T R I M E ST R A L E
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A G G I O R N A M E N TO
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Guy de Chauliac (c. 1300-1368) dĂ istruzioni su come coltivare e tritare piante medicinali. Fu uno dei principali medici del suo tempo. Era chirurgo del Papa allora in esilio ad Avignone
TRIMESTRALE D I AG G I O R N A M E N TO S C I E N T I F I CO Anno II - N. 1, 2010
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La gestione integrata del rischio cardiovascolare Prof. Claudio Borghi
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Nuove prospettive terapeutiche nel paziente a rischio cardiovascolare Dr. Paolo Verdecchia, Fabio Angeli, Giovanni Mazzotta, Giuseppe Ambrosio, Gianpaolo Reboldi
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Un filtro dal colore rosso. La sindrome cardio renale: quando l’insufficienza renale complica l’insufficienza cardiaca Dr. Gennaro Cice
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SPREAD, Linee Guida di Prevenzione Trattamento dell’ictus cerebrale: le novità della 6.a Edizione, Gennaio 2010 Prof. Gian Franco Gensini, Prof. Augusto Zaninelli
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Fibrillazione atriale e rischio cerebrovascolare: nuove prospettive di terapia Dr. Lorenzo Ghiadoni, Dr. Agostino Virdis
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La velocità dell’onda sfigmica: quali applicazioni pratiche? Prof. Giuseppe Schillaci, Giacomo Pucci
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Come interpretare il monitoraggio pressorio Prof. Gino Seravalle
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Un sorvegliato molto particolare chiamato scompenso cardiaco Prof.ssa Barbara Caimi
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Un abito molto scomodo: la menopausa. Come cambiano i fattori di rischio cardiovascolari Dr.ssa Cristiana Vitale
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Comitato scientifico
Claudio Borghi Vittorio Costa Ada Dormi Guido Grassi Giuseppe Mancia Simone Mininni Pietro Putignano Enrico Strocchi Stefano Taddei Bruno Trimarco Paolo Verdecchia Augusto Zaninelli
Capo redattore
Eugenio Roberto Cosentino
Registrazione presso Tribunale di Milano n. 207 del 28-03-2006 Pubblicazione fuori commercio riservata alla Classe Medica. L’Editore è disponibile al riconoscimento dei diritti di copyright per qualsiasi immagine utilizzata e della quale non si sia riusciti ad ottenere l’autorizzazione alla riproduzione. Nonostante la grande cura posta nel compilare e controllare il contenuto, l’Editore non sarà ritenuto responsabile per ogni eventuale utilizzo di questa pubblicazione nonchè per eventuali errori, omissioni o inesattezze nella stessa. Copyright ©2010 SINERGIE S.r.l. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata o riprodotta senza l’autorizzazione dell’Editore.
Anno II - N. 1, 2010
La gestione integrata del rischio cardiovascolare Si stima che nel mondo occidentale l’ipertensione arteriosa, fattore di rischio maggiore per patologie cardiovascolari quali scompenso cardiaco, ictus, coronaropatia e arteriopatia periferica nonché insufficienza renale, interessi approssimativamente un terzo della popolazione adulta. La crescente prevalenza di mortalità e morbilità cardiovascolare e i risultati tuttora poco soddisfacenti, conseguiti nel trattamento dei pazienti ipertesi, hanno indotto la stesura delle linee guida per il trattamento dell’ipertensione arteriosa. Il trattamento della ipertensione arteriosa rappresenta uno dei presidi essenziali per la prevenzione del rischio cardiovascolare ad essa correlato. Ovviamente, come ogni strategia di intervento terapeutico, anche l’approccio farmacologico all’ipertensione arteriosa presenta aspetti favorevoli ed elementi negativi, che sono insiti nel concetto di correzione di una condizione intrinsecamente legata al paziente, anche se sulla base di un concetto con implicazioni negative quale l’aumento del rischio cardiovascolare. Tuttavia, nel caso dell’approccio terapeutico al paziente iperteso, gli aspetti vantaggiosi superano abbondantemente quelli svantaggiosi, i quali sono prevalentemente di natura soggettiva e, come tali, non possono avere un impatto paragonabile al miglioramento della prognosi clinica che consegue al trattamento adeguato dell’ipertensione arteriosa. La finalità principale della terapia antipertensiva è certamente rappresentata dalla necessità assoluta di ridurre in maniera efficace e persistente i valori di pressione arteriosa ad un livello che non sia in grado di nuocere al soggetto e che sia, per contro, in grado di limitare significativamente il potenziale di rischio inteso nel senso di probabilità di sviluppare un evento cardiovascolare fatale o non fatale in un lasso di tempo relativamente prossimo. La capacità intrinseca di controllare adeguatamente i valori di pressione arteriosa (efficacia terapeutica) risulta indipendente dal tipo di farmaco impiegato, ma la possibilità di acquisire una riduzione persistente dei valori pressori nella pratica clinica (efficienza terapeutica) dipende, invece, fortemente dal tipo di farmaco impiegato in ragione della diversa propensione dei farmaci antiipertensivi ad essere assunti. Un’ulteriore finalità è quella di ridurre l’insorgenza, l'entità e la potenzialità di progressione del danno d’organo bersaglio la cui presenza, soprattutto a
livello subclinico, interessa una percentuale elevata della popolazione ipertesa e condiziona un incremento significativo del rischio cardiovascolare. La finalità della terapia antiipertensiva è certamente quella di migliorare la prognosi dei pazienti ipertesi sia in termini di morbilità che di mortalità cardiovascolare. Per tutti questi motivi, la gestione del rischio cardiovascolare e dei provvedimenti ad essa correlati da parte del medico di medicina generale non può essere lasciata ad un’interpretazione arbitraria e soggettiva, ma deve necessariamente trarre spunto da una visione globale del paziente e delle sue caratteristiche e da una conoscenza ed applicazione obiettiva delle strategie di intervento applicabili quali emergono dai risultati degli studi clinici controllati e della disciplina delle evidenze. Il riconoscimento da parte dell’EMEA per la nuova indicazione di telmisartan nella riduzione della morbilità cardiovascolare segna un passo importante per la comunità cardiologica ed offre nuove opportunità per i pazienti a rischio CV. La soluzione più efficace ed immediata del problema è pertanto rappresentata non solo dai suggerimenti dei grandi trial clinici ma anche dalle indicazioni ricavate dalle linee guida, le quali a partire da una base di evidenze obiettive, sono in grado di sviluppare strategie di intervento terapeutico e preventivo nei quali riconoscere quei criteri di ampia applicazione che caratterizzano l’intervento clinico efficace nei confronti di una fenomenologia come quella del rischio cardiovascolare caratterizzata da dimensoni epidemiche. Complessivamente pertanto l’identificazione del profilo di rischio di un soggetto ha grande rilevanza clinica per il medico di medicina generale, ma anche grande importanza in termini economici e di gestione razionale delle risorse disponibili per la prevenzione, in quanto permette di indirizzare una quota maggiore delle stesse per attuare una prevenzione efficace in quei soggetti che ne possono trarre un maggiore beneficio. Prof. Claudio Borghi Dipartimento di Medicina Clinica e Biotecnologie Applicate “D. Campanacci”, Policlinico S. Orsola-Malpighi Bologna
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Nuove prospettive terapeutiche nel paziente a rischio cardiovascolare Dr. Paolo Verdecchia, Fabio Angeli, Giovanni Mazzotta, Giuseppe Ambrosio, Gianpaolo Reboldi Struttura Complessa di Cardiologia, Unità di Ricerca Clinica ‘Cardiologia Preventiva’, Ospedale S. Maria della Misericordia, Perugia (PV, FA, GM); Università degli Studi di Perugia, Struttura Complessa di Cardiologia e Fisiopatologia Cardiovascolare (GA); Università degli Studi di Perugia, Dipartimento di Medicina Interna (GR)
Storia della definizione di “pazienti a rischio cardiovascolare”. Il concetto di “paziente a rischio cardiovascolare” così come oggi viene generalmente inteso, è nato e si è sviluppato tra gli anni 1994 e 1996 in Canada ad opera di Salim Yusuf e collaboratori. In una vasta rassegna pubblicata nel 1994 su Circulation, questi autori avevano rivisto criticamente la letteratura esistente sull’efficacia dei farmaci ACE-inibitori nei pazienti con scompenso cardiaco congestizio e avevano ipotizzato un futuro utilizzo di questa classe di farmaci anche in pazienti senza scompenso cardiaco, ma ad elevato rischio di future complicanze cardiovascolari a seguito di evidenti manifestazioni cliniche di aterosclerosi a livello di vari organi o apparati (1). La base fisiopatologica del loro ragionamento era rappresentata dalle ben note proprietà dei farmaci inibitori del sistema renina-angiotensina nel: 1) ritardare la crescita della placca aterosclerotica; 2) ridurre le possibilità di rottura della placca; 3) ridurre i fenomeni di coagulazione al di sopra della placca ulcerata (1). Su queste basi, Yusuf e collaboratori hanno disegnato lo studio Heart Outcomes Prevention Evaluation (HOPE). Nella fase di pianificazione di questo studio, che prevedeva la somministrazione di un farmaco ACE-inibitore (il ramipril) rispetto ad un placebo, gli autori sono andati a rivedere l’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori (morte cardiovascolare, infarto miocardio, ictus cerebrale) in una vasta categoria di pazienti apparentemente diversi, ma accomunati dalla presenza di evidenti manifeQuesti pazienti, accomunati dunque dalla definizione di pazienti “a rischio cardiovascolare”, sono stati arruolati nello studio HOPE.
stazioni cliniche di aterosclerosi a livello di vari organi o apparati (2). Come si vede in figura 1, la probabilità di sviluppare un grave evento cardiovascolare risultava essere tra il 4% ed il 5% per anno (20 volte di più che nella popolazione canadese generale) in un vasto gruppo di pazienti apparentemente molto differenti per manifestazioni cliniche (infarto miocardico, angina pectoris, by-pass aorto coronario, ictus cerebrale, diabete mellito). Questi pazienti, accomunati dunque dalla definizione di pazienti “a rischio cardiovascolare”, sono stati arruolati nello studio HOPE. Lo studio HOPE Lo studio HOPE ha fornito risultati davvero eccezionali in termini di dimostrazione dell’efficacia del blocco del sistema renina-angiotensina in pazienti a rischio cardiovascolare. Infatti, quando confrontato con il placebo, il ramipril ha ridotto l’end-point primario del 22% (p<0,001), la morte per cause cardiovascolari del 26% (p<0,001), l’infarto miocardio del 20% (p<0,001) e l’ictus cerebrale del 32% (p<0,001) e la morte da tutte le cause del 16% (p=0,005) (3). L’impatto dello studio è stato tale che i pazienti “a rischio cardiovascolare” con caratteristiche simili a quelle dei criteri di inclusione dello studio vengono comunemente chiamati “pazienti HOPE” nel gergo dei trials clinici. Lo studio ONTARGET Poiché un numero consistente di pazienti (fino al 20%) non tollera bene gli ACE-inibitori a causa di reazioni avverse come la tosse, ci si è chiesti se il telmisartan (meglio tollerato del ramipril come tutti gli altri sartani) fosse terapeuticamente equivalente al ramipril in termini di prevenzione delle principali complicanze cardiovascolari. È stato quindi pianificato lo studio ONTARGET (The ONgoing
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Incidenza di eventi cardiovascolari maggiori in pazienti senza scompenso cardiaco ed apparentemente differenti per manifestazioni cliniche (infarto, angina, by-pass aorto coronario, ictus cerebrale, diabete mellito), ma accomunati ad un alta probabilità, in media tra il 4% ed il 5% per anno, di sviluppare un evento cardiovascolare maggiore Finland Diabete tipo II: ETDRS Post ictus/TIA: APT Collaboration Arteriopatia occlusiva: APT - grafting Arteriopatia occlusiva: APT - all patients Dopo angioplastica: NHLBI Registry Dopo by-pass A/C: VA Trial Dopo by-pass A/C: CABG Pooling Angina instabile: APT Collaboration Infarto Miocardico: APT Collaboration
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Incidenza di Eventi Cardiovascolari Maggiori (morte cardiovascolare, infarto miocardico, ictus cerebrale) Per 100 pazienti per anno
Figura 1 Telmisartan Alone and in combination with Ramipril Global Endpoint Trial). Il disegno che ha permesso la valutazione dell’equivalenza terapeutica tra due trattamenti, viene definito tecnicamente di “non inferiorità”. In pratica, si è stabilito che, al termine dello studio, l’incidenza di eventi cardiovascolari sarebbe potuta essere più bassa, uguale o anche più alta nel gruppo telmisartan rispetto al ramipril, ma in quest’ultimo caso solo entro uno stretto limite ben definito, non superiore al 13%. In questo modo, il telmisartan avrebbe conservato almeno il 50% del beneficio terapeutico dimostrato dal ramipril nello studio HOPE. Questa ipotesi di non-inferiorità ha rappresentato la base del dimensionamento dello studio (circa 8500 pazienti per gruppo, da seguire per 5 anni). Si è deciso di aggiungere un terzo gruppo di pazienti, trattati con l’associazione ramipril + telmisartan, allo scopo di valutare se la doppia inibizione del sistema renina-angiotensina fosse superiore all’ACE-inibizione. I risultati hanno mostrato che il telmisartan ha pienamente soddisfatto l’obbiettivo primario dello studio (dimostrazioUn numero consistente di pazienti (fino al 20%) non tollera bene gli ACE-inibitori a causa di reazioni avverse come la tosse.
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ne della non-inferiorità rispetto al ramipril) sull’end-point primario. Infatti, il rischio relativo di eventi (rischio di evento nel gruppo telmisartan rispetto al rischio di eventi nel gruppo ramipril) è stato praticamente identico nei due gruppi (pari a 1,019, con limite di confidenza “destro” di 1,09 (che quindi non ha ecceduto il limite prefissato di 1,13, ovvero del 13%). Nessuno degli eventi maggiori che facevano parte dell’end-point primario (infarto miocardico, ictus cerebrale, scompenso cardiaco, morte per cause cardiovascolari) ha mostrato differenze statisticamente significative tra il gruppo telmisartan e il gruppo ramipril. Dal punto di vista della tollerabilità, il telmisartan ha dimostrato di essere molto meglio tollerato del ramipril non solo dal punto di vista della tosse (ridotta dal 4,2% all’1,1%; p<0,0001), ma anche dell’angio-edema (ridotto dallo 0,3% allo 0,1%; p=0,0115), complicanza molto più temibile della tosse, anche se più rara. L’intero complesso degli effetti collaterali è risultato meno frequente (del 6%; p=0,02) con telmisartan che con ramipril. La pressione arteriosa è diminuita poco di più (circa 1 mmHg in media) con il telmisartan che con il ramipril, forse per effetto della maggiore durata di azione del sartano. Il doppio blocco del sistema renina-angiotensina. Il rischio di end-point primario non è stato ulteriormente
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ne della fibrinolisi, etc) di entità tale da giustificare un effetto preventivo del doppio blocco. 2) L’ulteriore abbassamento pressorio indot0,20 to dal doppio blocco, rispetto al ramipril da Placebo solo, non è stato sufficiente a generare un Telmisartan beneficio. La pressione arteriosa è scesa di 0,15 -13 2,4/1,4 mmHg di più con il doppio blocco che con il ramipril da solo. Questo ulteriore abbassamento pressorio potrebbe non essere stato 0,10 sufficiente a generare un beneficio aggiuntivo, rispetto al ramipril da solo, in termini di riduzioHazard ratio: 0,87 0,05 ne degli eventi cardiovascolari maggiori. (0,76–1,00); p = 0,048 3) Molti pazienti erano normotesi. La pressione arteriosa media all’inizio dello studio era di 0,00 142/82 mmHg. Per questi livelli pressori, un 0 1 2 3 4 5 ulteriore lieve abbassamento della PA potrebAnni di Follow-up be non essere sufficiente a causare un’ulteriore Numero a rischio riduzione del rischio di eventi cardiovascolari 2634 Telmisartan 2954 2839 2745 2344 1127 maggiori 2626 Placebo 2972 2866 2745 2306 1103 4) Terapie concomitanti. Molti di questi Figura 2 pazienti erano trattati con statine, aspirina, beta-bloccanti, procedure interventistiche (etc) che avrebbero potuto minimizzare i benefici di ridotto dal doppio blocco del sistema renina-angiotensiun diverso, ma lieve, abbassamento pressorio (2,4/1,4 na (telmisartan + ramipril) rispetto al ramipril somminimmHg) tra due trattamenti attivi a partenza da valori di strato da solo. Pertanto, lo studio ONTARGET non ha potu142/82 mmHg. to dimostrare una superiorità del doppio blocco rispetto Rischio Cumulativo di Eventi (morte cardiovascolare, infarto miocardico, ictus cerebrale
End-point cumulativo (morte cardiovascolare, infarto miocardio, ictus cerebrale) in pazienti a rischio cardiovascolare trattati con telmisartan o con placebo nello studio TRANSCEND
al ramipril da solo. Eppure, il doppio blocco si è manifestato in qualche misura in termini clinici, dal momento che la pressione arteriosa è diminuita di più con il doppio blocco rispetto al ramipril da solo (di circa 2,4/1,4 mmHg) e ci sono stati più casi di ipotensione con il doppio blocco rispetto al ramipril da solo. Sono state ipotizzate varie spiegazioni: 1) Il fenomeno dell’escape dell’angiotensina II non è importante in questi pazienti che non hanno scompenso cardiaco all’inizio dello studio. È noto che, durante trattamento con ACE-inibitori, alcuni pazienti tendono a ri-sintetizzare elevati livelli di angiotensina II e aldosterone a seguito dell’attivazione di vie biosintetiche diverse dall’ACE (chimasi, catepsine, etc.)(4). Questo meccanismo potrebbe giustificare una maggiore efficacia del doppio blocco. Evidentemente, in pazienti a rischio cardiovascolare, ma senza evidenza di scompenso cardiaco, questo “escape” dell’angiotensina II e dell’aldosterone potrebbe non essere così clinicamente rilevante da esercitare effetti sul recettore AT1 (facilitazione progressione dell’aterosclerosi, instabilizzazione della placca, inibizio-
Lo studio TRANSCEND Lo studio TRANSCEND (The Telmisartan Randomised AssessmeNt Study in ACE iNtolerant subjects with cardiovascular Disease) ha randomizzato 5926 pazienti a rischio cardiovascolare, del tutto analoghi a quelli ONTARGET ma con tosse o altri effetti collaterali che controindicavano la somministrazione dell’ACE-inibitore. In aggiunta ai normali trattamenti in questo tipo di pazienti (aspirina, statine, betabloccanti, etc), i pazienti sono stati randomizzati al telmisartan o al placebo (5). Nel corso di 5 anni di follow-up il telmisartan 80 mg ha ridotto del 9% (misura non statisticamente significativa), l'endpoint primario dello studio consistente nel complesso di: infarto miocardico, morte cardiovascolare, ictus cerebrale e
Nello studio Ontarget, il rischio di eventi è stato praticamente identico nei due gruppi (rischio relativo pari a 1,019, con limite di confidenza “destro”di 1,09 (che quindi non ha ecceduto il limite prefissato di 1,13, ovvero del 13%.
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L’intero complesso degli effetti collaterali è risultato meno frequente (del 6%; p=0,02) con telmisartan che con ramipril. scompenso cardiaco congestizio. Se tuttavia escludiamo dall’end-point primario il ricovero per scompenso cardiaco congestizio, ottenendo cosi` esattamente la stessa definizione di end-point primario adottata nello studio HOPE (infarto miocardico, morte cardiovascolare, ictus cerebrale) definiamo un importante end-point secondario pre-definito prima dell`inizio dello studio. Tale end-point si è manifestato in 384 pazienti con telmisartan (13,0%) ed in 440 pazienti con placebo (14,9%). In questo caso, il beneficio del telmisartan è risultato statisticamente significativo (riduzione di rischio del 13%; p = 0,048). In generale, l’identificazione del paziente “a rischio cardiovascolare”è piuttosto semplice (tabella 1). Si tratta di una vasta famiglia di pazienti accomunati da una elevata diffusione delle lesioni aterosclerotiche, con conseguente “rischio” di gravi manifestazioni cliniche secondarie a rottura di placca e trombosi. Recependo i risultati degli studi ONTARGET e TRANSCEND, in una deliberazione del 23 Ottobre 2009 (http://www.emea.europa.eu/pdfs/human/press/pr/671 19009en.pdf ), lo European Medicines Agency’s Committee for Medicinal Products for Human Use (CHMP), organo della European Medicines Agency (EMEA), ha disposto di estendere al telmisartan l’indicazione “reduction of cardiovascular morbidity in patients with manifest atherothrombotic cardiovascular disease (history of coronary heart disease, stroke, or peripheral arterial disease), or type 2 diabetes mellitus with documented target organ damage” (riduzione della morbilità cardiovascolare in pazienti con malattia cardiovascolare aterotrombotica manifesta (storia di cardiopatia ischemica, ictus cerebrale, arteriopatia periferica occlusiva), o diabete di tipo 2 con danno d‘organo documentato). È importante sottolineare l’unicità dell’indicazione dell’EMEA per il telmisartan. Nessun altro farmaco inibitore dell’angiotensina II ha finora replicato i risultati degli studi ONTARGET e TRANSCEND e nessun altro studio con analogo L’identificazione del paziente “a rischio cardiovascolare” è piuttosto semplice. Si tratta di una vasta famiglia di pazienti accomunati da una elevata diffusione delle lesioni aterosclerotiche, con conseguente “rischio”di gravi manifestazioni cliniche secondarie a rottura di placca e trombosi.
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Definizione del paziente a rischio cardiovascolare. E’ sufficiente una sola di queste caratteristiche per porre diagnosi di rischio Paziente con pregresso infarto miocardico (STEMI* o NON-STEMI**) Paziente con pregressa angioplastica, ovvero con evidenza di stenosi coronariche o ischemia miocardica Paziente con pregresso ictus cerebrale Paziente con arteriopatia occlusiva periferica Paziente con diabete mellito accompagnato da danno d’organo (microalbuminuria, macroproteinuria, retinopatia diabetica, ipertrofia cardiaca) * = ST-Elevation myocardial infarction ** = non ST-Elevation myocardial infarction
Tabella 1 disegno sperimentale è in corso con altri farmaci inibitori dell’angiotensina II. Secondo i principi della ‘Evidence Based Medicine’ non è corretto estrapolare i risultatati ottenuti con un intervento, in questo caso con un farmaco, ad un altro intervento (altro farmaco), tanto più quando esistono evidenti differenze tra farmaci diversi in termini di farmacologia, farmacocinetica, durata di azione, etc. Secondo l’indicazione dell’EMEA, dunque, il telmisartan è attualmente l’unico farmaco inibitore dell’angiotensina II ad essere approvato per la riduzione del rischio di eventi cardiovascolari maggiori in pazienti a rischio cardiovascolare. Nel mese di Dicembre 2009 anche l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha recepito l’indicazione dell’EMEA, autorizzando l’immissione nella scheda tecnica del telmisartan dell’indicazione rischio cardiovascolare, così come definita in tabella 1. BIBLIOGRAFIA 1. Lonn EM, Yusuf S, Jha P, Montague TJ, Teo KK, Benedict CR, Pitt B. Emerging role of angiotensin-converting enzyme inhibitors in cardiac and vascular protection. Circulation 1994;90:2056-69. 2. The HOPE (Heart Outcomes Prevention Evaluation) Study: the design of a large, simple randomized trial of an angiotensin-converting enzyme inhibitor (ramipril) and vitamin E in patients at high risk of cardiovascular events. The HOPE study investigators. Can J Cardiol 1996;12:127-37. 3. Yusuf S, Sleight P, Pogue J, Bosch J, Davies R, Dagenais G. Effects of an angiotensin-converting-enzyme inhibitor, ramipril, on cardiovascular events in highrisk patients. The Heart Outcomes Prevention Evaluation Study Investigators. N Engl J Med 2000;342:145-53. 4. van de Wal RM, Plokker HW, Lok DJ, Boomsma F, van der Horst FA, van Veldhuisen DJ, van Gilst WH, Voors AA. Determinants of increased angiotensin II levels in severe chronic heart failure patients despite ACE inhibition. Int J Cardiol 2006;106:367-72. 5.Yusuf S,Teo K, Anderson C, Pogue J, Dyal L, Copland I, Schumacher H, Dagenais G, Sleight P. Effects of the angiotensin-receptor blocker telmisartan on cardiovascular events in high-risk patients intolerant to angiotensin-converting enzyme inhibitors: a randomised controlled trial. Lancet 2008;372:1174-83.
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Un filtro dal colore rosso. La sindrome cardio renale: quando l’insufficienza renale complica l’insufficienza cardiaca Dr. Gennaro Cice Cattedra di Cardiologia,Seconda Università degli Studi di Napoli La insufficienza renale (IR) al pari dell’insufficienza cardiaca (IC) è divenuta un problema di sanità pubblica mondiale per incidenza, prevalenza, i costi che comporta e la mortalità che determina (1). Spesso, le due sindromi coesistono nello stesso paziente, complicandosi reciprocamente (2). Questa associazione viene definita comunemente “sindrome cardio-renale” (SCR) e comporta importanti implicazioni prognostiche e terapeutiche (2-4). La difficoltà maggiore consiste nella necessità di trattare adeguatamente il sovraccarico idrico evitando che la funzione renale peggiori. I dati disponibili provenienti da registri o trial riguardanti l’insufficienza cardiaca acuta (ICA), dimostrano che l’IR, definita in base alla storia clinica ed ai livelli di creatinina plasmatica è presente in una percentuale che va dal 20 al 40% a seconda delle varie casistiche. Negli Stati Uniti, nei pazienti dello studio ADHERE (5) più del 30% aveva una storia di IR cronica e più del 20% una creatininemia superiore a 2 mg/dl. In Europa, nello studio EuroHeart Failure (6), nel 18% dei casi vi era storia di IR significativa (creatininemia>4mg/dl). Da dati italiani (7), una disfunzione renale di grado moderato era presente nel 33% dei pazienti, una disfunzione di grado severo nel
13% dei casi. Questi dati, verosimilmente, sottostimano la vera prevalenza della IR, poiché la maggior parte dei pazienti con ICA sono anziani con una ridotta produzione di creatinina per la diminuita massa muscolare (4). Infatti, quando si è valutata la funzione renale in base alla stima del filtrato glomerulare (eGFR) nel registro ADHERE almeno un terzo dei pazienti aveva una malattia renale cronica allo stadio III secondo la classificazione della National Kidney Foundation (8). Quando la IR complica la IC la prognosi dei pazienti peggiora significativamente. Nello studio PRIME II (9) la eGFR al momento dell’arruolamento era il più potente predittore di mortalità, anche rispetto alla classe funzionale ed alla frazione di eiezione. Nella più importante metanalisi (10), di circa 80.000 pazienti affetti da IC, la presenza di una IR di grado moderato (eGFR<60) determinava un aumento del rischio di morte di 1,5; la presenza di una IR di grado severo (eGFR<30) triplicava la mortalità. Interessante è notare che anche il peggioramento della funzione renale nel corso del ricovero (11) è un fattore prognostico di mortalità e morbilità nei pazienti con IC. Nel tentativo di determinare i predittori di morte intrao-
Spesso, l’insufficienza renale e quella cardiaca coesistono nello stesso paziente, complicandosi reciprocamente. Questa associazione viene definita comunemente “sindrome cardio-renale”.
L’assetto neuro-ormonale iperespresso è il fulcro della disfunzione combinata di rene e cuore che determina la progressione amplificata dell’insufficienza di entrambi gli organi.
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BUN, mg/dl
All
<43
<43
SBP, mmHg
All
All
<115
≥115
All
Creatinine, mg/dl
All
All
All
All
All
≥115
<115 All
<2,75
≥2,75
All
Patient Population, % ADHERE
100,0
78,2
12,5
65,1
21,8
6,1
4,2
1,9
15,8
REVIVE
100,0
76,4
41,6
34,8
23,6
14,8
11,8
3,0
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Patient Population, % ADHERE
4,0
2,8
5,6
2,2
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15,3
12,8
20,9
6,0
REVIVE
3,2
1,8
2,5
0,9
7,7
10,2
7,7
20,0
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Tabella 1 spedaliera è stato sviluppato un modello (12) di stratificazione del rischio detto CART (Classification and regression tree analysis) derivato dai dati dello studio ADHERE che si basa sulla valutazione di tre parametri: urea, creatinina plasmatica e pressione arteriosa sistolica. Sebbene tali parametri si confermino di assoluta importanza, sono stati parzialmente ridimensionati (13) negli studi REVIVE I e II (tab. 1). La sindrome cardio-renale Sono state date varie interpretazioni fisiopatologiche di questa sindrome, la più accettata delle quali è illustrata in fig. 1 (2). Recentemente una elegantissima review sull’argo-
mento (14) ha suscitato nuova attenzione nella classe medica e merita di essere approfondita. Nell’opinione di chi scrive, la SCR rappresenta una tappa obbligata, addirittura prevedibile, del contemporaneo deterioramento di cuore e rene, che da sempre, evolutivamente, lavorano in serie per il mantenimento dell’omeostasi cardiovascolare. Essi sono dominati da due sistemi neuro-ormonali (sistema reninaangiotensina-aldosterone, RAAS, e sistema nervoso simpatico, SNS) che nel corso della sindrome sono enormemente e cronicamente attivati e che entrambi ed in entrambe le sindromi sono marker prognostici indipendenti di mortalità (15). È quindi l’assetto neuro-ormonale iperespresso il fulcro della disfunzione combinata di rene e cuore che determina la progressione amplificata dell’insufficienza di entrambi gli organi.
CARDIOVASCULAR DAMAGE HAEMODINAMIC CONTROL Volume expansion Increased cardiac outpout Total-body autoregulation Increased peripheral resistance Increased blood-pressure Pressure natriuresis HEART FAILURE
RENAL FAILURE CARDIORENAL CONNECTION No-ros dysbalance Sympathetic nervous system activation Renin angiotensin system activation Inflammation
Mod. da Bongartz
Figura 1
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Implicazioni terapeutiche La terapia del paziente con IC e IR è complessa perché sia la funzione cardiaca che quella renale sono dipendenti dal volume circolante (4, 16). In mani esperte, l’esame clinico e la stima ecocardiografica delle pressioni di riempimento sono solitamente sufficienti a guidare la terapia, senza bisogno di monitorizzazione invasiva. Ruolo centrale ha il controllo dell’adeguatezza della perfusione renale, dipendente dalla pressione arteriosa e dalla portata cardiaca. In presenza di ipotensione, saranno i farmaci inotropi e vasopressori (17) a consentirci di mantenere una adeguata perfusione renale (pressione arteriosa media >60
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seguente ad ischemia cardiaca ed in pazienti già in terapia con betabloccanti. 20 In assenza di ipotensione, invece, bisogna valutare la portata cardiaca. Una ridotta porDecreased Maximal tata cardiaca con resistenze periferiche elevaSecretory Response te rispondono favorevolmente ai vasodilatadefect tori (18). In presenza di adeguati valori di pressione arteriosa, questi farmaci sono indi10 cati in pazienti con segni di congestione e di Normal ipoperfusione. I nitrati sono in grado di ridurCKD re la congestione polmonare ed il loro utilizzo CHF in combinazione con bassi dosaggi di diuretici si è dimostrato più efficace del trattamento con soli diuretici ad alto dosaggio (15). Tra i 0 0,01 0,1 1 10 100 vasodilatatori un cenno merita la nesiritide, Furosemide micg/ml non disponibile in Italia. Essa è la forma Ellison DH, Cardiology 2001 ricombinante del peptide natriuretico tipo B Figura 2 umano. Tale analogo comporta vasodilatazione, aumento della portata cardiaca ed inibizione del RAAS ed ha dimostrato preservare la funzione renale mmHg). Gli inotropi sono indicati solo negli stati di IC (20). L’iniziale entusiasmo con il quale è stata accolta associata a bassa portata; essi sono in grado di miglioraquesta molecola è stato mitigato da dati contrastanti re il profilo emodinamico nel breve periodo, ma aumensul peggioramento della funzione renale ai dosaggi più tano il rischio di eventi avversi e la mortalità. In una anaalti (21). lisi del registro ADHERE, i pazienti con ICA trattati con Nei casi in cui il sovraccarico di volume domina il quamilrinone o dobutamina avevano una mortalità signifidro clinico, i diuretici sono di indicazione assoluta. cativamente più elevata rispetto ai pazienti trattati con Poiché il sovraccarico di volume è la caratteristica nitrati o nesiritide (5). Tra gli inotropi una segnalazione comune della IC e della IR, l’uso dei diuretici è universalmerita il levosimendan che incrementa la contrattilità mente accettato, pur non essendo stato mai valutato in senza aumentare la concentrazione intracellulare di caltrials randomizzati. Quelli più comunemente utilizzati cio, nota dolente degli inotropi “classici” (19). A nostro sono i diuretici d’ansa. Tuttavia sia la IC sia la IR modifiparere rappresenta un’opzione di scelta dove l’ICA è concano la curva dose-risposta di questi farmaci (fig. 2) con una riduzione della risposta massima a parità di dosagMechanisms of diuretic resistance gio e la necessità di aumentare progressivamente il Diminished effect in heart failure & renal failure dosaggio per mantenere l’effetto richiesto. La mancata Stimulation of neurohormonal axes risposta a dosaggi massimali di diuretici viene definita “resistenza”, condizione vissuta con preoccupazione dal Hypertrophy of distal tubules impairs natriuretic response clinico perché correla con un incremento della mortaliPost-diuretic NaCl retention tà e solitamente si accompagna ad una iposodiemia Venous congestion impairs renal tubular function progressiva, difficile da trattare (22). La resistenza ai diuG. Cice retici ha vari attori (tab. 2), tutti importanti, ma un unico Tabella 2 Fractional Na escretion %
DIURETIC
Ruolo centrale ha il controllo dell’adeguatezza della perfusione renale, dipendente dalla pressione arteriosa e dalla portata cardiaca.
La mancata risposta a dosaggi massimali di diuretici viene definita “resistenza”, condizione che correla con un incremento della mortalità e solitamente si accompagna ad una iposodiemia progressiva, difficile da trattare.
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EuroHeart Failure survey programme-- a survey on the quality of care among patients with heart failure in Diuretic resistance and renal function Europe. Part 1: patient characteristics and diagnosis. Eur Heart J. 2003 Mar;24(5):442-63. 7.Tavazzi L, Maggioni AP, Lucci D, et al. Italian survey on Proximal Tubule Acute Heart Failure Investigators. Nationwide survey AT2 increases on acute heart failure in cardiology ward services in sodium reabsorbtion Italy. Eur Heart J. 2006 May;27(10):1207-15. 8. Levey AS, Coresh J, Balk E, et al National Kidney Foundation. National Kidney Foundation practice guiGlomerulus delines for chronic kidney disease: evaluation, classifiNorepinephrine, endothelin, cation, and stratification. Ann Intern Med. 2003 Jul AT2 decrease renal 15;139(2):137-47. Erratum in: Ann Intern Med. 2003 Oct blood flow and GFR 7;139(7):605. 9. Hillege HL, Girbes AR, de Kam PJ, et al. Renal function, Collecting Duct neurohormonal activation, and survival in patients Hypertrophy of distal tubules. with chronic heart failure. Circulation. 2000 Jul Aldosterone increases 11;102(2):203-10. sodium reabsorbtion 10. Smith GL, Lichtman JH, Bracken MB, et al. Renal impairment and outcomes in heart failure: systematic review and meta-analysis. J Am Coll Cardiol. 2006 May 16;47(10):1987-96. 11. Akhter MW, Aronson D, Bitar F, et al. Effect of elevaWeber KT. NEJM. 2001. Francis GS et al. Ann Intern Med. 1984. Dzau VJ. Kidney Int. 1987 ted admission serum creatinine and its worsening on outcome in hospitalized patients with decompensated Figura 3 heart failure. Am J Cardiol. 2004 Oct 1;94(7):957-60. 12. Fonarow GC, Adams KF Jr, Abraham WT, et al; ADHERE Scientific Advisory Committee, Study Group, and Investigators. Risk stratification for in-hospital mortality in acutely decompensated heart failure: classification and regression regista: il RAAS marcatamente e cronicamente attivato, tree analysis. JAMA. 2005 Feb 2;293(5):572-80. che agendo su ogni unità funzionale del nefrone (fig. 3) 13. R Thakkar, J Teerlink, W Colucci, et al. The ADHERE classification and regression tree model overestimates mortality rates in clinical trials: results from REVIfavorisce l’instaurarsi della sindrome (23). VE I & II. Critical Care 2007 11(Suppl 2):P223 Molto promettente ma bisognoso di ulteriori conferme 14. Ronco C, Haapio M, House Andew, et al. Cardio-renal syndrome. J Am Coll è l’uso dell’utrafiltrazione che permette la rimozione di Cardiol. 2008;52:1527-.39. 15. European Society of Cardiology; Heart Failure Association of the ESC (HFA); gradi quantità di acqua libera senza compromettere la European Society of Intensive Care Medicine (ESICM), ESC guidelines for the stabilità emodinamica del paziente (24). In conclusione, diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure 2008. Eur J Heart Fail. 2008 Oct;10(10):933-89. Epub 2008 Sep nonostante la prevalenza e le negative ripercussioni 16. McCullough PA, Kuncheria J, Mathur VS. Diagnostic and therapeutic utility of prognostiche della sindrome cardio-renale non abbiaB-type natriuretic peptide in patients with renal insufficiency and decompenmo attualmente dati evidence-based che orientino le sated heart failure. Rev Cardiovasc Med. 2004 Winter;5(1):16-25. 17. Stevenson LW. Clinical use of inotropic therapy for heart failure: looking nostre scelte. Necessitano studi prospettici e, soprattutbackward or forward? Part II: chronic inotropic therapy. Circulation. 2003 Jul to, migliore attitudine ad identificare quanto prima 29;108(4):492-7. 18. Chatterjee K, Parmley WW, Cohn JN, et al. A cooperative multicenter study of pazienti a così alto rischio. captopril in congestive heart failure: hemodynamic effects and long-term response. 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Diuretics and neurohormones
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SPREAD, Linee Guida di Prevenzione Trattamento dell’ictus cerebrale: le novità della 6.a Edizione, gennaio 2010 Prof. Gian Franco Gensini, Prof. Augusto Zaninelli, a nome de “the SPREADlive Collaborative Group” Università di Firenze Si conferma per l’ictus ischemico una tendenza ad una riduzione della mortalità nei primi 30 giorni che passa dal 33% di alcuni anni fa ad un più recente dato del 20-25%, mentre è stata aggiornata la definizione di TIA come “episodio di disfunzione neurologica causato da ischemia focale dell’encefalo, midollo spinale o della retina senza infarto acuto”. Dal punto di vista dell’approccio non farmacologico, il consumo abituale di tè, sia tè verde sia nero, e di caffè non solo non si associa ad un aumento del rischio di ictus, ma potrebbe avere anche un effetto protettivo. Per la prevenzione primaria, la raccomandazione già esistente sull’impiego del ramipril a 10 mg per la prevenzione dell’ictus ischemico nei pazienti ad elevato rischio trombotico è stata integrata dall’aggiunta di telmisartan 80 mg, mentre per quanto riguarda la terapia antitrombotica orale per la prevenzione dell’ictus cardioembolico nei pazienti con fibrillazione atriale (FA), si è riconfermato il ruolo degli anticoagulanti orali, ma è stato segnalato l’impiego dell’associazione ASA+Clopidogrel, quando la scelta di non trattare il paziente con anticoagulanti orali non dipende da elevato rischio emorragico o di cadute, ma da altri motivi. Sempre per la prevenzione dell’ictus cardioembolico nella FA si segnala come il dabigatran è risultato non inferiore al warfarin nel trattamento dei pazienti con fibrillazione atriale. Per quanto riguarda la trombolisi arteriosa nella fase acuta dell’ictus ischemico, la raccomandazione ad una somministrazione il più precoce possibile e comunque entro le 3 ore è stata affiancata anche da un’altra che amplia la finestra fra le 3 e le 4,5 ore dall’esordio di un ictus ischemico nei casi eleggibili, mentre l’impiego di calze elastiche a compressione graduata non è più raccomandato per la profilassi della trombosi venosa profonda. L’utilità
delle statine, in prevenzione secondaria, è stata ribadita confermando la sicurezza ed efficacia di atorvastatina 80 mg/die per ridurre le recidive di ictus ischemico, TIA ed eventi vascolari cardiaci, anche al disopra dei 65 anni, indipendentemente dal sottotipo di ictus ischemico. Per quanto riguarda la terapia chirurgica, viene ribadita la superiorità della chirurgia tradizionale della carotide, rispetto allo stent carotideo, che resta indicato solo in caso di grave comorbidità. Sono stati, poi, introdotti nuovi e moderni obiettivi nel programma riabilitativo individuale, come la riabilitazione orientata al ritorno al lavoro, alla guida dell’autovettura, alle attività di svago, affrontando anche il tema della sessualità collocandolo all’interno di una discussione con il partner nel momento in cui il paziente rientra in comunità. Per la valutazione delle complicanze psico-cognitive sono state riportate nuove scale di valutazione come la Montreal Cognitive Assessment (MOCA) ed il Mental Acute Performance in Stroke (MAPS). Infine sono state avviate due nuove aree di lavoro. La prima definita “analisi e confronto con altre linee guida”, si occupa di identificare le raccomandazioni più robuste attraverso l’analisi ed il confronto della loro gradazione nelle diverse linee guida e di verificarne la diffusione all’interno della comunità scientifica e nella pratica quotidiana. La seconda intitolata “processi gestionali basati sull’evidenza”, vuole identificare percorsi organizzativi virtuosi che garantiscano il governo clinico e assistenziale controllandone la qualità, l’efficacia e l’efficienza. BIBLIOGRAFIA Gensini GF & Zaninelli A (Eds): SPREAD - Stroke PRevention and Educational Awareness Diffusion, linee guida italiane di prevenzione e trattamento dell’ictus cerebrale - 6.a Edizione, 7 gennaio 2010 - www.spread.it/
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Fibrillazione atriale e rischio cerebrovascolare: nuove prospettive di terapia Dr. Lorenzo Ghiadoni, Dr. Agostino Virdis Dipartimento di Medicina Interna, Università di Pisa
La fibrillazione atriale è un’aritmia cardiaca caratterizzata da una completa irregolarità dell’attivazione elettrica degli atri. In presenza di tale anomalia, le normali contrazioni atriali vengono sostituite da movimenti caotici, completamente inefficaci ai fini della propulsione del sangue. La fibrillazione atriale è la più comune fra le aritmie cardiache, con una prevalenza dello 0,5% nella popolazione adulta. Il rischio di fibrillazione atriale aumenta con l’età, con una prevalenza che oscilla tra lo 0,1% negli adulti di età < 55 anni ed il 9,0% negli anziani di età > 80 anni (1). Tale aritmia è poi piuttosto comune nei pazienti con altre patologie cardiocircolatorie, come l’ipertensione arteriosa, la malattia coronarica, ma soprattutto le malattie valvolari: fra il 30 e l’80% dei pazienti operati per patologia della valvola mitrale giungono all’intervento in fibrillazione atriale. Dati provenienti dallo studio Framingham indicano che la fibrillazione atriale associata a valvulopatia mitralica comporta un rischio embolico molto elevato, con una incidenza di ictus circa 17 volte più frequente rispetto ai controlli (2). Oltre al maggior rischio di ictus cerebrale, la fibrillazione atriale si associa ad un maggior rischio di scompenso cardiaco ed ad una maggiore mortalità cardiovascolare e totale (3, 4). Da tutti questi dati ne consegue che il progressivo invecchiamento della popolazione generale ed i notevoli progressi Il rischio di fibrillazione atriale aumenta con l’età, con una prevalenza che oscilla tra lo 0,1% negli adulti di età < 55 anni ed il 9,0% negli anziani di età > 80 anni.
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compiuti negli ultimi anni nel trattamento della malattia coronarica e dello scompenso cardiaco porteranno ad un ulteriore aumento della prevalenza della fibrillazione atriale nei prossimi anni. È stato infatti stimato che il numero di pazienti affetti da tale patologia raddoppierà, e triplicherà nei prossimi 30 anni (5). Pertanto, una tappa fondamentale del trattamento di pazienti con fibrillazione atriale è rappresentata dall’uso di farmaci antitrombotici per la prevenzione degli eventi trombo-embolici. La decisione di iniziare la terapia si basa sul rischio di eventi cerebrovascolari del paziente e sul rapporto tra i benefici ed il rischio di eventi avversi che tale terapia comporta. La terapia tradizionale con gli antagonisti della vitamina K (warfarin) somministrata ai dosaggi ottimali nei pazienti a rischio di sviluppare eventi cerebrovascolari medio-alto è in grado di ridurre del 67% il rischio di stroke e del 27% quello di morte. Tuttavia, l’utilizzo del warfarin richiede una stretta sorveglianza da parte del medico a causa del suo stretto indice terapeutico, del rischio di sanguinamento ed una continua necessità di monitoraggio degli indici di coagulazione (6). A causa di questi limiti, solo la metà circa dei pazienti eleggibili la assume effettivamente e meno della metà di questi Dati provenienti dallo studio Framingham indicano che la fibrillazione atriale associata a valvulopatia mitralica comporta un rischio embolico molto elevato, con una incidenza di ictus circa 17 volte più frequente rispetto ai controlli.
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Incidenza annua (%)
restano all’interno del range terapeutico Ictus cerebrale o embolismo sistemico (7). Allo scopo di superare i limiti degli antagonisti della vitamina K, è stato recen2,4 P<0,001 temente sviluppato un nuovo farmaco, il dabigatran etexilato, un inibitore competi1,69 tivo diretto della trombina. Il dabigatran, 1,8 1,53 attivo per via orale, è eliminato per l’80% per via renale e ha una emivita plasmatica di 12-17 ore, e non richiede il monitorag1,2 1,11 gio continuo degli indici di coagulazione (8). Un recente studio clinico di fase III ha valutato l’efficacia di dabigatran a due dif0,6 ferenti dosi fisse (110 o 150 mg x 2/die), rispetto a warfarin, sulla prevenzione dell’ictus cerebrale e dell’embolismo sistemi0 Warfarin Dabigatran 110 mg Dabigatran 150 mg co in pazienti con fibrillazione atriale non valvolare (studio RE-LY) (9). Lo studio è stato condotto su 18.113 pazienti in oltre Figura 1 - Il grafico mostra l’incidenza annua dell’obiettivo primario rappre900 centri, Italia compresa. La durata sentato dall’ictus cerebrale o l’embolismo sistemico nei pazienti randomizzamedia (mediana) del trattamento è stata di ti a warfarin o debigatran alla dose di 110 e 150 mg x 2/die (studio RE-LY) 2 anni. Sono stati reclutati un pari numero mente ridotto l’incidenza di ictus cerebrale o embolidi pazienti trattati con anticoagulanti e di pazienti naïve smo sistemico rispetto al warfarin (1,11 % vs 1,69 (mai trattati prima). Il principale obiettivo dello studio è %/anno; RR 0,66; 95% CI, 0,53-0,82; P<0,001), con tassi stato mettere a confronto una nuova terapia rispetto a simili di sanguinamento (3,11% vs 3,36%/anno; P=0,31). quella standard in condizioni cliniche reali. Poiché la La dose di 110 mg di dabigatran ha ottenuto risultati terapia standard attuale con antagonisti della vitamina simili in termini di incidenza di ictus ed embolismo K richiede un monitoraggio costante o adeguamenti sistemico rispetto a warfarin (1,53 %/anno; RR 0,91; 95% del dosaggio, è logico che tale studio fosse condotto in CI, 0,74-1,11; P=0,34) ma con tassi significativamente aperto con i rispettivi controlli. Pertanto lo studio RE-LY, più bassi di sanguinamento (2,71 %/anno; P=0,003). seppure prospettico, randomizzato, è stato condotto in L’incidenza di ictus emorragico è stata significativaaperto ma con valutazione in cieco degli endpoint, un mente minore nel gruppo dabigatran rispetto al warfadisegno che ha permesso di essere rappresentativo rin, sia alla dose di 110 mg (0,12 % vs 0,38 %/anno; delle reali differenze nella gestione della terapia con P<0,001) che alla dose di 150 mg (0,10 %/anno; warfarin o dabigatran nella pratica clinica. L’obiettivo P<0,001). L’incidenza di mortalità non è risultata signifiprimario era rappresentato dall’ictus cerebrale o dalcativamente differente tra i gruppi. Infine, non si sono l’embolismo sistemico. L’obiettivo primario di sicurezza registrate differenze significative in termini di tossicità era l’insorgenza del sanguinamento maggiore. RE-LY ha epatica nei diversi gruppi di trattamento (9). raggiunto l’obiettivo di non inferiorità per l’endpoint In conclusione, il dabigatran etexilato è un nuovo inibiprimario per entrambe le dosi di dabigatran (P<0,001). tore orale della trombina, il primo di un’innovativa clasInoltre, alla dose di 150 mg, dabigatran ha significativaUna tappa fondamentale del trattamento di pazienti con fibrillazione atriale è rappresentata dall’uso di farmaci antitrombotici per la prevenzione degli eventi trombo-embolici.
Il dabigatran, attivo per via orale, è eliminato per l’80% per via renale e ha una emivita plasmatica di 12-17 ore, e non richiede il monitoraggio continuo degli indici di coagulazione.
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Sanguinamento maggiore P=0,003
Incidenza annua (%)
4,5 3,36
3,11 3,0 2,71
1,5
attualmente disponibili pongono il dabigatran come un farmaco sicuramente innovativo nella prevenzione delle complicanze cerebrovascolari del paziente affetto da fibrillazione atriale, il quale oltre all’efficacia clinica, ha decisamente una maggiore maneggevolezza d’impiego da parte del paziente, con un rischio minore di emorragie. I risultati degli studi in corso saranno necessari per fornire una definitiva conferma sulla effettiva efficacia clinica e sicurezza del debigatran. BIBLIOGRAFIA
1. Go AS, Hylek EM, Phillips KA, et al. Prevalence of diagnosed atrial fibrillation in adults: national implications for Warfarin Dabigatran 110 mg Dabigatran 150 mg rhythm management and stroke prevention: the AnTicoagulation and Risk Factors in Atrial Fibrillation (ATRIA) Study. Jama. 2001;285:2370-5. Figura 2 - Il grafico mostra l’incidenza annua dell’obiettivo primario di sicurez- 2. Lloyd-Jones DM, Wang TJ, Leip EP, et al. Lifetime risk za, rappresentato dalla presenza di sanguinamento maggiore, nei pazienti for development of atrial fibrillation: the Framingham randomizzati a warfarin o debigatran alla dose di 110 e 150 mg x 2/die (stu- Heart Study. Circulation. 2004;110:1042-6. dio RE-LY) 3. Krahn AD, Manfreda J, Tate RB, et al. The natural history of atrial fibrillation: incidence, risk factors, and prognosis in the Manitoba Follow-Up Study. Am J Med. 1995;98:476-84. se di anticoagulanti orali che rispondono ad un biso4. Benjamin EJ, Wolf PA, D'Agostino RB, et al. Impact of atrial fibrillation on the risk of death: the Framingham Heart Study. Circulation. gno medico tuttora insoddisfatto nella prevenzione e 1998;98:946-52. nel trattamento dei disturbi tromboembolici acuti e 5. Fuster V, Ryden LE, Cannom DS, et al. ACC/AHA/ESC 2006 guidelines for the cronici. Lo studio RE-LY ha infatti dimostrato risultati management of patients with atrial fibrillation--executive summary: a report of the American College of Cardiology/American Heart Association superiori rispetto al warfarin, oggi terapia standard per Task Force on Practice Guidelines and the European Society of Cardiology questi pazienti in termini di efficacia e di sicurezza. Lo Committee for Practice Guidelines (Writing Committee to Revise the 2001 studio RE-LY ha dimostrato che il dabigatran è in grado Guidelines for the Management of Patients With Atrial Fibrillation). J Am Coll di fornire un’azione anticoagulante efficace e costante, Cardiol. 2006;48:854-906. 6. Hylek EM, Evans-Molina C, Shea C, et al. Major hemorrhage and tolerabilinon richiede un ripetuto monitoraggio dei parametri ty of warfarin in the first year of therapy among elderly patients with atrial della coagulazione e non richiede variazioni di dosagfibrillation. Circulation. 2007;115:2689-96. gio. Il dabigatran è già disponibile in Italia per la pre7. Connolly SJ, Pogue J, Eikelboom J, et al. Benefit of oral anticoagulant over antiplatelet therapy in atrial fibrillation depends on the quality of internavenzione delle trombosi venose profonde nei pazienti tional normalized ratio control achieved by centers and countries as measusottoposti a chirurgia ortopedica maggiore. Sono red by time in therapeutic range. Circulation. 2008;118:2029-37. attualmente in corso altri studi su larga scala allo scopo 8. Stangier J. Clinical pharmacokinetics and pharmacodynamics of the oral di valutare l’efficacia di tale farmaco nella prevenzione direct thrombin inhibitor dabigatran etexilate. Clin Pharmacokinet. 2008;47:285-95. primaria e secondaria del tromboembolismo venoso, 9. Connolly SJ, Ezekowitz MD, Yusuf S, et al. Dabigatran versus warfarin in nel trattamento del tromboembolismo venoso acuto e patients with atrial fibrillation. N Engl J Med. 2009;361:1139-51.
0
nella prevenzione secondaria di eventi cardiaci in pazienti con sindrome coronarica acuta. I risultati RE-LY ha raggiunto l’obiettivo di non inferiorità per l’endpoint primario per entrambe le dosi di dabigatran (P<0,001).
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Alla dose di 150 mg, dabigatran ha significativamente ridotto l’incidenza di ictus cerebrale o embolismo sistemico rispetto al warfarin (1,11 % vs 1,69 %/anno; RR 0,66; 95% CI, 0,53-0,82; P<0,001), con tassi simili di sanguinamento (3,11 % vs 3,36 %/anno; P=0,31)
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La velocità dell’onda sfigmica: quali applicazioni pratiche? Prof. Giuseppe Schillaci, Giacomo Pucci Medicina Interna, Angiologia e Malattie da Arteriosclerosi, Università di Perugia
Introduzione Le grandi arterie elastiche, ed in particolare l'aorta, rivestono due fondamentali funzioni fisiologiche. Da un lato consentono la conduzione del sangue dal cuore alle arterie di resistenza, dall'altro permettono la trasformazione di un flusso pulsatile, generato dall'azione cardiaca, in uno continuo, proprio dei tessuti periferici.
Negli ultimi anni si è assistito ad un aumento esponenziale dell'interesse della comunità scientifica e medica per la rigidità (stiffness) arteriosa come parametro fisiologico e clinico. Questo interesse deriva essenzialmente dalla disponibilità di strumenti che permettono di misurare la rigidità arteriosa in maniera accurata, non invasiva e ripetibile, dalla migliore comprensione della fisiologia delle onde pressorie e delle loro modificazioni nelle varie condizioni fisiologiche e patologiche, e dalla pubblicazione di numeEvoluzione nel tempo del ruolo attribuito alle grandi arterie rosi studi clinici che ne hanno documentato il nella patogenesi dell’ipertensione arteriosa valore prognostico indipendente in diverse situazioni cliniche. Questi progressi hanno permesso di VECCHIO PARADIGMA superare il tradizionale paradigma che vuole la pressione arteriosa come il prodotto di gettata cardiaca e resistenze periferiche (Figura 1), e di approdare ad una concezione secondo la quale le grandi arterie non sono soltanto il bersaglio della pressione arteriosa elevata, ma un fattore deterCuore Piccole arterie/arteriole Grandi arterie minante nella patogenesi dell'ipertensione arte(gettata cardiaca) (resistenze periferiche) (pressione arteriosa) riosa, ed in particolare dell'ipertensione sistolica isolata e dell'incremento della pressione differenNUOVO PARADIGMA ziale che inevitabilmente accompagna l'invecchiamento.
Pressione arteriosa
Figura 1
Definizione e metodi di misurazione della rigidità aortica La rigidità arteriosa si definisce come la pressione necessaria per ottenere una determinata dilatazione in un segmento arterioso (rigidità arteriosa segmentaria o regionale) o nell'intero albero arterioso (rigidità arteriosa totale). Questa definizione fa già intuire le limitazioni insite nella sua misurazione: per una misurazione diretta della rigidità è infatti necessario misurare contemporaneamente, in maniera
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accurata e nello stesso segmento arterioso l'andamento della pressione e del calibro. Ciò è ottenibile solo con metodiche invasive, attraverso l'uso contemporaneo di trasduttori di pressione e di sensori di flusso. Molte misure non invasive di rigidità arteriosa sono state proposte, tra le quali la pressione arteriosa differenziale, l'augmentation aortica (ossia il contributo dell'onda riflessa alla pressione differenziale aortica), i parametri C1 e C2 del contorno dell'onda di polso, le metodiche ecografiche e di risonanza magnetica, nonché parametri quali l'ambulatory arterial stiffness index derivati dalla relazione tra pressione arteriosa sistolica e diastolica durante un monitoraggio pressorio nelle 24 ore (1,2). Tutti questi metodi hanno tuttavia importanti limitazioni che ne limitano l'utilizzo, e la cui discussione esula dallo scopo di questo articolo.
Misurazione della velocità dell’onda sfigmica carotido-femorale
arteria femorale
carotide comune
velocità =
distanza tempo
Figura 2
Exh pxD
nella quale E è il modulo elastico di una data arteria ovvero ovvero la sua rigidità, h lo spessore della parete arteriosa, p la densità del sangue e D il diametro dell'arteria. Da questa relazione si evince che la PWV ha una relazione diretta quadratica con il modulo elastico, ossia con la rigidità intrinsica di un vaso arterioso. Tipicamente, nell'aorta normale i valori di velocità dell'onda sfigmica (4-8 m/s) sono molto superiori alla velocità di propagazione del flusso ematico (circa 1 m/s). La L'uso della velocità dell'onda sfigmica o di polso (pulse wave velocity, PWV) come misura della rigidità di un'arteria si basa sulla nozione che con l'aumento della rigidità di un'arteria aumenta la velocità di trasmissione dell'onda sfigmica.
20
arterie iliache
aorta ascendente
La velocità dell'onda sfigmica L'uso della velocità dell'onda sfigmica o di polso (pulse wave velocity, PWV) come misura della rigidità di un'arteria si basa sulla nozione che con l'aumento della rigidità di un'arteria aumenta la velocità di trasmissione dell'onda sfigmica. Questa relazione è stata teorizzata per la prima volta nel 1878 da due scienziati olandesi, Moens e Korteweg: velocità dell’onda sfogmica (PWV) =
aorta toracica aorta addominale
PWV quindi aumenta progressivamente procedendo dall'aorta alle arterie periferiche, prevalentemente per la riduzione del calibro e la modificazione della caratteristiche della parete vasale. L'onda di polso può essere registrata con metodiche differenti: tonometrica, piezoelettrica, Doppler, impedenziometrica. La tecnica più frequentemente usata è quella tonometrica. La tonometria ad applanazione è una tecnica semplice e riproducibile di analisi dell'onda sfigmica, che consiste nella lieve compressione (applanazione) di un'arteria superficiale contro il piano osseo sottostante per mezzo di un sensore pressorio (tonometro). La forma d'onda ottenuta con un tonometro ad alta fedeltà è virtualmente identica a quella registrata con un trasduttore intraarterioso. Qualunque sia la metodica utilizzata per ottenere il segnale, ai fini della misurazione della PWV viene registrata l'onda di polso in due punti differenti dell'albero arterioso e viene calcolato l'intervallo temporale che intercorre tra il piede dell'onda nel punto prossimale e nel punto distale (utilizzando come comune repere l’onda R dell’ECG) (Figura 2). Tipicamente, i due punti dove viene effettuata la misurazione sono la carotide comune e la femorale comune all'inguine: questi due L'onda di polso può essere registrata con metodiche differenti: tonometrica, piezoelettrica, Doppler, impedenziometrica. La tecnica più frequentemente usata è quella tonometrica.
Anno II - N. 1, 2010
Studio
Anno
Follow-up, anni
End-point
Popolazione
Significato prognostico
Blacher [12]
1998
3,0
morte, morte per cause CV
nefropatia in dialisi
sì
Meaume [13]
2001
2,5
morte CV
anziani
sì
Laurent [14]
2001
9,3
eventi CV
ipertensione
sì
Boutouyrie [15]
2002
5,7
cardiopatia ischemica
ipertensione
sì
Laurent [16]
2003
7,9
ictus fatale
ipertensione
sì
Health ABC [17]
2005
4,6
morte, cardiopatia ischemica, ictus
anziani
sì
Rotterdam [18]
2006
3,2
ictus
popolazione generale
sì
MONICA-DK [19]
2006
9,4
eventi CV, cardiopatia ischemica
popolazione generale
sì
Choi [20]
2007
2,6
eventi CV
dolore toracico
sì
Terai [21]
2008
4,7
ictus, eventi CV
ipertensione
sì
Framingham [22]
2010
7,8
eventi CV
popolazione generale
sì
CV = cardiovascolari
Tabella 1 PWV come indice di danno d'organo La PWV aortica costituisce un marcatore integrato dell'azione di numerosi fattori di rischio vascolare. In particolare, i due fattori che hanno la maggiore influenza sulla PWV sono l'età e della pressione arteriosa (5). La rigidità aortica viene inoltre accentuata dal diabete mellito, dalla sindrome metabolica, Curve di sopravvivenza libera da eventi cardiovascolari ed in particolare dall'obesità viscerale (6,7). in 2232 soggettidello studio di Framinghamseguiti per 7, 8 anni, La PWV aortica si correla inoltre con la presuddivisi per quertili di velocità dell'onda sfigmica (PWV) aortica senza di danno d'organo a carico di altri 0,20 distretti, quali l'ipertrofia concentrica e la Aortic pulse wave velocity disfunzione sistolica del ventricolo sinistro ≥11,8 (8,9), la microalbuminuria [10] e la disfunzio9,3 - 11,7 ne renale (11). 7,8 - 9,2 0,15 Cumulaitve Probability of Major Cardiovascular Events
punti racchiudono con buona approssimazione l'aorta, cioè il tratto di arteria di maggior interesse fisiopatologico. Sono disponibili raccomandazioni di diverse società scientifiche per la standardizzazione della misurazione della PWV (3,4).
≤7,7
0,10
0,05
0,00 0
Figura 3
2
4 Years
6
8
Significato prognostico Le linee guida europee del 2007 per la diagnosi ed il trattamento dell'ipertensione hanno per la prima volta incluso la velocità dell'onda sfigmica aortica tra gli indici di danno d'organo sub-clinico in grado di influenzare la prognosi dei soggetti ipertesi (12). Tale riconoscimento della PWV come importante indicatore di danno d'organo si basa sul fatto che un gran numero di studi prospettici nell'ultimo decennio ha dimostrato in maniera chiara come la PWV aortica abbia una relazione forte con la futura insorgenza di malattie cardiovascolari,
21
Anno II - N. 1, 2010
La PWV aortica costituisce un marcatore integrato dell'azione di numerosi fattori di rischio vascolare. In particolare, i due fattori che hanno la maggiore influenza sulla PWV sono l'età e della pressione arteriosa. relazione almeno in parte indipendente ed aggiuntivo rispetto all'effetto confondente degli altri fattori di rischio cardiovascolare. I principali studi che hanno documentato il significato prognostico della PWV aortica sono elencati in Tabella 1. In una recente analisi dello studio di Framingham (22), una PWV carotido-femorale elevata si associava ad un aumento del 46% del rischio di sviluppare un evento cardiovascolare, anche dopo avere corretto per l'effetto di età, sesso, pressione arteriosa sistolica, terapia anti-ipertensiva, colesterolo totale e HDL, fumo e diabete (Figura 3). Inoltre, l'aggiunta della PWV ad un modello che includa tutti i fattori sopra riportati è in grado di migliorarne significativamente la capacità discriminativa, anche se si utilizza un modello statistico molto conservativo quale quello delle curve ROC. Conclusioni La velocità dell'onda sfigmica carotido-femorale costituisce un parametro affidabile, riproducibile e facilmente ottenibile di rigidità aortica. La misurazione della velocità dell'onda sfigmica è un importante indicatore di arteriosclerosi sub-clinica ed un predittore indipendente di mortalità e morbilità cardiovascolare, ed è prevedibile che in un prossimo futuro la disponibilità di strumenti più accurati e di semplice utilizzo ne incrementerà ulteriormente l'impiego in ambito clinico e preventivo. L'irrigidimento delle grandi arterie costituisce inoltre un promettente obiettivo intermedio e misurabile degli interventi terapeutici miranti a limitare le conseguenze negative dell'arteriosclerosi. BIBLIOGRAFIA 1. Li Y, Wang J-G, Dolan E, et al. Ambulatory arterial stiffness index derived from 24-hour ambulatory blood pressure monitoring. Hypertension 2006;47:359364. 2. Schillaci G, Parati G, Pirro M, et al. Ambulatory arterial stiffness index is not a specific marker of reduced arterial compliance. Hypertension. 2007;49:986-991. 3.Van Bortel LM, Duprez D, Starmans-Kool MJ, et al. Clinical applications of arterial stiffness, Task Force III: recommendations for user procedures. Am J Hypertens. 2002;15:445-452. 4. Laurent S, Cockcroft J, Van Bortel L, et al; European Network for Non-invasive Investigation of Large Arteries. Expert consensus document on arterial stiffness: methodological issues and clinical applications. Eur Heart J. 2006;27:25882605.
22
Le linee-guida europee del 2007 per la diagnosi ed il trattamento dell'ipertensione hanno per la prima volta incluso la velocità dell'onda sfigmica aortica tra gli indici di danno d'organo sub-clinico in grado di influenzare la prognosi dei soggetti ipertesi. 5. Cecelja M, Chowienczyk P. Dissociation of aortic pulse wave velocity with risk factors for cardiovascular disease other than hypertension: a systematic review. Hypertension. 2009;54:1328-1336. 6. Stehouwer CD, Henry RM, Ferreira I. Arterial stiffness in diabetes and the metabolic syndrome: a pathway to cardiovascular disease. Diabetologia. 2008;51:527-539. 7. Schillaci G, Pirro M,Vaudo G, et al. Metabolic syndrome is associated with aortic stiffness in untreated essential hypertension. Hypertension 2005;45:10781082. 8. Saba PS, Roman MJ, Pini R, Spitzer M, Ganau A, Devereux RB. Relation of arterial pressure waveform to left ventricular and carotid anatomy in normotensive subjects. J Am Coll Cardiol 1993;22:1873-1880. 9. Schillaci G, Mannarino MR, Pucci G, et al. Age-specific relationship of aortic pulse wave velocity with left ventricular geometry and function in hypertension. Hypertension 2007;49:317-321. 10. Mulè G, Cottone S, Vadalà A. Relationship between albumin excretion rate and aortic stiffness in untreated essential hypertensive patients. J Intern Med 2004;256:22-29. 11. Schillaci G, Pirro M, Mannarino MR, et al. Relation between renal function within the normal range and central and peripheral arterial stiffness in hypertension. Hypertension 2006;48:616-621. 12. Blacher J, Guerin AP, Pannier B, Marchais SJ, Safar ME, London GM. Impact of aortic stiffness on survival in end-stage renal disease. Circulation 1999;99:24342439. 13. Meaume S, Benetos A, Henry OF, Rudnichi A, Safar ME. Aortic pulse wave velocity predicts cardiovascular mortality in subjects >70 years of age. Arterioscler Thromb Vasc Biol 2001;21:2046-2050. 14. Laurent S, Boutouyrie P, Asmar R, et al. Aortic stiffness is an independent predictor of all-cause and cardiovascular mortality in hypertensive patients. Hypertension 2001;37:1236-1241. 15. Boutouyrie P, Tropeano AI, Asmar R, et al. Aortic stiffness is an independent predictor of primary coronary events in hypertensive patients: a longitudinal study. Hypertension 2002;39:10-15. 16. Laurent S, Katsahian S, Fassot C, et al. Aortic stiffness is an independent predictor of fatal stroke in essential hypertension. Stroke 2003;34:1203-1206. 17. Sutton-Tyrrell K, Najjar SS, et al; Health ABC Study. Elevated aortic pulse wave velocity, a marker of arterial stiffness, predicts cardiovascular events in well-functioning older adults. Circulation 2005;111:3384-3390 18. Mattace-Raso FU, van der Cammen TJ, Hofman A, et al. Arterial stiffness and risk of coronary heart disease and stroke: the Rotterdam Study. Circulation 2006;113:657-663. 19. Willum-Hansen T, Staessen JA, Torp-Pedersen C, et al. Prognostic value of aortic pulse wave velocity as index of arterial stiffness in the general population. Circulation 2006;113:664-670. 20. Choi CU, Park EB, Suh SY, et al. Impact of aortic stiffness on cardiovascular disease in patients with chest pain: assessment with direct intra-arterial measurement. Am J Hypertens 2007; 20:1163-1169. 21. Terai M, Ohishi M, Ito N, et al. Comparison of arterial functional evaluations as a predictor of cardiovascular events in hypertensive patients: the NonInvasive Atherosclerotic Evaluation in Hypertension (NOAH) Study. Hypertens Res 2008;31:1135-1145. 22. Mitchell GF, Hwang SJ, Vasan RS, et al. Arterial stiffness and cardiovascular events: the Framingham Heart Study. Circulation. 2010;121:505-511.
Strumento non invasivo per la misurazione della pressione arteriosa centrale e il calcolo dell’augmentation index OMRON HEM-9000AI Il calcolo della Presione Centrale richiede una misura molto accurata della Pulse Wave Velocity consentita dal metodo APPLANATION TONOMETRY. La PWV viene rilevata da un particolare dispositivo dotato di una matrice di oltre 40 sensori applicati al polso, attivati dalla leggera pressione esercitata sull’arteria radiale.
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La rilevazione dell’onda di polso attraverso l’APPLANATION TONOMETRY è automatica ed avviene senza alcun intervento da parte del medico. in questo modo la misurazione è del tutto indipendente dall’operatore.
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Anno II - N. 1, 2010
Come interpretare il monitoraggio pressorio Prof. Gino Seravalle Dipartimento Cardiologia, Istituto Auxologico Italiano, IRCCS Ospedale San Luca, Milano Dipartimento di Medicina Clinica, Prevenzione e Biotecnologie Sanitarie, Università Milano-Bicocca A partire dagli anni ’60 la tecnica del monitoraggio ambulatorio della pressione arteriosa (PA) (MAPA) ha assunto notevole importanza diagnostica e prognostica nell’ambito del controllo delle malattie cardiovascolari. È stato dimostrato che il suo valore prognostico è indipendente da altri fattori di rischio come l’età, il fumo di sigaretta, l’ipercolesterolemia, il diabete mellito e la stessa PA clinica (1-6). Nel valutare un MAPA delle 24 ore, comprendente almeno due misurazioni valide per ora durante il giorno ed una durante la notte per un totale di 50-100 misurazioni, è necessario tenere in considerazione: a) i valori di PA media, sistolica, diastolica, della frequenza cardiaca, in ogni misurazione, separando il sonno dalla veglia, b) i valori medi orari della PA media, sistolica, diastolica, e della frequenza cardiaca, c) l’istogramma della PA sistolica e diastolica nelle 24 ore, d) i profili dell’andamento della PA sistolica e diastolica nelle 24 ore. Il calcolo statistico della deviazione standard di questi valori medi viene comunemente utilizzato come misura della variabilità pressoria. I range di normalità per il MAPA sono valori medi diurni <135/85 mm Hg e valori medi notturni <120/70 mm Hg ma vengono consigliati valori anche più bassi in particolari gruppi di soggetti ad alto rischio (Tabella 1). Nel soggetto normoteso esiste un ritmo circadiano sonno-veglia della pressione arteriosa, con un calo not-
Nel soggetto normoteso esiste un ritmo circadiano sonno-veglia della pressione arteriosa, con un calo notturno durante il sonno che raggiunge il massimo intorno alle quattro di mattina, seguito da una graduale risalita che risulta più marcata al momento del risveglio.
turno durante il sonno (Figura 1, A e B) che raggiunge il massimo intorno alle quattro di mattina, seguito da una graduale risalita che risulta più marcata al momento del risveglio. La riduzione durante il sonno è di almeno il 10% (o di almeno 10 mm Hg per la sistolica e 5 mm Hg per la diastolica). I pazienti con differenza giorno-notte inferiore a questi limiti si definiscono “non-dippers” (Figura 1, C). Esistono inoltre soggetti che mostrano una riduzione dei valori di PA notturna >20% (cosiddetti “estreme dippers”) e soggetti che mostrano valori di PA notturna addirittura uguali o superiori ai valori del profilo diurno (cosiddetti “reverse dippers”). Entrambe queste ultime due classi sono caratterizzate da un marcato grado di danno d’organo, disfunzione autonomica ed elevato rischio cardiovascolare (7-10). Esistono due situazioni cliniche in cui il MAPA trova particolare impiego. Il primo è rappresentato dall’ ”effetto camice bianco”(ipertensione clinica isolata) che consiste nel riscontro di dati pressori elevati durante il rilevamento effettuato in ambulatorio da parte del mediLivelli di normalità del monitoraggio ambulatorio co per l’insorgere di una reazione emotiva (11della pressione arteriosa negli adulti 13). Il MAPA è poco sensibile a tale fenomeno e può quindi essere utilizzato in caso di rilevanti Pressione arteriosa (mm Hg) differenze tra le pressioni misurate in ambuOttimale Normale Anormale latorio in diverse occasioni. L’OMS scoraggia Periodo di veglia <130/80 <135/85 >140/90 l’impiego del termine “da camice bianco” e raccomanda quello di “ipertensione clinica Durante il sonno <115/85 <120/70 >125/75 isolata” sottolineando che tali soggetti hanno un maggiore rischio cardiovascolare e Tabella 1
24
Anno II - N. 1, 2010
Andamento dei valori di pressione arteriosa sistolica e diastolica di un soggetto normale (A), di un soggetto iperteso che presenta una riduzione dei valori pressori durante le ore notturne (dipper) (B), e di un iperteso senza calo pressorio notturno (non-dipper) (C)
A
200 160 120 80 40 0
B
12.00 15.00 18.00 21.00 00.00 03.00 06.00 09.00 12.00
200 160 120 80 40 0
C
12.00 15.00 18.00 21.00 00.00 03.00 06.00 09.00 12.00
200 160 120 80 40 0
12.00 15.00 18.00 21.00 00.00 03.00 06.00 09.00 12.00
Figura 1 “Effetto camice bianco”(ipertensione clinica isolata) che consiste nel riscontro di dati pressori elevati durante il rilevamento effettuato in ambulatorio da parte del medico per l’insorgere di una reazione emotiva.
necessitano di un trattamento farmacologico. Il secondo è l'ipertensione mascherata, rappresentato da soggetti che mostrano normali valori pressori alla visita ambulatoriale ed elevati valori pressori al di fuori dello studio medico. Questa condizione rappresenta un predittore indipendente di morbidità cardiovascolare (11,14,15). Molti eventi cardiovascolari quali ictus cerebrale, infarto miocardico, morte improvvisa, si verificano nelle prime ore del mattino (16,17). Per prevenire l’insorgenza di danno d’organo e di eventi cardio- e cerebrovascolari è pertanto utile diagnosticare l’entità del rialzo mattutino della PA (Fig 2). Inoltre, il MAPA risulta molto utile per l’individuazione di episodi ipotensivi legati alla postura (ipotensione ortostatica: incapacità di mantenere valori pressori stabili in ortostatismo con caduta di pressione sistolica di 20-30 mm Hg e di pressione diastolica di 10 mm Hg dopo 1-3 minuti di ortostatismo) e di fenomeni ipotensivi da sequestro ematico splancnico (ipotensione post-prandiale: aumento del flusso sanguigno splancnico con riduzione della vasocostrizione muscolare). Entrambi tali fenomeni risultano essere più frequenti negli anziani e nelle situazioni di iperinsulinemia (il calo pressorio è proporzionale al contenuto di carboidrati nella dieta). Il MAPA è utile per valutare la risposta al trattamento antipertensivo, sia negli studi clinici che nella pratica quotidiana, grazie alla ottima riproducibilità, l’insensibilità all’effetto placebo e l’assenza della reazione di allarme. L’impiego del rapporto valle/picco (Figura 3) e dello “smoothness index” (rapporto tra la media delle ventiquattro riduzioni orarie di PA indotte dalla terapia e la relativa deviazione standard: maggiore l’indice, più bassa la variabilità pressoria) (11,18) consentono inoltre di valutare temporalmente l’effetto anti-
L’ipertensione mascherata, rappresentata da soggetti che mostrano normali valori pressori alla visita ambulatoriale ed elevati valori pressori al di fuori dello studio medico.
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Anno II - N. 1, 2010
Definizione del rialzo mattutino della PA
Pressione arteriosa (mmHg)
A letto 250
veglia
Risveglio Sonno
veglia PA del mattino
200 150 100
PA serale
PA prerisveglio PA più bassa
Molti eventi cardiovascolari quali ictus cerebrale, infarto miocardico, morte improvvisa, si verificano nelle prime ore del mattino. Per prevenire l’insorgenza di danno d’organo e di eventi cardio- e cerebrovascolari è pertanto utile diagnosticare l’entità del rialzo mattutino della PA. BIBLIOGRAFIA
∆ PAM (mmHg)
1.O’Brien E,Asmar R,Beilin L et al.European Society of Hypertension recommendations for conventional, ambulatory and home blood 50 pressure measurement. European Society of Hypertension Working Group on Blood pressure Monitoring.J Hypertens 2003;21:821-848. 0 2. Pickering TG, James GD. Ambulatory blood pressure and pro18 24 6 12 gnosis. J Hypertens 1994;12 (suppl 8): s29-s33. 3. Ohkubo T, Imai Y,Tsuji I et al. Prediction of mortality by ambulatory ore modificata da 17 blood pressure monitoring versus screening blood pressure measurements:a pilot study in Ohasama.J Hypertens 1997;15:357-364. 4. Verdecchia P, Schillaci G, Borgioni C et al. Ambulatory blood Figura 2 pressure. A potent predictor of total cardiovascular risk in hypertension. Hypertension 1998;32:983-988. 5. Khattar RS, Swales JD, Banfield A et al. Prediction of coronary and cerebrovapertensivo e di confrontare tra loro due regime antiperscular morbidity and mortality by direct continouos ambulatory blood pressutensivi. re monitoring in essential hypertension. Circulation 2009;10:1071-1076. 6. Sega R, Facchetti R, Bombelli M et al. Prognostic value of ambulatory and home In conclusione, il MAPA risulta quindi indicato (19) quando: blood pressures compared with office blood pressure in the general population. a) vi è una discrepanza tra i valori pressori e la presenza di Follow-up results from the PAMELA study.Circulation 2005;111:1777-1783. 7. Kario K, Pickering TG, Matsuo T et al. Stroke prognosis and abnormal nocturdanno d’organo, b) vi sono differenze rilevanti tra i valori nal blood pressure falls in older hypertensives. Hypertension 2001;38:852-857. riscontrati in ambulatorio in varie occasioni o nella stessa 8. Cuspidi C, Macca C, Sampieri L, et al.Target organ damage and non-dipping pattern defined by two sessions of ambulatory blood pressure monitoring in recently diagnovisita, c) vi sono episodi di ipotensione o si sospetta una iposed essential hypertensive patients.J Hypertens 2001;19:1539-1545. tensione notturna, e d) nei casi di ipertensione resistente a 9. Jerrard-Dunne P, Mahmud A, Feely J. Circadian blood pressure variation: relatrattamento farmacologico assunto regolarmente. tionship between dipper status and measure of arterial stiffness. J Hypertens 2007;25:1233-1239. 10. Grassi G, Seravalle G, Quarti-Trevano F, et al. Adrenergic, metabolic and reflex abnormalities in reverse and extreme dipTabella oraria delle riduzioni di PA media (PAM) durante trattamento per hypertensives. Hypertension 2008;52:925-931. 11.Mallion JM,Baguet JP,Mancia G.European Society of Hypertension Tempo (ore) scientific newsletter:clinical value of ambulatory blood pressure monitoring.J Hypertens 2006;24:2327-2330. 12 16 20 24 04 08 0 12.White WB. Ambulatory blood pressure monitoring in clinical practice. N Engl J Med 2003;348:2377-2378. 13. Pickering TG. White-coat hypertension. Curr opin Nephrol Hypertens 1996;5:192-198. -10 14. Bobrie G, Chetellier G, Genes N et al. Cardiovascular prognosis of ‘masked hypertension’ detected by blood pressure self measurement in elderly treated hypertensive patients. JAMA -20 2004;291:1342-1349. 15. Grassi G, Seravalle G, Quarti-Trevano F et al. Neurogenic abnormalities in masked hypertension.Hypertension 2007;50:537-542. -30 16. Metodi H, Ohkubo T, Kikuya M et al. Prognostic significance for stroke of a morning pressor surge and a nocturnal blood pressure decline: the Ohasama Study. Hypertension 2006;47:149-154. -40 17.Kario K,Pickering TG,Umeda Y et al.Morning surge in blood pressuPicco Valle re as a predictor of silent and clinical cerebrovascular disease in elderly hypertensives:a prospective study.Circulation 2003;107:1401-1406. Il rapporto tra la riduzione della PA alla ventiquattresima ora di assunzione 18. Parati G, Omboni S, Rizzoni D, et al.The smoothness index: a del farmaco (valle) e la riduzione della PA al massimo effetto (picco) new reproducible and clinically relevant measure of the homogeneity of the blood pressure reduction with treatment for ottenuto nelle prime ore di assunzione. Un rapporto elevato (più vicino a 1) hypertension. J Hypertens 1998;18:1685-1691. è indice di un effetto duraturo ed omogeneo del farmaco 19. The ESH/ESC task force for the management of arterial hypertension. 2007 Guidelines for the management of arterial hypertension. J Hypertens 2007;25:1105-1187. Figura 3
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OMRON M6 COMFORT MISURATORE DI PRESSIONE
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Anno II - N. 1, 2010
Un sorvegliato molto particolare chiamato scompenso cardiaco Prof.ssa Barbara Caimi ASP IMMeS e PAT Pio Albergo Trivulzio, Dipartimento Toraco Polmonare e Cardiocircolatorio Università degli Studi di Milano
Le Linee Guida dell’American College of Cardiology / American Heart Association (ACC/AHA) del 2005 (1) definiscono l’insufficienza cardiaca come una sindrome clinica complessa,che può conseguire ad una qualsiasi anomalia cardiaca strutturale o funzionale, che altera l’abilità del ventricolo a riempirsi o ad eiettare sangue,ed è caratterizzata da sintomi (fatica e dispnea) e segni (ritenzione di liquidi) specifici. La Task Force della Società Europea di Cardiologia fornisce invece una definizione strettamente clinica secondo la quale la definizione di insufficienza cardiaca comprende i sintomi di insufficienza (a riposo o durante sforzo), il riscontro obiettivo di disfunzione cardiaca, ottenuto principalmente con l’ecocardiografia e la risposta alla terapia adeguata. Si tratta di una malattia cronica progressiva, la cui prevalenza sta enormemente aumentando, tanto da essere stata definita “un’epidemia degli anni 2000”. Nonostante le dimensioni del problema, vi è una scarsa consapevolezza di esso; infatti alcuni studi europei, come ad esempio lo SHAPE, hanno evidenziato che sebbene il termine scompenso cardiaco (SC) sia in linea teorica largamente conosciuto tra le persone, le conoscenze specifiche risultano molto limitate a differenza di quanto accade per altre malattie cardiovascolari come l’infarto miocardico. È emersa anche una preoccupante tendenza a sottovalutare i sintomi dello SC e la sua gravità. La gestione del paziente con insufficienza cardiaca richiede una strategia di continuità assistenziale, che coinvolga sia gli specialisti ospedalieri, che i medici di medicina generale (MMG). Questi ultimi hanno il compito di identificare i soggetti nella fase iniziale della malattia, per poter intervenire precocemente e selezionare i pazienti che necessitano di un trattamento presso strutture ospedaliere. Lo studio IMPROVEMENT condotto tra medici di medicina generale e speciali-
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sti, tuttavia, ha evidenziato uno scarso utilizzo dei farmaci cardine della terapia ed una scarsa aderenza alle Linee Guida Internazionali. Assume, quindi, un grande valore il ruolo dell’informazione sia per l’attuazione di una corretta prevenzione, sia per il riconoscimento precoce del problema così da poter garantire al paziente la migliore assistenza possibile. La telesorveglianza è un modello innovativo per la gestione a domicilio dei pazienti con scompenso cardiaco medio/grave. Si tratta di un nuovo approccio metodologico che mira a integrare l’attività ospedaliera con quella sul territorio.Tale esigenza nasce principalmente dalla necessità di tenere sotto controllo la spesa sanitaria, unitamente a quella di mantenere un servizio assistenziale efficiente e con alti standard qualitativi. Dopo la dimissione dal regime di ricovero, il paziente si trova spesso a "migrare" tra diverse strutture ospedaliere e del territorio, rischiando di ricevere a volte informazioni e terapie discordanti e di ripetere senza stretta necessità i medesimi esami strumentali. Tale sperimentazione mira alla riduzione dei ricoveri ospedalieri o della loro durata, del numero degli accessi in pronto soccorso per instabilizzazioni e delle prestazioni specialistiche ambulatoriali, con conseguente aumento della qualità della vita del paziente. L’attività della telesorveglianza si integra con quella del Medico di Medicina Generale (MMG) che diviene il responsabile del percorso diagnostico terapeutico del paziente. L’MMG valuta e dà il suo consenso per l’attuazione della telesorveglianza e nello stesso tempo si avvale di questo La gestione del paziente con insufficienza cardiaca richiede una strategia di continuità assistenziale, che coinvolga sia gli specialisti ospedalieri, che i medici di medicina generale (MMG).
Anno II - N. 1, 2010
La telesorveglianza è un modello innovativo per la gestione a domicilio dei pazienti con scompenso cardiaco medio/grave. Si tratta di un nuovo approccio metodologico che mira a integrare l’attività ospedaliera con quella sul territorio.
Dal punto di vista organizzativo questi modelli prevedono infatti la collaborazione di diversi attori: oltre al MMG, riveste un ruolo di primaria importanza il paziente (e la sua famiglia) che assume una funzione attiva nella gestione della malattia.
N° ospedalizzazioni per scompenso
servizio come supporto di consulenza per la gestione clinidi ospedalizzazione (-19%). Tale progetto risulta quindi non ca del malato. solo un metodo di assistenza all’avanguardia ma anche partiDal punto di vista organizzativo questi modelli prevedono colarmente efficace in termini degli outcomes attesi. infatti la collaborazione di diversi attori: oltre al MMG, riveste Il regolare contatto con il paziente da parte di una specifica un ruolo di primaria importanza il paziente (e la sua famiequipe medico-infermieristica crea un approccio interdisciglia) che assume una funzione attiva nella gestione della plinare, che permette di individuare prontamente i segni e i malattia; un’equipe medico infermieristica multidisciplinare sintomi di un eventuale peggioramento del paziente,di precomprendente cardiologi, infermieri con competenze spevenire riacutizzazioni dello scompenso e di modificare cialistiche, eventuali specialisti o altro personale non medicostantemente la terapia con il conseguente raggiungimenco (psicologi, nutrizionisti, fisioterapisti). to dei dosaggi target raccomandati dalle Linee Guida Sono previste due figure di riferimento per ogni unità di carInternazionali. Diversi studi pubblicati in letteratura hanno diologia coinvolta: 1) il responsabile clinico del servizio refedimostrato che l’associazione di ACE inibitori e/o sartani, βrente per l’MMG e per il centro servizi con funzione di coorbloccanti e antialdosteronici aumenta la sopravvivenza, e dinamento; 2) l’infermiere tutor responsabile dell’organizzache i costanti contatti con il paziente hanno permesso un zione dell’attività domiciliare e del monitoraggio telefonico, adeguamento progressivo dei loro dosaggi, fino al raggiunche diventa per i sei mesi di sperimentazione il principale gimento di quelli raccomandati dalle Linee Guida referente per i pazienti arruolati. Internazionali sullo scompenso cardiaco. Il centro servizi infine supplisce il ruolo dell’infermiere tutor e Mentre la quasi totalità dei pazienti assumeva fin dall’inizio del team specialistico ospedaliero durante le ore serali e notdel periodo di osservazione un diuretico, per quanto riguarda turne e nei giorni festivi. Offre inoltre il supporto tecnologico i beta bloccanti, si è passati da una percentuale di utilizzo inied organizzativo per la telesorveglianza, coordina e gestisce la documentazione clinica di Ospedalizzazioni per scompenso: numero e aumento % negli anni base e fornisce la strumentazione biomedicale. +13%; Punto di forza della sperimentazione è la con1999-2003 +2% tinuità di gestione dei pazienti che garantisce loro una efficace e corretta telesorveglianza +5% 200000 197818 ed un monitoraggio 24 h su 24. Ad oggi le strutture lombarde autorizzate al 195000 193294 +4% percorso sperimentale sono 28 ed i pazienti 190000 arruolabili raggiungono il numero di 1275. 183887 +1% 185000 Tutti i pazienti arruolati vengono seguiti per sei mesi con un contatto telefonico monoset180000 timanale, durante il quale il paziente invia per 175470 176425 175000 via telematica e in tempo reale un elettrocardiogramma, racconta i sintomi e riporta i para170000 metri vitali (PA, FC, Peso corporeo, quantità 165000 urine giornaliere). 160000 Il programma di monitoraggio ha permesso 1999 2000 2001 2002 2003 una costante attenzione alle condizioni cliniche Anni del paziente nonché ha consentito una riduzione della mortalità (-10%) e una bassa incidenza Figura 1
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Possiamo dire pertanto che è stato raggiunto l’obiettivo di migliorare la qualità complessiva 120% della vita del paziente, aumentandone l’autoPRIMA DOPO nomia e la conseguente fiducia in se stesso, promuovendo un percorso di auto-gestione 100% 100% 100% della malattia, con ottimi risultati in termini di 92% 92% recupero e di mantenimento dello stato di 80% 82% salute del paziente. Un fattore limitante la buona riuscita del progetto può essere deter69% 60% minato dalla tipologia del paziente col quale 60,5% ci si confronta. L’età, le possibili limitazioni sensoriali, cognitive e funzionali, i fattori emo40% 45% tivi, come ansia e insoddisfazione, e la mancanza del supporto familiare, possono rendere 20% più difficoltosa l’attuazione del programma. Il percorso di telesorveglianza diventa non 0% solo un mezzo per aumentare la sensibilizzaBB ACEI/ARBS DIUR AA zione del paziente verso le proprie problematiche, ma anche una via per far sì che il pazienFigura 2 te prenda in carico in prima persona la propria patologia con una collaborazione attiva. L’apparecchiatura di facile utilizzo e le poche regole da ziale pari a 60% ad un valore pari al 92%. C’è stato anche un seguire rendono la telesorveglianza accessibile a tutti e, visti incremento importante dell’utilizzo degli antialdosteronici; al i significativi risultati positivi, essa si presta a divenire in futumomento dell’arruolamento infatti, soltanto il 45% dei ro un metodo di sempre maggiore utilizzo nella cura del pazienti lo assumeva, mentre alla fine dei sei mesi l’82%. paziente con scompenso cardiaco. Risulta quindi auspicabiInoltre il 69% dei pazienti assumeva inizialmente un ACE inile una sempre maggiore diffusione di tale metodologia bitore o un sartano, mentre al termine del periodo di osservaverso un numero sempre maggiore di persone. A tale prozione tale farmaco veniva assunto da tutti i pazienti in esame. posito già dal 2004 attraverso il Progetto Telemaco inserito Altro dato rilevante, legato al contatto costante con il nel contesto della L.R 11/2004 “Misure di sostegno a favore paziente, è dato dalla rilevazione da parte degli operatori di dei piccoli comuni della Lombardia”, la Regione Lombardia un aumento della compliance del soggetto nei confronti ha garantito assistenza sanitaria a persone affette da patolodella terapia farmacologica durante i sei mesi. Grazie all’apgie croniche in molti piccoli comuni lombardi, consentendo plicazione di questo servizio di telesorveglianza, inoltre, la ai presidi ospedalieri più decentrati e ai medici di medicina maggior parte dei pazienti è diventata progressivamente generale operanti in aree montane, di disporre di un rapporpiù cosciente del proprio stato di salute. La sensazione sogto di consulenza costante con specialisti di centri di eccelgettiva di benessere ed i miglioramenti oggettivamente lenza sanitaria mediante l’utilizzo della telemedicina. riscontrati, hanno portato il paziente a dimostrarsi più motivato non solo a seguire i progressivi adattamenti terapeutiBIBLIOGRAFIA ci, ma anche a cercare di modificare il proprio stile di vita, 1. ACC/AHA 2005 Guidelines for the diagnosis and management of chronic andando a incidere sui fattori di rischio, uno fra tutti la dimiheart failure in the adult: a report of the American College of nuzione del peso corporei. Cardiology/American Heart Association Task Force on Practice Giudelines. Modificazione della terapia nei sei mesi di studio
L’apparecchiatura di facile utilizzo e le poche regole da seguire rendono la telesorveglianza accessibile a tutti e, visti i significativi risultati positivi, essa si presta a divenire in futuro un metodo di sempre maggiore utilizzo nella cura del paziente con scompenso cardiaco.
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Circulation 2005;112:e154-e235. 2. Task Force for the diagnosis and treatment of chronic heart failure of the European Society of cardiology. Guidelines for the diagnosis and treatment of Chronic Heart Failure. Eur Heart J 2005. 3. Hoes AW et al. An epidemic of heart failure? Recent evidence from Europe. Eur Heart J 1998; 19: L2-L9. 4. Willem Remme, John McMurray, Bernhard Rauch, Faiez Zannad, Karen Keukelaar, Alain Cohen Solal, Witold Ruzyllo, Jose Luis Lopez Sendon, for the SHAPE Study Group. Studio SHAPE Heart Failure Awareness and Perception in Europe Community Eur Heart J 2005.
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Un abito molto scomodo: la menopausa. Come cambiano i fattori di rischio cardiovascolari Dr.ssa Cristiana Vitale MD,PhD,IRCCS San Raffaele Pisana - Roma Le malattie cardiovascolari rappresentano una delle principali cause di mortalità e morbidità non solo negli individui di sesso maschile ma anche nelle donne in post-menopausa. Tuttavia, sebbene i dati epidemiologici ben dimostrino che dopo i 50 anni (età media in cui compare la menopausa),oltre il 50% delle morti nelle donne sia attribuibile ad una malattia cardio o cerebrovascolare, è, ancora oggi, opinione diffusa, anche nella classe medica, che la causa principale di morte nelle donne in post-menopausa sia rappresentata dai tumori (responsabili di meno del 20% delle morti). L’aumento dell’incidenza delle malattie cardio e cerebrovascolari nelle donne in postmenopausa può esser spiegato solo parzialmente dall’invecchiamento, visto che lo stato di carenza estrogenica ha un ruolo chiave nel favorire l’incremento del rischio cardiovascolare di per sé ed indipendentemente dall’età. La menopausa, o più correttamente la deficienza estrogenica, agisce, infatti, sia direttamente come fattore di rischio cardiovascolare, riducendo l'effetto benefico diretto che gli ormoni ovarici esercitano sulla funzione cardiovascolare, sia indirettamente, influenzando in senso proaterosclerotico tutti i fattori di rischio cardiovascolari. Infatti, la carenza estrogenica si associa ad un progressivo incremento del peso corporeo, ad una ridistribuzione del grasso a livello addominale, a modificazioni del metabolismo glucidico, quali comparsa di insulino-resistenza e diabete di tipo 2, a modificazioni in senso pro-aterosclerotico del metaboli-
smo lipidico, come riduzione del colesterolo HDL (HDL-c) ed aumento delle LDL piccole e dense e dei trigliceridi, ad aumento della pressione arteriosa, ad ipertono simpatico e a disfunzione endoteliale.
La menopausa, agisce infatti, sia direttamente come fattore di rischio cardiovascolare, riducendo l'effetto benefico diretto che gli ormoni ovarici esercitano sulla funzione cardiovascolare,sia indirettamente,influenzando in senso proaterosclerotico tutti i fattori di rischio cardiovascolari.
La presenza di obesità a livello intra-addominale determina un aumentato rilascio da parte del tessuto adiposo di acidi grassi non esterificati,che favorendo l’accumulo di tessuto adiposo a livello del muscolo e del fegato, aumenta la predisposizione alla comparsa di dislipidemia ed insulino-resistenza.
Menopausa e grasso corporeo La menopausa, o più correttamente la deficienza estrogenica, agisce, infatti, sia direttamente come fattore di rischio cardiovascolare, riducendo l'effetto benefico diretto che gli ormoni ovarici esercitano sulla funzione cardiovascolare, sia indirettamente, influenzando in senso pro-aterosclerotico tutti i fattori di rischio cardiovascolari. Infatti, increzione di Leptina, l’aumento relativo degli androgeni e le modificazioni della funzione tiroidea possano avere un ruolo chiave. Inoltre, la presenza di obesità a livello intra-addominale determina un aumentato rilascio da parte del tessuto adiposo di acidi grassi non esterificati, che favorendo l’accumulo di tessuto adiposo a livello del muscolo e del fegato, aumenta la predisposizione alla comparsa di dislipidemia ed insulino-resistenza. Menopausa e metabolismo glucidico La menopausa di per sé non sembra alterare la glicemia a digiuno. Tuttavia, l’incremento dell’insulino-resistenza e la riduzione dell' insulino-sensibilità, a cui conseguono le alterazioni del metabolismo glucidico, sembrano, almeno in parte,
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La comparsa di ipertensione arteriosa in post-menopausa, oltre che alla perdita degli effetti protettivi diretti degli estrogeni sul tono vascolare e sulla funzione endoteliale, è determinata anche dall’aumento del tono simpatico, dall’ipervolemia secondaria al maggior riassorbimento tubulare di sodio, dall’aumento dei livelli di endotelina-1 e dall’aumentato stress ossidativo.
secondarie alla carenza estrogenica. La presenza di insulinoresistenza ed obesità si associano ad un’aumentata incidenza di diabete di tipo 2, la cui comparsa conferisce alle donne, in qualsiasi età, un profilo di rischio cardiovascolare globale più sfavorevole rispetto agli uomini. Infatti, non solo l’incidenza di malattia cardiovascolare è significativamente maggiore nelle donne affette da diabete di tipo 2 rispetto agli uomini di pari età ma la presenza di diabete, anche prima dell’avvento della menopausa sembra annullare, o quanto meno limitare, gli effetti cardioprotettivi che gli estrogeni esercitano sul sistema cardiovascolare e sull’assetto metabolico. Inoltre, quando il diabete si associa all’ipertensione arteriosa il rischio di mortalità cardiovascolare nella donne è circa il doppio di quello dell’uomo (rischio relativo 4,57 nella donna e 2.32 nell’uomo). Menopausa e ipertensione arteriosa L’ipertensione arteriosa rappresenta uno dei fattori di rischio cardiovascolari di più frequente riscontro. L’aumento dei valori pressori nella donna gioca un ruolo chiave ed ha un peso più rilevante, rispetto agli uomini, nel provocare eventi cardiovascolari, in quanto, per ogni età e per livelli comparabili di pressione arteriosa, l’incidenza di tali eventi è significativamente più alta nelle donne rispetto agli uomini. I valori di pressione arteriosa, che nelle donne in età fertile sono generalmente più bassi di quelli dei maschi, in postmenopausa aumentano parallelamente all’aumentare dell’età, anche a causa della perdita dell’azione vasoattiva e calcio antagonista-simile esercitata dagli estrogeni. In particolare, con l’aumentare dell’età si riscontra un incremento progressivo dei valori della pressione arteriosa sistolica, mentre quelli diastolici tendono dapprima ad aumentare poi raggiungono un plateau e successivamente tendono a diminuire. Queste modificazioni della pressione con l’età sono alla base sia dell’incremento della pressione di polso, indice surrogato di rigidità arteriosa, sia dell’aumentata prevalenza di ipertensione sistolica isolata nelle donne in post-menopausa. Il ruolo centrale degli estrogeni nell’influenzare i valori di pressione arteriosa, è dimostrato non solo dal fatto che la menopausa chirurgica, indipendentemente dall’età, determina un progressivo incremento dei valori pressori ma anche dal fatto che, durante il ciclo mestruale, nelle donne in
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età fertile i valori di pressione arteriosa sono più bassi durante la fase luteale (fase di picco estrogenica) rispetto a quella follicolare. La comparsa di ipertensione arteriosa in post-menopausa, oltre che alla perdita degli effetti protettivi diretti degli estrogeni sul tono vascolare e sulla funzione endoteliale, è determinata anche dall’aumento del tono simpatico, dall’ipervolemia secondaria al maggior riassorbimento tubulare di sodio (le donne presentano una maggiore sodio-sensibilità rispetto agli uomini), dall’aumento dei livelli di endotelina-1 e dall’aumentato stress ossidativo. Inoltre, il deficit estrogenino causa di per sé un aumento dell' attività reninica plasmatica con attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone che si associa al deficit della attività anti-mineralocorticoide del progesterone. Menopausa e metabolismo lipidico La menopausa si associa ad una serie di modificazioni in senso aterogeno del metabolismo lipidico, quali aumento dei livelli sierici di trigliceridi e di apolipoproteina B, incremento dei livelli della lipoproteina(a), aumento delle LDL piccole e dense, a maggior aterogenicità, e riduzione dei livelli di HDLc. Nelle donne in menopausa è stato dimostrato che, a parità di livelli plasmatici di trigliceridi, il rischio di malattia coronarica è maggiore rispetto agli uomini, e che tale rischio aumenta ulteriormente quando si associa a bassi livelli di HDL-c. Quest’ultimi hanno un potere predittivo di eventi cardiovascolari più rilevante nelle donne rispetto agli uomini. Menopausa e Sindrome metabolica Le modificazioni cardiometaboliche sfavorevoli che si associano alla menopausa rendono ragione della maggiore prevalenza della sindrome metabolica nel periodo post-menopausale. Inoltre, anche le modificazioni dello stile di vita, spesso associate a modificazioni dello stato di umore in senso depressivo, hanno un ruolo nell’aumentare la prevalenza di tale sindrome. La corretta informazione da parte del medico di medicina generale sui cambiamenti in cui la donna in post-menopausa può incorrere e la definizione di strategie mirate per la loro prevenzione rappresentano un’arma insostituibile alla lotta contro le malattie cardiovascolari, in cui il ruolo del medico di medicina generale è determinante. La menopausa si associa ad una serie di modificazioni in senso aterogeno del metabolismo lipidico, quali aumento dei livelli sierici di trigliceridi e di apolipoproteina B,incremento dei livelli della lipoproteina(a), aumento delle LDL piccole e dense, a maggior aterogenicità,e riduzione dei livelli di HDL-c.
1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE. Micardis 80 mg compresse. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA. Ogni compressa contiene telmisartan 80 mg. Eccipienti: Ogni compressa contiene 338 mg di sorbitolo (E420). Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA. Compresse. Compresse bianche, oblunghe con il codice 52H impresso su un lato ed il logo dell'azienda impresso sull'altro. 4. INFORMAZIONI CLINICHE. 4.1 Indicazioni terapeutiche. Ipertensione. Trattamento dell’ipertensione essenziale negli adulti. Prevenzione cardiovascolare. Riduzione della morbilità cardiovascolare in pazienti con: i) malattia cardiovascolare aterotrombotica manifesta (storia di coronaropatia, ictus o malattia arteriosa periferica) o ii) diabete mellito di tipo 2 con danno documentato degli organi bersaglio. 4.2 Posologia e modo di somministrazione. Trattamento dell’ipertensione essenziale: La dose generalmente efficace è di 40 mg una volta al giorno. Alcuni pazienti possono trarre già beneficio dalla dose di 20 mg una volta al giorno. Nei casi in cui non viene raggiunto il controllo pressorio, la dose di telmisartan può essere aumentata fino ad un massimo di 80 mg una volta al giorno. In alternativa, il telmisartan può essere impiegato in associazione con diuretici tiazidici, come l'idroclorotiazide, con il quale è stato dimostrato un effetto additivo in termini di riduzione della pressione, con l'associazione a telmisartan. Qualora si prenda in considerazione un aumento di dosaggio, si deve tenere presente che il massimo effetto antipertensivo si ottiene generalmente da quattro a otto settimane dopo l'inizio del trattamento (vedere paragrafo 5.1). Prevenzione cardiovascolare: La dose raccomandata è di 80 mg una volta al giorno. Non è noto se dosi di telmisartan inferiori a 80 mg siano efficaci nel ridurre la morbilità cardiovascolare. Quando si inizia la terapia con telmisartan per la riduzione della morbilità cardiovascolare, si raccomanda un attento monitoraggio della pressione arteriosa e se appropriato può essere necessario un aggiustamento della dose dei medicinali che riducono la pressione arteriosa.Telmisartan può essere assunto con o senza cibo. Popolazioni di pazienti speciali. Insufficienza renale: Per i pazienti con insufficienza renale lieve o moderata non è necessario modificare la posologia. L’esperienza in pazienti con grave insufficienza renale o in emodialisi è limitata. In questi pazienti è raccomandata una dose iniziale più bassa pari a 20 mg (vedere paragrafo 4.4). Insufficienza epatica: Nei pazienti con insufficienza epatica lieve o moderata la dose non deve essere maggiore di 40 mg una volta al giorno (vedere paragrafo 4.4). Anziani. Non è necessario modificare la dose nei pazienti anziani. Pazienti pediatrici. L’uso di Micardis non è raccomandato nei bambini al di sotto di 18 anni a causa della mancanza di dati sulla sicurezza e sull’efficacia. 4.3 Controindicazioni. • Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti (vedere paragrafo 6.1). • Secondo e terzo trimestre di gravidanza (vedere paragrafi 4.4 e 4.6). • Ostruzioni alle vie biliari. • Insufficienza epatica grave. 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni di impiego. Gravidanza: La terapia con antagonisti del recettore dell’angiotensina II (AIIRA) non deve essere iniziata durante la gravidanza. Per le pazienti che stanno pianificando una gravidanza si deve ricorrere ad un trattamento antipertensivo alternativo, con comprovato profilo di sicurezza per l’uso in gravidanza, a meno che non sia considerato essenziale il proseguimento della terapia con un AIIRA. Quando viene diagnosticata una gravidanza, il trattamento con AIIRA deve essere interrotto immediatamente e, se appropriato, deve essere iniziata una terapia alternativa (vedere paragrafi 4.3 e 4.6). Insufficienza epatica: Micardis non deve essere somministrato a pazienti con colestasi, ostruzioni alle vie biliari o grave insufficienza epatica (vedere paragrafo 4.3) in quanto telmisartan è principalmente eliminato nella bile. Per questi pazienti è prevedibile una clearance epatica ridotta per telmisartan. Micardis deve essere utilizzato solamente con cautela in pazienti con insufficienza epatica da lieve a moderata. Ipertensione renovascolare: Nei pazienti con stenosi bilaterale dell'arteria renale o stenosi dell'arteria renale afferente al singolo rene funzionante, trattati con un medicinale che influenza il sistema renina-angiotensina-aldosterone, c'è un aumentato rischio di ipotensione grave ed insufficienza renale. Insufficienza renale e trapianto renale: Quando Micardis è somministrato a pazienti con disfunzioni renali, si raccomanda il controllo periodico dei livelli sierici di potassio e di creatinina. Non ci sono dati riguardo la somministrazione di Micardis in pazienti sottoposti di recente a trapianto renale. Ipovolemia intravascolare: Nei pazienti con deplezione di sodio e/o ipovolemia causata da dosi elevate di diuretici, diete con restrizione di sale, diarrea o vomito, si potrebbe verificare ipotensione sintomatica, specialmente dopo la prima dose di Micardis. Tali condizioni vanno corrette prima di iniziare il trattamento con Micardis. Deplezione di sodio e/o ipovolemia devono essere corrette prima di iniziare il trattamento con Micardis. Duplice blocco del sistema renina-angiotensina-aldosterone: Come conseguenza dell’inibizione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, sono state riportate ipotensione, sincope, iperkaliemia e alterazioni della funzionalità renale (inclusa insufficienza renale acuta) in individui sensibili, soprattutto in caso di associazione di prodotti medicinali che influenzano questo sistema. Il duplice blocco del sistema renina-angiotensina-aldosterone (ad es. per aggiunta di un ACE inibitore ad un antagonista del recettore dell’angiotensina II) non è pertanto raccomandato in pazienti con pressione arteriosa già controllata e deve essere limitata a casi individualmente definiti con uno stretto monitoraggio della funzionalità renale. Altre condizioni con stimolazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone: Nei pazienti il cui tono vascolare e la funzione renale dipendono principalmente dall'attività del sistema renina-angiotensina-aldosterone (es. pazienti con grave insufficienza cardiaca congestizia o affetti da malattie renali, inclusa la stenosi dell'arteria renale), il trattamento con medicinali che influenzano questo sistema, come telmisartan, è stato associato ad ipotensione acuta, iperazotemia, oliguria o, raramente, insufficienza renale acuta (vedere paragrafo 4.8). Aldosteronismo primario: I pazienti con aldosteronismo primario generalmente non rispondono a medicinali antipertensivi che agiscono tramite l'inibizione del sistema renina-angiotensina. Quindi, si sconsiglia l'utilizzo di telmisartan. Stenosi della valvola aortica e mitrale, cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva: Come per altri vasodilatatori, si consiglia particolare cautela nei pazienti affetti da stenosi della valvola aortica o mitrale o cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva. Iperkaliemia: L’uso di medicinali che influenzano il sistema renina-angiotensina-aldosterone può causare iperkaliemia. Nei pazienti anziani, nei pazienti con insufficienza renale, nei pazienti diabetici, nei pazienti contestualmente trattati con altri medicinali che possono aumentare i livelli di potassio e/o nei pazienti con eventi intercorrenti, l’iperpotassemia può essere fatale. Prima di considerare l’uso concomitante di medicinali che influiscono sul sistema renina-angiotensina-aldosterone deve essere valutato il rapporto tra il rischio e il beneficio. I principali fattori di rischio che devono essere presi in considerazione per l’iperkaliemia sono: • Diabete mellito, compromissione renale, età (>70 anni). • Associazione con uno o più medicinali che influiscano sul sistema renina-angiotensina-aldosterone e/o integratori di potassio. Medicinali o classi terapeutiche di medicinali che possono provocare iperkaliemia sono: sostitutivi salini contenenti potassio, diuretici risparmiatori di potassio, ACE inibitori, antagonisti del recettore dell’angiotensina II, medicinali antinfiammatori non
steroidei (FANS, inclusi gli inibitori COX-2 selettivi), eparina, immunosopressivi (ciclosporina o tacrolimus) e trimetoprim. • Eventi intercorrenti, in particolare disidratazione, scompenso cardiaco acuto, acidosi metabolica, peggioramento della funzionalità renale, improvviso peggioramento delle condizioni renali (come infezioni), lisi cellulare (come ischemia acuta dell’arto, rabdomiolisi, trauma esteso). Nei pazienti a rischio si raccomanda uno stretto controllo del potassio sierico (vedere paragrafo 4.5). Sorbitolo: Questo medicinale contiene sorbitolo (E420). I pazienti con rari problemi di intolleranza ereditaria al fruttosio non devono assumere Micardis. Differenze etniche: Come osservato per gli inibitori dell'enzima di conversione dell’angiotensina, telmisartan e altri antagonisti del recettore dell'angiotensina II sono apparentemente meno efficaci nel ridurre la pressione arteriosa nei pazienti di colore rispetto agli altri pazienti, forse a causa della maggior prevalenza di stati caratterizzati da un basso livello di renina nella popolazione di colore affetta da ipertensione. Altro: Come con qualsiasi agente antipertensivo, un'eccessiva diminuzione della pressione in pazienti con cardiopatia ischemica o patologia cardiovascolare ischemica potrebbe causare infarto del miocardio o ictus. 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme d’interazione. Sono stati effettuati studi di interazione solo negli adulti. Come altri medicinali che agiscono sul sistema renina-angiotensina-aldosterone, telmisartan può indurre iperkaliemia (vedere paragrafo 4.4). Il rischio può aumentare in caso di associazione ad altri medicinali che pure possono indurre iperkaliemia, sostitutivi salini contenenti potassio, diuretici risparmiatori di potassio,ACE inibitori, antagonisti del recettore dell’angiotensina II, medicinali antinfiammatori non steroidei (FANS, inclusi gli inibitori COX-2 selettivi), eparina, immunosopressivi (ciclosporina o tacrolimus) e trimetoprim. L’insorgenza della iperkaliemia dipende dall’associazione dei fattori di rischio. Il rischio aumenta nel caso di associazione dei trattamenti sopra elencati. Il rischio è particolarmente elevato nel caso di combinazione con diuretici risparmiatori di potassio e quando combinato con sostitutivi salini contenenti potassio. L’associazione, ad esempio, con ACE inibitori o FANS presenta un minor rischio purché si osservino strettamente le precauzioni per l’uso. Uso concomitante non raccomandato. Diuretici risparmiatori di potassio o integratori di potassio: Gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II come telmisartan, attenuano la perdita di potassio indotta dal diuretico. I diuretici risparmiatori di potassio quali spironolattone, eplerenone, triamterene o amiloride, integratori di potassio o sostitutivi salini contenenti potassio possono portare ad un significativo aumento del potassio sierico. Se l’uso concomitante è indicato a causa di documentata ipokaliemia, devono essere somministrati con cautela ed i livelli di potassio sierico devono essere monitorati frequentemente. Litio: Aumenti reversibili delle concentrazioni di litio nel siero e tossicità sono stati riportati durante la somministrazione concomitante di litio con gli inibitori dell’enzima che converte l’angiotensina e con gli antagonisti del recettore dell’angiotensina II, incluso telmisartan. Se l’uso dell’associazione si dimostrasse necessaria, si raccomanda un attento monitoraggio dei livelli sierici del litio. Uso concomitante che richiede cautela. Medicinali antinfiammatori non steroidei: I FANS (cioè l’acido acetilsalicilico a dosaggio antinfiammatorio, inibitori dei COX-2 e FANS non selettivi) possono ridurre l’effetto antipertensivo degli antagonisti del recettore dell’angiotensina II. In alcuni pazienti con funzionalità renale compromessa (ad es. come pazienti disidratati o pazienti anziani con funzionalità renale compromessa) la co-somministrazione di antagonisti del recettore dell’angiotensina II e di agenti che inibiscono la ciclo-ossigenasi può indurre un ulteriore deterioramento della funzionalità renale, inclusa insufficienza renale acuta che è solitamente reversibile. Pertanto la co-somministrazione deve essere effettuata con cautela, soprattutto agli anziani. I pazienti devono essere adeguatamente idratati e deve essere considerato il monitoraggio della funzionalità renale dopo l’inizio della terapia concomitante e quindi periodicamente. In uno studio la co-somministrazione di telmisartan e ramipril ha determinato un aumento fino a 2,5 volte dell’AUC0-24 e della Cmax di ramipril e ramiprilato. La rilevanza clinica di questa osservazione non è nota. Diuretici (tiazide o diuretici dell’ansa): Un precedente trattamento con elevati dosaggi di diuretici quali furosemide (diuretico dell’ansa) e idroclorotiazide (diuretico tiazidico) può portare ad una deplezione dei liquidi ed a un rischio di ipotensione quando si inizi la terapia con telmisartan. Da prendere in considerazione in casi di uso concomitante. Altri agenti antipertensivi: L’effetto ipotensivo di telmisartan può essere incrementato dall’uso concomitante di altri medicinali antipertensivi. Sulla base delle loro caratteristiche farmacologiche ci si può aspettare che i seguenti medicinali possano potenziare gli effetti ipotensivi di tutti gli antipertensivi incluso telmisartan: baclofenac, amifostina. Inoltre l’ipotensione ortostatica può essere aggravata da alcol, barbiturici, narcotici o antidepressivi. Corticosteroidi (per via sistemica): Riduzione dell’effetto antipertensivo. 4.6 Gravidanza e allattamento. Gravidanza: L’uso degli antagonisti del recettore dell’angiotensina II (AIIRA) non è raccomandato durante il primo trimestre di gravidanza (vedere paragrafo 4.4). L’uso degli AIIRA è controindicato durante il secondo ed il terzo trimestre di gravidanza (vedere paragrafi 4.3 e 4.4). Non vi sono dati sufficienti sull’uso di Micardis in donne in gravidanza. Gli studi condotti sugli animali hanno evidenziato una tossicità riproduttiva (vedere paragrafo 5.3). L’evidenza epidemiologica sul rischio di teratogenicità a seguito dell’esposizione ad ACE inibitori durante il primo trimestre di gravidanza non ha dato risultati conclusivi; tuttavia non può essere escluso un lieve aumento del rischio. Sebbene non siano disponibili dati epidemiologici controllati sul rischio con antagonisti del recettore dell’angiotensina II (AIIRA), un simile rischio può esistere anche per questa classe di medicinali. Per le pazienti che stanno pianificando una gravidanza si deve ricorrere ad un trattamento antipertensivo alternativo, con comprovato profilo di sicurezza per l’uso in gravidanza, a meno che non sia considerato essenziale il proseguimento della terapia con un AIIRA. Quando viene diagnosticata una gravidanza, il trattamento con AIIRA deve essere immediatamente interrotto e, se appropriato, si deve iniziare una terapia alternativa. È noto che nella donna l’esposizione ad AIIRA durante il secondo ed il terzo trimestre induce tossicità fetale (ridotta funzionalità renale, oligoidramnios, ritardo nell’ossificazione del cranio) e tossicità neonatale (insufficienza renale, ipotensione, iperkaliemia). (Vedere paragrafo 5.3). Se dovesse verificarsi un’esposizione ad un AIIRA dal secondo trimestre di gravidanza, si raccomanda un controllo ecografico della funzionalità renale e del cranio. I neonati le cui madri abbiano assunto AIIRA devono essere attentamente seguiti per quanto riguarda l’ipotensione (vedere paragrafi 4.3 e 4.4). Allattamento: Poiché non sono disponibili dati riguardanti l’uso di Micardis durante l'allattamento, Micardis non è raccomandato e sono da preferire trattamenti alternativi con comprovato profilo di sicurezza per l’uso durante l’allattamento, specialmente in caso di allattamento di neonati o prematuri. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. Non sono stati effettuati studi sulla capacità di guidare veicoli e di usare macchinari. Comunque, quando si guidano veicoli o si utilizzano macchinari, deve essere tenuto in considerazione che con la terapia antipertensiva potrebbero occasionalmente verificarsi sonnolenza e vertigini. 4.8 Effetti indesiderati. L'incidenza complessiva degli eventi avversi riportati con telmisartan (41,4 %) è stata solitamente confrontabile a quella riportata con il placebo (43,9 %) nel corso di studi clinici controllati, in pazienti trattati per l’ipertensione. L’incidenza degli eventi avversi non era dose correlata e non era correlata al sesso, all'età o alla razza dei pazienti. Il profilo di sicurezza di telmisartan nei pazienti trattati per la riduzione della morbilità cardiovascolare era in linea con quello nei pazienti trattati per l’ipertensione. Le seguenti reazioni avverse al medicinale sono state raccolte dagli studi clinici controllati, effettuati in pazienti trattati per l’ipertensione e da segnalazioni successive alla commercializzazione. L’elenco comprende anche eventi avversi gravi ed eventi avversi che hanno determinato la sospensione del trattamento riportati in tre studi clinici a lungo termine che includevano 21.642 pazienti trattati fino a sei anni con telmisartan per la riduzione della morbilità cardiovascolare. Le reazioni avverse sono state classificate per frequenza ricorrendo alla seguente convenzione: molto comune (≥1/10); comune (≥1/100, <1/10); non comune (≥1/1.000, <1/100); raro (≥1/10.000, <1/1.000); molto raro (<1/10.000), non nota (la frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili).All’interno di ogni raggruppamento di frequenza, le reazioni avverse sono elencate in ordine decrescente di gravità. Infezioni e infestazioni. Non comune: Infezioni del tratto respiratorio superiore incluse faringite e sinusite, infezione del tratto urinario inclusa cistite. Non noto: Sepsi anche con esito fatale1.
Patologie del sistema emolinfopoietico. Non comune: Anemia. Raro: Trombocitopenia. Non noto: Eosinofilia. Disturbi del sistema immunitario. Raro: Ipersensibilità. Non noto: Reazione anafilattica. Disturbi del metabolismo e della nutrizione. Non comune: Iperkaliemia. Disturbi psichiatrici. Non comune: Depressione, insonnia. Raro: Ansia. Patologie del sistema nervoso. Non comune: Sincope. Patologie dell'occhio. Raro: Disturbi della vista. Patologie dell'orecchio e del labirinto. Non comune: Vertigini. Patologie cardiache. Non comune: Bradicardia. Raro: Tachicardia. Patologie vascolari. Non comune: Ipotensione2, ipotensione ortostatica. Patologie respiratorie, toraciche e mediastiniche. Non comune: Dispnea. Patologie gastrointestinali. Non comune: Dolore addominale, diarrea, dispepsia, flatulenza, vomito. Raro: Disturbo gastrico, secchezza delle fauci. Patologie epatobiliari. Raro: Funzionalità epatica alterata/disturbo epatico. Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo. Non comune: Iperidrosi, prurito, rash. Raro: Eritema, angieoedema, eruzione da farmaco, eruzione cutanea tossica, eczema. Non noto: Orticaria. Patologie del sistema muscoloscheletrico e del tessuto connettivo. Non comune: Mialgia dolore alla schiena (ad es. sciatica), spasmi muscolari. Raro: Artralgia, dolori alle estremità. Non noto: Dolori ai tendini (sintomi simili alla tendinite). Patologie renali e urinarie. Non comune: Compromissione renale inclusa insufficienza renale acuta. Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione. Non comune: Dolore toracico, astenia (debolezza). Raro: Malattia simil-influenzale. Esami diagnostici. Non comune: Aumento della creatinina nel sangue. Raro: Aumento di acido urico nel sangue, enzimi epatici aumentati, creatina fosfochinasi aumentata nel sangue, calo dell’emoglobina. 1 Nello studio PRoFESS è stata osservata un’aumentata incidenza di sepsi con telmisartan rispetto a placebo. L’evento può essere un risultato casuale o può essere correlato ad un meccanismo attualmente non noto (vedere paragrafo 5.1). 2 Riportato come comune nei pazienti con pressione arteriosa controllata che sono stati trattati con telmisartan per la riduzione della morbilità cardiovascolare in aggiunta alla terapia standard. 4.9 Sovradosaggio. Le informazioni disponibili riguardo al sovradosaggio nell’uomo sono limitate. Sintomi: Le manifestazioni più rilevanti legate al sovradosaggio di telmisartan sono state ipotensione e tachicardia; sono stati riportati anche bradicardia, capogiro, aumento della creatinina sierica e insufficienza renale acuta. Trattamento: Telmisartan non viene rimosso dall’emodialisi. Il paziente deve essere strettamente controllato e il trattamento deve essere sintomatico e di supporto. Il trattamento dipende dal tempo trascorso dall’ingestione e dalla gravità dei sintomi. Le misure suggerite includono induzione di emesi e/o lavanda gastrica. Il carbone attivo può essere utile nel trattamento del sovradosaggio. I livelli degli elettroliti sierici e della creatinina dovrebbero essere controllati frequentemente. Nel caso di ipotensione, il paziente dovrebbe essere posto in posizione supina e sali e fluidi dovrebbero essere reintegrati rapidamente. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE. 5.1 Proprietà farmacodinamiche. Categoria farmacoterapeutica: antagonisti dell’angiotensina II, non associati, codice ATC C09CA07. Meccanismo d’azione: Telmisartan è un antagonista recettoriale dell’angiotensina II (tipo AT1) specifico ed efficace per via orale. Telmisartan spiazza con un’elevata affinità l’angiotensina II dal suo sito di legame con il recettore di sottotipo AT1, responsabile dei ben noti effetti dell’angiotensina II. Telmisartan non mostra alcuna attività agonista parziale per il recettore AT1. Telmisartan si lega selettivamente con il recettore AT1. Tale legame è di lunga durata. Telmisartan non mostra una rilevante affinità per altri recettori, compresi l'AT2 e altri recettori AT meno caratterizzati. Non sono noti il ruolo funzionale di questi recettori né l'effetto della loro possibile sovrastimolazione da parte dell'angiotensina II, i cui livelli sono aumentati dal telmisartan. Telmisartan determina una diminuzione nei livelli plasmatici di aldosterone. Telmisartan non inibisce la renina plasmatica umana né blocca i canali ionici. Telmisartan non inibisce l’enzima di conversione dell’angiotensina (chininasi II), enzima che degrada anche la bradichinina. Quindi non è atteso un potenziamento degli eventi avversi mediati dalla bradichinina. Nell’uomo, una dose di 80 mg di telmisartan determina un’inibizione quasi completa dell’aumento pressorio indotto dall’angiotensina II. L'effetto inibitorio si protrae per 24 ore ed è ancora misurabile fino a 48 ore. Efficacia clinica e sicurezza. Trattamento dell’ipertensione essenziale. L’attività antipertensiva inizia a manifestarsi entro 3 ore dalla somministrazione della prima dose di telmisartan. La massima riduzione dei valori pressori si ottiene generalmente da 4 ad 8 settimane dopo l’inizio del trattamento e viene mantenuta nel corso della terapia a lungo termine. L'effetto antipertensivo si protrae costantemente per 24 ore dopo la somministrazione e include le ultime 4 ore prima della successiva somministrazione, come dimostrato dalle misurazioni continue nelle 24 ore della pressione arteriosa. Ciò è confermato dal fatto che il rapporto tra le concentrazioni minime e massime di telmisartan negli studi clinici controllati verso placebo rimane costantemente superiore all'80% dopo una dose di 40 mg e 80 mg. C'è un apparente trend per una relazione tra la dose e il tempo di ritorno ai valori basali della pressione arteriosa sistolica (PAS). Da questo punto di vista, i dati che riguardano la pressione arteriosa diastolica (PAD) non sono invece consistenti. Nei pazienti ipertesi il telmisartan riduce la pressione sia sistolica che diastolica senza influire sulla frequenza cardiaca. Non è ancora stato definito il contributo dell’effetto diuretico e natriuretico del medicinale alla sua efficacia ipotensiva. L'efficacia antipertensiva di telmisartan è paragonabile a quella di medicinali rappresentativi di altre classi di antipertensivi (dimostrata negli studi clinici che hanno confrontato telmisartan con amlodipina, atenololo, enalapril, idroclorotiazide e lisinopril). Dopo una brusca interruzione del trattamento con telmisartan, la pressione arteriosa ritorna gradualmente ai valori preesistenti durante un periodo di diversi giorni, senza comportare un effetto rebound. Negli studi clinici che confrontavano direttamente i due trattamenti antipertensivi, l’incidenza di tosse secca è risultata significativamente inferiore nei pazienti trattati con telmisartan che in quelli trattati con gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina. Prevenzione cardiovascolare. ONTARGET (ONgoing Telmisartan Alone and in Combination with Ramipril Global Endpoint Trial) ha confrontato gli effetti di telmisartan, ramipril e della combinazione di telmisartan e ramipril sugli esiti cardiovascolari in 25.620 pazienti di almeno 55 anni di età con una storia di coronaropatia, ictus, TIA, malattia arteriosa periferica o diabete mellito di tipo 2 associato ad evidenza di danno degli organi bersaglio (ad es. retinopatia, ipertrofia ventricolare sinistra, macro- o microalbuminuria) che rappresentano una popolazione a rischio di eventi cardiovascolari. I pazienti sono stati randomizzati ad uno dei tre seguenti gruppi di trattamento: telmisartan 80 mg (n = 8.542), ramipril 10 mg (n = 8.576) o la combinazione di telmisartan 80 mg più ramipril 10 mg (n = 8.502) e seguiti per un periodo medio di osservazione di 4,5 anni.Telmisartan ha mostrato un’efficacia simile a ramipril nel ridurre l’endpoint primario composito di morte cardiovascolare, infarto miocardico non-fatale, ictus non-fatale o ospedalizzazione per insufficienza cardiaca congestizia. L’incidenza dell’endpoint primario è risultata simile nei bracci di trattamento con telmisartan (16,7 %) e ramipril (16,5 %). L’hazard ratio per telmisartan verso ramipril è stato pari a 1,01 (97,5 % CI 0,93 – 1,10, p (noninferiorità) = 0,0019 con un margine di 1,13). L’incidenza della mortalità per tutte le cause è stata rispettivamente dell’11,6% e dell’11,8% nei pazienti trattati con telmisartan e ramipril.Telmisartan è risultato essere efficace quanto ramipril negli endpoint secondari pre-specificati di morte cardiovascolare, infarto miocardico non-fatale e ictus nonfatale [0,99 (97,5 % CI 0,90 – 1,08, p (non-inferiorità) = 0,0004)], endpoint primario nello studio di riferimento HOPE (The Heart Outcomes Prevention Evaluation Study) che aveva valutato l’effetto di ramipril verso placebo.TRANSCEND ha randomizzato i pazienti intolleranti agli ACE-inibitori, con criteri di inclusione simili a quelli di ONTARGET, a ricevere telmisartan 80 mg (n=2.954) o placebo (n=2.972), entrambi somministrati in aggiunta alla terapia standard. La durata media del periodo di follow up è stata di 4 anni e 8 mesi. Non è stata riscontrata una differenza statisticamente significativa nell’incidenza dell’endpoint primario composito (morte cardiovascolare, infarto miocardico non-fatale, ictus non-fatale o ospedalizzazione per insufficienza cardiaca congestizia) (15,7% nel gruppo trattato con telmisartan e 17,0% nel gruppo trattato con placebo). É stato evidenziato il vantaggio di telmisartan rispetto al placebo nell’endpoint secondario pre-specificato di morte cardiovascolare, infarto miocardico non-fatale e ictus non-fatale [0,87 (95 % CI 0,76 – 1,00, p = 0,048)]. Non c’è stata evidenza di beneficio sulla mortalità cardiovascolare (hazard ratio 1,03,
95 % CI 0,85 – 1,24). Tosse e angioedema sono stati riportati meno frequentemente nei pazienti trattati con telmisartan che nei pazienti trattati con ramipril, mentre l’ipotensione è stata riportata più frequentemente con telmisartan. L’associazione di telmisartan e ramipril non ha aggiunto alcun beneficio rispetto a ramipril o telmisartan in monoterapia. La mortalità cardiovascolare e la mortalità per tutte le cause sono state numericamente superiori con l’associazione. Inoltre, si è manifestata un’incidenza significativamente superiore di iperkaliemia, insufficienza renale, ipotensione e sincope nel braccio trattato con l’associazione. Pertanto l’uso di una associazione di telmisartan e ramipril non è raccomandato in questa popolazione di pazienti. Nello studio “Prevention Regimen For Effectively avoiding Second Strokes” (PRoFESS) nei pazienti di almeno 50 anni che avevano recentemente avuto un ictus è stata osservata un’aumentata incidenza di sepsi con telmisartan rispetto a placebo, 0,70 % verso 0,49 % [RR 1,43 (95 % intervallo di confidenza 1,00 – 2,06)]; l’incidenza dei casi fatali di sepsi era aumentata per i pazienti in trattamento con telmisartan (0,33 %) rispetto ai pazienti in trattamento con placebo (0,16 %) [RR 2,07 (95 % intervallo di confidenza 1,14 – 3,76)]. L’aumentata incidenza di sepsi osservata in associazione all’uso di telmisartan può essere un risultato casuale o correlato ad un meccanismo attualmente non noto. 5.2 Proprietà farmacocinetiche. Assorbimento: L’assorbimento di telmisartan è rapido, sebbene la frazione assorbita sia variabile. La biodisponibilità assoluta del telmisartan è mediamente del 50% circa. Quando telmisartan viene assunto con il cibo, la riduzione dell’area sotto la curva delle concentrazioni plasmatiche/tempo (AUC0-∞) di telmisartan varia tra il 6% (dose di 40 mg) e il 19% circa (dose di 160 mg). Dopo 3 ore dalla somministrazione le concentrazioni plasmatiche risultano simili sia che il telmisartan venga assunto a digiuno che con un pasto. Linearità/non-linearità: Non si ritiene che la lieve riduzione nell’AUC causi una riduzione dell’efficacia terapeutica. Non c'è una relazione lineare tra dosi e livelli plasmatici. La Cmax e, in misura minore, l'AUC aumentano in modo non proporzionale a dosi superiori a 40 mg. Distribuzione: Il telmisartan è fortemente legato alle proteine plasmatiche (>99,5%), in particolare all’albumina e alla glicoproteina acida alfa-1. Il volume medio di distribuzione allo stato stazionario (Vdss) è di circa 500 litri. Metabolismo: Il telmisartan è metabolizzato mediante coniugazione al glucuronide della sostanza originaria. Non è stata dimostrata un'attività farmacologica per il coniugato. Eliminazione: Telmisartan mostra una cinetica di decadimento biesponenziale con un’emivita terminale di eliminazione superiore alle 20 ore. La concentrazione plasmatica massima (Cmax) e, in misura minore, l’area sotto la curva delle concentrazioni plasmatiche/tempo (AUC0-∞), aumentano in misura non proporzionale alla dose. Quando il telmisartan viene assunto alle dosi consigliate non si evidenzia un accumulo rilevante dal punto di vista clinico. Le concentrazioni plasmatiche sono superiori nella donna rispetto all’uomo, ma ciò non influisce in modo rilevante sull’efficacia. In seguito alla somministrazione orale (ed endovenosa), il telmisartan viene escreto quasi esclusivamente con le feci, soprattutto in forma immodificata. L’escrezione urinaria cumulativa è <1% della dose. La clearance plasmatica totale (Cltot) è elevata (ca. 1000 ml/min) se confrontata al flusso plasmatico epatico (ca. 1500 ml/min). Popolazioni speciali. Effetti legati al genere: Sono state osservate differenze di concentrazioni plasmatiche tra i sessi, nelle donne Cmax e AUC erano rispettivamente 3 e 2 volte superiori rispetto agli uomini. Pazienti anziani: La farmacocinetica del telmisartan non differisce tra i pazienti anziani e i soggetti con meno di 65 anni. Pazienti con disfunzioni renali: Nei pazienti con disfunzioni renali da lievi a moderate e gravi è stato osservato un raddoppio delle concentrazioni plasmatiche. Tuttavia, nei pazienti con insufficienza renale in dialisi sono state osservate concentrazioni plasmatiche inferiori. Nei pazienti affetti da insufficienza renale il telmisartan è fortemente legato alle proteine plasmatiche e non può essere eliminato con la dialisi. Nei pazienti con disfunzioni renali l'emivita di eliminazione non varia. Pazienti con disfunzioni epatiche: Negli studi di farmacocinetica in pazienti con insufficienza epatica è stato osservato un aumento nella biodisponibilità assoluta fino a quasi il 100%. Nei pazienti con disfunzioni epatiche l'emivita di eliminazione non varia. 5.3 Dati preclinici di sicurezza. Negli studi preclinici di tollerabilità e sicurezza, dosi tali da determinare un’esposizione confrontabile a quella del range di dosi da impiegarsi nella terapia clinica hanno causato una riduzione dei parametri eritrocitari (eritrociti, emoglobina, ematocrito), alterazioni nell’emodinamica renale (aumento di azotemia e creatininemia) come anche un aumento nella potassiemia in animali normotesi. Nel cane sono state osservate dilatazione ed atrofia dei tubuli renali. Nel ratto e nel cane sono state osservate inoltre lesioni della mucosa gastrica (erosioni, ulcere o infiammazioni). Questi effetti indesiderati farmacologicamente mediati, come evidenziato dagli studi preclinici sia con inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina che con antagonisti del recettore dell'angiotensina II, si possono prevenire somministrando supplementi salini orali. In entrambe le specie sono stati osservati aumento dell’attività della renina plasmatica e ipertrofia/iperplasia delle cellule iuxtaglomerulari renali. Tali alterazioni, anch’esse un effetto di tutta la classe degli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina e di altri antagonisti del recettore dell'angiotensina II, non sembrano avere significato clinico. Non vi è alcuna evidenza di un effetto teratogeno, ma studi preclinici hanno mostrato alcuni rischi potenziali di telmisartan nello sviluppo postnatale della prole quali minore peso corporeo, apertura ritardata degli occhi e mortalità più elevata. Non vi è stata alcuna evidenza di mutagenesi, né di attività clastogena rilevante negli studi in vitro né di cancerogenicità nel ratto e nel topo. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE. 6.1 Elenco degli eccipienti. Povidone (K25) - Meglumina - Sodio idrossido - Sorbitolo (E420) - Magnesio stearato. 6.2 Incompatibilità. Non pertinente. 6.3 Periodo di validità. 4 anni. 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione. Questo medicinale non richiede alcuna condizione particolare di conservazione. Conservare nella confezione originale per proteggere il medicinale dall’umidità. 6.5 Natura e contenuto del contenitore. Blister di alluminio/alluminio (PA/Al/PVC/Al o PA/PA/Al/PVC/Al). Un blister contiene 7 o 10 compresse. Confezioni: Blister con 14, 28, 30, 56, 84, 90 o 98 compresse o blister divisibile per dose unitaria con 28 x 1 compresse. É possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento. Nessuna istruzione particolare. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL'IMMISSIONE IN COMMERCIO. Boehringer Ingelheim International GmbH. - Binger Str. 173. - D-55216 Ingelheim am Rhein - Germania. 8. NUMERI DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. EU/1/98/090/005 (14 compresse). EU/1/98/090/006 (28 compresse). EU/1/98/090/007 (56 compresse). EU/1/98/090/008 (98 compresse). EU/1/98/090/014 (28 x 1 compressa). EU/1/98/090/016 (84 compresse). EU/1/98/090/018 (30 compresse). EU/1/98/090/020 (90 compresse). 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/ RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE. Data della prima autorizzazione: 16 dicembre 1998. Data dell’ultimo rinnovo: 16 dicembre 2008. 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO. 23 Novembre 2009.
Ipertensione - CLASSE A - € 28,72 Prevenzione cardiovascolare nondel è attualmente rimborsatadainparte Italiadi AIFA Prevenzione cardiovascolare - In attesa- diL’indicazione determinazione regime di rimborsabilità Da vendersi dietro presentazione di ricetta medica Informazioni più dettagliate su questo medicinale sono disponibili sul sito web della Agenzia Europea dei Medicinali (EMEA): http://www.emea.europa.eu/.
Depositato presso AIFA in data 01/12/2009
Riassunto delle caratteristiche del prodotto