Il Giornale della vaccinazione - n° 1 Gennaio/Marzo 2010

Page 1

PERIODICO TRIMESTRALE

Anno II, N. 1 - Gennaio/Marzo 2010 Nuova serie

La pandemia che non c’è stata B.M. Assael Molta discussione sulla stampa non specializzata ha suscitato l’esito della paventata epidemia di influenza suina. La sua insorgenza in Messico, l’andamento grave dei primi casi, la rapida diffusione aveva portato a pensare che il mondo si trovasse di fronte alla pandemia attesa dagli epidemiologi dell’influenza. L’OMS ha finito per dichiarare lo stato di pandemia e questo è stato un segnale decisivo per i vari stati a regime sanitario avanzato per garantirsi una sufficiente copertura vaccinale. Questo si è fatto attraverso contratti con le case farmaceutiche produttrici, alle quali, peraltro, si è chiesto di garantire il rifornimento di decine di milioni di dosi per far fronte a varie strategie di protezione della popolazione. Oltre a ciò, i responsabili della sanità dei vari paesi hanno dovuto preparare il piano di emergenza e definire strategie di intervento e moda-

INDICE 2

Editoriale La pandemia che non c’è stata Contributi Distribuzione dei tipi oncogeni di Papillomavirus nel cancro cervicale, nei tumori ano-genitali e oro-faringei. Importanza della vaccinazione

7

Un caso di pertosse: descrizione e riflessioni

1

1 2 7

INSERTO HTA E VACCINI Editoriale Presentazione inserto Contributi Pianificare le strategie vaccinali con l’aiuto della matematica L’Health Technology Assessment e la sua applicazione alle vaccinazioni

lità di rilevazione dell’andamento epidemico. Era chiaro che la strategia vaccinale fosse solo uno degli aspetti di un complesso problema e che la campagna di vaccinazione dovesse partire precocemente, molto prima dell’atteso picco di incidenza di casi. Lavorare in base a previsioni non è facile. Gli stessi modelli matematici che possono venire elaborati servono a descrivere scenari possibili e dipendono dalle variabili da cui vengono alimentati. Se cambiano le premesse i modelli non hanno capacità divinatorie. Dobbiamo ammettere che il “decisore” sanitario si trovava prima dell’autunno in un bel dilemma. Di fronte a una posizione netta della massima autorità sanitaria internazionale, di fronte al rischio che altri paesi si garantissero il rifornimento di vaccini con i primi contratti, doveva decidere se garantirsi un elevato numero di dosi, se mettere in piedi il sistema di monitoraggio/intervento o se rischiare di sottovalutare l’evento e trovarsi in piena epidemia senza avere preparato una sufficiente strategia. La stampa non scientifica ha presentato il caso con aspetti poco ragionati e scandalistici. Noi crediamo che bisogna ammettere che un paese come l’Italia, annoverato fra quelli ricchi del primo mondo, non aveva altra scelta. Che poi l’epidemia non sia stata delle dimensioni temute e che la campagna di prevenzione vaccinale sia stata scarsamente efficiente con il relativo spreco di milioni di dosi non usufruite è certamente un danno grave, ma sarebbe stato molto più grave l’inverso: trovarsi in piena pandemia e non avere fatto il possibile per fronteggiarla. Del resto l’epidemia c’è stata e ha fatto i suoi morti, soprattutto fra le categorie a rischio. Le analisi a freddo, ragionate, ci diranno, nei prossimi mesi, quante morti avrebbero potuto essere evitate se la campagna di vaccinazione fosse ---> continua a pag. 11


Anno II, N. 1 - Gennaio/Marzo 2010

Contributi

Distribuzione dei tipi oncogeni di Papillomavirus nel cancro cervicale, nei tumori ano-genitali e oro-faringei. Importanza della vaccinazione D. Panatto, D. Amicizia, R. Gasparini

Introduzione I virus del Papilloma Umano (HPV) sono piccoli virus dotati di un genoma anulare di DNA circondato da un capside privo di peplos. Il capside è composto da 72 capsomeri, pentameri della proteina maggiore L1, e da 12 copie della proteina minore L2. Il genoma si divide in tre regioni: regione di controllo a lungo termine LCR; regione delle proteine precoci (particolarmente importanti sono l’E2, l’E6 e l’E7) e la regione delle proteine tardive codificante per gli elementi capsidici L1 e L2. Sono noti circa 120 tipi di HPV, classificati a seconda del tropismo tessutale che manifestano. I tipi del genere beta presentano un elevato tropismo per la cute ed è pertanto possibile isolarli nelle verruche cutanee e plantari. I tipi, invece, del genere alfa hanno affinità per le mucose e sono stati identificati in lesioni benigne e maligne del tratto ano-genitale. E’ possibile isolare questi virus anche da tessuti sani e da lesioni pre-cancerose e cancerose della cavità orale, orofaringea, laringea ed esofagea. Infine i diversi tipi si raggruppano a seconda del grado di omologia genetica. I tipi con livelli di omologia superiore al 90% risultano sostanzialmente identifici; mentre i ceppi appartenenti alla stessa specie presentano omologia compresa tra il 60 e il 90%. Ciò giustifica la possibile cross-reazione e i risultati di cross-

2

protezione osservati negli studi clinici con i vaccini anti-HPV. Gli HPV, con affinità per le mucose, sono ubiquitari e causano le più comuni infezioni a trasmissione sessuale, infatti più del 70% dei soggetti sessualmente attivi si infettano con almeno un tipo nel corso della vita. Essi si distinguono in tipi ad alto e basso rischio oncogeno. I primi sono fortemente associati all’insorgenza di tumori (carcinoma della cervice uterina, della vulva, della vagina, dell’ano, del pene e neoplasie oro-faringee) e sono costituiti prevalentemente dai ceppi delle specie A7 e A9 ed in particolare sono i tipi 16, 18, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, 58, 59 e 66. I secondi, invece, sono privi di potere oncogeno e causano lesioni benigne come i condilomi ano-genitali e il papilloma laringeo e sono HPV 6, 11, 40, 42, 43, 44, 54, 61, 70, 72, 81. L’infezione persistente con tipi ad alto rischio

Figura 1


Anno II, N. 1 - Gennaio/Marzo 2010

Contributi oncogeno è la causa necessaria per lo sviluppo del cancro della cervice uterina; l’HPV-DNA è stato rilevato nel 99,97% delle donne affette da cancro cervicale. Anche altri tipi di cancro sono variamente associati alla presenza di HPV. Poiché l’HPV è una condizione necessaria per lo sviluppo di numerosi tipi di neoplasie, in particolare nelle donne, occorre attivare efficaci misure preventive. Gli studi epidemiologici costituiscono la base di partenza per definire valide strategie di prevenzione. Impatto e distribuzione dei tipi oncogeni di Papillomavirus nel cancro cervicale e in altri tipi di cancro Il cancro della cervice uterina è il secondo tumore più comune tra le donne nel mondo con una stima di circa 493.000 nuovi casi e 274.000 decessi/anno. Il maggior numero di casi è rappresentato dal carcinoma a cellule squamose mentre gli adenocarcinomi sono meno comuni. Tuttavia questa neoplasia più contribuire fino al 25% dei casi totali in numerosi Paesi Occidentali. Occorre sottolineare che lo screening citologico è meno efficiente nell’individuare l’adenocarcinoma in quanto quest’ultimo si sviluppa a livello del canale cervicale molto difficilmente raggiunto dalla spatola di Aire utilizzata per il pap-test . Questo dato è confermato da uno studio presentato al Congresso Mondiale della Federazione Internazionale dei Ginecologi ed Ostetrici (FIGO). I risultati indicano che l’adenocarcinoma rappresenta il 9,5% di tutti i cancri cervicali invasivi con 50.729 nuovi casi/anno. Poichè un largo numero di casi sono stati riscontrati in donne che si sottoponevano a regolari controlli citologici la prevenzione secondaria nel caso dell’adenocarcinoma non è sufficiente. I vaccini rappresentano la strategia di prevenzione più efficace che nel caso del vaccino bivalente è estesa anche alla prevenzione degli adenocarcinomi associati a HPV-45. HPV-16 e HPV-18 sono i più frequenti tipi riscontrati nel cancro cervicale e sono responsabili di circa il 70% dei casi nel mondo. Altri tipi oncogeni sono variamente

associati allo sviluppo della neoplasia cervicale ed in particolare si stima che HPV-45 e HPV-31 siano responsabili di circa il 10% dei casi e i tipi 33 e 52 contribuiscano per il 5-7%. In Tabella 1 è riportata la distribuzione dei diversi tipi nei casi di cancro cervicale invasivo ottenuta da 3 differenti fonti: 1) lo IARC (International Agency of Research Cancer) che ha esaminato più di 3.000 casi; 2) una meta-analisi coordinata dallo IARC con 14.500 casi e 3) una sorveglianza coordinata dall’ICO (Catalan Istitute of Oncology) che ha incluso più di 9.000 casi. E’ evidente come i tre studi indichino una graduatoria simile per livello d’importanza e confermino che i genotipi maggiormente associati con il cancro cervicale invasivo siano il 16, il 18, il 45, il 31 e il 33. La Figura 2 mostra la prevalenza dei tipi di HPV in campioni prelevati in donne con a) citologia normale (C.N.), b) lesioni di alto grado (H-SIL), c) carcinoma squamoso e d) adenocarcinoma. Il tipo 16 è il più comune sia nelle donne con citologia normale che in quelle con lesioni precancerose e cancro; il 18 è il secondo tipo rilevato nelle lesioni cervicali e la sua prevalenza aumenta notevolmente nelle donne con adenocarcinoma. E’ importante osservare come HPV45 non sia comune tra le donne con citologia normale, ma aumenti la sua prevalenza nei soggetti con lesioni di alto grado e addirittura la sua frequenza raddoppi nelle donne con cancro cervicale squamoso e raggiunga una prevalenza del 6% in soggetti con adenocarcinoma. Questi dati supportano il concetto che il tipo 45 favorisca la progressione da infezione a tumore.

Tabella 1 3


Anno II, N. 1 - Gennaio/Marzo 2010

Contributi

Alla Conferenza Internazionale sul Papillomavirus, svoltasi a Maggio 2009 a Malmoe (Svezia), Dahlstrom LA et Al. hanno presentato i risultati di uno studio condotto per valutare il ruolo di HPV nello sviluppo dell’adenocarcinoma cervicale. Essi indicano una prevalenza del 31% per il tipo 18, del 25% per il 16, del 6% per il 45, del 2% per il 31 e il 33 confermando quanto noto in letteratura. Altre ricerche sul ruolo del Papillomavirus nello sviluppo dell’adenocarcinoma cervicale sono state presentate al Congresso Mondiale della FIGO. De Sanjosè S et Al. hanno descritto la distribuzione dei tipi nell’adenocarcinoma nel mondo. Lo studio ha confermato il contributo consistente dei tipi 16, 18 e 45 con modesta variabilità geografica. Fino ad oggi in Italia sono stati condotti pochi studi e principalmente di rilevanza locale, con l’obiettivo di valutare la distribuzione dei tipi oncogeni in donne affette da lesioni pre-cancerose e cancerose. I risultati di uno studio che ha esaminato 268 pazienti con cancro cervicale invasivo residenti in 4 macroaree italiane mostrano che i tipi 16 e 18 sono presenti in più del 70% dei casi concordando con i dati internazionali. Nella classificazione per importanza troviamo il 31 seguito dal 45, questi tipi rappresentano quindi un significativo “subset” d’infezione.

4

Nel 2009 è stato pubblicato uno studio che ha valutato la distribuzione dei tipi di HPV presenti in campioni citologici con diagnosi di CIN dal 1985 al 2007 nel Nord Italia. Gli Autori hanno evidenziato un cambiamento nella distribuzione dei tipi oncogeni nel tempo con un incremento di sieroprevalenza e di infezioni multiple in anni recenti. Uno studio condotto a Pavia dal 2005 al 2007 ha analizzato 1.323 donne in attesa di colposcopia per valutare la prevalenza e la distribuzione dei tipi oncogeni. Gli Autori hanno evidenziato una prevalenza del HPV-DNA nel 97,3% in donne con CIN1 e nel 98,1% in soggetti con CIN 2. Sono state identificate in molti casi infezioni multiple (63,1% nel CIN1 e 80,8% nel CIN Figura 2 2). I tipi maggiormente riscontrati sono stati il 16, il 31 e il 52. Poiché il papillomavirus umano presenta un tropismo specifico per l’epitelio squamoso cutaneo e mucoso, è causa anche di neoplasie a livello ano-genitale e oro-faringeo. Mentre i casi di cancro cervicale sono associati sempre alla presenza di HPV oncogeni, il relativo rischio associato all’infezione nei tumori anogenitali è difficile da quantificare per la bassa frequenza di queste neoplasie e per l’esiguo numero di studi. L’incidenza del cancro della vulva oscilla tra 0,5-1,5 per 100.000 e i casi attribuibili a HPV sono circa il 40%; l’incidenza del cancro della vagina varia tra 0,3 e 0,7 per 100.000 ed anche in questo caso i casi attribuibili a HPV sono circa il 40%. Le neoplasie anali sono poco frequenti (incidenza <1%), ma i casi attribuibili a HPV sono circa il 90%. Nel 2009 è stata pubblicata una meta-analisi che ha preso in considerazione 93 studi per valutare la prevalenza di HPV nelle lesioni pre-cancerose e cancerose a carico della vulva, della vagina e dell’ano. I risultati indicano una prevalenza del 67,8%, dell’85,3% e del 40,4% nelle lesioni pre-cancerose di basso grado, di alto grado e nel carcinoma vulvare. E’ stata rilevata una prevalenza del 100%, del 90,1% e del 69,9% nelle lesioni pre-cancerose di basso grado, di alto grado e nel carcinoma della vagi-


Anno II, N. 1 - Gennaio/Marzo 2010

Contributi na. Nelle lesioni anali è stata osservata una prevalenza del 91,5%, del 93,9% e 84,3% nelle lesioni pre-cancerose di basso grado, di alto grado e nel cancro. HPV-16 è il tipo più frequentemente riscontrato seguito da HPV18. In conclusione circa il 40% dei carcinomi vulvari, il 60% di quelli vaginali e l’80% delle neoplasie anali possono essere evitati con l’utilizzo dei vaccini profilattici contro HPV-16 e 18. Nei maschi il cancro del pene presenta un’incidenza <1% nei Paesi Occidentali e i casi attribuibili a HPV sono circa il 40%. Nel 2009 è stato pubblicato un articolo che ha preso in considerazione i maggiori studi condotti sul cancro del pene dal 1986 al 2008 valutando la prevalenza di HPV. La prevalenza è risultata del 46,9% e i tipi maggiormente riscontrati sono stati il 16 (60,23%), il 18 (13,35%), HPV 6/11, HPV 45 e HPV 31. Anche una percentuale di tumori del cavo orale e oro-faringei sono attribuibili a tipi oncogeni di HPV (3% nei tumori della cavità orale e il 12% nei cancri oro-faringei. E’ stata anche documentata in uno studio di recente pubblicazione la possibile associazione tra infezione da HPV oncogeni e carcinoma mammario giovanile. I vaccini disponibili Attualmente disponiamo di due vaccini (Cervarix® e Gardasil®) per la prevenzione primaria delle forme tumorali HPV correlate. Entrambi i vaccini sono stati ottenuti con tecniche di biologia molecolare e contengono la proteina L1 dell’involucro virale dei tipi 16 e 18 ed hanno come obiettivo primario la prevenzione del cancro della cervice uterina. Gardasil® contiene anche la proteina L1 dei tipi a basso rischio oncogeno 6 e 11 ed è indicato per la prevenzione della condilomatosi e delle lesioni cervicali di basso grado a questi due genotipi correlate. I numerosi studi clinici, condotti su entrambi i vaccini, hanno mostrato un ottimo profilo di sicurezza e un’elevata efficacia. Impatto dei vaccini sulla prevenzione delle infezioni e delle malattie correlate con i tipi oncogeni non vaccinali I risultati di studi clinici indicano che i vaccini sono in grado di determinare una parziale pro-

tezione per i tipi oncogeni delle specie A7 e A9 filogeneticamente simili ai tipi 18 e 16. Recenti pubblicazioni hanno mostrato un’efficace protezione del vaccino bivalente (Cervarix®) contro le infezioni incidenti, le infezioni persistenti e le lesioni pre-cancerose (CIN2+ e CIN3+) causate dai 12 tipi oncogeni non presenti nel vaccino ed in particolare per i tipi 31, 33 e 45. E’ stata valutata una cross-protezione, in modo aggregato e per singolo ceppo sia per l’infezione persistente che per la lesione precancerosa CIN2+. I più alti livelli di cross-protezione sono stati rilevati contro i ceppi HPV-31 e HPV-45. Per il tipo 31 l’efficacia vaccinale significativa è stata osservata per le infezioni persistenti e le lesioni pre-cancerose (CIN2+). Per HPV-45 è stata rilevata un’efficacia protettiva significativa per l’infezione persistente, mentre, a causa, della scarsa prevalenza di tale ceppo e del numero limitato di casi, non è stata raggiunta la significatività statistica verso le lesioni CIN2+, anche a fronte di un’efficacia verso HPV45 del 100%. Questi risultati di cross-protezione del vaccino bivalente sono rilevanti perché comportano l’incremento dell’efficacia protettiva contro il cancro cervicale del 11-16%. Particolarmente importante risulta essere la protezione verso HPV-45, che gioca un ruolo chiave nello sviluppo dell’adenocarcinoma. Uno studio condotto su donne “naive” con il vaccino quadrivalente (Gardasil®) ha dimostrato una riduzione di infezioni incidenti dovute a HPV31/45 del 40,3% e del 43,6% di CIN13/AIS (adenocarcinoma in situ). La riduzione dell’infezione dovuta a HPV31/33/45/52/58 e di CIN1-3/AIS è stata del 25,0% e del 29,2% rispettivamente. L’efficacia per CIN2-3/AIS associata con 10 tipi oncogeni non vaccinali è stata del 32,5%, la maggiore riduzione è stata notata per HPV-31. Non è stata evidenziata un’efficacia protettiva significativa del vaccino quadrivalente per HPV-45. Uno studio su donne sessualmente attive vaccinate con il Gardasil® ha dimostrato una riduzione della percentuale di infezioni da HPV 31/33/45/52/58 del 17,7% e di CIN1-3 o AIS nel 18,8%. La vaccinazione riduce anche la percentuale di CIN1-3/AIS associati con HPV 31/58/59 del 26,0%, del 28,1% e del 37,6% rispettivamente. E’ stata riscontrata una modesta riduzione di CIN2 associata a HPV31/33/45/52/58.

5


Anno II, N. 1 - Gennaio/Marzo 2010

Contributi Conclusioni In conclusione un elevato numero di dati epidemiologici è stato acquisito negli ultimi anni e i risultati delle ricerche mostrano che il tipo più comune nelle lesioni pre-cancerose e cancerose del collo dell’utero è il 16 seguito dal 18, 33, 45, 31 e 58. HPV-16, 18 e 45 sono i tipi più rilevanti nell’adenocarcinoma cervicale, che rimane ad oggi la neoplasia di più difficile diagnosi con i metodi di screening. I dati acquisiti sull’efficacia della vaccinazione per i tipi 16 e 18 e quelli ottenuti sulla protezione crociata verso altri tipi oncogeni, permettono di ipotizzare una potenziale importante riduzione, nei prossimi anni, delle malattie correlate al Papillomavirus. E’, inoltre, di notevole rilevanza sottolineare che per l’adenocarcinoma la vaccinazione appare la strategia di prevenzione più efficace e che i dati acquisiti sulla protezione crociata, ed in particolare verso HPV-45 permetteranno nel futuro di ridurre drasticamente il numero di casi. Vaccinazione e screening appaiono la chiave di successo nella sfida contro una delle più importanti priorità di Sanità Pubblica a livello globale. I dati epidemiologici acquisiti negli ultimi anni sull’impatto del Papillomavirus su altri tipi di cancro permettono di ipotizzare che il 40% dei carcinomi vulvari, il 60% di quelli vaginali e l’80% delle neoplasie anali potranno essere evitati con l’utilizzo dei vaccini. Occorre però che la ricerca futura chiarisca gli aspetti ancora oscuri come: l’importanza delle infezioni multiple nella progressione della malattia, il concetto di persistenza, la protezione naturale conferita dall’infezione e la probabilità di infezioni ripetute con lo stesso tipo. Bibliografia 1. Vaccine Vol. 24 (Supplement 3) 2006 HPV vaccines and screening in the prevention of cervical cancer. 2. Vaccine Vol. 26 (Supplement 10) 2008 Prevention of cervical cancer: progress and challenges on HPV vaccination and screening. 3. Smith JS, Lindsay L, Hoots B, Keys J, Franceschi S, Winer R, Clifford GM. Human papillomavirus type distribution in invasive cervical cancer and high-grad cervical lesions: a

6

meta-analysis update. Int J Cancer. 2007; 121(3):621-32. 4. De Vuyst H, Clifford G, Nascimento MC, Madeleine M, Franceschi S. Prevalence and type distribution of human papilomavirus in carcinoma and intraepithelial neoplasia of the vulva, vagina and anus: a meta-analysis. Int J Cancer 2009;124:1626-1636. 5. Jenkins D. A review of cross-protection against oncogenic HPV by an HPV-16/18 AS04adjuvanted cervical cancer vaccine: importance of virological and clinical endpoints and implications for mass vaccination in cervical cancer prevention. Gynecologic Oncology 2008;110: S18-S25. 6. Paavonen J, Naud P, Salmeron J, Wheeler CM, Chow SN, Apter D, Kitchener H, Castellsague X, Teixeira JC, Skinner SR, Hedrick J, Jaisamrarn U, Limson G, Garland S, Szarewski A, Romanowski B, Aoki FY, Schwarz TF, Poppe WA, Bosch FX, Jenkins D, Hardt K, Zahaf T, Descamps D, Struyf F, Lehtinen M, Dubin G; HPV PATRICIA Study Group, Greenacre M. Efficacy of human papillomavirus (HPV)-16/18 AS04-adjuvanted vaccine against cervical infection and precancer caused by oncogenic HPV types (PATRICIA): final analysis of a doubleblind, randomised study in young women. Lancet 2009;374 (9686): 301-14. 7. The FUTURE II Study Group. Effect of prophylactic human papillomavirus L1 virus-likeparticle vaccine on risk of cervical intraepithelial neoplasia grade 2, grade 3, and adenocarcinoma in situ: a combined analysis of four randomised clinical trials. Lancet 2007; 369: 1861-8. 8. Brown DR, Kjaer SK, Sigurdsson K, Iversen OE, Hernandez-Avila M, Wheeler CM, Perez G, Koutsky LA, Tay EH, Garcia P, Ault KA, Garland SM, Leodolter S, Olsson SE, Tang GW, Ferris DG, Paavonen J, Steben M, Bosch FX, Dillner J, Joura EA, Kurman RJ, Majewski S, Muñoz N, Myers ER, Villa LL, Taddeo FJ, Roberts C, Tadesse A, Bryan J, Lupinacci LC, Giacoletti KE, Sings HL, James M, Hesley TM, Barr E. The impact of quadrivalent human papillomavirus (HPV; types 6, 11, 16, and 18) L1 virus-like particle vaccine on infection and disease due to oncogenic nonvaccine HPV types in generally HPV-naive women aged 16-26 years. J Infect Dis. 2009; 199(7): 926-35.


Inserto della rivista Periodico Trimestrale Anno II, N. 1 - Gennaio/Marzo 2010

La prima malattia che fu trattata dai matematici è stata il vaiolo e fu affrontata da personaggi come D’Alembert e Bernoulli. Essi si occuparono di questioni demografiche cercando di stabilire la probabilità di sopravvivenza, la mortalità dovuta alla malattia, i possibili effetti della variolizzazione, oggi diremmo della copertura vaccinale, sulla sopravvivenza. Si tratta del primo esempio sistematico di elaborazione di formule matematiche che rappresentino i possibili effetti di una malattia sulla popolazione generale. Da allora, lo sviluppo di modelli matematici e statistici per rappresentare la diffusione di malattie trasmissibili e i loro effetti sulla popolazione. Questi modelli partono da una raccolta di dati empirici e hanno l’obiettivo di ricavare i parametri che descrivono l’andamento del fenomeno e che ne proiettino nel futuro le possibili conseguenze. I modelli possono essere usati per fare previsioni e per predire gli effetti di strategie di intervento. Inoltre, i modelli matematici costituiscono la base per modelli farmacoeconomici che valutino l’impatto economico di una malattia sulla popolazione e i costi o i vantaggi economici derivati da strategie di intervento. Dal punto di vista della programmazione sanitaria, i modelli matematici sono diventati strumento indispensabile per descrivere scenari possibili e prendere decisioni ragionate sull’utilizzo delle risorse. Forse l’aspetto più interessante è che i modelli permettono di confrontare gli effetti attesi di diverse strategie di intervento e permettono di prevedere diversi esiti a partire da diverse ipotesi di partenza.

Con questo numero del GdV vogliamo iniziare una serie di articoli che spieghino le modalità con le quali matematici e statistici affrontano la questione dei modelli matematici e dei modelli farmacoeconomici, utili per disegnare strategie vaccinali. Sperando di fare cosa utile per il lettore, questa piccola serie viene impaginata in maniera da essere staccabile e unita ai prossimi numeri diventare una piccola pubblicazione indipendente.

Riproduzione della lettera di D’Alembert dedicata al calcolo delle probabilità applicata allo studio degli effetti dell’inoculazione del vaiolo


Inserto della rivista

Periodico Trimestrale - Anno II, N. 1 - Gennaio/Marzo 2010

A. Lunelli, A. Pugliese

La vaccinazione rappresenta oggi uno degli strumenti più efficaci per combattere la diffusione di malattie infettive ed ha permesso, finora, di salvare milioni di vite umane e di sradicare malattie gravissime in molte regioni del mondo. Importanti esempi riguardano malattie come il vaiolo, eliminato nel 1980, la poliomelite, cancellata dalla maggior parte dei paesi, il morbillo, la parotite, la rosolia, già scomparse in alcune regioni. E anche qualora la vaccinazione dia risultati piu modesti, essa permette comunque il controllo della malattia e la riduzione del numero di malati a maggior rischio di complicanze, come, ad esempio, gli anziani per la vaccinazione antinfluenzale o i bambini nel primo anno di vita per la vaccinazione antipertosse. La pianificazione delle strategie vaccinali rappresenta quindi un importante aspetto della gestione e dello studio delle epidemie di malattie infettive. In quest'ottica, i modelli matematici risultano essere dei validi strumenti per l'analisi delle dinamiche dell'infezione, per lo studio dei fattori che ne regolano la trasmissione e per la valutazione di diverse strategie d'intervento. In questi modelli, che sono stati sviluppati e raffinati a partire dal famoso lavoro del 1927 di Kermack e McKendrick, vengono descritte, attraverso specifici parametri, le caratteristiche salienti della malattia studiata e i fattori di natura biologica, comportamentale e sociale che influenzano la sua diffusione. Calibrando il valore di questi parametri, anche attraverso il confronto

2

con i dati reali, è possibile riprodurre le epidemie osservate. Ad esempio la Figura 1 mostra un confronto grafico fra l'epidemia di influenza stagionale osservata nel 2003/2004 in Italia e la stessa epidemia ricostruita utilizzando un modello matematico. Come si vede il modello riesce a rappresentare in modo molto accurato l'andamento osservato. Tra i parametri di un modello matematico, il numero riproduttivo di base R0 è sicuramente uno dei più significativi. R0 rappresenta il numero medio di individui infettati da un individuo infetto. Intuitivamente, se un individuo infetto contagia in media meno di una persona, cioè se R0 è minore di 1, il numero di infetti è destinato a diminuire e l'epidemia si estinguerà spontaneamente. Al contrario, se un infetto contagia più di una persona si assisterà ad una crescita esponenziale del numero di casi, tanto più rapida quanto più alto è il numero medio di individui contagiati da un singolo infetto. Tale crescita continuerà fino a quando il numero di individui che possono essere infettati, cioè i suscettibili, non sarà abbastanza basso da far si che un infetto, non incontrando più molti suscettibili, finisca per infettare in media meno di una persona. In altre parole, l'epidemia andrà verso la sua fase finale quando la diminuzione del numero di suscettibili porterà R0 sotto 1. Si capisce allora come il valore del parametro R0 possa essere utilizzato per pianificare una strategia d'intervento


Inserto della rivista

Periodico Trimestrale - Anno II, N. 1 - Gennaio/Marzo 2010

quale la vaccinazione: la vaccinazione rende immuni gli individui trattati, diminuendo così il numero di suscettibili. Se questa diminuzione sarà abbastanza cospicua, cioè se il livello di vaccinazione sarà abbastanza alto, non vi saranno molti suscettibili nella popolazione, gli infetti riusciranno ad infettare meno persone e il valore di R0 scenderà sotto 1, interrompendo così la diffusione dell'epidemia. Dal valore iniziale di R0 dipenderà l'entità dello sforzo necessario per farlo scendere sotto 1 e contenere l'epidemia: ad esempio se R0=2 dovremo vaccinare abbastanza persone in modo da ridurre del 50% la trasmissione, se R0=3 lo sforzo richiesto sarà maggiore, per arrivare a bloccare il 66% della trasmissione, e così via. La misurazione diretta del numero riproduttivo di base è, per sua natura, molto complessa; pertanto sono state sviluppate diverse tecniche per ottenerne una stima dai dati epidemici. Infatti R0 dipende da diversi parametri: per esempio, se consideriamo un'infezione introdotta da poco e

ancora in fase di crescita, possiamo stimare R0 dal tasso di crescita, mentre se si tratta di un'infezione endemica da parecchio tempo, R0 dipenderà dall'età media d'infezione e dall'aspettativa media di vita degli individui. Una volta stimato il valore di R0, se ci poniamo nel semplice caso di una popolazione omogenea e supponiamo di vaccinare gli individui con un vaccino efficace al 100%, è possibile quantificare la frazione f di individui che è necessario vaccinare per portare R0 sotto 1 ed eradicare la malattia. A titolo di esempio, nella Tabella 1 sono riportate le stime di R0 e f per alcune malattie, supponendo un'aspettativa media di vita di circa 70 anni. Come si può vedere tale frazione è in generale piuttosto alta e variabile a seconda della malattia. Questi numeri, sebbene costituiscano una stima piuttosto cruda dello sforzo vaccinale richiesto, mostrano che sarà generalmente più facile debellare la poliomelite, il vaiolo o la rosolia piuttosto che il morbillo o la varicella.

Figura 1

3


Inserto della rivista

Periodico Trimestrale - Anno II, N. 1 - Gennaio/Marzo 2010

Tabella 1 Per ottenere stime più precise occorrerà invece tenere conto dei numerosi fattori che nella realtà influenzano l'efficacia di una particolare strategia vaccinale, considerando modelli più dettagliati e complessi. Tra questi fattori, possiamo menzionare la possibilità che un vaccino offra un'immunità soltanto parziale, la perdita di immunità a distanza di tempo dalla vaccinazione, la possibilità che il vaccino non stimoli una reazione immunitaria in taluni individui, etc. Ciascuno di questi elementi ha un'influenza sull'efficacia di una strategia vaccinale e sulla stima della copertura necessaria per eliminare la malattia. In pratica, se prendiamo il caso del morbillo, questo significa che, se il vaccino conferisse immunità soltanto al 95% dei vaccinati, non sarebbe più sufficiente vaccinare il 94% della popolazione, come riportato nella Tabella 1, ma sarebbe necessario arrivare al 99%, soglia comprensibilmente difficile da raggiungere. In ogni caso, anche qualora non si riesca a raggiungere un livello di vaccinazione tale da estinguere un'epidemia o sradicare la malattia, questo tipo di intervento può essere utile per minimizzare gli effetti di un'infezione, ad esempio riducendo il numero di persone infette ed il numero di ospedalizzazioni e complicanze legate alla

4

patologia, valutando il numero minimo di individui da vaccinare per potere beneficiare dell’immunità di gregge (Figura 2) o proteggendo le persone a maggior rischio di complicanze. Modelli matematici più dettagliati possono allora essere utilizzati per capire, attraverso la simulazione di diverse strategie, come organizzare in modo ottimale la vaccinazione: ad esempio, nel caso in cui il numero di dosi di vaccino disponibili sia limitato, ci si potrebbe chiedere se sia meglio vaccinare prima i bambini o gli anziani, se sia meglio vaccinare solamente determinate categorie considerate “a rischio” o se vaccinare indistintamente tutti gli individui in una certa fascia d'età, e così via. La Figura 3 mostra i risultati di una simulazione fatta in previsione della diffusione del virus influenzale pandemico A/H1N1 in Italia, in cui vengono messe a confronto tre diverse strategie d'intervento che, insieme ad altri trattamenti, prevedono: la vaccinazione dei lavoratori essenziali, degli anziani e delle categorie a rischio (categorie I e II, prima strategia), unita alla vaccinazione di bambini e adolescenti (categorie I-III, seconda strategia), e alla vaccinazione degli adulti con più di 40 anni (categorie IIV, terza strategia). Come si può vedere, la


Inserto della rivista

Periodico Trimestrale - Anno II, N. 1 - Gennaio/Marzo 2010

scelta di una specifica strategia può influenzare sensibilmente le dinamiche di un'epidemia; pertanto una valutazione preventiva può rivelarsi di grande importanza e aiutare nelle scelte. L'esempio precedente fornisce lo spunto per discutere un'altra questione relativa alla vaccinazione, quella dell'età ottimale per l'intervento: ci possiamo cioè chiedere quale fascia d'età sia più indicato vaccinare volendo massimizzare i benefici derivanti da un tale trattamento. Ciò sarà particolarmente significativo per le malattie (come il morbillo) per cui i neonati godono di un'immunità temporanea data dagli anticorpi materni, per le malattie (come la pertosse) per cui l'immunità svanisce nel tempo o per le malattie (come la rosolia) che richiedono la protezione di classi di individui più vulnerabili, colpite in modo più grave dalla malattia o che giocano un

ruolo chiave nella trasmissione. Inoltre la questione merita particolare attenzione qualora la gravità della malattia aumenti con l'età d'infezione. Infatti, in generale, la vaccinazione di massa, pur riducendo l'incidenza totale della malattia, fa aumentare l'età media d'infezione. Come ci si può aspettare, riducendo la possibilità di trasmissione, i pochi individui non vaccinati hanno una minore probabilità di essere infettati e quindi, in generale, se si infettano, si infetteranno più tardi. Anche in questo caso i modelli matematici possono essere utilizzati per capire come aumenta l'età media d'infezione e per valutare l’efficacia di nuove strategie vaccinali. Ad esempio, nel caso della pertosse, la vaccinazione dei bambini riduce il numero di casi tra gli individui più giovani, nei quali le complicanze possono essere anche molto gravi, ma aumenta i casi registrati negli

Figura 2

5


Inserto della rivista

Periodico Trimestrale - Anno II, N. 1 - Gennaio/Marzo 2010

Figura 3 adolescenti e negli adulti. L'incremento dell'incidenza di pertosse nell'adulto di per sè non rappresenta tanto un problema per il rischio di complicanze, che in questa fascia di età è minimo, quanto per il fatto che gli adulti infetti rappresentano una importante fonte di contagio per i neonati non ancora vaccinati o che non hanno completato il ciclo primario di vaccinazione. Per questo motivo in molti Paesi sono state recentemente introdotte raccomandazioni per la vaccianzione di richiamo antipertosse nell'adolescente e nell'adulto. Appare quindi chiaro come la scelta di una efficace politica vaccinale debba essere il frutto di un'attenta valutazione di numerosi fattori, tra i quali sono sempre più importanti analisi farmacoeconomiche e di HTA, e

6

di una specifica pianificazione che comprenda l'analisi di diverse strategie d'intervento. La possibilità di simulare queste strategie e di prevedere quali saranno gli effetti sia sul breve che sul lungo periodo delle politiche vaccinali in esame rappresenta sicuramente un valido strumento, che trova nei modelli matematici una versatile espressione. Bibliografia - Un testo generale di riferimento è Anderson, R.M. and May, R.M. Infectious diseases of humans, Oxford Univ. Press (1991). - Un testo recente molto più matematico è Ma, S. and Xia, Y. (eds.) Mathematical understanding of infectious disease dynamics, World Sci. (2009).


Inserto della rivista

Periodico Trimestrale - Anno II, N. 1 - Gennaio/Marzo 2010

A. Marocco, F. Bamfi

L’Health Technology Assessment (HTA) è un processo strutturato e multidimensionale di analisi e decisione: strutturato perché presuppone una raccolta e un’analisi sistematica di dati a supporto delle tecnologie oggetto di valutazione; multidimensionale perché l’impatto della tecnologia deve essere valutato su diversi piani: sanitario, economico, etico, sociale e organizzativo. L’HTA nasce circa 30 anni fa, in risposta all’incontrollata diffusione di costose tecnologie sanitarie, con l’intento di affermarsi come strumento di supporto alle decisioni relative alla miglior allocazione delle risorse sanitarie. Questo approccio multi-disciplinare, rappresenta un processo sistematico, rigoroso e riproducibile di valutazione, accessibile e validato, in grado di fare da “ponte” tra il mondo scientifico e quello politico-decisionale. Questa metodologia è orientata alla diffusione e comunicazione dei risultati, che avvengono generalmente attraverso la stesura di un rapporto di Health Technology Assessment. Ad oggi non esiste ancora in Italia un processo istituzionalizzato e codificato a livello nazio-

nale di valutazione di HTA per le nuove tecnologie sanitarie. Ossia una valutazione secondo la metodologia HTA non è richiesta ai fini della rimborsabilità di un nuovo medicinale, né ai fini della sua introduzione nei prontuari regionali o locali. In Italia la valutazione delle tecnologie sanitarie sta muovendo i primi passi a livello istituzionale, con iniziative nazionali e regionali coerenti con il nuovo assetto federativo del Sistema Sanitario Nazionale (SSN). Il coordinamento a livello nazionale e la promozione dell’HTA, è affidato all’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Age.Na.S.) e importanti iniziative regionali sono state riscontrate in Toscana, Veneto, Emilia-Romagna, Lombardia e Piemonte. L’applicazione dell’HTA al campo delle vaccinazioni è abbastanza recente e nasce sotto la spinta del numero crescente di vaccini disponibili o in sviluppo, in particolare per quelli non indirizzati alla popolazione pediatrica. Una valutazione di HTA riguardante un nuovo vaccino ha la potenzialità di costituire un fondamentale strumento di supporto decisionale, al fine di conseguire simultaneamente un duplice risultato: l’allocazione ottimale delle risorse e

7


Inserto della rivista

Periodico Trimestrale - Anno II, N. 1 - Gennaio/Marzo 2010

la massimizzazione del beneficio di salute nella popolazione. In Italia nel 2007, La Torre et al. propongono un possibile modello di valutazione di HTA per i vaccini, poi applicato al caso specifico del vaccino anti HPV. La valutazione prevede diversi ambiti di approfondimento: • inquadramento epidemiologico; • impatto socio-sanitario (ospedalizzazione e mortalità) della patologia; • identificazione della pratica clinica corrente, delle misure preventive e degli eventuali eventi avversi dovuti all’immunizzazione; • elaborazione di un modello matematico predittivo dell’impatto economico e epidemiologico della vaccinazione; • analisi di Costo/Beneficio e Costo/Efficacia della vaccinazione; • investigazione sugli aspetti biotecnologici; • valutazione Etica, Legale e Sociale dell’infezione e delle patologie correlate nonché della tecnologia preventiva; • studio degli aspetti organizzativi e dell’impatto della vaccinazione sull’intero SSN. Questo modello è stato applicato negli ultimi anni ad alcune esperienze a riguardo della valutazione di vaccini (i report scientifici sono disponibili sul sito web dell’Italian Journal of Public Health):

8

• Health Technology Assessment della vaccinazione anti-HPV. • Health Technology Assessment del vaccino quadrivalente anti-HPV Gardasil®. • Health Technology Assessment del vaccino anti-pneumococcico coniugato con la proteina D dell’ Haemophilus influeanzae non tipizzabile Synflorix (PHiD-CV). Esse rientrano a tutt’oggi fra le prime applicazioni della metodologia HTA al contesto italiano. Bibliografia 1. Tarricone R. “Valutazioni Economiche e Management in sanità. Applicazioni ai programmi e tecnologie sanitarie” McGraw-Hill, 2004, pp. 183-201. 2. RN Battista, MJ Hodge “The evolving paradigm of health technology assessment: reflections for the millennium”, JAMC (9), 1999, 1464-1467. 3. Johansen K.S. “WHO concept on Health Technology Assessment”, Health Policy, 9 (3), 1988, pp.349-351. 4. Sito web Italian Journal of Public Health: http://www.ijph.it/#home; 5. La Torre G. et al. “Health Technology Assessment and vaccine: new needs and opportunities?” IJPH, 5 (1), 2007.


Anno II, N. 1 - Gennaio/Marzo 2010

Contributi

Un caso di pertosse: descrizione e riflessioni F. Mazzei, N.M. Grasso

Caso clinico Francesco, lattante di circa 2 mesi, vive con i genitori, tre sorelle, un fratello nonché circondato da nonni e zii. Da 15 giorni (in contemporanea alle due sorelline di 8 e 13 anni) presenta tosse senza febbre né dispnea. Su suggerimento del pediatra ha iniziato terapia aerosolica per una mucosite delle prime vie aeree; tale terapia è stata eseguita per una settimana, ma la tosse persiste e diventa secca e stizzosa. Dal pediatra, di nuovo consultato, viene aggiunto in terapia sobrerolo per altri 5 giorni e, al termine della stessa, viene ricontrollato e rassicurata la madre sulla benignità del sintomo tanto che la famiglia parte per le vacanze al mare. Il bimbo, intanto, continua a tossire sempre più insistentemente e rifiuta di alimentarsi regolarmente. La madre, preoccupata, lo conduce prima alla guardia medica poi al PS dell’ospedale della cittadina dove trascorre le vacanze. Il pediatra del PS consiglia il ricovero per “sospetta bronchiolite”, ma i genitori lo rifiutano per tornare a casa impegnandosi a condurre il figlioletto nell’ospedale della propria zona di residenza. All’ingresso (Luglio ’09) nel reparto di pediatria: lattante di 70 giorni, kg 5.7, apiretico, in apparenti buone condizioni di nutrizione, tosse stizzosa spontanea e ad accessi, lieve polipnea (35/min), FC 150/min, SaO2 93%, indebolimento del m.v. posteriormente, ernia ombelicale, si alimenta al seno soddisfacentemente lontano dai colpi di tosse. Viene, pertanto, ricoverato e subito instaurata terapia con azitromicina alla dose di 10 mg/kg per 5 giorni. Nei primi due giorni di ricovero il quadro clinico si rende più evidente per presenza di numerosi accessi di tosse di tipo parossistico, sempre più ravvicinati, talvolta seguiti da

vomito. In terza giornata gli accessi sono tipici di “caso clinico”di pertosse: colpi ravvicinati con congestione del volto, occhi iniettati e lacrimanti, lingua protrusa con violenza, seguiti da vomito finale (latte e muco filante e trasparente) e stato di spossatezza generale. Nelle fasi intercritiche si alimenta in modo soddisfacente al seno materno ed ha la caratteristica facies “pertossica” caratterizzata da volto tumido, palpebre edematose, emorragie congiuntivali ed alcune petecchie al volto. I parametri vitali si sono mantenuti, durante il ricovero, nella norma (SaO2 95%, FC 120/min, FR 20-25/min) nei periodi interaccessuali mentre, durante gli accessi, si assiste a marcata desaturazione (tale da richiedere talvolta la somministrazione di O2), incremento della FC e della FR. Il peso non ha subìto grosse variazioni in calo. L’ Rx del torace, eseguita all’ingresso, è risultata nella norma. Unico dato di laboratorio patologico è una leucocitosi con linfocitosi relativa e piastrinosi. Esegue dosaggio anticorpi antipertosse risultati positivi. In decima giornata, in seguito alla riduzione del numero ed all’intensità degli accessi di tosse, viene dimesso. I controlli successivi dimostrano un ulteriore netto miglioramento con accessi di tosse sempre più diradati ed il piccolo viene sottoposto anche alla somministrazione della 1a dose del vaccino esavalente (come da calendario vaccinale). Considerazioni È noto che la diagnosi di pertosse non è sempre agevole per la presentazione clinica spesso aspecifica e sfumata; in particolare, nei più piccoli, laddove le complicanze possono assumere il carattere più ingravescente, la sintomatologia è spesso rappresentata solo da crisi di apnea e gasping ed il cosiddetto “urlo” non è per nulla tipico né frequente. Anche negli adulti una tosse di lunga durata può essere espressione di diverse situazioni patologiche quali asma, BPCO, broncopolmoniti da germi intracellulari, reflusso gastroesofageo, etc. difficilmente i medici, in assenza di

7


Anno II, N. 1 - Gennaio/Marzo 2010

Contributi dati epidemiologici significativi, sono indotti a pensare alla diagnosi di pertosse. Il sospetto diagnostico, spesso tardivo, può essere confermato con metodiche laboratoristiche. L’esame colturale per l’identificazione di possiede una specificità del 100%, ma la sensibilità della cultura può essere limitata da diversi fattori raggiungendo valori compresi tra l’80 ed il 90% solo in condizioni ottimali di crescita, trasporto ed isolamento del germe e riducendosi, nella pratica quotidiana, al 3060% (1). Utilizzando la metodica dell’amplificazione del DNA (PCR) la sensibilità aumenta notevolmente, secondo quanto riportato da Advisory Committee on Immunization Practices, quando i sintomi di pertosse classica sono presenti la PCR è tipicamente 2-3 volte più probabilistica della coltura nel rilevare la Bordetella in un campione; ciò nonostante non esistono ancora parametri standardizzati ed uniformi tra i vari laboratori. Per questi motivi, il caposaldo per la diagnosi rimane la sierologia. La metodica ELISA con antigeni purificati come la tossina pertossica è la più usata; tuttavia non è stato raggiunto un accordo sugli standard di sensibilità e specificità dei diversi test ELISA e molti kit del commercio sono dotati di potenza diagnostica variabile. Utilizzando la sierologia sono generalmente necessarie almeno due determinazioni a distanza di tempo che possano dimostrare una variazione del tasso anticorpale, ma il riscontro di un titolo di IgG anti PT > 100-125 EU/ml (siero di riferimento FDA) può essere considerato un marcatore sufficiente di infezione batterica recente (1). Ricercando la possibile fonte di contagio della pertosse per il piccolo Francesco abbiamo indagato tra i familiari e scoperto che due sorelline (la più grande non vaccinata ma con malattia naturale, la più piccola vaccinata) hanno congiuntamente presentato tosse insistente e prolungata (oltre i 15 giorni) con caratteristiche cliniche simili ma più attenuate rispetto al fratellino. Anche due zii, che hanno stretto contatto con la famiglia del piccolo, hanno presentato sintomatologia similbronchitica con tosse persistente e prolungata. Tale situazione ci ha fatto sospettare che la probabile fonte dell’infezione doveva essere intrafamiliare. Nel caso sopradescritto, non

8

avendo la possibilità di praticare la coltura per l’isolamento della , data la scarsità in tutta la nostra nazione di laboratori con esperienza continuativa e difficoltà nel trasporto corretto dei campioni, abbiamo eseguito il dosaggio degli anticorpi anti-pertosse ai familiari che hanno avuto una sintomatologia simil-bronchitica e sono stati in contatto con il nostro paziente. Come era facile prevedere, anche i familiari hanno avuto una titolazione positiva degli anticorpi IgG anti-pertosse che, in accordo con la letteratura internazionale, sono gli indicatori più sensibili e specifici dell’infezione recente allorché superano di 2 DS i valori della popolazione normale. In questo caso, quindi, il criterio epidemiologico è stato fondamentale per la diagnosi per la presenza di sintomi compatibili in adulti contatti stretti o fratelli con documentati elevati livelli anti-PT. In Italia, con l’introduzione, a metà degli anni novanta, dei vaccini acellulari (meno reattogeni) e di quelli combinati e con la raccomandazione di un ciclo primario a tre dosi, la copertura ha superato il 90%. Secondo gli ultimi dati dell’indagine ICONA 2008, il 96% dei bambini tra i 12-24 mesi ha completato il ciclo primario di vaccinazione contro polio, difterite, tetano, pertosse, epatite B, raggiungendo gli obiettivi prefissati dal Piano Sanitario Nazionale. Tra gli adolescenti, viceversa, la

Figura 1


Anno II, N. 1 - Gennaio/Marzo 2010

Contributi copertura vaccinale per la 4° e 5° dose di pertosse è ancora molto bassa, essendo rispettivamente pari al 26,7% e 14,1% (2). Paradossalmente, il successo della vaccinazione universale dell’infanzia, ha determinato, accanto alla marcata riduzione dei casi di pertosse nei bambini, uno spostamento della malattia in fasce di età più avanzate, in particolare nell’adolescenza, come documentato anche da recenti indagini epidemiologiche Italiane, che hanno evidenziato un aumento dei casi nella fascia di età 10-14 anni (3). Una delle cause alla base del fenomeno, di cui si dibatte molto in letteratura, è la copertura immunitaria (sia umorale che cellulare) che tende a ridursi dopo circa 3 anni ed a scomparire circa 10-12 anni dopo la vaccinazione. La riduzione della copertura immunitaria comporta una quota crescente di adolescenti ed adulti suscettibili alla pertosse ed una conseguente aumentata incidenza di malattia nei soggetti di queste fasce di età. Tutto questo è chiaramente espressione della diversa pressione immunologica sulla circolazione della ; infatti in caso di nessuna o bassa copertura vaccinale esiste la possibilità di frequenti booster naturali e quindi la persistenza dell’immunità, naturalmente acquisita, negli adolescenti ed adulti. In caso di alta copertura vaccinale, invece, la possibilità di avere booster naturali si riduce notevolmente e quindi si ha una perdita di immunità negli adolescenti/adulti e la malattia risulta più frequente nei lattanti (in quanto non ancora completamente vaccinati) e negli adolescenti ed adulti. Sono proprio i casi di malattia degli adolescenti e degli adulti che mantengono una discreta circolazione della e permettono l'introduzione dell'agente infettivo nelle famiglie dove può essere presente un lattante di pochi mesi, che non ha ancora eseguito la prima dose di vaccino acellulare contro la pertosse (Figura 1). Questa evenienza ha una particolare gravità per il fatto che, anche quando sia stata eseguita la prima dose di vaccino, l'immunità contro la pertosse è inferiore al 50% e rimane relativamente bassa anche dopo 2 dosi (4). I dati delle schede di dimissione ospedaliera (5) confermano questo trend, infatti tra il 2000 ed il 2005, a fronte di coperture vaccinali dell’in-

Figura 2 fanzia superiori al 90% si sono registrati circa 100 ospedalizzazioni/anno per pertosse in bambini sotto l’anno di età con un tempo medio di degenza pari a 6.7 giorni (Figura 2). Strategie preventive Il calendario vaccinale italiano del PNV 20052007 prevede un ciclo primario antipertosse di tre dosi nel 1° anno di vita con 2 dosi di richiamo: a 5-6 anni d’età e nell’adolescenza (11-16 anni). Lo stesso PNV considera l’opportunità di sottoporre anche gli adulti a periodica vaccinazione antipertossica con vaccini a ridotto contenuto antigenico, in combinazione all’antitetanica ed antidifterica, con l’obiettivo di controllare la malattia nei bambini piccoli, che hanno maggior rischio di complicanze. Tuttavia al momento le coperture per la vaccinazione di richiamo dTpa nell’adulto sono molto basse, così come quelle dell’adolescente, misurate per la prima volta nel 2008 nell’abito dell’indagine ICONA. Se da un lato è indubbio che la vaccinazione universale degli adulti, con la sostituzione del richiamo decennale dT con dTpa, sia la strategia preventiva più efficace (4) dall’altro, è necessario considerare la difficoltà di ottenere, in questi soggetti, le coperture necessarie a ridurre a tal punto la circolazione della da creare una sufficiente

9


Anno II, N. 1 - Gennaio/Marzo 2010

Contributi

immunità di gregge. Per questo motivo molte nazioni hanno deciso di implementare strategie basate sulla vaccinazione di specifici gruppi di adulti (genitori di neonati, operatori sanitari) con l’obiettivo di minimizzare il più possibile il rischio di trasmissione della malattia ai lattanti non vaccinati. L’intervento, tra quelli proposti, che al momento sta raccogliendo i maggiori consensi per la maggiore facilità di contattare e coinvolgere il target, è il “cocoon”, che prevede l’immunizzazione dei genitori e dei contatti stretti del neonato a partire dal periodo prenatale e comunque entro le quattro settimane dalla nascita. A partire dalle raccomandazioni del CDC (6), pubblicate nel 2006 e 2008 che auspicano la sostituzione del booster decennale dT con dTpa per l’adulto e l’immunizzazione di entrambi i genitori prima della dimissione ospedaliera del neonato, alcuni Paesi Europei hanno incluso la strategia ‘cocoon’ nell’ambito dei calendari vaccinali (Tabella 1, modificato da Zepp F et al. 27° Congresso ESPID, Brussels, giugno 2009). Conclusioni Questo “caso indice” è altamente istruttivo per ricordare non solo ai pediatri, ma anche ai medici tutti, che:

10

- è necessario non sottovalutare tossi insistenti e persistenti negli adulti (giovani ed anziani) per identificare “serbatoi” di infezione pertossica; - è opportuno non abbassare la guardia per i piccoli lattanti con copertura primaria non completata; - è verosimile che se, come già avvenuto in altri paesi, in Italia la copertura vaccinale per la pertosse si stabilizzerà sul 96%, si assisterà ad un ribaltamento del quadro epidemiologico; per cui, per impedire la trasmissione della dall’adulto infetto al bambino non immune, non basta vaccinare il 100% dei bambini perché restano “a rischio” i lattanti al di sotto dei 2 mesi di età (come il nostro caso clinico), ma si renderà necessario Tabella 1 effettuare richiami vaccinali periodici per tutti gli adolescenti e gli adulti, come già suggerito dall’Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP 2005), che consiglia di sostituire dT con un vaccino dTpa, che rappresentano i veri serbatoi dell’infezione; - è importante e primario l’accurato controllo - per i primi 12-14 anni (da parte del pediatra di famiglia) e per gli anni successivi (da parte del medico di medicina generale)dell’avvenuto stato vaccinale onde consigliare, in caso di mancanze, la vaccinazione. Bibliografia 1. Reccomandiation of Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP) - MMRW 2006 Vol 55 / RR 17. 2 ICONA 2008: Indagine di Copertura vaccinale Nazionale nei bambini e negli adolescenti. Rapporti ISTISAN: 09/29. www.iss.it. 3. Gabutti G. J Prev Med Hyg 2008, 49, 1-8. 4. Bartolozzi G. Medico e Bambino 2005 pagine elettroniche. 5. Raffaella Giacchino, Anna Timitilli Varicella e pertosse nel bambino. Casi clinici. Gli Specializzati Oggi, Anno XVII-n. 2, aprile 2009. 6. Reccomandiation of Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP) - MMWR May 30, 2008 / Vol. 57 / No. RR.


Anno II, N. 1 - Gennaio/Marzo 2010

Editoriale stata maggiormente seguita e quanta spesa sanitaria avrebbe potuto essere risparmiata con i ricoveri per complicanze dell’infezione influenzale. Noi crediamo che le autorità sanitarie non avessero altra scelta, il vaccino e la campagna di vaccinazione andavano preparati. Temendo un terremoto è meglio abitare in case antisismiche anche se costa farle e se poi il terremoto non viene non piangeremo per il denaro speso. La prevenzione, che fra tutti gli interventi sanitari è quello che costa meno e rende di più, ha pure i suoi costi. Le critiche dei critici Si potrebbe obiettare che in base agli stessi dati disponibili all’OMS si potevano fare previsioni diverse e non dichiarare la pandemia. Ma per l’OMS, come spesso in molti campi della medicina, l’oneroso e ingrato compito è quello di sperare il meglio preparandosi al peggio. Quindi non c’era scelta, alle prime avvisaglie era necessario rendere noti i dati disponibili e avvertire di rischi. Purtroppo, quando macchine di tale complessità vengono messe in moto è difficile fermarle. Si avviano processi che coinvolgono diversi livelli e una programmazione sanitaria e produttiva che non può più essere fermata. Crediamo che tutti fossero consapevoli di trovarsi di fronte a scelte rischiose, ma il male minore era una spesa in eccesso, piuttosto che morti in eccesso. Altri insegnamenti Un aspetto molto discusso è stato quello della bassa copertura vaccinale raggiunta. Ma questo fatto nasconde una serie di problematiche. La popolazione a rischio sembra avere poco aderito all’invito di vaccinarsi. I medici, e, in generale, gli operatori sanitari sono stati fra i più scettici e restii, malgrado la loro delicata funzione sociale e la continua e maggiore esposizione a persone a rischio di gravi complicanze. Dobbiamo ammettere che l’effetto della campagna di vaccinazione è stato scarso. Si pone, quindi, il problema della difficoltà della sanità pubblica di condurre campagne di vaccinazione di massa al di fuori dall’obbligo. Ciò travalica lo stretto interesse dell’argomento influenza e pone un problema più ampio. Ci dobbiamo chiedere quale campagna sanitaria è possibile condurre oggi, qual’è l’impatto di una raccomandazione data dall’autorità sanitaria, di quale

portata ne siano gli effetti. Il discorso si potrebbe estendere, e sarebbe utile farlo, a tutti i vaccini non obbligatori che non hanno avuto l’effetto drenante della combinazione con quelli obbligatori. Ciò ci porterebbe a parlare dei richiami nell’adolescenza, alla copertura delle puerpere con la vaccinazione antirosolia, all’HPV, ma anche ad altre campagne di promozione della salute come il fumo, il Pap test, gli screening raccomandati. In passato, abbiamo sottolineato la capacità della sanità pubblica inglese di raggiungere elevate coperture in poco tempo con un’attenta campagna promozionale per l’Hib e per MMR, con enorme impegno di mezzi, con una forte presenza nei mezzi di comunicazione di massa, con incentivi mirati della classe medica. In Italia il problema si pone in modo acuto per le vaccinazioni e per i richiami non obbligatori, per i richiami nell’adolescente, per la vaccinazione per HPV delle donne che sono fuori dalle fasce per cui vi è un’offerta attiva e gratuita. Per un sistema sanitario moderno si tratta di sfide importanti che dipendono dai mezzi che si dispiegano per la diffusione delle conoscenze e per raggiungere una reale capacità di convincimento della popolazione. La Regione del Veneto ha intrapreso per prima la strada dell’abolizione dell’obbligo contando su un elevato livello di consapevolezza e di organizzazione. I prossimi anni ci diranno se la scelta è stata giusta. Editore SINERGIE S.r.l. Via La Spezia, 1 - 20143 Milano Tel./Fax 02 58118054

Titolare della testata

GlaxoSmithKline S.p.A.

Direttore responsabile

Mauro Rissa

Direttore scientifico

B.M. Assael

Stampa

Galli Thierry Stampa S.r.l. Via Caviglia, 3 - 20139 Milano

Tiratura

5.000 copie

Registrazione presso Tribunale di Milano n. 490 del 06-11-2009 Copyright ©2010 GlaxoSmithKline S.p.A. La presente pubblicazione è resa possibile grazie all’integrale finanziamento di GlaxoSmithKline S.p.A. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata o riprodotta senza l’autorizzazione dell’Editore. Chiunque volesse candidarsi autore per articoli da pubblicare o volesse inviare contributi editoriali che la direzione scientifica possa valutare, può farlo scrivendo a:

11


Dep. presso l'AIFA in data 08/02/2010

cod. 39893367


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.