Nautilus viaggio al centro della salute - n°1 Gennaio/Marzo 2010

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TRIMESTRALE SCIENTIFICO - Anno IV - N. 1, 2010

Angiologia News al XXIV Congresso Mondiale dell’IUA



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TRIMESTRALE SCIENTIFICO Anno IV - N. 1, 2010 Michel Perrin

Chirurgien vasculaire, Chassieu, France

Raffaele Pesavento

Università di Padova

Paolo Prandoni

Università di Padova

Maurizio Puttini

Presidente SICVE

Eberhard Rabe

Presidente UIP

Roberto Simkin

Università di Buenos Aires, Argentina Presidente IUA

Università di Milano

Paolo Zamboni

Università di Ferrara

Presidente CIF

Segreteria di redazione SINERGIE Edizioni Scientifiche S.r.l.

Editore SINERGIE Edizioni Scientifiche S.r.l. Via la Spezia, 1 - 20143 Milano Tel./Fax 02 58118054 E-mail: redazione@edizionisinergie.com www.edizionisinergie.com Direttore responsabile Mauro Rissa Direttore scientifico Giovanni B. Agus Board scientifico Claudio Allegra

Giuseppe M. Andreozzi Presidente SIAPAV Pierluigi Antignani

Università Campus Bio-Medico, Roma Segretario SIAPAV

Giovanni de Gaetano

Università Cattolica, Campobasso

Arkadiusz Jawien

Università di Bydgoszcz, Polonia

Sergio Mancini

Università di Siena

Mauro Martini

Presidente SNAMI

Andrew N. Nicolaides

Institute of Neurology and Genetics, Cyprus

Gualtiero Palareti

Presidente SISET

Hugo Partsch

Università di Vienna, Austria

Impaginazione SINERGIE Edizioni Scientifiche S.r.l. Stampa Galli Thierry Stampa S.r.l. Via Caviglia, 3 - 20139 Milano Tiratura 20.000 copie Registrazione presso Tribunale di Milano n. 139 del 07/03/2007

©Copyright 2010 SINERGIE Edizioni Scientifiche S.r.l. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata o riprodotta senza l’autorizzazione dell’Editore.

SOMMARIO EDITORIALE Angiologia News al XXIV Congresso Mondiale dell’IUA Giovanni B. Agus

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LEADING ARTICLE Dallo studio clinico al trattamento medico dei Disturbi Venosi Cronici Roberto Simkin Malattia tromboembolica venosa, sindrome post-trombotica ed infiammazione. Luci e ombre di una nuova visione Raffaele Pesavento

APPROFONDIMENTI Sintomi e segni di stagione: i Disturbi Venosi Cronici Giovanni B. Agus, Pierluigi Antignani

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COUNSELLING Dalle “piramidi alimentari” ai “profili nutrizionali”. Il difficile counselling alimentare Giovanni B. Agus

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CULTURA Buenos Aires, Italia Giovanni B. Agus

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Angiologia News al XXIV Congresso Mondiale dell’IUA L’ Angiologia in Italia, oggi, soffre. Spiace prenderne atto e, senza qui analizzarne le cause, si può solo ricordarne alcune: a partire dall’assenza, ormai da troppi anni, di una specifica Scuola di Specializzazione; alla scarsa presenza della branca nelle Istituzioni (ospedaliere ed ambulatoriali); alla forte intrusione attuale da parte di altre branche mediche non specifiche alla patologia vascolare; finanche, e non ne vogliamo ricordare i nomi illustri, il congruo numero di angiologi ora retired. L’Angiologia è comunque di valore e ben inserita a livello internazionale. Qui, l’IUA, o International Union of Angiology, continua a svolgere un lavoro di presenza ed eccellenza nel campo della patologia vascolare che ben continua una lunga storia cominciata dopo la seconda guerra mondiale con la fondazione stessa della branca quando angiologi internisti dello stampo di Martorell e altri, insieme a chirurghi vascolari di altrettanto valore come Leriche, Fontaine, Dos Santos, Malan e altri, ne originarono la prima società scientifica con questo nome. Appare dunque un grande impegno ed onore per il “Progetto Nautilus” - ricorderemo, attivo nel solo nostro Paese ma con il “conforto” di un ampio board internazionale - , la partecipazione con una propria sessione al XXIV Congresso Mondiale dell’IUA a Buenos Aires sotto la presidenza del Prof. Roberto Simkin, attivo componente del board stesso. Nonostante questo importante evento scientifico mondiale sia incappato in pieno nelle difficoltà aeree per l’ormai celebre nuvola vulcanica islandese, il Congresso è risultato in definitiva un successo per partecipazione e qualità scientifica, semmai con una prevalenza di contributi “dell’Altro Mondo”, sempre di alto livello. Roberto Simkin è da molti anni amico dell’Italia e amico personale con cui ho avuto la possibilità di un ricco scambio di confronto professionale anche attraverso l’antica e bella abitudine accademica dello scambio dei rispettivi libri e trattati. Era dunque quasi naturale che questo numero si aprisse con un leading article a sua firma, originato dal suo importante Tratado de Patologia Venosa y Linfatica, con una precisa puntualizzazione sui Disturbi Venosi Cronici (DVC) per il medico di medicina generale, partendo dallo studio clinico al loro trattamento medico.

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Naturalmente si è adattata la sua larga esperienza alla realtà scientifica e pratica italiana in termini di best medical therapy. Quasi a compendio di questo articolo, abbiamo ritenuto utile inserire un approfon-

dimento in Sintesi sui DVC come problema stagionale. Un secondo leading article, è ancora una volta legato al Congresso dell’IUA. Il Prof. Raffaele Pesavento, anch’egli membro del board, ci presenta alcuni importanti spunti della Lettura ricompresa nella Sessione Nautilus a Buenos Aires, sulle nuove prospettive della malattia tromboembolica venosa acuta, delle sue conseguenze croniche nella sindrome post-trombotica, nelle correlazioni con l’aterotrombosi. Ed il tema del tromboembolismo venoso è centrale, e di ulteriore valore per l’Angiologia italiana, nel premio ottenuto da Adriana Visonà per uno dei migliori contributi scientifici presentati al Congresso dell’IUA, sugli aspetti rilevanti del

Venous thromboembolism in elderly patients. Data from the RIETE Registry. Proseguendo il nostro percorso su spunti di Counselling per i nostri pazienti, l’alimentazione, che riveste un ruolo certamente chiave in prevenzione vascolare, viene qui letta anche in alcune declinazioni degli ambigui ruoli normativi ed economici.

Cultura. Proprio un guizzo, la singola pagina destinata nel presente numero a questa Sezione della Rivista, apprezzata da molti. Ma non poteva mancare un riconoscimento al valore culturale dello stretto rapporto tra Buenos Aires, sede del Congresso IUA, e l’Italia. Di più, si permetta, la scelta iconografica sia di questa pagina, che dell’articolo di Roberto Simkin, è al medesimo tempo esempio importante di tale legame culturale - l’Istituzione, il Museo Nacional de Bellas Artes di Buenos Aires e l’artista, l’ “argentino-italiano” Lucio Fontana –, quanto omaggio all’arte contemporanea che ha profondi legami con la scienza (vedi la figura dell’articolo di Raffaele Pesavento) come emerge dall’ importante Evento artistico “Arte e Scienza in Piazza”, ideato dalla Fondazione Marino Golinelli, contemporaneamente aperto in primavera in cento interventi nella città di Bologna: certe astrazioni, certe sculture, sembrano un naturale proseguimento della ricerca scientifica, la stessa ansia di

conoscenza dell’assoluto (Corriere della Sera, Eventi, 7 marzo 2010, pag. 32-33). Giovanni B. Agus

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Dallo studio clinico al trattamento medico dei Disturbi Venosi Cronici Roberto Simkin Professore di Chirurgia Vascolare, Università di Buenos Aires, Argentina Presidente del XXIV World Congress of the International Union of Angiology, Buenos Aires 21-25 Aprile 2010

L’esame obiettivo del paziente con disturbi venosi cronici (DVC) richiede una serie di indagini complementari, fondamentali per lo specialista vascolare. Per una migliore comprensione di questi temi è utile raggrupparli in ordine di importanza, secondo le ultime novità nel campo della flebologia. Quando il paziente arriva alla visita, si presenta in genere con una diagnosi di vene varicose e quello è il momento per iniziare ad indagare l’eziologia, domandandosi se le varici sono primitive o secondarie, quale trattamento può essere utile, e se sia indispensabile o no un intervento chirurgico. Risulta molto importante, nella definizione della storia clinica del paziente, eseguire secondo uno schema ed in modo sistematico un esame obiettivo generale ed uno specialistico, da noi più ampiamente trattati altrove (1). ESAME SPECIALISTICO L’esame del paziente parte da una serie dettagliata di quesiti che definiscono il caso clinico, indagando i precedenti del paziente su aspetti squisitamente flebologici. Per questo è utile porre domande che inquadrino il range di probabilità di presenza di una

tromboflebite collegabile ad una gravidanza, ad un parto o più semplicemente idiopatica; conoscere l’attività lavorativa e i tempi di percorrenza per recarsi al lavoro; non ultimo lo stato posturale abituale delle persone. L’esame obiettivo è importante per individuare gli edemi, esaminando le aree varicose delle gambe e le zone pelviche alla ricerca di altri segni varicosi a differente origine. Nel caso il paziente sia già stato sottoposto ad un intervento chirurgico, si indagherà sul tipo di tecnica chirurgica adottata, sul tempo trascorso e sul grado di varicosità presentato al momento della visita. Le prove diagnostiche venose sono oggi prevalentemente cadute in disuso, senza peraltro perdere della loro importanza (test di Rima o BrodieTrendelemburg; di Perthes; di Schwarz; del bendaggio compressivo; di Ochsner e Mahorner). Gli esami complementari utilizzati dallo specialista vascolare hanno permesso tuttavia di ampliare notevolmente le sue conoscenze sul paziente venoso, particolarmente con l’impiego dell’ eco-colordoppler (ECD). Negli ultimi anni infatti, grazie al lavoro di Sumner, David, Nicolaides, Labropoulos ed altri autori, l’ECD ha acquisito una tale rilevanza nella diagnosi, da spingere ad una implementazio-

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ne tecnologica molto rapida. Le apparecchiature attualmente in uso, insieme ad uno specialista ben formato al loro utilizzo, hanno fornito la mappa anatomica delle vene, che lo specialista vascolare segue avendo già le aree d’interesse clinico marcate. Questa novità ha di fatto reso desueta la flebografia, che rimane indicata nei casi di reflusso profondo o quando vi siano dubbi come nel caso di un paziente immobilizzato e ingessato. L’ECD valuta il calibro medio della vena safena, delle vene perforanti ed il rapporto con il volume per sapere se sono presenti incontinenze venose, e dove nasca realmente il reflusso. Consente così di scegliere un buon trattamento per i migliori risultati a lungo ter-

Vassily Kandinskij, “Circulo con castaño”, 1929, Buenos Aires, Museo Nacional de Bellas Artes Kandiskij padroneggia le strutture biologiche alla maniera di linee, piani, volumi, circolarità come questa sembianza di sezione vasale

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mine e un miglioramento della qualità di vita del paziente. TRATTAMENTO CLINICO DELLE FLEBOPATIE Attualmente alcuni prodotti per le varici sono talmente popolari da essere diventati trattamenti di automedicazione. Questo fa si che molti casi di DVC che potrebbero risolversi clinicamente con farmaci adeguati, possono non risolversi con trattamenti inadeguati, poiché esistono meccanismi d’azione sulle varici differenti per ognuna di queste sostanze. Non sempre si conoscono a fondo le caratteristiche distintive dei farmaci per le vene ed esiste il rischio di trattare qualsiasi paziente con DVC con il farmaco più popolare. Questo atteggiamento comporta il pericolo di mantenere la Flebologia ad un rango di specializzazione minore, limitando di conseguenza la conoscenza dei prodotti disponibili e le opportunità terapeutiche che questi offrono, soprattutto per meccanismo d’azione, fondamentale per effettuare la scelta migliore paziente per paziente. Esempi ne sono l’effetto dei benzopironi sul drenaggio linfatico e di altri farmaci particolarmente idonei ad agire anche sulle alterazioni flogistiche della parete venosa , poco conosciuti in medicina generale, con importanti limiti nel trattare il paziente con alcuni prodotti senza valutare le indicazioni cliniche specifiche per classi CEAP. In generale la farmacopea flebologica è molto ampia nei Paesi occidentali, con differenze in parte legate ai diversi nomi attribuiti dai produttori ai principi attivi nei diversi Paesi. Per questo si osservano nella pratica clinica quotidiana pazienti che assumono lo stesso principio attivo con nomi commerciali diversi. I francesi nominano tutti i prodotti che agiscono a livello venoso “flebotonici”, ma non è così in Argentina dove essi vengono classificati in base alla specifica azione. In Italia si usa la definizione di “farmaci flebotropi”, attestata da Linee Guida (2), più rispettosa delle numerose modalità di azione e delle differenziazioni di indicazione terapeutica a seconda delle diverse classi di DVC, su cui ci si soffermerà più avanti.


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Risulta molto difficile valutare i farmaci flebologici dato che non si riscontrano flebopatie negli animali e dunque risultano non facili i modelli sperimentali. I primi tentativi di ricerca clinica si basavano su studi in doppio cieco, anche se non esistono molti studi completamente validati. La microscopia elettronica, la pletismografia e la misura dell’ossigeno a livello capillare, permettono in molti casi di valutare il passaggio di questi prodotti nel sangue; diversi esempi favorevoli sono disponibili come con il dobesilato di calcio, la diosmina, ecc, con i quali si sono ottenuti risultati incoraggianti che dimostrano il loro effetto particolarmente sul microcircolo. Altri studi attraverso i quali si è comprovata l’esistenza di effetti ormonali sulla parete venosa sono stati realizzati con la microscopia elettronica, che ha dimostrato inoltre l’alterazione del tessuto connettivo dell’endotelio e la proliferazione dei fibroblasti nell’endotelio patologico, così come si è potuto osservare (nei differenti quadri clinici dei DVC) l’invasione dei tessuti connettivi da parte di fibroblasti e linfociti che sono parte del processo di “sclerosi indurattiva” delle vene. Al fine di ottenere una migliore comprensione dei medicamenti flebologici, o come si è già ricordato detti in passato “flebotonici”, così chiamati per la loro azione diretta sulla parete venosa, in Argentina è popolare la classificazione di Lusen e Garcìa Méndez che qui svilupperemo sinteticamente per lasciar spazio adeguato alla realtà scientifico-clinica sviluppata in Italia. Tornando comunque alla citata classificazione, tra i farmaci per le vene più impiegati nella pratica clinica quotidiana possono essere qui citati i seguenti: a) L’ippocastano. Può essere utilizzato come estratto secco in dosi che variano da 200 a 500 mg/die. Questo estratto totale è composto da tre principi attivi: escina, esculina e rutina, con esperi dina, che rappresenta uno dei prodotti più antichi fra le specialità farmacologiche in flebologia. L’estratto può essere preparato in gocce come estratto fluido di ippocastano, da solo o associato ad altri farmaci impiegati nella specialità. b) La rutina si può utilizzare come estratto naturale o di produzione sintetica in dosi da 120 a 150 mg/die.

La rutina naturale più utilizzata in Argentina è il triidrossi-etil-rutoside, al dosaggio attuale di tre grammi/die. c) Le rutine semi-sintetiche: vengono denominate diosmina e vengono commercializzata in associazione ad altri farmaci. d) Citroflavonoidi sono indicati nei pazienti con fragilità capillare, ecchimosi ed ematomi ricorrenti. Le dosi variano da 600 a 1000mg/die secondo la tollerabilità del paziente. e) Flebotonici: in generale sono impiegati in omeopatia in gocce o pomate per uso locale. Si trovano inoltre in commercio associati ad altri farmaci per le vene. f)Flebotropi: il più conosciuto è il meliloto che è un benzopirene che agisce come linfodrenante. Questo prodotto si trova in commercio e si utilizza in dosi che variano da 120 a 150 mg/die. Ultimamente si è iniziato a dare in dosi maggiori con risultati incoraggianti. g) Fra i prodotti sintetici abbiamo citato il dobesilato di calcio che si impiega a dosi di 1000mg/die. h)Meritano un cenno il glicofuranosico e la diidroergotamina, che sono fra i prodotti venotonici di maggiore attività comprovata in passato, seppure oggi meno usati o non più disponibili. La ruscogenina, con azione adrenergica si trova in forma di pomata e compresse. i) Polifarmaco. Si intendono per polifarmaci i farmaci che agiscono in forma combinata.

Terapie locali Si utilizzano in forma di creme topiche o gel che possono essere rinfrescanti, mentolati o semplici. Le creme si utilizzano come antinfiammatori locali e contengono corticoidi come il desametasone o l’acido niflumico come antinfiammatorio. I gel contengono eparinoidi, ialuronidasi e in alcuni casi triamcinolone. Agiscono localmente nei casi di ematomi post-operatori e spontanei. Nei casi di tromboflebiti superficiali si impiegano localmente sulla zona infiammata. Bendaggi e con composti topici Fanno parte della storia della flebologia, ma per via

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del largo impiego fattone e che ha continuato sempre ad essere utilizzato, merita la citazione “il gambaletto di Unna”. Questo è resuscitato e molti medici la stanno utilizzando anche oggi; viene preparata in laboratorio con ossido di Zn (ed eventualmente anche ittiolo) ed è di facile impiego.

Terapie generali a) Antitrombotici. L’eparina viene utilizzata per via sottocutanea e/o per via endovenosa come antitrombotico per eccellenza; occupa probabilmente il posto più importante all’interno di questa area terapeutica. Si presenta come il farmaco d’elezione nella tromboflebite acuta (trombosi venose profonde e superficiali). I dicumarolici si utilizzano come anticoagulanti di mantenimento, si assumono per os in dosi raccomandate secondo il tempo di protrombina. b) Trombolitici. I più conosciuti sono la streptochinasi e l’urochinasi. La streptochinasi è stata scoperta fin dal 1935 da Tillet e Garnet, estraendola dallo streptococco ‚-emofilico. L’impiego fu abbandonato per via delle innumerevoli complicazioni che produceva. L’urochinasi, estratta dalle urine è meno tossica, ma ha un costo superiore. I risultati clinici sono da considerarsi importanti, come dimostrato dagli studi tedeschi di Alemany e da quelli americani di Comerota. Sono poi sorti altri trombolitici selettivi che agiscono esclusivamente nella zona trombogenica, ma di uso ospedaliero e non argomento di trattazione per i DVC. c) Antiaggreganti. Meritano, ancora per il settore dei DVC, appena una citazione, non potendo nascondere che l’aspirina, somministrata in piccole dosi (vari range a seconda del paziente) risulta il più economico tra i farmaci antitrombotici, ma di scarso interesse in patologia venosa in confronto al più importante uso in patologia arteriosa. d) Antinfiammatori. Tra i molti citabili in questo gruppo, ricoderemo i FANS come la butazolidina, la bromalina, la nimesulide ed il diclofenac sodico. Di certo però, l’aspetto antiflogistico oggi ben evidenziato nella patogenesi dei DVC (3), viene meglio affrontato da farmaci flebotropi ed eparinoidi.

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PRINCIPI DI TERAPIA FARMACOLOGICA DEI DISTURBI VENOSI CRONICI IN ITALIA In Italia, negli ultimi 40 anni si è sviluppato un notevole interesse per la terapia farmacologica dei DVC sulla base dell' elevato costo socio-economico delle malattie venose. Piante ad azione flebotropa in realtà, erano conosciute fin dall'antichità e descritte già da Plinio il Vecchio e tanti altri scienziati nei secoli passati. Non deve pertanto stupire come le prescrizioni ed autoprescrizioni di sostanze vegetali per le vene siano così diffuse. E’ necessario distinguere tra farmaci e sostanze naturali "flebotrope", di origine vegetale o animale. Partendo dal secondo termine “flebotropo”, più moderno, questo esprime la molteplicità di azioni sulle vene. E' però ancora comune, anche in Italia, la vecchia definizione "flebotonico" riferita al più noto meccanismo d'azione sul tono venoso, nonostante altri meccanismi siano oggi meglio indagati: sulla depressione del reflusso veno-arteriolare, sulla vasomotion, sull’ aumento della permeabilità capillare, sulla cuffia di fibrina pericapillare, sulla ridotta fibrinolisi, sull’ aumento del plasminogeno plasmatici, sulle microtrombosi capillari, sulle alterazioni della reologia leucocitaria ed eritrocitaria e l’attivazione leucocitaria, sul ridotto drenaggio linfatico. Riguardo alle differenze dei principi attivi, è ormai imprescindibile ben distinguere tra farmaci e sostanze erboristiche a semplice valenza “salutistica”, come gli integratori alimentari, sulle quali le normative dell’ Unione Europea sono precise e restrittive sulla capacità di utilizzo farmacetitico. Tutte le situazioni di insufficienza venosa espresse nei DVC beneficiano delle sostanze farmacologicamente attive e testate, dal più comune uso sintomatico e di conforto per una migliore qualità della vita, al coadiuvare altre terapie in usi più complessi che, per efficacia "capillaroprotettrice", siano realmente farmaci. Viene da tempo usato il termine di "bioflavonoidi", nome scientifico di un'intera e ampia categoria ricca di 600/800 sostanze naturali ad azione biologica usate singolarmente e talvolta in combinazione, un po' per tutte le situazio-


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ni. La diosmina, l’esperidina, l’oxerutina, gli antocianosidi del mirtillo ed altri, citati nella interessante esperienza argentina, sono tutti farmaci per il trattamento dei DVC ricompresi nella classificazione ATC, la cui efficacia clinica è comprovata da importanti studi . Il loro uso nelle varie classi CEAP è dunque consolidato, anche se maggiormente usati per le classi 0-4. Una classe di farmaci particolarmente utilizzata in Italia, come in altri Paesi, nelle forme più severe dei DVC, è quella degli eparinoidi e fibrinolitici, che intervengono su vari aspetti microcircolatori quali l’endotelio e la trombosi capillare o l’emoreologia, andando ad agire sul manicotto di fibrina pericapillare. Essi comprendono i glicosaminoglicani come il sulodexide, di estrazione suina, e in minor misura altri. Vari trials multicentrici, in particolare, hanno valutato l’efficacia del sulodexide assunto in associazione con altri trattamenti standard dei DVC severi, quali le terapie topiche ed elastocompressiva, con lo scopo di favorire per quantità e velocità la guarigione delle ulcere venose. Uno dei più autorevoli, condotto da Coccheri et Al (4), ha considerato 230 pazienti con ulcere croniche di diametro non inferiore a 2 cm, randomizzando in doppio cieco un gruppo di 120 trattato con il farmaco ed un altro di 110 con placebo. Lo schema posologico considerato seguiva una prassi consolidata da anni: sulodexide dapprima per via iniettiva per un ciclo di 20 giorni, seguito da un ciclo per via orale nei successivi 2-3 mesi. L’outcome primario fu la percentuale di ulcere guarite entro due mesi di trattamento e l’outcome secondario la percentuale di ulcere guarite entro tre mesi con valutazione dell’andamento temporale della riduzione dell’area lesa. La differenza di efficacia versus placebo-compressione fu statisticamente significativa sia per frequenza che per velocità di guarigione nel gruppo trattato col farmaco. Esso, con buona la tollerabilità, aumentava il numero di ulcere guarite dopo 60 giorni rispetto al solo trattamento compressivo (35% vs 58%; aumento del rischio relativo 61%, limiti di confidenza al 95% da 3,5% a 163%; numero di casi da trattare 4, limiti di confi-

denza al 95% da 3 a 9). Questi dati, su cui ci è parso utile soffermarsi per l’importanza di un aggiornamento, confermano precedenti esperienze italiane e, per di più per l’evidenziata importanza nel trattamento specifico della sindrome posttrombotica, anche a livello internazionale nelle Linee-Guida di Chest (5). Dovendosi infine ricordare come nei pazienti post-trombotici può essere ridotto il rischio di recidiva trombotica (6). Riferimenti essenziali 1. Simkin R Tratado de Patologia Venosa y Linfatica. Editorial Medrano, Buenos Aires 2008 (999 pagine). 2. Agus GB, Allegra C et al Guidelines for the Diagnosis and Therapy of the Vein and Lymphatic Disorders. Int Angiol 2005; 24; 107-168. 3. Nicolaides AN Chronic venous disease and the leukocyteendothelium interaction: from symptoms to ulceration. Angiology 2005; 56 (Suppl. 1):11-19. 4. Coccheri S, Scondotto G, Agnelli GC et al Randomised, Double Blind, Multicentre, Placebo Controlled Study of Sulodexide in the Treatment of Venous Leg Ulcers. Thromb. Haemost. 2002; 87: 947-952. 5. Geerts WH, Bergqvist D, Pineo GF et al Prevention of venous thromboembolism. Am College Chest Phys evidence-based clinical practice guidelines (8th Ed). Chest 2008; 133: 381S-453S. 6. Errichi BM, Cesarone MR, Belcaro G et al Prevention of Recurrent Deep Venous Thrombosis with Sulodexide: The SanVal Registry. Angiology 2004; 55: 243-249.

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Malattia tromboembolica venosa, sindrome post-trombotica ed infiammazione. Luci e ombre di una nuova visione Raffaele Pesavento Dipartimento di Scienze Cardiologiche, Toraciche e Vascolari - Università di Padova Lettura al XXIV Congresso Mondiale IUA, Buenos Aires La malattia tromboembolica venosa (MTEV) rappresenta tuttora una rilevante questione sanitaria: è infatti una condizione frequente (circa 1 caso ogni 1000 abitanti/anno), potenzialmente fatale se non riconosciuta precocemente, e tende con una certa frequenza a recidivare dopo la sospensione di un trattamento farmacologico, quello anticoagulante, non scevro peraltro da rischi di complicazioni emorragiche anche gravi. La sua più frequente complicazione tardiva è la sindrome post-trombotica (SPT), condizione gravata da elevati costi sociali ed economici, efficacemente prevenuta dalla terapia elastocompressiva, che tuttavia non ne impedisce la comparsa in una percentuale variabile dal 20% al 30% dei pazienti colpiti da una trombosi venosa profonda (TVP) (1). Esistono ancora importanti lacune nella conoscenza della MTEV e della SPT, che richiedono di essere rapidamente colmate, quali, per esempio, la durata ottimale della terapia anticoagulante dopo un primo episodio di MTEV, un’adeguata capacità di individuare i pazienti a rischio di sviluppare reci-

dive e complicanze tardive, una più adeguata prevenzione della SPT e della comparsa di ulcerazioni, quando la SPT si è instaurata. LA TEORIA PATOGENETICA DELLA MTEV In anni recenti nuove evidenze scientifiche nel campo della patologia venosa ed in particolare della MTEV hanno costituito lo spunto per riconsiderare la classica teoria patogenetica della MTEV, basata sulla triade di Virchow, in una visione eziopatogenetica e fisiopatologica più ampia, tale da ricomprendere in sé le complesse relazioni dimostrate fra MTEV, cancro e malattia aterotrombotica. È stato da molti ipotizzato che un ruolo di tutto rilievo in questa nuova visione potrebbe essere quello giocato dall’endotelio e dal sistema dell’infiammazione. Il ruolo dell’infiammazione nella patologia aterosclerotica (ATS) e nel conferimento di un rischio di eventi cardiovascolari clinicamente evidenti è stato definitivamente dimostrato (2,3), ma non è stato ancora definitivamente chiarito se ciò possa valere anche per il circolo venoso, nella

La malattia tromboembolica venosa (MTEV) è una condizione frequente (1:1000 abitanti/anno), potenzialmente fatale e che tende frequentemente a recidivare dopo sospensione del trattamento farmacologico. La sua più frequente complicazione tardiva è la sindrome post trombotica (SPT) che colpisce il 20-30% di pazienti che hanno sviluppato una SPT.

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Attualmente si ritiene che la presenza di ipertensione venosa, dovuta al reflusso valvolare venoso e al rimodellamento del materiale trombotico, sia la causa principale della comparsa di segni e sintomi della SPT. Recenti studi dimostrano un ruolo attivo di alcuni mediatori dell’infiammazione che fanno supporre che fenomeni infiammatori di parete, prodotti dalla trombosi in atto o da una trombosi recente, potrebbero determinare uno sfavorevole rimodellamento del trombo e/o la distruzione dell’apparato valvolare venoso, producendo terreno favorevole allo sviluppo della SPT. MTEV o nella SPT ed è di tutta evidenza l’importanza di approfondire compiutamente l’argomento, visti i potenziali risvolti diagnostici, terapeutici e profilattici che ne potrebbero conseguire. INFIAMMAZIONE E TROMBOSI VENOSA La relazione fra infiammazione e trombosi venosa non è in realtà una acquisizione del tutto recente, basti pensare al modello biologico della tromboflebite superficiale o ai primi report sull’argomento degli anni ’70 del secolo scorso (4,5). Studi condotti prevalentemente nell’animale hanno mostrato come diversi fattori di rischio possono indurre una trombosi venosa con la mediazione di meccanismi infiammatori; i dati disponibili mostrano, in estrema sintesi, che uno stato infiammatorio di parete è in grado di avviare la formazione di trombo anche in assenza di lesione vasale; l’attivazione delle cellule endoteliali, delle piastrine e dei leucociti sembra giocare un ruolo chiave, poiché conduce alla formazione e al rilascio di micro particelle (MPs) in grado di depositare tissue factor (TF) non più legato al suo inibitore (TFPI). Fra i principali mediatori implicati in queste complesse interazioni è stato dimostrato il ruolo di molecole di adesione cellulare (CAMs), delle Selectine e dei loro recettori come il P-Selectin Glycoprotein Ligand 1 (PSGL-1), delle MPs, di diverse interleuchine, del Tumor Necrosis Factor alfa (TNF-alfa)(6-16) (Fig.1). Se l’infiammazione è in grado di indurre trombosi è vero anche l’opposto, almeno nella patologia aterotrombotica, dove la trombina assume un ruolo chiave nel promuovere e mantenere uno stato infiammatorio (17). Il modello della SPT ha permesso di esplorare ulteriori modalità di interazione fra sistema venoso ed infiammazione: come è noto, non sono tuttora ben definite le cause che, dopo un tempo

variabile, conducono allo sviluppo della SPT; attualmente si ritiene che la presenza di ipertensione venosa, la quale rappresenterebbe il principale movente fisiopatologico della comparsa di segni e sintomi di SPT, sia fortemente correlata alla presenza contemporanea di reflusso valvolare venoso e rimodellamento del materiale trombotico. Recenti evidenze, provenienti da studi sull’animale, dimostrano il ruolo attivo di alcuni mediatori dell’infiammazione, quali l’interleuchina 8 (IL-8), la monocyte chemotactic protein-1 (MCP-1) ed il vascular endothelial growth factor (VEGF) nell’influenzare il rimodellamento e la risoluzione del trombo venoso (1821). Fenomeni infiammatori di parete, eventualmente prodotti dalla trombosi venosa in atto o recente, potrebbero, in ultima analisi, determinare uno sfavorevole rimodellamento del trombo e/o la distruzione dell’apparato valvolare venoso, inducendo così i meccanismi fisiopatologici destinati a produrre il terreno favorevole per lo sviluppo della SPT.

Figura 1 - Possibili meccanismi coinvolti nella formazione di un trombo venoso

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EVIDENZE SPERIMENTALI. LE OMBRE A fronte dell’entusiasmo indotto da queste ed altre preliminari evidenze sperimentali, le ricerche condotte sull’essere umano, prevalentemente fra il 1980 ed i primi anni del 2000, ideate allo scopo di confermare i probabili rapporti fra infiammazione e MTEV, sia sul piano epidemiologico che su quello clinico, hanno mostrato risultati contrastanti. Nello studio LITE l’incidenza di MTEV è stata valutata in due coorti di pazienti, arruolati rispettivamente nel “Cardiovascular Health Study” (CHS) e nello studio “Atherosclerosis Risk In Communities” (ARIC) (22); nell’ambito di questi studi, ideati per altri scopi, venivano eseguiti prelievi ematici per la misura di vari parametri, fra i quali la proteina-C reattiva ( PCR). Nei 159 pazienti che svilupparono MTEV su un totale di 19237 considerati per lo studio, i valori di concentrazione di PCR non si rilevarono predittivi nei confronti del rischio di sviluppare MTEV (CHS: PCR 4.0 ± 6.7 mg/L vs 3.6 ± 6.0, P=0.52; ARIC 2.8 ± 2.4 vs 3.2 ±5.9, P=0.48) (22). Risultati simili sono stati osservati nel “Physician’s Health Study”, nel quale 101 pazienti su 22071 svilupparono MTEV (23). In una pregevole “review” sistematica pubblicata nel 2005, Fox riassume le conoscenze fino ad allora acquisite, confermando che la PCR non sembra rappresentare un fattore predittivo indipendente di MTEV o un marcatore utile nell’approccio diagnostico della sospetta MTEV ed osservando che il maggiore rischio di MTEV conferito da elevati valori di FVIII:C non appare correlato con i più noti marcatori di infiammazione acuta. Di converso l’associazione fra MTEV e più elevati valori plasmatici di interleuchina 6 (IL-6), IL-8, MCP-1 e TNF-alfa sembra confermata in una serie di studi prevalentemente di tipo caso-controllo, così come è stata osservata un’associazione fra concentrazione plasmatica di interleuchina 10 (IL-10) e una ridotta prevalenza di MTEV. Considerati complessivamente, questi ed altri studi non sono

stati in grado di definire se lo stato infiammatorio, ammesso che fosse risultato associato alla trombosi venosa, l’avesse preceduta o ne avesse rappresentato una conseguenza, né se fossero in qualche modo rilevabili correlazioni fra la variazione temporale dei biomarcatori esaminati ed il trattamento con eparina, dotata di potenziali effetti antiinfiammatori (24). EVIDENZE SPERIMENTALI. SPIRAGLI DI LUCE? Nonostante i risultati piuttosto deludenti degli studi fino ad allora pubblicati abbiamo continuato ad assistere, in anni recenti, ad un crescendo di nuove osservazioni a supporto dell’ “ipotesi infiammatoria”. Innanzitutto l’originale ipotesi di Paolo Prandoni di una associazione fra MTEV e malattia aterotrosclerotica (ATS), proposta per la prima volta nel 2004 (25), è stata definitivamente confermata da studi epidemiologici su larga scala (26); in questa nuova visione, nella quale la MTEV rappresenta un fattore di rischio per il successivo sviluppo di eventi cardiovascolari maggiori e forse la stessa ATS si associa ad un rischio significativo di futuri eventi tromboembolici venosi (27,28), è particolarmente interessante la dimostrazione che fattori di rischio di ATS, quali l’ipertensione arteriosa, l’obesità, il diabete, l’ipertrigliceridemia, la sindrome plurimetabolica, i bassi valori di colesterolo HDL, sono correlati anche allo sviluppo di MTEV(29); è noto che questi fattori di rischio sono in grado di interagire sia con il sistema emocoagulativo che con quello infiammatorio. In un recente studio caso-controllo abbiamo dimostrato la prevalenza statisticamente significativa di disfunzione endoteliale, misurata mediante dilatazione flussomediata dell’arteria brachiale, in una serie di pazienti con storia personale di MTEV idiopatica e nessun fattore di rischio noto per ATS rispetto a controlli appaiati per sesso, età ed assenza di fattori di rischio per ATS (30). Dati provenienti dal già citato studio LITE hanno

In anni recenti si è assistito ad un crescendo di nuove osservazioni a supporto dell’ “IPOTESI INFIAMMATORIA”, come ad es. la dimostrazione di una correlazione tra MTEV e MALATTIA ATEROSCLEROTICA, confermata da studi epidemiologici su larga scala.

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mostrato che una dieta alimentare contenente maggiori quantità di vegetali, pesce e minori quantità di carne rossa, è associata ad una minore incidenza di MTEV (31). Risultati simili sono stati ottenuti con diete integrate da supplementi di vitamina E, con l’esercizio fisico regolare ed con il moderato consumo di alcool, tutti fattori che notoriamente sono associati ad una riduzione dello sviluppo di ATS e di eventi cardiovascolari maggiori (32-34). Anche il fumo di sigaretta, non confermato quale fattore di rischio di MTEV nella metanalisi di Ageno (29), si è rivelato probabilmente associato a tale rischio: infatti, in uno studio prospettico svedese condotto su 40.000 donne, osservate per circa 11 anni, le non fumatrici, attive fisicamente e moderate bevitrici di alcoolici hanno chiaramente mostrato un minore rischio di sviluppare eventi tromboembolici venosi (35). L’inquinamento atmosferico, in particolare quello prevalentemente legato alle polveri fini ( PM 2,5 e PM 10) è risultato associato sia allo sviluppo di eventi cardiovascolari maggiori che di eventi tromboembolici venosi; attualmente si presume il potere patogeno delle polveri fini sia mediato da meccanismi immunologici ed infiammatori (36,37). I risultati clinici forse più clamorosi sono quelli relativi allo studio Jupiter, uno studio di intervento su larga scala che ha valutato efficacia e sicurezza della rosuvastatina vs. placebo nella prevenzione primaria della malattia aterotrombotica in soggetti con valori anormali di hs-PCR e valori di colesterolo LDL inferiori a 130 mg/dL (38); l’incidenza di MTEV rientrava fra gli obiettivi secondari dello studio. Su 17802 pazienti osservati fino a 5 anni, 94 svilupparono un evento trombo embolico venoso. L’incidenza di MTEV è risultata ridotta del 43% (HR 0,57; 95%CI: 0.38-0-86; P=0.007) nel gruppo randomizzato a rosuvastatina; la riduzione del rischio è risultata comparabile a quello ottenuta per gli eventi arteriosi e cardiaci e simile nella MTEV idiopatica ed in quella secondaria, indipendentemente dalla presenza o meno di fattori di rischio preesistenti.

Altre interessanti osservazioni si sono recentemente rese disponibili, provenienti da studi clinici sulla SPT: in particolare in una coorte di pazienti con TVP, osservata sistematicamente per 2 anni da Kahn e coll., con l’obiettivo di determinare incidenza, fattori di rischio ed evoluzione della SPT, è stato dimostrato che la persistenza di segni e sintomi ad un mese dalla diagnosi, associati all’ostruzione venosa prossimale, è risultato essere un forte fattore predittivo dello sviluppo successivo di SPT (39); come è noto, alcuni di questi segni e sintomi ( eritema, dolore, edema) sono comuni anche in presenza di uno stato infiammatorio. Considerate nel loro complesso, esistono dunque numerose, recenti evidenze scientifiche a supporto dell’ipotesi di un ruolo del sistema infiammatorio nella patogenesi della MTEV e della SPT; naturalmente esistono anche spiegazioni alternative di alcune delle osservazioni citate: è noto, ad esempio. che le statine possono interagire direttamente con il sistema emocoagulativo (22,40-42) oppure che la persistenza della sintomatologia dopo una TVP potrebbe essere semplicemente giustificata da fattori prettamente meccanici di ostruzione venosa. D’altra parte è pur vero che molti dei lavori scientifici che non hanno confermato un rapporto fra biomarcatori dell’infiammazione ed eventi clinici tromboembolici sono caratterizzati dalla piccola dimensione del campione e da una certa eterogeneità; anche nell’ambito delle più ampie casistiche del “Physician’s Health Study”, del CHS e dell’ARIC, studi concepiti peraltro per altri scopi, il campione di pazienti con MTEV è piuttosto piccolo. Sono dunque particolarmente rilevanti i risultati di alcuni lavori scientifici recentemente pubblicati, in particolare l’aggiornamento dei dati relativi allo studio LITE, più volte citato in questo articolo e che aveva inizialmente fallito nel dimostrare un’associazione fra PCR e MTEV (22,43). Gli oltre 15.000 pazienti reclutati nello studio ARIC sono stati infatti successivamente rivalutati in anni diversi; alla quarta visita, programmata fra il 1996 e il 1998, è stato esaminato

In una coorte di pazienti con TVP osservata per 2 anni da Kahn e coll. è stato statisticamente dimostrato che la persistenza di segni e sintomi, quali eritema, dolore ed edema, che sono tipici di uno stato infiammatorio, ad 1 mese dalla diagnosi è risultata essere un forte fattore predittivo di un successivo sviluppo di SPT.

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circa l’80% della coorte originale: in sintesi, 10505 pazienti, senza storia personale di MTEV e di trattamento con anticoagulanti orali, dopo aver ricevuto un prelievo ematico alla quarta visita sono stati osservati fino al 2005. Al termine del follow up sono stati registrati 221 eventi tromboembolici venosi. A differenza dei risultati pubblicati nel 2002, in questa più ampia casistica i valori plasmatici di PCR, misurati nel 2008, sono risultati associati al rischio di sviluppare successivamente MTEV, in modo direttamente proporzionale alla concentrazione plasmatica di PCR. Il rischio è risultato circa doppio confrontando il quintile più elevato con quello più basso di PCR ( HR 2.31; 95%CI: 1.48 – 3-60). L’ulteriore aggiustamento dei valori di “Hazard Ratio” per diversi fattori di rischio arteriosi, cancro, FVIII-C e aPTT hanno attenuato solo parzialmente l’associazione. E’ stato stimato un aumento del rischio di MTEV pari a circa il 20% per ogni incremento di 4 mg/dL di PCR. Non sembra che l’uso di differenti kit per la misura della hs-PCR abbiano potuto influenzare significativamente i risultati. E’degno di nota il fatto che in questo studio la forza dell’associazione fra PCR e MTEV aumenta nei soggetti non trattati con statine, anche se gli stessi autori avvertono che la studio non ha la potenza per consentire alcuna conclusione al riguardo. A questo importante risultato si aggiungono recenti ulteriori evidenze sperimentali: la dimostrazione di una correlazione significativa fra rilascio di microparticelle, attivazione leucocitaria mediante aggregati fra microparticelle-piastrine-leucociti, attivazione endoteliale e aggregati microparticelle-monociti in pazienti con MTEV rispetto a controlli sani (44). il riconoscimento dell’aumento di rischio di MTEV nei portatori dell’aplotipo H5/H5 per il recettore dell’IL-1 (45) e della correlazione fra alcune varianti dei geni per l’IL-1 beta, L’IL-10 e il rischio di MTEV idiopatica (46), la dimostrazione del ruolo dell’attivazione leucocitaria, mutazioni del gene del JAK2 presenti nelle malattie mieloproliferative e attivazione del sistema emostatico (47). Meritano, infine, di essere brevemente considerati i risultati di due studi, entrambi pubblicati nel 2009 da gruppi di ricerca olandesi e canadesi. RoumenKlappe e coll. hanno seguito per un anno 110 pazienti con TVP sintomatica, arruolati nel “Post Thrombosis Study”, trattati con terapia anticoagu-

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lante standard, elastocompressione e sottoposti periodicamente a prelievi ematici, esami diagnostici non invasivi morfologici e funzionali (48). Al termine del follow-up una percentuale variabile fra il 34% ed il 37% dei casi, a seconda della scala di valutazione usata ( Villalta o CEAP) risultava affetto da SPT. Elevati valori di IL-6 e di hs-PCR, misurati al momento della diagnosi di TVP sono risultati associati alla presenza di elevate resistenze al deflusso venoso (VOR) dopo 3 mesi (IL-6: RR 2.4; 95%CI: 1.5 -3.9) (PCR: RR 1.4; 95%CI: 1.1 – 3.3) mentre elevati valori di IL-6 sono risultati associati alla persistenza di residuo trombotico dopo 3 mesi (RR 1.5;95%CI:1.1 2.1); VOR e residuo trombotico sono stati associati, anche in precedenti studi, al rischio di sviluppare PTS (49). Lo studio non è riuscito a dimostrare una diretta associazione statisticamente significativa fra questi biomarcatori e lo sviluppo di PTS al termine del follow-up; non si esclude che il numero relativamente piccolo di pazienti inclusi nell’analisi non abbia fornito la potenza sufficiente per valutare una diretta associazione con la PTS. Shbaklo e coll hanno valutato, in uno studio ancillare, i rapporti fra alcuni biomarcatori ed il rischio di sviluppare PTS nella coorte di pazienti arruolati nello studio prospettico VETO (Venous Thrombosis Outcomes), rappresentata da pazienti con TVP sintomatica sistematicamente osservati per 2 anni (50). Al quarto mese veniva eseguito un prelievo ematico mentre alla fine del primo anno 223 pazienti ricevevano un esame ecografico per la valutazione del reflusso venoso; fra gli altri biomarcatori considerati sono stati esaminate le concentrazioni plasmatiche di IL-6, IL-8, IL-10, MCP-1, ICAM-1 e VCAM-1. In circa il 46% dei casi è stata aggiudicata una PTS. Anche in questo studio non è stata rilevata una associazione fra i biomarcatori esaminati e la presenza di reflusso venoso. All’analisi univariata l’associazione fra IL-6 e ICAM-1 e PTS è stata confermata; all’analisi multivariata la forza dell’ associazione si attenua per non più del 10%, valore sufficiente però ad annullare la significatività statistica per IL-6, dopo aver aggiustato per età o per il BMI, mentre per ICAM-1 l’associazione con la PTS si conferma, dopo aggiustamento per l’età ( OR 1.74; 95% CI:1.10-2.99; p=0.046) ma non per il BMI. Infine, la concentrazione mediana di IL-6 è risultata significativamente più elevata nei pazienti con PTS rispet-


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Il MTEV non dovrebbe essere più considerato come una patologia a se stante, ma una condizione di malattia più ampia, in cui sembra ragionevole ipotizzare un ruolo significativo del sistema infiammatorio. to ai controlli senza PTS (3.86 vs 2.23 pg/ml; p=0.011). In sintesi, pur con le dovute cautele dovute alla debolezza dell’associazione osservata, anche lo studio di Shbaklo orienta nella direzione di un possibile ruolo dell’infiammazione nello sviluppo di una PTS clinicamente evidente anche nell’essere umano. MTEV, SPT ED INFIAMMAZIONE. UNA NUOVA VISIONE?

in alcuni eleganti lavori di Maugeri e coll. (51,52), a nuovi antiinfiammatori con target mirato, come nel caso degli inibitori del complesso selectina-PSGL1 (6) o altri ancora (11-13). La corsa nella comprensione dei fenomeni che avvengono in questo affascinante campo della medicina è tuttora in pieno svolgimento; forse ora siamo in grado di percepirne alcuni possibili traguardi. Bibliografia

Al termine di questa sommaria rassegna sembra ragionevole concludere che, allo stato dell’arte delle attuali conoscenze sull’argomento, numerose evidenze sperimentali dirette ed indirette forniscono almeno la plausibilità biologica per ipotizzare una nuova visione della MTEV, che prevede innanzitutto la condivisione di comuni meccanismi fisiopatologici fra patologia venosa cronica, malattia tromboembolica venosa e sindrome posttrombotica e che considera la MTEV non più come mera manifestazione patologica a sé stante ma bensì come una peculiare rappresentazione di una più ampia condizione di malattia, nella quale sono variamente presenti manifestazioni aterotrombotiche e complessi rapporti con la patologia neoplastica, una condizione che potrebbe essere almeno provvisoriamente definita “trombosi”. In questa visione sembra ragionevole ipotizzare un ruolo significativo del sistema infiammatorio. Le attuali evidenze sperimentali non ci consentono di trarre alcuna conclusione definitiva ma certamente confermano l’importanza di proseguire con intensità nella ricerca di base ed in quella clinica sull’argomento. I risvolti diagnostici, prognostici e terapeutici sono infatti facilmente intuibili e nuovi target terapeutici potrebbero essere identificati; esistono già, peraltro, diversi farmaci potenzialmente in grado di interferire efficacemente con target di tipo infiammatorio nella patologia venosa: si pensi all’aspirina, in corso di valutazione in uno studio di prevenzione secondaria della MTEV tuttora in corso, alle statine come dimostrato, ad esempio, nello studio Jupiter (38), alla parnaparina come dimostrato

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Approfondimenti

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Sintomi e segni di stagione: i Disturbi Venosi Cronici A cura di Giovanni B. Agus e Pieluigi Antignani INTRODUZIONE In occasione del XXI Congresso Nazionale SIAPAV si è svolto un workshop dedicato ai Disturbi Venosi Cronici. Prendendo spunto dai contenuti si è pensato di redigere un approfondimento su una delle patologie più diffuse e spesso invalidanti. La popolazione interessata da sintomi e segni cronici di Disturbi Venosi Cronici è molto ampia, ma soprattutto è variabile il corredo sintomatologico che presenta, tanto che nelle indagini condotte sino ad oggi uno dei sintomi più comuni come il dolore agli arti inferiori può risultare assente fino al 45% del campione studiato e, in percentuali analoghe, anche in pazienti con reflusso documentato da esame Eco-Color Doppler (ECD). Inoltre la sintomatologia risulta indipendente dal volume di vene interessate da varicosità e spesso è più intenso nelle fasi iniziali della malattia (CEAP C0s-C1s) piuttosto che nelle classi più severe della malattia. Inoltre è tipico che i sintomi si evidenzino maggiormnte nella stagione o in particolari situazioni che aumentino la stasi. Altri studi hanno poi dimostrato una certa variabilità dei sintomi anche in rapporto al tipo di reflusso riscontrato (superficiale, profondo o misto) rendendo complessa la diagnosi clinica basata sugli esami obiettivi e strumentali. Dall’altra parte una caratteristica comune a tutti i pazienti con Disturbi Venosi Cronici è l’intensificarsi dei sintomi in ortostatismo prolungato, condizione che si allevia con il riposo ed il sollevamento degli arti. Questa costante è sempre stata l’ancora della diagnosi differenziale convenzionale e conferma il ruolo chiave della ipertensione venosa nella sintomatologia dei Disturbi Venosi Cronici (1).

LA DICOTOMIA DELLA SINTOMATOLOGIA VENOSA Da un punto di vista fisiopatologico la disomogeneità del corredo sintomatologico correlato all’esame obiettivo (es. presenza di varici) e all’esame strumentrale (ECD) rispetto alla omogeneità dei sintomi correlati alla postura (ortostatismo prolungato) indica due condizioni fisiopatologiche indipendenti, scatenate dalla ipertensione venosa: la prima risposta infiammatoria del microcircolo, di solito a livello superficiale, che esacerba subito i sintomi, come dolore, pesantezza e gonfiore, e la seconda prettamente meccanica a carico delle vene di calibro maggiore in cui l’ipertensione venosa provoca lesioni della parete venosa (varici) persistendo per periodi più lunghi (1). I LEUCOCITI NELLA PATOLOGIA VENOSA Nei Disturbi Venosi Cronici i leucociti in circolo mediano la reazione infiammatoria endoteliale che conduce al classico corredo sintomatologico (gonfiore, pesantezza e dolore) attraverso due meccanismi principali che colpiscono i tessuti: l’iperpermeabilità e l’ipossia. L’infiltrazione dei leucociti avviene in aree endoteliali attivate a seguito della deplezione dei GAGs del glicocalice. Tale deplezione è dovuta ad alterazioni emodinamiche quali l’ipertensione venosa (shear stress molto elevato) o al contrario la stasi (shear stress nullo). L’ipertensione venosa colpisce soprattutto il circolo superficiale (varici) ed il microcircolo del derma (sintomi), mentre la stasi (accompagnata da ipos-

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Approfondimenti

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Cellula endoteliale

Neutrofilo

P-selectina

PSGL-1

Venula infiammata

Integrina dipendente

Selectina dipendente 2 - Rolling

1 - Adesione Leucocita (es. neutrofilo)

Venula normale

3 - Adesione stabile

2

4 - Stravaso

L-selectina Venula post-capillare

1

Flusso

PSGL-1 3 P-selectina

4

E-selectina

Cellule endoteliali attivate con espressione di selectine P e/o E

5 - Chemiotassi

Cellule endoteliali della parete vascolare Leuxociti flottanti

(a) Marginazione

(b) Rolling dei leucociti

Flusso

(c) Migrazione dei leucociti attraverso l’endotelio (d) Rilascio mediatori chemiotattici

Sito di infiammazione

Figura 1 - Adesione leucocitaria nelle venule post-capillari (marginazione, rolling, adesione, diapedesi, infiammazione)

sia), crea condizioni pro-trombotiche nel circolo profondo. Il processo di adesione dei leucociti all’endotelio (trapping) si svolge prevalentemente nelle venule post-capillari dove il flusso rallenta soprattutto in condizioni di ipertensione venosa, attraverso tre passaggi codificati: il rolling (letteralmente, rotolamento sulla superficie endoteliale), l’adesione reversibile (selectine) e la diapedesi (V-CAM: vascular cell adhesion molecule) (1,2) (Fig. 1).

(istamina, triptasi, e citochine) nel microcircolo sottocutaneo. Gli studi dimostrano che l'emodinamica delle vene svolge un ruolo chiave nello stimolo delle fibre nervose sensoriali del simpatico, che comprendono fibre mieliniche Aβ, fibre Aδ meno mielinizzate e fibre C amieliniche che girano a manicotto attorno alle venule post-capillari. Le fibre Aδδ e C agiscono come nocicettori e soprattutto sono sensibili a mediatori chimici. Le fibre C sono abbondanti nel sottocutaneo (600/cm2 - Fig. 2), mentre i nocicettori nelle vene sono pochi (solo l'1% delle fibre C riguarda le vene di calibro maggiore), cosicchè le vene sono in gran parte insensibili al dolore provocato dalla distensione e la dilatazione venosa risulta indolore (1) (Fig. 3). La diapedesi dei leucociti nella matrice interstiziale mette in moto una cascata di citochine (mediatori biochimici) che stimola le terminazioni dei nocicettori (fibre C) abbondanti nel sottocutaneo (Fig. 1)(1). La reazione infiammatoria scatenata con la migrazione dei leucociti nelle aree endoteliali attivate dalla ipertensione venosa può essere reversibile (sintomi ricorrenti in assenza di segni) come accade spesso nel rilassamento venoso superficiale che sovraccarica il microcircolo superficiale accompagnandosi con il classico corredo sintomatologico, e può essere cronica sviluppando gradualmente cambiamenti trofici che portano ai segni dei Disturbi Venosi Cronici (vari-

Pelle Nocicettori tipo C Epidermide

Rilascio neuropeptide

Vaso Derma Istamina

LE GAMBE PESANTI E DOLORANTI Il dolore agli arti inferiori ha dunque una causa non varicosa, che è invece ascrivibile ai leucociti secondo gli studi sempre più dettagliati condotti in oltre 30 anni di ricerca che mostrano accumuli di leucociti attivati e dei loro mediatori chimici

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Mast-cellula

Corda spinale

Figura 2 - Nocicettori (fibre C) sottocutanei

Prurito, pizzicore e bruciore


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A

B

Fisiopatologia venosa

Epidermide Derma

Ipertensione venosa Valvola competente Valvola incompetente

Ipoderma

Fascia profonda Grande safena

Grasso Tessuto connettivo

Sistema venoso profondo

Vasi

Vena laterale perforante

Piccola safena

C ipossia, shearing, neutrofili primari

Mast-cellula

Neutrofilo

P-selectina

Tessuto sottocutaneo

Ca++ depolarizzazione Ca++

B

ASIC

RET

P2X3 Adenosina

BK Histamin Serotonin TGFβ1

Ioni H+ ATP

Macrofago Radicali liberi Elastasi Leucotrieni

GDNF

TrkA

Subst P CGRP Neurochine

Reclutamento dei nocicettori silenti

NGF

Infiammazione neuronale

TNF IL-6,IL-8 MMP-9

Fibra C Peptidergica

TTXr VR-1

Spazio Perivasculare

COX2 PGs Citochine VCAM-1

Fibra C

PKA PKC

Fosforilazione

Venula

Infiammazione vascolare

TGFβ1 IL-1

Fibra Aδ Fibroblasto Fibra C Venula

Interazioni cellulari perivascolari

Pelle

Vena

A

Figura 3 - a. Ipertensione venosa diretta verso la superficie. b. Microcircolazione e nocicettori sottocutanei c. Migrazione dei leucociti e stimolazione dei nocicettori (fibre C). Abbreviations: ASIC, acid-sensing ion channel; ATP, adenosine triphosphate; BK, bradykinin; CGRP, calcitonin gene-related peptide; COX, cyclooxygenase; EC, endothelial cascade; ERK, extracellular signal-regulated kinase; GDNF, glial-derived neurotrophic factor; IL, interleukin; MMP-9, matrix metalloproteinase 9; NGF, nerve growth factor; P2X, membrane-bound purinergic receptors; PG, prostaglandin; PK, protein kinase; RET, receptor-type tyrosine kinase protoooncogene; TGF, transforming growth factor, TNF, tumor necrosis factor; Trk, tyrosine receptor kinase; TTX, tetrodotoxin; VCAM, vascular cell adhesion molecule; VR, vanilloid receptor.

Ipertensione Venosa + Ipossia Rolling leucocitario; adesione dei leucociti alla parete vascolare

Attivazione endoteliale

Priming dei leucociti Migrazione delle mast-cellule e dei monociti ma non dei neutrofili Rilascio mediatori Vene varicose Microcircolo (intima e media) (spazi extravascolari) Attivazione nocicettori (fibre C e Aδ) Dolore Paziente

Sensibile al dolore Indifferente al dolore

Infiammazione neuronale Sensibilizzazione, Ridotta qualità abbassamento di vita soglia, etc

Figura 4 - Fisiopatologia dei sintomi nei Disturbi Venosi Cronici (ipertensione vensosa e ipossia)

ci), come accade nelle vene del circolo superficiale dove i leucociti attaccano l’endotelio di pareti e valvole attivato dalla ipertensione venosa, per esempio in caso di incontinenza di una vena perforante. L’ipossia che si accompagna alla ipertensione venosa per l’alterazione della permeabilità vasale fisiologica sembra essere la causa della sensazione delle “gambe pesanti” tramite l’induzione del rilascio di mediatori infiammatori che sensibilizzano la risposta nocicettiva delle fibre C e Aδ (1,3) (Fig. 4). GAMBE GONFIE Studi dettagliati mostrano che i leucociti sono coinvolti nello sviluppo di edema. Il gruppo di Monaco di Messmer ha dimostrato come l’adesione leucoci-

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taria alla parete venosa in un un modello micro circolatorio sperimentale (criceto) è seguita dallo stravaso di fluorescenza attraverso gli spazi intercellulari dell'endotelio. La permeabilità è certamente condizionata anche dallo shear stress di parete che aumentando stimola l’espressione del VEGF (vascular endothelial growth factor) e presumibilmente del NOSm, favorendo la permeabilità, ma rimane l’attivazione leucocitaria il principale trigger di iperpermeabilità (1,3). TELEANGECTASIE - VARICI (C1-C2)

Vena varicosa superficiale

Vena profonda Vena perforante Incompetenza valvolare Ipertensione venosa Reflusso

Trombosi venosa

Flusso

Rilassamento della parete venosa

Riduzione della pompa vascolare

Figura 6 - Varice superficiale con incompetenza valvolare e reflusso di vena perforante

mento disarmonico della parete, dunque patologico (Fig. 5, 6) (1,3,4). Figura 5 - Teleangectasie: a. Paziente; b. Particolare telangectasia

L’attivazione endoteliale nelle vene varicose sottoposte ad ipertensione venosa è stato ampiamente documentato negli anni da reperti di biopsie che indicano l’accumulo di molecole adesive per la famiglia dei leucociti (neutrofili, monociti, linfociti e mast-cellule) e di infiltrati leucocitari. Altri studi più recenti hanno mostrato come la permanenza di uno stato infiammatorio nella parete vascolare conduca ad una alterazione delle metalloproteasi (soprattutto MMP-9: matrix metalloproteinasi 9) e dei loro inibitori (TIMPs) che regolano il rimodellamento vascolare, determinando uno sbilancio nella produzione di collagene di Tipo I (resistenza) rispetto al collagene di Tipo III (elasticità) che si traduce in un rimodella-

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EDEMA (C3) L’edema è un segno obiettivo e misurabile dei Disturbi Venosi Cronici, che ne è la causa per il 90% dei casi e spesso si riscontra associato a sintomi (dolore) e segni venosi cronici (alterazioni trofiche). L'edema è definito da un eccesso di fluido interstiziale nei tessuti. Si distinguono due tipi di edema: edema pitting, (rientro della pelle dopo digito-pressione applicata per dieci secondi con il pollice - tipico del paziente venoso), ed edema non-pitting. Se l’edema persiste per diversi giorni, mesi o addirittura anni, la matrice extracellulare viene irrimediabilmente alterata, promuovendo la cronicizzazione dell’edema. I modelli animali hanno dimostrato che l'edema è clinicamente rilevabile con un incremento del 30% del volume extracellulare medio. Fisiologicamente i fattori che proteggono dal-


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l’edema sono tre: la pressione nei tessuti, il drenaggio linfatico, il rinnovo costante di tessuto e proteine. L’aumento della permeabilità capillare che conduce all’edema si riscontra in clinica in pazienti con dei Disturbi Venosi Cronici, con gravi ustioni, o reazioni allergiche. E’ utile ricordare che il principale meccanismo di iperpermeabilizzazione della parete venosa, come già detto in precedenza, è rappresentato dall’infiltrazione leucocitaria e corrispettiva reazione infiammatoria (1,3). PATOLOGIA SEVERA (C4-C6) Lipodermatosclerosi, Iperpigmaentazione - Ulcere venose Già negli anni ’90 erano stati avanzati studi clinici che andavano oltre la descrizione morfologica qualitativa dei bordi dell’ulcera o della dermatite da stasi, eseguendo indagini quantitative su reperti bioptici su 35 pazienti per valutare le differenze strutturali del microcircolo dermico rispetto a pazienti di controllo. I risultati mostrano gli effetti di un’attività infiammatoria a livello dei capillari e delle venule post-capillari (target di adesione dei leucociti) con aumento significativo delle mast-cellule, dei fattori di crescita (TGF-β: tumor growth factor ) e dello spessore endoteliale, corredati da un alone interstiziale di

macromolecole (fibrinogeno) correlabili alla deplezione del glicocalice di GAGs nel lume vasale (Tab. 1) (5). Inoltre le biopsie da pazienti con lipodermatosclerosi o alterazioni cutaneee hanno mostrato la presenza di infiltrati leucocitari. I leucociti possono svolgere un ruolo nel dolore dei pazienti con alterazioni trofiche in ragione del loro contributo alla infiammazione e all’edema. Le ricerche degli ultimi 15 anni hanno permesso di inquadrare meglio la fisiopatologia della delle alterazioni cutanee caratteristiche delle forme severe della Patologia Venosa Cronica, che riflettono una complessa interazione fra infiammazione, citochine e metalloproteinasi della matrice (MMP) sostenuta dalla ipertensione venosa. In particolare l’attivazione endoteliale esprime in superficie molecole specifiche per l’adesione e la diapedesi dei leucociti nel microcircolo cutaneo, promuovendo la risposta infiammatoria con attivazione delle citochine e proteasi. In ultima analisi, l'attività infiammatoria persistente e l’attivazione di proteinasi conduce agli stadi avanzati della patologia venosa cronica ed alla formazione di ulcere (Fig. 7, 8) (1,3,4,5). Nella fisiopatologia delle lesioni cutanee venose, l’ipertensione venosa provoca l’attivazione endoteliale e leucocitaria producendo una risposta infiammatoria, sostenuta da citochine e MMPs,

Spessore della membrana basale (µm) da biopsie della regione prossimale

Controllo

Classe 4

Classe 5

Classe 6

p

Arteriole

0.24±0.03

0.35±0.03

0.28±0.04

0.33±0.03

NS

Capillari

0.17±0.01

0.39±0.06

0.23±0.04

0.28±0.07

p > 0.05*

Venule post-capillari

0.17±0.01

0.28±0.01

0.27±0.05

0.54±0.23

NS

Ipertensione venosa primaria o secondaria

Infiammazione Globuli bianchi, Citochine, MMPs

* p: confronto classe 4 vs controllo e classe 5 Spessore della membrana basale (µm) da biopsie della regione distale

Controllo

Classe 4

Classe 5

Classe 6

p

Arteriole

0.24±0.03

0.32±0.02

0.30±0.03

0.31±0.06

NS

Capillari

0.17±0.01

0.48±0.07

0.23±0.05

0.39±0.11

p > 0.01**

PVCs

0.17±0.01

0.32±0.01

0.31±0.03

0.19±0.02

p > 0.05***

** p: confronto classe 4 vs controllo, classe 5 e classe 6 *** p confronto gruppo di controllo vs classi 4 e 5

Tabella 1

Disfunzione cellulare

Alterazione cutanea

Figura 7 - Schema della fisiopatologia nei Disturbi Venosi Cronici che conduce alle lesioni cutanee

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Venous Ipertensione HTN venosa

Figura 8 - Fisiopatologia delle lesioni cutanee nei Disturbi venosi Cronici. TGF-β1: transforming growth factor beta 1; IL-1: interleukin 1; TNF: tumor necrosis factor; MMps: matrix metalloproteinases

Correzione ipertensione venosa Compressione

Attivazione endoteliale

Inibitori selettivi

volmente aumentata in condizioni di infiammazione acuta e cronica, come ad esempio nei processi di riparazione tissutale delle ulcere. Inoltre è stato dimostrato che questa pellicola protettiva di GAGs ospita una vasta gamma di enzimi (es. SOD: Superossidodismutasi) che contribuiscono al suo effetto vasculoprotettivo. La deplezione del glicocalice in condizioni di ipertensione venosa sposta l'equilibrio endoteliale ad uno stato pro-ossidante, con conseguente riduzione della biodisponibilità di ossido nitrico, ed esposizione delle molecole di adesione per leucociti e piastrine (Fig. 9) (5,7,8).

Infiammazione Mast-Cellule T-cell Macrofagi Modulatori infiammatori

TGF-β1, IL-1 TNF, MMPs

Inibitori delle citochine

MMPs EMMPRIN uPA

Fibroblasti

MMP inibitori Modulazione fattori di crescita MAPK

Fibrinosi

Ulcera Venosa Cronica Essudato ulcera

Adesione leucocitaria all’endotelio che stimola una produzione abnorme di fibroblaLe Selectine (E- / P-) sono molecole di adesione sti; la sovra-produzione di questi mediatori porta endoteliali per i leucociti lunghe 30-40 nm che ad uno stato di fibrosi. La cronicizzazione della rimangono per lo più coperte dal glicocalice di risposta infiammatoria determina nel tempo alteGAGs; questa struttura inoltre, grazie alla sua carica razioni cutanee con la formazione di aree di liponegativa analoga a quella dei leucociti, funziona dermatosclerosi e ulcere. L’essudato dell’ulcera come una pellicola antiadesiva elettrostatica riduvenosa fovorisce l’ulteriore produzione di citochicendo il numero di contatti fra i mediatori infiammane e MMPs causando lesioni cutanee permanenti tori e le selectine. In condizioni patologiche, con la e alimentando l’ulcera che non guarisce. Nei deplezione del glicocalice, le molecole di adesione diversi step del percorso fisiopatologico che conper i leucociti diventano disponibili, aprendo ai produce alle ulcere venose esistono diversi target cessi fisiopatologici che conducono alla clinica dei terapeutici potenziali che possono modificare la storia naturale della Reclutamento dei leucociti nelle venule post-capillari patologia (Fig. 7,8) (6). Flusso

FOCUS ON GLICOCALICE Ultrastruttura vasculo-protettiva Il glicocalice che riveste il lume endoteliale è una superficie carica negativamente, costituita da proteoglicani, glicosaminoglicani e plasmaproteine adsorbite, che svolge funzioni protettive e mantiene la permeabilità fisiologica. La permeabilità vascolare è importante per il mantenimento dell'omeostasi ed è note-

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EC Marginazione e Rolling

Attivazione

Adesione

BM Deformazione

Selectine adesive (es. PSGL-1) α1-integrina

G-proteina recettori

Integrine (b2-integrine α1-integrina)

Integrine α1b2(Mac-1) α1b2(LFA-1)

Selectine CAMs

chemotine

CAMs (es. ICAM-1/2, VCAM-1)

ICAM-1

Trasmigrazione Solo integrina α1b2(LFA-1) CAMs JAMs ESAM CD99

Leucociti Cellula endoteliale

Figura 9


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glicocalice Funzioni protettive

A Rolling leucocite

Mast-cellula

B Leucociti

microcircolo barriera vascolare (permeabilità) inibizione coagulazione e adesione leucocitaria

Rolling leucocite

Conseguenze della disfunzione

microcircolatoria sbilancio dei fluidi edema

Figura 10 - (A) Venula post-capillare (35 µm) in vena mesenterica perfusa con buffer salino (bicarbonato) osservato al videomicroscopio. Si notano leucociti in rolling ma non adesi definitivamente alla parete vascolare. (B) Effetto di un flusso ridotto (es. emorraggia) sulla adesione dei leucociti all’endotelio. La riduzione del flusso favorisce il reclutamento di leucociti in rolling e la loro adesione alla parete.

sintomi (infiammazione acuta) e dei segni (infiammazione cronica - Fig. 10) (6). MICROCIRCOLO: TARGET TERAPEUTICO Esistono due obiettivi potenziali utilizzabili per migliorare i Disturbi Venosi Cronici: la correzione della ipertensione venosa e la riduzione dello stato infiammatorio (riduzione dei leucociti attivi in circolo e della loro adesione alle cellule endoteliali). Il primo target è di carattere chirurgico, mentre gli altri riguardano gli interventi farmacologici. Fra questi la classe dei glicosamminoglicani, che è parte costituente fisiologica propria del glicocalice e della matrice endoteliale, coadiuva le funzioni protettive di parete e mostrando in clinica proprietà antinfiammatorie, oltre che antitrombotiche e profibrinolitiche. In particolare, fra io GAGs, il Sulodexide, già validato con Evidence Based Medicine per l’impiego nella Sindrome PostTrombotica per i pazienti con ulcere venose che cronicizzano, è stato di recente studiato in modelli sperimentali in vivo ed in vitro, mostrando proprietà antinfiammatorie, di reintegrazione del tessuto cellulare e del glicocalice endoteliale, con

arterie inibizione coagulazione e adesione leucocitaria produzione NO shear stress-mediata (anti-ateromatosa)

arteriosa infiammazione e trombosi aterotrombosi

Figura 11

effetti antiossidanti e di stimolo della NOS. L’attività antinfiammatoria e di stimolo alle funzioni endoteliali, fra le quali il tono venoso, potrebbe essere alla base dei risultati clinici sui sintomi della patologia venosa e di contrasto alla ipertensione venosa (7,8,9). BIBLIOGRAFIA 1. Boisseau MR. Leukocyte involvement in the signs and symptoms of chronic venous disease. Perspectives for therapy. Clin Hemor & Microcirc 37 (2007) 277–290 277. 2. Granger DN et al. The microcirculation and inflammation: modulation of leukocyte-endothelial cell adhesion. Journal of Leukocyte Biology Volume 55, May 1994. 3. Nicolaides A. Chronic Venous Disease and the LeukocyteEndothelium Interaction: From Symptoms to Ulceration. Angiology 56(suppl 1):S11-S19, 2005. 4. Bergan JJ et al. Chronic Venous Disease. N Engl J Med 2006;355:488-98. 5. Pappas PJ. Morphometric assessment of the dermal microcirculation in patients with chronic venous insufficiency.J Vasc Surg 1997;26:784-95. 6. Raffetto JD. Dermal pathology, cellular biology, and inflammation in chronic venous disease. Thrombosis Research (2009) 123 Suppl. 4, S66-S71. 7. Petra B et al. The Physiology of Leukocyte recruitment: An In Vivo PerspectiveThe Journal of Immunology, 2008, 180: 6439-6446. 8. Bergan JJ et al. Therapeutic Management of Chronic Venous Insufficiency: Microcirculation as a Target. Microcirculation (2000) 7, S23-S28. 9. Drake-Holland AJ et al. The Important New Drug Target in Cardiovascular Medicine - the Vascular Glycocalyx. Cardiovascular & Haematological Disorders-Drug Targets, 2009, 9, 118-123. 10. Ciszewicz M et al. Sulodexide suppresses inflammation in human endothelial cells and prevents glucose cytotoxicity. Translational Research 2009;153:118-123.

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Dalle “piramidi alimentari” ai “profili nutrizionali” Il difficile counselling alimentare Giovanni B. Agus Direttore Sezione di Chirurgia Vascolare e Angiologia, Dipartimento di Scienze Chirurgiche Specialistiche, Università di Milano

Nel 2003 Willet e Stampfer hanno proposto una Tema importante e mai risolto - quello dell’alimenta“ricostruzione” della piramide alimentare abbastanzione - che riguarderà tra l’altro l’Esposizione za radicalmente divergente dalla precedente per la Universale del 2015 a Milano, si affianca prepotentedivisione dei grassi in toto che da un’univoca posiziomente alla prevenzione secondaria delle malattie ne apicale (basso uso) vengono distinti in grassi satucardiovascolari a cominciare dal rischio aterotrombotico. Questo notoriamente si avvantaggia del controllo farmacologico dei fattori di rischio, con l’uso di statine e nuovi antiiper1 tensivi, quanto della prevenzione secondaria con antiaggreganti piastrinici che rivesto2 3 no in più valore di prevenzione primaria in determinati distretti come nel caso dell’insufficienza cerebrovascolare. 4 5 Non va tralasciata, seppur di minor rilevanza allo stato attuale delle conoscenze, la considerazione di una “politica” alimentare anche 6 nella prevenzione delle frequenti flebopatie. Molte questioni in gioco in tema di counselOLD FOOD PYRAMID ling sono infatti tuttora aperte alla discussione. 1. Fats, oils and sweets USE SPARINGLY 2. Milk, yogurt and cheese 2 TO 3 SERVINGS A cominciare dal modificare la nostra dieta 3. Meat, fish, poultry, eggs, nuts and dry beans 2 TO 3 SERVINGS quotidiana grazie all’uso della cosiddetta 4. Vegetables 3 TO 5 SERVINGS “piramide alimentare”. Proposta alcuni anni 5. Fruit 2 TO 4 SERVINGS fa dal Dipartimento dell’Agricoltura degli 6. Bread, cereal, rice and pasta 6 TO 11 SERVINGS FOOD USA, questa è risultata immediatamente Conceived by the U.S. Department of Agriculture was intended to convey utile nell’orientamento corretto dei consumi the message "Fat is bad" and its corollary “Carbs are good.” alimentari della popolazione occidentale in These sweeping statements are now being questioned. rapporto alla correlazione con molti dei fatFigura 1 - La vecchia piramide alimentare tori di rischio in gioco (Fig. 1).

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DOLCI E CARNE fino a 2 porzioni alla settimana POLLAME 1-2 porzioni alla settimana ERBE, SPEZIE, AGLIO, CIPOLLE

UOVA 2-4 porzioni alla settimana VINO

con moderazione

(per ridurre il sale aggiunto)

OLIO DI OLIVA 3-4 porzioni al giorno

LATTE E DERIVATI

(preferibilmente a ridotto contenuto di grasso)

2-3 porzioni al giorno

VERDURA almeno 2 porzioni in tutti i pasti principali

SALUMI massimo 1 porzione alla settimana LEGUMI, PESCE, CROSTACEI E MOLLUSCHI almeno 2 porzioni alla settimana FORMAGGI 2-3 porzioni alla settimana

FRUTTA A GUSCIO, SEMI, OLIVE 1-2 porzioni al giorno FRUTTA, PANE, PASTA, RISO e altri cereali, preferibilmente integrali 1-2 porzioni in tutti i pasti principali BERE MOLTA ACQUA

ATTIVITA’ FISICA CONVIVIALITA’ STAGIONALITA’ PRODOTTI LOCALI Figura 2 - La nuova piramide alimentare “italiana” (INRAN)

ri (burro) che rimangono all’apice, dai grassi di origine vegetale che sono spostati verso la base, con possibilità d’uso quotidiano dato che il consumo di grassi monoinsaturi e ancor più di polinsaturi riduce con continuità il rischio di eventi cardiovascolari. Altro spostamento non indifferente è stato quello di portare i carboidrati complessi verso l’apice per ridurne l’apporto abitudinario; viceversa i cereali integrali, ricchi di fibra, vanno posizionati alla base della piramide, motivazioni queste derivate dalla differente propensione dei due tipi di carboidrati a rilasciare glucosio nel sangue una volta consumati (ovvero basso indice glicemico per i carboidrati semplici, alto per quelli complessi). La letteratura avrebbe poi confermato come il basso indice glicemico si associ a valori più elevati di HDL-C, a minori livelli di trigliceridi e più bassi livelli di proteina C-reattiva, nuovo target aterosclerotico. Veniva infine permesso l’ingresso nella base della piramide di moderati apporti d’alcool, a meno che non fosse individualmente controindicato.

Naturalmente, un piramide così “ricostruita”, pare porre qualche problema ad una più tipica “piramide italiana”, ove è contestabile il giudizio contrario sui carboidrati complessi, con la pasta di semola di grano duro ritenuta possedere un basso indice glicemico e dunque da favorire. Qualche altro punto di vista differenziato riguarda l’apporto vitaminico, già presente nella nostra alimentazione mediterranea. Al fine di orientare la popolazione verso comportamenti alimentari più salutari, il Ministero della Salute affidò ad un Gruppo di esperti (D.M.1.09.2003) il compito di elaborare un modello di dieta di riferimento che fosse coerente con lo stile di vita attuale e con la tradizione alimentare del nostro Paese (Fig. 2). La difesa di una nostra posizione alimentare geografica, non dovrebbe peraltro essere portata ad estreme conseguenze, se è vero che il 2008 ha visto la creazione addirittura di “piramidi alimentari regionali” come nel caso della Toscana, con motivazioni del privilegiare i prodotti locali. Certo è che la base alimentare con frutta fresca e

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verdure resta fondamentale perché apporta carboidrati (specie amido e fibra), vitamine e sali minerali; risultando i cereali e soprattutto i legumi buona fonte di proteine. In realtà lo studio chiave per le evidenze per questa base è ancora una volta statunitense: il National Health and Nutrition Examination Survey Epidemiologic Follow-Up Study su quasi 10.000 persone tra i 25-74 anni seguiti per 19 anni, dimostrò come chi assumesse frutta e verdura tre o più volte al giorno rispetto a chi meno di una volta, avesse un’incidenza di ictus minore del 27% e una mortalità, sempre per ictus, minore del 42%; una mortalità cardiovascolare minore del 27% e così via. Sempre riguardo il consumo di frutta e verdura e i cosiddetti nuovi fattori di rischio, maggiori livelli di proteina C-reattiva e di omocisteina sono riscontrabili in una minor alimentazione con questi criteri. Spostandoci verso il vertice della piramide, può essere ricordato un ampio studio italiano riguardo l’uso dei grassi. Sono noti i cibi ad elevato tenore di grassi saturi: prodotti caseari, carni grasse, uova e alcuni oli vegetali (di palma e di cocco). Assolutamente notorio in un Paese come l’Italia, l’alimento particolarmente ricco di grassi monoinsaturi è rappresentato dall’olio di oliva, ma anche altrettanto dall’olio di semi con Omega-6; quanto il pesce con Omega-3, acidi grassi di attuale grande interesse. Il colesterolo si trova solo nei grassi animali. Su queste basi lo studio italiano condotto su oltre 4.000 persone di età 20-59 anni ha valutato l’assunzione dei vari grassi congiuntamente alla presenza di fattori di rischio cardiovascolari. L’elevato consumo di burro nei maschi è strettamente associato a più alti valori pressori e più alti livelli di colesterolo e glucosio circolanti (nelle donne la significatività statistica si raggiunge solo con livelli alti di uso del burro e alti livelli di glucosio). In entrambi i sessi il consumo di olio di oliva o di oli vegetali risultava inversamente correlato con i livelli di colesterolo e di glucosio nonché dei valori pressori sistolici. Sul sale, la letteratura è altrettanto decisiva nel mettere in guardia dagli eccessi nocivi. Sui vantaggi dei grassi Omega-3, contenuti in una gran quantità di pesci (sgombri, merluzzi, salmoni, sardine, trote, ecc), e sulla loro capacità di riduzione dei trigliceridi, negli ultimi dieci anni la ricerca è stata vasta, compresi molti contributi italiani, tanto da far

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porre sin dal 2000 raccomandazione per il consumo di pesce due volte alla settimana. L’azione degli Omega-3 si sviluppa inoltre verso la riduzione della pressione arteriosa e gli effetti antitrombotici e antiinfiammatori, con potenziamento della fibrinolisi e la riduzione del fibrinogeno, dell’attività della Lp(a), della proteina C-reattiva, ecc. Infine, nel 2007 sono state aggiornate le linee guida AHA per la prevenzione cardiovascolare nelle donne, e negli aggiornamenti viene enfatizzata l'importanza di iniziare la prevenzione precocemente, con l’adozione di uno stile di vita sano, combattendo i fattori di rischio. E’ stato raccomandato un esercizio fisico giornaliero, anche leggero, insieme all’alimentazione ottimale. E’ stato escluso il rischio di conseguenze cardiovascolari negative derivanti dall'integrazione di calcio e vitamina D. ALIMENTAZIONE E FLEBOPATIE Contrariamente alla patologia vascolare arteriosa sono scarsi i dati clinici che indichino l'importanza del tipo di alimentazione sui disturbi venosi cronici. Esistono studi su dati dell'OMS che motiverebbero una maggior frequenza della malattia varicosa nei paesi ricchi, in relazione a carenza di vitamina E nel rapporto con gli acidi poliinsaturi. Di fatto, l'alimentazione gioca un ruolo importante nella patogenesi delle malattie venose, quanto nella prevenzione, attraverso l'obesità e la stipsi. Non esistono diete “specifiche”, ma il controllo del sovrappeso è importante per condizioni benigne come la “cellulite” e ad elevato rischio come le trombosi venose profonde o le recidive di trombosi. Inoltre è negativa la sua azione sulla postura e statica corporea. Un'anca, e soprattutto un ginocchio ed una caviglia sovraccaricate dall'obesità impediscono corretti movimenti. La stipsi riveste un ruolo nell'ostacolare il flusso refluo dalle vene del bacino, particolarmente a sinistra. Pertanto una guida dietetica per il paziente in prospettiva preventiva. dovrà basarsi sul con¬trollo delle calorie e sulla ricchezza in fibre e vitamine: dieta ipocalorica equilibrata, consumo di pane e altri cereali integrali, consumo di molta verdura (legumi freschi, carciofi, catalogna, ecc.) e crusca, consumo di molta frutta (arance, limoni, kiwi, ecc.).


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Importante appare anche l’apporto vitaminico con integratori (vitamina P).

decidono della nostra libertà» (Piero Ostellino, Corriere della Sera, 27 dicembre 2009).

L’ARRIVO DI “PROFILI NUTRIZIONALI”

COME NON FARCI MANGIARE DAL CIBO

Il Nutritional Characterisation of Foods: Sciencebased Approach to Nutrient Profile nel 2006 ha mosso l’UE a dar vita ad un programma, il Functional Food Science, per l’identificazione delle interazioni tra cibo e funzionalità fisica con la creazione di “profili nutrizionali” indicatori di prodotti che per le loro caratteristiche sono da considerarsi poco salubri. Iniziativa apparentemente di prevenzione sanitaria, quella dei “profili nutrizionali” imposti per legge con una selezione del cibo su basi di “oggettiva dannosità”, un po’ alla stregua del fumo che “danneggia gravemente la salute” ancorché permesso dalla vendita delle sigarette, è stata opportunamente svelata nei suoi aspetti confusi e burocratici che sta attualmente confondendo la decisione nel Parlamento UE. L’ “euro-burocrazia” infatti, è stato notato, solleva due questioni: una di merito, l’altra di metodo, tra loro connesse. Sul merito non è concorde la comunità scientifica, perché già vi sarebbero difficoltà ad omogeneizzare i “profili” alle differenze geografiche, alle differenze individuali (sesso, età, livello sociale), con il paradosso, come esempio, che persino il pane e i biscotti risulterebbero poco raccomandabili secondo certi criteri (Health Claim Scheme e FSA Scoring Scheme for Children negli USA). Vi sono inoltre preoccupazioni anche dalla parte dell’industria alimentare per le ricadute sui costi. Sul metodo, è evidente la ricaduta sulla libertà di intrapresa economica, sul mercato, e ancor più, come principio, sulla libertà di scelta individuale su corrette basi di counselling con la conseguente perdita di cognizione di causa e autonomia del voler stare bene, quanto di poter godere del cibo. Pur volendo riconoscere l’azione salutistica della Commissione UE, il discorso in altra sede è stato sviluppato sul giusto piano della libertà dell’individuo, avendo tra l’altro identificato nell’attuale equivoca “tirannide della salute” il problema di uno «Stato etico che sostituisce il governo dei filosofi di Platone con quello di medici, nutrizionisti, personal trainer… dove i burocrati

Altra faccia della medaglia, ultima ma non ultima, la consapevolezza odierna delle criticità dimostrate del sistema produttivo e distributivo del cibo. E’ stato efficacemente detto e scritto « come non farci mangiare dal cibo» in un mondo che ha la sfrontatezza di produrre cibo per 12 miliardi di persone con una continua corsa agli aumenti di produzione (Dati FAO: UN General Assembly, 10 gennaio 2008), mentre troppi dei 7 miliardi che siamo, muoiono o di fame (Paesi poveri) o di cattiva alimentazione (Paesi ricchi). E paradossi attraversano tutto il nostro desiderio e libertà di gusto (vedi Ostellino), quanto la pandemia planetaria delle malattie vascolari da alimentazioni favorenti obesità e diabete, aterosclerosi in generale, rappresentano un problema di conoscenza ed equilibrio. Nonostante il concetto di gastronomia, «conoscenza ragionata di tutto ciò che si riferisce all’uomo in quanto egli si nutre» (J-A Brillat-Savarin), quasi scienza della felicità «il cui fine ultimo è quello di farci vivere bene e in armonia con ciò che ci sta attorno, di farci provare un piacere onesto e di riprenderci il senso del mondo…Smettere di gustare significa smettere di sapere» (C. Petrini). Voci illuminate infatti si volgono finalmente a farci capire come «a nostre spese e con gravi danni agli ecosistemi, il modello dell’omologazione seriale, delle monoculture su grande scala non risolve i problemi dell’alimentazione». Nuovi ruoli dunque per il medico, ogni medico, che non può rimanere dipendente da regole scritte da altri, non medici esperti, o indifferente a fenomeni di omologazione, questa sì nociva per la salute. Letture suggerite - Willet WC, Stampfer MJ Rebuilding the food pyramid. Sci Am 2003; 288: 64-71. - Ministero Politiche Agricole e Forestali, INRAN Linee guida per una sana alimentazione italiana. Revisione 2003. www.piramideitaliana.it - American Heart Association. AHA Guidelines. Circulation 2007. - Carlo Petrini, Terra Madre. Come non farci mangiare dal cibo. Giunti Ed, Firenze 2009.

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Buenos Aires, Italia Giovanni B. Agus Direttore Sezione di Chirurgia Vascolare e Angiologia, Dipartimento di Scienze Chirurgiche Specialistiche, Università di Milano

za dal Mediterraneo di una flotta spagnola verso Appena una spigolatura, in a nutshell, ma è simi lidi incogniti dell’Argentina, la città fu battezzapatico ricordare il profondo legame tra la sede ta con il nome di Ciudad de la Santísima Trinidad del XXIV Congresso Mondiale IUA, Buenos Aires, y Puerto de Nuestra Señora de los Buenos Aires. e l’Italia. A partire dai cordiali rapporti tra singoAncor oggi ritroviamo queli specialisti vascolari dei sta memoria nella Chiesa due Paesi e solidi rapporti intitolata appunto a tra le rispettive Società Nuestra Señora de los Scientifiche (erano presenti Buenos Aires nel centralisal Congresso, con relazioni, simo Barrio de Caballito. La letture, chairmanship, soci “buona aria” salubre della SIAPAV, SICVE, SIDV, CIF). città è un’altra storia. Senza voler minimamente Legami culturali e letterari dimenticare l’origine italiaattraversano poi parecchi na di circa il 45% dei cittasecoli fino al grande Jorge dini di Buenos Aires - o Luis Borges che, pur di oriporteños -, che di fatto gini italiane non essendo, hanno portato Cultura nel nella sua opera è fortemennuovo mondo. te influenzato da Dante, Se poi si dovesse andare al letto nella nostra lingua primissimo inizio di questa dodici volte, da Tasso, storia, dovremmo risalire al Ariosto, fino ad un po’ di XVI secolo ed alla devozioBenedetto Croce. ne in onore del Santuario Lo spazio di pagina è di Nostra Signora di Lucio Fontana, Concetto spaziale, breve, ma si può ben conBonaria di Cagliari in olio su tela, 1962 cludere con Lucio Fontana Sardegna, che è all’origine che argentino era di nascidel suo nome. D’altronde, ta, ma milanese divenne d’adozione - e che grandopo l’approdo della Vergine al colle del miracode milanese -, illuminandoci con la sua arte di cui lo sul mare di Cagliari, con il celebre cero acceso offriamo un prezioso spotlight che ci apre allo tra i flutti, non vi fu sovrano di Spagna che non vi “spazio”. salisse a rendere omaggio a Maria. Dalla parten-

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