chiamate onde f, la cui frequenza oscilla tra i 350 ed i 600 al minuto. La risposta ventricolare a questa “aggressione” elettrica è alquanto irregolare, e, grazie al filtro rappresentato dal nodo atrio-ventricolare, nei pazienti non trattati non è normalmente superiore ai 150 battiti al minuto. Dal punto di vista clinico il nostro paziente si presenta spesso accusando senso di battito irregolare, mentre nel paziente anziano il quadro più frequente è quello della difficoltà respiratoria, spesso accentuata da piccoli sforzi. Nell'esame obiettivo è possibile riconoscere facilmente già dal polso la presenza di impulsi irregolari. Un errore da evitare è quello di limitarsi a calcolare la frequenza ventricolare solo dal polso periferico, perché in presenza di frequenze ventricolari elevate molte sistoli non sono emodinamicamente efficaci, per tali motivi l'onda sfigmica non si trasmette in periferia. Per tale motivo è necessario valutare la frequenza ventricolare tramite l'ascoltazione cardiaca diretta, ed è utile dal punto di vista di una valutazione emodinamica valutare quale sia la differenza tra la frequenza “centrale” e quella “periferica”. Le principali problematiche che si presentano davanti ad un paziente con fibrillazione atriale sono: - trattamento acuto - terapia a lungo termine - profilassi del tromboembolismo. Trattamento acuto: le condizioni cliniche del paziente determinano la terapia iniziale, i cui obiettivi sono di ridurre la frequenza ventricolare e ripristinare il ritmo sinusale. Se ci troviamo difronte ad una fibrillazione con frequenza ventricolare tanto elevata da indurre scompenso cardiaco il trattamento elettivo è rappresentato dalla cardioversione elettrica. Tale tecnica permette il ripristino del ritmo in acuto in circa il 90% dei casi. Nei casi che non richiedono una cardioversione d'urgenza è preferibile optare per l'uso di farmaci in infusione endovenosa. I più utilizzati sono quelli della classi IC (propafenone e flecainide), l'amiodarone e l'ibutilide.L'efficacia di tale strategia è molto varia,i dati indicato una percentuale di successo compresa tra il 35 ed il 75% dei
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casi a seconda della popolazione studiata. Tutto quello detto è valido per i pazienti al primo episodio aritmico. Ma cosa fare in caso di recidive in pazienti nei quali è già stata esclusa in un precedente accertamento clinico una patologia organica cardiaca importante? In tutti i casi è necessario inviarli al Pronto Soccorso per sottoporli ad infusione endovenosa? La risposta è no, in quanto in tali tipi di pazienti è possibile attuare la strategia della cosiddetta “pillola nel taschino”o “Pill in the pocket”, che consiste nella somministrazione al domicilio del paziente di un carico orale di un farmaco antiaritmico della classe IC (flecainide o propafenone).Tali farmaci offrono il vantaggio di agire rapidamente anche per os e di causare minimi effetti indesiderati.I due farmaci hanno dimostrato una simile efficacia con percentuali di successo variabili tra il 58 ed il 95%. Il vantaggio di tale approccio è ovvio, in primis la possibilità di iniziare il trattamento subito all'inizio dei sintomi, senza dover aspettare il tempo necessario per arrivare al pronto soccorso, e la letteratura ci dice come la percentuale di successo sia tanto superiore quanto più precoce è l'inizio del trattamento. Altri vantaggi non indifferenti sono quelli di non intasare i dipartimenti di emergenza con casi non congrui, ma soprattutto è la qualità di vita del paziente a guadagnarci in quanto ha la coscienza di potersi curare adeguatamente dovunque egli sia,basta che si ricordi di portare sempre con sé i farmaci necessari. Questa strategia si completa oltre che con l'uso del farmaco antiaritmico anche con la somministrazione di eparina a basso peso molecolare a dosi antitrombotiche. Terapia a lungo termine: cosa fare nei pazienti che presentano recidive frequenti? L'appena discussa strategia della “pillola nel taschino” è valida se ci troviamo davanti a pazienti con episodi sporadici, ma assolutamente non è valida in coloro che presentano recidive molto frequenti o peggio per coloro con recidive asintomatiche,che possono essere visualizzate solo con occasionali monitoraggi Holter. In questi casi sorge sempre il dubbio se provare a trattare con farmaci antiaritmici a lungo termine o se limitarsi a controllare la frequenza ventricolare una volta insorta l'aritmia. Dal punto di vista teorico è ovvio che la strategia vincente sarebbe quella capace di mantenere un ritmo sinusale stabile, ma al momento la terapia ideale non esiste ed i farmaci più efficaci nella prevenzione delle recidive aritmiche sono spesso gravati da pesanti effetti collaterali, basti pensare alla tossicità tiroidea e polmonare indotta da amiodarone. E' poi assolutamente impensabile proporre al paziente ogni qual volta gli venga una crisi aritmica di correre in Pronto Soccorso per eseguire una cardioversione, rischieremmo infatti di creare dei pazienti psichizzati che vivono nel terrore di ciò che può accadere. Come già detto una risposta definitiva su come dobbiamo comportarsi ancora non c'è, ma rimane il classico buon senso che ci permette di personalizzare il nostro intervento in base al paziente che ci troviamo davanti. Resta il fatto che il più grande studio finalizzato a dare una risposta a questa domanda , lo studio AFFIRM (Atrial Fibrillation Follow-up Investigation of Rhythm Management) non ha evidenziato differenze tra il gruppo ran-
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domizzato al controllo del ritmo rispetto a quello del controllo della frequenza in termini di mortalità. La qualità della vita risultava migliore nei pazienti con controllo della frequenza non fosse per altro che erano meno soggetti al ricovero in ospedale. Nel campo dei possibili interventi non farmacologici resta il tema dell'ablazione transcatetere. Tale tecnica consiste nel tentativo di isolare il focus aritmogeno mediante l'esecuzione di lesioni lineari sulla parete atriale, all'esterno delle vene polmonari. In letteratura i dati sono ancora interlocutori, in centri diversi sono stati utilizzati approcci diversi con la conseguenza di dati non confrontabili. Per il momento tale opzione va riservata nei casi in cui la terapia farmacologia si sia dimostrata non efficace per pazienti fortemente motivati. Ad oggi la percentuale di successo con follow up sufficientemente lungo non arriva nella media delle casistiche al 50%, e spesso sono necessari interventi di ablazione ripetuti nel tempo. Profilassi del tromboembolismo: se sul tema della terapia antiaritmica vi sono ancora molti dubbi e molte domande devono trovare ancora risposta lo stesso non si può dire sulla profilassi del tromboembolismo. Il fatto che l'atrio non si contragga ma che “vibri” a causa di numerosissime contrazioni irregolari è un pesante fattore di rischio per la formazione di trombi, in particolare in quel “cul di sacco”rappresentato dall'auricola. Circa il 50% delle embolie cardiogene si manifesta nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare. Il rischio di ictus i pazienti con stenosi mitralica e fibrillazione atriale è del 4-6% per anno.I fattori predittivi in pazienti con fibrillazione atriale non valvolare sono: storia di pregresso ictus o attacco ischemico transitorio (rischio relativo 2,5), diabete (rischio relativo 1,7), ipertensione arteriosa (rischio relativo 1,6), età avanzata (rischio relativo 1,4). I pazienti con uno di questi fattori se non trattati adeguatamente hanno un rischio di ictus del 4% per anno. Da tutto questo emerge come i pazienti devono essere trattati con anticoagulanti, mantenendo un INR tra 2 e 3.E' necessario ricordare come quasi tutti gli studi nei quali si è voluto confrontare l'efficacia degli anticoagulanti con gli antiaggreganti nella prevenzione tromboemboliPrevalenza della Fibrillazione Atriale negli USA Popolazione USA x 1000 30,000 Popolazione USA
Popolazione con FA x 1000 500 Popolazione USA con FA 400
20,000
300 200
10,000
100 0
0 <5 5 - 10 - 15 - 20 - 25 - 30 - 35 - 40 - 45 - 50 - 55 - 60 - 65 - 70 - 75 - 80 - 85 - 90 - > 95 9 14 19 24 29 34 39 44 49 54 59 64 69 74 79 84 90 94
Età (aa) da Feinberg WM. Arc Intern Med 1995; 155: 469-473
Figura 2
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Prevention of atrial fibrillation with ACEIs and ARBs Comparison: 04 Effect of treatment based on class of drug Outcome: 01 Atrial Fibrillation Control Treatment n/N n/N Study 7 / 11 2/7 01 ACE inhibotor 45 / 188 10 / 186 Van Den Berg 42 / 787 22 / 790 SOLVD 32 / 75 18 / 70 TRACE 135 / 5493 117 / 5492 Ueng 357 / 4409 200 / 2205 CAPP 721 / 8846 665 / 8865 STOPH2 1139 / 19809 1034 / 17615 GISSI Subtotal (95%Cl) Test for heterogeneity chi-square = 32.58 df = 6 p<0.00001 Test for overail effect z = -2.53 p = 0.1 ARB 9 / 79 Madrid 116 / 2209 ValHeFT 179 / 2769 Charm 179 / 4417 LIFE 483 / 9474 Subtotal (95%Cl) Test for heterogeneity chi-square = 5.25 df = 3 p<0.15 Test for overail effect z = -4.12 p = 0.00004
RR (95%Cl Random)
Weight % 1.7 4.8 6.6 7.0 11.4 13.0 14.0 58.7
RR (95%Cl Random) 0.45 (0.13, 1.57) 0.22 (0.12, 0.43) 0.52 (0.31, 0.87) 0.60 (0.37, 0.97) 0.87 (0.68, 1.11) 1.12 (0.95, 1.32) 0.92 (0.83, 1.02) 0.72 (0.56, 0.93)
02
22 / 75 173 / 2200 216 / 2749 252 / 4387 663 / 9411
4.3 11.8 12.5 12.6 41.3
0.39 (0.19, 0.79) 0.67 (0.53, 0.84) 0.82 (0.68, 1.00) 12.6 (0.59, 0.85) 0.71 (0.60, 0.84)
2002 / 9411 1517 / 27089 Total (95%Cl) Test for heterogeneity chi-square = 48.50 df = 10 p<0.00001 Test for overail effect z = -3.74 p = 0.0002
100.0
0.72 (0.60, 0.84)
.1
.2
Favours treatment
1
5
10
Favours control JACC Vol. 45, No. 11, 2005
Figura 3
ca nei pazienti con fibrillazione atriale sono stati sospesi precocemente in quanto emergeva ben prima del termine prestabilito dello studio la schiacciante superiorità del trattamento anticoagulante (figura 2).Le linee guida indicano come i pazienti più giovani, al di sotto dei 60 anni, senza alcun fattore di rischio o cardiopatia strutturale (nella cosiddetta fibrillazione atriale isolata) hanno un rischio così basso da non richiedere alcun trattamento antitrombotico, ma quanti sono in realtà questi pazienti senza alcun fattore di rischio nella pratica clinica? Rimane il problema della compliance al trattamento anticoagulante, in quanto non è piacevole sapere di doversi controllare a vita per evitare che quel trattamento necessario per prevenire un ictus diventi invece un induttore di emorragie maggiori. In questo campo enorme è l'aspettativa da parte della classe medica ma soprattutto da parte dei pazienti davanti alla nuova classe dei farmaci inibitori diretti della trombina, che sulla carta a fronte di un dose standard che non richiede controlli periodici del dosaggio dovrebbe avere efficacia simile ai classici anticoagulanti dicumarolici. Il precursore della classe, lo ximelagatran, a fronte di una indubbia efficacia clinica dimostrata dagli studi SPORTIF, ha dimostrato purtroppo una elevata incidenza di effetti tossici, anche irreversibili, a livello epatico.Per tale motivo è stata sospesa ogni sperimentazione e ritirata in modo irreversibile la molecola dal mercato. Grande attesa c'è adesso per un'altra molecola, il dabigatran, che dai primi dati disponibili sembrerebbe molto promettente nei risultati e sicuro nell'utilizzo.
Parlando di fibrillazione atriale non si può poi non ricordare che sempre più in letteratura sta emergendo l'efficacia dei farmaci che agiscono sul sistema renina-angiotensina (figura 3), in particolare gli inibitori del recettore AT1 dell'angiotensina, i cosiddetti sartani, nel ridurre l'incidenza delle crisi aritmiche, probabilmente attraverso un rimodellamento positivo dell'atrio sinistro. In questo senso in particolare il Losartan, l'Irbesartan, il Valsartan ed il Telmisartan sono risultati efficaci. In un recente studio il Telmisartan è adirittura risultato superiore rispetto ad un betabloccante,il carvedilolo,nel prevenire nuovi episodi di fibrillazione atriale in pazienti con fibrillazione atriale. Bibliografia sintetica - Warfarin versus aspirin for prevention of thromboembolism in atrial fibrillation: Stroke Prevention in Atrial Fibrillation II Study. LANCET 343;687-691:1994. - Secondary prevention in non-rheumatic atrial fibrillation after transient ischaemic attack or minor stroke. EAFT Study group. LANCET 342; 1255-1262:1993. - Scheinman M, Morady F: Nonpharmacological approaches to atrial fibrillation. Circulation 103;2120-2125: 2001. - Hsu LF,Jais P, Sanders P et al: Catheter ablation for atrial fibrillation in congestive heart failure. N.Eng.J.Med 351;2373-2383:2004. - Wyse DG, Waldo AL, Di Marco JP et al: A comparison of rate conrol and rhythm control in patients with atrial fibrillation. N.Eng.J.Med 347;1825-1832:2002. - Steinberg JD,Sadanianz A,Kron J et al Analysis of cause-specific mortality in the AFFIRM study. Circulation 109; 920-924: 2004. - Alboni P, Gaggioli G et al: Outpatient treatment of recent-onset atrial fibrillation with the “Pill in the Pocket” approach: N.Eng.J.Med 351;2384-2391:2004. - Galzerano D ,Capograsso P et al:A multicentre randomized study comparing efficacy of Telmisartan versus Carvedilol in preventing atrial fibrillation recurrence in hypertensive patients.Circulation 116;556-II:2007. - Use of Irbesartan to mantain sinus rhythm in patients with long-lasting persistent atrial fibrillation: a prospective and randomized study. Madrid AH et al Circulation 106; 331-336: 2002.
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Approccio clinico al paziente con scompenso diastolico Prof. Gianfranco Sinagra, Bianca D'Agata, Stefano Bardari, Stelios Pyxaras, Anna Maria Iorio, Aneta Aleksova, Geraldina Lardieri Dipartimento Cardiovascolare; Azienda Ospedaliero Universitaria Trieste; Ospedale di Cattinara, Trieste Riassunto Lo Scompenso Cardiaco si definisce “Diastolico” o “ a Funzione Sistolica conservata” quando segni e sintomi di scompenso cardiaco si accompagnano ad evidenza strumentale di funzione sistolica ventricolare sinistra normale o solo lievemente ridotta associata ad alterata funzione diastolica. E' una condizione eziopatogeneticamente eterogenea che implica uno sforzo importante di diagnosi differenziale ed è responsabile del 4050% dei ricoveri per Scompenso Cardiaco. Il cut-off proposto per la diagnosi è del 50% per la frazione di eiezione e di 97 ml/mq per il volume telediastolico indicizzato. Poiché costituisce l'approdo clinico e fisiopatologico di molte condizioni eterogenee non è sorprendente che si manchi di risultati solidi da studi controllati che indichino univocamente una terapia universalmente efficace.Nella fase acuta il primo obiettivo è il controllo dei sintomi. Diuretici e vasodilatatori sono dunque i primi strumenti per ottenere la decongestione polmonare. Poiché spesso si tratta di ventricoli con una critica dipendenza dalla riserva di precarico è fondamentale non eccedere in diuretizzazione che abbassando oltre un certo limite le pressioni di riempimento potrebbero ridurre la portata cardiaca. Il successivo approccio terapeutico dovrebbe essere in primo luogo mirato alla correzione delle cause sottostanti rimovibili e delle eventuali situazioni precipitanti. Gli antagonisti neurormonali (ACE inibitori, spartani e beta-bloccanti) ed i calcio antagonisti, rimangono un approccio razionale e validato. La prognosi tende ad essere migliore che nello scompenso a fisiopatologia dilatativo-ipocinetica probabilmente in relazione con la correggibilità di alcuni fattori eziopatogeneticamente determinanti (ipertensione, ischemia, fibrillazione atriale, diabete) che possono condizionare una parziale reversibilità. Lo Scompenso Cardiaco si definisce “Diastolico” o “ a Funzione Sistolica conservata” quando segni e sintomi di scompenso cardiaco si accompagnano ad evidenza strumentale di funzione sistolica ventricolare sinistra normale o solo lievemente ridotta associata ad alterata funzione diastolica1. Si tratta di una sindrome clinica tutt'altro che rara, ma meno studiata e dunque sottostimata in incidenza negli anni passati rispet-
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to alla forma da disfunzione sistolica2.Ad oggi si calcola sia responsabile del 40-50% dei ricoveri per Scompenso Cardiaco e si presenta come un'entità nosologica ben determinata, anche se non vi è ancora accordo nel considerare le due forme di Scompenso Cardiaco come indipendenti o come fasi successive di una medesima sindrome clinica, in cui la disfunzione diastolica precede la progressiva perdita di funzione contrattile del ventricolo sinistro1. La fisiopatologia dello Scompenso Cardiaco Diastolico è da ricondurre ad un'aumentata rigidità delle pareti ventricolari per ipertrofia miocellulare e rimaneggiamento della matrice extracellulare, con aumento della deposizione di collagene ed inversione del rapporto tra collage di II e III tipo. Questo comporta l'incapacità del ventricolo sinistro di fornire un'adeguata gittata sistolica se non incrementando le pressioni endocavitarie. Condizioni predisponenti per tale forma di Scompenso Cardiaco sono considerate l'età avanzata, il sesso femminile, l'obesità, il Diabete Mellito, l'ipertensione arteriosa, l'ipertrofia ventricolare sinistra, la cardiopatia ischemica e le malattie infiltrative1. Diagnosi Gli strumenti diagnostici di primo approccio sono quelli classici dello Scompenso Cardiaco (elettrocardiogramma, radiografia del torace, emogasanalisi, ecocardiogramma, dosaggio dei peptidi natriuretici atriali)4,5. In particolare, secondo il documento di consenso della Società Europea di Cardiologia, per porre diagnosi di Scompenso Cardiaco Diastolico è necessario che siano soddisfatti i seguenti criteri: 1) Presenza di segni e sintomi si scompenso cardiaco 2) Funzione sistolica ventricolare sinistra normale o solo minimamente ridotta 3) Evidenza di disfunzione diastolica. Appare fondamentale caratterizzare l'eventuale presenza di vizi valvolari misconosciuti, un eventuale coronaropatia sottostante ed il peso della fibrillazione atriale, se presente, sia in termini di perdita del trasporto atriale che di elevata frequenza ventricolare con riduzione del tempo di riempimento diastolico. In casi eccezionali lo studio TC e di Risonanza Magnetica possono contribuire alla diagnosi differenziale fra cardiomiopatia restrittiva e pericardite costrittiva. Raro è il ricorso alla biopsia
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endomiocardica per la caratterizzazione di forme di cardiomiopatie infiltrativo-restrittive o da accumulo. Segni e sintomi. I classici segni e sintomi di Scompenso Cardiaco sono propri sia della forma da disfunzione diastolica che sistolica. Mentre nello Scompenso Sistolico la sintomatologia principale è rappresentata da astenia e facile affaticabilità a causa della ridotta gittata sistolica,il sintomo d'esordio più frequente nello Scompenso Diastolico è la dispnea, causata dalla congestione polmonare1. Funzione sistolica. Per definire Diastolico lo Scompenso Cardiaco, è necessario che geometria e funzione sistolica ventricolare sinistra siano normali o alterate in entità da non giustificare il quadro clinico stesso. Il cut-off proposto è del 50% per la frazione di eiezione e di 97 ml/mq per il volume telediastolico indicizzato1. Disfunzione diastolica. La metodica più accurata per lo studio della funzione diastolica è senza dubbio la misurazione quantitativa delle pressioni di riempimento attraverso lo studio emodinamico invasivo con cateterismo cardiaco. Negli ultimi anni però il perfezionamento delle metodiche ecocardiografiche ha permesso una valutazione indiretta poliparametrica della funzione diastolica in modo non invasivo. Così accanto ai comuni parametri dell'ecocardiografia mono e bidimensionale, l'analisi della curva Doppler transmitralica, del Doppler tissutale e dei flussi venosi polmonari rende possibile una valutazione soddisfacente,seppure qualitativa delle pressioni di riempimento del ventricolo sinistro. Grazie ai parametri ecocardiografici è possibile inoltre stimare un grading di severità della disfunzione diastolica che va dall'”alterato rilasciamento ventricolare sinistro” al pattern di riempimento “restrittivo”. In casi di difficile valutazione di questi parametri o di risultati non conclusivi, alcuni studi hanno suggerito come un'aumentata massa ventricolare sinistra (> 122 g/mq nelle donne e > 149 g/mq negli uomini),indice di remodelling ventricolare sinistro in senso di ipertrofia vetricolare concentrica, rappresenti un sufficiente surrogato per la diagnosi di disfunzione diastolica1, 3. Altri aspetti di diagnosi differenziale. Di fronte ad un paziente con scompenso cardiaco diastolico apparentemente idiopatico il medico deve effettuare un importante sforzo di caratterizzazione internistica globale del malato che non trascuri la caratterizzazione attenta degli altri organi o apparati. In questo senso una dissociazione fra bassi voltaggi ECG e ipertrofia ventricolare all'eco non giustificata da ipertensione arteriosa sistemica o vizi valvolari, particolarmente in un paziente con insufficienza renale proteinuria e deviazione patologica del tracciato elettroforetico proteico, deve far sospettare una amiloidosi cardiaca. Una familiarità per emocromatosi, associata ad un aspetto bronzino della cute o la coesistenza di diabete o ipogonadismo devono far considerare l'emocromatosi. Una ipeosinofilia patologica o la provenienza da zone endemiche per parassitosi devono far pensare alla endomiocardiofibrosi. Una sarcoidosi polmonare con anomalie di conduzione all'ECG o aritmie devono far pensare ad un interessamento miocardico da parte della malattia sistemica. Una familiarità X-linked ed una ipertrofia ventricolare sinistra maga-
ri coesistenti con alterazioni cutanee teleangiectasiche, insufficienza renale progressiva o arteriopatia o eventi ischemici sistemici in ritmo sinusale, devono far pensare ad una Malattia di Fabry. Infine, un profilo di rischio cardiovascolare alterato, particolarmente in presenza di cinetica segmentarla disomogenea, pur in assenza di storia di angina o di alterazioni ecg di tipo “ischemico”, particolarmente in un soggetto diabetico, deve far considerare l'ipotesi di una coronaropatia sottostante. Terapia Costituendo lo scompenso cardiaco diastolico l'approdo clinico e fisiopatologico di molte condizioni eterogenee non è sorprendente che si manchi di risultati solidi da studi controllati che indichino univocamente una terapia universalmente efficace. Nella fase acuta il primo obiettivo è il controllo dei sintomi.Diuretici e vasodilatatori sono dunque i primi strumenti per ottenere la decongestione polmonare6.Poiché spesso si tratta di ventricoli con una critica dipendenza dalla riserva di precarico è fondamentale non eccedere in diuretizzazione che abbassando le pressioni di riempimento oltre un certo limite,potrebbero ridurre la portata cardiaca. Il successivo approccio terapeutico dovrebbe essere in primo luogo mirato alla correzione delle cause sottostanti rimovibili e delle eventuali situazioni precipitanti (Tabella 1). Fondamentale è il riconoscimento di una tachiaritmia sopraventricolare, la sua correzione ove possibile e comunque il controllo della frequenza ventricolare. Per quanto riguarda la terapia cronica (Tabella 2), la modulazione neurormonale del sistema nervoso simpatico e del sistema renina-angiotensina costituisce al momento l'unica terapia nota per agire su alcuni dei meccanismi responsabili dell'alterata funzione della fase di riempimento.ACE-inibitori,sartanici ed antialdosteronici mediano infatti effetti potenzialmente favorevoli sul rimaneggiamento della struttura parietale del ventricolo sinistro prevenendo la deposizione di collagene,l'ipertrofia miocellulare e favorendo il rimodellamento inverso. Alcuni trials clinici condotti in particolare con perindopril, candesartan ed irbesartan hanno studiato l'efficacia di queste classi di farmaci nello Scompenso Comuni eziologie dello Scompenso Diastolico e relativi trattamento specifici Eziologia
Trattamento
Cardiopatia ipertensiva Cardiopatia ischemica Obesità, sindrome metabolica Apnee notturne Valvulopatie Pericardite costrittiva Amiloidosi/malattie infiltrative Malattie da accumulo Cardiomiopatia Ipertrofica
Adeguato controllo e monitoraggio della PA Controllare l’ischemia (acuta o cronica) Calo ponderale, controllo metabolico Eventuale ossigeno-tp notturna Correzione precoce Pericardiectomia Cura della patologia specifica Cura della patologia specifica Farmacoterapia, risoluzione dell’ostruzione all’efflusso
Tabella 1
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Principi e razionale della terapia nello Scompenso Diastolico Razionale
Trattamento
Riduzione della pressione venosa polmonare
Restrizione salina (< 2g/die di Na) Diuretici (con attenzione ad evitare di decurtare la riserva di pre-carico) Nitrati (bassi dosaggi)
Mantenere la funzione atriale/controllo ritmo o FC in FA permanente
Amiodarone Betabloccanti Calcio-antagonisti Cardioversione Ablate and Pace
Trattamento e prevenzione ischemia
Nitrati Beta-bloccanti Calcio-antagonisti Rivascolarizzazione chirurgica o percutanea
Controllo PA
ACE-inibitori Sartani Calcio-antagonisti
Rimodellamento ventricolare
ACE-inibitori Sartani Beta bloccanti
Tabella 2 Cardiaco con funzione di pompa ventricolare sinistra conservata ed hanno registrato risultati favorevoli in termini di diminuzione delle ospedalizzazioni ed incremento della tolleranza allo sforzo, senza mai raggiungere però la significatività statistica in termini di riduzione della mortalità per cause cardiovascolari7, 8, 9. Allo stesso modo i beta-bloccanti, riducendo la frequenza cardiaca, incrementando conseguentemente la durata della diastole,correggendo l'ischemia, migliorando la bioenergetica miocardica e contribuendo infine al controllo della pressione arteriosa,si sono dimostrati utili nel controllo dei sintomi, anche se la loro efficacia nel diminuire la mortalità a lungo termine si è manifestata soprattutto nei pazienti che presentavano, accanto alla disfunzione diastolica, un certo grado di compromissione della funzione sistolica10. Infine,alcuni studi hanno dimostrato che gli effetti classici e pleiotropici delle statine possano portare benefici in termini di sopravvivenza ai pazienti affetti da Scompenso Cardiaco Diastolico11. Per quanto riguarda la terapia elettrica lo scompenso cardiaco diastolico costituisce area di incertezza, anche se sono da ricordare alcuni punti importanti: 1) In caso di indicazioni a stimolazione mediante pacemaker, è fondamentale preservare più a lungo possibile il sincronismo atrio-ventricolare; 2) In caso di coesistente disfunzione sistolica al limite del 40%, nel contesto del post-infarto si applicano le linee guida sulla stratificazione del rischio di morte improvvisa ed eventuale indicazione al defibrillatore in prevenzione primaria; 3) in caso di arresto cardiaco o tachicardie ventricolari sostenute o sintomatiche si applicano le linee guida sull'indicazione al defibrillatore in prevenzione secondaria; 4) in caso di fibrillazione atriale ad elevata frequenza ventricola-
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re non controllabile dai farmaci, si applicano le indicazioni a procedure di “ablate and pace”. Prognosi Il tasso di mortalità per i pazienti affetti da Scompenso Cardiaco Diastolico cronico è del 5-8% l'anno,con prognosi quindi leggermente migliore rispetto allo Scompenso Sistolico,la cui mortalità annua si attesta attorno al 10-15%.Ciò è verosimilmente ascrivibile all'impatto sulle componenti correggibili di disfunzione diastolica dei trattamenti farmacologici,della gestione del diabete e della fibrillazione atriale e della rivascolarizzazione coronarica,quando indicata. Al momento dell'ospedalizzazione per Scompenso Cardiaco, la prognosi dei pazienti con disfunzione diastolica è sovrapponibile a quella dei pazienti ricoverati per Scompenso Sistolico, anche se l'outcome a lungo termine dipende strettamente dalla patologia di base e dalle comorbidità, estremamente frequenti nella popolazione anziana, che è quella maggiormente colpita da questa forma di Scompenso Cardiaco12. Conclusioni Molte sono ancora le tessere del mosaico che mancano per rendere possibile la comprensione globale di questa frequente ed eziopatogeneticamente eterogenea e complessa sindrome clinica. Ed in particolare un quesito ancora aperto è quello della relazione che lega lo Scompenso Cardiaco Diastolico e Sistolico. Resta ancora infatti da definire se lo Scompenso Cardiaco vada effettivamente distinto in due entità nosologiche indipendenti in base alle funzione di pompa ventricolare sinistra o se queste rappresentino fasi successive e strettamente correlate di un unico processo fisiopatologico. La terapia non può che riflettere un approccio culturalmente e fisiopatologicamente “ampio”che sappia valorizzare le singole componenti rimuovibili (ischemia,aritmie,vizi valvolari) o controllabili (frequenza ventricolare, diabete, ipertensione arteriosa). Bibilografia 1.Paulus WJ,et al.How to diagnose diastolic heart failure:a consensus statement on the diagnosis of heart failure with normal left ventricular ejection fraction by the Heart Failure and Echocardiography Association of The European Society of Cardiology.Eur Heart J 2007;28:2539-2550. 2. Zile MR, et al. New concept in diastolic dysfunction and diastolic heart failure: part I: diagnosis, prognosis, and measurements of diastolic function. Circulation 2002; 105:1387-1393. 3. Zile MR, et al. New concept in diastolic dysfunction and diastolic heart failure: part II: causal mechanisms and treatment. Circulation 2002;105:1503-1508. 4. Owan TE, et al. Trends in prevalence and outcome of heart failure with preserved ejection fraction. NEJM 2006; 355: 251-259. 5. Ommen SR, et al. A clinical approach to the assessment of left ventricular daistoli function by Doppler echocardiography. Heart 2003; 89:18-23. 6. Lester SJ, et al. Unlocking the mysteries of diastolic function. JACC 2008;51: 679-689. 7. Yusuf S, et al. Effects of candesartan in patient with chronic heart failure and preserved left ventricular ejection fraction: the CHARM-Preserved trial. Lancet 2003;362: 777-781. 8. Cleland JG, et al.The perindopril in elderly people with chronic heart failure (PEP-CHF) study. Eur Heart J 2006;27:2338-2345. 9. Carson P, et al. The irbesartan in heart failure with PRESERVEd systolic function (I-PRESERVE) trial. J Card Fail 2005;11:576-585. 10.Dobre D,et al.Tolerability and dose-related effects of nebivolol in elderly patients with heart failure: data from the Study of the Effects of Nebivolol Intervention on Outcome and Rehospitalisation in Seniors with heart failure (SENIORS) trial. Am Heart J 2007;154:109-115. 11. Fukuta H, et al. Statin Therapy may be associated with lower mortality in patients with diastolic heart failure. Circulation 2005;112:357-363. 12. Gustafsson F, et al. Long-term survival in patients hospitalized with congestive heart failure: relation to preserved and reduced ventricular systolic function. Eur Heart J 2003;24:863-870.
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Riassunto delle caratteristiche del prodotto 1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE Micardis 80 mg compresse 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA Ogni compressa contiene telmisartan 80 mg. Eccipienti: Ogni compressa contiene 338 mg di sorbitolo (E420). Per l'elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA Compresse. Compresse bianche, oblunghe con il codice 52H impresso su un lato ed il logo dell'azienda impresso sull'altro. 4. INFORMAZIONI CLINICHE 4.1. Indicazioni terapeutiche. Trattamento dell'ipertensione essenziale negli adulti. 4.2. Posologia e modo di somministrazione. La dose generalmente efficace è di 40 mg una volta al giorno. Alcuni pazienti possono trarre già beneficio dalla dose di 20 mg una volta al giorno. Nei casi in cui non viene raggiunto il controllo pressorio, la dose di telmisartan può essere aumentata fino ad un massimo di 80 mg una volta al giorno. In alternativa, il telmisartan può essere impiegato in associazione con diuretici tiazidici, come l'idroclorotiazide, con il quale è stato dimostrato un effetto additivo in termini di riduzione della pressione, con l'associazione a telmisartan. Qualora si prenda in considerazione un aumento di dosaggio, si deve tenere presente che il massimo effetto antipertensivo si ottiene generalmente da quattro a otto settimane dopo l'inizio del trattamento (vedere paragrafo 5.1). Telmisartan può essere assunto con o senza cibo. Insufficienza renale: Per i pazienti con insufficienza renale lieve o moderata non è necessario modificare la posologia. L'esperienza in pazienti con grave insufficienza renale o in emodialisi è limitata. In questi pazienti è raccomandata una dose iniziale più bassa pari a 20 mg (vedere paragrafo 4.4). Insufficienza epatica: Nei pazienti con insufficienza epatica lieve o moderata la dose non deve essere maggiore di 40 mg una volta al giorno (vedere paragrafo 4.4). Anziani: Non è necessario modificare la dose nei pazienti anziani. Pazienti pediatrici: L'uso di Micardis non è raccomandato nei bambini al di sotto di 18 anni a causa della mancanza di dati sulla sicurezza e sull'efficacia. 4.3. Controindicazioni. • Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti (vedere paragrafo 6.1). • Secondo e terzo trimestre di gravidanza (vedere paragrafi 4.4 e 4.6). • Ostruzioni alle vie biliari. • Insufficienza epatica grave. 4.4. Avvertenze speciali e precauzioni di impiego. Gravidanza: La terapia con antagonisti del recettore dell'angiotensina II (AIIRA) non deve essere iniziata durante la gravidanza. Per le pazienti che stanno pianificando una gravidanza si deve ricorrere ad un trattamento antipertensivo alternativo, con comprovato profilo di sicurezza per l'uso in gravidanza, a meno che non sia considerato essenziale il proseguimento della terapia con un AIIRA. Quando viene diagnosticata una gravidanza, il trattamento con AIIRA deve essere interrotto immediatamente e, se appropriato, deve essere iniziata una terapia alternativa (vedere paragrafi 4.3 e 4.6). Insufficienza epatica: Micardis non deve essere somministrato a pazienti con colestasi, ostruzioni alle vie biliari o grave insufficienza epatica (vedere paragrafo 4.3) in quanto telmisartan è principalmente eliminato nella bile. Per questi pazienti è prevedibile una clearance epatica ridotta per telmisartan. Micardis deve essere utilizzato solamente con cautela in pazienti con insufficienza epatica da lieve a moderata. Ipertensione renovascolare: Nei pazienti con stenosi bilaterale dell'arteria renale o stenosi dell'arteria renale afferente al singolo rene funzionante, trattati con un medicinale che influenza il sistema renina-angiotensina-aldosterone, c'è un aumentato rischio di ipotensione grave ed insufficienza renale. Insufficienza renale e trapianto renale: Quando Micardis è somministrato a pazienti con disfunzioni renali, si raccomanda il controllo periodico dei livelli sierici di potassio e di creatinina. Non ci sono dati riguardo la somministrazione di Micardis in pazienti sottoposti di recente a trapianto renale. Ipovolemia intravascolare: Nei pazienti con deplezione di sodio e/o ipovolemia causata da dosi elevate di diuretici, diete con restrizione di sale, diarrea o vomito, si potrebbe verificare ipotensione sintomatica, specialmente dopo la prima dose di Micardis. Tali condizioni vanno corrette prima di iniziare il trattamento con Micardis. Deplezione di sodio e/o ipovolemia devono essere corrette prima di iniziare il trattamento con Micardis. Duplice blocco del sistema renina-angiotensina-aldosterone: Come conseguenza dell'inibizione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, sono state riportate ipotensione e alterazioni della funzionalità renale (inclusa insufficienza renale acuta) in individui sensibili, soprattutto in caso di associazione di prodotti medicinali che influenzano questo sistema. Il duplice blocco del sistema renina-angiotensina-aldosterone (ad es. per aggiunta di un ACE inibitore ad un antagonista del recettore dell'angiotensina II) non è pertanto raccomandato in pazienti con pressione arteriosa già controllata e deve essere limitata a casi individualmente definiti con uno stretto monitoraggio della funzionalità renale. Altre condizioni con stimolazione del sistema reninaangiotensina-aldosterone: Nei pazienti il cui tono vascolare e la funzione renale dipendono principalmente dall'attività del sistema renina-angiotensina-aldosterone (es. pazienti con grave insufficienza cardiaca congestizia o affetti da malattie renali, inclusa la stenosi dell'arteria renale), il trattamento con medicinali che influenzano questo sistema, come telmisartan, è stato associato ad ipotensione acuta, iperazotemia, oliguria o, raramente, insufficienza renale acuta (vedere paragrafo 4.8). Aldosteronismo primario: I pazienti con aldosteronismo primario generalmente non rispondono a medicinali antipertensivi che agiscono tramite l'inibizione del sistema renina-angiotensina. Quindi, si sconsiglia l'utilizzo di telmisartan. Stenosi della valvola aortica e mitrale, cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva: Come per altri vasodilatatori, si consiglia particolare cautela nei pazienti affetti da stenosi della valvola aortica o mitrale o cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva. Iperkaliemia: L'uso di medicinali che influenzano il sistema renina-angiotensina-aldosterone può causare iperkaliemia. Nei pazienti anziani, nei pazienti con insufficienza renale, nei pazienti diabetici, nei pazienti contestualmente trattati con altri medicinali che possono aumentare i livelli di potassio e/o nei pazienti con eventi intercorrenti, l'iperpotassemia può essere fatale. Prima di considerare l'uso concomitante di medicinali che influiscono sul sistema renina-angiotensina-aldosterone deve essere valutato il rapporto tra il rischio e il beneficio. I principali fattori di rischio che devono essere presi in considerazione per l'iperkaliemia sono: • Diabete mellito, compromissione renale, età (>70 anni). • Associazione con uno o più medicinali che influiscano sul sistema renina-angiotensina-aldosterone e/o integratori di potassio. Medicinali o classi terapeutiche di medicinali che possono provocare iperkaliemia sono: sostitutivi salini contenenti potassio, diuretici risparmiatori di potassio, ACE inibi-
tori, antagonisti del recettore dell'angiotensina II, medicinali antinfiammatori non steroidei (FANS, inclusi gli inibitori COX-2 selettivi), eparina, immunosopressivi (ciclosporina o tacrolimus) e trimetoprim. • Eventi intercorrenti, in particolare disidratazione, scompenso cardiaco acuto, acidosi metabolica, peggioramento della funzionalità renale, improvviso peggioramento delle condizioni renali (come infezioni), lisi cellulare (come ischemia acuta dell'arto, rabdomiolisi, trauma esteso). Nei pazienti a rischio si raccomanda uno stretto controllo del potassio sierico (vedere paragrafo 4.5). Sorbitolo: Questo medicinale contiene sorbitolo (E420). I pazienti con rari problemi di intolleranza ereditaria al fruttosio non devono assumere Micardis. Differenze etniche: Come osservato per gli inibitori dell'enzima di conversione dell'angiotensina, telmisartan e altri antagonisti del recettore dell'angiotensina II sono apparentemente meno efficaci nel ridurre la pressione arteriosa nei pazienti di colore rispetto agli altri pazienti, forse a causa della maggior prevalenza di stati caratterizzati da un basso livello di renina nella popolazione di colore affetta da ipertensione. Altro: Come con qualsiasi agente antipertensivo, un'eccessiva diminuzione della pressione in pazienti con cardiopatia ischemica o patologia cardiovascolare ischemica potrebbe causare infarto del miocardio o ictus. 4.5. Interazioni con altri medicinali ed altre forme d'interazione. Sono stati effettuati studi di interazione solo negli adulti. Come altri medicinali che agiscono sul sistema renina-angiotensina-aldosterone, telmisartan può indurre iperkaliemia (vedere paragrafo 4.4). Il rischio può aumentare in caso di associazione ad altri medicinali che pure possono indurre iperkaliemia sostitutivi salini contenenti potassio, diuretici risparmiatori di potassio, ACE inibitori, antagonisti del recettore dell'angiotensina II, medicinali antinfiammatori non steroidei (FANS, inclusi gli inibitori COX-2 selettivi), eparina, immunosopressivi (ciclosporina o tacrolimus) e trimetoprim. L'insorgenza della iperkaliemia dipende dall'associazione dei fattori di rischio. Il rischio aumenta nel caso di associazione dei trattamenti sopra elencati. Il rischio è particolarmente elevato nel caso di combinazione con diuretici risparmiatori di potassio e quando combinato con sostitutivi salini contenenti potassio. L'associazione, ad esempio, con ACE inibitori o FANS presenta un minor rischio purché si osservino strettamente le precauzioni per l'uso. Uso concomitante non raccomandato. Diuretici risparmiatori di potassio o integratori di potassio: Gli antagonisti recettoriali dell'angiotensina II come telmisartan, attenuano la perdita di potassio indotta dal diuretico. I diuretici risparmiatori di potassio quali spironolattone, eplerenone, triamterene o amiloride, integratori di potassio o sostitutivi salini contenenti potassio possono portare ad un significativo aumento del potassio sierico. Se l'uso concomitante è indicato a causa di documentata ipokaliemia, devono essere somministrati con cautela ed i livelli di potassio sierico devono essere monitorati frequentemente. Litio: Aumenti reversibili delle concentrazioni di litio nel siero e tossicità sono stati riportati durante la somministrazione concomitante di litio con gli inibitori dell'enzima che converte l'angiotensina e con gli antagonisti del recettore dell'angiotensina II, incluso telmisartan. Se l'uso dell'associazione si dimostrasse necessaria, si raccomanda un attento monitoraggio dei livelli sierici del litio. Uso concomitante che richiede cautela. Medicinali antinfiammatori non steroidei: I FANS (cioè l'acido acetilsalicilico a dosaggio antinfiammatorio, inibitori dei COX-2 e FANS non selettivi) possono ridurre l'effetto antipertensivo degli antagonisti del recettore dell'angiotensina II. In alcuni pazienti con funzionalità renale compromessa (ad es. come pazienti disidratati o pazienti anziani con funzionalità renale compromessa) la co-somministrazione di antagonisti del recettore dell'angiotensina II e di agenti che inibiscono la ciclo-ossigenasi può indurre un ulteriore deterioramento della funzionalità renale, inclusa insufficienza renale acuta che è solitamente reversibile. Pertanto la co-somministrazione deve essere effettuata con cautela, soprattutto agli anziani. I pazienti devono essere adeguatamente idratati e deve essere considerato il monitoraggio della funzionalità renale dopo l'inizio della terapia concomitante e quindi periodicamente. In uno studio la co-somministrazione di telmisartan e ramipril ha determinato un aumento fino a 2,5 volte dell'AUC0-24 e della Cmax di ramipril e ramiprilato. La rilevanza clinica di questa osservazione non è nota. Diuretici (tiazide o diuretici dell'ansa): Un precedente trattamento con elevati dosaggi di diuretici quali furosemide (diuretico dell'ansa) e idroclorotiazide (diuretico tiazidico) può portare ad una deplezione dei liquidi ed a un rischio di ipotensione quando si inizi la terapia con telmisartan. Da prendere in considerazione in casi di uso concomitante. Altri agenti antipertensivi: L'effetto ipotensivo di telmisartan può essere incrementato dall'uso concomitante di altri medicinali antipertensivi. Sulla base delle loro caratteristiche farmacologiche ci si può aspettare che i seguenti medicinali possano potenziare gli effetti ipotensivi di tutti gli antipertensivi incluso telmisartan: baclofenac, amifostina. Inoltre l'ipotensione ortostatica può essere aggravata da alcol, barbiturici, narcotici o antidepressivi. Corticosteroidi (per via sistemica): Riduzione dell'effetto antipertensivo. 4.6. Gravidanza e allattamento. Gravidanza: L'uso degli antagonisti del recettore dell'angiotensina II (AIIRA) non è raccomandato durante il primo trimestre di gravidanza (vedere paragrafo 4.4). L'uso degli AIIRA è controindicato durante il secondo ed il terzo trimestre di gravidanza (vedere paragrafi 4.3 e 4.4). Non vi sono dati sufficienti sull'uso di Micardis in donne in gravidanza. Gli studi condotti sugli animali hanno evidenziato una tossicità riproduttiva (vedere paragrafo 5.3). L'evidenza epidemiologica sul rischio di teratogenicità a seguito dell'esposizione ad ACE inibitori durante il primo trimestre di gravidanza non ha dato risultati conclusivi; tuttavia non può essere escluso un lieve aumento del rischio. Sebbene non siano disponibili dati epidemiologici controllati sul rischio con antagonisti del recettore dell'angiotensina II (AIIRA), un simile rischio può esistere anche per questa classe di medicinali. Per le pazienti che stanno pianificando una gravidanza si deve ricorrere ad un trattamento antipertensivo alternativo, con comprovato profilo di sicurezza per l'uso in gravidanza, a meno che non sia considerato essenziale il proseguimento della terapia con un AIIRA. Quando viene diagnosticata una gravidanza, il trattamento con AIIRA deve essere immediatamente interrotto e, se appropriato, si deve iniziare una terapia alternativa. È noto che nella donna l'esposizione ad AIIRA durante il secondo ed il terzo trimestre induce tossicità fetale (ridotta funzionalità renale, oligoidramnios, ritardo nell'ossificazione del cranio) e tossicità neonatale (insufficienza renale, ipotensione, iperkaliemia). (Vedere paragrafo 5.3). Se dovesse verificarsi un'esposizione ad un AIIRA dal secondo trimestre di gravidanza, si raccomanda un controllo ecografico della funzionalità renale e del cranio. I neonati le cui madri abbiano assunto AIIRA devono essere attentamente seguiti per quanto riguarda l'ipotensione (vedere paragrafi 4.3 e 4.4). Allattamento: Telmisartan non è raccomandato durante l'allattamento, non essendo disponibili informazioni sul suo uso e sono da preferirsi trattamenti alternativi caratterizzati da un profilo di sicurezza durante l'allattamento, meglio definito soprattutto durante l'allattamento di un neonato o di un bambino nato prima del termine. 4.7. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull'uso di macchinari. Non
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sono stati effettuati studi sulla capacità di guidare veicoli e di usare macchinari. Comunque, quando si guidano veicoli o si utilizzano macchinari, deve essere tenuto in considerazione che con la terapia antipertensiva potrebbero occasionalmente verificarsi sonnolenza e vertigini. 4.8. Effetti indesiderati. L'incidenza complessiva degli eventi avversi riportati con telmisartan (41,4 %) era solitamente confrontabile a quella riportata con il placebo (43,9 %) nel corso di studi clinici controllati. L'incidenza degli eventi avversi non era dose correlata e non era correlata al sesso, all'età o alla razza dei pazienti. Le seguenti reazioni avverse al medicinale sono state raccolte da tutti gli studi clinici e includono 5.788 pazienti ipertesi trattati con telmisartan. Le reazioni avverse sono state classificate per frequenza ricorrendo alla seguente convenzione: molto comune (≥1/10); comune (≥1/100, <1/10); non comune (≥1/1.000, <1/100); raro (≥1/10.000, <1/1.000); molto raro (<1/10.000), non nota (la frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili). All'interno di ogni raggruppamento di frequenza, le reazioni avverse sono elencate in ordine decrescente di gravità. Infezioni e infestazioni. Raro: Infezioni del tratto respiratorio superiore incluse faringite e sinusite. Non noto: Infezione del tratto urinario inclusa cistite. Patologie del sistema emolinfopoietico. Raro: Anemia, trombocitopenia. Non noto: Eosinofilia. Disturbi del sistema immunitario. Non noto: Ipersensibilità, reazione anafilattica. Disturbi del metabolismo e della nutrizione. Non comune: Iperkaliemia. Disturbi psichiatrici. Raro: Ansia, depressione. Patologie del sistema nervoso. Non comune: Sincope, insonnia. Patologie dell'occhio. Raro: Visione anormale. Patologie dell'orecchio e del labirinto. Non Comune: Vertigini. Patologie cardiache. Raro: Tachicardia. Non noto: Bradicardia. Patologie vascolari. Non comune: Ipotensione. Raro: Ipotensione ortostatica. Patologie respiratorie, toraciche e mediastiniche. Non comune: Dispnea. Patologie gastrointestinali. Non comune: Dolore addominale, diarrea, secchezza delle fauci, dispepsia, flatulenza. Raro: Disturbo gastrico, vomito. Patologie epatobiliari. Raro: Funzionalità epatica alterata/disturbo epatico. Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo. Non comune: Iperidrosi, prurito. Raro: Eritema, angieoedema. orticaria. Non noto: Eruzione, eruzione cutanea tossica, rash eczema. Patologie del sistema muscoloscheletrico e del tessuto connettivo. Non comune: Mialgia. Raro: Artralgia, dolore alla schiena (ad es. sciatica), crampi muscolari, dolori agli arti, debolezza. Non noto: Tendinite. Patologie renali e urinarie. Non comune: Compromissione renale inclusa insufficienza renale acuta. Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione. Non comune: Dolore toracico. Raro: Malattia simil-influenzale. Non noto: Inefficacia del medicinale. Esami diagnostici. Raro: Aumento di acido urico nel sangue, aumento della creatinina nel sangue, enzimi epatici aumentati, creatina fosfochinasi aumentata nel sangue. Non noto: Calo dell'emoglobina. 4.9. Sovradosaggio. Le informazioni disponibili riguardo al sovradosaggio nell'uomo sono limitate. Sintomi: Le manifestazioni più rilevanti legate al sovradosaggio di telmisartan sono state ipotensione e tachicardia; sono stati riportati anche bradicardia, capogiro, aumento della creatinina sierica e insufficienza renale acuta. Trattamento: Telmisartan non viene rimosso dall'emodialisi. Il paziente deve essere strettamente controllato e il trattamento deve essere sintomatico e di supporto. Il trattamento dipende dal tempo trascorso dall'ingestione e dalla gravità dei sintomi. Le misure suggerite includono induzione di emesi e/o lavanda gastrica. Il carbone attivo può essere utile nel trattamento del sovradosaggio. I livelli degli elettroliti sierici e della creatinina dovrebbero essere controllati frequentemente. Nel caso di ipotensione, il paziente dovrebbe essere posto in posizione supina e sali e fluidi dovrebbero essere reintegrati rapidamente. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE 5.1. Proprietà farmacodinamiche. Categoria farmacoterapeutica: antagonisti dell'angiotensina II, non associati, codice ATC C09CA07. Meccanismo d'azione: Telmisartan è un antagonista recettoriale dell'angiotensina II (tipo AT1) specifico ed efficace per via orale. Telmisartan spiazza con un'elevata affinità l'angiotensina II dal suo sito di legame con il recettore di sottotipo AT1, responsabile dei ben noti effetti dell'angiotensina II. Telmisartan non mostra alcuna attività agonista parziale per il recettore AT1. Telmisartan si lega selettivamente con il recettore AT1. Tale legame è di lunga durata. Telmisartan non mostra una rilevante affinità per altri recettori, compresi l'AT2 e altri recettori AT meno caratterizzati. Non sono noti il ruolo funzionale di questi recettori né l'effetto della loro possibile sovrastimolazione da parte dell'angiotensina II, i cui livelli sono aumentati dal telmisartan. Telmisartan determina una diminuzione nei livelli plasmatici di aldosterone. Telmisartan non inibisce la renina plasmatica umana né blocca i canali ionici. Telmisartan non inibisce l'enzima di conversione dell'angiotensina (chininasi II), enzima che degrada anche la bradichinina. Quindi non è atteso un potenziamento degli eventi avversi mediati dalla bradichinina. Nell'uomo, una dose di 80 mg di telmisartan determina un'inibizione quasi completa dell'aumento pressorio indotto dall'angiotensina II. L'effetto inibitorio si protrae per 24 ore ed è ancora misurabile fino a 48 ore. Efficacia clinica e sicurezza: L'attività antipertensiva inizia a manifestarsi entro 3 ore dalla somministrazione della prima dose di telmisartan. La massima riduzione dei valori pressori si ottiene generalmente da 4 ad 8 settimane dopo l'inizio del trattamento e viene mantenuta nel corso della terapia a lungo termine. L'effetto antipertensivo si protrae costantemente per 24 ore dopo la somministrazione e include le ultime 4 ore prima della successiva somministrazione, come dimostrato dalle misurazioni continue nelle 24 ore della pressione arteriosa. Ciò è confermato dal fatto che il rapporto tra le concentrazioni minime e massime di telmisartan negli studi clinici controllati verso placebo rimane costantemente superiore all'80% dopo una dose di 40 mg e 80 mg. C'è un apparente trend per una relazione tra la dose e il tempo di ritorno ai valori basali della pressione arteriosa sistolica (PAS). Da questo punto di vista, i dati che riguardano la pressione arteriosa diastolica (PAD) non sono invece consistenti. Nei pazienti ipertesi il telmisartan riduce la pressione sia sistolica che diastolica senza influire sulla frequenza cardiaca. Non è ancora stato definito il contributo dell'effetto diuretico e natriuretico del medicinale alla sua efficacia ipotensiva. L'efficacia antipertensiva di telmisartan è paragonabile a quella di medicinali rappresentativi di altre classi di antipertensivi (dimostrata negli studi clinici che hanno confrontato telmisartan con amlodipina, atenololo, enalapril, idroclorotiazide e lisinopril). Dopo una brusca interruzione del trattamento con telmisartan, la pressione arteriosa ritorna gradualmente ai valori preesistenti durante un periodo di diversi giorni, senza comportare un effetto rebound. Negli studi clinici che confrontavano direttamente i due trattamenti antipertensivi, l'incidenza di tosse secca è risultata significativamente inferiore nei pazienti trattati con telmisartan che in quelli trattati con gli inibitori dell'enzima di conversione dell'angiotensina. Attualmente non sono noti gli effetti di telmisartan sulla mortalità e sulla morbilità cardiovascolare. 5.2. Proprietà farmacocinetiche. Assorbimento: L’assorbimento di telmisartan è rapido, sebbene la frazione assorbita sia variabile. La biodisponibilità assoluta del telmisartan è mediamente del 50% circa. Quando telmisartan viene assunto con il cibo, la riduzione dell’area sotto la curva delle concentrazioni plasmatiche/tempo (AUC0-∞) di telmisartan varia tra il 6% (dose di 40 mg) e il 19% circa (dose di 160 mg). Dopo 3 ore dalla somministrazione le concentrazioni plasmatiche risultano simili sia che il telmisartan venga assunto a digiuno che con un pasto. Linearità/non-linearità: Non si ritiene che la lieve
riduzione nell’AUC causi una riduzione dell’efficacia terapeutica. Non c'è una relazione lineare tra dosi e livelli plasmatici. Il Cmax e, in misura minore, l'AUC aumentano in modo non proporzionale a dosi superiori a 40 mg. Distribuzione: Il telmisartan è fortemente legato alle proteine plasmatiche (>99,5%), in particolare all'albumina e alla glicoproteina acida alfa-1. Il volume medio di distribuzione allo stato stazionario (Vdss) è di circa 500 litri. Metabolismo: Il telmisartan è metabolizzato mediante coniugazione al glucuronide della sostanza originaria. Non è stata dimostrata un'attività farmacologica per il coniugato. Eliminazione: Telmisartan mostra una cinetica di decadimento biesponenziale con un’emivita terminale di eliminazione superiore alle 20 ore. La concentrazione plasmatica massima, (Cmax), e, in misura minore, l’area sotto la curva delle concentrazioni plasmatiche/tempo (AUC0-∞)), aumentano in misura non proporzionale alla dose. Quando il telmisartan viene assunto alle dosi consigliate non si evidenzia un accumulo rilevante dal punto di vista clinico. Le concentrazioni plasmatiche sono superiori nella donna rispetto all’uomo, ma ciò non influisce in modo rilevante sull’efficacia. In seguito alla somministrazione orale (ed endovenosa), il telmisartan viene escreto quasi esclusivamente con le feci, soprattutto in forma immodificata. L’escrezione urinaria cumulativa è <1% della dose. La clearance plasmatica totale (Cltot) è elevata (ca. 1000 ml/min) se confrontata al flusso plasmatico epatico (ca. 1500 ml/min). Popolazioni speciali. Effetti legati al genere: Sono state osservate differenze di concentrazioni plasmatiche tra i sessi, nelle donne Cmax e AUC erano rispettivamente 3 e 2 volte superiori rispetto agli uomini. Pazienti anziani: La farmacocinetica del telmisartan non differisce tra i pazienti anziani e i soggetti con meno di 65 anni. Pazienti con disfunzioni renali: Nei pazienti con disfunzioni renali da lievi a moderate e gravi è stato osservato un raddoppio delle concentrazioni plasmatiche. Tuttavia, nei pazienti con insufficienza renale in dialisi sono state osservate concentrazioni plasmatiche inferiori. Nei pazienti affetti da insufficienza renale il telmisartan è fortemente legato alle proteine plasmatiche e non può essere eliminato con la dialisi. Nei pazienti con disfunzioni renali l'emivita di eliminazione non varia. Pazienti con disfunzioni epatiche: Negli studi di farmacocinetica in pazienti con insufficienza epatica è stato osservato un aumento nella biodisponibilità assoluta fino a quasi il 100%. Nei pazienti con disfunzioni epatiche l'emivita di eliminazione non varia. 5.3. Dati preclinici di sicurezza. Negli studi preclinici di tollerabilità e sicurezza, dosi tali da determinare un’esposizione confrontabile a quella del range di dosi da impiegarsi nella terapia clinica hanno causato una riduzione dei parametri eritrocitari (eritrociti, emoglobina, ematocrito), alterazioni nell’emodinamica renale (aumento di azotemia e creatininemia) come anche un aumento nella potassiemia in animali normotesi. Nel cane sono state osservate dilatazione ed atrofia dei tubuli renali. Nel ratto e nel cane sono state osservate inoltre lesioni della mucosa gastrica (erosioni, ulcere o infiammazioni). Questi effetti indesiderati farmacologicamente mediati, come evidenziato dagli studi preclinici sia con inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina che con antagonisti del recettore dell'angiotensina II, si possono prevenire somministrando supplementi salini orali. In entrambe le specie sono stati osservati aumento dell’attività della renina plasmatica e ipertrofia/iperplasia delle cellule iuxtaglomerulari renali. Tali alterazioni, anch’esse un effetto di tutta la classe degli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina e di altri antagonisti del recettore dell'angiotensina II, non sembrano avere significato clinico. Non vi è alcuna evidenza di un effetto teratogeno, ma studi preclinici hanno mostrato alcuni rischi potenziali di telmisartan nello sviluppo postnatale della prole quali minore peso corporeo, apertura ritardata degli occhi e mortalità più elevata. Non vi è stata alcuna evidenza di mutagenesi, né di attività clastogena rilevante negli studi in vitro né di cancerogenicità nel ratto e nel topo. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE 6.1. Elenco degli eccipienti. Povidone (K25), Meglumina, Sodio idrossido, Sorbitolo (E420), Magnesio stearato. 6.2. Incompatibilità. Non pertinente. 6.3. Periodo di validità. 4 anni. 6.4. Precauzioni particolari per la conservazione. Questo medicinale non richiede alcuna condizione particolare di conservazione. Conservare nella confezione originale per proteggere il medicinale dall'umidità. 6.5. Natura e contenuto del contenitore. Blister di alluminio/alluminio (PA/Al/PVC/Al or PA/PA/Al/PVC/Al). Un blister contiene 7 o 10 compresse. Confezioni: Blister con 14, 28, 30, 56, 84, 90 o 98 compresse o blister divisibile per dose unitaria con 28 x 1 compresse. É possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6. Precauzioni particolari per lo smaltimento. Nessuna istruzione particolare. 7. TITOLARE DELL'AUTORIZZAZIONE ALL'IMMISSIONE IN COMMERCIO Boehringer Ingelheim International GmbH. Binger Str. 173 D-55216 Ingelheim am Rhein. Germania. 8. NUMERI DELL'AUTORIZZAZIONE ALL'IMMISSIONE IN COMMERCIO EU/1/98/090/005 (14 compresse). EU/1/98/090/006 (28 compresse). EU/1/98/090/007 (56 compresse). EU/1/98/090/008 (98 compresse). EU/1/98/090/014 (28 x 1 compresse). EU/1/98/090/016 (84 compresse). EU/1/98/090/018 (30 compresse). EU/1/98/090/020 (90 compresse). 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/ RINNOVO DELL'AUTORIZZAZIONE Data della prima autorizzazione: 16 dicembre 1998. Data dell'ultimo rinnovo: 16 dicembre 2008. 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO 19 marzo 2009. CLASSE A Da vendersi dietro presentazione di ricetta medica - € 28,72 Informazioni più dettagliate su questo medicinale sono disponibili sul sito web dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMEA): http://www.emea.europa.eu/.
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