PCR Patient and Cardiovascular Risk - n°4 Ottobre/dicembre 2010 Suppl. 01

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T R I M E ST R A L E

D I

A G G I O R N A M E N TO

S C I E N T I F I CO

A nno I I - Su ppl. 1 de l N. 4, 2 0 1 0

Antonio Ceriello

ATTUALITÀ IN TEMA DI RISCHIO CARDIOVASCOLARE NEL PAZIENTE DIABETICO


© Copyright 2010 SINERGIE Edizioni Scientifiche SINERGIE Edizioni Scientifiche S.r.l. Via La Spezia, 1 - 20143 Milano Tel./Fax +39 02 58118054 E-mail: redazione@edizionisinergie.com www.patientandcvr.com www.edizionisinergie.com

Supplemento n. 1 a

n. 4, 2010

Direttore scientifico: Ettore Ambrosioni Registrazione presso Tribunale di Milano n. 207 del 28-03-2006 RISERVATO AI SIGNORI MEDICI OMAGGIO - VIETATA LA VENDITA Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta o conservata in un sistema di recupero o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi sistema elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, registrazioni o altro, senza una autorizzazione scritta dell’Editore. Sebbene le dosi dei farmaci e gli altri dati qui riportati siano stati accuratamente controllati dall’Autore, la responsabilità finale resta al medico che li prescrive. L’Editore e l’Autore non possono essere considerati responsabili di eventuali errori o conseguenze derivate dall’uso delle nozioni qui contenute. Qualsiasi prodotto eventualmente citato in questa pubblicazione deve essere utilizzato secondo la posologia stabilita dalla casa farmaceutica produttrice. L’Autore non hanno espresso alcuna opinione sui farmaci ancora in corso di studio.


ATTUALITÀ IN TEMA DI RISCHIO CARDIOVASCOLARE NEL PAZIENTE DIABETICO Prof. Antonio Ceriello Insititut d’Investigacions Biomèdiques August Pi i Sunyer (IDIBAPS), Barcelona, Spain RIASSUNTO La diffusione del diabete, e delle sue complicanze, comprese le malattie cardiovascolari (CVD), è aumentata negli ultimi anni e si prevede che continuerà ad aumentare in modo esponenziale. I pazienti diabetici, rispetto ai soggetti non diabetici, hanno una prognosi sfavorevole, con un sostanziale aumento del rischio di malattia coronarica, di infarto miocardico non fatale, di ictus, e di morti per cause cardio-vascolari. Viceversa, diversi studi hanno dimostrato che molti pazienti con CVD presentano un’iperglicemia non diagnosticata e che la presenza di un diabete recentemente diagnosticato o anche di una alterata tolleranza al glucosio sono associati ad una prognosi peggiore di CVD. Da ciò deriva che lo screening per tali condizioni, preferibilmente condotto con il test orale di tolleranza al glucosio (OGTT), dovrebbe essere eseguito in tutti i pazienti con malattie cardiovascolari. Le Linee guida internazionali sostengono un approccio multidisciplinare per la gestione della condizione di prediabete, diabete e malattie cardiovascolari. Ciò include cambiamenti nello stile di vita, nonché obiettivi per il controllo di glicemia, pressione arteriosa, lipidi, e di altri fattori di rischio cardiometabolico. Sebbene i dati clinici abbiano dimostrato che le strategie che mirano al raggiungimento degli obiettivi possano migliorare gli outcomes nei pazienti con diabete, l’attuazione e l’esecuzione di queste terapie nella pratica clinica deve essere sostanzialmente migliorata. LA DIFFUSIONE DEL DIABETE - PRESENTE E FUTURO La stima della diffusione del diabete in tutto il mondo nel 2010 è di 284,6 milioni di malati adulti (2079 anni), che rappresentano il 6,4% degli adulti della popolazione mondiale (1). Ma ciò che risulta esse-

Diabete nella popolazione generale. Proiezione globale 2030

<4 4-5 5-7 7-9 9-12 >12 Figura 1

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Globale 438.4 milioni + 54% IDF Diabete Atas 4th edizione

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re più preoccupante è che la diffusione del diabete è aumentata del 15% dal 2007 (2,3) e che le proiezioni prevedono 438,4 milioni di adulti malati di diabete nel 2030, con un incremento del 54% rispetto alle cifre del 2010 (1) (Figura 1). Questo drastico aumento della diffusione del diabete è dovuto principalmente a problemi derivanti dallo stile di vita (compreso il tipo di alimentazione, la mancanza di esercizio fisico e l’obesità) ed è riconosciuto che ciò stia diventando una delle principali cause di mortalità e morbilità. Più di un terzo delle persone nate negli Stati Uniti nel 2000 svilupperanno il diabete nell’arco della vita (2) e il diabete di tipo 2 viene diagnosticato in età sempre più giovane (2,3). Comuni complicanze del diabete sono le malattie cardiovascolari, l’ictus, le neuropatie, l’insufficienza renale, la retinopatia e la cecità. L’aumento dell’incidenza del diabete e delle sue complicanze, insieme ad un esordio sempre più precoce della malattia, aumenterà notevolmente i costi a carico dei sistemi sanitari. Quindi, il diabete diventerà senza dubbio una “catastrofe” socio-sanitaria globale del 21° secolo. IL DIABETE E LE MALATTIE CARDIOVASCOLARI Il diabete di per sé comporta un rischio aumentato di malattia cardiovascolare e i tassi di mortalità sono molto più alti nelle persone con diabete rispetto a quelle senza (Figura 2). L’80% dei pazienti con diabete muore a causa di complicanze cardiovascolari e l’aspettativa di vita è ridotta di ben 10 anni rispetto alle persone senza diabete (5). Il rischio di un infarto miocardico in pazienti diabetici senza malattia coronarica (CAD, Coronary Artery Disease) pregressa è simile a quello dei soggetti non-diabetici con CAD (6-8) ed è stato calcolato che lo sviluppo di diabete conferisce un rischio cardiovascolare al pari di un invecchiamento di 15 anni (9). Le linee guida ADA (American Diabetes Association) consigliano che il diabete venga trattato con la stessa attenzione di una malattia coronarica (3, 10). La CVD è la principale causa di mor-

Distribuzione della mortalità in una popolazione diabetica basata sul database del North Dakota

Causa sottostante

Deceduti 38

Malattie CV Neoplasie Diabete Cerebrovascolare Malattie infettive BPCO AOCP Accidenti etc. Malattia renale Altre cause

16,3

869

15,3

819 458

8,6 2,9

155

CVD Totale 49%

2,5 2,2

133

Diabete totale 15%

1,7 1,1

117 89 59

11,4

0

202

10

606

20

30

40

50

Percentuale Figura 2

4

Tierny et al Am J Public Health 2001; 91:84

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talità e una delle principali cause di disabilità nel mondo (11) e, come il diabete, ci sono fattori predisponenti associati allo stile di vita che sono attualmente più diffusi nelle nazioni industrializzate. Solo negli USA, più di 80 milioni di adulti sono affetti da CVD (12). Uno studio, utilizzando i dati provenienti dai certificati di morte in Nord Dakota nel periodo 1992-1996, ha identificato il CVD come la causa di morte in quasi la metà di tutti i decessi e il diabete era presente nel 15% delle morti in età adulta (13). Inoltre, il rischio di morte corretto rispetto all’età era 2,6 volte maggiore nei soggetti con diabete rispetto ai soggetti non diabetici. Uno studio prospettico Finlandese ha identificato pazienti con recente diagnosi di diabete e di età compresa tra 45-64 anni (n = 133) e confrontato la loro mortalità nell’arco di 15 anni con quella di soggetti non diabetici della stessa fascia di età (n = 144) (14). Rispetto ai loro rispettivi gruppi di controllo, la mortalità totale era di circa 5 volte maggiore in soggetti con diabete sia nel sesso maschile che in quello femminile (odds ratio corretto per età [OR], 5,0 e 5,2, rispettivamente, p < 0,001 in entrambi i casi). Il corrispondente aumento della mortalità cardiovascolare nei soggetti diabetici è stato 6 volte maggiore nei maschi e 11 volte più elevato nei soggetti di sesso femminile (OR corretto per età, 6,2 e 11,2, rispettivamente, p <0,001 in entrambi i casi). Inoltre, la presenza di iperglicemia o dislipidemia, sono risultate predittive di mortalità cardiovascolare dopo 5 anni e dopo 10 anni. DISORDINI NELLA REGOLAZIONE GLICEMICA NELLA CVD/CAD L’effetto dei disordini nella regolazione glicemica nei pazienti con malattia coronarica e senza una diagnosi nota di diabete, è stato valutato in studi svolti in Svezia (Glucose Abnormalities in Patients with Myocardial Infarction [GAMI], n = 164) (Figura 3) (15), in Cina (China Heart Survey, n = 2263)(16) e in 25 paesi europei (Euro Heart Survey, n = 1920) (17). Sulla base dei risultati del test OGTT, il 35-37% dei pazienti in questi tre studi è stato classificato come pre-diabetici e il 18-31% come aventi un dia-

Prognosi vs. alterazioni della glicemia di recente insorgenza Outcome a lungo termine in GAMI OGTT alla dimissione (n = 168)

Tempo all’evento Cv maggiore

DM 33%

IGT 34% NGT 33%

Anormale 67%

Probabilità di sopravvivenza libera da eventi

1,0

0,9 Normale 0,8 Anormale 0,7

test a due code p = 0,002

0,0 0

Figura 3

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10

20 30 Follow-up (mesi)

40

50

(Bartnik et al Eur Heart J 2004;25:1990)

5


bete di tipo 2. Il fatto che solo il 34-45% dei pazienti siano stati classificati come normoglicemici è indicativo della frequenza elevata di iperglicemia presente/riscontrata tra i pazienti con CAD. Questi risultati evidenziano anche l’importanza di utilizzare l’OGTT come metodo di diagnosi del diabete e, soprattutto, pre-diabete nei pazienti con CAD. Quando l’Euro Heart Survey (con dati disponibili su 1867 pazienti) ha classificato il livello di regolazione del glucosio secondo le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), unicamente sulla base del livello plasmatico di glucosio a digiuno (FPG), secondo i valori di riferimento dell’American Diabetes Association del 1997 (19), l’81% dei pazienti sono risultati avere livelli di glucosio normali (< 6,1 mmol/L), il 15% presentava una iperglicemia a digiuno (IFG; 6,1-6,9 mmol/L) e meno del 5%, risultava essere diabetico (> 7,0 mmol/L). Quando gli stessi soggetti sono stati valutati utilizzando i valori di riferimento dell’OMS per l’OGTT, solo il 47% è stato classificato come avente una normale regolazione del glucosio (NGR), il 37% come avente un’alterata regolazione del glucosio (IGR; IFG o alterata tolleranza al glucosio [IGT]) e il 17% come avente il diabete. Così, il 44% dei pazienti identificati come aventi una glicemia normale unicamente sulla base dell’FPG, sarebbero stati riclassificati come aventi una IGR o il diabete, se i risultati dell’OGTT fossero stati utilizzati come base per la classificazione (Figura 4). L'importanza dell’OGTT per l’individuazione precoce dell’iperglicemia nei pazienti senza diagnosi di diabete è quindi un aspetto importante per una corretta gestione del rischio cardiovascolare. Lo studio DECODE ha valutato il rischio di mortalità cardiovascolare nei soggetti europei (di età = 30 anni, n = 25.364), sulla base dei risultati sia dell’FPG che dell’ OGTT (20). Rispetto ai pazienti che sono stati classificati come normoglicemici secondo i criteri ADA per l’FPG(19), il rischio relativo risultava maggiore del 21% negli uomini (hazard ratio [HR] = 1,21; 95% intervallo di confidenza [CI]: 1,05-1,41) dell'8% nelle donne con IGT (HR = 1,08; 95% CI: 0,70-1,66); il corrispondente aumento di rischio nei soggetti con diabete di nuova diagnosi è stata circa dell’80% sia per i maschi che per le femmine (HR

Prognosi stratificata per alterazioni della glicemia di recente insorgenza (mortalità ad 1 anno nello studio Euro Heart Survey)

Probabilità di sopravvivenza

1,00

Categoria

0,98

Normale

0,96

Nuovo DM 0,94 Log rank test p < 0.001

Conosciuto DM

0,92 0

100

200

300

400

Follow up tempo (giorni) Figura 4

6

Lentzen et al Eur Heart J 2006;27:2969

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Mortalità per le malattie CV Stima di RR per valori di glicemia post-prandiale nella popolazione senza diabete 2,5

Rischio Relativo

2 1,5 1 0,5 0 <6.1

6,1-6,9

7,0-7,7

>7,8

Glicemia a digiuno (mmol/L)

Glicemia post-prandiale (mmol/L)

>11,1

Figura 5

7,8-11,0

<7,8

Gruppo di studio DECODE. Lancet 1999; 354:617

= 1,81, 95% CI: 1,49-2,20 e HR = 1,79, 95% CI: 1,18-2,69, rispettivamente). Inoltre, se per ogni gruppo di pazienti classificati in base al FPG, venissero applicati anche i criteri di classificazione in base all’OGTT, si assisterebbe ad una aumento della mortalità in base a quest’ultimo valore; ad esempio tra soggetti di sesso maschile nel gruppo normoglicemico, quelli con livelli glicemici post-carico > 11,1 mmol/L avrebbero un aumento del rischio relativo di morte del 79% rispetto a quelli con livelli glicemici post carico <7,8 mmol/L (HR = 1,79; 1,22-2,62) (Figura 5). QUALI MECCANISMI CELLULARI UNISCONO L’IPERGLICEMIA CON IL RISCHIO CARDIOVASCOLARE? La normale funzione cellulare nell’ossidazione del glucosio è quella di fornire equivalenti di NADH per la fosforilazione ossidativa. L’iperglicemia provoca un’aumentata ossidazione del glucosio, una sovrapproduzione di NADH, disturbando così il potenziale della membrana mitocondriale e favorendo la generazione di superossido a livello motocondriale. La sovrapproduzione di superossido e di altre specie reattive dell’ossigeno si traduce in aumento dei livelli di stress ossidativo. In assenza di adeguate risposte compensative da parte dei sistemi antiossidanti endogeni, le specie reattive dell'ossigeno possono ossidare direttamente il DNA, le proteine e i lipidi, ma attivare anche una serie di vie intracellulari di segnalazione sensibili allo stress con conseguenze negative (ad esempio, la neovascolarizzazione, la proliferazione delle cellule muscolari lisce e causando la cardiomiopatia (per una rassegna vedi Brownlee et al 2001) (21) (Figura 6). A livello fisiologico, la resistenza all’insulina, con conseguente ridotta tolleranza al glucosio, potrebbe condurre all’iperglicemia post-prandiale. L’iperglicemia induce stress ossidativo a livello della cellula, con conseguente disfunzione endoteliale, sviluppo di malattie cardiovascolari e il peggioramento del diabete dovuto al progessivo danneggiamento delle β-cellule (22).

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Rapporto fra iperglicemia e malattie CV Ipe

rg li

ce

m

os Str sid es at s ivo

ia

↑ DAG PKC attivazione

PDH inattivato

DAG = DiAcyl-Glicerolo

Figura 6

↑ TGFβ

Ispessimento della membrana basale

↑ cPLA2 ↑ PG’s ↓ Na+/K+ATP-ase

Aumentata permeabilità della membrana

↑ VEGF ↑ PKC

Crescita cellulare Vascolarizzazione

↑ ANP ↑ BNP ↑ TGFβ

Cardiomiopatia

↑ c-fos ↑ ET-1 ↑ PAI-1 (↑) eNOS

Diminuito flusso sanguigno e reattività vascolare

Brownlee Nature 2001 GarciaSoriann et al Nature Medicine 2001

IL CAMBIAMENTO IN ATTO NELLO STATO METABOLICO DELLA POPOLAZIONE Uno studio di Wilhelmsen et al., pubblicato nel 2008, ha valutato i cambiamenti dei fattori di rischio cardiovascolare in campioni della popolazione maschile di 50 anni a Göteborg; questa popolazione è stata esaminata ad intervalli di 10 anni tra il 1963 e il 2003 (23). Durante questo periodo di 40 anni, sono state osservate diminuzioni nei livelli di colesterolo sierico (da 6,4 a 5,5 mmol/L), della pressione arteriosa (138/91 a 135/85) e della presenza di fumatori (56% al 22%). Tuttavia, nello stesso periodo, sono aumentati l’indice di massa corporea (BMI: 24,8-26,4 kg/m2), la circonferenza della vita (87 a 95 cm), i livelli di trigliceridi (1,3-1,7 mmol/L) e la prevalenza di diabete (3,6% a 6,6%). Per contro, il grado di attività fisica nel tempo libero è diminuito dal 32% nel 1963 al 24% nel 2003. Anche se il tasso di infarto miocardico acuto (IMA) nella popolazione è stato ridotto di oltre il 50% tra il 1975 e il 2004, questo può essere attribuito a migliore trattamento dell’ipertensione e dell’iperlipidemia. Tuttavia, con l’eccezione della presenza di fumatori, tutti i fattori di rischio cardiovascolare legati allo stile di vita nella popolazione sono peggiorati. Questa particolare popolazione è diventata più obesa, svolge meno attività fisica tra i suoi soggetti la diffusione del diabete è aumentata del 83%. Questo “quadro metabolico” del moderno paziente con infarto miocardico (MI) è supportata dalle osservazioni risultanti lo studio clinico GAMI (24). Rispetto ai soggetti di controllo di pari età e sesso, i pazienti con infarto del miocardio senza diagnosi di diabete avevano livelli significativamente più alti di trigliceridi, glicemia a digiuno e post carico e di proinsulina, mentre i livelli di HDL-C risultavano ridotti (Figura 7). Quindi lo stereotipo del paziente con infarto del miocardio si è “evoluto”, da relativamente magro, accanito fumatore, verso un soggetto sedentario, obeso o in sovrappeso, con sindrome metabolica. Tali pazienti sono caratterizzati da obesità addominale, insulino-resistenza,

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Variabili metaboliche nel trial GAMI Pazienti con IMA e diabete non conosciuto vs controlli 10 Pazienti n=145 8

***

Controlli n=185

Mmol or pmol/L

*** 6

***

4

*

***

2

0

i lo lo le erid ero ota estero c t t i s l e o l Trig col col ero DL DL est L l H o C

Figura 7

le ia dia icem ran p ost ia p m ice

l F-G

na

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A OM

ex

ind

H

Gl

Bartnik, Malmberg et al J Int Med 2004;256:288

disglicemia, dislipidemia e da una lieve infiammazione (determinata come un aumento dei livelli di proteina C-reattiva [PCR]). IPERGLICEMIA E RISCHIO CARDIOVASCOLARE - I PERICOLI DELL’IPERGLICEMIA “NASCOSTA” Una recente metanalisi da parte dell’Emerging Risk Factors Collaboration ha valutato l’impatto del diabete sul rischio di malattie vascolari (25). Questa analisi ha incluso i dati su 698.782 pazienti provenienti da 102 studi prospettici, a cui sono stati registrati 52.765 eventi vascolari fatali e non-fatali, con un tempo medio trascorso tra diagnosi ed evento di 10,8 anni. Rispetto ai soggetti non diabetici, il rischio relativo (corretto per età, sesso, indice di massa corporea e pressione arteriosa sistolica) di malattia coronarica, di morte coronarica, di infarto miocardico non fatale, di ictus non classificato, e di altri decessi legati ad eventi vascolari nei soggetti con diabete era aumentata del 73% - 131%. Allo stesso modo, rispetto ai soggetti non diabetici, il rischio relativo di CAD è risultato essere elevato nei pazienti con diabete, indipendentemente dal sesso, età, abitudini riguardo al fumo, terzile di pressione arteriosa sistolica o terzile di BMI. Tuttavia, l’impatto del diabete sul rischio relativo di malattia coronarica era significativamente maggiore nelle donne rispetto agli uomini (p < 0,001), nei non fumatori rispetto ai fumatori (p < 0,001), nei soggetti in una fascia d’età più giovane (40-59 anni) rispetto ai più anziani (≥ 70 anni) (p < 0,001), e nei terzili inferiori rispetto ai maggiori sia per quanto riguarda il BMI (p = 0,00143) che la pressione arteriosa sistolica (p < 0,001). Da questi dati, l’impatto dell’iperglicemia sembra essere maggiore in popolazioni a rischio tradizionalmente inferiore (per esempio donne, non fumatori). Anche tra le persone senza una storia nota di diabete, l’iperglicemia a digiuno si correla in modo non lineare con il rischio di malattia vascolare (25). I risultati dell’Euro Heart Survey sottolineano l’impatto del diabete sugli outcomes cardiovascolari (26). Questo studio ha classificato i soggetti con CAD stratificandoli secondo i valori di

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OGTT o FPG e ha correlato questo dato con la mortalità ad un anno. I soggetti classificati come diabetici, sia con diagnosi già nota (n = 1425) o con nuova diagnosi (n = 452), avevano entrambi un notevole aumento del rischio di mortalità ad un anno (HR = 2,4; 95% CI 1,5-3,8 e HR = 2,0; 95% CI 1,1-3,6, rispettivamente). Tuttavia, l’IGR non era un predittore indipendente di mortalità ad un anno in questo studio (HR = 1,1, 95% CI 0,6-1,9). L’analisi di questi dati conferma che i pazienti con diabete, diabete di nuova diagnosi, o pre-diabete sono ad aumentato rischio di mortalità e di eventi cardiovascolari. APPROCCIO MULTIFATTORIALE AL TRATTAMENTO DEL DIABETE Come è stato fin qui sottolineato, diabete e malattie cardiovascolari sono strettamente intrecciati e, quindi, la diagnosi e il trattamento del diabete, prediabete e delle malattie cardiovascolari è stato delineato nelle linee guida comuni emesse dalla Società Europea di Cardiologia e dell’Associazione Europea per lo Studio del Diabete (ESC / EASD) (27). Queste linee guida richiamano l’attenzione su un approccio multi fattoriale riguardo allo stile di vita, al controllo glicemico, e ai fattori di rischio cardiovascolari. Queste linee guida raccomandano un’educazione strutturata per quanto riguarda il cambiamento dello stile di vita (es. dieta, esercizio fisico, cessazione del fumo) e determinano dei livelli-obiettivo per quanto riguarda la pressione arteriosa (< 130/80 mmHg; < 125/75 mmHg nel caso di insufficienza renale), l’emoglobina glicata A1c (HbA1c; ≤ 6,5%), l’FPG (< 6,0 mmol/L), il colesterolo totale (< 4,5 mmol/L), il C-LDL (< 1,8 mmol/L), l’HDL-C (maschio > 1,0, femmina > 1,2 mmol/L ) e i trigliceridi (< 1,7 mmol/L), in aggiunta ad altri fattori di rischio cardiometabolico. Diversi studi hanno valutato l’effetto di un approccio intensivo multifattoriale, utilizzando il controllo glicemico e l’uso di farmaci bloccanti del sistema renina-angiotensina, l’aspirina, e di agenti ipolipemizzanti, nella gestione del diabete e del rischio cardiovascolare associato. Nello studio Steno-2, pazienti danesi con diabete di tipo 2 e microalbuminuria (n = 160), sono stati assegnati in modo random a ricevere un trattamento convenzionale o uno intensivo multifattoriale, orientato agli obiettivi (target-driven), come attualmente raccomandato dalle linee guida ADA (28) e dalla ESC/EASD (27), per un periodo medio di 7,8 anni (29). Sebbene il trattamento intensivo abbia ridotto il numero di morti già durante la terapia, il numero relativamente piccolo di decessi preclude ogni valutazione definitiva per quanto riguarda gli effetti sulla mortalità. Pertanto, un’estensione di 5,5 anni di osservazione è stata prevista principalmente per valutare l’endpoint primario (30). Anche se i livelli basali di emoglobina glicata erano simili tra i gruppi per tutto il periodo dei 7,8 anni di trattamento, i livelli di HbA1c, pressione arteriosa sistolica, colesterolo totale e LDL-C sono stati costantemente inferiori nel gruppo di trattamento intensivo rispetto a quelli dei pazienti in trattamento convenzionale. Contrariamente, al termine del periodo di follow-up di 5,5 anni, probabilmente a causa di un trattamento più intensivo nei pazienti che avevano ricevuto in origine una terapia convenzionale, le differenze di questi fattori di rischio tra i gruppi risultavano notevolmente ridotte. Dopo un totale di 13,3 anni di follow-up, la terapia intensiva è stata associata ad un ridotto rischio di morte per qualsiasi causa (HR = 0,54; 95% CI 0,32-0,89, p = 0,02), un ridotto rischio di morte per cause cardiovascolari (HR = 0,43; 95% CI 0,19-0,94; p = 0,04) e una riduzione del rischio assoluto del 29% per ogni evento cardiovascolare (HR = 0.41; 95% CI 0,25-0,67, p <0,001). Pertanto, nei pazienti con diabete di tipo 2, l’intervento terapeutico intensivo ha determinato effetti benefici in termini di riduzione di eventi cardiovascolari, morte per qualsiasi causa e per cause cardiovascolari. Un altro recente studio ha valutato se la prognosi negativa dei pazienti con diabete e CAD sia dovuta al sottoutilizzo del-

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l’evidence-based medication (31). L’impatto della EBM e delle procedure di rivascolarizzazione sugli eventi successivi e sulla mortalità cardiovascolare è stata valutata nei pazienti con CAD con (n = 2063) e senza (n = 1425) diabete nello studio Euro Heart Survey on Diabetes and the Heart. L’EBM è stata utilizzata nel 44% dei soggetti con diabete e nel 43% di quelli senza diabete, mentre la rivascolarizzazione rispettivamente nel 34% e nel 40% dei pazienti. L’NNT per evitare un evento cardiovascolare utilizzando l’EBM sono risultati 32 e 141 rispettivamente nei soggetti con e senza diabete; l’NNT corrispondenti per fatalità erano 24 e 1826. L’NNT per evitare un evento cardiovascolare mediante rivascolarizzazione erano 14 e 41 nei soggetti con e senza diabete, rispettivamente; NNT corrispondenti per fatalità erano 34 e 105. Questo studio mette in evidenza l’utilità di EBM e rivascolarizzazione per migliorare la prognosi dei pazienti diabetici con CAD. Sebbene questi studi clinici dimostrino i benefici dell’approccio target-based, multifattoriale nella gestione del diabete e del rischio cardiovascolare, il raggiungimento di obiettivi relativi ai fattore di rischio nel “mondo reale” è deludente. L'analisi dello studio Euro Heart Survey ha dimostrato che i livelli effettivi di lipidi nel sangue, pressione arteriosa, glicemia a digiuno e HbA1c erano al di sopra del 23-57% rispetto agli obiettivi stabiliti per i pazienti negli anni compresi tra il 1998 e il 2003 e del 32-92% al di sopra dei valori degli obiettivi attuali (2007) (32). I PAZIENTI CON T2DM VIVONO PIÙ A LUNGO E LIBERI DA COMPLICANZE? Nonostante la popolazione individuata dallo studio Diabetes Mellitus and Insulin Glucose Infusion in Acute Myocardial Infarction, DIGAMI 2 fosse ad alto rischio, ovvero pazienti con diabete di tipo 2 e con sospetto infarto miocardico acuto, la mortalità generale all’interno dello studio era solo del 18,4%. Questo dato era notevolmente inferiore rispetto alla mortalità prevista (22-23%). I dati del registro svedese PCI (percutaneous coronary intervention) con 57.708 pazienti di cui 10.857 con diabete, indicano una mortalità a 2 anni di circa il 18% in una popolazione ad alto rischio di infarto del miocardio MI e diabete (33). Due studi recenti, l’Action to Control Cardiovascular Risk in Diabetes (ACCORD) trial (34) e l’Action in Diabetes and Vascular Disease: Preterax and Diamicron Modified Release Controlled Evaluation (ADVANCE) trial (35), non hanno dimostrato un beneficio statisticamente significativo derivante dal controllo glicemico intensivo per raggiungere un livello di HbA1c <6,5%. Tuttavia, in entrambi ACCORD ed ADVANCE la mortalità a 2 anni è stata ben al di sotto dei livelli attesi. Tassi di eventi così bassi registrati negli studi clinici non permettono la stima del livello di rischio effettivo dei pazienti nel “mondo reale”. RIEPILOGO Anche se i dati originati dagli studi clinici hanno dimostrato il potenziale della terapia target-driven e dell’EBM nel migliorare gli outcome nei pazienti con diabete, l’impiego e l’esecuzione di questi trattamenti nella pratica clinica deve essere migliorata. Questo dovrebbe comportare una terapia individializzata sul singolo paziente per raggiungere gli obiettivi multifattoriali commisurati al livello di rischio cardiovascolare di ciascuno, affiancata da altri metodi che possano migliorare l’aderenza e la compliance del paziente al il regime terapeutico prescritto.

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1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE. Micardis 80 mg compresse. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA. Ogni compressa contiene telmisartan 80 mg. Eccipienti: Ogni compressa contiene 338 mg di sorbitolo (E420). Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA. Compresse. Compresse bianche, oblunghe con il codice 52H impresso su un lato ed il logo dell'azienda impresso sull'altro. 4. INFORMAZIONI CLINICHE. 4.1 Indicazioni terapeutiche. Ipertensione. Trattamento dell’ipertensione essenziale negli adulti. Prevenzione cardiovascolare. Riduzione della morbilità cardiovascolare in pazienti con: i) malattia cardiovascolare aterotrombotica manifesta (storia di coronaropatia, ictus o malattia arteriosa periferica) o ii) diabete mellito di tipo 2 con danno documentato degli organi bersaglio. 4.2 Posologia e modo di somministrazione. Trattamento dell’ipertensione essenziale: La dose generalmente efficace è di 40 mg una volta al giorno. Alcuni pazienti possono trarre già beneficio dalla dose di 20 mg una volta al giorno. Nei casi in cui non viene raggiunto il controllo pressorio, la dose di telmisartan può essere aumentata fino ad un massimo di 80 mg una volta al giorno. In alternativa, il telmisartan può essere impiegato in associazione con diuretici tiazidici, come l'idroclorotiazide, con il quale è stato dimostrato un effetto additivo in termini di riduzione della pressione, con l'associazione a telmisartan. Qualora si prenda in considerazione un aumento di dosaggio, si deve tenere presente che il massimo effetto antipertensivo si ottiene generalmente da quattro a otto settimane dopo l'inizio del trattamento (vedere paragrafo 5.1). Prevenzione cardiovascolare: La dose raccomandata è di 80 mg una volta al giorno. Non è noto se dosi di telmisartan inferiori a 80 mg siano efficaci nel ridurre la morbilità cardiovascolare. Quando si inizia la terapia con telmisartan per la riduzione della morbilità cardiovascolare, si raccomanda un attento monitoraggio della pressione arteriosa e se appropriato può essere necessario un aggiustamento della dose dei medicinali che riducono la pressione arteriosa.Telmisartan può essere assunto con o senza cibo. Popolazioni di pazienti speciali. Insufficienza renale: Per i pazienti con insufficienza renale lieve o moderata non è necessario modificare la posologia. L’esperienza in pazienti con grave insufficienza renale o in emodialisi è limitata. In questi pazienti è raccomandata una dose iniziale più bassa pari a 20 mg (vedere paragrafo 4.4). Insufficienza epatica: Nei pazienti con insufficienza epatica lieve o moderata la dose non deve essere maggiore di 40 mg una volta al giorno (vedere paragrafo 4.4). Anziani. Non è necessario modificare la dose nei pazienti anziani. Pazienti pediatrici. L’uso di Micardis non è raccomandato nei bambini al di sotto di 18 anni a causa della mancanza di dati sulla sicurezza e sull’efficacia. 4.3 Controindicazioni. • Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti (vedere paragrafo 6.1). • Secondo e terzo trimestre di gravidanza (vedere paragrafi 4.4 e 4.6). • Ostruzioni alle vie biliari. • Insufficienza epatica grave. 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni di impiego. Gravidanza: La terapia con antagonisti del recettore dell’angiotensina II (AIIRA) non deve essere iniziata durante la gravidanza. Per le pazienti che stanno pianificando una gravidanza si deve ricorrere ad un trattamento antipertensivo alternativo, con comprovato profilo di sicurezza per l’uso in gravidanza, a meno che non sia considerato essenziale il proseguimento della terapia con un AIIRA. Quando viene diagnosticata una gravidanza, il trattamento con AIIRA deve essere interrotto immediatamente e, se appropriato, deve essere iniziata una terapia alternativa (vedere paragrafi 4.3 e 4.6). Insufficienza epatica: Micardis non deve essere somministrato a pazienti con colestasi, ostruzioni alle vie biliari o grave insufficienza epatica (vedere paragrafo 4.3) in quanto telmisartan è principalmente eliminato nella bile. Per questi pazienti è prevedibile una clearance epatica ridotta per telmisartan. Micardis deve essere utilizzato solamente con cautela in pazienti con insufficienza epatica da lieve a moderata. Ipertensione renovascolare: Nei pazienti con stenosi bilaterale dell'arteria renale o stenosi dell'arteria renale afferente al singolo rene funzionante, trattati con un medicinale che influenza il sistema renina-angiotensina-aldosterone, c'è un aumentato rischio di ipotensione grave ed insufficienza renale. Insufficienza renale e trapianto renale: Quando Micardis è somministrato a pazienti con disfunzioni renali, si raccomanda il controllo periodico dei livelli sierici di potassio e di creatinina. Non ci sono dati riguardo la somministrazione di Micardis in pazienti sottoposti di recente a trapianto renale. Ipovolemia intravascolare: Nei pazienti con deplezione di sodio e/o ipovolemia causata da dosi elevate di diuretici, diete con restrizione di sale, diarrea o vomito, si potrebbe verificare ipotensione sintomatica, specialmente dopo la prima dose di Micardis. Tali condizioni vanno corrette prima di iniziare il trattamento con Micardis. Deplezione di sodio e/o ipovolemia devono essere corrette prima di iniziare il trattamento con Micardis. Duplice blocco del sistema renina-angiotensina-aldosterone: Come conseguenza dell’inibizione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, sono state riportate ipotensione, sincope, iperkaliemia e alterazioni della funzionalità renale (inclusa insufficienza renale acuta) in individui sensibili, soprattutto in caso di associazione di prodotti medicinali che influenzano questo sistema. Il duplice blocco del sistema renina-angiotensina-aldosterone (ad es. per aggiunta di un ACE inibitore ad un antagonista del recettore dell’angiotensina II) non è pertanto raccomandato in pazienti con pressione arteriosa già controllata e deve essere limitata a casi individualmente definiti con uno stretto monitoraggio della funzionalità renale. Altre condizioni con stimolazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone: Nei pazienti il cui tono vascolare e la funzione renale dipendono principalmente dall'attività del sistema renina-angiotensina-aldosterone (es. pazienti con grave insufficienza cardiaca congestizia o affetti da malattie renali, inclusa la stenosi dell'arteria renale), il trattamento con medicinali che influenzano questo sistema, come telmisartan, è stato associato ad ipotensione acuta, iperazotemia, oliguria o, raramente, insufficienza renale acuta (vedere paragrafo 4.8). Aldosteronismo primario: I pazienti con aldosteronismo primario generalmente non rispondono a medicinali antipertensivi che agiscono tramite l'inibizione del sistema renina-angiotensina. Quindi, si sconsiglia l'utilizzo di telmisartan. Stenosi della valvola aortica e mitrale, cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva: Come per altri vasodilatatori, si consiglia particolare cautela nei pazienti affetti da stenosi della valvola aortica o mitrale o cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva. Iperkaliemia: L’uso di medicinali che influenzano il sistema renina-angiotensina-aldosterone può causare iperkaliemia. Nei pazienti anziani, nei pazienti con insufficienza renale, nei pazienti diabetici, nei pazienti contestualmente trattati con altri medicinali che possono aumentare i livelli di potassio e/o nei pazienti con eventi intercorrenti, l’iperpotassemia può essere fatale. Prima di considerare l’uso concomitante di medicinali che influiscono sul sistema renina-angiotensina-aldosterone deve essere valutato il rapporto tra il rischio e il beneficio. I principali fattori di rischio che devono essere presi in considerazione per l’iperkaliemia sono: • Diabete mellito, compromissione renale, età (>70 anni). • Associazione con uno o più medicinali che influiscano sul sistema renina-angiotensina-aldosterone e/o integratori di potassio. Medicinali o classi terapeutiche di medicinali che possono provocare iperkaliemia sono: sostitutivi salini contenenti potassio, diuretici risparmiatori di potassio, ACE inibitori, antagonisti del recettore dell’angiotensina II, medicinali antinfiammatori non

steroidei (FANS, inclusi gli inibitori COX-2 selettivi), eparina, immunosopressivi (ciclosporina o tacrolimus) e trimetoprim. • Eventi intercorrenti, in particolare disidratazione, scompenso cardiaco acuto, acidosi metabolica, peggioramento della funzionalità renale, improvviso peggioramento delle condizioni renali (come infezioni), lisi cellulare (come ischemia acuta dell’arto, rabdomiolisi, trauma esteso). Nei pazienti a rischio si raccomanda uno stretto controllo del potassio sierico (vedere paragrafo 4.5). Sorbitolo: Questo medicinale contiene sorbitolo (E420). I pazienti con rari problemi di intolleranza ereditaria al fruttosio non devono assumere Micardis. Differenze etniche: Come osservato per gli inibitori dell'enzima di conversione dell’angiotensina, telmisartan e altri antagonisti del recettore dell'angiotensina II sono apparentemente meno efficaci nel ridurre la pressione arteriosa nei pazienti di colore rispetto agli altri pazienti, forse a causa della maggior prevalenza di stati caratterizzati da un basso livello di renina nella popolazione di colore affetta da ipertensione. Altro: Come con qualsiasi agente antipertensivo, un'eccessiva diminuzione della pressione in pazienti con cardiopatia ischemica o patologia cardiovascolare ischemica potrebbe causare infarto del miocardio o ictus. 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme d’interazione. Sono stati effettuati studi di interazione solo negli adulti. Come altri medicinali che agiscono sul sistema renina-angiotensina-aldosterone, telmisartan può indurre iperkaliemia (vedere paragrafo 4.4). Il rischio può aumentare in caso di associazione ad altri medicinali che pure possono indurre iperkaliemia, sostitutivi salini contenenti potassio, diuretici risparmiatori di potassio,ACE inibitori, antagonisti del recettore dell’angiotensina II, medicinali antinfiammatori non steroidei (FANS, inclusi gli inibitori COX-2 selettivi), eparina, immunosopressivi (ciclosporina o tacrolimus) e trimetoprim. L’insorgenza della iperkaliemia dipende dall’associazione dei fattori di rischio. Il rischio aumenta nel caso di associazione dei trattamenti sopra elencati. Il rischio è particolarmente elevato nel caso di combinazione con diuretici risparmiatori di potassio e quando combinato con sostitutivi salini contenenti potassio. L’associazione, ad esempio, con ACE inibitori o FANS presenta un minor rischio purché si osservino strettamente le precauzioni per l’uso. Uso concomitante non raccomandato. Diuretici risparmiatori di potassio o integratori di potassio: Gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II come telmisartan, attenuano la perdita di potassio indotta dal diuretico. I diuretici risparmiatori di potassio quali spironolattone, eplerenone, triamterene o amiloride, integratori di potassio o sostitutivi salini contenenti potassio possono portare ad un significativo aumento del potassio sierico. Se l’uso concomitante è indicato a causa di documentata ipokaliemia, devono essere somministrati con cautela ed i livelli di potassio sierico devono essere monitorati frequentemente. Litio: Aumenti reversibili delle concentrazioni di litio nel siero e tossicità sono stati riportati durante la somministrazione concomitante di litio con gli inibitori dell’enzima che converte l’angiotensina e con gli antagonisti del recettore dell’angiotensina II, incluso telmisartan. Se l’uso dell’associazione si dimostrasse necessaria, si raccomanda un attento monitoraggio dei livelli sierici del litio. Uso concomitante che richiede cautela. Medicinali antinfiammatori non steroidei: I FANS (cioè l’acido acetilsalicilico a dosaggio antinfiammatorio, inibitori dei COX-2 e FANS non selettivi) possono ridurre l’effetto antipertensivo degli antagonisti del recettore dell’angiotensina II. In alcuni pazienti con funzionalità renale compromessa (ad es. come pazienti disidratati o pazienti anziani con funzionalità renale compromessa) la co-somministrazione di antagonisti del recettore dell’angiotensina II e di agenti che inibiscono la ciclo-ossigenasi può indurre un ulteriore deterioramento della funzionalità renale, inclusa insufficienza renale acuta che è solitamente reversibile. Pertanto la co-somministrazione deve essere effettuata con cautela, soprattutto agli anziani. I pazienti devono essere adeguatamente idratati e deve essere considerato il monitoraggio della funzionalità renale dopo l’inizio della terapia concomitante e quindi periodicamente. In uno studio la co-somministrazione di telmisartan e ramipril ha determinato un aumento fino a 2,5 volte dell’AUC0-24 e della Cmax di ramipril e ramiprilato. La rilevanza clinica di questa osservazione non è nota. Diuretici (tiazide o diuretici dell’ansa): Un precedente trattamento con elevati dosaggi di diuretici quali furosemide (diuretico dell’ansa) e idroclorotiazide (diuretico tiazidico) può portare ad una deplezione dei liquidi ed a un rischio di ipotensione quando si inizi la terapia con telmisartan. Da prendere in considerazione in casi di uso concomitante. Altri agenti antipertensivi: L’effetto ipotensivo di telmisartan può essere incrementato dall’uso concomitante di altri medicinali antipertensivi. Sulla base delle loro caratteristiche farmacologiche ci si può aspettare che i seguenti medicinali possano potenziare gli effetti ipotensivi di tutti gli antipertensivi incluso telmisartan: baclofenac, amifostina. Inoltre l’ipotensione ortostatica può essere aggravata da alcol, barbiturici, narcotici o antidepressivi. Corticosteroidi (per via sistemica): Riduzione dell’effetto antipertensivo. 4.6 Gravidanza e allattamento. Gravidanza: L’uso degli antagonisti del recettore dell’angiotensina II (AIIRA) non è raccomandato durante il primo trimestre di gravidanza (vedere paragrafo 4.4). L’uso degli AIIRA è controindicato durante il secondo ed il terzo trimestre di gravidanza (vedere paragrafi 4.3 e 4.4). Non vi sono dati sufficienti sull’uso di Micardis in donne in gravidanza. Gli studi condotti sugli animali hanno evidenziato una tossicità riproduttiva (vedere paragrafo 5.3). L’evidenza epidemiologica sul rischio di teratogenicità a seguito dell’esposizione ad ACE inibitori durante il primo trimestre di gravidanza non ha dato risultati conclusivi; tuttavia non può essere escluso un lieve aumento del rischio. Sebbene non siano disponibili dati epidemiologici controllati sul rischio con antagonisti del recettore dell’angiotensina II (AIIRA), un simile rischio può esistere anche per questa classe di medicinali. Per le pazienti che stanno pianificando una gravidanza si deve ricorrere ad un trattamento antipertensivo alternativo, con comprovato profilo di sicurezza per l’uso in gravidanza, a meno che non sia considerato essenziale il proseguimento della terapia con un AIIRA. Quando viene diagnosticata una gravidanza, il trattamento con AIIRA deve essere immediatamente interrotto e, se appropriato, si deve iniziare una terapia alternativa. È noto che nella donna l’esposizione ad AIIRA durante il secondo ed il terzo trimestre induce tossicità fetale (ridotta funzionalità renale, oligoidramnios, ritardo nell’ossificazione del cranio) e tossicità neonatale (insufficienza renale, ipotensione, iperkaliemia). (Vedere paragrafo 5.3). Se dovesse verificarsi un’esposizione ad un AIIRA dal secondo trimestre di gravidanza, si raccomanda un controllo ecografico della funzionalità renale e del cranio. I neonati le cui madri abbiano assunto AIIRA devono essere attentamente seguiti per quanto riguarda l’ipotensione (vedere paragrafi 4.3 e 4.4). Allattamento: Poiché non sono disponibili dati riguardanti l’uso di Micardis durante l'allattamento, Micardis non è raccomandato e sono da preferire trattamenti alternativi con comprovato profilo di sicurezza per l’uso durante l’allattamento, specialmente in caso di allattamento di neonati o prematuri. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. Non sono stati effettuati studi sulla capacità di guidare veicoli e di usare macchinari. Comunque, quando si guidano veicoli o si utilizzano macchinari, deve essere tenuto in considerazione che con la terapia antipertensiva potrebbero occasionalmente verificarsi sonnolenza e vertigini. 4.8 Effetti indesiderati. L'incidenza complessiva degli eventi avversi riportati con telmisartan (41,4 %) è stata solitamente confrontabile a quella riportata con il placebo (43,9 %) nel corso di studi clinici controllati, in pazienti trattati per l’ipertensione. L’incidenza degli eventi avversi non era dose correlata e non era correlata al sesso, all'età o alla razza dei pazienti. Il profilo di sicurezza di telmisartan nei pazienti trattati per la riduzione della morbilità cardiovascolare era in linea con quello nei pazienti trattati per l’ipertensione. Le seguenti reazioni avverse al medicinale sono state raccolte dagli studi clinici controllati, effettuati in pazienti trattati per l’ipertensione e da segnalazioni successive alla commercializzazione. L’elenco comprende anche eventi avversi gravi ed eventi avversi che hanno determinato la sospensione del trattamento riportati in tre studi clinici a lungo termine che includevano 21.642 pazienti trattati fino a sei anni con telmisartan per la riduzione della morbilità cardiovascolare. Le reazioni avverse sono state classificate per frequenza ricorrendo alla seguente convenzione: molto comune (≥1/10); comune (≥1/100, <1/10); non comune (≥1/1.000, <1/100); raro (≥1/10.000, <1/1.000); molto raro (<1/10.000), non nota (la frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili).All’interno di ogni raggruppamento di frequenza, le reazioni avverse sono elencate in ordine decrescente di gravità. Infezioni e infestazioni. Non comune: Infezioni del tratto respiratorio superiore incluse faringite e sinusite, infezione del tratto urinario inclusa cistite. Non noto: Sepsi anche con esito fatale1.


Patologie del sistema emolinfopoietico. Non comune: Anemia. Raro: Trombocitopenia. Non noto: Eosinofilia. Disturbi del sistema immunitario. Raro: Ipersensibilità. Non noto: Reazione anafilattica. Disturbi del metabolismo e della nutrizione. Non comune: Iperkaliemia. Disturbi psichiatrici. Non comune: Depressione, insonnia. Raro: Ansia. Patologie del sistema nervoso. Non comune: Sincope. Patologie dell'occhio. Raro: Disturbi della vista. Patologie dell'orecchio e del labirinto. Non comune: Vertigini. Patologie cardiache. Non comune: Bradicardia. Raro: Tachicardia. Patologie vascolari. Non comune: Ipotensione2, ipotensione ortostatica. Patologie respiratorie, toraciche e mediastiniche. Non comune: Dispnea. Patologie gastrointestinali. Non comune: Dolore addominale, diarrea, dispepsia, flatulenza, vomito. Raro: Disturbo gastrico, secchezza delle fauci. Patologie epatobiliari. Raro: Funzionalità epatica alterata/disturbo epatico. Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo. Non comune: Iperidrosi, prurito, rash. Raro: Eritema, angieoedema, eruzione da farmaco, eruzione cutanea tossica, eczema. Non noto: Orticaria. Patologie del sistema muscoloscheletrico e del tessuto connettivo. Non comune: Mialgia dolore alla schiena (ad es. sciatica), spasmi muscolari. Raro: Artralgia, dolori alle estremità. Non noto: Dolori ai tendini (sintomi simili alla tendinite). Patologie renali e urinarie. Non comune: Compromissione renale inclusa insufficienza renale acuta. Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione. Non comune: Dolore toracico, astenia (debolezza). Raro: Malattia simil-influenzale. Esami diagnostici. Non comune: Aumento della creatinina nel sangue. Raro: Aumento di acido urico nel sangue, enzimi epatici aumentati, creatina fosfochinasi aumentata nel sangue, calo dell’emoglobina. 1 Nello studio PRoFESS è stata osservata un’aumentata incidenza di sepsi con telmisartan rispetto a placebo. L’evento può essere un risultato casuale o può essere correlato ad un meccanismo attualmente non noto (vedere paragrafo 5.1). 2 Riportato come comune nei pazienti con pressione arteriosa controllata che sono stati trattati con telmisartan per la riduzione della morbilità cardiovascolare in aggiunta alla terapia standard. 4.9 Sovradosaggio. Le informazioni disponibili riguardo al sovradosaggio nell’uomo sono limitate. Sintomi: Le manifestazioni più rilevanti legate al sovradosaggio di telmisartan sono state ipotensione e tachicardia; sono stati riportati anche bradicardia, capogiro, aumento della creatinina sierica e insufficienza renale acuta. Trattamento: Telmisartan non viene rimosso dall’emodialisi. Il paziente deve essere strettamente controllato e il trattamento deve essere sintomatico e di supporto. Il trattamento dipende dal tempo trascorso dall’ingestione e dalla gravità dei sintomi. Le misure suggerite includono induzione di emesi e/o lavanda gastrica. Il carbone attivo può essere utile nel trattamento del sovradosaggio. I livelli degli elettroliti sierici e della creatinina dovrebbero essere controllati frequentemente. Nel caso di ipotensione, il paziente dovrebbe essere posto in posizione supina e sali e fluidi dovrebbero essere reintegrati rapidamente. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE. 5.1 Proprietà farmacodinamiche. Categoria farmacoterapeutica: antagonisti dell’angiotensina II, non associati, codice ATC C09CA07. Meccanismo d’azione: Telmisartan è un antagonista recettoriale dell’angiotensina II (tipo AT1) specifico ed efficace per via orale. Telmisartan spiazza con un’elevata affinità l’angiotensina II dal suo sito di legame con il recettore di sottotipo AT1, responsabile dei ben noti effetti dell’angiotensina II. Telmisartan non mostra alcuna attività agonista parziale per il recettore AT1. Telmisartan si lega selettivamente con il recettore AT1. Tale legame è di lunga durata. Telmisartan non mostra una rilevante affinità per altri recettori, compresi l'AT2 e altri recettori AT meno caratterizzati. Non sono noti il ruolo funzionale di questi recettori né l'effetto della loro possibile sovrastimolazione da parte dell'angiotensina II, i cui livelli sono aumentati dal telmisartan. Telmisartan determina una diminuzione nei livelli plasmatici di aldosterone. Telmisartan non inibisce la renina plasmatica umana né blocca i canali ionici. Telmisartan non inibisce l’enzima di conversione dell’angiotensina (chininasi II), enzima che degrada anche la bradichinina. Quindi non è atteso un potenziamento degli eventi avversi mediati dalla bradichinina. Nell’uomo, una dose di 80 mg di telmisartan determina un’inibizione quasi completa dell’aumento pressorio indotto dall’angiotensina II. L'effetto inibitorio si protrae per 24 ore ed è ancora misurabile fino a 48 ore. Efficacia clinica e sicurezza. Trattamento dell’ipertensione essenziale. L’attività antipertensiva inizia a manifestarsi entro 3 ore dalla somministrazione della prima dose di telmisartan. La massima riduzione dei valori pressori si ottiene generalmente da 4 ad 8 settimane dopo l’inizio del trattamento e viene mantenuta nel corso della terapia a lungo termine. L'effetto antipertensivo si protrae costantemente per 24 ore dopo la somministrazione e include le ultime 4 ore prima della successiva somministrazione, come dimostrato dalle misurazioni continue nelle 24 ore della pressione arteriosa. Ciò è confermato dal fatto che il rapporto tra le concentrazioni minime e massime di telmisartan negli studi clinici controllati verso placebo rimane costantemente superiore all'80% dopo una dose di 40 mg e 80 mg. C'è un apparente trend per una relazione tra la dose e il tempo di ritorno ai valori basali della pressione arteriosa sistolica (PAS). Da questo punto di vista, i dati che riguardano la pressione arteriosa diastolica (PAD) non sono invece consistenti. Nei pazienti ipertesi il telmisartan riduce la pressione sia sistolica che diastolica senza influire sulla frequenza cardiaca. Non è ancora stato definito il contributo dell’effetto diuretico e natriuretico del medicinale alla sua efficacia ipotensiva. L'efficacia antipertensiva di telmisartan è paragonabile a quella di medicinali rappresentativi di altre classi di antipertensivi (dimostrata negli studi clinici che hanno confrontato telmisartan con amlodipina, atenololo, enalapril, idroclorotiazide e lisinopril). Dopo una brusca interruzione del trattamento con telmisartan, la pressione arteriosa ritorna gradualmente ai valori preesistenti durante un periodo di diversi giorni, senza comportare un effetto rebound. Negli studi clinici che confrontavano direttamente i due trattamenti antipertensivi, l’incidenza di tosse secca è risultata significativamente inferiore nei pazienti trattati con telmisartan che in quelli trattati con gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina. Prevenzione cardiovascolare. ONTARGET (ONgoing Telmisartan Alone and in Combination with Ramipril Global Endpoint Trial) ha confrontato gli effetti di telmisartan, ramipril e della combinazione di telmisartan e ramipril sugli esiti cardiovascolari in 25.620 pazienti di almeno 55 anni di età con una storia di coronaropatia, ictus, TIA, malattia arteriosa periferica o diabete mellito di tipo 2 associato ad evidenza di danno degli organi bersaglio (ad es. retinopatia, ipertrofia ventricolare sinistra, macro- o microalbuminuria) che rappresentano una popolazione a rischio di eventi cardiovascolari. I pazienti sono stati randomizzati ad uno dei tre seguenti gruppi di trattamento: telmisartan 80 mg (n = 8.542), ramipril 10 mg (n = 8.576) o la combinazione di telmisartan 80 mg più ramipril 10 mg (n = 8.502) e seguiti per un periodo medio di osservazione di 4,5 anni.Telmisartan ha mostrato un’efficacia simile a ramipril nel ridurre l’endpoint primario composito di morte cardiovascolare, infarto miocardico non-fatale, ictus non-fatale o ospedalizzazione per insufficienza cardiaca congestizia. L’incidenza dell’endpoint primario è risultata simile nei bracci di trattamento con telmisartan (16,7 %) e ramipril (16,5 %). L’hazard ratio per telmisartan verso ramipril è stato pari a 1,01 (97,5 % CI 0,93 – 1,10, p (noninferiorità) = 0,0019 con un margine di 1,13). L’incidenza della mortalità per tutte le cause è stata rispettivamente dell’11,6% e dell’11,8% nei pazienti trattati con telmisartan e ramipril.Telmisartan è risultato essere efficace quanto ramipril negli endpoint secondari pre-specificati di morte cardiovascolare, infarto miocardico non-fatale e ictus nonfatale [0,99 (97,5 % CI 0,90 – 1,08, p (non-inferiorità) = 0,0004)], endpoint primario nello studio di riferimento HOPE (The Heart Outcomes Prevention Evaluation Study) che aveva valutato l’effetto di ramipril verso placebo.TRANSCEND ha randomizzato i pazienti intolleranti agli ACE-inibitori, con criteri di inclusione simili a quelli di ONTARGET, a ricevere telmisartan 80 mg (n=2.954) o placebo (n=2.972), entrambi somministrati in aggiunta alla terapia standard. La durata media del periodo di follow up è stata di 4 anni e 8 mesi. Non è stata riscontrata una differenza statisticamente significativa nell’incidenza dell’endpoint primario composito (morte cardiovascolare, infarto miocardico non-fatale, ictus non-fatale o ospedalizzazione per insufficienza cardiaca congestizia) (15,7% nel gruppo trattato con telmisartan e 17,0% nel gruppo trattato con placebo). É stato evidenziato il vantaggio di telmisartan rispetto al placebo nell’endpoint secondario pre-specificato di morte cardiovascolare, infarto miocardico non-fatale e ictus non-fatale [0,87 (95 % CI 0,76 – 1,00, p = 0,048)]. Non c’è stata evidenza di beneficio sulla mortalità cardiovascolare (hazard ratio 1,03,

95 % CI 0,85 – 1,24). Tosse e angioedema sono stati riportati meno frequentemente nei pazienti trattati con telmisartan che nei pazienti trattati con ramipril, mentre l’ipotensione è stata riportata più frequentemente con telmisartan. L’associazione di telmisartan e ramipril non ha aggiunto alcun beneficio rispetto a ramipril o telmisartan in monoterapia. La mortalità cardiovascolare e la mortalità per tutte le cause sono state numericamente superiori con l’associazione. Inoltre, si è manifestata un’incidenza significativamente superiore di iperkaliemia, insufficienza renale, ipotensione e sincope nel braccio trattato con l’associazione. Pertanto l’uso di una associazione di telmisartan e ramipril non è raccomandato in questa popolazione di pazienti. Nello studio “Prevention Regimen For Effectively avoiding Second Strokes” (PRoFESS) nei pazienti di almeno 50 anni che avevano recentemente avuto un ictus è stata osservata un’aumentata incidenza di sepsi con telmisartan rispetto a placebo, 0,70 % verso 0,49 % [RR 1,43 (95 % intervallo di confidenza 1,00 – 2,06)]; l’incidenza dei casi fatali di sepsi era aumentata per i pazienti in trattamento con telmisartan (0,33 %) rispetto ai pazienti in trattamento con placebo (0,16 %) [RR 2,07 (95 % intervallo di confidenza 1,14 – 3,76)]. L’aumentata incidenza di sepsi osservata in associazione all’uso di telmisartan può essere un risultato casuale o correlato ad un meccanismo attualmente non noto. 5.2 Proprietà farmacocinetiche. Assorbimento: L’assorbimento di telmisartan è rapido, sebbene la frazione assorbita sia variabile. La biodisponibilità assoluta del telmisartan è mediamente del 50% circa. Quando telmisartan viene assunto con il cibo, la riduzione dell’area sotto la curva delle concentrazioni plasmatiche/tempo (AUC0-∞) di telmisartan varia tra il 6% (dose di 40 mg) e il 19% circa (dose di 160 mg). Dopo 3 ore dalla somministrazione le concentrazioni plasmatiche risultano simili sia che il telmisartan venga assunto a digiuno che con un pasto. Linearità/non-linearità: Non si ritiene che la lieve riduzione nell’AUC causi una riduzione dell’efficacia terapeutica. Non c'è una relazione lineare tra dosi e livelli plasmatici. La Cmax e, in misura minore, l'AUC aumentano in modo non proporzionale a dosi superiori a 40 mg. Distribuzione: Il telmisartan è fortemente legato alle proteine plasmatiche (>99,5%), in particolare all’albumina e alla glicoproteina acida alfa-1. Il volume medio di distribuzione allo stato stazionario (Vdss) è di circa 500 litri. Metabolismo: Il telmisartan è metabolizzato mediante coniugazione al glucuronide della sostanza originaria. Non è stata dimostrata un'attività farmacologica per il coniugato. Eliminazione: Telmisartan mostra una cinetica di decadimento biesponenziale con un’emivita terminale di eliminazione superiore alle 20 ore. La concentrazione plasmatica massima (Cmax) e, in misura minore, l’area sotto la curva delle concentrazioni plasmatiche/tempo (AUC0-∞), aumentano in misura non proporzionale alla dose. Quando il telmisartan viene assunto alle dosi consigliate non si evidenzia un accumulo rilevante dal punto di vista clinico. Le concentrazioni plasmatiche sono superiori nella donna rispetto all’uomo, ma ciò non influisce in modo rilevante sull’efficacia. In seguito alla somministrazione orale (ed endovenosa), il telmisartan viene escreto quasi esclusivamente con le feci, soprattutto in forma immodificata. L’escrezione urinaria cumulativa è <1% della dose. La clearance plasmatica totale (Cltot) è elevata (ca. 1000 ml/min) se confrontata al flusso plasmatico epatico (ca. 1500 ml/min). Popolazioni speciali. Effetti legati al genere: Sono state osservate differenze di concentrazioni plasmatiche tra i sessi, nelle donne Cmax e AUC erano rispettivamente 3 e 2 volte superiori rispetto agli uomini. Pazienti anziani: La farmacocinetica del telmisartan non differisce tra i pazienti anziani e i soggetti con meno di 65 anni. Pazienti con disfunzioni renali: Nei pazienti con disfunzioni renali da lievi a moderate e gravi è stato osservato un raddoppio delle concentrazioni plasmatiche. Tuttavia, nei pazienti con insufficienza renale in dialisi sono state osservate concentrazioni plasmatiche inferiori. Nei pazienti affetti da insufficienza renale il telmisartan è fortemente legato alle proteine plasmatiche e non può essere eliminato con la dialisi. Nei pazienti con disfunzioni renali l'emivita di eliminazione non varia. Pazienti con disfunzioni epatiche: Negli studi di farmacocinetica in pazienti con insufficienza epatica è stato osservato un aumento nella biodisponibilità assoluta fino a quasi il 100%. Nei pazienti con disfunzioni epatiche l'emivita di eliminazione non varia. 5.3 Dati preclinici di sicurezza. Negli studi preclinici di tollerabilità e sicurezza, dosi tali da determinare un’esposizione confrontabile a quella del range di dosi da impiegarsi nella terapia clinica hanno causato una riduzione dei parametri eritrocitari (eritrociti, emoglobina, ematocrito), alterazioni nell’emodinamica renale (aumento di azotemia e creatininemia) come anche un aumento nella potassiemia in animali normotesi. Nel cane sono state osservate dilatazione ed atrofia dei tubuli renali. Nel ratto e nel cane sono state osservate inoltre lesioni della mucosa gastrica (erosioni, ulcere o infiammazioni). Questi effetti indesiderati farmacologicamente mediati, come evidenziato dagli studi preclinici sia con inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina che con antagonisti del recettore dell'angiotensina II, si possono prevenire somministrando supplementi salini orali. In entrambe le specie sono stati osservati aumento dell’attività della renina plasmatica e ipertrofia/iperplasia delle cellule iuxtaglomerulari renali. Tali alterazioni, anch’esse un effetto di tutta la classe degli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina e di altri antagonisti del recettore dell'angiotensina II, non sembrano avere significato clinico. Non vi è alcuna evidenza di un effetto teratogeno, ma studi preclinici hanno mostrato alcuni rischi potenziali di telmisartan nello sviluppo postnatale della prole quali minore peso corporeo, apertura ritardata degli occhi e mortalità più elevata. Non vi è stata alcuna evidenza di mutagenesi, né di attività clastogena rilevante negli studi in vitro né di cancerogenicità nel ratto e nel topo. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE. 6.1 Elenco degli eccipienti. Povidone (K25) - Meglumina - Sodio idrossido - Sorbitolo (E420) - Magnesio stearato. 6.2 Incompatibilità. Non pertinente. 6.3 Periodo di validità. 4 anni. 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione. Questo medicinale non richiede alcuna condizione particolare di conservazione. Conservare nella confezione originale per proteggere il medicinale dall’umidità. 6.5 Natura e contenuto del contenitore. Blister di alluminio/alluminio (PA/Al/PVC/Al o PA/PA/Al/PVC/Al). Un blister contiene 7 o 10 compresse. Confezioni: Blister con 14, 28, 30, 56, 84, 90 o 98 compresse o blister divisibile per dose unitaria con 28 x 1 compresse. É possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento. Nessuna istruzione particolare. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL'IMMISSIONE IN COMMERCIO. Boehringer Ingelheim International GmbH. - Binger Str. 173. - D-55216 Ingelheim am Rhein - Germania. 8. NUMERI DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. EU/1/98/090/005 (14 compresse). EU/1/98/090/006 (28 compresse). EU/1/98/090/007 (56 compresse). EU/1/98/090/008 (98 compresse). EU/1/98/090/014 (28 x 1 compressa). EU/1/98/090/016 (84 compresse). EU/1/98/090/018 (30 compresse). EU/1/98/090/020 (90 compresse). 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/ RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE. Data della prima autorizzazione: 16 dicembre 1998. Data dell’ultimo rinnovo: 16 dicembre 2008. 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO. 23 Novembre 2009.

Ipertensione - CLASSE A - € 28,72 Prevenzione cardiovascolare nondelè regime attualmente rimborsatadainparte Italiadi AIFA Prevenzione cardiovascolare - In attesa-diL’indicazione determinazione di rimborsabilità Da vendersi dietro presentazione di ricetta medica Informazioni più dettagliate su questo medicinale sono disponibili sul sito web della Agenzia Europea dei Medicinali (EMEA): http://www.emea.europa.eu/.


Depositato presso in data ..../..../2010 AIFAAIFA in data .../.../2010 Depositato presso

cod. 572761 Cod. 572761


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