T R I M E ST R A L E
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A G G I O R N A M E N TO
S C I E N T I F I CO
A nno I I - Su ppl. de l N. 2, 2 0 1 0
Ettore Ambrosioni Paolo Verdecchia Massimo Volpe
Le nuove prospettive nella terapia antipertensiva: lo studio NAVIGATOR
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Supplemento a
N. 2, 2010
Registrazione presso Tribunale di Milano n. 207 del 28-03-2006 RISERVATO AI SIGNORI MEDICI OMAGGIO - VIETATA LA VENDITA Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta o conservata in un sistema di recupero o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi sistema elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, registrazioni o altro, senza una autorizzazione scritta dell’Editore. Sebbene le dosi dei farmaci e gli altri dati qui riportati siano stati accuratamente controllati dagli Autori, la responsabilità finale resta al medico che li prescrive. L’Editore e gli Autori non possono essere considerati responsabili di eventuali errori o conseguenze derivate dall’uso delle nozioni qui contenute. Qualsiasi prodotto eventualmente citato in questa pubblicazione deve essere utilizzato secondo la posologia stabilita dalla casa farmaceutica produttrice. Gli Autori non hanno espresso alcuna opinione sui farmaci ancora in corso di studio.
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Terapia antipertensiva: il valore del beneficio aggiunto Ettore Ambrosioni aumento dei costi del trattamento della ipertensione arteriosa venne di conseguenza attribuito all’impiego di farmaci più costosi nella pratica clinica. Questa attribuzione di responsabilità trovò una conferma nei risultati di diversi studi clinici controllati e di alcune meta-analisi che dimostravano come non vi fossero sostanziali differenze nella capacità dei farmaci anti-ipertensivi nel ridurre la pressione arteriosa e gli eventi cardiovascolari. Nella valutazione del rapporto costo/ beneficio della terapia anti-ipertensiva, il prezzo del farmaco testato nello studio clinico controllato appariva il fattore determinante. La conclusione raggiunta sulla base di queste osservazioni era stata che il mezzo più adeguato a contenere e/o ridurre il costo della terapia dell’ipertensione arteriosa consisteva nell’impiego dei farmaci con il più basso prezzo di acquisto. Conclusioni errate e prive di ogni logica: esperienze ed osservazioni compiute in studi clinici controllati considerate direttamente traslabili alla pratica clinica corrente hanno evidenziato una condizione completamente differente, come si può evincere dal numero assai diverso di pazienti ipertesi con pressione controllata in ciascuno dei due gruppi: circa il 70% negli studi clinici controllati contro un 20-30% nella pratica clinica. Il capovolgimento della situazione che si determina nella pratica clinica riflette la totale diversità di situazione rispetto a quella degli studi clinici controllati. In questa i pazienti sono motivati, seguiti e ben controllati da esperti per un periodo di tempo relativamente breve mentre nella pratica clinica emergono le importanti differenze tra i farmaci nel causare effetti indesiderati, nella rapidità di ridurre la pressione arteriosa che condizionano il grado di aderenza e persistenza dei pazienti fin dal primo anno di trattamento.
L’incremento della spesa sanitaria appare inarrestabile anche nelle previsioni avanzate fino al 2030 almeno nel Nord America, Comunità Europea e Giappone. Questa situazione preoccupa seriamente le autorità sanitarie e i responsabili delle assicurazioni dei paesi interessati, che hanno fatto del contenimento della spesa sanitaria uno dei loro obiettivi primari. Le malattie cardiovascolari rimangono la prima causa di mortalità e morbilità nel mondo e, come tali, principali responsabili dell’aumento dei costi sanitari nei paesi ad elevato sviluppo industriale. I costi dell’ictus e della cardiopatia ischemica hanno raggiunto negli USA circa 400 miliardi di dollari/anno, mentre nella Comunità Europea una prima parziale valutazione indica valori intorno ai 170 miliardi di euro/anno. E’ quindi del tutto comprensibile che quanti sono responsabili della salute dei pazienti a titolo medico ed economico, siano impegnati ad identificare i più importanti fattori che contribuiscono al continuo aumento dei costi sanitari ed in particolare di quelli relativi alle malattie cardiovascolari. A ragione del fatto che l’ipertensione arteriosa affligge oltre il 30-40% della popolazione, che costituisce il principale fattore di rischio per le malattie cardiovascolari e che la sua normalizzazione con la terapia farmacologica comporta un netto miglioramento della morbilità e mortalità, la si è considerata come modello per valutare il costo beneficio del trattamento delle malattie vascolari. L’osservazione che il beneficio del trattamento anti-ipertensivo era solo parziale, soprattutto nei primi studi clinici controllati, aveva spinto i ricercatori e l’industria farmaceutica ad introdurre sul mercato nuovi farmaci, più efficaci (Ca bloccanti, ACE inibitori, Sartani) ma decisamente più costosi dei precedenti, come i diuretici. Il crescente
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Il diabete incide significativamente sulle risorse sanitarie 12.000 $ 11.744 Spesa pro capite (US $)
10.000 8.000 6.000 4.000 2.000
$ 2.935
0 Popolazione generale
Pazienti diabetici
Basata su spesa sanitaria derivante dai costi diretti nel 2007 Figura
1
American Diabetes Association. Diabetes Care 2008;31:596-615
controllati diviene facilmente negativo in presenza di un incremento del numero di pazienti ipertesi con mancato controllo della ipertensione arteriosa. Il non o, insufficiente controllo della pressione arteriosa risulta infatti il fattore determinante del rapporto costo/beneficio. Il costo di una terapia anti-ipertensiva va dunque rapportato al costo globale della malattia e ai risultati clinici conseguiti nella pratica clinica. I sartani rappresentano la classe di farmaci anti-ipertensivi che consente il grado più elevato di aderen-
Due grandi studi condotti recentemente in Italia hanno dimostrato che l’aderenza e la persistenza dei pazienti al trattamento anti-ipertensivo erano largamente dipendenti dal farmaco impiegato: dopo 1 anno dall’inizio della terapia il rischio di interruzione della terapia con i diuretici era il doppio di quello dei pazienti trattati con i sartani (1, 2). In questa condizione la capacità dei farmaci di ridurre la pressione arteriosa non si equivale più, e di conseguenza diviene differente la loro capacità di prevenire gli eventi cardiovascolari. Già a distanza di 1 anno dall’inizio della terapia anti-ipertensiva i pazienti con una aderenza elevata alla prescrizione presentano una frequenza di eventi cardiovascolari ridotta di oltre il 38% rispetto a quelli con scarsa aderenza (3). In queste condizioni le differenze nel prezzo di acquisto dei farmaci divengono trascurabili nella determinazione del costo/beneficio. La valutazione del costo beneficio della terapia antiipertensiva deve essere condotta nella pratica clinica: un rapporto costo/beneficio positivo di un farmaco anti-ipertensivo calcolato negli studi clinici
Costo di 1 caso di diabete indotto dal trattamento diuretico limitato al periodo del trial Euro 38.600 Figura
4
2
Lindholm, IFECC 2004
Supplemento a “Patient and Cardiovascular Risk - n. 2, 2010
Caratteristiche
Valsartan (N=4631)
Placebo (N=4675)
p
1 (< 0.1)
6 (0.1)
0.06
588 (12.7)
733 (15.7)
< 0.001
Consumo di antidiabetici orali Basale Ultima visita Tabella
1
re assai consistente fin da ora. L’effetto antidiabetico si ottiene praticamente a costo zero perché il farmaco ha già la sua indicazione per il trattamento di pazienti ipertesi con malattia cardiovascolare, consente di prevenire in fase estremamente precoce l’insorgenza di diabete e quindi contribuisce efficacemente a ridurre un aggravamento del rischio cardiovascolare dei pazienti. Ridurre o impedire l’aggravarsi del rischio cardiovascolare rappresenta l’obiettivo di gran lunga più importante della prevenzione secondaria soprattutto con l’attuale allungamento della vita media. Mantenere o riportare a livelli più bassi i valori di rischio cardiovascolare consente di evitare o ritardare l’insorgenza di eventi aumentando gli anni di vita liberi da disabilità, compattando nel tempo evento e mortalità. Si è calcolato che ritardare di soli cinque anni l’insorgenza del primo ictus negli ipertesi in Italia potrebbe consentire un risparmio di circa dieci miliardi di euro/anno. Inoltre evitando la necessità di iniziare precocemente l’assunzione di antidiabetici in aggiunta agli antiipertensivi (Tabella 1) oltre a ridurre “da subito“ la spesa della terapia, aumenta l’aderenza del paziente alla terapia. E considerata l’elevata frequenza di associazione fra diabete ed ipertensione l’aumento dell’aderenza al trattamento farmacologico nel lungo termine permetterebbe di ridurre i costi e di aumentare la qualità della vita del paziente in maniera sostanziale.
za e persistenza alla terapia e quindi dotati di un rapporto costo/beneficio positivo. In questa condizione la possibilità di documentare alcuni benefici aggiuntivi a quello di ridurre la pressione arteriosa, come ad esempio la prevenzione del diabete, è particolarmente importante perché può aumentarne il margine di utilità in termini clinici e di risparmio economico (Figura 1 e 2). Di assoluto rilievo appaiono in questo contesto i risultati dello studio NAVIGATOR (4) recentemente pubblicato sul New England Journal of Medicine dove in maniera prospettica si è confermata la capacità di un sartano, il valsartan, di prevenire l’insorgenza di nuovo diabete in soggetti ipertesi trattati con questo farmaco anti-ipertensivo. In questo studio condotto in doppio cieco, randomizzato con disegno fattoriale 2x2, 9306 pazienti con alterata tolleranza al glucosio e con malattia cardiovascolare ricevevano valsartan o terapia classica in aggiunta a modificazioni dello stile di vita. I pazienti seguiti per un periodo di 5 anni presentavano una incidenza di nuovo diabete significativamente ridotta del 14% nel gruppo valsartan (incidenza di diabete pari al 33,1% quando trattati con valsartan rispetto al 36,8% del gruppo di controllo (p<0,001), ed una altrettanto significativa riduzione del consumo di farmaci antidiabetici (p<0,001). Vale solo la pena di ricordare che la comparsa di diabete in pazienti con malattia cardiovascolare innalza il loro rischio cardiovascolare da elevato a molto elevato con le ben note conseguenze su morbilità e mortalità e sui costi. La precisa quantizzazione in termini economici di questa riduzione della insorgenza di diabete ottenuta in condizioni di pre-diabete è attualmente in corso. L’entità dell’incremento del beneficio appa-
Bibliografia 1. 2. 3. 4.
5
Mazzaglia G. et al. J Hypertens, 2005. Corrao G. et al. J Hypertens, 2008. Mazzaglia G. et al. Circulation, 2009. NAVIGATOR. N Engl J Med, 2010.
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Inibizione dell’angiotensina II e rischio di diabete mellito: dalla teoria alla pratica clinica Dr. Paolo Verdecchia, Dr. Fabio Angeli*, Dr. Gianpaolo Reboldi** Unità Operativa Complessa di Medicina. Ospedale di Assisi, *Struttura Complessa di Cardiologia, Ospedale S. Maria della Misericordia; ** Università degli Studi di Perugia, Dipartimento di Medicina Interna di infarto miocardico e di altre complicanze macrovascolari in pazienti con diabete mellito è strettamente connesso con i livelli di glicemia (2). Se, da un lato, l’elevato rischio cardiovascolare in pazienti con diabete mellito già noto in anamnesi è ampiamente documentato (1), non altrettanto noto è il rischio associato al nuovo sviluppo di diabete mellito in pazienti non ancora diabetici al momento della prima osservazione. Fattori di rischio per lo sviluppo di nuovo diabete. La tabella 1 riporta i risultati di uno studio del gruppo di Haffner sulla coorte del San Antonio Heart Study. Si nota come il rischio di nuovo sviluppo
Il diabete mellito è una malattia progressiva caratterizzata da un elevato rischio di gravi complicanze macrovascolari (infarto miocardico, ictus cerebrale, scompenso cardiaco, morte cardiovascolare) e microvascolari (neuropatia, retinopatia, nefropatia). L’incidenza del diabete sta aumentando decisamente a seguito di varie ragioni tra le quali l’invecchiamento e l’aumento del peso corporeo in molte popolazioni, le cattive abitudini dietetiche ed altri fattori. Nell’anno 2000 esistevano 171 milioni di pazienti diabetici in tutto il mondo e si stima che tale numero salirà a 366 milioni nel 2030, con devastanti implicazioni anche in termini di spesa sanitaria (1). E’ ben noto che il rischio
Probabilità di sviluppare diabete mellito sulla base di alcuni fattori predittivi Probabilità di diabete = 1 / (1 - e-x), dove x = 13,415 + 0.028*(età) + 0,661*(sesso) + 0,412*(etnia) + 0,079*(glicemia) + 0,018*(pressione arteriosa sistolica) - 0,039*(colesterolemia HDL) + 0.070*(Indice di massa corporea) + 0.481*(storia familiare di diabete).
Età: espressa in anni Sesso: 1 = femmina; 0 = maschio Etnia: 1 = bianco ispanico; 0 = bianco non ispanico Glicemia: espressa in mg/dL Pressione arteriosa sistolica: espressa in mmHg Colesterolemia HDL: espressa in mg/dl Indice di massa corporea: espressa come peso[kg]/altezza[m]2 Storia familiare di diabete: 1 = almeno 1 genitore diabetico; 0 = nessun genitore diabetico Tabella
modificata da Stern et al.
1
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to in altre indagini cliniche longitudinali condotte in pazienti ipertesi (7), nella popolazione generale (8, 9), in pazienti con infarto miocardico acuto (10) ed in pazienti con trapianto renale (11). Sistema renina-angiotensina e sviluppo di nuovo diabete. E’ noto che il sistema renina angiotensina aldosterone (SRAA) può contribuire, attraverso vari meccanismi, alla crescita e alla destabilizzazione della placca aterosclerotica, con conseguente possibile evoluzione verso la fissurazione e/o rottura di placca, trombosi sovrapposta ed evento cardiovascolare maggiore (Figura 2). In questi ultimi anni abbiamo imparato che il SRAA può esplicare questi effetti sia attraverso meccanismi pressione arteriosadipendenti, sia attraversi meccanismi pressione arteriosa-indipendenti. Nello stesso tempo, il diabete mellito può innescare varie reazioni (glicazione delle proteine, infiammazione, riduzione della fibrinolisi, iperaggregabilità piastrinica, etc.), in parte indipendenti da quelle proprie del SRAA, che pure convergono nella direzione della crescita, destabilizzazione e rottura della placca aterosclerotica. A complicare il quadro, è dimostrato che il SRAA può contribuire a ridurre la sensibilità all’insulina attraverso un’interferenza con i meccanismi intracellulari di traduzione del segnale insulinico, aggravando quindi la potenziale evoluzione verso il diabete mellito. La figura 3 mostra uno schema di come l’angiotensina II può portare ad una riduzione della sensibilità all’insulina. In sintesi, il legame dell’insulina con i suoi recettori di membrana induce una fosforilazione di varie proteine intracellulari tra le quali il terminale tirosinico di alcune molecole che fungono da substrati per il recettore insulinico (IRS). Questo processo comporta un’attivazione della sub-unità P85 dell’enzima fosfatidil-inositolo 3-chinasi (PI3-chinasi), che a sua volta porta tale enzima a formare un complesso con l’IRS forforilata. Tale complesso stimola la sintesi di varie proteine cellulari, tra le quali le proteine di membrana attraverso le quali il glucosio penetra fisicamente nella cellula attraverso la membrana cellulare. Ora, se l’angiotensina II va a legarsi ai suoi recettori AT1, tale legame innesca una forforilazione degli IRS, ma ad un livello diverso da quello indotto dall’insulina. A seguito di tale ‘diversa’ fosforilazione, l’IRS fosforilato attiva non la subunità P85, ma la subunità p110 dell’enzima PI3-chinasi, con conseguente inibizione
di diabete aumenti non solo con i livelli iniziali di glicemia, ma anche con la pressione arteriosa sistolica, con l’aumento dell’età e la diminuzione della colesterolemia HDL, nonché nei soggetti con storia familiare di diabete. Questi risultati sono stati confermati in altre indagini (3, 4). Sicuramente, i soggetti a più alto rischio di diabete sono quelli con glicemia a digiuno elevata, ma ancora al di sotto della soglia per la diagnosi di diabete (125 mg/dL). In uno studio di Nichols et al, la progressione da una condizione di pre-diabete ad una condizione di diabete conclamato si è manifestata nell’8,1% dei soggetti con glicemia a digiuno tra i 100 e i 109 mg/dl, contro il 24,3% dei soggetti con glicemia tra i 110 e i 125 mg/dl (1,34 versus 5,56 per 100 soggetti per anno) (5). Da un punto di vista pratico, dunque, ai fini dell’implementazione di strategie di prevenzione del diabete mellito sarà importante concentrarsi sui soggetti con 1) glicemia ai limiti alti della norma; 2) ipertesi; 3) soprappeso o obesi; 4) con familiarità per diabete; 5) con bassa colesterolemia HDL. Impatto prognostico del diabete di nuova insorgenza. Nel corso degli ultimi anni, alcune indagini cliniche prospettiche hanno dimostrato che, dopo una prima diagnosi di diabete mellito, il rischio di complicanze cardiovascolari maggiori tende ad aumentare piuttosto rapidamente, fino quasi a raggiungere quello dei pazienti con diagnosi di diabete mellito già nota in precedenza. In uno studio del nostro gruppo, eseguito su 795 pazienti ipertesi inizialmente non diabetici seguiti per un periodo di tempo fino a 16 anni, i soggetti con nuovo sviluppo di diabete mellito hanno mostrato un’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori pari a 3,90 per 100 pazienti per anno, contro 0,97 per 100 soggetti per anno nel gruppo che non aveva sviluppato diabete e 4,70 per 100 pazienti per anno nei pazienti con diabete mellito noto all’inizio dello studio (Figura 1). In un’analisi statistica multivariata, il rischio di eventi cardiovascolari è risultato significativamente superiore nei pazienti con nuovo diabete che nei soggetti privi di diabete (rischio relativo 2,92; intervallo di confidenza al 95% 1,33-6,41; p=0.007) e non dissimile tra i soggetti con nuovo diabete ed i soggetti con diabete pre-esistente (6). Il valore prognostico avverso del diabete di nuova insorgenza è stato conferma-
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Rischio di eventi cardiovascolari maggiori in pazienti ipertesi senza diabete, con diabete di nuova insorgenza durante il follow-up e con diabete già presente all’inizio dello studio6 100 90 Probabilità di Sopravvivenza Libera da Eventi Cardiovascolari Maggiori (%)
Assenza di diabete
80 70 Diabete Pre-esistente
60 50
Diabete di nuova insorgenza
40 30 0 Figura
3
1
6
9
12
15
Tempo di osservazione (anni)
Coinvolgimento del sistema renina-angiotensina nella progressione dal diabete mellito alle complicanze cardiovascolari secondarie ad aterosclerosi Meccanismi PA dipendenti Meccanismi PA indipendenti
↑ Aterosclerosi
Diabete
↓ Sensibilità all’insulina
Figura
2
↓ Fibrinolisi ↑ Rischio Cardiovascolare
Sistema Renina Angiotensina Aldosterone
Meccanismi PA dipendenti Meccanismi PA indipendenti
8
PA = pressione arteriosa
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Meccanismi attraverso i quali l’angiotensina II può interferire con la sensibilità all’insulina
Glucosio
Insulina
Angiotensina II
Recettore per l’insulina
Subunità β Proteina trasportante Il glucosio (GLUT-4)
NO sintasi
Recettori AT1
PO4
Proteina G
PO4 Tirosina
Substrati per il recettore insulinico (IRS)
Complesso IRS-1/P13-kinase Tyrosine Subunità P85
IRS Inibizione
PI3 chinasi
Subunità P85 Figura
3
PO4
L’attivazione dei recettori AT1 causa fosforilazione di molte proteine cellulari incluse IRS-1, IRS-2, etc. Tale fosforilazione attiva la sub-unità p110 dell’enzima PI3-chinasi, con conseguente inibizione (anziché attivazione) dell’attivazione insulinodipendente di tale enzima
Subunità p110
Fosfatidil-inositolo 3-chinasi (PI3-chinasi)
6. Verdecchia P, Reboldi G, Angeli F, Borgioni C, Gattobigio R, Filippucci L, et al. Adverse prognostic significance of new diabetes in treated hypertensive subjects. Hypertension 2004;43(5):963-9. 7. Almgren T, Wilhelmsen L, Samuelsson O, Himmelmann A, Rosengren A, Andersson OK. Diabetes in treated hypertension is common and carries a high cardiovascular risk: results from a 28-year follow-up. J Hypertens 2007; 25(6):1311-7. 8. Dunder K, Lind L, Zethelius B, Berglund L, Lithell H. Increase in blood glucose concentration during antihypertensive treatment as a predictor of myocardial infarction: population based cohort study. BMJ 2003;326(7391):681. 9. Smith NL, Barzilay JI, Kronmal R, Lumley T, Enquobahrie D, Psaty BM. New-onset diabetes and risk of all-cause and cardiovascular mortality: the Cardiovascular Health Study. Diabetes Care 2006;29(9):2012-7. 10. Bartnik M, Malmberg K, Norhammar A, Tenerz A, Ohrvik J, Ryden L. Newly detected abnormal glucose tolerance: an important predictor of long-term outcome after myocardial infarction. Eur Heart J 2004;25(22):1990-7. 11. Hjelmesaeth J, Hartmann A, Leivestad T, Holdaas H, Sagedal S, Olstad M, et al. The impact of early-diagnosed new-onset post-transplantation diabetes mellitus on survival and major cardiac events. Kidney Int 2006;69(3):588-95.
della formazione del complesso IRS forsorilato + PI3chinasi indotto dall’insulina. Si comprende quindi come, in ultima analisi, l’effetto dell’angiotensina II sui recettori AT1 possa contribuire ad indurre uno stato di insulino resistenza. Bibliografia 1. Wild S, Roglic G, Green A, Sicree R, King H. Global prevalence of diabetes: estimates for the year 2000 and projections for 2030. Diabetes Care 2004;27(5):1047-53. 2. Stratton IM, Adler AI, Neil HA, Matthews DR, Manley SE, Cull CA, et al. Association of glycaemia with macrovascular and microvascular complications of type 2 diabetes (UKPDS 35): prospective observational study. BMJ 2000;321(7258):405-12. 3. von Eckardstein A, Schulte H, Assmann G. Risk for diabetes mellitus in middle-aged Caucasian male participants of the PROCAM study: implications for the definition of impaired fasting glucose by the American Diabetes Association. Prospective Cardiovascular Munster. J Clin Endocrinol Metab 2000;85(9):3101-8. 4. Lindholm LH, Ibsen H, Borch-Johnsen K, Olsen MH, Wachtell K, Dahlof B, et al. Risk of new-onset diabetes in the Losartan Intervention For Endpoint reduction in hypertension study. J Hypertens 2002;20(9):1879-86. 5. Nichols GA, Hillier TA, Brown JB. Progression from newly acquired impaired fasting glusose to type 2 diabetes. Diabetes Care 2007;30(2):228-33.
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Lo studio NAVIGATOR. Caratteristiche, risultati e principali implicazioni cliniche Prof. Massimo Volpe Cattedra e Struttura Complessa di Cardiologia, II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Roma, Italia ai beta-bloccanti (7). Occorre, peraltro, notare come queste osservazioni sugli effetti metabolici favorevoli dei farmaci bloccanti il RAS siano state compiute in studi clinici aventi obiettivi primari diversi, ossia in studi clinici in cui questo particolare evento (nuova insorgenza di diabete mellito) non era in genere un obiettivo pre-definito. Pertanto, molti di questi studi clinici non avevano la potenza statistica necessaria per sostenere questa ipotesi oppure non avevano dimostrato una significativa riduzione della glicemia a digiuno durante il periodo di osservazione. Dal momento che il blocco degli effetti dell’angiotensina II può teoricamente interferire in modo favorevole con il metabolismo cellulare del glucosio, migliorando la resistenza insulinica, questa potenziale proprietà aggiuntiva dei farmaci ACE inibitori e degli ARBs, al di là dell’effetto di riduzione della pressione arteriosa, è apparsa di grande interesse, anche alla luce delle evidenti ricadute in termini di riduzione del rischio cardiovascolare globale in questa tipologia di pazienti. Tuttavia, nello studio Diabetes REduction Assessment with ramipril and rosiglitazone Medication (DREAM) (8), condotto in pazienti con IGT per dimostrare questa proprietà di un farmaco ACE inibitore, ramipril, lo stesso ACE che aveva mostrato effetti suggestivi di riduzione nell’insorgenza di nuovo diabete nei pazienti ad elevato rischio cardiovascolare inclusi nello studio Hearth Outcomes Prevention Evaluation (HOPE) (9), non si è dimostrato efficace nella riduzione del nuovo diabete.
I pazienti con alterata tolleranza al glucosio (IGT) presentano una maggiore suscettibilità allo sviluppo di diabete mellito; come conseguenza di questa maggiore suscettibilità, il loro rischio cardiovascolare risulta altrettanto significativamente aumentato rispetto ai soggetti con normale tolleranza al glucosio (NGT) (1). Sulla base di queste considerazioni, nel corso degli ultimi anni sono state progressivamente valutate diverse strategie terapeutiche, volte a ridurre il rischio di sviluppare diabete mellito e la conseguente esposizione alle complicanze cardiovascolari del diabete in questa tipologia di pazienti (2). Sia le modifiche virtuose dello stile di vita (soprattutto esercizio fisico e perdita di peso) (3), che alcuni farmaci ipoglicemizzanti (tra cui metformina, acarbosio e rosiglitazone) (4) hanno dimostrato di essere efficaci in diversi studi clinici di intervento in termini di riduzione dello sviluppo di diabete mellito, tuttavia l’efficacia nel prevenire gli eventi cardiovascolari rimane incerta. In studi condotti in pazienti con ipertensione arteriosa o in altre condizioni cliniche (pazienti ad alto rischio cardiovascolare, cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco ed insufficienza renale) è stato dimostrato che i farmaci inibitori del sistema renina-angiotensina (RAS), Inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE-I) ed antagonisti recettoriali dell’angiotensina II (ARB) possono determinare una riduzione della nuova insorgenza di diabete mellito (5, 6). Varie ricerche cliniche individuali e meta-analisi hanno dimostrato che questi farmaci sono associati ad un minor rischio di sviluppo di nuovo diabete rispetto ai diuretici ed
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sartan, fosse in grado di limitare la nuova insorgenza di diabete mellito in pazienti con IGT e malattia cardiovascolare o presenza di Valsartan / Nateglinide Placebo / Nateglinide fattori di rischio cardiovascolare. (n=2380) (n=2380) Lo studio è stato condotto con un disegno fattoriale 2x2, in doppiocieco, randomizzato (Figura 1) in Valsartan / Placebo Placebo / Placebo 9.306 pazienti, randomizzati a (n=2380) (n=2380) ricevere valsartan al dosaggio di 160 mg al dì o placebo in aggiunta ad un rigoroso intervento di Modificata da referenza 9 Figura 1 implementazione delle modifiche dello stile di vita ed alla terapia Sulla base delle evidenze disponibili e di questi convenzionale per 5 anni (10). risultati apparentemente contrastanti, è stato intraGli obiettivi primari di questo vasto studio clinico preso e condotto a termine lo studio Nateglinide sono stati: 1) sviluppo di diabete mellito; 2) obietand Valsartan in Impaired Glucose Tolerance tivo composito esteso (cosiddetto “ extended outcoOutcomes Research (NAVIGATOR) (10), avente lo me ”), comprendente mortalità cardiovascolare, specifico scopo di chiarire se un farmaco ARB, valinfarto miocardico non fatale, ictus cerebrale non Disegno fattoriale 2x2 dello studio NAVIGATOR
Caratteristiche principali dei pazienti inclusi nello studio NAVIGATOR Caratteristiche
Valsartan (N=4631)
Placebo (N=4675)
Significatività (valore P)
Età (anni)
63.7±6.8
63.8±6.8
0.27
Donne (%)
2314 (50.0)
2397 (51.3)
0.29
Indici Massa Corporea (kg/m2)
30.4±5.5
30.6±5.3
0.29
Circonferenza Addominale (cm)
101±14
101±14
0.36
139.4±17.8
139.9±17.1
0.21
Pressione Arteriosa Diastolica (mmHg)
82.5±10.4
82.6±10.1
0.93
Ipertensione Arteriosa (%)
3581 (77.3)
3635 (77.8)
0.62
459 (9.9)
433 (9.3)
0.28
Sindrome Metabolica (%)
3825 (82.6)
3970 (85.0)
0.003
Pregresso evento cardiovascolare (%)
1148 (24.8)
1118 (23.9)
0.30
Glicemia a digiuno (mmol/lt)
6.1±0.45
6.1±0.45
0.55
Glicemia a 2 ore dopo carico orale (mmol/lt)
9.2±0.93
9.2±0.94
0.44
5.79±0.47
5.82±0.46
0.08
Pressione Arteriosa Sistolica (mmHg)
Bassi valori Colesterolo HDL (%)
Emoglobina Glicosilata (%) Tabella
Modificata da referenza 9
1
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dizioni basali. In particolare, una terapia antipertensiva era impiegata in oltre il 70% dei pazienti, mentre farmaci ipolipemizzanti, soprattutto statine, e farmaci antiaggreganti in circa il 40% della popolazione in studio (10). Viceversa, mentre la terapia antidiabetica non era praticamente utilizzata all’inizio dello studio, al termine l’impiego era registrato nel 12,7% dei pazienti trattati con valsartan e nel 15,7% dei pazienti in placebo (p<0.001) (10). Il risultato principale dello studio è riportato nella figura 2, che mostra una riduzione significativa del 14% del nuovo sviluppo di diabete nel gruppo trattato con valsartan rispetto al gruppo placebo (10). Questo risultato è supportato anche dai valori più bassi di glicemia a digiuno e a 2 ore dal carico di glucosio osservati nel gruppo valsartan rispetto al placebo. Questi risultati sono stati associati ad una
fatale, ospedalizzazione per scompenso cardiaco o per angina instabile e procedure di rivascolarizzazione; 3) obiettivo cardiovascolare principale (cosiddetto “ core outcome ”), nel quale non sono stati considerati gli episodi di angina instabile e di procedure di rivascolarizzazione (10). Le caratteristiche principali dei pazienti nei due gruppi sono riassunte nella Tabella 1. Occorre notare come quasi l’80% dei pazienti avesse ipertensione arteriosa e oltre l’80% sindrome metabolica. Inoltre, circa il 24% dei pazienti aveva una storia di eventi cardiovascolari e praticamente tutti i pazienti avevano almeno 1 fattore di rischio cardiovascolare (10). Non vi erano differenze significative nelle caratteristiche basali dei due gruppi. Infine, a testimonianza del livello di rischio di questi pazienti con IGT, tutti i principali farmaci cardiovascolari erano impiegati in con-
Curve di Kaplan-Meier per l’incidenza di nuovo diabete: obiettivo primario dello studio NAVIGATOR
Incidenza di diabete (%)
50
Hazard Ratio = 0,86 (IC 95% 0,80-0,92) P < 0,001
Placebo
40
-14% in aggiunta alla terapia standard e alle modifiche dello stile di vita
30 Valsartan 20 10 0 0
1
2
3
4
5
6
2208 2070
1533 1403
Anni dalla randomizzazione N. a rischio Valsartan Placebo Figura
4631 4675
3784 3743
3335 3248
2857 2717
2
2511 2366
Modificata da referenza 9
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Bibliografia
riduzione della pressione arteriosa sistolica e diastolica significativamente maggiore nel gruppo valsartan malgrado diuretici, beta-bloccanti, calcioantagonisti ed alfa-bloccanti fossero impiegati in misura significativamente maggiore nel gruppo placebo (10). Non vi erano differenze significative tra i due gruppi negli altri obiettivi: obiettivo cardiovascolare esteso ed obiettivo cardiovascolare “core”, mortalità cardiovascolare e mortalità totale (10). L’unico evento che tendeva a differire tra i due gruppi era l’incidenza di ictus fatale e non fatale, minore nel gruppo valsartan (riduzione significativa pari al 21% nel test ad una coda) [10]. I risultati dello studio NAVIGATOR (10) dimostrano, quindi, come l’aggiunta di valsartan al dosaggio giornaliero di 160 mg ad un corretto intervento sullo stile di vita determina una significativa riduzione dell’insorgenza di diabete mellito in pazienti con IGT e fattori di rischio cardiovascolare. Per la prima volta, infatti, è stato possibile dimostrare come un farmaco inibitore del RAS, l’ARB valsartan, sia in grado di interferire in modo favorevole sull’incidenza di questo obiettivo primario pre-definito dello studio. Per quanto riguarda l’assenza di un effetto benefico nei confronti degli eventi cardiovascolari, non si può escludere che ciò sia da ascrivere ad una durata troppo breve dell’osservazione (in media circa 6,5 anni), soprattutto se si tiene conto del fatto che il beneficio sul nuovo sviluppo di diabete si comincia ad osservare con una certa chiarezza attorno ai 3 anni. In considerazione della rilevanza clinica dello sviluppo di diabete mellito e delle sue conseguenze sfavorevoli cardiovascolari, che inevitabilmente si stabiliscono nel tempo, i risultati dello studio NAVIGATOR (10) appaiono di grande importanza per la pratica clinica quotidiana, particolarmente in quelle categorie di pazienti affetti da ipertensione arteriosa ed elevato rischio di sviluppare complicanze metaboliche (pazienti con IGT, insulino-resistenza, sindrome metabolica). Un’ultima considerazione interessante riguarda la netta tendenza ad una ridotta suscettibilità all’ictus cerebrale nel braccio valsartan, osservazione questa che conferma il ruolo protettivo degli ARB nei confronti di questo tipo di evento descritto in precedenti studi clinici ed in studi di meta-analisi.
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Finito di stampare nel mese di settembre 2010