T R I M E ST R A L E
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A G G I O R N A M E N TO
S C I E N T I F I CO A nno I - N. 3, 2 0 0 9
Lezione di chirurgia - Scena di operazione nell’anfiteatro operativo del General Hospital di Boston, Massachussets. Somministrazione di etere al paziente - Incisione su legno
TRIMESTRALE D I AG G I O R N A M E N TO S C I E N T I F I CO Anno I - N. 3, 2009
S
O M M A R I O
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Stratificare il rischio di malattie cardiovascolari: una strada da percorrere, un obiettivo da raggiungere Prof. Massimo Volpe
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Una orchestra con tanti strumenti: la diagnostica nella coronaropatia Dr. Simone Mininni
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L'insostenibile pesantezza dell'essere: l'alterata funzione renale nel rischio cardiovascolare Dr. Gennaro Cice
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Un quiz enigmatico: la donna ha un profilo di rischio cardiovascolare maggiore rispetto all'uomo? Prof.ssa Maria Lorenza Muiesan
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Un personaggio in cerca di autore: la difficoltà nella stratificazione del rischio cardiovascolare nella pratica clinica Dr. Italo Paolini
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Ruolo dell'automisurazione pressoria domiciliare nel paziente ad alto rischio cardiovascolare Dr. Paolo Verdecchia, Fabio Angeli, Giovanni Mazzotta, Giuseppe Ambrosio
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Un nuovo marker indipendente del rischio CV chiamato Augmentation index Ettore Ambrosioni, Dott. Eugenio Roberto Cosentino, Dott.ssa Elisa Rebecca Rinaldi
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Quando scegliere l'insulina giusta Dott. Pietro Putignano
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Esiste ancora il rischio relativo? Prof.ssa Ada Dormi
Editore SINERGIE Edizioni Scientifiche S.r.l. Via la Spezia, 1 - 20143 Milano Tel./Fax 02 58118054 E-mail: redazione@edizionisinergie.com www.patientandcvr.com www.edizionisinergie.com
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Comitato scientifico
Claudio Borghi Vittorio Costa Ada Dormi Guido Grassi Giuseppe Mancia Simone Mininni Pietro Putignano Enrico Strocchi Stefano Taddei Bruno Trimarco Paolo Verdecchia Augusto Zaninelli
Capo redattore
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Registrazione presso Tribunale di Milano n. 207 del 28-03-2006 Pubblicazione fuori commercio riservata alla Classe Medica. L’Editore è disponibile al riconoscimento dei diritti di copyright per qualsiasi immagine utilizzata e della quale non si sia riusciti ad ottenere l’autorizzazione alla riproduzione. Nonostante la grande cura posta nel compilare e controllare il contenuto, l’Editore non sarà ritenuto responsabile per ogni eventuale utilizzo di questa pubblicazione nonchè per eventuali errori, omissioni o inesattezze nella stessa. Copyright ©2009 SINERGIE S.r.l. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata o riprodotta senza l’autorizzazione dell’Editore.
Anno I - N. 3, 2009
Stratificare il rischio di malattie cardiovascolari: una strada da percorrere, un obiettivo da raggiungere Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di morbilità e mortalità a livello mondiale. Nonostante gli innumerevoli ed impressionanti progressi delle tecniche diagnostiche e delle possibilità terapeutiche, ottenute nel corso degli ultimi 20 anni, tali patologie sono ancora oggi responsabili di un elevato carico di malattia, particolarmente a livello dei cosiddetti Paesi Industrializzati. Le complicanze croniche e le conseguenze invalidanti degli eventi cardiovascolari acuti determinano, inoltre, importanti ripercussioni non soltanto di natura socio-economica per i sistemi sanitari nazionali, ma soprattutto di natura psicologica e personale sugli individui affetti da tali malattie e nei loro familiari. In questo contesto, le strategie di prevenzione cardiovascolare basate su interventi rivolti alla popolazione generale oppure sulla riduzione degli elevati valori di un singolo fattore di rischio (ad esempio, ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, diabete mellito, etc), non hanno consentito di ottenere i benefici sperati, in termini di riduzione della morbilità e della mortalità cardiovascolare. Di contro, sono disponibili evidenze in favore dell'impiego di strategie basate su una corretta stratificazione, una precoce identificazione ed un trattamento tempestivo ed efficace dei soggetti ad elevato rischio cardiovascolare, sia in termini di costo-efficacia che di riduzione dell'incidenza degli eventi cardiovascolari maggiori, come infarto del miocardio, ictus cerebrale, scompenso cardiaco, insufficienza renale e mortalità cardiovascolare. Occorre, tuttavia, ricordare come tali evidenze siano state ottenute dall'analisi dei risultati di ampi studi clinici di intervento, internazionali, randomizzati controllati, i quali hanno valutato l'efficacia di una determinata strategia terapeutica (ad esempio, terapia antiipertensiva, ipocolesterolemizzante, antidiabetica, etc) in termini di riduzione del numero degli eventi cardiovascolari fatali e non fatali in un intervallo di tempo mediolungo (di solito 5-10 anni). Il beneficio ottenuto con l'impiego di tali strategie, seppure di provata efficacia, risulta difficilmente quantizzabile nella pratica clinica quotidiana del medico di
medicina generale come dello specialista, ma soprattutto diventa poco comprensibile da parte del paziente ad elevato rischio cardiovascolare, con possibili ripercussioni sull'aderenza e la compliance alla terapia prescritta. La recente disponibilità di strumenti facili, economici e ripetibili per una corretta valutazione del profilo di rischio cardiovascolare globale e del danno d'organo sub-clinico, ha consentito di migliorare sensibilmente la gestione clinica e la prognosi dei pazienti a rischio cardiovascolare e renale. In particolare, la valutazione non invasiva della funzione vascolare a livello centrale (coronarico) o periferico mediante tecniche di imaging (ultrasonografia, angio-TC, angio-RM, etc) oppure della funzione renale mediante dosaggio della microalbuminuria o determinazione del tasso stimato di filtrazione glomerulare, ha consentito di caratterizzare meglio il profilo di rischio cardiovascolare globale dei singoli soggetti e, quindi, di “personalizzare” la scelta della strategia terapeutica in base alle caratteristiche del profilo di rischio cardiovascolare globale individuale. Inoltre, è possibile valutare in modo sicuro ed affidabile l'efficacia di una determinata strategia farmacologica mediante la valutazione della progressione o della eventuale regressione del danno d'organo correlato alle malattie cardiovascolari. In questo numero della rivista Patient and Cardiovascular Risk, dedicato alla stratificazione del rischio cardiovascolare globale ed alle diverse tecniche per la valutazione del danno d'organo, vengono affrontati e discussi numerosi aspetti che possono avere notevole rilevanza nella pratica clinica quotidiana del medico di medicina generale e dello specialista, al fine di ottenere una efficace prevenzione della malattie cardiovascolari e ridurre in modo significativo la morbilità e la mortalità cardiovascolare. Prof. Massimo Volpe Cardiologia, II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Azienda Ospedaliera Sant'Andrea, Roma
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Una orchestra con tanti strumenti: la diagnostica nella coronaropatia Dr. Simone Mininni Direttore Sanitario, Istituto Leonardo da Vinci, Cardiologia Firenze
La cardiopatia ischemica è una delle patologie che più frequentemente si incontrano nella pratica clinica quotidiana. Ogni anno in Italia circa 235.000 persone muoiono per malattie cardiovascolari che rappresentano la prima causa di morte nella nostra popolazione. Il 20% di questi decessi è dovuto all'infarto miocardico con un tasso di 187 morti ogni 100000 abitanti. Ogni anno circa 160.000 persone nella fascia di età compresa tra 35 e 64 anni hanno un attacco cardiaco; gli uomini sono più colpiti delle donne con un rapporto di 6/1. Una persona ogni 3-4 minuti ha un attacco cardiaco: di queste soltanto la metà giunge in ospedale in tempo (1/4 di queste arriva tardivamente , quando la finestra temporale utile per le terapie di disostruzione coronarica si è ormai esaurita), mentre l'altra metà muore entro un'ora dai primi sintomi. È fondamentale quindi che nel patrimonio culturale del medico sia presente un algoritmo corretto che permetta di individuare precocemente, e di conseguenza curare, il numero maggiore dei pazienti a rischio per tale patologia.
Ogni anno circa 160.000 persone nella fascia di età compresa tra 35 e 64 anni hanno un attacco cardiaco;gli uomini sono più colpiti delle donne con un rapporto di 6/1.
L'elemento principale che deve essere alla base di tale procedimento mentale è una precisa conoscenza della clinica. I disturbi riferiti dal paziente sono ancora ad oggi l'aiuto più importante che abbiamo. L'interpretazione di molti accertamenti diagnostici acquisiscono valore assolutamente diverso se i disturbi clinici sono tipici o meno. Il disturbo principale che ci verrà a raccontare il paziente è il dolore toracico. A questo punto sta a noi chiedere informazioni più precise che ci permettano di orientarsi correttamente. Dove è la sede del dolore? Quando insorge? Quanto dura? Solo dalle risposte a queste semplici domande possiamo ottenere dati che ci possono orientare verso un sospetto elevato di patologia e allora dobbiamo iniziare con gli accertamenti diagnostici, o che ci possono tranquillizzare e quindi autorizzare a non procedere oltre. Il dolore tipico (Figura 1) è quello oppressivo o costrittivo, localizzato nelle regione Usuale localizzazione del retrosternale ed irradiato al giugulo ed al braccio dolore miocardico ischemico sinistro (anche se non bisogna dimenticare che esistono sedi meno frequenti ma ugualmente importanti come per esempio l'epigastrio tipico degli episodi anginosi che colpiscono la parete postero-inferiore del cuore). Se il disturbo insorge sotto sforzo e scompare con il riposo siamo davanti ad un sospetto di angina Mascella da sforzo, se invece il disturbo insorge a riposo o Epigastrio Lato destro Dorso per minimi sforzi il sospetto è di un'angina instabile. Già da questi semplici dati possiamo trarre Sedi meno frequenti del dolore miocardico ischemico informazioni utili su quale deve essere la tempiFigura 1 stica del nostro intervento. Davanti ad un sospet-
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to di angina da sforzo abbiamo il tempo di programmare accertamenti mirati come una test da sforzo, davanti ad un sospetto di angina instabile è necessario intervenire immediatamente. L’elemento durata ha anch'esso importanza in quanto il dolore cardiaco non può avere una durata superiori ai 20-30 minuti senza lasciare nessuna traccia: da questo si deduce che se il paziente riferisce episodi di dolore prolungati, anche di ore, e gli accertamenti diagnostici non evidenziano dati patologici è probabile che per il disturbo in questione dobbiamo orientarci verso un'altra origine. Ma quali sono gli strumenti diagnostici che dobbiamo utilizzare una volta che i dati clinici ci orientano verso una diagnosi di sospetto di cardiopatia ischemica? Il primo esame da cui non possiamo prescindere è ovviamente un elettrocardiogramma a 12 derivazioni, che ci permette di evidenziare se in quel cuore che stiamo analizzando è già successo qualcosa. La presenza di un tracciato normale in un paziente con una clinica suggestiva non può assolutamente metterci tranquilli, in quanto l'unico dato che possiamo dedurre è che non è successo ancora nulla ma non siamo autorizzati a dire che non c'è il rischio che possa accadere qualcosa anche solo dopo pochi minuti. Il dato elettrocardiografico dovrebbe essere associato sempre a quello ecocardiografico che ci permette di aggiungere informazioni,“invisibili” al precedente accertamento, sulle dimensioni delle camere cardiache, sulla massa e sulla cinetica dei ventricoli, sul pericardio e sulla funzionalità delle valvole. Il caso tipico è quello rappresentato dai pazienti con pericardite che si presentano con dolore toracico ed un tracciato elettrocardiografico che ad una prima analisi può mimare l'ischemia: in questo caso il riconoscimento all'eco di versamento nel cavo pericardio e di cinetica assolutamente normale permette di fare diagnosi e di evitare al soggetto ulteriori accertamenti anche invasivi. In ogni caso in acuto davanti ad un paziente con dolore toracico tipico e con elettrocardiogramma ed eco normali, ci deve venire in aiuto anche un dosaggio ematico della troponina che permette di fare diagnosi di dolore di origine cardiaca talora ancor prima che dati strumentali risultino alterati. Davanti ad un paziente con un sospetto clinico elevato nel quale le indagini di primo livello risultino normali dobbiamo procedere oltre passando ad un test provocativo. In coloro che non hanno impedimenti fisici l'esame di prima scelta è L'elemento durata ha anch'esso importanza in quanto il dolore cardiaco non può avere una durata superiori ai 20-30 minuti senza lasciare nessuna traccia...
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In linea teorica la scintigrafia è la tecnica che presenta i migliori dati in temine di sensibilità e specificità, ma dalla sua ha l'inconveniente di esporre i pazienti a grandi dosi di radiazioni. l'elettrocardiogramma da sforzo al cicloergometro o al tapis roulant. I dati da analizzare durante il test, oltre ovviamente alla sintomatologia del paziente, sono il comportamento del tratto ST-T, la comparsa o meno di aritmie ed il comportamento della pressione. In particolare devono essere osservati con attenzione i pazienti che presentino all'apice dello sforzo aritmie complesse o nei quali la pressione non aumenti come di norma con il procedere delle fasi del test o che addirittura abbiano un calo pressorio, perché tali dati suggeriscono la presenza di una coronaropatia plurivasale. Nei pazienti che non possono eseguire uno sforzo o nei quali il test ergometrico risulti dubbio, l'esame di prima scelta è l'ecocardiogramma sotto stress farmacologico (si inietta dobutamina o dipiridamolo a dose crescenti) che permette, in presenza di una finestra acustica ottimale, di avere sia informazioni elettrocardiografiche che di motilità regionale e quindi ci permette di ipotizzare anche quale arteria coronaria sia maggiormente colpita dalla patologia aterosclerotica.In questo,l'ecostress è superiore al semplice test ergometrico che permette solo di diagnosticare la presenza di ischemia miocardica senza darci informazioni sulla zona del miocardio colpita dalla patologia. In questo, l'ecostress si avvicina molto ad una altra indagine utile nella diagnostica della cardiopatia ischemica, la scintigrafia miocardia. Tale indagine si basa sull'iniezione, all'apice di uno stress fisico o farmacologico, di un tracciante radioattivo che si va a localizzare solo nelle cellule miocardiche normalmente perfuse. Il confronto tra i dati ottenuti all'apice dello sforzo con quelli ottenuti a riposo ci permette di individuare casi normali (nei quali il tracciante si distribuisce uniformemente nel miocardio sia a riposo che sotto sforzo) e patologici (in presenza di una cicatrice da pregresso infarto quando una zona non capta né a riposo che sotto sforzo o in presenza di ischemia inducibile quando una zona normale a riposo non capta sotto sforzo). In linea teorica la scintigrafia è la tecnica che presenta i migliori dati in temine di sensibilità e specificità,ma dalla sua ha l'inconveniente di esporre i pazienti a grandi dosi di radiazioni, rendendola quindi utilizzabile solo in casi selezionati senza poter ripetere lo stesso test se non a distanza di tempo, per evitare di curare l'ischemia ma di esporre il paziente a rischio di sviluppo di malattie neoplastiche, soprattutto se l'età del paziente non è avanzata. Una volta che i test eseguiti evidenzino una elevata proba-
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COURAGE Trial Design: COURAGE was a randomized trial of optimal medical therapy alone (n = 1,138) or PCI in addition to optimal medical therapy (n = 1,149) in patients with stable but severe coronary artery disease. Primary endpoint was composite of death or nonfatal MI through median 4.6-year follow-up Death or MI (H>R 1.05, p = 0.62) 25 20
Freedom From Angina at 5 Years (p = 0.35) 100
19.0
18.5
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72
%
60
%
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80
10
40
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0
Conclusion • Among patients with stable but severe coronary artery disease, treatment with PCI was not associated with a difference in death or MI compared with medical therapy thruogh 5 years of follow-up, but was associated with much higher costs
0 Optimal Medical Therapy + PCI
Results • Multivessel disease was present in 69% of patients at entry • No difference in primary endpoint of death or MI for PCI group vs. medical therapy group (Figure), components of composite, or hospitaòization for ACS (12.4% for PCI vs. 11.8% for medical therapy, HR 1.07, p = 0.56) • Angina significantly ↓ in both groups during follow-up, with no difference between PCI and medical therapy at 5 years (Figure), but slightly ↑ rates of freedom from angina in early time frame with PCI • PCI costs averaged $5,295 ↑ than medical therapy trough 3 years (p < 0.0001) • In cost-effectiveness analysis, PCI was estimated at $217,000 per quality adjusted life-year gained; $50,000 often used as benchmark for acceptable C/E therapies
Optimal Medical Therapy Alone
www.cardiosource.com
N Eng J Med 2007; 356: 1503-1516
Figura 2
bilità di coronaropatia l'esame successivo è sicuramente la coronarografia che permette a livello diagnostico di evidenziare la precisa anatomia dell'albero coronario ed a livello terapeutico, tramite l'angioplastica, di risolvere le stenosi e di riportare il paziente con un ricovero solo di poche notti in condizioni tali da poter riprendere una vita normale senza più avere quei disturbi che fino a qualche ore prima ne riducevano notevolmente l'autonomia. Nei casi di angina instabile, l'esame emodinamico, e di conseguenza la rivascolarizzazione, deve essere l'approccio da tenere assolutamente in tutti, mentre non c'è ancora accordo se lo stesso atteggiamento debba essere tenuto nei pazienti con angina stabile da sforzo. In particolare, lo studio COURAGE (figura 2) nel 2007 ha evidenziato che in tali pazienti non esistono differenze in termini di eventi e morte se alla terapia medica ottimale associamo la rivascolarizzazione per cutanea, tutto questo a fronte di costi nettamente superiori. Infine, è bene spendere alcune parole su una nuova tecnica diagnostica per la visualizzazione delle coronarie che si va Nei casi di angina instabile l'esame emodinamico e di conseguenza la rivascolarizzazione deve essere l'approccio da tenere assolutamente in tutti mentre non c'è ancora accordo se lo stesso atteggiamento debba essere tenuto nei pazienti con angina stabile da sforzo.
sempre più diffondendo,la TC multistrato. Gli strumenti di ultima generazione permettono, se messi in mano di una equipe formata da un radiologo ed un cardiologo che abbiano elevata esperienza in materia, una buona visualizzazione delle arterie coronariche, ma al momento ancora esistono dei dubbi: perché dovrei fare una TC multistrato ad un paziente ad elevato rischio quando poi dovrò sottoporlo ugualmente a coronarografia per eseguire una rivascolarizzazione? Nei pazienti a basso rischio, perché dovrei optare ad una TC multistrato che espone il paziente ad una dose elevatissima di radiazioni (paragonabile a molte centinaia di radiografie del torace)? Questi sono dubbi che non hanno trovato ancora risposte adeguate neanche in comitati ad hoc nominati dalle più importanti associazioni cardiologiche internazionali, ma sicuramente il futuro ci riserverà tecniche che, a fronte di un ridotto rischio biologico, ci permetteranno di stratificare prima e meglio il rischio dei nostri pazienti con sospetta coronaropatia. Bibliografia - Gay J et al. L'elettrocardiogramma, saperlo interpretare. Antonio Delfino Editore 2002. - Ellestad MH. Prove da sforzo in Cardiologia. Centro Scientifico Editore 1997. - Libby. Braunwald's heart disease. A textbook of cardiovascular medicine, 8th edition. Saunders 2007. - Boden et al. Optimal medical therapy with or without PCI fo stable coronary disease. N.Eng. J.Med 2007. - Sarno G et al. On the appropriateness on noninvasive multidetector computed tomography coronary angiography to trigger coronary revascularization. JACC Intervent 2009.
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L’insostenibile pesantezza dell’essere: l’alterata funzione renale nel rischio cardiovascolare Dr. Gennaro Cice Cattedra di Cardiologia, II Università di Napoli
La malattia renale cronica (CKD) rappresenta un importante problema di sanità pubblica mondiale. L'incidenza di insufficienza renale terminale (ESRD) che necessita di trapianto o trattamento dialitico sostitutivo è in continua crescita con costi sempre più elevati (1). Il problema assume dimensioni ancora più preoccupanti se si considera che la prevalenza di CKD iniziale è almeno cento volte più elevata di quella dell'ESRD. Negli Stati Uniti è stato riportato che addirittura l'11% della popolazione adulta (più di 20 milioni di individui) sia affetta da CKD (tab. 1) (2). Non necessariamente la CKD progredisce fino allo stadio di ESRD, ma contribuisce invece sempre in maniera significativa ad aumentare il rischio cardiovascolare (3). Mentre sappiamo da tempo che le complicanze cardiovascolari rappresentano la principale causa di morte nei pazienti affetti da ESRD (4, 5), è stato solo di recente dimostrato che il rischio di sviluppare queste complicanze cardiovascolari è già aumentato nelle
Negli Stati Uniti è stato riportato che addirittura l'11% della popolazione adulta (più di 20 milioni di individui) sia affetta da CKD. forme di malattia renale più lievi e cresce con il progredire dell'insufficienza renale (fig.1) (6). Questa elevata incidenza e prevalenza di malattia cardiovascolare è il determinante principale della ridotta aspettativa di vita in questi pazienti. Infatti, se l'aspettativa di vita di un maschio di età compresa tra i 40 ed i 44 anni (dati statunitensi) è di oltre 35 anni, un analogo paziente in trattamento dialitico ha una speranza di sopravvivenza, in media, di solo 8 anni (7). Purtroppo, quando i pazienti hanno raggiunto l'ESRD, le pur necessarie modifiche dei tradizionali fattori di rischio come il fumo, l'obesità, la dislipidemia e l'ipertensione possono avere un effetto limitato, a volte disarmante, sulla sopravvivenza globale. Una delle
Classificazione della malattia renale cronica e sua prevalenza negli Stati Uniti Stadio
Descrizione
GFR (ml/min/1.73 m2)
Prevalenza (%)
1
Danno renale con GFR normale o aumentato
> 90
3.3
2
Danno renale con lieve riduzione del GFR
60-89
3.0
3
Moderata riduzione del GFR
30-59
4.3
4
Severa riduzione del GFR
15-29
0.2
5
Insufficienza renale terminale
< 15 (o dialisi)
GFR = filtrato glomerulare
Tabella 1
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0.1 Modificata da National Kidney Foundation 2
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cause cardiovascolari; secondo, la maggior parte dei pazienti con CKD morivano prima 50 di raggiungere ESRD (8). Infatti, in un ampio RR EVENT studio longitudinale condotto in pazienti 25 con CKD allo stadio iniziale e seguiti per 5,5 anni, si è evidenziato come mentre solo il 0 3,1% dei pazienti progrediva fino a richiere un RRT, ben il 24,9% morivano prima di Stage III Stage IV Stage V Stage I Stage II giungere in dialisi, e la maggior parte di Moderate Severe Renal Urinary markers Mild renal renal renal failure questi decessi era dovuto a patologie car(AlbU/ProtU, etc.) dysfunction dysfunction dysfunction (ESRD) diovascolari (9). Le Linee Guida della K/DOQI hanno stimato che questo eccesso 130 120 110 100 90 80 70 60 50 40 30 20 15 10 0 di rischio e di mortalità per cause cardiovaGFR ml/min scolari è sufficientemente grande da sugESRD = insufficienza renale terminale; GFR = filtratoglomerulare; RR = rischio relativo gerire che “tutti i pazienti con malattia renale cronica dovrebbero essere consideFigura 1 rati nel gruppo di maggior rischio per malattia cardiovascolare, indipendentemente dal livello dei fattori di rischio tradizionali” (10). ragioni addotte per questo drammatico andamento è In Italia il problema è ugualmente gravoso in termini di che una volta raggiunto l'ESRD, non ci sia più tempo incidenza e prevalenza ma largamente sottovalutato per la “prevenzione”. se non assolutamente ignorato dagli organi di governo Questo ha comportato che già dalla stesura delle Linee della Sanità e dalle Istituzioni che dovrebbero sorveGuida K/DOQI del 2002 l'interesse si sia spostato nelle gliare lo stato di salute della popolazione, come fasi iniziali della CKD, per almeno due fondamentali l'Istituto Superiore di Sanità. Infatti il rapporto ISTAT motivi: primo, già i pazienti con CKD iniziale mostravadel Marzo 2007 sullo stato di salute degli italiani non no un significativo incremento di mortalità totale e per Malattia renale cronica e rischio cardiovascolare
Fattori di rischio cardiovascolare tradizionali e associati alla malattia renale cronica Fattori di rischio tradizionali
Fattori di rischio non tradizionali
Età avanzata Sesso maschile Razza bianca Ipertensione arteriosa Elevati livelli di colesterolo LDL Ridotti livelli di colesterolo HDL Diabete Fumo Sedentarietà Menopausa Familiarità per malattie cardiovascolari Ipertrofia ventricolare sinistra Iperomocisteinemia Tossine uremiche
Malattia renale primitiva Riduzione del GFR Proteinuria Aumentata attività del sistema renina-angiotensina Espansione della volemia Alterazioni del metabolismo calcio/fosforo Anemia Malnutrizione Infiammazione Infezioni Anomalie della coagulazione Stress ossidativo
GFR = filtrato glomerulare; HDL = lipoproteine ad alta densità; LDL = lipoproteine a bassa densità
Tabella 2
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menziona la CKD tra le malattie croniche (11). La causa principale della associazione tra CKD e complicanze cardiovascolari certamente è dovuta alla presenza, nel paziente uremico, dei classici fattori di rischio tradizionali, comunque presenti in percentuali maggiori rispetto alla popolazione non uremica, ai quali si affiancano fattori di rischio strettamente propri della CKD (tab. 2) (12). Con il progredire della insufficienza renale, entrambi i fattori di rischio, amplificandosi ed aggravandosi reciprocamente, portano allo sviluppo di quegli eventi cardiovascolari maggiori che condizionano pesantemente la prognosi di questi pazienti. Necessariamente, alla luce di queste evidenze il Working Group della National Kidneny Foundation (NKF) ha recentemente fornito nuovi criteri diagnostici ed una classificazione in stadi della CKD (tab.I) che contiene almeno due messaggi di grande impatto nella nostra pratica medica quotidiana: il primo suggerisce vivamente di valutare il grado della insufficienza renale in base alla stima del filtrato glomerulare e non già in base alla semplice determinazione della creatininemia plasmatica essendo questa imprecisa, perché fortemente dipendente dal peso e dall’età ad esempio, fuorviante perché sopravvaluta, anche per valori modestamente patologici. Il secondo messaggio consiste nel considerare affetto da danno renale anche quel paziente che presenti microalbuminuria e/o proteinuria in presenza di una funzione renale assolutamente normale. Questo perché l'associazione tra microalbuminuria e/o proteinuria franca segnalano un aumentato rischio cardiovascolare, addirittura anche nella popolazione generale non uremica. Recentemente lo studio PREVEND (Prevention of Renal and Vascular End Stage Disease) ha documentato su oltre 40.000 pazienti che il raddoppio dell'escrezione urinaria di albumina era associato ad un aumento del 29% del rischio di mortalità cardiovascolare e del 12% del rischio di mortalità per ogni causa (13). Nella popolazione generale la microalbumiMentre sappiamo da tempo che le complicanze cardiovascolari rappresentano la principale causa di morte nei pazienti affetti da ESRD.
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Il rapporto ISTAT del Marzo 2007 sullo stato di salute degli italiani non menziona la CKD tra le malattie croniche. nuria si è inoltre dimostrata un predittore di cardiopatia ischemica (14), addirittura indipendente dai livelli di pressione arteriosa e di colesterolemia totale (15). Nella popolazione ipertesa la proteinuria è associata a più elevata mortalità e incidenza di eventi cardiovascolari (16). Ancora la microalbuminuria rappresenta un predittore indipendente sia di mortalità cardiovascolare, come dimostrato dallo studio HOORN particolarmente nel sottogruppo dei pazienti diabetici (17), sia di cardiopatia ischemica (18). Lo studio LIFE (Losartan Intervention for Endpoint Reduction in Hypertention), condotto su oltre 8.000 ipertesi non diabetici con ipertrofia ventricolare sinistra (IVS), addirittura ha dimostrato che non esiste un valore soglia di albuminuria che faccia da cut-off per gli eventi cardiovascolari maggiori e per il rischio di morte, ma che tale rischio aumenta con l'aumentare dell'escrezione urinaria di albuminia (19). Infine, anche nel paziente con cardiopatia già nota, l'entità dell'albuminuria si è dimostrata un predittore significativo di morbilità e mortalità cardiovascolare. Nello studio HOPE (Heart Outcomes and Prevention Evaluation) la microalbuminuria era associata ad un aumento del 61% del rischio di ictus, infarto miocardico e morte cardiaca ed al raddoppio del rischio di morte per ogni causa (20). Infine, un’aumentata escrezione urinaria di albumina è anche associata ad elevata prevalenza di IVS (21). In particolare, l'entità della albuminuria e la prevalenza di microalbuminuria sono significativamente più elevate nei pazienti ipertesi con IVS (22). Inoltre, l'accorciamento centroparietale del ventricolo sinistro si riduce significativamente nei pazienti con microalbuminuria e questo predispone all'isufficenza cardiaca (22, 23). Da quanto esposto risulta evidente che CKD e complicanze cardiovascolari siano strettamente connesse. È stato calcolato che i pazienti con CKD di qualunque grado presentino un rischio >20% di sviluppare almeno un evento cardiovascolare maggiore nell'arco di 10 anni. Per tanto per tali pazienti sono necessari misure preventive e strategie terapeu-
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Invece solo un approccio multifattoriale aggressivo costituisce la strategia ottimale per ridurre significativamente l'incidenza di eventi cardiovascolari nei pazienti affetti da ESRD.
tiche aggressive indirizzate al controllo ottimale dei fattori di rischio cardiovascolare. Nella pratica clinica, invece, l'uso dei farmaci cardioprotettivi resta molto sotto utilizzato. In un recente studio, ad esempio, il controllo pressorio, la terapia antipertensiva con farmaci che agissero sul RAAS, e la determinazione della funzione renale in base alla stima del filtrato glomerulare, non solo non erano estesi alla maggioranza dei pazienti con nefropatia, ma neanche a quelli che giĂ avevano sviluppato patologia cardiovascolare (24). Invece, solo un approccio multifattoriale aggressivo costituisce la strategia ottimale per ridurre significativamente l'incidenza di eventi cardiovascolari (22, 25). Sarebbe infine auspicabile, considerata l'elevata prevalenza di CKD soprattutto negli stadi iniziali, l'attuazione di una differente politica sanitaria: non solo il nefrologo ma anche i medici di base, i cardiologi, i geriatri, dovrebbero essere sensibilizzati ad identificare precocemente e quindi trattare aggressivamente i pazienti con CKD. Bibliografia 1. US Renal Data System: USRD 2000 Annual Data Report. National Institutes of Health, National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases. Bethesda, MD, 2000. 2. National Kidney Foundation. K/DOQI clinical practice guidelines for chronic kidney disease: evaluation, classification, and stratification. Am J Kidney Dis 2002; 39 (Suppl1): S1-S266. 3. Shulman NB, Ford CE, Hall WD, et al. Prognostic value of serum creatinine and effect of treatment of hypertension on renal function. Results from the hypertension detection and follow-up program. The Hypertension Detection and Follow-up Program Cooperative Group. Hypertension 1989; 13 (Suppl): I80-I93. 4. Foley RN, Parfrey PS, Sarnak MJ. Epidemiology of cardiovascular disease in chronic renal disease. J Am Soc Nephrol 1998; 9 (Suppl): S16-S23. 5. Excerpts from the USRDS 2001 Annual Data Report: international comparisons. Am J Kidney Dis 2001; 38: S147-S158. 6. Foley RN, Parfrey PS, Sarnak MJ. Clinical epidemiology of cardiovascular disease in chronic renal disease. Am J Kidney Dis 1998; 32 (Suppl 3): S112-S119. 7. U.S. Renal Data System, USRDS 2005 Annual Data Report: Atlas of EndStage Renal Disease in the United States, National Institutes of Health, National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases, Bethesda, MD, 2005. 8. Foley RN, Murray AM, Shuling L et al. Chronic kidney disease and the
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Un quiz enigmatico: la donna ha un profilo di rischio cardiovascolare maggiore rispetto all’uomo? Prof.ssa Maria Lorenza Muiesan Clinica Medica, Università di Brescia
In Italia, così come nella maggior parte degli altri Paesi Industrializzati, le malattie cardio-vascolari (CV) ed in particolare la cardiopatia ischemica, rappresentano la principale causa di malattia e di morte delle donne e sono responsabili del 40 % tra le varie cause di morte nella popolazione femminile (Figura 1). La prevalenza delle malattie CV nelle donne è destinata ad aumentare nei prossimi 20 anni, anche in virtù del parallelo e progressivo aumento della longevità,che tuttora permane più alta nelle donne; il numero di donne anziane supera quello degli uomini della stessa età ed è soprattutto per tale motivo che il numero assoluto di donne con malattie CV tende a superare quello degli uomini. Recentemente, tuttavia, è stato riportato che le malattie CV costituiscono la seconda causa di morte nelle donne di età compresa tra 45 e 64 anni e la terza causa di morte in quelle più giovani, tra i 25 e 44 anni e quindi esse non sono solo appannaggio delle donne più anziane (1). L'incidenza di infarto del miocardio rimane inferiore nelle donne rispetto agli uomini,ma aumenta in modo assai rapido dopo la menopausa; lo studio Interheart ha dimostrato che nelle donne il primo infarto si verifica circa 9 anni più tardi rispetto agli uomini in tutte le regioni del mondo. La riduzione della mortalità per cardiopatia ischemica osservata negli ultimi anni nei due sessi, è risultata meno evidente nelle donne rispetto agli uomini, e nelle donne affette da diabete mellito non è stato possibile osservare alcuna riduzione della mortalità cardiovascolare (2). Le malattie cardio-vascolari ed in particolare la cardiopatia ischemica, rappresentano la principale causa di malattia e di morte delle donne e sono responsabili del 40 % tra le varie cause di morte nella popolazione femminile.
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Da una recente analisi di 59 studi, svolti in 19 paesi e 5 continenti, sono stati raccolti importanti dati riguardo alle differenti caratteristiche dell'ictus tra uomini e donne. Il primo ictus si verifica a 69 anni nell'uomo e 4 anni più tardi nella donna; l'incidenza di ictus è maggiore del 33 % nell'uomo, ma al contrario la prevalenza di ictus è maggiore del 44% nella donna. Nella donna la sintomatologia durante le prime fasi dell'ictus è sfumata e poco specifica e la gravità dell'icCause di morte in Europa per gli uomini (sopra) e per le donne (sotto) M. respiratorie Traumi e avv Altre cause Sezione 4 Tumore polmone Tumore colon-retto Tumore stomaco Altri tumori Ictus CHD Altre MCV M. respiratorie Traumi e avv Altre cause Tumore mammella Tumore polmone Tumore colon-retto Tumore stomaco Altri tumori Ictus CHD Altre MCV European Statistics 2008
Figura 1
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tus tende ad essere più elevata con una mortalità ad un mese del 25% circa (3). A fronte di queste evidenze, si tende ancora a sottovalutare l'importanza del rischio di malattie CV nella donna, perché considerate condizione specifica del sesso maschile. Ciò determina una minore attenzione da parte dei medici per quanto riguarda l'identificazione dei fattori di rischio, la diagnosi ed il trattamento, ma anche da parte delle donne stesse, che hanno un percezione sbagliata di quali saranno i loro più gravi problemi di salute e non sanno riconoscere adeguatamente i sintomi ed i segni delle malattie cardio e cerebrovascolari. La identificazione dei fattori di rischio CV ed il loro controllo tramite misure preventive ha contribuito alla riduzione delle malattie CV, sebbene la prevalenza di tali fattori sia ancora elevata. Lo studio Interheart ha recentemente identificato 9 fattori di rischio modificabili, associati alla incidenza di infarto del miocardio e tali da spiegare il 95% del rischio attribuibile alla popolazione dell'infarto acuto del miocardio in uomini e donne di tutto il mondo (Figura 2). Alcuni fattori identificati sono simili per uomini e donne, e sono costituiti da dislipidemia, fumo, obesità addominale, dieta inadeguata e fattori psicosociali, mentre la associazione tra incidenza di infarto del miocardio e la presenza di ipertensione arteriosa e di diabete mellito, la mancanza di attività fisica e l'astensione dall'abuso di sostanze alcooliche è più stretta nelle donne rispetto all'uomo. Il fumo di sigaretta, anche dopo la sospensione, esercita una maggiore influenza e favorisce la comparsa di infarto acuto del miocardio soprattutto nell'uomo, forse perché in molte società le donne
Si tende ancora a sottovalutare l'importanza del rischio di malattie CV nella donna, perché considerate condizione specifica del sesso maschile. Ciò determina una minore attenzione da parte dei medici per quanto riguarda l'identificazione dei fattori di rischio, la diagnosi ed il trattamento... hanno per anni fumato meno rispetto agli uomini. Nelle società con più rapido sviluppo economico l'abitudine al fumo si sta rapidamente diffondendo tra le donne più giovani ed il fumo di sigaretta rappresenta un fattore di rischio molto importante, anche nelle donne; in Italia le percentuali più elevate di fumatrici (circa il 25%) si trovano tra le ragazze di età tra i 15 e 22 anni e superano quelle dei loro coetanei. Inoltre, nelle donne, un numero di sigarette relativamente basso (1-4 al giorno) è in grado di raddoppiare il rischio di malattia coronarica e diventa particolarmente pericoloso durante contemporanea assunzione di contraccettivi. Nelle donne l'ipertensione arteriosa abitualmente compare dopo i 45 anni e dopo i 60 anni circa l'80 % delle donne sono ipertese. L'ultimo report dello studio statunitense NHANES evidenzia che la prevalenza di ipertensione nell'uomo supera quella nella donna solo nelle fasce di età più giovani (20-45 anni), è simile nella fascia di età 45-54 anni (37,5%), e poi diventa minore nelle fasce di età più avanzate. Nelle donne anziane la forma più comune di ipertensione arteriosa è l'ipertensione sistolica isolata, che riflette una perdita della distensibilità aortica e prelude ad un maggior rischio di eventi cardiovascolari. L'aumento della colesterolemia si manifesta circa 10 anni più
Rischio attribuibile alla popolazione nello studio Interheart per i diversi fattori di rischio 50 Donne
Uomini
40 30 20 10 0 Apo B/apoA1
fumo
ex-fumo
IA
DM
obesità
F PS
In fisica
No alcool
Dieta
IA = ipertensione arteriosa; DM = diabete mellito; F PS = fattori psicosociali; In fisica = inattività fisica
Figura 2
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Nelle donne l'ipertensione arteriosa abitualmente compare dopo i 45 anni e dopo i 60 anni circa l'80 % delle donne sono ipertese. tardi nella donne rispetto all'uomo, tra i 55 ed i 65 anni e si associa ad un maggior rischio di eventi coronarici in entrambi i sessi. Le donne ricevono meno spesso un adeguato trattamento farmacologico per la dislipidemia,nonostante la dimostrazione che il trattamento con statine produce un simile beneficio nella prevenzione degli eventi cardiovascolari nei due sessi e le indicazioni di linee guida internazionali che suggeriscono di raggiungere determinati valori di colesterolo LDL plasmatico. In Italia un'elevata concentrazione di colesterolo totale e LDL, ed una concentrazione patologica di colesterolo HDL sono più frequenti nelle donne che negli uomini (39 vs 33%, 62 vs 70% e 20% vs 31%). L'aumento dei valori di trigliceridi, della obesità addominale, e dell'ipertensione arteriosa sembra essere responsabile dell'aumentata prevalenza della sindrome metabolica che si associa ad un rischio di eventi cardiovascolari maggiore nelle donne che non negli uomini, con un rischio relativo pari a 2,10 e 1,57 nelle donne e uomini rispettivamente (4). Le alterazioni dei vari fattori di rischio osservate nelle donne riflettono la grande influenza che le modificazioni dello stile di vita hanno prodotto nella incidenza di malattie cardiovascolari nel tempo, e che hanno controbilanciato l'effetto protettivo esercitato dall'assetto ormonale femminile. La conseguenza di questi fenomeni è rappresentata dalla scarsa capacità di applicare algoritmi di calcolo del rischio cardiovascolare generati negli anni passati. Il calcolo del rischio di Framingham si basa sulla valutazione di alcuni fattori (tra cui non è compreso il peso corporeo o la circonferenza addominale) per calcolare il rischio CV della popolazione generale, con punteggi diversi per la malattia coronarica e per l'ictus. Ridker et al. hanno proposto un altro sistema di valutazione (Reynolds),analizzando ben 35 fattori di rischio in circa 25.000 donne sane negli Stati Uniti, di età superiore a 45 anni, seguite per 10 anni.Mediante questo modello di calcolo del rischio, circa il 40-50% delle donne inizialmente classificate a rischio intermedio sulla base del punteggio di Framingham, è stata riclassificata in una classe di rischio superiore o inferiore, con una accuratezza del 98%. Nel 2007 l'American Heart Association ha aggiornato le tabelle per la classificazione del rischio CV nella donna, includendo nella categoria a rischio elevato donne con malattia coronarica, arteriopatia obliterante agli arti inferiori ,insufficienza renale cronica e diabete mellito, e con un rischio di Framingham maggiore del 20% e hanno posto nella categoria di rischio ottimale le donne
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senza fattori di rischio, con adeguato stile di vita e un rischio di Framingham < 10%. In Europa la Società Europea di Cardiologia ha proposto la stima del rischio cardiovascolare con il progetto SCORE, che si basa sui dati relativi a 12 studi di coorte europei, e calcola il rischio assoluto a 10 anni di eventi mortali cardiovascolari in due zone (Nord e Sud Europa, rispettivamente a rischio più elevato e meno elevato). In base alle carte del rischio SCORE potrebbe sembrare che le donne abbiano un rischio cardiovascolare assoluto minore rispetto agli uomini, ma l'unica differenza è rappresentata dal fatto che il rischio è dilazionato di 10 anni. Inoltre, nelle donne più giovani, che hanno un rischio assoluto molto basso, il sistema SCORE suggerisce di estrapolare il rischio di quella donna all'età di 60 anni per determinare il rischio cardiovascolare se l'esposizione attuale a quei fattori persistesse fino a quella età. Infine il sistema SCORE, anche nell'ambito di un punteggio di rischio CV basso, consente di stimare il rischio relativo. Le linee guida della Società Europea dell'ipertensione arteriosa considerano gli stessi fattori di rischio per gli uomini e le donne, per la stratificazione del rischio CV, con l'unica differenza dell'età (superiore a 65 anni nella donna e 55 nell'uomo) e danno ampio spazio alla valutazione del danno d'organo che meglio può identificare l'effetto diretto di alterazioni anche modeste dei vari fattori di rischio sull'apparato CV e renale. In conclusione, le malattie CV sono di frequente riscontro nelle donne,si presentano con una sintomatologia spesso atipica, compaiono ad una età più avanzata rispetto agli uomini e rappresentano la conseguenza degli stessi fattori di rischio, che tuttavia sembrano esercitare un peso diverso nei due sessi. Le Società scientifiche raccomandano una particolare attenzione nella corretta stratificazione del rischio e nella applicazione aggressiva di misure preventive. Le malattie CV sono di frequente riscontro nelle donne, si presentano con una sintomatologia spesso atipica, compaiono ad una età più avanzata rispetto agli uomini e rappresentano la conseguenza degli stessi di fattori di rischio simili che tuttavia sembrano influire in misura diversa. Bibliografia 1. Shaw LJ et al. Impact of Ethnicity and Gender Differences on Angiographic Coronary Artery Disease Prevalence and In-Hospital Mortality in the American College of Cardiology-National Cardiovascular Data Registry Circulation,2008;117:1787-1801. 2.Anand S et al.Risk factors for myocardial infarction in women and men:insights from the INTERHEART study. European Heart Journal (2008) 29, 932-940. 3. Appelros et al Sex Differences in Stroke Epidemiology: A Systematic Review Stroke. 2009;40:1082-1090. 4. Galassi A, Reynolds K, He J: Metabolic syndrome and risk of cardiovascular disease: a meta-analysis. Am J Med 2006;119:812-819). 5.Stramba-Badiale M,et al.Cardiovascular diseases in women:a statement from the policy conference of the European Society of Cardiology Eur Heart J 2003;24,987-1003.
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Un personaggio in cerca di autore: la difficoltà nella stratificazione del rischio cardiovascolare nella pratica clinica Dr. Italo Paolini MMG Ascoli Piceno, area cardiovascolare SIMG
Perchè valutare il rischio cardiovascolare Il rischio cardiovascolare (CV) globale rappresenta la probabilità del soggetto di incorrere in un certo lasso di tempo (solitamente valutato in 10 anni) in un evento coronarico o cerebrovascolare. Si tratta quindi di un rischio assoluto espresso in percentuale. Il concetto della valutazione globale del rischio CV del paziente ha progressivamente e quasi definitivamente sostituito l'approccio basato sulla valutazione e trattamento del singolo fattore di rischio.L'indicatore del rischio assoluto del soggetto,basato sulla valutazione e stratificazione del rischio CV consente di valutare meglio la reale situazione di pericolo e di attuare quindi strategie preventive di maggiore efficacia. Solo una piccola percentuale di individui presenta un fattore di rischio “isolato” (ipertensione, ipercolesterolemia, diabete...) e, più frequentemente, si assiste alla coesistenza, nello stesso soggetto, di diversi fattori e situazioni di rischio con un potenziamento reciproco di tipo esponenziale sul rischio CV globale. La situazione attuale nella pratica del Medico di Medicina Generale (MMG) italiano Il livello di rischio assoluto degli individui può essere determinato sia dalla presenza di malattia CV clinicamente manifesta, sia dall'associazione di più fattori di rischio, sia dalla presenza di “danno d'organo”e infine dalle variabili combinazioni di fattori di rischio, eventi e danno d'organo. In un recente documento della SIMG, riguardante appunto il paziente ad alto rischio CV e la sua gestione professionale in Medicina Generale (MG) vengono inseriti in questa categoria i soggetti con almeno una delle seguenti caratteristiche: - coronaropatia nota (infarto miocardico, procedure di rivascolarizzazione coronarica, angina pectoris), - ictus cerebri/TIA (di origine aterosclerotica),
- arteriopatia periferica (patologia aterosclerotica - stenotica, occlusiva, aneurismatica - dell'aorta e delle arterie, con esclusione delle coronarie) definizione AHA 2005, - insufficienza renale (GFR stimata < 60 ml/min e/o micro/macroalbuminuria adeguatamente accertate e riconfermate), - diabete mellito, - rischio stimato con algoritmo Progetto Cuore ≥ 20% a dieci anni. È necessario considerare la realtà delle cure primarie e le caratteristiche comuni di approccio e gestione di queste patologie aterosclerotiche, superando un approccio focalizzato sulla singola situazione e privilegiando l'identificazione e l'ottimizzazione di approccio di tutta la coorte di pazienti definibili “ad alto rischio cardiovascolare”. Questo inquadramento complessivo rende parzialmente superata, nella pratica professionale quotidiana, la distinzione tra prevenzione primaria e prevenzione secondaria e rafforza la necessità di identificare e gestire adeguatamente l'alto rischio assoluto. Con una valutazione di questo tipo ci si rende compiutamente conto della reale entità numerica di questi pazienti e delle necessità assistenziali che ne derivano. I dati derivanti da ISTAT, progetto CUORE, database Health Search/Thales in merito alle singole condizioni cliniche mostrano infatti come un MMG, con mille assistiti, si trovi a gestire circa 100-130 pazienti definibili ad alto rischio CV. Il concetto della valutazione globale del rischio CV del paziente ha progressivamente e quasi definitivamente sostituito l'approccio basato sulla valutazione e trattamento del singolo fattore di rischio.
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Prevalenza attesa per 1000 assistiti di condizioni cliniche ad alto rischio CV Numero pazienti Condizione clinica 20 pregresso infarto miocardico 25-30 angina pectoris 15 pregresso ICTUS cerebri 15-20 arteriopatia ostruttiva periferica sintomatica 20 rischio ISS > del 20% 66 diabetici ed ipertesi sindrome metabolica 200 danno renale 150 dislipidemia familiare 15-20
Tabella 1
La tabella 1 mostra la presenza attesa delle singole condizioni cliniche (il paziente presenta spesso comorbidità e le singole prevalenze non possono essere sommate) ogni 1000 assistiti. La prevenzione cardiovascolare (CV) nella pratica professionale quotidiana Identificare questi pazienti e stratificare il loro rischio significa poter disporre di alcune informazioni clinico-laboratoristichestrumentali puntualmente registrate nella cartella clinica computerizzata del MMG. Qual'è, a questo proposito, la situazione del livello di registrazione nelle cartelle cliniche dei MMG italiani? I dati raccolti nel database Health Search-Thales consentono alcune valutazioni interessanti al fine di attuare un percorso di valutazione e miglioramento continuo. La tabella 2 mostra come vi siano notevoli carenze nella registrazione di parametri indispensabili alla corretta valutazione e stratificazione dei pazienti. La mancanza di elementi come il dato pressorio, i parametri lipidici, la creatininemia, rendono impossibile l'ulteriore valutazione del paziente per decidere intensità e tipologia del follow-up e la necessità di ottimizzazione terapeutica. Anche il livello di controllo dei fattori di rischio e la prescrizione di farmaci raccomandati evidenziano notevoli criticità e la necessità di adeguata sistematizzazione nell'approccio professionale che presenta notevoli variabilità individuali. Lo schema tradizionale divide l'approccio da parte del MMG Il livello di rischio assoluto degli individui può essere determinato sia dalla presenza di malattia CV clinicamente manifesta, sia dall'associazione di più fattori di rischio, sia dalla presenza di “danno d'organo” ....
I dati derivanti da ISTAT, progetto CUORE, database Health Search/Thales in merito alle singole condizioni cliniche mostrano infatti come un MMG, con mille assistiti, si trovi a gestire circa 100-130 pazienti definibili ad alto rischio CV. come basato su tre scenari: medicina di attesa, medicina di opportunità, medicina di iniziativa. La medicina di attesa rappresenta tuttora il modello prevalente e vede il MMG intervenire in base al bisogno o alla richiesta espressa da paziente in occasione del contatto. Probabilmente questo tipo di approccio risulta poco adatto per le esigenze derivanti dalla misurazione e stratificazione del rischio CV nei soggetti con patologia aterosclerotica. La grande frequenza di accesso riscontrata nello studio del MMG (in due anni oltre l'80% della popolazione di assistiti ha contatto con il proprio medico curante) è legata in gran parte a situazioni acute non gravi o ad esigenze di tipo burocratico che rendono difficile, in un'attività non specificamente organizzata e quantitativamente molto impegnativa, la messa in opera delle opportunità professionali potenzialmente sfruttabili nel contatto con l'assistito. La barra dovrebbe spostarsi decisamente verso medicina di opportunità e di iniziativa con un netto potenziamento della componente organizzativa da parte del MMG e del personale di studio. Questo significa,per il MMG,in primo luogo,identificare la popolazione ad alto rischio CV, costruendo un vero e proprio registro di patologia,e caratterizzare il profilo di rischio in base a parametri clinico-laboratoristici-strumentali. In pratica e sinteticamente,i parametri di cui disporre per identificare i soggetti e monitorarne i fattori di rischio derivano, oltre che dalla valutazione e registrazione di malattie CV o renali conclamate,da: • calcolo del rischio CV globale (algoritmo progetto CUORE) da effettuarsi almeno ogni 5 anni nei soggetti con età compresa tra 35 e 69 anni; • valutazione e registrazione della familiarità per m. cardiovascolari precoci (M età <55 anni; D età < 65 anni) e per dislipidemia familiare;
% di registrazione di alcuni parametri importanti nella valutazione del paziente
COL.TOT LDL COL. (dato calcolabile) CREATININA P.A.
33% 59%
51% 54%
69,2% 52%
HS/Thales database 2005
Tabella 2
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arteriopatia diabete 1° anno post IMA (media 2001-2005) arti inf. (2005) + IPA 58% 80% 42% 47% 69,9% 33%
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• stima del filtrato glomerulare con formula di Cockroft o MDRD (Modification of Diet in Renal Disease); • valutazione della macroalbuminuria con esame urine; • valutazione della microalbuminuria nei pazienti diabetici ed ipertesi; • valutazione ECGgrafica o ecocardiografica di IVS nei soggetti ipertesi e/o diabetici; • ecografia addome per identificare aneurisma aorta addominale in uomini con età >60 anni e familiarità di primo grado per aneurisma aortico e popolazione tra 65 e 74 anni, con abitudine tabagica attuale o pregressa; • misurazione (con tecnica adeguata) e registrazione dei valori pressori almeno ogni 6 mesi (in presenza di controllo pressorio); • valutazione indice Winsor nei soggetti ipertesi e/o diabetici (< 0,9); • valutazione pressione pulsatoria (negli anziani); • determinazione di colesterolo tot./LDL (almeno annualmente, se controllato); • determinazione di trigliceridi e col.HDL; • determinazione glicemia (almeno annualmente, in assenza di patologia diabetica); • valutazione e registrazione della presenza di alterata glicemia a digiuno (102-125 mg/dl) e di alterata glicemia da carico (140-200 mg/dl dopo 2 ore dall'assunzione di 75 g. glucosio); • registrazione abitudine tabagica in tutti i pazienti e valutazione disponibilità a smettere, nei fumatori (ad ogni contatto); • valutare e registrare BMI e circonferenza addominale (CA) almeno ogni 6 mesi nei soggetti diabetici; • valutare il livello di attività fisica (almeno annualmente). Così si identificano e selezionano i pazienti che presentano rischio clinicamente noto (coronaropatia, aterosclerosi periferica, ictus/tia), un singolo fattore di rischio particolarmente pericoloso (PAS >180 mmHg e/o PAD ≥ a 110 mmHg; PAS >160 con PAD <70 mmHg; diabete mellito; dislipidemia familiare), la presenza di sindrome metabolica, la presenza di un rischio CV globale elevato (secondo algoritmo CUORE per la presenza di diversi fattori di rischio CV o per la presenza di 3 o più fattori di rischio CV), la presenza di danno d'organo subclinico (a livello cardiaco, renale, e delle arterie periferiche).
La valutazione e stratificazione del rischio cardiovascolare consente di identificare i soggetti che necessitano di terapia, farmacologica e non farmacologica, adeguata per il raggiungimento di adeguati target pressori e metabolici e di un follow-up programmato e puntuale al fine di ottenere una compliance adeguata. farmacologica e non farmacologica, adeguata per il raggiungimento di adeguati target pressori e metabolici e di un follow-up programmato e puntuale al fine di ottenere una compliance adeguata. Perchè questi obiettivi si realizzino compiutamente è necessario, partendo dall'analisi delle difficoltà e criticità esistenti con una periodica attività di AUDIT professionale, virare verso un modello che sia caratterizzato da: • medicina di opportunità ed iniziativa con ruolo attivo nei confronti dei pazienti inseriti nell'alto rischio CV; • conoscenza e disponibilità di strumenti di calcolo adeguati; • disponibilità di strumenti software che consentano di - evidenziare le situazioni di maggior rischio - creare registri di patologia - segnalare la mancanza di parametri indispensabili alla valutazione o al monitoraggio - segnalare le criticità nella gestione della terapia (compliance, mancanza di farmaci “indispensabili”, ...) - gestire un follow-up attivo; • disporre di indicatori adeguati per la verifica del proprio agire professionale ed utilizzarli periodicamente e routinariamente mediante strumenti che rendano semiautomatica la funzione di audit professionale. Inoltre, la presenza di personale di studio, la gestione tramite appuntamenti e orari professionali dedicati,la presenza di forme organizzative di maggiore complessità, la presenza di personale infermieristico, l'aumento della dotazione strumentale minima (minidoppler, ECG, holter pressorio...) rappresentano ulteriori e non secondari elementi sui quali fondare la rivisitazione del modello professionale al fine di superare le difficoltà e criticità attualmente presenti. Bibliografia
Conclusioni La valutazione e stratificazione del rischio cardiovascolare consente di identificare i soggetti che necessitano di terapia, Questo significa, per il MMG, in primo luogo, identificare la popolazione ad alto rischio CV,costruendo un vero e proprio registro di patologia, e caratterizzare il profilo di rischio in base a parametri clinico-laboratoristici-strumentali.
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Il misuratore della pressione Omron M6 comfort è Clinicamente validato secondo i protocolli della European Society of Hypertension e della British Hypertension Society, anche per popolazioni speciali come obesi e anziani. Tutte le validazioni sono pubblicate su riviste scientifiche internazionali (riferimenti bibliografici sul sito www.dableducational.org) Le validazioni cliniche sono conseguenza della grande accuratezza e ripetibilità delle misurazioni dello strumento, garantite anche dagli esclusivi sensori Omron che rilevano pulsazioni irregolari e movimenti anomali del braccio: i due principali fattori di inaccuratezza degli sfigmomanometri digitali. Il misuratore è dotato di BRACCIALE COMFORT che grazie alla sua doppia camera d’aria assicura una compressione del braccio non dolorosa ma estremamente efficace; adatto anche al paziente obeso per il quale non è richiesto un bracciale apposito. Display di grandi dimensioni, unico bottone di funzionamento e memorie automatiche per rendere estremamente semplice l'utilizzo anche per un pubblico anziano.
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Anno I - N. 3, 2009
Ruolo dell’automisurazione pressoria domiciliare nel paziente ad alto rischio cardiovascolare Dr. Paolo Verdecchia, Fabio Angeli, Giovanni Mazzotta, Giuseppe Ambrosio* Struttura Complessa di Cardiologia, Unità di Ricerca Clinica 'Cardiologia Preventiva'. Ospedale S. Maria della Misericordia, Perugia; Cardiologia e Fisiopatologia Cardiovascolare, Università degli Studi di Perugia
La stragrande maggioranza delle nostre conoscenze sulla diagnosi e la terapia dell'ipertensione arteriosa si basa sui risultati di indagini cliniche eseguite con misurazione sfigmomanometrica tradizionale della pressione arteriosa. Nel corso dell'ultimo decennio, la letteratura medica internazionale ha ospitato un numero crescente di indagini nelle quali la pressione arteriosa veniva determinata utilizzando l'auto misurazione pressoria domiciliare. Contemporaneamente, l'industria ha messo a punto strumenti automatici per l'auto misurazione pressoria sempre più accurati. Questa rassegna, in linea con il pensiero delle attuali linee guida (1), ha lo scopo di fornire alcune risposte pratiche a sette quesiti di frequente riscontro riguardanti l'auto misurazione domiciliare della pressione arteriosa.
L'automisurazione evita la ben nota 'reazione di allarme'..... Quesito 1. L'automisurazione pressoria domiciliare offre vantaggi rispetto alla misurazione tradizionale in clinica? L'automisurazione domiciliare della pressione arteriosa offre molti vantaggi rispetto alla misurazione pressoria tradizionale in ospedale o nell'ambulatorio del medico (generalmente definita pressione arteriosa “clinica”). Come primo punto, l'auto misurazione evita la ben nota “reazione di allarme” consistente nel rialzo pressorio transitorio, variabile da soggetto a soggetto, evocato dalla presenza del medico o comunque del contesto
Studi longitudinali sul valore prognostico della pressione arteriosa automisurata a domicilio Primo autore
Rivista
Anno di pubblicazione
Soggetti (numero)
Foll.-up (anni)
Eventi totali
Eventi fatali
Contesto clinico
Fagard R2
J Hum Hypertens
2005
391
10,9
86
55
Popolazione generale (B)
Circulation
2005
2051
10,9
n.r.
186
Popolazione generale (B)
Kidney Int
2006
257
3,5
75
52
Nefropatie croniche (B)
J Hypertens
1998
1789
6,6
n.r.
52
Popolazione generale (B)
J Hypertens
2007
662
8,2
67
78
Popolazione generale (B)
JAMA
2004
4938
3,2
324
205
Ipertensione arteriosa (T)
Sega R3 4
Agarwal R Ohkubo T
5
Stergiou GS Bobrie G7
6
Abbreviazioni: T = in trattamento farmacologico; B = con e senza trattamento farmacologico; nr = non riportati
Tabella 1
21
Anno I - N. 3, 2009
ospedaliero. Per questa ragione, la pressione arteriosa automisurata è più riproducibile della pressione arteriosa “clinica”. Inoltre, l'automisurazione della pressione arteriosa può essere ripetuta indefinitamente in vari momenti della giornata: a domicilio, a lavoro, durante i pasti, al risveglio, a distanza variabile di tempo dall'assunzione di un eventuale trattamento farmacologico, in condizioni di particolare stress, etc. Non deve essere trascurato anche il fatto che i moderni strumenti automatici forniscono un valore “esatto” della pressione arteriosa, che quindi evita la cosiddetta “digit preference”, consistente nella predilezione per valori pressori “fissi” (es. 130, 140, 150, 160 mmHg, etc) alla misurazione sfigmomanometrica tradizionale. Quesito 2. Il valore prognostico della pressione arteriosa automisurata è superiore a quello della pressione arteriosa “clinica”? La tabella 1 mostra una sintesi dei principali studi epidemiologici che hanno confrontato il valore prognostico della pressione arteriosa auto misurata e della pressione arteriosa “clinica”. In tutti gli studi eseguiti, la pressione arteriosa automisurata ha mostrato di essere superiore alla pressione arteriosa “clinica” nella stratificazione prognostica del rischio cardiovascolare. Va osservato che questi studi sono stati eseguiti pressoché totalmente in soggetti in trat-
.....la pressione arteriosa automisurata ha mostrato di essere superiore alla pressione arteriosa “clinica” nella stratificazione prognostica del rischio cardiovascolare.
tamento farmacologico al momento dell'automisurazione pressoria. Quesito 3. Gli apparecchi portatili per l'automisurazione domiciliare della pressione sono attendibili? Alcuni apparecchi attualmente in commercio hanno superato severi test di valutazione raccomandati da organismi internazionali e da Società Scientifiche. Gli apparecchi che misurano la pressione arteriosa al polso o al dito non dispongono, con alcune eccezioni, di accurati studi di validazione. Si consiglia di visitare il sito Internet www.dableducational.org, che informa molto diffusamente sugli apparecchi validati e su quelli non validati sia per la misurazione pressoria domiciliare sia per il monitoraggio ambulatoriale nelle 24 ore. Quesito 4. Quale deve essere la posizione del paziente quando si automisura la pressione arteriosa? Questo è un aspetto di vitale importanza, sottolineato dalle lineeguida, che tutti i pazienti che si automisurano la pressione arteriosa dovrebbero conoscere. Il paziente non deve fumare né assumere caffeina nei 30 minuti precedenti
Diagramma operativo per l’interpretazione dei risultati dell’automisurazione domiciliare della pressione arteriosa Pazienti non in trattamento farmacologico
Pazienti in trattamento farmacologico < 130/80 mmHg
< 130/80 mmHg
PA normale
Continuare terapia in atto
Osservazione
< 130-135/80-85 mmHg
< 130-135/80-85 mmHg
Reperto dubbio
Basarsi sulla PA clinica e attenersi alle linee guida
Figura 1
22
Reperto dubbio > 135/85 mmHg
> 135/85 mmHg
PA elevata
Buon controllo PA
Iniziare Terapia farmacologica
Iniziare Terapia farmacologica
PA non controllata
Anno I - N. 3, 2009
l'automisurazione. Deve restare in posizione comodamente seduta per almeno 3-5 minuti prima della misurazione, con le gambe non accavallate e con il braccio appoggiato su un piano possibilmente morbido all'altezza del cuore. Il bracciale deve essere di dimensioni appropriate rispetto alla circonferenza del braccio (12 x 26 cm secondo la British Hypertension Society e 16 x 30 secondo l'American Heart Association nella maggioranza degli adulti). Quesito 5. Quanto frequentemente va eseguita l'automisurazione della pressione arteriosa? Nella pratica clinica, molti pazienti si automisurano la pressione piuttosto raramente. Altri pazienti lo fanno piuttosto spesso fino anche a molte volte ogni giorno. Le linee guida suggeriscono che, nel caso della valutazione iniziale nel paziente iperteso, così come nel caso di una valutazione in corso di trattamento farmacologico precedente una visita clinica, la pressione arteriosa dovrebbe essere automisurata intorno alle ore 8 di mattina e intorno alle ore 20 di sera, sempre prima dei pasti o dell'eventuale trattamento farmacologico, idealmente per una settimana intera (non meno di 3 giorni all'interno della settimana). Ogni volta dovrebbero essere eseguite almeno 2 misurazioni pressorie, che andrebbero registrate su un diario. Secondo alcuni autori, i valori raccolti pressori nel primo giorno di misurazione dovrebbero essere scartati, per l'eccessiva variabilità. Quesito 6. Come interpretare i risultati? Sul totale dei valori pressori raccolti, il valore medio complessivo dovrebbe essere inferiore ai 135 mmHg per la PA sistolica ed agli 85 mmHg per la PA diastolica. In questi casi si può parlare di pressione arteriosa ben controllata dal trattamento in caso di pazienti in terapia. Nei pazienti non in trattamento farmacologico, valori superiori ai 135/85 mmHg sono indice di pressione arteriosa patologica e meritevole di trattamento farmacologico (figura). Nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare, questi valori “target” andrebbero ulteriormente ridotti, sebbene non esistano ancora solide evidenze scientifiche in merito. Quesito 7. In quali pazienti l'automisurazione presso-
.....la pressione arteriosa dovrebbe essere automisurata intorno alle ore 8 di mattina e intorno alle ore 20 di sera, sempre prima dei pasti o dell'eventuale trattamento farmacologico.
L'automisurazione pressoria domiciliare nel paziente iperteso in trattamento è sostanzialmente assimilabile all'automisurazione domiciliare della glicemia nel paziente diabetico.
ria domiciliare è particolarmente indicata? L'automisurazione pressoria domiciliare nel paziente iperteso in trattamento è sostanzialmente assimilabile all'automisurazione domiciliare della glicemia nel paziente diabetico. Non è azzardato proporre che tutti o quasi tutti i pazienti ipertesi in trattamento cronico dovrebbero essere educati all'automisurazione pressoria domiciliare, particolarmente in presenza di danno d'organo indotto dall'ipertensione. Andrebbe tuttavia evitata l'eventualità che il paziente sviluppi un atteggiamento ossessivo e compulsivo verso l'automisurazione pressoria, così come va evitata la possibilità che il paziente inizi ad auto “aggiustarsi” la terapia, sulla base dei valori pressori riscontrati, senza opportuna educazione in merito. Tuttavia, in certe condizioni (es: fisiologico calo pressorio nei mesi estivi e conseguente “alleggerimento” della terapia anche per evitare o prevenire sintomi da ipotensione) un certo margine di automodulazione terapeutica da parte del paziente può anche risultare desiderabile. Bibliografia 1. Parati G, Stergiou GS, Asmar R, Bilo G, de Leeuw P, Imai Y, Kario K, Lurbe E, Manolis A, Mengden T, O'Brien E, Ohkubo T, Padfield P, Palatini P, Pickering T, Redon J, Revera M, Ruilope LM, Shennan A, Staessen JA, Tisler A, Waeber B, Zanchetti A, Mancia G; ESH Working Group on Blood Pressure Monitoring. European Society of Hypertension guidelines for blood pressure monitoring at home: a summary report of the Second International Consensus Conference on Home Blood Pressure Monitoring. J Hypertens. 2008; 26:1505-1526. 2. Fagard RH, Van Den Broeke C, De Cort P. Prognostic significance of blood pressure measured in the office, at home and during ambulatory monitoring in older patients in general practice. J Hum Hypertens. 2005;19:801-807. 3.Sega R,Facchetti R,Bombelli M,Cesana G,Corrao G,Grassi G,Mancia G.Prognostic value of ambulatory and home blood pressures compared with office blood pressure in the general population: follow-up results from the Pressioni Arteriose Monitorate e Loro Associazioni (PAMELA) study. Circulation. 2005;111:1777-1783. 4. Agarwal R, Andersen MJ. Prognostic importance of clinic and home blood pressure recordings in patients with chronic kidney disease. Kidney Int. 2006;69: 406-411. 5. Ohkubo T, Imai Y, Tsuji I, Nagai K, Kato J, Kikuchi N, Nishiyama A, Aihara A, Sekino M, Kikuya M, Ito S, Satoh H, Hisamichi S. Home blood pressure measurement has a stronger predictive power for mortality than does screening blood pressure measurement: a population-based observation in Ohasama, Japan. J Hypertens. 1998;16:971-975. 6. Stergiou GS, Baibas NM, Kalogeropoulos PG. "Cardiovascular risk prediction based on home blood pressure measurement: the Didima study. J Hypertens. 2007;25:1590-1596. 7. Bobrie G, Chatellier G, Genes N, Clerson P, Vaur L, Vaisse B, Menard J, Mallion JM. Cardiovascular prognosis of "masked hypertension" detected by blood pressure self-measurement in elderly treated hypertensive patients. JAMA. 2004;291:1342-1349.
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Strumento non invasivo per la misurazione della pressione arteriosa centrale e il calcolo dell’augmentation index OMRON HEM-9000AI Il calcolo della Presione Centrale richiede una misura molto accurata della Pulse Wave Velocity consentita dal metodo APPLANATION TONOMETRY. La PWV viene rilevata da un particolare dispositivo dotato di una matrice di oltre 40 sensori applicati al polso, attivati dalla leggera pressione esercitata sull’arteria radiale.
TÀ T I L BI LTA I T IPE ISU R A T L R A DEI
La rilevazione dell’onda di polso attraverso l’APPLANATION TONOMETRY è automatica ed avviene senza alcun intervento da parte del medico. in questo modo la misurazione è del tutto indipendente dall’operatore.
I
VA I S GIA LU O OL ESC N C E T
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Anno I - N. 3, 2009
Un nuovo marker indipendente del rischio CV chiamato Augmentation index Ettore Ambrosioni, Dott. Eugenio Roberto Cosentino*, Dott.ssa Elisa Rebecca Rinaldi* Dipartimento di Medicina Clinica e Biotecnologia Applicata “D.Campanacci” Università di Bologna
La pressione arteriosa centrale e la misura della rigidità arteriosa sono oggi parametri di riconosciuta importanza nella valutazione del rischio cardiovascolare. La pressione sistolica centrale è inoltre un predittore indipendente della cardiopatia di nuova diagnosi, non correlato alla pressione sistolica brachiale (1). Dato che la pressione sistolica, la diastolica e la pressione di polso sono correlate alle proprietà elastiche delle arterie, è evidente come sia stata posta una particolare attenzione alla rigidità arteriosa, alla velocità dell'onda di polso aortico (pulse wave velocità-PWV) ed all'accelerazione della riflessione dell'onda come fattori di rischio cardiovascolare. L'indice di aumento aortico (Augmentation indexAix) e la PWV, misure della rigidità sistemica e aortica, sono stati associati all'invecchiamento nonché a ipertensione, diabete, ipercolesterolemia e nefropatia (2). Aix e PWV sono entrambi forti predittori indipendenti della mortalità cardiovascolare e generale nei pazienti affetti da insufficienza renale terminale (3). Inoltre, Aix è stato identificato quale forte marker indipendente del rischio di coronaropatia (4), mentre PWV è risultato un predittore indipendente di morbilità e mortalità nei pazienti ipertesi (5) e diabetici (6). La pressione arteriosa centrale e la misura della rigidità arteriosa sono oggi parametri di riconosciuta importanza nella valutazione del rischio cardiovascolare.
Con l'invecchiamento, le grandi arterie si irrigidiscono e si dilatano progressivamente con conseguente elevazione della pressione arteriosa sistolica e della pressione differenziale, potenziale causa di sviluppo di ipertensione sistolica isolata, il disturbo ipertensivo più diffuso tra i pazienti anziani. L'irrigidimento delle arterie, inoltre, eleva la richiesta di sangue da parte del miocardio e la pressione sistolica centrale, mentre riduce la pressione di perfusione coronarica e, di conseguenza, aumenta drasticamente il rischio di infarto, ictus e scompenso cardiaco. Diversi studi hanno individuato un'associazione positiva tra rigidità arteriosa (PWV ed Augmentation index aortici) ed età (7) (figura 1). I valori della pressione differenziale (PD), aumento pressorio (AP) e Aix e della velocità dell'onda di polso aortico aumentano in misura significativa con l'età, ma Aix e PWV seguono decorsi diversi. Le variazioni di Aix sono maggiori nei soggetti di età inferiore ai 50 anni, mentre i cambiamenti di PWV aortico sono più marcati dopo i 50 anni. Alterazioni di questi parametri si possono evidenziare anche in altre condizioni cliniche. Nei tabagisti, ad esempio, il fumo di sigaretta innalza in misura consistente i valori di Aix e PWV nonchè la pressione arteriosa centrale. Inoltre, è stata identificata un'assoL'indice di aumento aortico è stato identificato quale forte marker indipendente del rischio di coronaropatia.
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Anno I - N. 3, 2009
Age related changes in wave reflection characteristic and pressure wave shapes
Radial Artery
100
60
(Age 19 yrs) Sp
Aorta
Sp
102 86 Dp
Dp
62
62
MP
MP
72
72
PP
PP
40
24
(Age 42 yrs)
130
Sp
(mmHg)
Dp
81
80
Sp
132 121 Dp
82
MP
MP
99
99
PP
PP
51
39
(Age 83 yrs)
150
Sp
Dp
71
Dp
71
MP
MP
98
98
PP
70
Sp
153 146
82
PP
75 Wilmer W. Nichols; AJH 2005
Figura 1 ciazione tra alti livelli di colesterolo, elevata pressione differenziale centrale e rigidità arteriosa, anche in presenza di livelli pressori periferici relativamente bassi. In particolare, il colesterolo LDL (a differenza dell'HDL) è un determinante indipendente della rigidità arteriosa, che si manifesta con un aumento di Aix. Il calcolo della pressione arteriosa centrale richiede una rilevazione accurata e molto precisa dell'onda di polso. Il Tonometry applanation rappresenta un metodo non invasivo che ripete significativamente le misurazioni ottenute mediante cateterismo invasivo. Il tonometry applanation è un particolare dispositivo dotato di una matrice di sensori che viene applicato a livello del polso radiale e viene attivato da una leggera pressione esercitata sull'arteria radiale in modo da bilanciare la pressione intra-arteriosa con quella rilevata dal sensore. Il sistema
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analizza il profilo arterioso a livello del cuore, fornendo dati importanti sull'impatto clinico della rigidità arteriosa e della riflessione dell'onda. Lo strumento è inoltre capace di misurare la rigidità arteriosa dell'aorta. Recenti evidenze scientifiche hanno mostrato come alcuni farmaci antipertensivi abbiano un'azione maggiore a livello della pressione arteriosa centrale rispetto a quella periferica. Questo vale in particolar modo per quei farmaci che agiscono a livello del Sistema renina-angiotensina-aldosterone. Nello studio REASON (Regression of Arterial Stiffness in a Controlled Double Blind study), la terapia con perindopril induceva una riduzione della pressione sistolica aortica e della pressione di polso significativamente maggiore rispetto alla terapia con atenololo, nonostante entrambi determinassero una riduzione corrispondente di PWV (7). Allo stesso modo, nello studio LIFE, losartan determinava una riduzione della pressione periferica sostanzialmente corrispondente ad atenololo, ma causava una riduzione della pressione centrale significativamente maggiore (figura 2). Tale dato sembra poter spiegare come il trattamento con losartan fosse più efficace nella riduzione della massa ventricolare sinistra e della mortalità cardiovascolare (7). Anche nello studio CAFE (Conduit Artery Functional End-point), sottostudio dello studio ASCOT (Anglo-Scandinavian Cardiac Outcomes Trial), il regime terapeutico a base di amlodipina-perindopril era più efficace nel ridurre la pressione aortica centrale rispetto ad un trattamento a base di atenololo e diuretico (figura 3). Il trial CAFE è stato il primo studio nel quale sono state effettuate misurazioni della pressione aortica centrale e anche il primo a dimostrare come la riduzione della pressione aortica centrale sia importante per la riduzione degli eventi nei pazienti con ipertensione arteriosa e proprio tale riduzione è stata verosimilmente alla base della migliore pro-
Il Tonometry applanation rappresenta un metodo non invasivo che ripete significativamente le misurazioni ottenute mediante cateterismo invasivo. Lo strumento è capace di misurare la rigidità arteriosa dell'aorta.
Anno I - N. 3, 2009
Different effect of atenolol and losartan on central and peripheral arterial pressure wave shapes in a hypertensive patient Sp
160
Sp
Dp
Dp
96
98
MP
MP
PP
81
130 Central aortic SBP 125 120
PP
67
(Atenolol) Sp
Brachial SBP
135
177 165
126 126
100
140
Aorta
(Control)
(mmHg)
Radial Artery
CAFE: Lower central aortic BP with newer vs older antihypertensive regimen despite similar brachial BP
115 0
0.5
Sp
1 1.5
2 2.5 3 3.5 4 Time (years)
4.5 5
5.5 6
(mmHg)
148 137
130
Amlodipine ± perindopril Dp
79
81
MP
MP
CAFE Investigators. Circulation. 2006;113:1213-25
Figura 3
105 105
180
PP
69
PP
56
(Losartan) Sp
Sp
146 125
130
Dp
Dp
79
81
MP
MP
102 102
180
PP
67
Atenolol ± bendroflumethiazide
Dp
PP
44 Wilmer W. Nichols; AJH 2005
Figura 2 gnosi osservata nell'ASCOT nei pazienti randomizzati a ricevere amlodipina e perindopril (8). I risultati dello studio CAFE evidenziano, inoltre, che la pressione aortica centrale è maggiormente predittiva di eventi cardiovascolari, quali l'ictus e l'attacco cardiaco, rispetto alle tradizionali misurazioni della pressione arteriosa effettuate al braccio. Infatti, visto che la pressione arteriosa sistolica
Il trial CAFE è stato il primo studio nel quale sono state effettuate misurazioni della pressione aortica centrale e anche il primo a dimostrare come la riduzione della pressione aortica centrale sia importante per la riduzione degli eventi nei pazienti con ipertensione arteriosa.
non è costante lungo l'albero arterioso, la pressione brachiale può non essere in grado di rilevare le eventuali differenze nella pressione aortica centrale né tanto meno può quantificare l'impatto che le diverse forme d'onda pressoria hanno sui vari organi. Studi su larga scala da effettuarsi in un prossimo futuro permetteranno di chiarire ancora di più il ruolo prognostico della pressione centrale nei confronti di quella tradizionale. Bibliografia 1. Roman MJ, Kizer JR, Ali T, et al. Central blood pressure better predicts cardiovascular events than does peripheral blood pressure. The strong Heart Study. American Heart Association Scientific Session 2005; Epidemiology: Tradizional CVD risk factors. 2. Nichols W, Singh B. Augmentation index as a measure of peripheral vascular disease state. Curr Opin Cardiol 2002; 17: 543-551. 3. London G, Blacher J, Pannier B, et al. Arterial wave reflections and survival in end-stage renal failure. Hypertension 2001; 38: 434-438. 4. Weber T, Auer J, O'Rourke MF, et al. Arterial stiffness, wave reflections, and the risk of coronary artery disease. Circulation 2004; 109: 184-189. 5. Laurent S, Boutouyrie P, Asmar R, et al. Aortic stiffness is an independent predictor of all-cause and cardiovascular mortality in hypertensive patients. Hypertension 2001; 37: 1236-1241. 6. Cruickshank K, Riste L, Anderson SG, et al. Aortic pulse-wave velocity and it's relationship to mortality in diabetes and glucose intolerance. Circulation 2002; 106: 2085-2090. 7. Wilmer W. Nichols; Clinical Measurement of Artrial Stiffness Obtained from non invasive pressure waveforms. AJH 2005; 18: 3s-10s. 8. Williams B, Lacy PS,Thom SM, Cruickshank K, Stanton A, Collier D, Hughes AD, Thurston H, O'Rourke M; CAFE Investigators; Anglo-Scandinavian Cardiac Outcomes Trial Investigators; CAFE Steering Committee and Writing Committee. Differential impact of blood pressure-lowering drugs on central aortic pressure and clinical outcomes: principal results of the Conduit Artery Function Evaluation (CAFE) study. Circulation. 2006 7;113 (9):1213-25.
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Anno I - N. 3, 2009
Quando scegliere l’insulina giusta Dott. Pietro Putignano Responsabile Ambulatorio di Diabetologia, Presidio Territoriale A.O. San Gerardo di Monza
vede il mantenimento degli ADO con una eventuale ottimizzazione terapeutica (ad esempio, incrementando se possibile la posologia della metformina e sostituendo la glibenclamide con altri secretagoghi meno gravati da rischio di ipoglicemia e/o incremento ponderale). Alla terapia orale viene aggiunta una singola iniezione di insulina basale “long-acting” serale o “bedtime” che, riducendo la produzione epatica di glucosio, migliora particolarmente il controllo glicemico notturno e mattutino e contrasta la glicotossicità associata allo scompenso glicometabolico. Quest'ultimo aspetto permette un potenziamento degli effetti terapeutici degli ADO specie sulla secrezione insulinica prandiale. La riduzione della HbA1c può essere anche molto marcata, specie in presenza di valori di partenza molto elevati, poichè in questi casi è massimo il contributo relativo dell'iperglicemia mattutina nel determinare i livelli di HbA1c (Fig. 1).
Contributo della glicemia plasmatica postprandiale e a digiuno all’iperglicemia totale nel diabete di tipo 2, al variare dei quintili di HbA1C Relative contribution of PPG and FPG to overall hyperglycaemia (%)
La terapia insulinica costituisce un caposaldo terapeutico nel paziente con diabete mellito di tipo 2. Essa rappresenta una opzione obbligata in presenza di iperglicemia (emoglobina glicosilata, HbA1c > 7,5%) accompagnata a sintomatologia caratteristica di deficit insulinico (calo ponderale non altrimenti giustificabile, chetonuria), nell'anziano inappetente in fase catabolica, nel corso di malattie intercorrenti, terapia cortisonica, stress, sepsi, traumi, interventi chirurgici, diabete gravidico, diabete gestazionale (ove la dieta risulti insufficiente) o semplicemente quando ci si trovi in presenza di una intolleranza o di “fallimento” degli ipoglicemizzanti orali (ADO). L'introduzione della terapia insulinica reca enormi vantaggi metabolici nel breve periodo (ad esempio riduzione dell'ipertrigliceridemia) e, consentendo il raggiungimento di un controllo glicemico a lungo termine ottimale (HbA1c < 7%), permette un significativo rallentamento delle complicanze macro- e soprattutto microvascolari. L'effetto ipoglicemizzante si accompagna altresì ad una riduzione della glico- e della lipotossicità, ad un miglioramento della sensibilità insulinica, ad una soppressione della produzione epatica di glucosio e ad un incremento della risposta pancreatica beta-cellulare agli ADO. Gli obiettivi della terapia insulinica sono sostanzialmente tre: in primis, come detto, 1) il conseguimento del compenso glicemico, 2) la riduzione del rischio di ipoglicemie specie quelle severe e notturne, e 3) da ultimo, la minimizzazione dell'incremento ponderale. Lo schema iniziale denominato “starting therapy” pre-
100 80 60 40 20 0
< 7.3
La terapia insulinica rappresenta una opzione obbligata in presenza di iperglicemia (emoglobina glicosilata, HbA1c > 7,5%) accompagnata a sintomatologia caratteristica di deficit insulinico...
Fasting plasma glucose (FPG) Postprandial plasma glucose (PPG)
Figura 1
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7.3-8.4 8.5-9.2 9.3-10.2 HbA1c quintiles
> 10.2
Anno I - N. 3, 2009
In passato, l'insulina che veniva utilizzata per la starting therapy era l'NPH (Neutral Protamine Hagedorn), una insulina umana zinco protaminata. Solo negli ultimi anni sono stati introdotti gli analoghi insulinici sintetici lenti (glargine, Lantus®, detemir, Levemir®), con caratteristiche farmacocinetiche migliorative rispetto all'NPH. Infatti, l'NPH raggiunge un picco di concentrazione ematica 4-6 ore dopo la sua somministrazione inducendo di conseguenza frequenti crisi ipoglicemiche notturne e presenta una durata di azione subottimale di circa 14-16 ore. Al contrario, la glargine e la detemir (quest'ultima specie ai dosaggi maggiori) mimano la situazione fisiologica della secrezione insulinica basale in quanto non presentano un effetto picco (“distribuzione ad onda quadra”), hanno una durata d'azione ben più prolungata (fino a 24 ore) e pertanto sono associate ad un minor rischio di ipoglicemie. Un algoritmo strutturato che può essere utilizzato anche dal medico di medicina generale e dal paziente stesso per titolare la dose d'insulina basale è il seguente:
Lo schema “starting therapy” prevede il mantenimento degli ADO con l' eventuale aggiunta di una singola iniezione di insulina basale “long-acting” serale o “bedtime”..... 1. iniziare con 10 U (oppure con 0,1-0,2 U/kg peso corporeo) di insulina basale “bedtime”; 2. aggiustare periodicamente la dose insulinica in base alla media di 3 giorni della glicemia a digiuno (FPG), valutata a domicilio, nel modo seguente: se la FPG è > 180 mg/dl incrementare la posologia insulinica + 8 U; se la FPG è compresa tra 140 e 179 mg/dl incrementare di 6 U; se la FPG è compresa tra 120 e 139 mg/dl incrementare di 4 U; se la FPG è compresa tra 110 e 119 mg/dl incrementare di 2 U; se la FPG è compresa tra 56 e 72 mg/dl ridurre di 2 U; se la FPG è compresa tra 72 e 110 mg/dl lasciare invariata la dose; in presenza di severa ipoglicemia o di FPG < 56 mg/dl ridurre la dose insulinica di 4 unità. In ogni caso, per ottenere una HbA1c<7% nella maggio-
Insuline attualmente disponibili sul mercato in Italia Insuline umane solubili Insulina Regolare Insulina Regolare
Eli Lilly Novo Nordisk
Analoghi rapidi dell’insulina Insulina Lispro Insulina Aspart Insulina Glusine
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Insuline umane premiscelate Insulina umana premiscelata 30/70 (30% Insulina umana, solubile, 70% Insulina umana protaminata) Insulina umana premiscelata 50/50 (50% Insulina umana, solubile, 50% Insulina umana protaminata)
Eli Lilly, Novo Nordisk Eli Lilly, Novo Nordisk
Insuline bifasici dell’insulina Insulina Lispro bifasica 25/75 (25% Insulina Lispro, 75% Insulina Lispro protaminata) Insulina Lispro bifasica 50/50 (50% Insulina Lispro, 50% Insulina Lispro protaminata) Insulina Aspart bifasica 30/70 (30% Insulina Aspart , 70% Insulina Aspart protaminata) Insulina Aspart bifasica 50/50 (50% Insulina Aspart , 50% Insulina Aspart protaminata) Insulina Aspart bifasica 70/30 (70% Insulina Aspart , 30% Insulina Aspart protaminata)
Eli Lilly Eli Lilly Novo Nordisk Novo Nordisk Novo Nordisk
Insuline umane ad azione intermedia NPH
Eli Lilly, Novo Nordisk
Insuline umane ad azione intermedia NPL
Eli Lilly
Figura 2
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Anno I - N. 3, 2009
E' consigliabile ove è possibile specie nei pazienti obesi o in soprappeso l'associazione della metformina alla terapia insulinica, per ridurre il fabbisogno insulinico e minimizzare l'incremento ponderale iatrogeno.
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L’insulina aspart (NovoRapid®) raggiunge la sua concentrazione massima più rapidamente rispetto all’insulina regolare umana, con un picco più elevato e con un ritorno più rapido dei livelli plasmatici ai valori basali 40 35 Serum insulin (mU/l)
ranza dei casi è necessario insistere sino a ottenere una FPG compresa tra 72 e 110 mg/dl. Un atteggiamento terapeutico più prudente è consigliabile nei pazienti più anziani e comunque più fragili dal punto di vista cardiovascolare e neurologico. L'insulina glargine e l'insulina detemir associate agli ADO garantiscono un controllo glicemico sovrapponibile a quello ottenuto con la NPH, ma con un numero significativamente minore di ipoglicemie, in particolare notturne. In aggiunta, detemir ha evidenziato un minore incremento di peso, il che potrebbe arrecare benefici cardiovascolari aggiuntivi. Per quanto concerne il rischio relativo di insorgenza di nuove neoplasie con la terapia insulinica, esso sembra in generale maggiore rispetto alla monoterapia con metformina. Inoltre, una recente metanalisi indicherebbe per glargine un aumento significativo del rischio di alcune neoplasie (+30%) specie ai dosaggi più elevati (>30 unità giornaliere) rispetto le insuline umane. Ulteriori studi sono comunque necessari per meglio definire il rischio neoplastico associato al trattamento con gli ADO e con le differenti terapie insuliche. Per correggere le aterazioni fisiopatologiche post-prandiali e mimare la secrezione insulinica endogena, si rende spesso necessario anche il ricorso a formulazioni insuliniche premiscelate o bifasiche, con proporzioni variabili di analogo rapido e quota insulinica protaminata (Fig. 2) in 2-3 somministrazioni quotidiane ai pasti principali per garantire apporti variabili di insulina pronta e intermedia. Questo schema può risultare vantaggioso specie nei pazienti più anziani o non autosufficienti, e se da una parte risulta più facilmente accettabile dal paziente per il minor numero di iniezioni giornaliere, rappresenta di fatto un compromesso terapeutico in quanto non riesce a riprodurre la normale fisiologia della secrezione insulinica a cui si accennava prima. La terapia insulinica ideale, invece, è rappresentata dallo schema basal-bolus, che prevede un bolo ai tre
30 25 20 15 10 5 0
0 30 60 90 120 150 180 210 240 270 300 330 360 390 420 450 480
Nominal time (min) NovoRapid®
Soluble human insuline
Figura 3 pasti di analogo insulinico rapido con l'aggiunta di una dose di analogo lento serale o bedtime. Gli analoghi rapidi di ultima generazione (lispro, aspart, glulisina) presentano indubbi vantaggi farmacocinetici con: 1)una biodisponibilità che mima da vicino la risposta al picco insulinico fisiologico del pasto (Fig. 3); 2) una elevata flessibilità d'impiego che rende possibile la loro somministrazione prima, durante, e persino subito dopo i pasti, e 3) una durata d'azione che non supera la fase iperglicemica post-prandiale con un minor rischio di ipoglicemie tardo-assorbitive. In ogni caso, è consigliabile ove è possibile, specie nei pazienti obesi o in soprappeso, l'associazione della metformina alla terapia insulinica, per ridurre il fabbisogno insulinico e minimizzare l'incremento ponderale iatrogeno. In conclusione, sebbene la terapia insulinica venga ancora oggi a torto considerata un'ultima spiaggia terapeutica nel diabete mellito tipo 2, essa non dovrebbe essere inserita troppo tardivamente nel processo di cura in quanto permette nella maggior parte dei casi di raggiungere profili glicemici ed insulinemici più fisiologici. I nuovi analoghi insulinici somministrabili con minor traumatismo con i moderni dispositivi iniettivi garantiscono un drastico contenimento del rischio di ipoglicemia e dell'incremento ponderale rispetto alle tradizionali insuline umane.
Anno I - N. 3, 2009
Esiste ancora il rischio relativo? Prof.ssa Ada Dormi Dipartimento di Medicina Interna, Invecchiamento e Malattie Nefrologiche Università di Bologna
Nel nostro paese le malattie cardiovascolari rappresentano ancora oggi la principale causa di morte, essendo responsabili del 44% di tutti i decessi. In particolare la cardiopatia ischemica è la prima causa di morte in Italia, rendendo conto del 28% di tutte le morti, mentre gli accidenti cerebrovascolari sono al terzo posto con il 13%, dopo i tumori. I dati del Registro Nazionale degli Eventi Coronarici e Cerebrovascolari mostrano un quadro sostanzialmente omogeneo in tutta Italia, che sfata il luogo comune secondo cui di cuore ci si ammalerebbe di più al Nord che al Sud Italia. I tassi di incidenza dell'infarto, per esempio, sono molto simili a Napoli e in Friuli Venezia Giulia, sia per gli uomini che per le donne. La letalità coronarica è decisamente rilevante in tutte le aree e peggiore nelle donne, come atteso: tra i pazienti colpiti da infarto miocardico acuto nell'età compresa fra 35 e 74 anni, tre uomini su l0 e quattro donne su l0 muoiono entro 28 giorni dall' esordio dei sintomi, principalmente fuori dall' ospedale, prima di poter essere adeguatamente curati. Confrontando i tassi degli eventi coronarici e cerebrovascolari, emerge che negli uomini prevalgono gli eventi coronarici, nelle donne quelli cerebrovascolari. Per quanto riguarda gli accidenti cerebrovascolari si conferma che nelle aree del Sud la mortalità è superiore rispetto al Nord, dato atteso per la più elevata prevalenza di ipertensione arteriosa e abitudine al fumo sia negli uomini che nelle donne. La valenza sanitaria e sociale di questi dati sulle malattie cardiovascolari è accentuata dalla considerazione che esse o per lo meno la loro maggioranza, cioè le forme arteriosclerotiche, sono in larga parte prevenibili, almeno per il 50% secon-
I dati del Registro Nazionale degli Eventi Coronarici e Cerebrovascolari mostrano un quadro sostanzialmente omogeneo in tutta Italia, che sfata il luogo comune secondo cui di cuore ci si ammalerebbe di più al Nord che al Sud Italia.
Per quanto riguarda gli accidenti cerebrovascolari si conferma che nelle aree del Sud la mortalità è superiore rispetto al Nord, dato atteso per la più elevata prevalenza di ipertensione arteriosa e abitudine al fumo sia negli uomini che nelle donne. do le stime disponibili. Molti dei fattori di rischio delle malattie cardiovascolari sono modificabili e quando sono più di uno hanno un'azione non solo addizionale ma moltiplicativa o sinergica nel determinare il rischio di malattia. Anche se molto si sa di queste patologie dal punto di vista epidemiologico e si siano identificati diversi fattori di rischio prevedibili e correggibili, il numero di persone colpite ogni anno rimane molto alto; gli studi epidemiologici degli ultimi anni hanno dimostrato la reversibilità del rischio, cioè la possibilità di ridurre o di ritardare la comparsa degli eventi attraverso la modificazione dello stile di vita con la conseguente riduzione dei fattori di rischio. Secondo la Task Force Nordamericana, se si applicassero le conoscenze scientifiche già disponibili in prevenzione primaria e secondaria, si potrebbe raggiungere una riduzione di malattie legate all'arteriosclerosi del 6% per anno e del 50% in 10 anni. Nel Brisighella Heart Study l'intervento ha mostrato un aumento solo dello 0,3% per anno nei maschi e 0.6% per anno nelle femmine (Fig. 1). Partendo da questi presupposti è importante riflettere sull'utilità/necessità della valutazione dei fattori di rischio cardiovascolare nella prevenzione per:
Brisighella Study. Increase of Control of Risk Factor
1984 vs 1992
men
women
1,05
1,08 A. Dormi 2004
Figura 1
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Anno I - N. 3, 2009
....è utile parlare di rischio relativo? Si perché gli interventi preventivi possono essere ottimizzati preferendo le stima del rischio relativo per gli individui al di sotto dei 60 anni e la stima del rischio assoluto per quelli di 60 anni ed oltre. 1. ottimizzare le strategie di prevenzione sulla base del livello del suo rischio, 2. utilizzare strumenti scientificamente codificati ( come le “Carte del Rischio”) che aiutino a documentare e misurare la qualità delle prestazioni. Per sviluppare questi obiettivi ricordiamo brevemente alcuni concetti di base: • Il termine “fattore di rischio” indica una serie di caratteristiche individuali o collettive che, se misurate, permettono di identificare coloro il cui rischio di malattia , entro un certo numero di anni, è superiore alla media dei componenti la popolazione cui appartengono, oppure permettono di graduare il rischio di malattia. Il livello di rischio mi determina, inoltre, l'entità del beneficio raggiungibile con un certo trattamento. • Il rischio personale di un individuo non dipende quasi mai da un singolo fattore ma dall'interazione e sinergie di più elementi quale l'ereditarietà, lo stile di vita, le abitudini alimentari …; si parla infatti di “rischio coronario globale”. Ciò fa pensare alla prevenzione come un intervento che non si fermi al singolo fattore di rischio, ma che guardi alla totalità dell'individuo inserito nel suo contesto ambientale. • L'associazione di più fattori di rischio nello stesso individuo, determina un effetto moltiplicativo più che additivo del rischio coronario globale. • Il rischio individuale è, in base alle conoscenze scientifiche in nostro possesso, espresso solo in termini probabilistici, riferendosi ad una corte di soggetti con carat100 teristiche simili al nostro utente. • La forza dell'associazione fra malattia e 75 fattori di rischio si può esprime attraverso 44,8 50 due misure: il “rischio assoluto” (che è la probabilità espressa in percentuale, di 25 15,7 andare incontro ad un evento cardiovascolare) e “il rischio relativo” (misura la 0 0 FR forza dell'associazione fra fattore di rischio e malattia cioè che indica la probabilità tra gli esposti di ammalarsi rispetto ai non esposti. È il rapporto fra il rischio assoluto Figura 2
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....“il rischio relativo” misura la forza dell'associazione fra fattore di rischio e malattia cioè che indica la probabilità tra gli esposti di ammalarsi rispetto ai non esposti. di un dato individuo e quello di un italiano medio a lui comparato per età, sesso, fattori di rischio…). Entrambe queste stime sono utili negli interventi preventivi, perché esprimono differenti valutazioni. Il rischio assoluto fornisce predizioni quantitative più precise ma è fortemente influenzato dalla variabile età ed evidenzia di meno le diversità di rischio fra i soggetti più giovani. Il rischio relativo invece fornisce predizioni comparative rispetto al resto della popolazione, evidenzia le differenze di rischio fra soggetti più giovani e tende ad appiattire le differenze fra soggetti più anziani. Resta sempre la domanda: è utile parlare di rischio relativo? Si perché gli interventi preventivi possono essere ottimizzati preferendo le stima del rischio relativo per gli individui al di sotto dei 60 anni e la stima del rischio assoluto per quelli di 60 anni ed oltre. I risultati del Brisighella Heart Study hanno confermato l'importanza di stimare il rischio globale nei soggetti con età >60 anni e il rischio relativo per i soggetti con età <60 anni per pianificare un progetto di prevenzione primaria. Infatti (Fig.2) questo doppia stima ha dato risultati significativi nella riduzione dai fattori di rischio e nello loro distribuzione, indipendentemente dall'età, soggetti con 3 o più fattori di rischio si sono ridotti in particolare da 11% a 1,3% nei maschi e da 6,5% a 1,2% nelle femmine.
Progetto Brisighella. Distribuzione per Fattori di rischio Uomini
Donne 100 75
37,5
42,3
25 11,6
11
38,2
2 FR
44
37,7
17,7 9,5
1,3
1 FR
45,2
50 35,9
3 o +FR 1984
0 0 FR 1992
1 FR
2 FR
6,5
1,2
3 o +FR A. Dormi 2004
Riassunto delle caratteristiche del prodotto 1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE Micardis 80 mg compresse. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA Ogni compressa contiene telmisartan 80 mg. Eccipienti: Ogni compressa contiene 338 mg di sorbitolo (E420). Per l'elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA Compresse. Compresse bianche, oblunghe con il codice 52H impresso su un lato ed il logo dell'azienda impresso sull'altro. 4. INFORMAZIONI CLINICHE 4.1. Indicazioni terapeutiche. Trattamento dell'ipertensione essenziale negli adulti. 4.2. Posologia e modo di somministrazione. La dose generalmente efficace è di 40 mg una volta al giorno. Alcuni pazienti possono trarre già beneficio dalla dose di 20 mg una volta al giorno. Nei casi in cui non viene raggiunto il controllo pressorio, la dose di telmisartan può essere aumentata fino ad un massimo di 80 mg una volta al giorno. In alternativa, il telmisartan può essere impiegato in associazione con diuretici tiazidici, come l'idroclorotiazide, con il quale è stato dimostrato un effetto additivo in termini di riduzione della pressione, con l'associazione a telmisartan. Qualora si prenda in considerazione un aumento di dosaggio, si deve tenere presente che il massimo effetto antipertensivo si ottiene generalmente da quattro a otto settimane dopo l'inizio del trattamento (vedere paragrafo 5.1). Telmisartan può essere assunto con o senza cibo. Insufficienza renale: Per i pazienti con insufficienza renale lieve o moderata non è necessario modificare la posologia. L'esperienza in pazienti con grave insufficienza renale o in emodialisi è limitata. In questi pazienti è raccomandata una dose iniziale più bassa pari a 20 mg (vedere paragrafo 4.4). Insufficienza epatica: Nei pazienti con insufficienza epatica lieve o moderata la dose non deve essere maggiore di 40 mg una volta al giorno (vedere paragrafo 4.4). Anziani: Non è necessario modificare la dose nei pazienti anziani. Pazienti pediatrici: L'uso di Micardis non è raccomandato nei bambini al di sotto di 18 anni a causa della mancanza di dati sulla sicurezza e sull'efficacia. 4.3. Controindicazioni. • Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti (vedere paragrafo 6.1). • Secondo e terzo trimestre di gravidanza (vedere paragrafi 4.4 e 4.6). • Ostruzioni alle vie biliari. • Insufficienza epatica grave. 4.4. Avvertenze speciali e precauzioni di impiego. Gravidanza: La terapia con antagonisti del recettore dell'angiotensina II (AIIRA) non deve essere iniziata durante la gravidanza. Per le pazienti che stanno pianificando una gravidanza si deve ricorrere ad un trattamento antipertensivo alternativo, con comprovato profilo di sicurezza per l'uso in gravidanza, a meno che non sia considerato essenziale il proseguimento della terapia con un AIIRA. Quando viene diagnosticata una gravidanza, il trattamento con AIIRA deve essere interrotto immediatamente e, se appropriato, deve essere iniziata una terapia alternativa (vedere paragrafi 4.3 e 4.6). Insufficienza epatica: Micardis non deve essere somministrato a pazienti con colestasi, ostruzioni alle vie biliari o grave insufficienza epatica (vedere paragrafo 4.3) in quanto telmisartan è principalmente eliminato nella bile. Per questi pazienti è prevedibile una clearance epatica ridotta per telmisartan. Micardis deve essere utilizzato solamente con cautela in pazienti con insufficienza epatica da lieve a moderata. Ipertensione renovascolare: Nei pazienti con stenosi bilaterale dell'arteria renale o stenosi dell'arteria renale afferente al singolo rene funzionante, trattati con un medicinale che influenza il sistema renina-angiotensina-aldosterone, c'è un aumentato rischio di ipotensione grave ed insufficienza renale. Insufficienza renale e trapianto renale: Quando Micardis è somministrato a pazienti con disfunzioni renali, si raccomanda il controllo periodico dei livelli sierici di potassio e di creatinina. Non ci sono dati riguardo la somministrazione di Micardis in pazienti sottoposti di recente a trapianto renale. Ipovolemia intravascolare: Nei pazienti con deplezione di sodio e/o ipovolemia causata da dosi elevate di diuretici, diete con restrizione di sale, diarrea o vomito, si potrebbe verificare ipotensione sintomatica, specialmente dopo la prima dose di Micardis. Tali condizioni vanno corrette prima di iniziare il trattamento con Micardis. Deplezione di sodio e/o ipovolemia devono essere corrette prima di iniziare il trattamento con Micardis. Duplice blocco del sistema renina-angiotensina-aldosterone: Come conseguenza dell'inibizione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, sono state riportate ipotensione e alterazioni della funzionalità renale (inclusa insufficienza renale acuta) in individui sensibili, soprattutto in caso di associazione di prodotti medicinali che influenzano questo sistema. Il duplice blocco del sistema renina-angiotensina-aldosterone (ad es. per aggiunta di un ACE inibitore ad un antagonista del recettore dell'angiotensina II) non è pertanto raccomandato in pazienti con pressione arteriosa già controllata e deve essere limitata a casi individualmente definiti con uno stretto monitoraggio della funzionalità renale. Altre condizioni con stimolazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone: Nei pazienti il cui tono vascolare e la funzione renale dipendono principalmente dall'attività del sistema renina-angiotensina-aldosterone (es. pazienti con grave insufficienza cardiaca congestizia o affetti da malattie renali, inclusa la stenosi dell'arteria renale), il trattamento con medicinali che influenzano questo sistema, come telmisartan, è stato associato ad ipotensione acuta, iperazotemia, oliguria o, raramente, insufficienza renale acuta (vedere paragrafo 4.8). Aldosteronismo primario: I pazienti con aldosteronismo primario generalmente non rispondono a medicinali antipertensivi che agiscono tramite l'inibizione del sistema renina-angiotensina. Quindi, si sconsiglia l'utilizzo di telmisartan. Stenosi della valvola aortica e mitrale, cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva: Come per altri vasodilatatori, si consiglia particolare cautela nei pazienti affetti da stenosi della valvola aortica o mitrale o cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva. Iperkaliemia: L'uso di medicinali che influenzano il sistema renina-angiotensina-aldosterone può causare iperkaliemia. Nei pazienti anziani, nei pazienti con insufficienza renale, nei pazienti diabetici, nei pazienti contestualmente trattati con altri medicinali che possono aumentare i livelli di potassio e/o nei pazienti con eventi intercorrenti, l'iperpotassemia può essere fatale. Prima di considerare l'uso concomitante di medicinali che influiscono sul sistema renina-angiotensina-aldosterone deve essere valutato il rapporto tra il rischio e il beneficio. I principali fattori di rischio che devono essere presi in considerazione per l'iperkaliemia sono: • Diabete mellito, compromissione renale, età (>70 anni). • Associazione con uno o più medicinali che influiscano sul sistema renina-angiotensina-aldosterone e/o integratori di potassio. Medicinali o classi terapeutiche di medicinali che possono provocare iperkaliemia sono: sostitutivi salini contenenti potassio, diuretici risparmiatori di potassio, ACE inibitori, antagonisti del recettore dell'angiotensina II, medicinali antinfiammatori non steroidei (FANS, inclusi gli inibitori COX-2 selettivi), eparina, immunosopressivi (ciclosporina o tacrolimus) e trimeto-
prim. • Eventi intercorrenti, in particolare disidratazione, scompenso cardiaco acuto, acidosi metabolica, peggioramento della funzionalità renale, improvviso peggioramento delle condizioni renali (come infezioni), lisi cellulare (come ischemia acuta dell'arto, rabdomiolisi, trauma esteso). Nei pazienti a rischio si raccomanda uno stretto controllo del potassio sierico (vedere paragrafo 4.5). Sorbitolo: Questo medicinale contiene sorbitolo (E420). I pazienti con rari problemi di intolleranza ereditaria al fruttosio non devono assumere Micardis. Differenze etniche: Come osservato per gli inibitori dell'enzima di conversione dell'angiotensina, telmisartan e altri antagonisti del recettore dell'angiotensina II sono apparentemente meno efficaci nel ridurre la pressione arteriosa nei pazienti di colore rispetto agli pazienti, forse a causa della maggior prevalenza di stati caratterizzati da un basso livello di renina nella popolazione di colore affetta da ipertensione. Altro: Come con qualsiasi agente antipertensivo, un'eccessiva diminuzione della pressione in pazienti con cardiopatia ischemica o patologia cardiovascolare ischemica potrebbe causare infarto del miocardio o ictus. 4.5. Interazioni con altri medicinali ed altre forme d'interazione. Sono stati effettuati studi di interazione solo negli adulti. Come altri medicinali che agiscono sul sistema renina-angiotensina-aldosterone, telmisartan può indurre iperkaliemia (vedere paragrafo 4.4). Il rischio può aumentare in caso di associazione ad altri medicinali che pure possono indurre iperkaliemia sostitutivi salini contenenti potassio, diuretici risparmiatori di potassio, ACE inibitori, antagonisti del recettore dell'angiotensina II, medicinali antinfiammatori non steroidei (FANS, inclusi gli inibitori COX-2 selettivi), eparina, immunosopressivi (ciclosporina o tacrolimus) e trimetoprim. L'insorgenza della iperkaliemia dipende dall'associazione dei fattori di rischio. Il rischio aumenta nel caso di associazione dei trattamenti sopra elencati. Il rischio è particolarmente elevato nel caso di combinazione con diuretici risparmiatori di potassio e quando combinato con sostitutivi salini contenenti potassio. L'associazione, ad esempio, con ACE inibitori o FANS presenta un minor rischio purché si osservino strettamente le precauzioni per l'uso. Uso concomitante non raccomandato. Diuretici risparmiatori di potassio o integratori di potassio: Gli antagonisti recettoriali dell'angiotensina II come telmisartan, attenuano la perdita di potassio indotta dal diuretico. I diuretici risparmiatori di potassio quali spironolattone, eplerenone, triamterene o amiloride, integratori di potassio o sostitutivi salini contenenti potassio possono portare ad un significativo aumento del potassio sierico. Se l'uso concomitante è indicato a causa di documentata ipokaliemia, devono essere somministrati con cautela ed i livelli di potassio sierico devono essere monitorati frequentemente. Litio: Aumenti reversibili delle concentrazioni di litio nel siero e tossicità sono stati riportati durante la somministrazione concomitante di litio con gli inibitori dell'enzima che converte l'angiotensina e con gli antagonisti del recettore dell'angiotensina II, incluso telmisartan. Se l'uso dell'associazione si dimostrasse necessaria, si raccomanda un attento monitoraggio dei livelli sierici del litio. Uso concomitante che richiede cautela. Medicinali antinfiammatori non steroidei: I FANS (cioè l'acido acetilsalicilico a dosaggio antinfiammatorio, inibitori dei COX-2 e FANS non selettivi) possono ridurre l'effetto antipertensivo degli antagonisti del recettore dell'angiotensina II. In alcuni pazienti con funzionalità renale compromessa (ad es. come pazienti disidratati o pazienti anziani con funzionalità renale compromessa) la co-somministrazione di antagonisti del recettore dell'angiotensina II e di agenti che inibiscono la ciclo-ossigenasi può indurre un ulteriore deterioramento della funzionalità renale, inclusa insufficienza renale acuta che è solitamente reversibile. Pertanto la co-somministrazione deve essere effettuata con cautela, soprattutto agli anziani. I pazienti devono essere adeguatamente idratati e deve essere considerato il monitoraggio della funzionalità renale dopo l'inizio della terapia concomitante e quindi periodicamente. In uno studio la co-somministrazione di telmisartan e ramipril ha determinato un aumento fino a 2,5 volte dell'AUC0-24 e della Cmax di ramipril e ramiprilato. La rilevanza clinica di questa osservazione non è nota. Diuretici (tiazide o diuretici dell'ansa): Un precedente trattamento con elevati dosaggi di diuretici quali furesomide (diuretico dell'ansa) e idroclorotiazide (diuretico tiazidico) può portare ad una deplezione dei liquidi ed a un rischio di ipotensione quando si inizi la terapia con telmisartan. Da prendere in considerazione in casi di uso concomitante Altri agenti antipertensivi: L'effetto ipotensivo di telmisartan può essere incrementato dall'uso concomitante di altri medicinali antipertensivi. Sulla base delle loro caratteristiche farmacologiche ci si può aspettare che i seguenti medicinali possano potenziare gli effetti ipotensivi di tutti gli antipertensivi incluso telmisartan: baclofenac, amifostina. Inoltre l'ipotensione ortostatica può essere aggravata da alcol, barbiturici, narcotici o antidepressivi. Corticosteroidi (per via sistemica): Riduzione dell'effetto antipertensivo. 4.6. Gravidanza e allattamento. Gravidanza: L'uso degli antagonisti del recettore dell'angiotensina II (AIIRA) non è raccomandato durante il primo trimestre di gravidanza (vedere paragrafo 4.4). L'uso degli AIIRA è controindicato durante il secondo ed il terzo trimestre di gravidanza (vedere paragrafi 4.3 e 4.4). Non vi sono dati sufficienti sull'uso di Micardis in donne in gravidanza. Gli studi condotti sugli animali hanno evidenziato una tossicità riproduttiva (vedere paragrafo 5.3). L'evidenza epidemiologica sul rischio di teratogenicità a seguito dell'esposizione ad ACE inibitori durante il primo trimestre di gravidanza non ha dato risultati conclusivi; tuttavia non può essere escluso un lieve aumento del rischio. Sebbene non siano disponibili dati epidemiologici controllati sul rischio con antagonisti del recettore dell'angiotensina II (AIIRA), un simile rischio può esistere anche per questa classe di medicinali. Per le pazienti che stanno pianificando una gravidanza si deve ricorrere ad un trattamento antipertensivo alternativo, con comprovato profilo di sicurezza per l'uso in gravidanza, a meno che non sia considerato essenziale il proseguimento della terapia con un AIIRA. Quando viene diagnosticata una gravidanza, il trattamento con AIIRA deve essere immediatamente interrotto e, se appropriato, si deve iniziare una terapia alternativa. È noto che nella donna l'esposizione ad AIIRA durante il secondo ed il terzo trimestre induce tossicità fetale (ridotta funzionalità renale, oligoidramnios, ritardo nell'ossificazione del cranio) e tossicità neonatale (insufficienza renale, ipotensione, iperkaliemia). (Vedere paragrafo 5.3). Se dovesse verificarsi un'esposizione ad un AIIRA dal secondo trimestre di gravidanza, si raccomanda un controllo ecografico della funzionalità renale e del cranio. I neonati le cui madri abbiano assunto AIIRA devono essere attentamente seguiti per quanto riguarda l'ipotensione (vedere paragrafi 4.3 e 4.4). Allattamento: Telmisartan non è raccomandato durante l'allattamento, non essendo disponibili informazioni sul suo uso e sono da preferirsi trattamenti alternativi caratterizzati da un profilo di sicurezza durante l'allattamento, meglio definito soprattutto durante l'allattamento di un neonato o di un bambino nato prima del termine. 4.7. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull'uso di macchinari. Non sono stati effettuati studi sulla capacità di guidare veicoli e di usare macchinari. Comunque, quando si guidano veicoli o si utilizzano macchinari, deve essere tenuto in considerazione che con la terapia antipertensiva potrebbero occasionalmente verificarsi sonnolenza e vertigini. 4.8. Effetti indesiderati. L'incidenza complessiva degli eventi avversi riportati con telmisartan (41,4 %) era solitamente confrontabile a quella ripor-
tata con il placebo (43,9 %) nel corso di studi clinici controllati. L'incidenza degli eventi avversi non era dose correlata e non era correlata al sesso, all'età o alla razza dei pazienti. Le seguenti reazioni avverse al medicinale sono state raccolte da tutti gli studi clinici in pazienti trattati con telmisartan per l'ipertensione o in pazienti di almeno 50 anni di età ad alto rischio di eventi cardiovascolari. Le reazioni avverse sono state classificate per frequenza ricorrendo alla seguente convenzione: molto comune (≥1/10); comune (≥1/100, <1/10); non comune (≥1/1.000, <1/100); raro (≥1/10.000, <1/1.000); molto raro (<1/10.000), non nota (la frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili). All'interno di ogni raggruppamento di frequenza, le reazioni avverse sono elencate in ordine decrescente di gravità. Infezioni e infestazioni. Raro: Infezioni del tratto respiratorio superiore incluse faringite e sinusite. Non noto: Infezione del tratto urinario inclusa cistite, sepsi anche con esito fatale*. Patologie del sistema emolinfopoietico. Raro: Anemia, trombocitopenia. Non noto: Eosinofilia. Disturbi del sistema immunitario. Non noto: Ipersensibilità, reazione anafilattica. Disturbi del metabolismo e della nutrizione. Non comune: Iperkaliemia. Disturbi psichiatrici. Raro: Ansia, depressione. Patologie del sistema nervoso. Non comune: Sincope, insonnia. Patologie dell'occhio. Raro: Visione anormale. Patologie dell'orecchio e del labirinto. Non Comune: Vertigini. Patologie cardiache. Raro: Tachicardia. Non noto: Bradicardia. Patologie vascolari. Non comune: Ipotensione. Raro: Ipotensione ortostatica. Patologie respiratorie, toraciche e mediastiniche. Non comune: Dispnea. Patologie gastrointestinali. Non comune: Dolore addominale, diarrea, secchezza delle fauci, dispepsia, flatulenza. Raro: Disturbo gastrico, vomito. Patologie epatobiliari. Raro: Funzionalità epatica alterata/disturbo epatico. Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo. Non comune: Iperidrosi, prurito. Raro: Eritema, angieoedema. orticaria. Non noto: Eruzione, eruzione cutanea tossica, rash eczema. Patologie del sistema muscoloscheletrico e del tessuto connettivo. Non comune: Mialgia. Raro: Artralgia, dolore alla schiena (ad es. sciatica), crampi muscolari, dolori agli arti, debolezza. Non noto: Tendinite. Patologie renali e urinarie. Non comune: Compromissione renale inclusa insufficienza renale acuta. Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione. Non comune: Dolore toracico. Raro: Malattia simil-influenzale. Non noto: Inefficacia del medicinale. Esami diagnostici. Raro: Aumento di acido urico nel sangue, aumento della creatinina nel sangue, enzimi epatici aumentati, creatina fosfochinasi aumentata nel sangue. Non noto: Calo dell'emoglobina. * Nello studio PRoFESS è stata osservata un'aumentata incidenza di sepsi con telmisartan rispetto a placebo. L'evento può essere un risultato casuale o può essere correlato ad un meccanismo attualmente non noto (vedere paragrafo 5.1). 4.9. Sovradosaggio. Le informazioni disponibili riguardo al sovradosaggio nell'uomo sono limitate. Sintomi: Le manifestazioni più rilevanti legate al sovradosaggio di telmisartan sono state ipotensione e tachicardia; sono stati riportati anche bradicardia, capogiro, aumento della creatinina sierica e insufficienza renale acuta. Trattamento: Telmisartan non viene rimosso dall'emodialisi. Il paziente deve essere strettamente controllato e il trattamento deve essere sintomatico e di supporto. Il trattamento dipende dal tempo trascorso dall'ingestione e dalla gravità dei sintomi. Le misure suggerite includono induzione di emesi e/o lavanda gastrica. Il carbone attivo può essere utile nel trattamento del sovradosaggio. I livelli degli elettroliti sierici e della creatinina dovrebbero essere controllati frequentemente. Nel caso di ipotensione, il paziente dovrebbe essere posto in posizione supina e sali e fluidi dovrebbero essere reintegrati rapidamente. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE 5.1. Proprietà farmacodinamiche. Categoria farmacoterapeutica: antagonisti dell'angiotensina II, non associati, codice ATC C09CA07. Meccanismo d'azione: Telmisartan è un antagonista recettoriale dell'angiotensina II (tipo AT1) specifico ed efficace per via orale. Telmisartan spiazza con un'elevata affinità l'angiotensina II dal suo sito di legame con il recettore di sottotipo AT1, responsabile dei ben noti effetti dell'angiotensina II. Telmisartan non mostra alcuna attività agonista parziale per il recettore AT1. Telmisartan si lega selettivamente con il recettore AT1. Tale legame è di lunga durata. Telmisartan non mostra una rilevante affinità per altri recettori, compresi l'AT2 e altri recettori AT meno caratterizzati. Non sono noti il ruolo funzionale di questi recettori né l'effetto della loro possibile sovrastimolazione da parte dell'angiotensina II, i cui livelli sono aumentati dal telmisartan. Telmisartan determina una diminuzione nei livelli plasmatici di aldosterone. Telmisartan non inibisce la renina plasmatica umana né blocca i canali ionici. Telmisartan non inibisce l'enzima di conversione dell'angiotensina (chininasi II), enzima che degrada anche la bradichinina. Quindi non è atteso un potenziamento degli eventi avversi mediati dalla bradichinina. Nell'uomo, una dose di 80 mg di telmisartan determina un'inibizione quasi completa dell'aumento pressorio indotto dall'angiotensina II. L'effetto inibitorio si protrae per 24 ore ed è ancora misurabile fino a 48 ore. Efficacia clinica e sicurezza: L'attività antipertensiva inizia a manifestarsi entro 3 ore dalla somministrazione della prima dose di telmisartan. La massima riduzione dei valori pressori si ottiene generalmente da 4 ad 8 settimane dopo l'inizio del trattamento e viene mantenuta nel corso della terapia a lungo termine. L'effetto antipertensivo si protrae costantemente per 24 ore dopo la somministrazione e include le ultime 4 ore prima della successiva somministrazione, come dimostrato dalle misurazioni continue nelle 24 ore della pressione arteriosa. Ciò è confermato dal fatto che il rapporto tra le concentrazioni minime e massime di telmisartan negli studi clinici controllati verso placebo rimane costantemente superiore all'80% dopo una dose di 40 mg e 80 mg. C'è un apparente trend per una relazione tra la dose e il tempo di ritorno ai valori basali della pressione arteriosa sistolica (PAS). Da questo punto di vista, i dati che riguardano la pressione arteriosa diastolica (PAD) non sono invece consistenti. Nei pazienti ipertesi il telmisartan riduce la pressione sia sistolica che diastolica senza influire sulla frequenza cardiaca. Non è ancora stato definito il contributo dell'effetto diuretico e natriuretico del medicinale alla sua efficacia ipotensiva. L'efficacia antipertensiva di telmisartan è paragonabile a quella di medicinali rappresentativi di altre classi di antipertensivi (dimostrata negli studi clinici che hanno confrontato telmisartan con amlodipina, atenololo, enalapril, idroclorotiazide e lisinopril). Dopo una brusca interruzione del trattamento con telmisartan, la pressione arteriosa ritorna gradualmente ai valori preesistenti durante un periodo di diversi giorni, senza comportare un effetto rebound. Negli studi clinici che confrontavano direttamente i due trattamenti antipertensivi, l'incidenza di tosse secca è risultata significativamente inferiore nei pazienti trattati con telmisartan che in quelli trattati con gli inibitori dell'enzima di conversione dell'angiotensina. Nello studio “Prevention Regimen For Effectively avoiding Second Strokes” (PRoFESS) nei pazienti di almeno 50 anni che avevano recentemente avuto un ictus è stata osservata un'aumentata incidenza di sepsi con telmisartan rispetto a placebo, 0,70 % verso 0,49 % [RR 1,43 (95 % intervallo di confidenza 1,00 2,06)]; l'incidenza dei casi fatali di sepsi era aumentata per i pazienti in trattamento con telmisartan (0,33 %) rispetto ai pazienti in trattamento con placebo (0,16 %) [RR 2,07 (95 % intervallo di confidenza 1,14 - 3,76)]. L'aumentata incidenza di sepsi osservata in associazione all'uso di telmisartan può essere un risultato casuale o correlato ad un meccanismo attualmente non noto. Attualmente non sono noti gli effetti di telmisartan sulla mortalità e sulla morbilità cardiovascolare. 5.2. Proprietà farmacocinetiche. Assorbimento: L'assorbimento di telmisartan è rapido, sebbene la frazione assorbita sia variabile. La biodisponibilità assoluta del telmisartan è mediamente del 50% circa. Quando telmisar-
tan viene assunto con il cibo, la riduzione dell’area sotto la curva delle concentrazioni plasmatiche/tempo (AUC0-∞) di telmisartan varia tra il 6% (dose di 40 mg) e il 19% circa (dose di 160 mg). Dopo 3 ore dalla somministrazione le concentrazioni plasmatiche risultano simili sia che il telmisartan venga assunto a digiuno che con un pasto. Linearità/non-linearità: Non si ritiene che la lieve riduzione nell'AUC causi una riduzione dell'efficacia terapeutica. Non c'è una relazione lineare tra dosi e livelli plasmatici. Il Cmax e, in misura minore, l'AUC aumentano in modo non proporzionale a dosi superiori a 40 mg. Distribuzione: Il telmisartan è fortemente legato alle proteine plasmatiche (>99,5%), in particolare all'albumina e alla glicoproteina acida alfa-1. Il volume medio di distribuzione allo stato stazionario (Vdss) è di circa 500 litri. Metabolismo: Il telmisartan è metabolizzato mediante coniugazione al glucuronide della sostanza originaria. Non è stata dimostrata un'attività farmacologica per il coniugato. Eliminazione: Telmisartan mostra una cinetica di decadimento biesponenziale con un'emivita terminale di eliminazione superiore alle 20 ore. La concentrazione plasmatica massima, (Cmax), e, in misura minore, l'area sotto la curva delle concentrazioni plasmatiche/tempo (AUC0-∞), aumentano in misura non proporzionale alla dose. Quando il telmisartan viene assunto alle dosi consigliate non si evidenzia un accumulo rilevante dal punto di vista clinico. Le concentrazioni plasmatiche sono superiori nella donna rispetto all’uomo, ma ciò non influisce in modo rilevante sull’efficacia. In seguito alla somministrazione orale (ed endovenosa), il telmisartan viene escreto quasi esclusivamente con le feci, soprattutto in forma immodificata. L'escrezione urinaria cumulativa è <1% della dose. La clearance plasmatica totale (Cltot) è elevata (ca. 1000 ml/min) se confrontata al flusso plasmatico epatico (ca. 1500 ml/min). Popolazioni speciali. Effetti legati al genere: Sono state osservate differenze di concentrazioni plasmatiche tra i sessi, nelle donne Cmax e AUC erano rispettivamente 3 e 2 volte superiori rispetto agli uomini. Pazienti anziani: La farmacocinetica del telmisartan non differisce tra i pazienti anziani e i soggetti con meno di 65 anni. Pazienti con disfunzioni renali: Nei pazienti con disfunzioni renali da lievi a moderate e gravi è stato osservato un raddoppio delle concentrazioni plasmatiche. Tuttavia, nei pazienti con insufficienza renale in dialisi sono state osservate concentrazioni plasmatiche inferiori. Nei pazienti affetti da insufficienza renale il telmisartan è fortemente legato alle proteine plasmatiche e non può essere eliminato con la dialisi. Nei pazienti con disfunzioni renali l'emivita di eliminazione non varia. Pazienti con disfunzioni epatiche: Negli studi di farmacocinetica in pazienti con insufficienza epatica è stato osservato un aumento nella biodisponibilità assoluta fino a quasi il 100%. Nei pazienti con disfunzioni epatiche l'emivita di eliminazione non varia. 5.3. Dati preclinici di sicurezza. Negli studi preclinici di tollerabilità e sicurezza, dosi tali da determinare un'esposizione confrontabile a quella del range di dosi da impiegarsi nella terapia clinica hanno causato una riduzione dei parametri eritrocitari (eritrociti, emoglobina, ematocrito), alterazioni nell'emodinamica renale (aumento di azotemia e creatininemia) come anche un aumento nella potassiemia in animali normotesi. Nel cane sono state osservate dilatazione ed atrofia dei tubuli renali. Nel ratto e nel cane sono state osservate inoltre lesioni della mucosa gastrica (erosioni, ulcere o infiammazioni). Questi effetti indesiderati farmacologicamente mediati, come evidenziato dagli studi preclinici sia con inibitori dell'enzima di conversione dell'angiotensina che con antagonisti del recettore dell'angiotensina II, si possono prevenire somministrando supplementi salini orali. In entrambe le specie sono stati osservati aumento dell'attività della renina plasmatica e ipertrofia/iperplasia delle cellule iuxtaglomerulari renali. Tali alterazioni, anch'esse un effetto di tutta la classe degli inibitori dell'enzima di conversione dell'angiotensina e di altri antagonisti del recettore dell'angiotensina II, non sembrano avere significato clinico. Non vi è alcuna evidenza di un effetto teratogeno, ma studi preclinici hanno mostrato alcuni rischi potenziali di telmisartan nello sviluppo postnatale della prole quali minore peso corporeo, apertura ritardata degli occhi e mortalità più elevata. Non vi è stata alcuna evidenza di mutagenesi, né di attività clastogena rilevante negli studi in vitro né di cancerogenicità nel ratto e nel topo. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE 6.1. Elenco degli eccipienti. Povidone (K25), Meglumina, Sodio idrossido, Sorbitolo (E420), Magnesio stearato. 6.2. Incompatibilità. Non pertinente. 6.3. Periodo di validità. 4 anni. 6.4. Precauzioni particolari per la conservazione. Questo medicinale non richiede alcuna condizione particolare di conservazione. Conservare nella confezione originale per proteggere il medicinale dall'umidità. 6.5. Natura e contenuto del contenitore. Blister di alluminio/alluminio (PA/Al/PVC/Al or PA/PA/Al/PVC/Al). Un blister contiene 7 o 10 compresse. Confezioni: Blister con 14, 28, 30, 56, 84, 90 o 98 compresse o blister divisibile per dose unitaria con 28 x 1 compresse. È possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6. Precauzioni particolari per lo smaltimento. Nessuna istruzione particolare. 7. TITOLARE DELL'AUTORIZZAZIONE ALL'IMMISSIONE IN COMMERCIO Boehringer Ingelheim International GmbH. Binger Str. 173. D-55216 Ingelheim am Rhein. Germania. 8. NUMERI DELL'AUTORIZZAZIONE ALL'IMMISSIONE IN COMMERCIO EU/1/98/090/005 (14 compresse). EU/1/98/090/006 (28 compresse). EU/1/98/090/007 (56 compresse). EU/1/98/090/008 (98 compresse). EU/1/98/090/014 (28 x 1 compresse). EU/1/98/090/016 (84 compresse). EU/1/98/090/018 (30 compresse). EU/1/98/090/020 (90 compresse). 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/ RINNOVO DELL'AUTORIZZAZIONE Data della prima autorizzazione: 16 dicembre 1998. Data dell'ultimo rinnovo: 16 dicembre 2008. 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO 29 maggio 2009. CLASSE A Da vendersi dietro presentazione di ricetta medica - € 28,72 Informazioni più dettagliate su questo medicinale sono disponibili sul sito web dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMEA): http://www.emea.europa.eu/.