PCR Patient and Cardiovascular Risk - n°2 Aprile/Maggio 2010

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T R I M E ST R A L E

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A G G I O R N A M E N TO

S C I E N T I F I CO A nno I I - N. 2, 2 0 1 0

Dottori visitano un uomo malato, 1519. Un uomo giace nudo nel letto mentre i dottori discutono con lui



TRIMESTRALE D I AG G I O R N A M E N TO S C I E N T I F I CO Anno II - N. 2, 2010

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La salute non può attendere Ettore Ambrosioni

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La renina nella pratica clinica Prof. Bruno Trimarco

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Circolazione periferica: significato della ricerca nella pratica clinica Prof. Damiano Rizzoni, Carolina De Ciuceis, Enrico Agabiti Rosei

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Lo studio Navigator: ovvero come correggere la rotta del rischio CV Prof. Claudio Borghi

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Significato clinico della resistenza ed automisurazione della pressione arteriosa Prof. Claudio Ferri, Dr. Davide Grassi

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La partecipazione del paziente iperteso al suo trattamento: il ruolo delle emozioni nell’automonitoraggio pressorio Dr.ssa Lucia Lukolic

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I biomarker emergenti nello scompenso cardiaco Prof. Claudio Rapezzi, Pamela Gallo, Filippo Giovagnoli, Emanuela Leonetti, Francesca Mingardi

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Comitato scientifico

Claudio Borghi Vittorio Costa Ada Dormi Guido Grassi Giuseppe Mancia Simone Mininni Pietro Putignano Enrico Strocchi Stefano Taddei Bruno Trimarco Paolo Verdecchia Augusto Zaninelli

Capo redattore

Eugenio Roberto Cosentino

Registrazione presso Tribunale di Milano n. 207 del 28-03-2006 Pubblicazione fuori commercio riservata alla Classe Medica. L’Editore è disponibile al riconoscimento dei diritti di copyright per qualsiasi immagine utilizzata e della quale non si sia riusciti ad ottenere l’autorizzazione alla riproduzione. Nonostante la grande cura posta nel compilare e controllare il contenuto, l’Editore non sarà ritenuto responsabile per ogni eventuale utilizzo di questa pubblicazione nonchè per eventuali errori, omissioni o inesattezze nella stessa. Copyright ©2010 SINERGIE S.r.l. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata o riprodotta senza l’autorizzazione dell’Editore.



Anno II - N. 2, 2010

La salute non può attendere A differenza del Paradiso la Salute non può attendere: il primo si può rinviare (ed è per molti versi auspicabile) anche lungamente, mentre per la seconda è necessario che venga ricercata in via preventiva, conservata integra compatibilmente con l’avanzare dell’età, riacquistata in caso di perdita. Naturalmente questi sono gli obiettivi a cui tendere, utilizzando appieno e rapidamente le nuove conoscenze in campo clinico - terapeutico, rendendo disponibili ed applicabili in modo corrente metodi e mezzi adeguati e verificabili. Forse mai come al presente si è palesata la necessità di considerare globalmente le tre componenti che in maniera praticamente indissolubile costituiscono ad un tempo soggetto ed oggetto della salute: persona (soggetto/paziente società), medico, autorità sanitaria - economica. I bisogni insoddisfatti dell’uno condizionano quelli degli altri, i vantaggi a favore di ciascuno non sono disgiunti ne i contrasti con quelli delle altre componenti. La prima condizione da soddisfare perché questa realtà venga compresa da tutte e tre le componenti così da imboccare la strada della ricerca di nuove soluzioni consiste nell’istituzione e/o l’implementazione di un colloquio continuativo e costruttivo tra tutti gli interessati. Conoscenza e comprensione dei bisogni insoddisfatti e dei limiti di ciascuna componente rappresentano il punto di partenza per i primi cambiamenti, per nuove iniziative a cui far seguire in tempo reale progetti operativi. L’urgenza sul piano pratico di procedere in questa direzione è resa più acuta dall’accentuarsi, anche per l’invecchiamento della popolazione, dell’innalzamento del livello di rischio di malattia che comporta un deciso peggioramento delle condizioni di salute, dei costi economici, nonchè dell’impegno di lavoro per il medico. Questa rivista ha da tempo iniziato un percorso virtuoso che nel corso dell’ultimo anno si è ampliato dando vita ad un progetto di rilevamento, misurazione dei pazienti ad alto rischio cv, in collaborazione con i medici generalisti/specialisti La metodologia impiegata ha visto il medico generalista/specialista come docente e discente nella discussione del caso clinico nella sua complessità ed impegnato nell’implementare sul territorio tale modalità di trasmissione di conoscenza ed esperienza. La partecipazione vivace alla discussione clinica, ha esemplificato nei fatti l’importanza dell’assunto che si cura il paziente con le sue malattie, non la malattia: la via più diretta per capire il significato della per-

sonalizzazione di ogni programma di prevenzione e terapia,la più semplice per capire e spiegare al paziente perché i valori di riferimento per la normalità cambiano sostanzialmente in funzione del suo rischio globale. Si è altresì documentato e discusso come il colloquio con il paziente sia fondamentale sotto tutti gli aspetti sia per consentirgli di capire cosa, come e perché è invitato a seguire un certo programma che comporta modificazioni del suo stile di vita, sia ad aderire ad uno schema terapeutico ben preciso. Il medico ha potuto sperimentare nei fatti come l’inerzia terapeutica di cui gli viene spesso fatto carico possa essere prevenuta avendo una corretta percezione del rischio del paziente, facendone chiaramente partecipe quest’ultimo, ma constatando come altri fattori siano ugualmente responsabili del mancato controllo dei fattori di rischio. Un aspetto che si è sviluppato ampiamente è stato quello della aderenza terapeutica che condiziona in maniera quasi totale l’effetto della terapia nella pratica clinica fino al punto da proporre la stessa come misura per valutare l’appropriatezza della valutazione dell’operare del medico. Su questa conclusione si è aperta la valutazione dei costi dei diversi programmi terapeutici rapportati alle conseguenze quindi ai costi della mancata cura delle malattie. Si è così aperto un dialogo ed un confronto con le unità sanitarie e con le regioni in cui medici ed amministratori e pazienti saranno chiamati a dare un contributo su una base reale di reciprocità. Naturalmente il discorso verrà continuato ed ampliato sempre nell’ambito del territorio proponendo un sito web alla cui implementazione contribuiranno i contenuti della rivista quello dei corsi ed esteso a quanti del sito web continueranno o si vorranno servire. Un altro argomento che abbiamo progettato di sviluppare si riferisce ai rapporti ed alle interferenze tra prevenzione clinica che spetta al medico/specialista con la prevenzione basata sulla strategia di popolazione che spetta invece a politici ed autorità sanitarie. Ma soprattutto continueremo a proporre e discutere situazioni reali per rendere disponibili rapidamente le nuove acquisizioni di ordine clinico e terapeutico così da accelerare il mantenimento ed il progresso della salute migliorando il rapporto costo beneficio di cui tutte e tre le componenti sono responsabili e beneficiarie.

Ettore Ambrosioni

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La renina nella pratica clinica Prof. Bruno Trimarco Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Cardiovascolari ed Immunologiche, Università Federico II, Napoli Introduzione L’individuazione della renina e la disponibilità di vari sistemi di dosaggio della sua attività non ha mai permesso di individuare il ruolo di questo sistema nelle patologie cardiovascolari. Probabilmente la mancanza di una adeguata valutazione dell’attività dei sistemi renina-angiotensina tissutali ha avuto un ruolo chiave in questo fenomeno non consentendo di stabilire un rapporto chiaro tra incremento dell’attività del sistema e sviluppo o progressione delle condizioni patologiche. Al contrario, la disponibilità di farmaci in grado di interferire a diverso livello con il sistema renina-angiotensina ha consentito di approfondire la conoscenza del suo ruolo fisiopatologico riportandolo in primo piano nella pratica clinica. In particolare, assumono rilievo in questo contesto i grandi studi clinici di intervento condotti in popolazioni diverse mediante somministrazione di farmaci ACE-inibitori ed antagonisti del recettore AT1 dell’angiotensina II. La malattia aterosclerotica Il primo di questi, lo studio HOPE (1), dimostrando che in pazienti ad alto rischio cardiovascolare l’aggiunta alla terapia standard di un ACE-inibitore, il ramipril, migliora la prognosi cardiovascolare sia in termini di mortalità che di morbidità (ictus e infarto miocardico non fatali, TIA, necessità di ricorso a rivascolarizzazione miocardica etc.) ha suggerito un ruolo chiave del sistema renina-angiotensina nella progressione della malattia aterosclerotica, che ha trovato piena conferma nei risultati di studi successivi quali il JIKEI (2) e, soprattutto, il TRANSCEND (3) e l’ONTARGET (4). Lo studio HOPE ha suggerito un ruolo chiave del sistema renina-angiotensina nella progressione della malattia aterosclerotica, che ha trovato piena conferma nei risultati di studi successivi quali il JIKEI e, soprattutto, il TRANSCEND e l’ONTARGET.

L’osservazione che la modulazione del sistema reninaangiotensina è in grado di interferire con la patogesi degli eventi, che è spessso diversa da quella della malattia, ripropone ancora una volta l’importanza dei fattori funzionali nella genesi degli eventi cardiovascolari. Nello specifico un’importante conseguenza del trattamento con ACE-inibitori consiste nel normalizzare la funzione endoteliale, ripristinando una fisiologica regolazione dei flussi distrettuali. La correzione della disfunzione endoteliale potrebbe essere dovuta all’inibizione dell’effetto stimolante dell’angiotensina II sull’attività dell’enzima NADPH ossidasi, con conseguente riduzione della produzione dei radicali liberi dell’ossigeno che, antagonizzando l’azione vasodilatante dell’ossido nitrico, creano la disfunzione endoteliale. Tuttavia l’aggiunta al trattamento standard di un ACE-inibitore o di un antagonista recettoriale dell’angiotensina II determina una riduzione della pressione arteriosa, sia sistolica che diastolica, che rende consistente la possibilità che i vantaggi osservati possano essere ascritti solo a meccanismi pressione-dipendenti. Per chiarire questo dubbio risultano determinanti i risultati dello studio VALUE (5) che raffronta in pazienti ipertesi, con caratteristiche cliniche analoghe a quelle dei pazienti degli studi HOPE,TRASCEND ed ONTARGET, gli effetti di un trattamento basato sull’antagonista dei recettori AT1 dell’angiotensina II, valsartan, con quelli di una terapia basata sul calcio-antagonista amlodipina, utilizzando obiettivi clinici analoghi. L’osservazione che malgrado l’amlodipina riduca in maniera più marcata la pressione arteriosa rispetto al valsartan non si rilevano differenze nel numero di eventi cardiovascolari verificatisi nei due gruppi, sembra tutto questo confermare l’efficacia protettiva non pressione-dipendente del blocco del sistema reninaangiotensina, che compensa gli effetti di una minore riduzione dei valori pressori. Contemporaneamente, i risultati dello studio VALIANT (6), che ha valutato gli effetti dell’aggiunta del valsartan alla terapia del paziente con infarto acuto del miocardio

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raffrontandoli a quelli ottenuti con un ACE-inibitore e con quelli della combinazione dei due farmaci, dimostrano l’efficacia del blocco del sistema renina-angiotensina comunque indotto, consentendo di ipotizzare una sua partecipazione all’evoluazione della cardiopatia ischemica. Questi risultati confermano l’ipotesi, sollevata dalle osservazioni dello studio HOPE (1), che in soggetti con rischio cardiovascolare elevato il sistema renina-angiotensina possa agire da mediatore del rischio sia accelerando lo sviluppo del danno aterosclerotico che interferendo con il controllo dei flussi distrettuali, forse attraverso la produzione di radicali liberi dell’ossigeno che antagonizzano l’azione vasodilatante dell’ossido nitrico.

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La cardiopatia ipertensiva L’attivazione patologica del sistema renina-angiotensina tissutale cardiaco è verosimilmente responsabile della disfunzione diastolica in assenza di ipertrofia ventricolare, che costituisce il primo momento clinico della cardiopatia ipertensiva e che non sembra regredire con il semplice calo dei valori pressori. Infatti, l’unica evidenza di regressione di questa anomalia funzionale è stata ottenuta in pazienti ipertesi senza ipertrofia ventricolare sottoposti ad un trattamento antiipertensivo con valsartan, mentre un’analoga riduzione dei valori pressori ottenuta con ACE-inibitore non migliora la funzione diastolica ventricolare (7). D’altra parte, è noto che la cardiopatia ipertensiva è caratterizzata più che dall’ipertrofia dei miociti da un aumento del tessuto collagene che deriva probabilmente proprio dall’abnorme attivazione del sistema renina-angiotensina che stimola la collagenosintesi ed inibisce la collagenolisi inducendo un aumento della quota connettivale. Sembra ipotizzabile perciò che effettivamente lo sviluppo di disfunzione diastolica costituisca l’inizio della patologia cardiaca indotta dall’ipertensione mediante attivazione del sistema renina-angiotensina tissutale che innesca la

progressione verso l’ipertrofia. Successivamente, l’attivazione sistemica media la progressione verso la disfunzione sistolica e l’insufficienza cardiaca. Si avrebbe, in altre parole, a livello cardiaco una situazione analoga a quella dimostrata da Lewis (8) per il rene, dove l’attivazione a livello sistemico segue lo sviluppo della nefropatia. Infatti, nei pazienti con diabete di tipo 1° gli ACE-inibitori sono in grado di rallentare la progressione della nefropatia solo in coloro che all’inizio della terapia con captopril avevano già dei valori di creatininemia al di sopra della norma, mentre non modificano la storia naturale di coloro che non hanno ancora evidenze cliniche di nefropatia. I risultati del programma ONTARGET portano ulteriore supporto a questa tesi dimostrando che il trattamento con bloccanti dei recettori AT1 dell’angiotensina II è più efficace di quello con ACE-inibitori nel prevenire lo sviluppo di ipertrofia ventricolare (4) e la comparsa di microalbuminuria o la sua progresssione a proteinuria (9), mentre non ci sono differenze nella capacità delle due classi di farmaci di indurre regressione della ipertrofia ventricolare o la progressione della nefropatia conclamata.

Questi risultati confermano l’ipotesi, sollevata dalle osservazioni dello studio HOPE, che in soggetti con rischio cardiovascolare elevato il sistema renina-angiotensina possa agire da mediatore del rischio sia accelerando lo sviluppo del danno aterosclerotico che interferendo con il controllo dei flussi distrettuali.

Prevenzione del diabete mellito I risultati dell’ultimo, in ordine cronologico di pubblicazione, grande trial condotto con antagonisti dei recettori AT1 dell’angiotensina II, lo studio NAVIGATOR (10) dimostrano il coinvolgimento del sistema renina-angiotensina anche nello sviluppo di nuovo diabete nei pazienti ipertesi ad alto rischio cardiovascolare (Fig. 1). Già lo studio HOPE (1) aveva fornito la dimostrazione

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Figura 2

che nel gruppo in trattamento con ramipril si registra una più bassa incidenza di nuova diagnosi di diabete mellito, in analogia con quanto già precedentemente osservato, ad esempio nello studio CAPP (11) che aveva fatto rilevare una riduzione del rischio di sviluppare diabete mellito nel gruppo di pazienti ipertesi in trattamento con ACE-inibitore rispetto al gruppo di controllo. Questo risultato però risultava difficile da interpretare perché il braccio di controllo assumeva atenololo o metoprololo per cui non si poteva escludere che più che ad un effetto positivo dell’ ’’ACE-inibitore la differenza dovesse essere ascritta ad un’azione diabetogena dei beta-bloccanti analoga a quella svolta dai diuretici e documentata tra l’altro nello studio INSIGHT (12) e nello studio ALLHAT (13). Al contrario nello studio HOPE l’uso dei diuretici e beta-bloccanti risulta equamente distribuito nei due gruppi di trattamento per cui la minore incidenza di diabete sembra piuttosto da ascrivere ad un’azione protettiva del ramipril. Questa ipotesi viene anche corroborata dai risultati degli studi SCOPE (14) e VALUE (5) i quali dimostrano una minore incidenza di nuova diagnosi di diabete mellito nei gruppi trattati con La cardiopatia ipertensiva è caratterizzata più che dall’ipertrofia dei miociti da un aumento del tessuto collagene che deriva probabilmente proprio dall’abnorme attivazione del sistema renina-angiotensina che stimola la collagenosintesi ed inibisce la collagenolisi inducendo un aumento della quota connettivale.

AT1 antagonisti rispetto a quelli di controllo. Anche nello studio LIFE (15) il braccio di controllo ha ricevuto atenololo, creando incertezza nell’interpretazione del dato, ma la corrispondenza del risultato con quello dello studio VALUE, in cui il braccio di controllo ha ricevuto amlodipina, parla a favore di un effetto protettivo del blocco del sistema renina-angiotensina nei confronti della possibilità di sviluppare diabete mellito. In tutti questi studi la prevenzione dell’insorgenza di nuovo diabete non costituiva l’end-point primario e quindi non potevano essere presi come evidenza inconfutabile della responsabilità dell’attivazione patologica del sistema renina-angiotensina nel determinismo dell’insulino resistenza del paziente ad alto rischio cardiovascolare. Inoltre, lo studio DREAM (16), disegnato per valutare la capacità del ramipril di prevenire il nuovo diabete in soggetti con alterata glicemia a digiuno o alterata tolleranza glicidica, ma senza patologia cardiovascolare, non ha dimostrato alcun vantaggio dell’ACE-inibitore rispetto al placebo sulla incidenza di nuovo diabete (Fig. 2). La differenza nelle caratteristiche cliniche delle due popolazioni (studio DREAM assenza di patologie cardiovascolari, studio NAVIGATOR pazienti con o senza pregressi eventi cardiovascolari ma comunque ad alto rischio) suggerisce che la spiegazione per la diversità dei risultati vada cercata nel diverso meccanismo patogenetico alla base dello sviluppo del diabete nei due gruppi di pazienti. La riduzione di nuovi casi di diabete mellito riscontrata sia nello studio NAVIGATOR dimostra la rilevanza clinica della capacità degli ACE-inibitori di migliorare la sensibilità insulinica. Questo effetto trova la sua spiegazione in termini di molecolari nel fatto che gli ACE inibitori in aggiunta alla riduzione dei livelli circolanti di angiotensina II aumentano i livelli tissutali e plasmatici di bradichinina. Quest’ultima, attraverso la stimolazione dei recettori di tipo BK2 potenzia l’azione insulinica. In particolare, il legame tra bradichinina e recettori BK2 aumenta la fosforilazione, indotta dall’insulina, in tirosina di IRS-1 (insulin receptor substrate- 1) che, a sua volta, attraverso un meccanismo PI3K-dipendente (phosphatidylinositol 3-kinase), o attraverso la produzione di ossido nitrico (NO) promuove la traslocazione dei trasportatori del glucosio GLUT 4 dal citosol alla membrana cellulare, risultando in un incremento della captazione di glucosio. Gli antagonisti recettoriali dell’angioten-

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I risultati del programma ONTARGET portano ulteriore supporto a questa tesi dimostrando che il trattamento con bloccanti dei recettori AT1 dell’angiotensina II è più efficace di quello con ACE-inibitori nel prevenire lo sviluppo di ipertrofia ventricolare e la comparsa di microalbuminuria o la sua progresssione a proteinuria.

sina II migliorano la sensibilità insulinica, utilizzando un meccanismo di verso: neutralizzano l’effetto inibitorio dell’angiotensina sia sulla biosintesi di GLUT-4 che sull’attivazione di PI3K. Conclusioni Le acquisizioni sulla fisiopatologia del sistema reninaangiotensina ottenute attraverso i grandi studi clinici di intervento definiscono anche il ruolo della renina nella pratica clinica: il gran numero di patologie in cui è coinvolto il sistema renina-angiotensina e, soprattutto l’enorme diffusione di queste patologie impediscono di assumere in ciascun paziente la valutazione del livello di attività come base della scelta terapeutica, suggeriscono piuttosto di tener comunque conto del ruolo centrale di questo sistema nelle patologie cardiovascolari per sfruttarlo a scopo terapeutico. BIBLIOGRAFIA 1.Yusuf S, Sleight P, Pogue J, Bosch J, Davies R, Dagenais G. Effects of an angiotensin-converting-enzyme inhibitor, ramipril, on cardiovascular events in high-risk patients. The Heart Outcomes Prevention Evaluation Study Investigators. N Engl J Med. 2000;342(3):145-153. 2. Mochizuki S, Dahlof B, Shimizu M, Ikewaki K,Yoshikawa M,Taniguchi I, Ohta M, Yamada T, Ogawa K, Kanae K, Kawai M, Seki S, Okazaki F, Taniguchi M, Yoshida S, Tajima N. Valsartan in a Japanese population with hypertension and other cardiovascular disease (Jikei Heart Study): a randomised, open-label, blinded endpoint morbidity-mortality study. Lancet. 2007;369(9571):1431-1439. 3. Yusuf S, Teo K, Anderson C, Pogue J, Dyal L, Copland I, Schumacher H, Dagenais G, Sleight P. Effects of the angiotensin-receptor blocker telmisartan on cardiovascular events in high-risk patients intolerant to angiotensin-converting enzyme inhibitors: a randomised controlled trial. Lancet. 2008;372(9644):1174-1183. 4. Yusuf S, Teo KK, Pogue J, Dyal L, Copland I, Schumacher H, Dagenais G, Sleight P, Anderson C. Telmisartan, ramipril, or both in patients at high risk for vascular events. N Engl J Med. 2008;358(15):1547-1559. 5. Julius S, Kjeldsen SE, Weber M, Brunner HR, Ekman S, Hansson L, Hua T, Laragh J, McInnes GT, Mitchell L, Plat F, Schork A, Smith B, Zanchetti A. Outcomes in hypertensive patients at high cardiovascular risk treated with regimens based on valsartan or amlodipine: the VALUE randomised trial. Lancet. 2004;363(9426):2022-2031. 6. Pfeffer MA, McMurray JJ, Velazquez EJ, Rouleau JL, Kober L, Maggioni AP, Solomon SD, Swedberg K, Van de Werf F, White H, Leimberger JD, Henis M, Edwards S, Zelenkofske S, Sellers MA, Califf RM. Valsartan, captopril, or both in myocardial infarction complicated by heart failure, left ventricular dysfunction, or both. N Engl J Med. 2003;349(20):1893-1906.

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Gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II migliorano la sensibilità insulinica, utilizzando un meccanismo di verso: neutralizzano l’effetto inibitorio dell’angiotensina sia sulla biosintesi di GLUT-4 che sull’attivazione di PI3K.

7. Cuocolo A, Storto G, Izzo R, Iovino GL, Damiano M, Bertocchi F, Mann J, Trimarco B. Effects of valsartan on left ventricular diastolic function in patients with mild or moderate essential hypertension: comparison with enalapril. J Hypertens. 1999;17(12 Pt 1):1759-1766. 8. Lewis EJ, Hunsicker LG, Bain RP, Rohde RD.The effect of angiotensin-converting-enzyme inhibition on diabetic nephropathy. The Collaborative Study Group. N Engl J Med. 1993;329(20):1456-1462. 9. Mann JF, Schmieder RE, McQueen M, Dyal L, Schumacher H, Pogue J, Wang X, Maggioni A, Budaj A, Chaithiraphan S, Dickstein K, Keltai M, Metsarinne K, Oto A, Parkhomenko A, Piegas LS, Svendsen TL, Teo KK, Yusuf S. Renal outcomes with telmisartan, ramipril, or both, in people at high vascular risk (the ONTARGET study): a multicentre, randomised, double-blind, controlled trial. Lancet. 2008;372(9638):547-553. 10. McMurray JJ, Holman RR, Haffner SM, Bethel MA, Holzhauer B, Hua TA, Belenkov Y, Boolell M, Buse JB, Buckley BM, Chacra AR, Chiang FT, Charbonnel B, Chow CC, Davies MJ, Deedwania P, Diem P, Einhorn D, Fonseca V, Fulcher GR, Gaciong Z, Gaztambide S, Giles T, Horton E, Ilkova H, Jenssen T, Kahn SE, Krum H, Laakso M, Leiter LA, Levitt NS, Mareev V, Martinez F, Masson C, Mazzone T, Meaney E, Nesto R, Pan C, Prager R, Raptis SA, Rutten GE, Sandstroem H, Schaper F, Scheen A, Schmitz O, Sinay I, Soska V, Stender S, Tamas G, Tognoni G, Tuomilehto J, Villamil AS, Vozar J, Califf RM. Effect of valsartan on the incidence of diabetes and cardiovascular events. N Engl J Med.362(16):1477-1490. 11. Hansson L, Lindholm LH, Niskanen L, Lanke J, Hedner T, Niklason A, Luomanmaki K, Dahlof B, de Faire U, Morlin C, Karlberg BE, Wester PO, Bjorck JE. Effect of angiotensin-converting-enzyme inhibition compared with conventional therapy on cardiovascular morbidity and mortality in hypertension: the Captopril Prevention Project (CAPPP) randomised trial. Lancet. 1999;353(9153):611-616. 12. Brown MJ, Palmer CR, Castaigne A, de Leeuw PW, Mancia G, Rosenthal T, Ruilope LM. Morbidity and mortality in patients randomised to double-blind treatment with a long-acting calcium-channel blocker or diuretic in the International Nifedipine GITS study: Intervention as a Goal in Hypertension Treatment (INSIGHT). Lancet. 2000;356(9227):366-372. 13. Wright JT, Jr., Harris-Haywood S, Pressel S, Barzilay J, Baimbridge C, Bareis CJ, Basile JN, Black HR, Dart R, Gupta AK, Hamilton BP, Einhorn PT, Haywood LJ, Jafri SZ, Louis GT, Whelton PK, Scott CL, Simmons DL, Stanford C, Davis BR. Clinical outcomes by race in hypertensive patients with and without the metabolic syndrome: Antihypertensive and Lipid-Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial (ALLHAT). Arch Intern Med. 2008;168(2):207-217. 14. Skoog I, Lithell H, Hansson L, Elmfeldt D, Hofman A, Olofsson B, Trenkwalder P, Zanchetti A. Effect of baseline cognitive function and antihypertensive treatment on cognitive and cardiovascular outcomes: Study on COgnition and Prognosis in the Elderly (SCOPE). Am J Hypertens. 2005;18(8):1052-1059. 15. Lindholm LH, Ibsen H, Dahlof B, Devereux RB, Beevers G, de Faire U, Fyhrquist F, Julius S, Kjeldsen SE, Kristiansson K, Lederballe-Pedersen O, Nieminen MS, Omvik P, Oparil S, Wedel H, Aurup P, Edelman J, Snapinn S. Cardiovascular morbidity and mortality in patients with diabetes in the Losartan Intervention For Endpoint reduction in hypertension study (LIFE): a randomised trial against atenolol. Lancet. 2002; 359(9311):1004-1010. 16. Bosch J, Yusuf S, Gerstein HC, Pogue J, Sheridan P, Dagenais G, Diaz R, Avezum A, Lanas F, Probstfield J, Fodor G, Holman RR. Effect of ramipril on the incidence of diabetes. N Engl J Med. 2006;355(15):1551-1562.


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Circolazione periferica: significato della ricerca nella pratica clinica Prof. Damiano Rizzoni, Carolina De Ciuceis, Enrico Agabiti Rosei Clinica Medica, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Brescia

Introduzione La parte più periferica del distretto vascolare arterioso è rappresentata dal microcircolo, ovvero quella parte nella quale avviene la maggior parte della dissipazione di energia per resistenza al flusso, e che comprende le piccole arterie (diametro compreso fra 100 e 300 Ìm), le arteriole (diametro inferiore a 100 Ìm), e la rete capillare (diametro intorno ai 7 Ìm) (1). Le piccole arterie contribuiscono probabilmente per il 40-50% della caduta pressoria pre-capillare, mentre un ulteriore 30% di riduzione della pressione è dovuto al passaggio del sangue attraverso le arteriole di 50-100 Ìm (2). Dal momento che nella maggior parte dei casi di ipertensione essenziale la gettata cardiaca non è aumentata, il meccanismo fisiopatologico implicato è rappresentato da un aumento delle resistenze periferiche al flusso, che, nelle differenti forme di ipertensione sperimentale, è stato osservato proprio a livello del microcircolo (3). Modificazioni delle proprietà strutturali, meccaniche e funzionali dei piccoli vasi possono determinare una riduzione del lume e, quindi, un aumento delle resistenze vascolari, partecipando in tal modo alla elevazione della pressione sistemica. Alterazioni strutturali nell’ipertensione arteriosa È ormai comprovato il fatto che l’ipertensione arteriosa si accompagni alla presenza di alterazioni strutturali del microcircolo (1-3). In particolare, un aumento dello spessore della parete vascolare,insieme ad una riduzione del diametro interno, può giocare un ruolo assai importante nell’aumento delle resistenze periferiche, oltre a rappresentare un possibile meccanismo adattativo all’aumentato carico pressorio. Il rapporto fra spessore della parete vascolare e diametro interno risulta solitamente aumentato nell’ipertensione arteriosa; tale rapporto M/L risulta essere il miglior indicatore disponibile della struttura microvascolare

Pertanto, il rapporto fra spessore della parete vascolare e diametro interno (o dello spessore della tonaca media e del lume: rapporto media/lume, (M/L) risulta solitamente aumentato nell’ipertensione arteriosa; tale rapporto M/L risulta essere il miglior indicatore disponibile della struttura microvascolare, essendo in gran parte indipendente dalle dimensioni del vaso. Negli ultimi venti anni, numerosi dati sono stati ottenuti con l’impiego della tecnica micromiografica e lo studio delle piccole arterie di resistenza, dissezionate da tessuto adiposo sottocutaneo prelevato solitamente in regione glutea (4,5). Nei pazienti con ipertensione essenziale è stato osservato un aumento del rapporto M/L, senza che vi fosse alcun aumento della quantità totale di materiale della parete vascolare, come suggerito dai valori di area traversa della tonaca media, simili a quelli riscontrabili nei controlli normali (4). Pertanto, gran parte della alterazione strutturale osservabile nella parete vascolare dei pazienti ipertesi essenziali è attribuibile a un rimodellamento eutrofico (ovvero un riarrangiamento della stessa quantità di materiale della parete vascolare attorno ad un lume più picTipi di rimodellamento vascolare nell’ipertensione arteriosa Ipertrofico

Eutrofico

Ipertrofico

Interno

Esterno Riferimento bibliografico 6

Figura 1

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vascolare. In effetti, è stata dimostrata la presenza di una correlazione fra riserva di flusso coronarico e struttura delle piccole arterie di Pressione Stress di parete resistenza sottocutanee in pazienti ipertesi Rimodellamento (9), il che suggerisce che le alterazioni struttuipertrofico rali siano presenti contemporaneamente in Angiotensina, insulina, GH e altri diversi distretti vascolari, compresi quelli di particolare rilevanza clinica e prognostica Apoptosi Molecole di adesione come il distretto coronarico. Vasodilatazione Stress di parete Flusso NO, matrice L’entità delle alterazioni strutturali nelle picextracellulare cole arterie sottocutanee di resistenza è partiPressione colarmente spiccata nei pazienti affetti da diabete mellito e ipertensione arteriosa (10). Stress di parete Rimodellamento Vasocostrizione costante eutrofico Sembra pertanto che l’associazione di più fattori di rischio cardiovascolare abbia un effetto Diametro deleterio sul microcircolo. È stato inoltre Riferimento bibliografico 7 dimostrato che un aumentato rapporto M/L nelle piccole arterie di resistenza sottocutaFigura 2 nee rappresenta il più potente predittore di eventi cardiovascolari, sia un una popolazione di pazienti ad elevato rischio cardiovascolare, che in pazienti con ipertencolo), senza crescita cellulare (4-6) (Figura 1). Al contrario, in sione essenziale, a rischio cardiovascolare meno elevato pazienti con alcune forme di ipertensione secondaria (iper(11,12). Sembra inoltre che un rimodellamento vascolare tensione nefrovascolare, iperaldosteronismo primitivo, acrotendenzialmente ipertrofico rappresenti una forma di adatmegalia), è riscontrabile una crescita cellulare, che conduce tamento meno fisiologica e più pericolosa all’aumento dei ad un rimodellamento vascolare di tipo ipertrofico (con valori pressori (13). ipertrofia o iperplasia delle cellule muscolari lisce vascolari) (4) (Figura 1). Nello sviluppo di rimodellamento ipertrofico, Effetto della terapia antiipertensiva un ruolo rilevante è attribuibile ai fattori di crescita, quali Da quanto precedentemente esposto, risulta evidente che la l’endotelina-1 e l’angiotensina II, mentre i meccanismi che regressione fino alla normalizzazione delle alterazioni strutconducono al rimodellamento eutrofico sono meno chiari, turali vascolari associate all'ipertensione arteriosa rapprebenché sembra possano essere impicati apoptosi, integrine senti un obiettivo clinico di indubbio interesse. e stress di parete (7) (Figura 2). Le diverse classi di farmaci antiipertensivi, a parità di riduzione pressoria, hanno dimostrato di esercitare effetti assai diffeAlterazioni strutturali, danno d’organo renti sulla struttura delle piccole arterie sottocutanee. Infatti, e conseguenze prognostiche mentre con gli ACE inibitori, gli inibitori dei recettori dell’anLe alterazioni strutturali potrebbero rappresentare un mecgiotensina II e i calcio antagonisti diidropiridinici è stata ossercanismo amplificatore di ogni stimolo ipertensivo (8). In vata una regressione e, talora, una completa normalizzazione ogni caso, la presenza di un aumentato rapporto M/L è in delle alterazioni strutturali microvascolari (Figura 3), i diuretici grado di ridurre la riserva di flusso. Infatti, il rimodellamento e i beta bloccanti si sono dimostrati privi di effetto a tale vascolare comporta una riduzione del lume anche in condiriguardo. Tale aspetto è stato recentemente passato in rassezioni di massima vasodilatazione, ovvero in assenza di tono gna dal nostro gruppo, analizzando in maniera cumulativa gli studi di intervento terapeutico sulla struttura microvascolare Le alterazione strutturale osservabile nella parete vascoMeccanismi potenzialmente implicati nel rimodellamento vascolare

lare dei pazienti ipertesi essenziali è attribuibile a un rimodellamento eutrofico (ovvero un riarrangiamento della stessa quantità di materiale della parete vascolare attorno ad un lume più piccolo), senza crescita cellulare.

12

L’entità delle alterazioni strutturali nelle piccole arterie sottocutanee di resistenza è particolarmente spiccata nei pazienti affetti da diabete mellito e ipertensione arteriosa.


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-20

li potrebbero assumere il significato di “end point intermedio” nella valutazione dei benefici della terapia antiipertensiva. Tale dimostrazione, indispensabile per tradurre le osservazioni disponibili in decisioni cliniche, passando dal laboratorio al letto del malato, è tuttavia ancora lontana, a causa della relativa invasività delle procedure di valutazione della morfologia vascolare, che ne limita la possibilità di misurazioni seriate. Progressi di natura metodologica e tecnica potranno garantire, nel prossimo futuro, approcci sempre più sensibili e specifici, e sempre meno invasivi alla valutazione delle alterazioni strutturali vascolari, e potrebbero consentire la introduzione di tale valutazione nella stratificazione del profilo di rischio cardiovascolare del paziente iperteso.

-25

BIBLIOGRAFIA

Riduzione del rapporto tonaca media: lume delle piccole arterie di resistenza sottocutanee (in % rispetto al valore basale) con le differenti classi di farmaci

0

-5

-10

-15

ACE inibitori

Bloccanti dei recettori dell’angiotensina Calcio antagonisti

Diuretici

Beta bloccanti

1. Mulvany MJ, Aalkjaer C. Structure and function of small arteries. Physiol Rev 1990; 70: 921-971. 2. Christensen KL, Mulvany MJ. Location of resistance arte*** # *** * -30 ries. J Vasc Res 2001: 38: 1-12. 3. Folkow B. Physiological aspects of primary hypertension. ** p <0.01 *** p <0.001 vs β-bloccanti #p <0.05 vs. diuretici Physiol Rev 1982; 62: 347-504. 4. Rizzoni D, Porteri E, Castellano M, Bettoni G, Muiesan ML, Ridisegnata dal riferimento bibliografico 14 Muiesan P, Giulini SM, Agabiti Rosei E. Vascular hypertrophy and remodeling in secondary hypertension. Hypertension 1996; 28: 785-790. Figura 3 5. De Ciuceis C, Rizzoni D, Agabiti Rosei C, Porteri E, Boari G.E.M. Agabiti Rosei E. Remodelling of small resistance arteries in essential hypertension. High Blood Press 2006, 13(1): 1-6. attualmente disponibili,che hanno convolto oltre 300 pazien6. Mulvany MJ, Baumbach GL, Aalkjaer C, Heagerty AM, Korsgaard N, Schiffrin ti (14). Le ragioni di tali differenze fra le classici farmaci non EL, Heistad DD. Vascular remodeling. Hypertension 1996; 28:505-506. sono note, ed è probabile che, per chiarirle adeguatamente 7. Mulvany MJ. Small artery remodeling and significance in the development of hypertension. News Physiol Sci 2002; 17: 105-109. sarà necessario incrementare le nostre conoscenze circa i 8. Lever AF. Slow pressor mechanisms in hypertension: a role for hypertrophy of meccanismi biochimici che conducono allo sviluppo delle resistan¬ce ves¬sels ? J Hypertens 1986; 4: 515-524. alterazioni cellulari, con particolare riguardo alla azione di 9. Rizzoni D, Palombo C, Porteri E, Muiesan ML, Kozàkovà M, La Canna G, Nardi M, Guelfi D, Salvetti M, Morizzo C, Vittone F, Agabiti Rosei E. Relationships betmediatori, fattori di trasduzione, sensori biologici ed elementi ween coronary vasodilator capacity and small artery remodeling in hypertenstrutturali in gioco. Va inoltre definito se la regressione delle sive patients. J Hypertens 2003; 21: 625-632. alterazioni strutturali microvascolari mediante appropriata 10. Rizzoni D, Porteri E, Guelfi D, Muiesan ML, Valentini U, Cimino A, Girelli A, Rodella L, Bianchi R, Sleiman I, Agabiti Rosei E. Structural alterations in subcuterapia comporti un benefico prognostico “per se”, indipentaneous small arteries of normotensive and hypertensive patients with non dentemente dalla riduzione dei valori pressori. Se si dimoinsulin dependent diabetes mellitus. Circulation 2001, 103: 1238-1244. 11. Rizzoni D, Porteri E, Boari GEM, De Ciuceis C, Sleiman I, Muiesan ML, strasse il vantaggio di tale regressione, le alterazioni strutturaCastellano M, Miclini M, Agabiti-Rosei E. Prognostic significance of small artery structure in hypertension. Circulation 2003, 108: 2230-2235. 12. De Ciuceis C, Porteri E, Rizzoni D, Rizzardi N, Paiardi S, Boari GEM, Miclini M, Zani ... mentre con gli ACE inibitori, gli inibitori dei recettori delF, Muiesan ML, Donato F, Salvetti M, Castellano M, Tiberio GAM, Giulini SM, Agabiti l’angiotensina II e i calcio antagonisti diidropiridinici è Rosei E.Structural alterations of subcutaneous small arteries may predict major carstata osservata una regressione e, talora, una completa diovascular events in hypertensive patients. Am J Hypertens 2007,20: 846-852. 13. Izzard AS, Rizzoni D, Agabiti-Rosei E, Heagerty AM. Small artery structure and normalizzazione delle alterazioni strutturali microvascolahypertension: adaptive changes and target organ damage. J Hypertens 2005, ri, i diuretici e i beta bloccanti si sono dimostrati privi di 23:247-250. effetto a tale riguardo. 14. Agabiti-Rosei E, Heagerty AM, Rizzoni D: Effects of antihypertensive treatment on small artery remodelling. J Hypertens 2009, 27(6):1107-1114.

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Lo studio Navigator: ovvero come correggere la rotta del rischio CV Prof. Claudio Borghi Università degli Studi di Bologna Le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte nel nostro paese ed in generale in tutte le nazioni cosiddette industrializzate (1).Tale triste primato dipende dalla prevalenza ed interazione tra diversi fattori di rischio cardiovascolare i quali sono responsabili della sviluppo della malattia aterosclerotica e delle sue complicanze a livello micro- e macrovascolare (2). Tra i fattori di rischio che rivestono maggiore rilevanza clinica e prognostica certamente deve essere annoverata la malattia diabetica la cui presenza si associa ad un incremento del rischio relativo di eventi coronarici e cerebrovascolari i quali risultano strettamente dipendenti dalla interazione tra le modificazioni del profilo glicemico e le alterazioni dei livelli di pressione arteriosa e delle diverse determinanti del profilo lipidico (colesterolo LDL, HDL e trigliceridemia). La prevenzione cardiovascolare nel paziente affetto da malattia diabetica comporta pertanto la normalizzazione dei valori glicemici, ma anche un attento controllo dei valori di pressione arteriosa secondo target di intervento più stringenti rispetto alla popolazione non diabetica e la correzione delle alterazioni del profilo lipidico con particolare attenzione ai livelli di colesterolo HDL e di trigliceridemia (3). In questa ottica appaiono esemplificativi i risultati dello studio STENO-2 (4) nel quale una piccola popolazione di pazienti con diabete mellito di tipo 2 è stata sottoposta ad un intervento multifattoriale nei confronti dei diversi determinanti del rischio cardiovascolare (pressione arteriosa, profilo glicemico e lipidico) derivan-

done un evidente vantaggio in termini di incidenza delle principali complicanze cardiovascolari sia al termine della fase di intervento attivo che negli 8 anni successivi. Accanto al problema del diabete conclamato e delle sue implicazioni cliniche e terapeutiche, si è sviluppato negli ultimi anni un rilevante interesse per tutte le condizioni di alterato profilo glicemico e per il loro potenziale patologico sia in termini di complicanze che di potenziale evoluzione verso un quadro di malattia diabetica conclamata. Nell’ambito della definizione di alterazioni del profilo glicemico entrano sia la iperglicemia a digiuno (IFG=glicemia compresa tra 100 e 126 mg/dL) sia la alterata risposta al carico di glucosio (IGT=glicemia > 149 e < 200 mg/dL 2 ore dopo un carico orale di glucosio) che rappresentano entrambe condizioni largamente rappresentate nella popolazione (prevalenza più elevata della malattia diabetica) e associate ad un eccesso di rischio per quanto riguarda le principali complicanze cardiovascolari rispetto alla popolazione normoglicemica (5) (Figura 1). Inoltre la presenza di alterazioni del profilo glicemico comporta anche un ovvio incremento del rischio di sviluppare la forma conclamata della malattia diabetica la cui potenzialità di promuovere lo sviluppo di complicanze appare il substrato ineludibile di un ulteriore aspetto della prevenzione cardiovascolare in aggiunta a quanto già consolidato nel paziente diabetico. Tutto ciò è particolarmente importante nei pazienti affetti da ipertensione arteriosa nei quali è evidente un incremento spontaneo del rischio

Tra i fattori di rischio che rivestono maggiore rilevanza clinica e prognostica certamente deve essere annoverata la malattia diabetica la cui presenza si associa ad un incremento del rischio relativo di eventi coronarici e cerebrovascolari.

L’iperglicemia a digiuno e l’alterata risposta al carico di glucosio rappresentano entrambe condizioni largamente rappresentate nella popolazione e sono associate ad un eccesso di rischio per quanto riguarda le principali complicanze cardiovascolari.

15


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Rischio di mortalità CV e di mortalità per tutte le cause nei soggetti con diabete mellito, alterata glicemia a digiuno e ridotta tolleranza al glucosio

B Incidenza cumulativa di mortalità cardiovascolare

A

Incidenza cumulativa di mortalità per tutte le cause

0.15

0.10

0.05

0.00 0

2

4

0.05 0.04 0.03 0.02 0.01 0.00

6

0

Tempo (anni)

2

4

6

Tempo (anni)

KDM

NDM

IFG

IGT

NGT

Modificato da ref. 5

Figura 1 Confronto tra le diverse classi di farmaci antiipertensivi ed incidenza di diabete

rischio relativo (95% CI), valore p vs diuretico

vs placebo

ARB

0.57 (0.46-0.72), p<0.0001

0.75 (0.61-0.91), p=0.003

ACE inibitore

0.67 (0.56-0.80), p<0.0001

0.87 (0.75-1.01), p=0.064

CCB

0.75 (0.62-0.90), p=0.002

0.97 (0.82-1.15), p=0.72

Placebo

0.77 (0.63-0.94), p=0.009

Riferimento

β-bloccante

0.90 (0.75-1.09), p=0.30

1.17 (0.98-1.40), p=0.08

Diuretico

Riferimento

1.30 (1.07-1.58), p=0.009

0.50 0.70 0.90 1.26 rischio relativo di incidenza di diabetes vs diuretico Incoherence=0.000017

*Confronto diretto e indiretto CCB: calcio antagonisti Modificato da ref. 6

Figura 2

16

relativo di sviluppare diabete che si associa con il rischio pro-diabetogeno di alcune classi di farmaci antiipertensivi (es.diuretici e beta-bloccanti). Tra le diverse strategie di prevenzione della malattia diabetica nella popolazione generale, ma in particolare nei pazienti con intolleranza glucidica, vanno annoverate innanzitutto le modificazioni dello stile di vita (dieta, attività fisica, ecc.) e secondariamente l’impiego di alcune classi di farmaci in grado di migliorare la sensibilità insulinica periferica sia agendo sul versante glicemico (metformina) sia interferendo in maniera indiretta su meccanismi coinvolti nel controllo della sensibilità insulinica come il sistema Renina-angiotensina-aldosterone (RAS), di particolare interesse nei pazienti affetti anche da ipertensione. Le prime evidenze di una efficacia preventiva nei confronti dello sviluppo di diabete attraverso la modulazione RAS nascono da una serie di studi di intervento con ACE-inibitori e sartani i cui risultati sono riassunti in una ampia meta-analisi (Figura 2)


Anno II - N. 2, 2010

verificare l’impatto preventivo del trattamento con 15 mg di ramipril sullo sviluppo di nuovo diabete ed i cui risultati non hanno 0.6 confermato la ipotesi di partenza, non HR 0.91 (CI 0.81-1.03); P=0.15 0.5 essendo stato il trattamento con ACE-inibitore in grado di prevenire lo sviluppo della 0.4 Placebo malattia diabetica (Figura 3). Più recente0.3 mente lo studio NAVIGATOR (8) ha affronta0.2 to lo stesso quesito utilizzando un doppio Ramipril braccio di trattamento fattoriale che inclu0.1 deva però un inibitore recettoriale della 0.0 angiotensina II in luogo dell’ACE-inibitore 0 1 2 3 4 ancora in una popolazione di pazienti con Anni intolleranza glucidica definita dalla presenModificato da ref. 7 za di glicemia a digiuno compresa tra 95 e 126 mg/dL associata a 1 o più fattori di Figura 3 rischio CV (se età ≥ 55 anni) o alla presenza di patologia cardiovascolare pregressa (se Incidenza di nuovi casi di diabete nello studio NAVIGATOR-Valsartan età ≥ 50 anni). La diagnosi di intolleranza glucidica è stata poi confermata in tutti i 50% Hazard Ratio = 0,86 (IC 95% 0,80-0,92) pazienti attraverso la esecuzione di una P < 0,001 Placebo 40% curva da carico orale di glucosio considera-14% ta positiva in presenza di livelli glicemici di 30% almeno 140 mg/dL dopo 2 ore. Il farmaco in Valsartan studio, Valsartan, è stato somministrato ad 20% una dose di 160 mg una volta al dì incominciando con una dose iniziale di 80 mg/die 10% Placebo 1722 eventi (36.8%) ed incrementando la stessa dopo 2 settimaValsartan 1532 eventi (33.1%) ne. L’obiettivo primario dello studio è stato 0% duplice e rappresentato da: 1) incidenza di 0 1 2 3 4 5 6 nuovi casi di diabete mellito (glicemia a Anni dalla randomizzazione digiuno ≥ 126 mg/dL o glicemia 2 ore dopo N. a rischio carico orale ≥ 200 mg/dL e confermata Valsartan 4631 3784 3335 2857 2511 2208 1533 dopo 12 settimane da un test di tolleranza Placebo 4675 3743 3248 2717 2366 2070 1403 glucidica) e 2) frequenza di complicanze Modificato da ref. 8 cardiovascolari maggiori sia in versione più ampia (mortalità CV, infarto miocardico, Figura 4 ictus, scompenso cardiaco, rivascolarizzazio(6) che dimostra come tale strategia di intervento si associ ne coronarica e angina) sia in versione più ristretta (come ad una riduzione del rischio relativo di malattia diabetica. Il sopra senza end-point coronarici). I risultati dello studio limite di tale approccio è rappresentato dalla natura prevalentemente retrospettiva o post-hoc delle evidenze che I risultati dello studio Navigator sono stati estremamente sono derivate da studi di intervento finalizzati alla verifica di interessanti e hanno dimostrato una riduzione del 14% obiettivi primari di mortalità e morbilità cardiovascolare. Il (p<0.001) della incidenza di nuovi casi di diabete nella primo studio prospettico condotto in pazienti con intollepopolazione di pazienti trattati con valsartan. ranza glucidica è stato lo studio DREAM (7) finalizzato a Incidenza di diabete (%)

Rischio cumulativo

Incidenza di nuovi casi di diabete nello studio DREAM-Ramipril

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Intervallo di latenza tra la comparsa di iperglicemia e sviluppo di complicanze cardiovascolari nella popolazione diabetica 500

Milioni di pazienti

450

No. con diabete

400

No. con complicanze

350 300 250 200 150 100 50 0 0

5

10

15

20

30 25 Tempo (anni)

35

40

45

50

Modificato da ref. 9

Figura 5 sono stati estremamente interessanti e hanno dimostrato una riduzione del 14% (p<0.001) della incidenza di nuovi casi di diabete nella popolazione di pazienti trattati con valsartan (Figura 4) che si è confermata in tutti i sottogruppi di pazienti presi in considerazione a dimostrazione di una strategia efficace conseguente alla molecola impiegata ed al suo meccanismo d’azione specifico. In aggiunta la riduzione della incidenza di diabete si è associata ad un migliore controllo del profilo glicemico a riposo e da carico e dei valori di pressione arteriosa nella popolazione di soggetti trattati con valsartan mentre la incidenza di complicanze cardiovascolari è risultata sovrapponibile in ragione del profilo di rischio intermedio della popolazione e del gap temporaneo di alcuni anni che solitamente intercorre tra la comparsa di alterazioni patologiche del profilo glicemico e lo sviluppo di complicanze cardiovascolari conseguenti (Figura 5) (9). Tuttavia una analisi dettagliata della incidenza dei diversi eventi cardiovascolari componenti l’obiettivo primario dello studio dimostra La riduzione della incidenza di diabete si è associata ad un migliore controllo del profilo glicemico a riposo e da carico e dei valori di pressione arteriosa nella popolazione di soggetti trattati con valsartan.

18

come la incidenza della complicanza più pressione-sensibile e cioè la incidenza di ictus presenti un trend alla riduzione che rasenta la significatività statistica a dimostrazione di un impatto favorevole della riduzione pressoria e della complessità del rischio cardiovascolare nei pazienti con malattia diabetica di nuova insorgenza (Figura 6). Complessivamente quindi lo studio NAVIGATOR ha dimostrato come la somministrazione di valsartan nella importante popolazione di soggetti con intolleranza glucidica possa influire favorevolmente contribuendo ad arrestare la progressione della storia naturale della malattia diabetica con evidenti vantaggi in termini di rischio cardiovascolare e implicazioni cliniche e metaboliche. L’aspetto più interessante che si cela alle spalle del risultato clinico eclatante è certamente rappresentato dalla analisi delle motivazioni che stanno alla base del successo di valsartan come antiipertensivo a fronte del risultato di segno contrario ottenuto da una diversa modulazione del blocco RAS ottenuta dallo studio DREAM. La ragione più plausibile sta nella natura fisiopatologica del blocco recettoriale AT1 in grado di rimuovere gli effetti negativi della angiotensina II nei confronti del recettore per la insulina e di limitare la resistenza insulinica responsabile dello sviluppo di iperglicemia e, potenzialmente, di diabete. Tale effetto sarebbe particolarmente spiccato nei pazienti trattati con valsartan in ragione


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End-point cardiovascolari compositi nello studio NAVIGATOR-Valsartan Pazienti (n [%]) con eventi Valsartan N=4631

Non-valsartan N=4675

rischio relativo (95%CI)

valore p*

Incidenza di diabete

1532 (33.1) 1722 (36.8)

0.86 (0.80 - -0.92)

<0.0001

Endpoint CV esteso

672 (14.5)

693 (14.8)

0.96 (0.86 - 1.07)

0.22

Endpoint CV composito

375 (8.1)

377 (8.1)

0.99 (0.86 - 1.14)

0.42

Morte CV

128 (2.8)

116 (2.5)

1.09 (0.85 - 1.40)

0.74

IM (fatale o non-fatale)

138 (3.0)

140 (3.0)

0.97 (0.77 - 1.23)

0.41

Ictus (fatale o non-fatale)

105 (2.3)

132 (2.8)

0.79 (0.61 - 1.02)

0.04

Ospedalizzazione CHF

91 (2.0)

94 (2.0)

0.97 (0.72 - 1.29)

0.41

Ospedalizzazione per AI

242 (5.2)

234 (5.0)

1.02 (0.86 - 1.23)

0.60

Rivascolarizzazione

316 (6.8)

331 (7.1)

0.94 (0.80 - 1.10)

0.21

0.5

0.64 0.8 Favore valsartan

1

1.25 1.58 2 Favore non-valsartan

* Unadjusted one-sided testing

Modificato da ref. 8

Figura 6

della elevata selettività recettoriale AT1/AT2 che il farmaco presenta anche nei confronti di altre molecole della stessa classe. Complessivamente lo studio NAVIGATOR relativamente all’impatto del trattamento con valsartan, dimostra come sia possibile prevenire o ritardare lo sviluppo di diabete di tipo II attraverso un intervento basato sull’impiego di un farmaco in grado di svolgere contemporaneamente la funzione di modulatore cardiovascolare e metabolico. Tutto ciò ha importanti implicazioni di ordine clinico, ma anche economico in quanto prefigura una situazione nella quale lo stesso farmaco sia in grado di correggere contemporaneamente più fattori di rischio promuovendo una nuova strategia di trattamento del rischio cardiovascolare in cui la correzione del difetto fisiopatologico e non della sua espressione clinica diventa il reale bersaglio della terapia. Lo studio NAVIGATOR dimostra come sia possibile prevenire o ritardare lo sviluppo di diabete di tipo II attraverso un intervento basato sull’impiego di un farmaco in grado di svolgere contemporaneamente la funzione di modulatore cardiovascolare e metabolico.

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Significato clinico della resistenza ed automisurazione della pressione arteriosa Prof. Claudio Ferri, Dr. Davide Grassi Università dell’Aquila, Dipartimento di Medicina Interna e Sanità Pubblica, Ospedale San Salvatore, L’Aquila

Come è noto, in modo tanto arbitrario quanto condiviso si definisce ipertensione arteriosa “resistente” oppure “refrattaria” al trattamento antiipertensivo ogni condizione clinica in cui quest’ultimo, condotto simultaneamente con mezzi tanto farmacologici quanto non farmacologici, non sia stato in grado di normalizzare i livelli di pressione arteriosa sistolica e diastolica (1). In particolare, per aderire perfettamente alla definizione di ipertensione resistente è necessario non solo che il trattamento sia fondato sulla duplice componente non farmacologica e farmacologica, bensì anche che quest’ultima sia composta da almeno tre farmaci, prescritti a dosi idonee e di cui uno dovrebbe essere un diuretico (1,2). Personalmente, abbiamo già segnalato come sarebbe più proprio definire resistente ogni forma di ipertensione arteriosa non normalizzata da un idoneo trattamento antiipertensivo (3), ma ciò ha relativamente poca importanza. Quello che ha più rilevanza, invece, è precisare come l’ipertensione resistente sia un reale problema per la pratica clinica quotidiana, la cui prevalenza è però decisamente minore rispetto a quanto comunemente si pensi. La resistenza, infatti, non va confusa né con il mancato controllo della pressione arteriosa, né con la falsa resistenza (Tabella 1). Nel primo caso, infatti, il livello pressorio è effettivamente elevato, ma ciò in ragione di una

causa, sovente non diagnosticata, ma più o meno facilmente rimuovibile, che ostacola il corretto “funzionamento” della terapia antiipertensiva. Pertanto, è verosimile che, nel contesto di una popolazione ipertesa ambulatoriale etichettata come resistente, e per questo inviata ad un Centro di riferimento, poco più del 40% sia realmente tale (4). Di questo 40%, poi, solo la metà circa manifesterà una elevazione pressoria decisamente consistente anche successivamente alle idonee modificazioni terapeutiche (Figura 1) (4). Nella popolazione generale di ipertesi, invece, i pochi studi in merito sembrano indicare come la prevalenza della vera resistenza sia stimabile intorno al 15% (3). Ciò fermo restando che tale percentuale è meramente indicativa, essendo, ad esempio, atteso che essa si riduca nel giovane ed aumenti con l’avanzare dell’età e, quindi, del danno d’organo. Considerato tutto quanto sopra, appare evidente come la falsa resistenza e la resistenza conseguente ad una causa tanto identificabile quanto rimuovibile siano più comuni della vera resistenza, in cui la pressione arteriosa è, sia per una causa nota, ma non rimuovibile, sia per una causa non identificabile, assolutamente non normalizzabile con la terapia. Fondamentale, in tal senso, appare quindi essere l’identificazione certa di quella fetta di pazienti ipertesi affetti

Si definisce resistente ogni forma di ipertensione arteriosa non normalizzata da un idoneo trattamento antiipertensivo.

Nella popolazione generale di ipertesi, invece, i pochi studi in merito sembrano indicare come la prevalenza della vera resistenza sia stimabile intorno al 15%.

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Cause di ipertensione arteriosa resistente A) Resistenza vera (con livelli pressori effettivamente elevati) 1) Resistenza “vera” [idiopatica oppure legata a danno d’organo irreversibile (esempio: insufficienza renale cronica, sclerosi dei grossi vasi, etc.)] 2) Assenti o scarse modificazioni dello stile di vita 3) Mancata assunzione della terapia prescritta 4) Assunzione di farmaci/sostanze in grado di aumentare la pressione arteriosa (esempio: cocaina, antiinfiammatori non steroidei, etc.) 5) Sindrome delle apnee notturne 6) Ipertensione secondaria non diagnosticata oppure non rimuovibile B) Resistenza falsa (con livelli pressori effettivamente normali) 1) Ipertensione cosiddetta da camice bianco 2) Errata misurazione pressoria (esempio: uso di bracciali standard per gli obesi, etc.) 3) Pseudoipertensione Modificata da ref. 1

Tabella 1

Prevalenza di vera resistenza al trattamento in una popolazione di ipertesi “selezionati” 80

Percentuale di pazienti

70

≤160/95 mmHg (28.3%)

Pazienti con pressione arteriosa comunque ridotta

60 50

≤140/90 mmHg (50.3%)

40 30 20 >160/95 mmHg (21.4%)

10 0 Falsa resistenza

Resistenza vera

In una coorte selezionata di 700 pazienti ipertesi, consecutivamente inviati ad un Centro di riferimento per la diagnosi e cura dell’ipertensione arteriosa perché etichettati come non responsivi al trattamento, è stato possibile identificare poco meno della metà di “veri resistenti”. La separazione fatta in base alla persistenza di valori sisto-diastolici < oppure >160/95 mmHg è meramente indicativa ed arbitraria, ricalcando la oggi desueta definizione di “ipertensione borderline”. Modificato da ref 4

Figura 1

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da falsa resistenza. In tali pazienti, come abbiamo già scritto, ad essere elevato è solo il rilievo pressorio nell’ambulatorio medico. Per quanto non esclusivamente, tale ingannevole rilievo è soprattutto conseguente ad una cosiddetta “reazione da camice bianco” (Tabella 1). Pertanto, un consistente ruolo clinico è progressivamente assunto dall’automisurazione della pressione arteriosa. Questa, infatti, è non sempre, ma molto frequentemente assai efficace nell’identificare con chiarezza i pazienti con “ipertensione da camice bianco”. Secondo le Linee Guida per la gestione dell’ipertensione arteriosa a cura della Società Europea dell’Ipertensione Arteriosa/ Società Europea di Cardiologia (1) l’automisurazione pressoria va scoraggiata solo nel caso generi ansia o porti il paziente ad autogestirsi in modo incongruo. Per converso invece, la stessa automisurazione viene decisamente incoraggiata perché in grado tra l’altro di a) migliorare la compliance al trattamento, b) fornire indicazioni migliori rispetto alla pressione misurata dal medico nel proprio ambulatorio (cosiddetta pressione “clinica”) sulla efficacia di


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Un paziente, infatti, sarà effettivamente resistente al trattamento solo in presenza di valori pressori domiciliari ≥135/85 mmHg, cioè gli stessi che separano l’ipertensione dalla normotensione.

Fondamentale, pertanto, è avvalersi di strumenti validati, evitando sia quelli “da polso” che “da dito” e rivolgendo l’attenzione, invece, verso quelli “tradizionali” da braccio.

una determinata terapia, c) dare informazioni sulla prognosi nettamente superiori rispetto alla pressione arteriosa clinica e, infine, d) risolvere efficacemente eventuali dubbi che siano derivati da altre forme di misurazione, anche effettuate nel contesto delle 24 ore (1). In questo ambito, è opportuno ricordare come i valori di normalità dell’automisurazione pressoria non siano quelli “tradizionali”. Un paziente, infatti, sarà effettivamente resistente al trattamento solo in presenza di valori pressori domiciliari ≥135/85 mmHg, cioè gli stessi che separano l’ipertensione dalla normotensione (5). Per quanto attiene, invece, il tipo di apparecchiatura, è opportuno ricordare come diversi tra gli apparecchi in commercio siano altrettanto affidabili di quelli usati per il monitoraggio dinamico nelle 24 ore, ma - a differenza di questi - assai meno costosi e disponibili. Fondamentale, pertanto, è avvalersi di quelli validati, evitando sia quelli “da polso” che “da dito” e rivolgendo l’attenzione, invece, verso quelli “tradizionali” da braccio (5). Il bracciale, a tale proposito, deve essere in grado di ricoprire almeno i 3/4 del braccio (circa l’80%), senza eccedere però i 4/4 del medesimo, ed avendo una larghezza che sia grosso modo la metà della lunghezza (5). Gli apparecchi più raccomandabili sono quelli automatici oppure semi-automatici, che siano validati in accordo ad un protocollo scientificamente condiviso (5), fondati sul metodo oscillometrico e non su quello auscultatorio, messi in commercio con un “corredo” di cuffie appropriate e, infine, eventualmente dotati di una utile memoria interna e/o di possibilità di scrittura e/o teletrasmissione rapida - in forma numerica oppure grafica - dei valori pressori (5). In conclusione, l’ipertensione resistente al trattamento è un reale problema clinico, assai meno frequente però di quanto non si ritenga comunemente. Questo sia a causa della resistenza conseguente ad una causa non correttamente investigata (Tabella 1), sia della comune insorgenza di forme di falsa resistenza. Ciò stante, l’uso dell’automisurazione pressoria a livello del braccio mediante apparecchi automatici e semi-automatici vali-

dati rappresenta un utilissimo supporto per il clinico pratico, ovviamente purché tali apparecchi siano correttamente usati, ai fini della corretta separazione tra resistenti veri e resistenti falsi. A tale proposito, per quanto tali apparecchi siano di uso più che semplice, riteniamo utile concludere con un ultimo, semplice avvertimento: quello di verificare sempre che il paziente sia effettivamente in grado di misurare correttamente la propria pressione, assumendo quindi inizialmente il compito di suo insegnante. BIBLIOGRAFIA 1. Mancia G, De Backer G, Dominiczak A, Cifkova R, Fagard R, Germano G, Grassi G, Heagerty AM, Kjeldsen SE, Laurent S, Narkiewicz K, Ruilope L, Rynkiewicz A, Schmieder RE, Boudier HA, Zanchetti A; ESH-ESC Task Force on the Management of Arterial Hypertension. 2007 ESH-ESC Practice Guidelines for the Management of Arterial Hypertension: ESH-ESC Task Force on the Management of Arterial Hypertension. J Hypertens. 2007;25(9):1751-62. 2. Calhoun DA, Jones D, Textor S, Goff DC, Murphy TP, Toto RD, White A, Cushman WC, White W, Sica D, Ferdinand K, Giles TD, Falkner B, Carey RM. Resistant hypertension: diagnosis, evaluation, and treatment. A scientific statement from the American Heart Association Professional Education Committee of the Council for High Blood Pressure Research. Hypertension. 2008; 51(6):1403-19. 3. Ferri C, Ferri L, Tiberti S, Desideri G, Grassi D: The epidemiology of resistant hypertension. In press. 4. Cuspidi C, Lonati L, Sampieri L, Macca G, Valagussa L, Zaro T, Michev I, Salerno M, Leonetti G, Zanchetti A. Blood pressure control in a hypertension hospital clinic. J Hypertens. 1999; 17(6): 835-41. 5. Parati G, Stergiou GS, Asmar R, Bilo G, de Leeuw P, Imai Y, Kario K, Lurbe E, Manolis A, Mengden T, O'Brien E, Ohkubo T, Padfield P, Palatini P, Pickering T, Redon J, Revera M, Ruilope LM, Shennan A, Staessen JA, Tisler A, Waeber B, Zanchetti A, Mancia G; ESH Working Group on Blood Pressure Monitoring. European Society of Hypertension guidelines for blood pressure monitoring at home: a summary report of the Second International Consensus Conference on Home Blood Pressure Monitoring. J Hypertens. 2008;26(8):1505-26.

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Il misuratore della pressione Omron M6 comfort è Clinicamente validato secondo i protocolli della European Society of Hypertension e della British Hypertension Society, anche per popolazioni speciali come obesi e anziani*.

Le validazioni cliniche sono conseguenza della grande accuratezza e ripetibilità delle misurazioni eseguite con lo strumento, garantite dagli esclusivi sensori Omron che rilevano pulsazioni irregolari, movimenti anomali del braccio e corretto posizionamento del bracciale: i principali fattori di inaccuratezza degli sfigmomanometri digitali. L’esclusivo BRACCIALE COMFORT preformato assicura un’eccellente aderenza al braccio e, grazie alla doppia camera d’aria, una compressione del braccio più breve, non dolorosa ed estremamente efficace; adatto anche al paziente obeso per il quale non è richiesto un bracciale apposito. Display di grandi dimensioni, unico bottone di funzionamento e memorie automatiche per rendere estremamente semplice l’utilizzo anche per un pubblico anziano.

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La partecipazione del paziente iperteso al suo trattamento: il ruolo delle emozioni nell’automonitoraggio pressorio Dr.ssa Lucia Lukolic Gruppo di Ricerca in Psicometria, Assessment e Testistica, Dipartimento di Psicologia, Bologna

La valutazione dell’impatto della malattia sulla vita quotidiana in termini di modificazioni “limitazioni del comportamento”rappresenta a mio avviso il crocevia dove le conoscenze tecniche del medico e dello psicologo devono integrarsi affinchè il trattamento attuato non perda di vista tre punti fondamentali: 1. Maggiore compliance farmacologica 2. Maggiore comprensione della malattia 3. Modificazione degli stili di vita. Esso rappresenta anche il nucleo attorno al quale ruota il concetto di soddisfazione che è strettamente relato al concetto di aderenza. L’aderenza è il punto cruciale del processo terapeutico è il filtro attraverso il quale le indicazioni del medico divengono terapia. Essa rappresenta il motore attraverso il quale produrre dei cambiamenti sostanziali nella vita del paziente e soprattutto in presenza di patologie croniche come l’ipertensione. L’uso di apparecchi per l’automisurazione possono incoraggiare il paziente a partecipare attivamente al trattamento, quindi ad essere aderente. Quindi partecipare in maniera collaborativa con il medico . Questo consente il costruirsi di una relazione caratterizzata da un buon grado di condivisione delle scelte terapeutiche. Un’utile cornice di riferiL’aderenza è il punto cruciale del processo terapeutico è il filtro attraverso il quale le indicazioni del medico divengono terapia.

mento attraverso la quale inquadrare la tematica dell’aderenza è la teoria dell’autoregolazione (self-regulation) la quale attribuisce al paziente un ruolo attivo, decisionale e partecipativo nella gestione della sua salute. Cosa intendiamo per modificazione degli stili di vita? Spesso i professionisti della salute si trovano di fronte alla necessità di rendere i pazienti consapevoli delle conseguenze delle loro abitudini e di proporre dei cambiamenti, spesso radicali , al loro stile di vita. Intendiamo, quindi, un processo (e non la semplice sommatoria di singoli comportamenti) di interdipendenza tra il sistema di cognizioni e stati affettivi e come la persona si senta rispetto alla possibilità di cambiare. A tal fine è necessario valutare l’importanza attribuita al cambiamento e la fiducia di riuscirci. Alcune persone hanno bisogno di più tempo per analizzare l’importanza del cambiamento; altre sono già convinte del fatto che dovrebbero cambiare e lo vogliono, ma hanno bisogno di aiuto per costruire la fiducia nella loro capacità di cambiare. In aggiunta a ciò i professionisti della salute dovrebbero tenere presente che in ogni processo di partecipazione attiva del paziente al suo trattamento vi sono due compiti che lo attraversano completamente e sono:1. Fornire informazioni 2. Abbassare le resistenze (Fig. 1). L’idea della disponibilità al cambiamento, che deriva dal modello degli stadi del cambiamento (Prochanska e Di Clemente, 1983, 1986; Di Clemente e Prochanska, 1998), è

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Modello degli stadi del cambiamento

Aspetti determinanti dei colloqui sul cambiamento comportamentale

Precontemplazione

Valutare l’importanza del cambiamento e la fiducia di riuscire ad attuarlo

Esplorare l’importanza del cambiamento

Costruire la fiducia nelle proprie capacità

Riduzione della resistenza

Scambio informativo

Stabilire un rapporto

Contemplazione

Determinazione

Azione

Figura 1

stato un utile punto di partenza per comprendere la motivazione, per capire quale fosse il miglior modo per lavorare con i pazienti. A seconda del livello di disponibilità al cambiamento presentano bisogni differenti e dovrebbero essere trattati di conseguenza. I modelli degli stadi del cambiamento è un tentativo di descrivere la disponibilità e il modo in cui i pazienti si muovono nei processi decisionali e nel cambiamento dei loro comportamenti. Le persone che stanno mettendo in atto un cambiamento comportamentale è utile descriverle come se si muovessero attraverso una serie di stadi: dalla precontemplazione fino all’azione e al mantenimento (Fig. 2). Questo modello può essere utile non tanto per la definizione precisa degli stadi, ma per il fatto che mette a disposizione indicazioni generali: ad esempio, se un paziente non è disponibile a cambiare, parlare di azione sarà inutile e controproducente. I bisogni del paziente variano a seconda della posizione in cui si trovano lungo questo processo. La sfida dei professionisti della salute è allora quella di mantenere una congruenza con il livello di disponibilità al cambiamento dell’individuo. Se noi capovolgiamo il problema, ci troveremo a chiedere: che cosa accade quando il professionista non riesce ad essere congruente, quando parla in modo che non è in sintonia con il livello di disponibilità del paziente? Ciò che dovremmo aspettarci sono delle resistenze. Con questo termine faccio riferimento ad un insieme di comportamenti osservabili come: negare, mettere in discussione, sollevare obiezioni, mostrare riluttanza.

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Mantenimento

Figura 2 L’ipotesi che vede il paziente come un soggetto attivo del suo processo di cura e orientato al benessere psichico e fisico ha come sua cornice di riferimento un approccio centrato sul paziente. Esso prevede l’utilizzo dell’ascolto attivo (reciproco tra paziente e operatori) (Fig. 3). La nuova medicina centrata sul paziente (3) ha spostato il ruolo del paziente da recettore passivo delle prescrizioni mediche a partecipante attivo nella cura della propria salute. L’automonitoraggio e l’autoregolazione del paziente prevedono il superamento delle resistenze, il passaggio delle informazioni e un adeguato percorso alla motivazione, essa rappresenta il livello manifesto della disponibilità al cambiamento (Millier e Rollnick, 1991). Così l’esperienza clinica mostra sempre più chiaramente i vantaggi di utilizzare, da parte degli operatori sanitari, un’ottica clinica consistente nel considerare i pazienti non più contenitori passivi di consigli ma piuttosto partecipanti attivi. Un approccio centrato sul paziente nella cura dell’ipertensione si fonda quindi sul coinvolgimento motivato, il coinvolgimento attivo, collaborativo tra paziente e operaL’uso di apparecchi per l’automisurazione possono incoraggiare il paziente a partecipare attivamente al trattamento, quindi ad essere aderente. Questo consente il costruirsi di una relazione caratterizzata da un buon grado di condivisione delle scelte terapeutiche


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La motivazione alla cura

Essa è l’insieme dei fattori intrapsichicie relazionali che concorrono ad attivare e mantenere comportamenti volti al “curarsi” e “prendersi cura di sé)

Figura 3 tori che non necessariamente deve essere di tipo emotivo, non esclusivamente pragmatico del fare o meno alcune prescrizioni, non solamente finalizzato alla cura o alla salute di tutti gli aspetti della malattia, ma finalizzato all’ottimizzazione del trattamento. È in questa ottica che l’uso di apparecchi per l’automonitoraggio del paziente trovano la loro ragione teorica. Pertanto, lo studio delle motivazioni deve rispondere a vari quesiti tra cui: • quali sono quelle variabili motivazionali prevalenti in quel particolare soggetto che possono predire un controllo pressorio a lungo termine più o meno valido? • come promuovere motivazioni adeguate alla cura e al controllo pressorio nei pazienti ipertesi con scarsa adesione al trattamento? Per trovare le risposte e strutturare protocolli di intervento potenzialmente efficaci occorre innanzi tutto tenere conto delle differenze individuali dei pazienti e favorire le motivazioni in relazione a tali differenze. Migliorare la motivazione ad aderire al trattamento è infatti un presupposto essenziale. Alla luce di quanto detto, risulta evidente che le motivazioni autonome garantiscono, per quanto riguarda l’influenza del fattore “motivazione”nella malattia cronica, l’adesione. Il paziente iperteso , inoltre, tende a sviluppare e mantenere le motivazioni autonome quando gli viene fornito un supporto all’autonomia da parte degli operatori sanitari. Così, quando i medici sono percepiti dai loro pazienti come promotori dell’autonomia, i pazienti segnalano maggiore motivazione autonoma nel seguire le preI professionisti della salute dovrebbero tenere presente che in ogni processo di partecipazione attiva del paziente al suo trattamento vi sono due compiti che lo attraversano completamente e sono:1. Fornire informazioni 2. Abbassare le resistenze.

L’automonitoraggio e l’autoregolazione del paziente prevedono il superamento delle resistenze , il passaggio delle informazioni e un adeguato percorso alla motivazione, essa rappresenta il livello manifesto della disponibilità al cambiamento. scrizioni (e di conseguenza migliorano l’adherence) La presenza di motivazioni autonome migliora inoltre il sentimento di maggiore competenza percepita. Si può ormai affermare che è possibile individuare degli strumenti clinici per attivare, sostenere o modificare le motivazioni all’adesione affinché il trattamento divenga o rimanga efficace nel tempo, essi sono: la negoziazione, l’intervista motivazionale e il dialogo aperto. Nel sostenere la motivazione, risulta altamente efficace la negoziazione la quale è basata sull’incoraggiare il paziente a essere più attivo possibile nel prendere decisioni relative al cambiamento dei comportamenti nel campo della salute. La sua applicazione si fonda sulla convinzione che il paziente ottenga maggiori risultati quando viene incoraggiato a essere partecipativo e a stabilire specifici obiettivi per il cambiamento. Inoltre, a differenza della persuasione diretta che rinforza la resistenza al cambiamento stesso, l’operatore incoraggia il paziente a trovare il proprio personale modo di risolvere l’ambivalenza circa il cambiamento richiesto dal trattamento e quindi può attivare ulteriori motivazioni favorevoli al trattamento stesso. Una tecnica utile da usare in questa fase è il brainstorming seguito dal problem solving. Il ruolo delle emozioni negative, cosi come, depressione o ansia nell’eziologia dell’ipertensione è stata supportata da ricerche, per esempio, una popolazione di uno studio su 3310 soggetti normotesi e senza problemi cardiaci mostra che le emozioni negative sono un significativo predittore dell’incidenza dell’ipertensione. Negli ultimi 10 anni, emerge una letteratura che cerca di identificare il ruolo delle emozioni positive nella salute. Nella popolazione anziana, gli studi mostrano che alti livelli di emozioni positive possono ridurre il rischio di incidenza di disabilità e limitazioni alla mobilità, stroke, in tutte le problematiche cardiovascolari e in tutte le cause di mortalità. Conoscere il livello di benessere emotivo di una persona precedente ad un evento patologico sembra essere un buon predittore del recupero funzionale post evento.

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Così, quando i medici sono percepiti dai loro pazienti come promotori dell’autonomia, i pazienti segnalano maggiore motivazione autonoma nel seguire le prescrizioni e di conseguenza migliorano l’aderenza. C'è anche qualche indicazione che, in virtù delle condizioni di stress, le emozioni positive possono aiutare a promuovere le competenze necessarie per l’adeguamento e far fronte al cambiamento di vita. In generale, i risultati indicano un legame tra benessere emotivo e la pressione sanguigna. Sobel ha mostrato l’importanza di utilizzare tecniche psicosociali per migliorare la salute riducendo la necessità di costosi trattamenti medici. Sebbene sia necessaria più ricerca per chiarire le relazioni tra emozioni positive e la pressione del sangue, le terapie comportamentali potrebbero essere considerate come parte di programmi di trattamento non farmacologico per gli individui non attualmente trattati con farmaco antipertensivo con ipertensione da lieve a moderata o come parte di terapia aggiuntiva per i pazienti che sono in trattamento farmacologico con antipertensivi. I risultati di queste ricerche che tentano di valutare i collegamenti tra emozioni positive e abbassamento dei valori pressori sono coerenti con i dati emergenti in letteratura psicologica sul benessere cardiovascolare e la salute. Altri autori hanno anche dimostrato che il benessere psicologico è in grado di prevedere il recupero da patologie cardiovascolari relate. Alcune prove suggeriscono che le emozioni positive promuovono le capacità adattative e incidono sulla resilienza per eventi di vita stressanti. Ryff ha presentato elementi di prova, circa il rapporto positivo tra la capacità individuale di adattarsi ai cambiamenti di vita e il benessere psicologico. Il termine “resilienza”, oggi utilizzato in psicologia, deriva da tradizioni e discipline diverse. In psicologia, la “resilienza” è la capacità di far fronte, resistere, integrare, costruire e riorganizzare positivamente la propria vita nonostante situazioni difficili. È un processo che si costruisce negli individui a seconda della personalità, dei modelli di riferimento, degli apprendimenti, delle eventi di vita (Vaillant, 1993). La resilienza non è solo una “resistenza”, ma la capacità di alcuni individui di ricostruirsi un percorso di vita,

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trovando in sé stessi e nelle loro relazioni, la forza per superare le avversità. Quali sono, pertanto, i fattori di protezione che rendono alcuni individui resilienti? • OTTIMISMO: è la disposizione a cogliere il lato buono delle cose, la tendenza ad aspettarsi un futuro ricco di occasioni positive, la propensione a sminuire le difficoltà della vita, cercando sempre di trovare la soluzione ai problemi. • AUTOSTIMA: una elevata autostima protegge da sentimenti di ansia e depressione e influenza positivamente lo stato di salute fisica. • HARDINESS: tratto di personalità che comprende tre dimensioni: - CONTROLLO: convinzione di essere in grado di controllare l’ambiente circostante e l’esito degli eventi, mettendo in atto tutte le risorse per affrontare le difficoltà. - IMPEGNO: definizione e perseguimento di obiettivi. - SFIDA: visione dei cambiamenti come incentivi e opportunità di crescita. • EMOZIONI POSITIVE: capacità di sostituire gemiti e lamenti con emozioni positive. • SUPPORTO SOCIALE: capacità di costruire relazioni eterogenee e molteplici che possano sostenere l’individuo nei momenti difficili. In situazioni difficili, essere resilienti non significa negare il dolore, ma essere capaci di trasformare una esperienza dolorosa in apprendimento, riorganizzando la propria vita e rendendo tale esperienza una occasione formativa. La “resilienza” può essere appresa, sviluppando l’autostima, l’autoefficacia, l’abilità di tollerare le frustrazioni della vita, la capacità di risolvere i problemi e di produrre cambiamenti, la speranza, la tenacia La resilienza è data dall’interazione tra CIÓ CHE IO HO (risorse esterne), CIÓ CHE IO SONO (forze interiori) e CIÓ CHE IO POSSO FARE. Tutto questo implica cercare nuove opportunità di crescita, assumendosi il rischio di vivere. È in questa ottica che si dovrebbero inquadrare gli interventi tesi a rendere il paziente iperteso come soggetto attivo del suo processo di cura. In psicologia, la “resilienza” è la capacità di far fronte, resistere, integrare, costruire e riorganizzare positivamente la propria vita nonostante situazioni difficili.


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I biomarker emergenti nello scompenso cardiaco Prof. Claudio Rapezzi, Pamela Gallo, Filippo Giovagnoli, Emanuela Leonetti, Francesca Mingardi Istituto di Cardiologia, Dipartimento Cardio Toraco Vascolare, Università degli Studi e Policlinico S.Orsola-Malpighi di Bologna

Lo scompenso cardiaco è una complessa sindrome clinica che origina da disordini cardiaci responsabili di disfunzione diastolica o sistolica. Nel corso dell’ultimo decennio, è apparso sempre più chiaro come la sindrome sia in realtà caratterizzata da una complessa interazione fra fattori biochimici, neurormonali ed infiammatori. In quest’ottica l’analisi di peptidi, enzimi, ormoni, coinvolti nella patogenesi e nella progressione dello scompenso ha suscitato un interesse crescente, rappresentando essi non solo potenziali marker diagnostici, ma anche possibili bersagli terapeutici (Tab. 1). Vecchi e nuovi biomarker: una ricerca in continua evoluzione Il numero dei biomarker è in continua crescita e sono tanti i meccanismi patogenetici in grado di determinare la produzione di queste molecole. La tabella 2 ne riporta una classificazione sulla base del meccanismo di produzione. Marker di infiammazione. L’infiammazione svolge un ruolo importante nella patogenesi e progressione dello scompenso cardiaco e i biomarker propri di questo pro-

Possibili utilizzi dei biomarker nei pazienti con scompenso cardiaco Strumenti di comprensione fisiopatologica Marker diagnostici Marker prognostici Monitoraggio della terapia medica Strumenti per la valutazione della stabilità clinica/emodinamica nel follow up del paziente

Tabella 1

cesso sono stati oggetto di numerosi studi. Il primo di questi è stata la proteina C reattiva, che si è dimostrata elevata in pazienti con scompenso cardiaco acuto e cronico. Per quanto riguarda la diagnosi di scompenso cardiaco, questo marker non è dotato di elevata specificità in quanto risulta aumentato in qualsiasi stato infiammatorio sistemico. Successivamente l’attenzione si è spostaα e le interleukine ta su altri mediatori quali il TNF-α proinfiammatorie 1, 6 e 18, che vengono prodotti nelle cellule nucleate del cuore in risposta ad eventi precipitanti quali gli insulti ischemici. Il meccanismo fisiopatologico ipotizzato passa attraverso l’induzione di necrosi ed apoptosi, accelerando così la progressione verso lo scompenso cardiaco (1). I livelli elevati di TNF-α e IL-6 sono predittivi di futuro sviluppo di scompenso cardiaco in soggetti anziani asintomatici. Il recettore-1 del TNF-α si è dimostrato predittore indipendente di mortalità e scompenso cardiaco, a breve e lungo termine, anche in pazienti affetti da infarto miocardico acuto (2). Le applicazioni terapeutiche sono però deludenti, in quanto il blocco dei recettori del TNF-α non ha dimostrato alcun beneficio (3). Il Fas è un membro della famiglia dei recettori per il TNF-α, i cui valori sono elevati nei pazienti con scompenso cardiaco. È stata dimostrata l’efficacia della somministrazione di agenti immunomodulatori (come la pentossifillina o le immunoglobline intravenose) nel ridurre i livelli sia di Fas che di PCR e nel migliorare la funzione ventricolare nella cardiopatia ischemica e dilatativa (4). Il recettore-1 del TNF-α si è dimostrato predittore indipendente di mortalità e scompenso cardiaco, a breve e lungo termine, anche in pazienti affetti da infarto miocardico acuto.

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razione di questi dati, la proteina rappresenterebbe l’anello di congiunzione in grado di Meccanismo fisiopatologico Biomarker legare macrofagi attivati e miofibroblasti. Nell’applicazione clinica del biomarker, si è INFIAMMAZIONE Proteina C reattiva visto che sebbene l’NT-pro-BNP sia più effiTNF-α Fas (APO-1) cace nella diagnosi di scompenso cardiaco, Interleuchine 1, 6 e 18 la galectina-3 è senz’altro un predittore più Galectina-3 forte in termini di mortalità a breve termine Osteoprotegerina (9). Tuttavia l’utilizzo della galectina-3 come STRESS OSSIDATIVO LDL ossidate marker di scompenso potrebbe essere limiMalonildialdeide Mieloperossidasi tato dalla sua ridotta specificità (ad esempio Metaboliti ossidati della bilirubina l’indicatore è elevato anche in corso di adeIsoprostani urinari e plasmatici nocarcinoma metastatico) (5). RIMODELLAMENTO Metalloproteinasi L’osteoprotegerina (OPG) è una glicoproDELLA MATRICE Inibitori tissutali delle Metalloproteinasi teina appartenente alla super famiglia dei EXTRACELLULARE Procollagene di tipo I, II e III recettori del fattore di crescita tumorale; STIMOLAZIONE Norepinefrina possiede azioni pleiotropiche sul metaboliNEURORMONALE Renina smo osseo, sulla funzione endocrina, sul Angiotensina II Aldosterone sistema immunitario e sembra essere correArginina vasopressina lata a fenomeni di calcificazione vascolare. Endotelina-1 Inibisce il riassorbimento osseo legandosi Cromogranina A come recettore “esca” al ligando RANKL e Adiponectina diminuendone la disponibilità per il recettoDANNO MIOCARDICO Troponine cardiache T ed I re RANK (10). Recentemente l’asse Catena leggera della miosina-1 Proteina cardiaca legante gli acidi grassi OPG/RANKL/RANK è risultato essere coinCPK-MB volto nello sviluppo di insufficienza ventriSTRESS MIOCARDICO BNP colare sinistra. Un recente studio condotto NT-pro-BNP su 2715 soggetti non ospedalizzati, mostraST-2 va che l’OPG era inversamente associata alla Frammento della regione media dell’adrenomedullina frazione di eiezione del ventricolo sinistro in GDF-15 entrambi i sessi (11). I livelli circolanti di Tabella 2 OPG dunque, non sono solo legati all’omeostasi ossea e alla calcificazione vascolare, ma determinerebbero mediante meccanismi infiammatori il progressivo sviluppo di disfunzione ventriNuovi biomarker di infiammazione ancora oggetto colare sinistra (11). di studio sono la galectina-3 e l’osteoprotegerina. Marker di stress ossidativo. Lo stress ossidativo, legato La galectina-3 (gal-3) è una proteina di 26-kDa che fa ad alterazione dell’equilibrio tra sistemi antiossidanti e parte della famiglia delle galectine (5). Viene rilasciata dai specie reattive dell’ossigeno, danneggia le proteine cellumacrofagi ed interagisce con diversi ligandi localizzati lari determinando disfunzione endoteliale, necrosi dei nella matrice extracellulare quali la lamina, l’integrina e il miociti e conseguente progressione dello scompenso carcollagene (6). In corso di scompenso cardiaco si verifica un diaco. Non essendo possibile misurare facilmente i cominnalzamento dei livelli di gal-3. La galectina-3 presenta posti reattivi dell’ossigeno a livello plasmatico, si ricorre al azione fibrogenica in vari organi e tessuti, tuttavia, il mecdosaggio di marker indiretti di stress ossidativo: LDL ossicanismo con cui questo avviene è ancora poco chiaro (7). date, malonildialdeide e mieloperossidasi (indice di attivaNei pazienti con scompenso cardiaco, la gal-3 è correlata zione leucocitaria), metaboliti ossidati della bilirubina, isoin maniera significativa con i livelli sierici dei marker di prostani urinari e plasmatici (1). I livelli di mieloperossiturnover della matrice cellulare (per esempio il peptide dasi ed isoprostani correlano con la severità dello scomamino-terminale del procollagene di tipo I) (8). In consideClassificazione dei biomarker in funzione del meccanismo di produzione

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penso e sono predittori indipendenti di morte per scompenso cardiaco (1). La xantina ossidasi sembra giocare un ruolo patogenetico nello scompenso cardiaco: determina la sintesi di due antiossidanti (ipoxantina e xantina) e la sua attività è correlata all’aumento dell’acido urico plasmatico (1). È stato infatti dimostrato che gli elevati livelli di acido urico plasmatici non solo sono indicatori di alterazione emodinamica, ma sono anche predittori indipendenti di prognosi sfavorevole nello scompenso cardiaco. Marker di rimodellamento. Il rimodellamento ha un ruolo importante nella progressione dello scompenso cardiaco. Attualmente sono conosciute almeno 15 metalloproteinasi e diverse forme di procollagene. Fisiologicamente esiste un equilibrio tra le metalloproteinasi della matrice e i loro inibitori: un disequilibrio in favore delle proteinasi è associato ad un rimodellamento in senso dilatativo, mentre un eccessivo aumento della sintesi di collagene conduce a fibrosi e può portare a disfunzione ventricolare (1). Il procollagene tipo 1, ad esempio, è un biomarker sierico di biosintesi di collagene i cui livelli correlano positivamente con la quantità di fibrosi nella biopsia cardiaca dei pazienti con ipertensione essenziale (12), mentre il procollagene tipo 3 è predittore indipendente di prognosi sfavorevole nello scompenso cardiaco (13). Questi marker sembrerebbero essere importanti target per la terapia. Non è stato ancora chiarito quali di questi siano maggiormente utilizzabili nella pratica clinica. Marker neurormonali. Capisaldi della terapia dello scompenso cardiaco sono il blocco degli effetti del simpatico e del sistema renina-angiotensina-aldosterone. Questa osservazione getta luce sull’importanza della classe di biomarker rappresentata dai neurormoni nella patogenesi dello scompenso cardiaco. Le prime scoperte vedono protagonista la norepinefrina; elevati livelli nei pazienti affetti da scompenso cardiaco congestizio venivano descritti già negli anni sessanta. Altri Autori successivamente illustrarono il perché e gli effetti dell’attivazione del sistema-renina-angiotensina-aldosterone nello scompenso cardiaco (14). Altro componente molto studiato è l’endotelina-1, peptide attivato in circolo a partire da un precursore secreto dall’endotelio vascolare. L’endotelina, Nell’applicazione clinica del biomarker, si è visto che sebbene l’NT-pro-BNP sia più efficace nella diagnosi di scompenso cardiaco, la galectina-3 è senz’altro un predittore più forte in termini di mortalità a breve termine.

Il procollagene tipo 1, è un biomarker sierico di biosintesi di collagene i cui livelli correlano positivamente con la quantità di fibrosi nella biopsia cardiaca dei pazienti con ipertensione essenziale, mentre il procollagene tipo 3 è predittore indipendente di prognosi sfavorevole nello scompenso cardiaco. potenziatrice di molti altri neurormoni, esercita effetti stimolanti sulla proliferazione e contrazione delle cellule muscolari lisce vascolari e sulla formazione di fibrosi a livello ventricolare e vasale (15). I livelli plasmatici di endotelina-1 e della sua molecola progenitrice, elevati in pazienti affetti da scompenso cardiaco, correlano direttamente con la severità di malattia e con la mortalità. Deludenti sono però i risultati della terapia con antagonisti recettoriali dell’endotelina-1 su outcomes clinici (15). Nello studio RALES (Randomized Aldactone Evaluation Study) si è giunti alla documentazione che la somministrazione di spironolattone, anti-aldosteronico, si associa ad una riduzione di procollagene di tipo III plasmatico con benefici in termini di morbidità e mortalità nei pazienti affetti da scompenso cardiaco severo (16). Infine va ricordato che l’arginina vasopressina, il nonapeptide ipotalamico ad azione antidiuretica e vasocostrittrice periferica, i cui valori elevati sono stati riscontrati nello scompenso cardiaco acuto e cronico. L’antagonista recettoriale tolvaptan esercita effetti positivi nell’acuto, ma non pare alterare la storia naturale dello scompenso cardiaco severo (17). La Cromogranina A (CgA), considerata un nuovo promettente biomarker, è una proteina acida sintetizzata insieme ad altri peptidi ormonali nei granuli secretori di numerose cellule endocrine e neuronali. Elevati livelli circolanti di CgA sono stati descritti in pazienti con tumori neuroendocrini, insufficienza renale, epatica, patologie cardiovascolari tra cui scompenso cardiaco e infarto miocardico acuto (18). Recenti evidenze indicano che la Cromogranina A viene processata da enzimi proteolitici specifici nei diversi tessuti in cui è prodotta, dando origine a numerosi peptidi con differenti funzioni biologiche. Pieroni et al. (18) hanno recentemente dimostrato la produzione miocardica di questo ormone nell’uomo: a livello cardiovascolare, il segmento N-terminale della CgA, denominato Vasostatina, agisce inibendo la vasocostrizione e riducendo le resistenze vascolari (anche a livello coronarico). Ha inoltre un effetto inotropo negativo che si oppone all’attivazione beta adrenergica tipica di numerose patologie

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Sintesi e secrezione di BNP e NT-pro-BNP Pre-pro BNP (134 aminoacidi)

NT-proBNP

ProBNP

Peptide segnale

(108 aminoacidi)

(26 aminoacidi)

BNP (forma attiva)

1-76

Figura 1 cardiovascolari.“La CgA è amica o nemica del miocardio?” I dati di Pieroni et al suggeriscono che la CgA potrebbe avere in acuto, un effetto positivo sul miocardio; in cronico, stante l’azione del peptide su fibroblasti e cellule endoteliali, effetti deleteri sul rimodellamento ventricolare secondo un meccanismo dose-dipendente (19). Gli elevati livelli osservati nella popolazione affetta da scompenso cardiaco grave, supportano l’ipotesi che l’iperespressione del peptide possa dunque contribuire alla disfunzione miocardica (18). I livelli sierici di CgA correlano con la severità di disfunzione miocardica e rappresentano un fattore predittivo di mortalità nei pazienti con scompenso cardiaco cronico (18). Interessanti osservazioni in ambito cardiovascolare sono emerse per l’ormone più abbondantemente secreto dal tessuto adiposo, l’adiponectina. I livelli di questa adipocitochina, dalle proprietà cardioprotettive e coinvolta nella regolazione del metabolismo energetico, diminuiscono all’aumentare del BMI (20). Ridotti valori si osservano in pazienti affetti da diabete mellito, sindrome metabolica e malattia coronarica (20). Elevate concentrazioni del biomarker sono state invece riscontrate in pazienti affetti da scompenso cardiaco, con valori ancora più significativi nei pazienti che sviluppano cachessia (21). Un alto livello ormonale è predittore indipendente di mortalità nello scompenso cardiaco cronico, sottolineando un ruolo di marker di peggioramento della malattia (22). Modelli sperimentali hanno mostrato come l’adiponectina medi azioni benefiche nell’apparato cardiovascolare: proprietà antiipertrofiche, miglioramento della funzione vascolare e del rimodellamento patologico, proprietà anti-aterogene. Queste osservazioni hanno spinto a ricercare interventi terapeutici in grado di aumentarne i livelli (con risultati non ancora trasferibili nella pratica clinica) (20,23).

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Marker di danno miocitario. Il danno miocardico può derivare da ischemia e da condizioni di stress per il miocardio, come infiammazione, stress ossidativo ed attivazione neurormonale. I livelli sierici di troponina T ed I, oltre ad essere ampiamente usati per la diagnosi e la stratificazione del rischio in corso di infarto miocardico, sono aumentati anche in corso di scompenso cardiaco senza ischemia (1). La troponina I rimane un predittore indipendente di morte, aggiustato per le altre variabili di prognosi infausta, in corso di scompenso cardiaco (24). Altre proteine miocardiche, come la catena leggera della miosina, la proteina cardiaca legante gli acidi grassi e la frazione MB della creatinchinasi, sono in concentrazioni sieriche aumentate nei pazienti con scompenso cardiaco. Un recente studio ha mostrato che i pazienti con livelli sierici di troponina cardiaca T maggiori di 0,1µg per litro e di troponina cardiaca I maggiori di 1,0 µg per litro presentavano tempi di ospedalizzazione più lunghi, maggior numero di procedure cardiache e maggiore mortalità intraospedaliera (25). Si evince quindi come il dosaggio delle troponine cardiache possa aggiungere importanti informazioni prognostiche nella valutazione iniziale dei pazienti con scompenso cardiaco acuto. Marker di stress emodinamico. I principali peptici natriuretici sono l’ANP (atrial natriuretic peptid), il BNP (Btype natriuretic peptide) e il C-type NP. Mentre l’ANP è sintetizzato e secreto prevalentemente dall’atrio e il BNP dai ventricoli, entrambi i peptidi possono essere sintetizzati dalle due camere cardiache in condizioni patologiche; il Ctype NP invece, deriva primariamente dalle cellule endoteliali (26). In risposta all’espansione di volume e al sovraccarico di pressione, lo stiramento di parete attiva la sintesi di prepro-BNP nel miocardio ventricolare; successivamente il peptide viene trasformato mediante clivaggio in pro-BNP, il quale infine viene scisso nella forma biologicamente attiva (il BNP) e nel frammento amino-terminale inattivo (l’NT-pro-BNP) (Fig. 1). BNP e NT-pro-BNP hanno simili caratteristiche ed entrambi possono essere utilizzati nella gestione clinica dello scompenso cardiaco. In realtà il marker NT-pro-BNP presenta alcuni vantaggi: la sua emivita I livelli sierici di troponina T ed I sono aumentati in corso di scompenso cardiaco senza ischemia. La troponina I rimane un predittore indipendente di morte, aggiustato per le altre variabili di prognosi infausta, in corso di scompenso cardiaco.


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varia da 1 a 2 ore e viene eliminato più lentamente rispetto al BNP, che ha un emivita di circa 20 minuti; inoltre l’NTpro-BNP presenta delle fluttuazioni plasmatiche ridotte rispetto al peptide attivo (26). Il rilascio di BNP svolge un importante ruolo regolatorio nella risposta all’aumento acuto di volume nei ventricoli; agisce contrastando la vasocostrizione, la ritenzione di sodio e gli effetti antidiuretici attivati dal sistema reninaangiotensina-aldosterone. Nella pratica clinica meritano particolare attenzione due condizioni, in grado di per sé di modificare la concentrazione plasmatiche dei peptici natriuretici: l’insufficienza renale e l’obesità. In corso di insufficienza renale vi è un innalzamento dei livelli plasmatici di peptidi natriuretici (NP), che non è semplicemente spiegabile dalla sola riduzione della filtrazione glomerulare. Dati recenti, infatti, suggeriscono che l’aumento dei livelli di NP rappresenterebbe in parte una vera e propria risposta contro-regolatoria del cuore al deficit renale. Per tale motivo i livelli di NP potrebbero essere monitorati nel paziente con patologia renale, proprio in considerazione del forte legame esistente tra funzione renale ed apparato cardiovascolare (27). Lo studio PRIDE mostra che nei pazienti con filtrato glomerulare inferiore a 60 ml\min\1,7cm2 l’NT-pro-BNP è più accurato per porre diagnosi di scompenso cardiaco, utilizzando però un range di normalità più alto (fino a 1.200 pg/ml) (26). Molti studi hanno documentato livelli più bassi di BNP e NT-pro-BNP nei pazienti obesi con o senza scompenso cardiaco, rispetto ai pazienti non obesi. Le ragioni di questa relazione inversa non sono state ancora completamente chiarite. I NP, ad ogni modo, conservano la loro capacità prognostica nei pazienti con elevato BMI, purchè vengano utilizzati dei range di normalità inferiori (26). Altri biomarker che sembrano riflettere lo stress di parete ventricolare sono l’adrenomedullina e l’ST2. L’ST2 prodotto e rilasciato in seguito allo stiramento dei miociti è un membro della famiglia dei recettori dell’interleukina-1. Nei pazienti con scompenso cardiaco l’aumento di ST2 è risultato essere predittore indipendente di morte e di ricorso a trapianto cardiaco (1). Nuovo biomarker correlato allo stress emodinamico è il fattore di crescita GDF-15, che non è normalmente espresso dalle cellule miocitarie, ma è indotto da numerose condizioni quali lo stress ossidativo e le citochine infiammatorie e dal sovraccarico pressorio. Sembra inoltre che abbia un ruolo anti-apoptotico, anti-ipertrofico e antirimodellamento. Il GDF 15 è aumentato nei pazienti con

I livelli plasmatici dei neurormoni hanno mostrato un’accuratezza diagnostica maggiore, nel porre diagnosi di scompenso cardiaco congestizio, rispetto a quella offerta dalla sola valutazione clinica scompenso cardiaco e si è rivelato ugualmente efficace al NT-pro-BNP come predittore di mortalità, soprattutto al primo anno. Non è però miocardio-specifico: altre cellule lo producono in risposta a stress tossico o ambientale. Livelli elevati si sono registrati in gravidanza e patologie maligne. Per questo motivo non può essere utilizzato per la diagnosi ma solo per la stratificazione prognostica. Rimangono ancora da definire i cut off specifici e come l'uso di questo biomarker possa essere introdotto nella pratica clinica per influire sulle decisioni terapeutiche (28). Dalla ricerca sperimentale al letto del paziente: l’attuale collocazione clinica del BNP Nonostante l’ampia letteratura e i numerosi marker oggetto di studio, l’utilizzo clinico, nella maggior parte dei centri, è attualmente limitato al BNP. Disfunzione ventricolare sinistra asintomatica. Sebbene l’ecocardiografia sia il gold standard per la diagnosi di disfunzione ventricolare sinistra, i costi e la limitata disponibilità la rende poco adatta come screening di massa. Diversi studi, invece, hanno evidenziato come la disfunzione ventricolare possa essere identificata in soggetti asintomatici mediante il dosaggio sierico dei peptidi natriuretici. In particolare in virtù del loro alto valore predittivo negativo potrebbero essere impiegati per escludere la diagnosi di scompenso cardiaco nella popolazione asintomatica (29). Mancano, peraltro, informazioni attendibili sui costi dei due approcci e questa possibilità non ha ancora ricevuto una validazione. Diagnosi di scompenso cardiaco acuto e cronico. BNP e NT-pro-BNP rappresentano oggi strumenti diagnostici di preziosa utilità soprattutto nel setting dell’Emergenza. In un ampio studio prospettico, sono stati determinati i livelli di BNP in pazienti che giungevano all’osservazione medica per dispnea ad esordio acuto. I livelli plasmatici dei neurormoni hanno mostrato un’accuratezza diagnostica maggiore, nel porre diagnosi di scompenso cardiaco congestizio, rispetto a quella offerta dalla sola valutazione clinica. Valori di BNP pari a 100 pg/mL conferivano un 90% di sensibilità e un 76% specificità nel differenziare lo scompenso cardiaco da altre cause di dispnea (30). Simile

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nel disegno è lo studio PRIDE (ProBNP Investigation of Dyspnea in the Emergency Departement) che ha dimostrato la elevata valenza diagnostica di NT-pro-BNP per lo scompenso cardiaco acuto. Nei 600 pazienti osservati, tutti giunti al giudizio clinico con un quadro di dispnea, valori di NTproBNP inferiori a 300 pg/Ml permettevano di escludere la diagnosi di scompenso cardiaco acuto; il valore medio del biomarker in quest’ultima condizione superava i 4000 pg/Ml (31). I dati del PRIDE sono anche i primi a dimostrare l’importanza di una interpretazione dei valori dei peptidi natriuretici che tenga conto dell’età, al fine di ottimizzarne l’utilizzo clinico. Risultati positivi si sono ottenuti anche esplorando il rapporto costo-efficacia dell’utilizzo dei peptidi natriuretici in clinica. Due importanti studi hanno infatti dimostrato come la conoscenza dei valori ormonali possa condizionare in modo favorevole il decision making nello scompenso cardiaco acuto, consentendo una pronta e corretta diagnosi, una riduzione del tasso di ospedalizzazione ed una minore durata della degenza in caso di ricovero (32,33). Infine i peptidi natriuretici costituiscono veri e propri fattori prognostici: in pazienti affetti da scompenso cardiaco acuto con funzione sistolica preservata o meno, un elevato livello di BNP è predittore significativo di mortalità intra-ospedaliera, indipendente da altre variabili cliniche e di laboratorio. Livelli maggiori o uguali a 5000 pg/mL si associavano ad un rischio di mortalità intraospedaliera pari all’8.5% in un ampio registro di pazienti affetti da scompenso cardiaco acuto (34). Nello scompenso cardiaco cronico i livelli peptidici offrono informazioni prognostiche su sopravvivenza e sono predittivi di deterioramento funzionale (26). Diagnosi di scompenso con funzione sistolica preservata. I livelli di BNP e NT-pro-BNP sono dati importanti anche nella valutazione nel paziente con scompenso cardiaco diastolico. Essi correlano positivamente con la severità della disfunzione diastolica rilevata all'eco-doppler, aumentando progressivamente dal pattern di rilasciamento anormale, allo pseudonormale, a quello di riempimento restrittivo. Livelli di BNP>100 pg/ml e di NT-pro-BNP>600pg/ml indicano una compromissione moderato/severa della funzione diastolica (35). Tale correlazione costituisce uno strumento addizionale nel porre diagnosi di disfunzione diastolica e giustifica in parte la variabilità individuale dei livelli di peptidi natriuretici nei pazienti con contemporanea disfunzione sistolica (36). I livelli di BNP all'ingresso e alla dimissione forniscono importanti informazioni prognostiche a breve e

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lungo termine. In particolare la presenza simultanea di BNP elevato e disfunzione diastolica con pattern restrittivo alla dimissione è forte predittore di eventi clinici avversi e giustifica un follow-up più accurato nei pazienti con tali caratteristiche (37). Identificazione dei candidati alla chirurgia valvolare. I peptidi natriuretici trovano impiego anche nel setting clinico delle valvulopatie, offrendo informazioni utili per il monitoraggio del paziente pre e post-trattamento chirurgico. I livelli ormonali aumentano con il progredire della severità della valvulopatia e del conseguente remodeling cardiaco. Il BNP è risultato predittore indipendente di mortalità in pazienti affetti da insufficienza mitralica di natura organica (38). Tale peptide sembra promettente nell’ambito della controversa stratificazione del rischio per l’identificazione dei canditati alla chirurgia valvolare. In pazienti asintomatici, affetti da insufficienza mitralica severa organica e con funzione ventricolare sinistra preservata, il BNP pare infatti discriminare un sottogruppo di pazienti a rischio più elevato, facendo sperare in un suo futuro utilizzo nella decisione sul corretto timing chirurgico (39). Nella stenosi aortica, i livelli di NP sono correlati alla severità della valvulopatia, possono predire lo sviluppo di sintomi ed aumentano progressivamente al peggiorare della classe funzionale NYHA. La sopravvivenza nei pazienti sottoposti a trattamento chirurgico è predetta dai valori ormonali, così come la funzione ventricolare sinistra nel post-operatorio. Queste osservazioni hanno sollevato la possibilità di utilizzare i NP per definire i tempi della chirurgia nella stenosi aortica (40). Monitoraggio della terapia medica dello scompenso. Il dosaggio dei peptidi natriuretici, specialmente del BNP e del NT-proBNP, si è rivelato un importante strumento nella diagnosi e nella stratificazione del rischio dei pazienti con scompenso cardiaco. Vi è ancora ampio dibattito sul potenziale ruolo dei peptidi nel monitoraggio terapeutico dei pazienti con scompenso cardiaco (41). È importante sottolineare che i peptidi natriuretici non giocano un ruolo patogenetico nello scompenso cardiaco ma aumentano come risposta compensatoria a sovraccarico pressorio-volumetrico, con effetto protettivo. La riduzione della concentrazione I livelli di BNP e NT-pro-BNP correlano positivamente con la severità della disfunzione diastolica rilevata all'ecodoppler, aumentando progressivamente dal pattern di rilasciamento anormale, allo pseudonormale, a quello di riempimento restrittivo.


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dei peptidi quindi riflette un miglioramento dello stress di parete del ventricolo (41). È stato dimostrato come numerose terapie, con provati benefici nei pazienti con scompenso cardiaco (ACE inbitori, sartani, spironolattone e terapia di risincronizzazione), riducano significativamente i livelli di peptidi natriuretici circolanti e, parallelamente, si associno ad un miglioramento clinico complessivo del paziente (41). Molti specialisti hanno quindi adottato il dosaggio di routine nei pazienti non ricoverati nell’ottica di un monitoraggio dell’efficacia terapeutica dello scompenso cardiaco cronico. Tuttavia gli studi condotti negli ultimi anni non hanno riportato dati uniformi e standardizzabili (41). Nonostante le limitazioni al raggiungimento di un risultato condiviso, l’analisi dei risultati disponibili suggerisce che un monitoraggio terapeutico, guidato dai valori ematici di peptidi natriuretici, può ridurre i ricoveri per scompenso cardiaco acuto nei pazienti con età inferiore ai 75 anni (41). Gran parte dei benefici legati a questo tipo di approccio risiedono nella possibilità di produrre una maggiore aderenza alla terapia, nei controlli più serrati e nella possibilità di modificare la posologia dei farmaci cardine dello scompenso cardiaco sulla base di specifici valori ematici, dosabili e ripetibili. Sono tuttavia necessari studi aggiuntivi con campioni più numerosi per stabilire gli obiettivi del monitoraggio e i benefici clinici effettivi di un approccio farmacologico basato sul dosaggio sistematico dei peptidi (41). I peptidi natriuretici in altre condizioni cliniche. Va sottolineato che il dosaggio plasmatico dei peptidi natriuretici può avere un significato clinico anche al di fuori dello scompenso cardiaco (che rappresenta l’oggetto specifico della presente trattazione). Nelle sindromi coronariche acute si può osservare un aumento dei livelli di peptidi natriuretici anche in assenza di un quadro di scompenso cardiaco. Il grado dell’incremento ormonale puo’ riflettere la severità della disfunzione ventricolare sinistra sottostante (42). I NP hanno un forte valore prognostico in pazienti affetti da malattia coronaria stabile e sono predittori indipendenti di futuri eventi cardiovascolari, ad esempio di mortalità e scompenso cardiaco. Le informazioni prognostiche sono complementari ad altri parametri come l’estensione angiografica della malattia coronaria e la funzione ventricolare sinistra (43). Nell’angina instabile e nell’infarto miocardico acuto il ruolo prognostico dei peptidi è superiore al valore offerto dalle troponine (26). Incrementi dei livelli plasmatici di BNP si possono riscontrare anche nell’embolia polmonare emodinamicamente significativa, a causa dello stress emodinamico a cui è sottoposto il ventricolo destro. Lo stesso meccanismo è ipo-

Potenziali applicazioni cliniche del dosaggio plasmatico di BNP nello scompenso cardiaco Screening della funzione ventricolare sinistra nella popolazione generale Diagnosi di scompenso cardiaco acuto Diagnosi di scompenso cardiaco cronico Stratificazione del rischio per scompenso cardiaco Riconoscimento dello scompenso cardiaco con frazione di eiezione conservata Diagnosi differenziale fra scompenso cardiaco e patologia polmonare Selezione dei candidati alla chirurgia valvolare Monitoraggio dell’efficacia della terapia medica Valutazione della stabilità clinica nel follow-up

Tabella 3 tizzabile per i livelli ormonali registrati nei pazienti affetti da ipertensione polmonare. Nel setting dell’embolia polmonare acuta bassi livelli di peptidi natriuretici possono predire un outcome clinico benigno (44). Conclusioni I biomarker cardiaci sono strumenti che potrebbero aiutare il clinico nella diagnosi, nella stratificazione del rischio, nell’impostazione della terapia della sindrome da scompenso, nonché servire eventualmente come bersaglio terapeutico diretto. Le caratteristiche che un marker dovrebbe avere per essere clinicamente utile (ripetibilità, accuratezza, sensibilità e specificità) non sono però facilmente ritrovabili nella vasta gamma di molecole recentemente emerse. I peptidi natriuretici rimangono attualmente i biomarker maggiormente utilizzabili nella pratica clinica quotidiana (Tab. 3). L’impossibilità quindi di individuare un singolo marker utile per la diagnosi-terapia-stratificazione del rischio, rende sempre più concreta la prospettiva di un approccio “multimarker” coniugato con i dati clinici e l’analisi strumentale. BIBLIOGRAFIA 1. Braunwald E. Biomarkers in heart failure. N Engl J Med 2008;358:2148-59. 2. Valgimigli M, Ceconi C, Malagutti P, et al. Tumor necrosis factor-· receptor 1 is a major predictor of mortality and new-onset heart failure in patients with acute myocardial infarction. Circulation. 2005;111:863-870. 3. Mann DL, McMurray JJ, Packer M, et al. Targeted anticytokine therapy in patients with chronic heart failure: results of the Randomized Etanercept Worldwide Evaluation (RENEWAL). Circulation 2004; 109:1594-602.

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1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE. Micardis 80 mg compresse. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA. Ogni compressa contiene telmisartan 80 mg. Eccipienti: Ogni compressa contiene 338 mg di sorbitolo (E420). Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA. Compresse. Compresse bianche, oblunghe con il codice 52H impresso su un lato ed il logo dell'azienda impresso sull'altro. 4. INFORMAZIONI CLINICHE. 4.1 Indicazioni terapeutiche. Ipertensione. Trattamento dell’ipertensione essenziale negli adulti. Prevenzione cardiovascolare. Riduzione della morbilità cardiovascolare in pazienti con: i) malattia cardiovascolare aterotrombotica manifesta (storia di coronaropatia, ictus o malattia arteriosa periferica) o ii) diabete mellito di tipo 2 con danno documentato degli organi bersaglio. 4.2 Posologia e modo di somministrazione. Trattamento dell’ipertensione essenziale: La dose generalmente efficace è di 40 mg una volta al giorno. Alcuni pazienti possono trarre già beneficio dalla dose di 20 mg una volta al giorno. Nei casi in cui non viene raggiunto il controllo pressorio, la dose di telmisartan può essere aumentata fino ad un massimo di 80 mg una volta al giorno. In alternativa, il telmisartan può essere impiegato in associazione con diuretici tiazidici, come l'idroclorotiazide, con il quale è stato dimostrato un effetto additivo in termini di riduzione della pressione, con l'associazione a telmisartan. Qualora si prenda in considerazione un aumento di dosaggio, si deve tenere presente che il massimo effetto antipertensivo si ottiene generalmente da quattro a otto settimane dopo l'inizio del trattamento (vedere paragrafo 5.1). Prevenzione cardiovascolare: La dose raccomandata è di 80 mg una volta al giorno. Non è noto se dosi di telmisartan inferiori a 80 mg siano efficaci nel ridurre la morbilità cardiovascolare. Quando si inizia la terapia con telmisartan per la riduzione della morbilità cardiovascolare, si raccomanda un attento monitoraggio della pressione arteriosa e se appropriato può essere necessario un aggiustamento della dose dei medicinali che riducono la pressione arteriosa.Telmisartan può essere assunto con o senza cibo. Popolazioni di pazienti speciali. Insufficienza renale: Per i pazienti con insufficienza renale lieve o moderata non è necessario modificare la posologia. L’esperienza in pazienti con grave insufficienza renale o in emodialisi è limitata. In questi pazienti è raccomandata una dose iniziale più bassa pari a 20 mg (vedere paragrafo 4.4). Insufficienza epatica: Nei pazienti con insufficienza epatica lieve o moderata la dose non deve essere maggiore di 40 mg una volta al giorno (vedere paragrafo 4.4). Anziani. Non è necessario modificare la dose nei pazienti anziani. Pazienti pediatrici. L’uso di Micardis non è raccomandato nei bambini al di sotto di 18 anni a causa della mancanza di dati sulla sicurezza e sull’efficacia. 4.3 Controindicazioni. • Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti (vedere paragrafo 6.1). • Secondo e terzo trimestre di gravidanza (vedere paragrafi 4.4 e 4.6). • Ostruzioni alle vie biliari. • Insufficienza epatica grave. 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni di impiego. Gravidanza: La terapia con antagonisti del recettore dell’angiotensina II (AIIRA) non deve essere iniziata durante la gravidanza. Per le pazienti che stanno pianificando una gravidanza si deve ricorrere ad un trattamento antipertensivo alternativo, con comprovato profilo di sicurezza per l’uso in gravidanza, a meno che non sia considerato essenziale il proseguimento della terapia con un AIIRA. Quando viene diagnosticata una gravidanza, il trattamento con AIIRA deve essere interrotto immediatamente e, se appropriato, deve essere iniziata una terapia alternativa (vedere paragrafi 4.3 e 4.6). Insufficienza epatica: Micardis non deve essere somministrato a pazienti con colestasi, ostruzioni alle vie biliari o grave insufficienza epatica (vedere paragrafo 4.3) in quanto telmisartan è principalmente eliminato nella bile. Per questi pazienti è prevedibile una clearance epatica ridotta per telmisartan. Micardis deve essere utilizzato solamente con cautela in pazienti con insufficienza epatica da lieve a moderata. Ipertensione renovascolare: Nei pazienti con stenosi bilaterale dell'arteria renale o stenosi dell'arteria renale afferente al singolo rene funzionante, trattati con un medicinale che influenza il sistema renina-angiotensina-aldosterone, c'è un aumentato rischio di ipotensione grave ed insufficienza renale. Insufficienza renale e trapianto renale: Quando Micardis è somministrato a pazienti con disfunzioni renali, si raccomanda il controllo periodico dei livelli sierici di potassio e di creatinina. Non ci sono dati riguardo la somministrazione di Micardis in pazienti sottoposti di recente a trapianto renale. Ipovolemia intravascolare: Nei pazienti con deplezione di sodio e/o ipovolemia causata da dosi elevate di diuretici, diete con restrizione di sale, diarrea o vomito, si potrebbe verificare ipotensione sintomatica, specialmente dopo la prima dose di Micardis. Tali condizioni vanno corrette prima di iniziare il trattamento con Micardis. Deplezione di sodio e/o ipovolemia devono essere corrette prima di iniziare il trattamento con Micardis. Duplice blocco del sistema renina-angiotensina-aldosterone: Come conseguenza dell’inibizione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, sono state riportate ipotensione, sincope, iperkaliemia e alterazioni della funzionalità renale (inclusa insufficienza renale acuta) in individui sensibili, soprattutto in caso di associazione di prodotti medicinali che influenzano questo sistema. Il duplice blocco del sistema renina-angiotensina-aldosterone (ad es. per aggiunta di un ACE inibitore ad un antagonista del recettore dell’angiotensina II) non è pertanto raccomandato in pazienti con pressione arteriosa già controllata e deve essere limitata a casi individualmente definiti con uno stretto monitoraggio della funzionalità renale. Altre condizioni con stimolazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone: Nei pazienti il cui tono vascolare e la funzione renale dipendono principalmente dall'attività del sistema renina-angiotensina-aldosterone (es. pazienti con grave insufficienza cardiaca congestizia o affetti da malattie renali, inclusa la stenosi dell'arteria renale), il trattamento con medicinali che influenzano questo sistema, come telmisartan, è stato associato ad ipotensione acuta, iperazotemia, oliguria o, raramente, insufficienza renale acuta (vedere paragrafo 4.8). Aldosteronismo primario: I pazienti con aldosteronismo primario generalmente non rispondono a medicinali antipertensivi che agiscono tramite l'inibizione del sistema renina-angiotensina. Quindi, si sconsiglia l'utilizzo di telmisartan. Stenosi della valvola aortica e mitrale, cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva: Come per altri vasodilatatori, si consiglia particolare cautela nei pazienti affetti da stenosi della valvola aortica o mitrale o cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva. Iperkaliemia: L’uso di medicinali che influenzano il sistema renina-angiotensina-aldosterone può causare iperkaliemia. Nei pazienti anziani, nei pazienti con insufficienza renale, nei pazienti diabetici, nei pazienti contestualmente trattati con altri medicinali che possono aumentare i livelli di potassio e/o nei pazienti con eventi intercorrenti, l’iperpotassemia può essere fatale. Prima di considerare l’uso concomitante di medicinali che influiscono sul sistema renina-angiotensina-aldosterone deve essere valutato il rapporto tra il rischio e il beneficio. I principali fattori di rischio che devono essere presi in considerazione per l’iperkaliemia sono: • Diabete mellito, compromissione renale, età (>70 anni). • Associazione con uno o più medicinali che influiscano sul sistema renina-angiotensina-aldosterone e/o integratori di potassio. Medicinali o classi terapeutiche di medicinali che possono provocare iperkaliemia sono: sostitutivi salini contenenti potassio, diuretici risparmiatori di potassio, ACE inibitori, antagonisti del recettore dell’angiotensina II, medicinali antinfiammatori non

steroidei (FANS, inclusi gli inibitori COX-2 selettivi), eparina, immunosopressivi (ciclosporina o tacrolimus) e trimetoprim. • Eventi intercorrenti, in particolare disidratazione, scompenso cardiaco acuto, acidosi metabolica, peggioramento della funzionalità renale, improvviso peggioramento delle condizioni renali (come infezioni), lisi cellulare (come ischemia acuta dell’arto, rabdomiolisi, trauma esteso). Nei pazienti a rischio si raccomanda uno stretto controllo del potassio sierico (vedere paragrafo 4.5). Sorbitolo: Questo medicinale contiene sorbitolo (E420). I pazienti con rari problemi di intolleranza ereditaria al fruttosio non devono assumere Micardis. Differenze etniche: Come osservato per gli inibitori dell'enzima di conversione dell’angiotensina, telmisartan e altri antagonisti del recettore dell'angiotensina II sono apparentemente meno efficaci nel ridurre la pressione arteriosa nei pazienti di colore rispetto agli altri pazienti, forse a causa della maggior prevalenza di stati caratterizzati da un basso livello di renina nella popolazione di colore affetta da ipertensione. Altro: Come con qualsiasi agente antipertensivo, un'eccessiva diminuzione della pressione in pazienti con cardiopatia ischemica o patologia cardiovascolare ischemica potrebbe causare infarto del miocardio o ictus. 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme d’interazione. Sono stati effettuati studi di interazione solo negli adulti. Come altri medicinali che agiscono sul sistema renina-angiotensina-aldosterone, telmisartan può indurre iperkaliemia (vedere paragrafo 4.4). Il rischio può aumentare in caso di associazione ad altri medicinali che pure possono indurre iperkaliemia, sostitutivi salini contenenti potassio, diuretici risparmiatori di potassio,ACE inibitori, antagonisti del recettore dell’angiotensina II, medicinali antinfiammatori non steroidei (FANS, inclusi gli inibitori COX-2 selettivi), eparina, immunosopressivi (ciclosporina o tacrolimus) e trimetoprim. L’insorgenza della iperkaliemia dipende dall’associazione dei fattori di rischio. Il rischio aumenta nel caso di associazione dei trattamenti sopra elencati. Il rischio è particolarmente elevato nel caso di combinazione con diuretici risparmiatori di potassio e quando combinato con sostitutivi salini contenenti potassio. L’associazione, ad esempio, con ACE inibitori o FANS presenta un minor rischio purché si osservino strettamente le precauzioni per l’uso. Uso concomitante non raccomandato. Diuretici risparmiatori di potassio o integratori di potassio: Gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II come telmisartan, attenuano la perdita di potassio indotta dal diuretico. I diuretici risparmiatori di potassio quali spironolattone, eplerenone, triamterene o amiloride, integratori di potassio o sostitutivi salini contenenti potassio possono portare ad un significativo aumento del potassio sierico. Se l’uso concomitante è indicato a causa di documentata ipokaliemia, devono essere somministrati con cautela ed i livelli di potassio sierico devono essere monitorati frequentemente. Litio: Aumenti reversibili delle concentrazioni di litio nel siero e tossicità sono stati riportati durante la somministrazione concomitante di litio con gli inibitori dell’enzima che converte l’angiotensina e con gli antagonisti del recettore dell’angiotensina II, incluso telmisartan. Se l’uso dell’associazione si dimostrasse necessaria, si raccomanda un attento monitoraggio dei livelli sierici del litio. Uso concomitante che richiede cautela. Medicinali antinfiammatori non steroidei: I FANS (cioè l’acido acetilsalicilico a dosaggio antinfiammatorio, inibitori dei COX-2 e FANS non selettivi) possono ridurre l’effetto antipertensivo degli antagonisti del recettore dell’angiotensina II. In alcuni pazienti con funzionalità renale compromessa (ad es. come pazienti disidratati o pazienti anziani con funzionalità renale compromessa) la co-somministrazione di antagonisti del recettore dell’angiotensina II e di agenti che inibiscono la ciclo-ossigenasi può indurre un ulteriore deterioramento della funzionalità renale, inclusa insufficienza renale acuta che è solitamente reversibile. Pertanto la co-somministrazione deve essere effettuata con cautela, soprattutto agli anziani. I pazienti devono essere adeguatamente idratati e deve essere considerato il monitoraggio della funzionalità renale dopo l’inizio della terapia concomitante e quindi periodicamente. In uno studio la co-somministrazione di telmisartan e ramipril ha determinato un aumento fino a 2,5 volte dell’AUC0-24 e della Cmax di ramipril e ramiprilato. La rilevanza clinica di questa osservazione non è nota. Diuretici (tiazide o diuretici dell’ansa): Un precedente trattamento con elevati dosaggi di diuretici quali furosemide (diuretico dell’ansa) e idroclorotiazide (diuretico tiazidico) può portare ad una deplezione dei liquidi ed a un rischio di ipotensione quando si inizi la terapia con telmisartan. Da prendere in considerazione in casi di uso concomitante. Altri agenti antipertensivi: L’effetto ipotensivo di telmisartan può essere incrementato dall’uso concomitante di altri medicinali antipertensivi. Sulla base delle loro caratteristiche farmacologiche ci si può aspettare che i seguenti medicinali possano potenziare gli effetti ipotensivi di tutti gli antipertensivi incluso telmisartan: baclofenac, amifostina. Inoltre l’ipotensione ortostatica può essere aggravata da alcol, barbiturici, narcotici o antidepressivi. Corticosteroidi (per via sistemica): Riduzione dell’effetto antipertensivo. 4.6 Gravidanza e allattamento. Gravidanza: L’uso degli antagonisti del recettore dell’angiotensina II (AIIRA) non è raccomandato durante il primo trimestre di gravidanza (vedere paragrafo 4.4). L’uso degli AIIRA è controindicato durante il secondo ed il terzo trimestre di gravidanza (vedere paragrafi 4.3 e 4.4). Non vi sono dati sufficienti sull’uso di Micardis in donne in gravidanza. Gli studi condotti sugli animali hanno evidenziato una tossicità riproduttiva (vedere paragrafo 5.3). L’evidenza epidemiologica sul rischio di teratogenicità a seguito dell’esposizione ad ACE inibitori durante il primo trimestre di gravidanza non ha dato risultati conclusivi; tuttavia non può essere escluso un lieve aumento del rischio. Sebbene non siano disponibili dati epidemiologici controllati sul rischio con antagonisti del recettore dell’angiotensina II (AIIRA), un simile rischio può esistere anche per questa classe di medicinali. Per le pazienti che stanno pianificando una gravidanza si deve ricorrere ad un trattamento antipertensivo alternativo, con comprovato profilo di sicurezza per l’uso in gravidanza, a meno che non sia considerato essenziale il proseguimento della terapia con un AIIRA. Quando viene diagnosticata una gravidanza, il trattamento con AIIRA deve essere immediatamente interrotto e, se appropriato, si deve iniziare una terapia alternativa. È noto che nella donna l’esposizione ad AIIRA durante il secondo ed il terzo trimestre induce tossicità fetale (ridotta funzionalità renale, oligoidramnios, ritardo nell’ossificazione del cranio) e tossicità neonatale (insufficienza renale, ipotensione, iperkaliemia). (Vedere paragrafo 5.3). Se dovesse verificarsi un’esposizione ad un AIIRA dal secondo trimestre di gravidanza, si raccomanda un controllo ecografico della funzionalità renale e del cranio. I neonati le cui madri abbiano assunto AIIRA devono essere attentamente seguiti per quanto riguarda l’ipotensione (vedere paragrafi 4.3 e 4.4). Allattamento: Poiché non sono disponibili dati riguardanti l’uso di Micardis durante l'allattamento, Micardis non è raccomandato e sono da preferire trattamenti alternativi con comprovato profilo di sicurezza per l’uso durante l’allattamento, specialmente in caso di allattamento di neonati o prematuri. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. Non sono stati effettuati studi sulla capacità di guidare veicoli e di usare macchinari. Comunque, quando si guidano veicoli o si utilizzano macchinari, deve essere tenuto in considerazione che con la terapia antipertensiva potrebbero occasionalmente verificarsi sonnolenza e vertigini. 4.8 Effetti indesiderati. L'incidenza complessiva degli eventi avversi riportati con telmisartan (41,4 %) è stata solitamente confrontabile a quella riportata con il placebo (43,9 %) nel corso di studi clinici controllati, in pazienti trattati per l’ipertensione. L’incidenza degli eventi avversi non era dose correlata e non era correlata al sesso, all'età o alla razza dei pazienti. Il profilo di sicurezza di telmisartan nei pazienti trattati per la riduzione della morbilità cardiovascolare era in linea con quello nei pazienti trattati per l’ipertensione. Le seguenti reazioni avverse al medicinale sono state raccolte dagli studi clinici controllati, effettuati in pazienti trattati per l’ipertensione e da segnalazioni successive alla commercializzazione. L’elenco comprende anche eventi avversi gravi ed eventi avversi che hanno determinato la sospensione del trattamento riportati in tre studi clinici a lungo termine che includevano 21.642 pazienti trattati fino a sei anni con telmisartan per la riduzione della morbilità cardiovascolare. Le reazioni avverse sono state classificate per frequenza ricorrendo alla seguente convenzione: molto comune (≥1/10); comune (≥1/100, <1/10); non comune (≥1/1.000, <1/100); raro (≥1/10.000, <1/1.000); molto raro (<1/10.000), non nota (la frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili).All’interno di ogni raggruppamento di frequenza, le reazioni avverse sono elencate in ordine decrescente di gravità. Infezioni e infestazioni. Non comune: Infezioni del tratto respiratorio superiore incluse faringite e sinusite, infezione del tratto urinario inclusa cistite. Non noto: Sepsi anche con esito fatale1.


Patologie del sistema emolinfopoietico. Non comune: Anemia. Raro: Trombocitopenia. Non noto: Eosinofilia. Disturbi del sistema immunitario. Raro: Ipersensibilità. Non noto: Reazione anafilattica. Disturbi del metabolismo e della nutrizione. Non comune: Iperkaliemia. Disturbi psichiatrici. Non comune: Depressione, insonnia. Raro: Ansia. Patologie del sistema nervoso. Non comune: Sincope. Patologie dell'occhio. Raro: Disturbi della vista. Patologie dell'orecchio e del labirinto. Non comune: Vertigini. Patologie cardiache. Non comune: Bradicardia. Raro: Tachicardia. Patologie vascolari. Non comune: Ipotensione2, ipotensione ortostatica. Patologie respiratorie, toraciche e mediastiniche. Non comune: Dispnea. Patologie gastrointestinali. Non comune: Dolore addominale, diarrea, dispepsia, flatulenza, vomito. Raro: Disturbo gastrico, secchezza delle fauci. Patologie epatobiliari. Raro: Funzionalità epatica alterata/disturbo epatico. Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo. Non comune: Iperidrosi, prurito, rash. Raro: Eritema, angieoedema, eruzione da farmaco, eruzione cutanea tossica, eczema. Non noto: Orticaria. Patologie del sistema muscoloscheletrico e del tessuto connettivo. Non comune: Mialgia dolore alla schiena (ad es. sciatica), spasmi muscolari. Raro: Artralgia, dolori alle estremità. Non noto: Dolori ai tendini (sintomi simili alla tendinite). Patologie renali e urinarie. Non comune: Compromissione renale inclusa insufficienza renale acuta. Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione. Non comune: Dolore toracico, astenia (debolezza). Raro: Malattia simil-influenzale. Esami diagnostici. Non comune: Aumento della creatinina nel sangue. Raro: Aumento di acido urico nel sangue, enzimi epatici aumentati, creatina fosfochinasi aumentata nel sangue, calo dell’emoglobina. 1 Nello studio PRoFESS è stata osservata un’aumentata incidenza di sepsi con telmisartan rispetto a placebo. L’evento può essere un risultato casuale o può essere correlato ad un meccanismo attualmente non noto (vedere paragrafo 5.1). 2 Riportato come comune nei pazienti con pressione arteriosa controllata che sono stati trattati con telmisartan per la riduzione della morbilità cardiovascolare in aggiunta alla terapia standard. 4.9 Sovradosaggio. Le informazioni disponibili riguardo al sovradosaggio nell’uomo sono limitate. Sintomi: Le manifestazioni più rilevanti legate al sovradosaggio di telmisartan sono state ipotensione e tachicardia; sono stati riportati anche bradicardia, capogiro, aumento della creatinina sierica e insufficienza renale acuta. Trattamento: Telmisartan non viene rimosso dall’emodialisi. Il paziente deve essere strettamente controllato e il trattamento deve essere sintomatico e di supporto. Il trattamento dipende dal tempo trascorso dall’ingestione e dalla gravità dei sintomi. Le misure suggerite includono induzione di emesi e/o lavanda gastrica. Il carbone attivo può essere utile nel trattamento del sovradosaggio. I livelli degli elettroliti sierici e della creatinina dovrebbero essere controllati frequentemente. Nel caso di ipotensione, il paziente dovrebbe essere posto in posizione supina e sali e fluidi dovrebbero essere reintegrati rapidamente. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE. 5.1 Proprietà farmacodinamiche. Categoria farmacoterapeutica: antagonisti dell’angiotensina II, non associati, codice ATC C09CA07. Meccanismo d’azione: Telmisartan è un antagonista recettoriale dell’angiotensina II (tipo AT1) specifico ed efficace per via orale. Telmisartan spiazza con un’elevata affinità l’angiotensina II dal suo sito di legame con il recettore di sottotipo AT1, responsabile dei ben noti effetti dell’angiotensina II. Telmisartan non mostra alcuna attività agonista parziale per il recettore AT1. Telmisartan si lega selettivamente con il recettore AT1. Tale legame è di lunga durata. Telmisartan non mostra una rilevante affinità per altri recettori, compresi l'AT2 e altri recettori AT meno caratterizzati. Non sono noti il ruolo funzionale di questi recettori né l'effetto della loro possibile sovrastimolazione da parte dell'angiotensina II, i cui livelli sono aumentati dal telmisartan. Telmisartan determina una diminuzione nei livelli plasmatici di aldosterone. Telmisartan non inibisce la renina plasmatica umana né blocca i canali ionici. Telmisartan non inibisce l’enzima di conversione dell’angiotensina (chininasi II), enzima che degrada anche la bradichinina. Quindi non è atteso un potenziamento degli eventi avversi mediati dalla bradichinina. Nell’uomo, una dose di 80 mg di telmisartan determina un’inibizione quasi completa dell’aumento pressorio indotto dall’angiotensina II. L'effetto inibitorio si protrae per 24 ore ed è ancora misurabile fino a 48 ore. Efficacia clinica e sicurezza. Trattamento dell’ipertensione essenziale. L’attività antipertensiva inizia a manifestarsi entro 3 ore dalla somministrazione della prima dose di telmisartan. La massima riduzione dei valori pressori si ottiene generalmente da 4 ad 8 settimane dopo l’inizio del trattamento e viene mantenuta nel corso della terapia a lungo termine. L'effetto antipertensivo si protrae costantemente per 24 ore dopo la somministrazione e include le ultime 4 ore prima della successiva somministrazione, come dimostrato dalle misurazioni continue nelle 24 ore della pressione arteriosa. Ciò è confermato dal fatto che il rapporto tra le concentrazioni minime e massime di telmisartan negli studi clinici controllati verso placebo rimane costantemente superiore all'80% dopo una dose di 40 mg e 80 mg. C'è un apparente trend per una relazione tra la dose e il tempo di ritorno ai valori basali della pressione arteriosa sistolica (PAS). Da questo punto di vista, i dati che riguardano la pressione arteriosa diastolica (PAD) non sono invece consistenti. Nei pazienti ipertesi il telmisartan riduce la pressione sia sistolica che diastolica senza influire sulla frequenza cardiaca. Non è ancora stato definito il contributo dell’effetto diuretico e natriuretico del medicinale alla sua efficacia ipotensiva. L'efficacia antipertensiva di telmisartan è paragonabile a quella di medicinali rappresentativi di altre classi di antipertensivi (dimostrata negli studi clinici che hanno confrontato telmisartan con amlodipina, atenololo, enalapril, idroclorotiazide e lisinopril). Dopo una brusca interruzione del trattamento con telmisartan, la pressione arteriosa ritorna gradualmente ai valori preesistenti durante un periodo di diversi giorni, senza comportare un effetto rebound. Negli studi clinici che confrontavano direttamente i due trattamenti antipertensivi, l’incidenza di tosse secca è risultata significativamente inferiore nei pazienti trattati con telmisartan che in quelli trattati con gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina. Prevenzione cardiovascolare. ONTARGET (ONgoing Telmisartan Alone and in Combination with Ramipril Global Endpoint Trial) ha confrontato gli effetti di telmisartan, ramipril e della combinazione di telmisartan e ramipril sugli esiti cardiovascolari in 25.620 pazienti di almeno 55 anni di età con una storia di coronaropatia, ictus, TIA, malattia arteriosa periferica o diabete mellito di tipo 2 associato ad evidenza di danno degli organi bersaglio (ad es. retinopatia, ipertrofia ventricolare sinistra, macro- o microalbuminuria) che rappresentano una popolazione a rischio di eventi cardiovascolari. I pazienti sono stati randomizzati ad uno dei tre seguenti gruppi di trattamento: telmisartan 80 mg (n = 8.542), ramipril 10 mg (n = 8.576) o la combinazione di telmisartan 80 mg più ramipril 10 mg (n = 8.502) e seguiti per un periodo medio di osservazione di 4,5 anni.Telmisartan ha mostrato un’efficacia simile a ramipril nel ridurre l’endpoint primario composito di morte cardiovascolare, infarto miocardico non-fatale, ictus non-fatale o ospedalizzazione per insufficienza cardiaca congestizia. L’incidenza dell’endpoint primario è risultata simile nei bracci di trattamento con telmisartan (16,7 %) e ramipril (16,5 %). L’hazard ratio per telmisartan verso ramipril è stato pari a 1,01 (97,5 % CI 0,93 – 1,10, p (noninferiorità) = 0,0019 con un margine di 1,13). L’incidenza della mortalità per tutte le cause è stata rispettivamente dell’11,6% e dell’11,8% nei pazienti trattati con telmisartan e ramipril.Telmisartan è risultato essere efficace quanto ramipril negli endpoint secondari pre-specificati di morte cardiovascolare, infarto miocardico non-fatale e ictus nonfatale [0,99 (97,5 % CI 0,90 – 1,08, p (non-inferiorità) = 0,0004)], endpoint primario nello studio di riferimento HOPE (The Heart Outcomes Prevention Evaluation Study) che aveva valutato l’effetto di ramipril verso placebo.TRANSCEND ha randomizzato i pazienti intolleranti agli ACE-inibitori, con criteri di inclusione simili a quelli di ONTARGET, a ricevere telmisartan 80 mg (n=2.954) o placebo (n=2.972), entrambi somministrati in aggiunta alla terapia standard. La durata media del periodo di follow up è stata di 4 anni e 8 mesi. Non è stata riscontrata una differenza statisticamente significativa nell’incidenza dell’endpoint primario composito (morte cardiovascolare, infarto miocardico non-fatale, ictus non-fatale o ospedalizzazione per insufficienza cardiaca congestizia) (15,7% nel gruppo trattato con telmisartan e 17,0% nel gruppo trattato con placebo). É stato evidenziato il vantaggio di telmisartan rispetto al placebo nell’endpoint secondario pre-specificato di morte cardiovascolare, infarto miocardico non-fatale e ictus non-fatale [0,87 (95 % CI 0,76 – 1,00, p = 0,048)]. Non c’è stata evidenza di beneficio sulla mortalità cardiovascolare (hazard ratio 1,03,

95 % CI 0,85 – 1,24). Tosse e angioedema sono stati riportati meno frequentemente nei pazienti trattati con telmisartan che nei pazienti trattati con ramipril, mentre l’ipotensione è stata riportata più frequentemente con telmisartan. L’associazione di telmisartan e ramipril non ha aggiunto alcun beneficio rispetto a ramipril o telmisartan in monoterapia. La mortalità cardiovascolare e la mortalità per tutte le cause sono state numericamente superiori con l’associazione. Inoltre, si è manifestata un’incidenza significativamente superiore di iperkaliemia, insufficienza renale, ipotensione e sincope nel braccio trattato con l’associazione. Pertanto l’uso di una associazione di telmisartan e ramipril non è raccomandato in questa popolazione di pazienti. Nello studio “Prevention Regimen For Effectively avoiding Second Strokes” (PRoFESS) nei pazienti di almeno 50 anni che avevano recentemente avuto un ictus è stata osservata un’aumentata incidenza di sepsi con telmisartan rispetto a placebo, 0,70 % verso 0,49 % [RR 1,43 (95 % intervallo di confidenza 1,00 – 2,06)]; l’incidenza dei casi fatali di sepsi era aumentata per i pazienti in trattamento con telmisartan (0,33 %) rispetto ai pazienti in trattamento con placebo (0,16 %) [RR 2,07 (95 % intervallo di confidenza 1,14 – 3,76)]. L’aumentata incidenza di sepsi osservata in associazione all’uso di telmisartan può essere un risultato casuale o correlato ad un meccanismo attualmente non noto. 5.2 Proprietà farmacocinetiche. Assorbimento: L’assorbimento di telmisartan è rapido, sebbene la frazione assorbita sia variabile. La biodisponibilità assoluta del telmisartan è mediamente del 50% circa. Quando telmisartan viene assunto con il cibo, la riduzione dell’area sotto la curva delle concentrazioni plasmatiche/tempo (AUC0-∞) di telmisartan varia tra il 6% (dose di 40 mg) e il 19% circa (dose di 160 mg). Dopo 3 ore dalla somministrazione le concentrazioni plasmatiche risultano simili sia che il telmisartan venga assunto a digiuno che con un pasto. Linearità/non-linearità: Non si ritiene che la lieve riduzione nell’AUC causi una riduzione dell’efficacia terapeutica. Non c'è una relazione lineare tra dosi e livelli plasmatici. La Cmax e, in misura minore, l'AUC aumentano in modo non proporzionale a dosi superiori a 40 mg. Distribuzione: Il telmisartan è fortemente legato alle proteine plasmatiche (>99,5%), in particolare all’albumina e alla glicoproteina acida alfa-1. Il volume medio di distribuzione allo stato stazionario (Vdss) è di circa 500 litri. Metabolismo: Il telmisartan è metabolizzato mediante coniugazione al glucuronide della sostanza originaria. Non è stata dimostrata un'attività farmacologica per il coniugato. Eliminazione: Telmisartan mostra una cinetica di decadimento biesponenziale con un’emivita terminale di eliminazione superiore alle 20 ore. La concentrazione plasmatica massima (Cmax) e, in misura minore, l’area sotto la curva delle concentrazioni plasmatiche/tempo (AUC0-∞), aumentano in misura non proporzionale alla dose. Quando il telmisartan viene assunto alle dosi consigliate non si evidenzia un accumulo rilevante dal punto di vista clinico. Le concentrazioni plasmatiche sono superiori nella donna rispetto all’uomo, ma ciò non influisce in modo rilevante sull’efficacia. In seguito alla somministrazione orale (ed endovenosa), il telmisartan viene escreto quasi esclusivamente con le feci, soprattutto in forma immodificata. L’escrezione urinaria cumulativa è <1% della dose. La clearance plasmatica totale (Cltot) è elevata (ca. 1000 ml/min) se confrontata al flusso plasmatico epatico (ca. 1500 ml/min). Popolazioni speciali. Effetti legati al genere: Sono state osservate differenze di concentrazioni plasmatiche tra i sessi, nelle donne Cmax e AUC erano rispettivamente 3 e 2 volte superiori rispetto agli uomini. Pazienti anziani: La farmacocinetica del telmisartan non differisce tra i pazienti anziani e i soggetti con meno di 65 anni. Pazienti con disfunzioni renali: Nei pazienti con disfunzioni renali da lievi a moderate e gravi è stato osservato un raddoppio delle concentrazioni plasmatiche. Tuttavia, nei pazienti con insufficienza renale in dialisi sono state osservate concentrazioni plasmatiche inferiori. Nei pazienti affetti da insufficienza renale il telmisartan è fortemente legato alle proteine plasmatiche e non può essere eliminato con la dialisi. Nei pazienti con disfunzioni renali l'emivita di eliminazione non varia. Pazienti con disfunzioni epatiche: Negli studi di farmacocinetica in pazienti con insufficienza epatica è stato osservato un aumento nella biodisponibilità assoluta fino a quasi il 100%. Nei pazienti con disfunzioni epatiche l'emivita di eliminazione non varia. 5.3 Dati preclinici di sicurezza. Negli studi preclinici di tollerabilità e sicurezza, dosi tali da determinare un’esposizione confrontabile a quella del range di dosi da impiegarsi nella terapia clinica hanno causato una riduzione dei parametri eritrocitari (eritrociti, emoglobina, ematocrito), alterazioni nell’emodinamica renale (aumento di azotemia e creatininemia) come anche un aumento nella potassiemia in animali normotesi. Nel cane sono state osservate dilatazione ed atrofia dei tubuli renali. Nel ratto e nel cane sono state osservate inoltre lesioni della mucosa gastrica (erosioni, ulcere o infiammazioni). Questi effetti indesiderati farmacologicamente mediati, come evidenziato dagli studi preclinici sia con inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina che con antagonisti del recettore dell'angiotensina II, si possono prevenire somministrando supplementi salini orali. In entrambe le specie sono stati osservati aumento dell’attività della renina plasmatica e ipertrofia/iperplasia delle cellule iuxtaglomerulari renali. Tali alterazioni, anch’esse un effetto di tutta la classe degli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina e di altri antagonisti del recettore dell'angiotensina II, non sembrano avere significato clinico. Non vi è alcuna evidenza di un effetto teratogeno, ma studi preclinici hanno mostrato alcuni rischi potenziali di telmisartan nello sviluppo postnatale della prole quali minore peso corporeo, apertura ritardata degli occhi e mortalità più elevata. Non vi è stata alcuna evidenza di mutagenesi, né di attività clastogena rilevante negli studi in vitro né di cancerogenicità nel ratto e nel topo. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE. 6.1 Elenco degli eccipienti. Povidone (K25) - Meglumina - Sodio idrossido - Sorbitolo (E420) - Magnesio stearato. 6.2 Incompatibilità. Non pertinente. 6.3 Periodo di validità. 4 anni. 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione. Questo medicinale non richiede alcuna condizione particolare di conservazione. Conservare nella confezione originale per proteggere il medicinale dall’umidità. 6.5 Natura e contenuto del contenitore. Blister di alluminio/alluminio (PA/Al/PVC/Al o PA/PA/Al/PVC/Al). Un blister contiene 7 o 10 compresse. Confezioni: Blister con 14, 28, 30, 56, 84, 90 o 98 compresse o blister divisibile per dose unitaria con 28 x 1 compresse. É possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento. Nessuna istruzione particolare. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL'IMMISSIONE IN COMMERCIO. Boehringer Ingelheim International GmbH. - Binger Str. 173. - D-55216 Ingelheim am Rhein - Germania. 8. NUMERI DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. EU/1/98/090/005 (14 compresse). EU/1/98/090/006 (28 compresse). EU/1/98/090/007 (56 compresse). EU/1/98/090/008 (98 compresse). EU/1/98/090/014 (28 x 1 compressa). EU/1/98/090/016 (84 compresse). EU/1/98/090/018 (30 compresse). EU/1/98/090/020 (90 compresse). 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/ RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE. Data della prima autorizzazione: 16 dicembre 1998. Data dell’ultimo rinnovo: 16 dicembre 2008. 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO. 23 Novembre 2009.

Ipertensione - CLASSE A - € 28,72 Prevenzione cardiovascolare nondel è attualmente rimborsatadainparte Italiadi AIFA Prevenzione cardiovascolare - In attesa- diL’indicazione determinazione regime di rimborsabilità Da vendersi dietro presentazione di ricetta medica Informazioni più dettagliate su questo medicinale sono disponibili sul sito web della Agenzia Europea dei Medicinali (EMEA): http://www.emea.europa.eu/.



Depositato presso AIFA in data 01/12/2009

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