Riflessioni Universo Pediatria - n°4 Dicembre 2010

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TRIMESTRALE A CARATTERE SCIENTIFICO Anno V, N. 4 - Dicembre 2010

Una virosi fatale C.F. nasce da taglio cesareo d’emergenza per tachicardia fetale ed iperpiressia materna a 36+2 settimane di età gestazionale.

Ruolo della endoscopia delle vie aeree superiori in pronto soccorso pediatrico L’introduzione delle fibre ottiche in campo medico ha rivoluzionato l’approccio alla patologia nasale e laringea, sia in ambito diagnostico che terapeutico, nell’adulto e nel bambino.

La Febbre nella Pratica Clinica Sin dai tempi di Ippocrate, la febbre è stata considerata una reazione difensiva, utile all’organismo.

Il trattamento della febbre nel bambino. Paracetamolo e ibuprofene sono equivalenti? Problema clinico. Si può sostenere che fra i due composti uno sia superiore dal punto di vista del trattamento della febbre?


Presentazione

Universo

ia r t a i Ped

Anno V, N. 4 Dicembre 2010 Periodico trimestrale a carattere scientifico Registrazione Tribunale di Milano n. 607 del 02/10/2006 Editore SINERGIE Edizioni Scientifiche S.r.l. Via la Spezia, 1 - 20143 Milano Tel./Fax 02 58118054 E-mail: redazione@edizionisinergie.com www.edizionisinergie.com Direttore responsabile Mauro Rissa Redazione Sinergie Edizioni Scientifiche S.r.l. Coordinatore e consulente scientifico Baroukh Maurice Assael Direttore Centro Fibrosi Cistica Regione Veneto - Verona Impaginazione Sinergie Edizioni Scientifiche S.r.l. Stampa Galli Thierry Stampa S.r.l. Via Caviglia, 3 - 20139 Milano Tiratura 3.000 copie

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Questo numero di Riflessioni ripresenta le consuete rubriche di discussione e approfondimento. Il caso clinico. Un’intricata catena di trasmissione di una sepsi virale che ha portato al decesso di un neonato, presentata dai colleghi della neonatologie e della terapia intensiva neonatale dell’ospedale S. Anna di Torino, con una discussione della possibile patogenesi e di recenti acquisizione nella terapia antivirale. La febbre, un evento fisiologico nella difesa dalle infezioni oppure un rischio per il bambino? La febbre migliora la risposta dell’organismo all’infezione e come tale va ritenuta un fatto favorevole. Certo che, soprattutto nel bambino, essa si accompagna a uno stato generale di spossatezza, mancanza di appetito, riduzione delle normali attività quotidiane che finiscono per preoccupare il genitore. La terapia antipiretica migliora il benessere del bambino. Esistono studi controllati sul trattamento della febbre in pediatria? Vi sono delle opinioni, espresse da Società scientifiche sulla terapia? In due articoli viene discussa, da una parte l’eziopatogenesi della febbre e, dall’altra, un’opinione sulle possibilità di trattamento farmacologico. L’introduzione delle fibre ottiche in campo medico ha rivoluzionato l’approccio alla patologia nasale e laringea, sia in ambito diagnostico che terapeutico,

Sommario 3

Una virosi fatale

nell’adulto e nel bambino. Il fibroscopio, introdotto all’interno delle cavità nasali, permette una visualizzazione diretta di strutture che prima erano pressoché sconosciute al clinico e che attualmente sono considerate punti cardine della diagnostica della patologia rino-

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Ruolo della endoscopia delle vie aeree superiori in pronto soccorso pediatrico

sinusale. Si discute il valore e la pratica della diagnostica fibroscopica in un pronto soccorso pediatrico. La redazione

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La Febbre nella Pratica Clinica

Il trattamento della febbre nel bambino Paracetamolo e ibuprofene sono equivalenti?


Una virosi fatale C.F. nasce da taglio cesareo d’emergenza per tachicardia fetale ed iperpiressia materna a 36+2 settimane di età gestazionale. Il suo peso neonatale è 2640 g, la lunghezza 49 cm, la circonferenza cranica 33 cm, e il punteggio Apgar 8/8. Paolo Manzoni, Caterina Franco Neonatologia e TIN, Ospedale S. Anna. Torino All’anamnesi ostetrica si rileva una PARA 0000, amniocentesi negativa, ecografie nella norma. La gravidanza viene riferita come decorsa in maniera fisiologica, ma con comparsa di algie addominali e contrazioni uterine nelle ultime ore, che avevano condotto la mamma al ricovero. Durante il travaglio e nel post partum viene segnalata iperpiressia materna con indici di flogosi negativi (PCR 2.2 mg/l, v.n 0.1-10 mg/l). La sierologia materna era negativa per HBsAg e HCV, e denotava immunità pregressa per rosolia, ma status di recettività per CMV e toxoplasmosi. Il tampone cervico vaginale non era stato eseguito durante la gravidanza. Alla nascita si registrava un’estrazione difficoltosa del piccolo, pur se in presenza di condizioni generali discrete, frequenza cardiaca 140 bpm circa; si praticava assistenza mediante aspirazione delle alte vie aereo digestive per via oro e nasofaringea. Il pianto era discretamente valido, con buona ossigenazione cutanea, obiettività cardiaca e respiratoria nei limiti della norma, e solo lieve ipertonia agli arti. Il piccolo veniva trasferito presso il nido fisiologico: all’esame obiettivo le condizioni generali apparivano discrete, il pianto era valido se stimolato, la cute rosea, elastica con aree ecchimotiche in sede parietale sinistra e alla gamba sinistra legate all’estrazione alla nascita. All’auscultazione del torace si riportavano toni cardiaci validi e ritmici con pause libere, murmure vescicolare normotrasmesso. L’addome era trattabile alla palpazione, e normoespanso. Non si rilevavano dismorfismi di rilievo clinico.

con ceftriaxone e metronidazolo senza apparente beneficio; per tale motivo si associa successivamente ciprofloxacina con iniziale riduzione della PCR a due giorni dall’introduzione (una settimana dal ricovero). Il piccolo viene posto in prima giornata di vita in culla termica con monitoraggio cardiosaturimetrico; esegue in seconda giornata di vita esami ematochimici e colturali tra cui un emocromo (WBC 15.720/mmc, RBC 3.850.000/mmc, HGB 13.2 g/dl, HCT 37.5 %, PLT 244.000/mmc), PCR (0.1 mg/l), emocoltura, tampone auricolare, questi ultimi risultati poi tutti nella norma. In quarta e quinta giornata di vita esegue fototerapia per ittero fisiologico. Poiché la mamma continuava ad essere febbrile il piccolo rimane in osservazione al nido per circa sette giorni. Le sue condizioni generali appaiono sempre buone, rimanendo euglicemico e con peso

Due giorni dopo l’ingresso in Reparto, veniva riferita dal reparto di Ostetricia una positivizzazione della PCR materna (180.9 mg/L), ma negatività degli esami colturali (l’urinocoltura e due emocolture eseguite in seconda e terza giornata di ricovero). Veniva invece riferito che un tampone cervicovaginale effettuato pochi giorni prima del ricovero era risultato positivo per Candida glabrata. A questo punto, la madre esegue un’ampia serie di accertamenti diagnostici, che includono anche esami sierologici per Adenovirus, Mycoplasma, Chlamydia (tutti nella norma), e per EBNA-VCA e Bartonelle (a cui risulta immune). La PCR per HHV6 e Parvovirus B19 risultano negative, così come negativi risultano ANA, ENA, ASFLO e reumatest. Un RX Torace non dà elementi diagnostici di alcun tipo. La mamma inizia terapia empirica

Replication in oropharynix

Antibody blockage

Secondary viremia

Echo, coxsakie A

Skin FMD disease

Myocarditis pericarditis Pleurodynia

Cocksakie A and B Primaty viremia Blood stream

Target tissue

Meninges Muscle Brain Echo, cocksakie Polio, A and B coxsakie A7 Echo, polio, coxsakie

Heart Thorax Rash herpangina

Rhino Echo, Cocksakie Polio

Meningitis

Liver Hepatitis A

Virus shed in stool

Encephalitis Paralytic disease

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Fig. 1: Momento patogenetici dell’infezione da enterovirus

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in ripresa dopo calo fisiologico in terza giornata di vita. In ottava giornata di vita si verifica un improvviso e drammatico peggioramento delle condizioni cliniche: il neonato presenta cute pallida, lieve ipotonia, dispnea e tachicardia. Gli esami eseguiti d’urgenza certificano una grave piastrinopenia (PTL 9000/mmc), con emocromo altrimenti nei limiti di norma (WBC 17.270 /mm3, RBC 4.150.000/mmc, HGB 14 g/dl, HCT 39%). La PCR è nei limiti (10.8 mg/l, v.n sino a 10 mg/l), ma nel sospetto di sepsi acuta esegue esami colturali (aspirato gastrico , emocoltura, urinocoltura, esame urine, che risulteranno poi tutti negativi). Per la grave piastrinopenia si ricovera il piccolo in terapia intensiva neonatale per le cure del caso. Ripete emocoltura ed aspirato gastrico, esegue sierologia per HSV 1-2, CMV, Parvovirus B19, Adenovirus e PCR qualitativa per HSV 1-2, CMV, Parvovirus B 19, HHV6. Tali esami risulteranno poi tutti negativi. Posto in culla termica con monitoraggio cardiorespiratorio e pressorio, per valori di saturazione non soddisfacenti in aria ambiente (saturazione 91-92%) inizia ossigenoterapia (FiO2 0.30). Viene posizionato un accesso venoso periferico, e si richiedono piastrine e plasma per uso pediatrico onde procedere a trasfusione urgente. Inizia somministrazione di immunoglobuline (Ig vena), antibioticoterapia empirica ad ampio spettro (ampicillina+sulbactam ed amikacina) e fototerapia (bilirubinemia diretta 15.9 mg/dl). La situazione clinica si aggrava rapidamente, e dopo circa due ore dall’esordio le condizioni generali appaiono più compromesse con cute pallida e a sfumatura itterica, tachicardia con frequenza cardiaca >180 bpm, e modica ipotonia. Esegue un’ecografia cerebrale che non evidenzia segni chiari di emorragia in atto.

A sei ore dal ricovero in TIN compare marezzatura della cute, e persistono sia la modica tachipnea, sia la tachicardia in assenza di soffi cardiaci. A dodici ore dal ricovero compare una grave crisi di bradicardia con desaturazione; il neonato viene ventilato d’urgenza con pallone Ambu e maschera, e si esegue massaggio cardiaco esterno (MCE). Non ottenendo alcuna risposta in termini di attività cardiaca e respiratoria autonome, si procede ad intubazione per via naso tracheale, si pone in ventilazione meccanica e si prosegue con MCE. Si somministra adrenalina, ripetendo la dose a 5 minuti di distanza. All’eco cerebrale in corso di crisi continua a repertarsi una assenza di emorragie massive, mentre all’ecocardiogramma precedentemente negativo - si evidenzia una scarsissima attività contrattile. Si effettua un bolo di fisiologica e si somministra bicarbonato di sodio, proseguendo la ventilazione manuale e MCE. A questo punto , il neonato inizia una infusione di dopamina (al dosaggio di 10 gamma/kg/minuto), e dopo circa dieci minuti si registra un lieve miglioramento della saturazione e della contrattilità cardiaca, pur persistendo una dipendenza assoluta dall’assistenza rianimatoria. Viene aggiunta in terapia la dobutamina (10 gamma/kg/min) ma ciononostante si verifica un ulteriore deterioramento delle funzioni vitali. Compare midriasi fissa e - dopo un ultimo tentativo rianimatorio effettuato con somministrazione di atropina e di una terza dose di adrenalina - si constata il decesso del piccolo. Nei giorni successivi arriva l’esito dell’esame batteriologico colturale eseguito sulla placenta che dà esito negativo; l’esame istologico dimostra invece la presenza di sporadici focolai di corioamniotite e una istologia placentare con maturazione villare conforme all’epoca gestazio-

2 Fig. 2: Tessuto cardiaco in neonato con miocardite: infiltrazione linfocitaria e danno delle fibre miocardiche

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nale. L’esame autoptico del neonato svela un quadro di shock settico con insufficienza multiorgano causata da un’infezione virale da enterovirus, e rivela la presenza di miocardite e meningite virali. Si reperta altresì un lieve versamento peritoneale, un versamento pericardico, polmoni con petecchie emorragiche ed epatosplenomegalia. All’esame istologico, a livello cardiaco si rileva un infiltrato linfomonocitario che dissocia i miociti del miocardio a livello dell’endocardio e del pericardio, con vaste aree di sofferenza miocardica. Le meningi appaiono iperemiche con diffuso infiltrato linfomonocitario. La ricerca virale eseguita su liquido cefalorachidiano, peritoneale, e su tessuto miocardico dà esito positivo per enterovirus. Anche la PCR qualitativa per enterovirus materna, inviata circa cinque giorni dopo il decesso del piccolo, viene poi a risultare positiva. Dopo il decesso del piccolo la mamma ha poi ricordato e riferito di aver ricevuto la visita di due nipotini qualche giorno prima del ricovero; entrambi lamentavano faringodinia e presentavano rinorrea.

Discussione L’infezione da enterovirus che ha causato la morte del piccolo è stata trasmessa probabilmente per via verticale dalla mamma, contagiata dai propri nipoti (presunti casi indice) prima del ricovero; i nipoti non avevano, tra l’altro, mai avuto diretto contatto col neonato durante la sua degenza in ospedale. In letteratura esistono reports che hanno dimostrato una trasmissione intrafamiliare di tipo orizzontale degli enterovirus. Gli enterovirus sono virus a singola catena di RNA che includono i poliovirus, i Coxsackie A e B e gli echovirus (attualmente riclassificati in poliovirus e enterovirus A-D). L’incubazione dell’infezione è di circa 2-5 giorni, la frequenza

3 Fig. 3: Miocardiopatia dilatativa, possibile complicanza dell’infezione da enterovirus


di trasmissione da un madre infetta al neonato è del 30-50%, generalmente attraverso secrezioni materne durante il parto spontaneo o altri fluidi. Circa il 60-70% delle mamme dei neonati infetti presenta febbre nell’ultima settimana di gravidanza; alcune lamentano anche dolori addominali e sintomi respiratori; sintomi virali spesso sono presenti in altri familiari. Altri fattori di rischio sono rappresentati dall’età gestazionale al momento del contagio, dallo stato clinico della mamma al momento del parto, dall’assenza di anticorpi neutralizzanti trasmessi al neonato. L’infezione da enterovirus acquisita in epoca prenatale può essere gravissima, potendo causare polmonite, miocardite, lesioni cutanee simil varicella, meningoencefalite, epatite, insufficienza multiorgano (il tasso di mortalità può arrivare al 42%). Vi è molta incertezza nosografica nell’ambito delle sepsi neonatali di origine virale, essendo invalsa l’attitudine a considerare le sepsi neonatali come - sempre e comunque - ad eziologia batterica o al più fungina. In ambito virale, invece, i Coxsackievirus di tipo B sono spesso responsabili di miocarditi ed encefaliti neonatali, e assieme agli echovirus 11 (che causano più frequentemente epatiti e coagulopatia) sono responsabili di una prognosi più severa. I neonati possono presentare anche instabilità della temperatura cutanea, irritabilità, diarrea, letargia, anoressia, petecchie, distress respiratorio, ittero, cianosi, convulsioni, eritema periombelicale, ma la presentazione clinica può anche essere aspecifica, non differente da altre infezioni batteriche o virali, malattie metaboliche o cardiopatie congenite. Potenziali indicatori di eziologia virale possono essere la presentazione durante l’estate e l’autunno, la mancanza di fattori di rischio per sepsi batteriche, la storia materna di malattia nelle due settimane precedenti al parto. La miocardite spesso si presenta come cardiomegalia, arresto cardiaco, aritmie, infarcimento miocardico, cardiomiopatia dilatativa, e spesso coesiste pericardite. I neonati che sopravvivono alla miocardite spesso presentano minime disfunzioni miocardiche, miocardite croniche calcifiche o aritmie ed aneurismi ventricolari. La presenza di miocardite può esser documentata mediante ECG (anomalie della ripolarizzazione ventricolare, bassi

voltaggi QRS, aritmie), e all’ecocardiogramma (aumento dei diametri ventricolari e/o ipocinesia), e si associa ad elevati livelli di troponina I e peptide natriuretico atriale. L’epatite è invece caratterizzata da ittero, epatomegalia, ipertransaminasemia, iperbilirubinemia, e frequentemente si associa a piastrinopenia e coagulopatia (con pancitopenia, CID, complicanze emorragiche, specie cerebrali, renali e surrenali). Talvolta è anche presente insufficienza renale, enterocolite necrotizzante, iponatremia con inappropriata secrezione di ormone antidiuretico. Difficile da predire è la prognosi di neonati con coinvolgimento neurologico; alcuni possono presentare disturbi del linguaggio e dell’apprendimento sino ad anomalie motorie, microcefalia, difetti oculari, convulsioni, mentre encefaliti severe possono determinare necrosi e conseguente compromissione neurologica, ritardo mentale, anomali motorie ed idrocefalo. L’RNA degli enterovirus può esser presente a lungo nei campioni biologici colturali (sino a due settimane, ma fino ad anche undici settimane nelle feci): la diagnosi può avvalersi di colture virali (inoculazione in cellule di rene di scimmia), ma quest’ultime richiedono esperienza, sono costose e possiedono una bassa sensibilità (il coxsackievirus sierotipo A cresce tra l’altro poco in colture). Altre metodiche diagnostiche sono l’identificazione antigenica mediante immunofluorescenza indiretta, ma soprattutto la PCR a trascrittasi inversa (RT-PCR), quest’ultima più rapida, specifica e sensibile. La comparsa di sintomatologia nei primi sette giorni di vita può suggerire una trasmissione pre-perinatale (più grave, perché generalmente associata a carica virale più alta, aumentati recettori virali nei tessuti ospite del neonato, immaturità dell’immunità cellulo-mediata del neonato, mancanza di anticorpi protettivi materni diretti contro lo specifico sierotipo di enterovirus), mentre un esordio dei sintomi dopo i primi 14 giorni di vita rende la trasmissione orizzontale (associata generalmente a disturbi meno severi) più probabile. L’uso delle immunoglobuline come terapia è controverso; la strategia di somministrare a scopo profilattico immunoglobuline a neonati di madri con infezione da enterovirus in prossimità del parto rappresenta un approccio logico, ma non testato. Fondamentali sono invece le

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terapie di supporto cardiovascolare, respiratorio e la somministrazione di emoderivati. Se utilizzato precocemente, specie nei pazienti con miocarditi, può risultare invece utile l’uso di un anti - enterovirale come il pleconaril (al dosaggio di 5 mg/Kg , ogni otto ore al giorno), il quale inibisce l’adesione dei virus ai recettori delle cellule ospite; tale farmaco presenta un’ eccellente biodisponibilità orale e tollerabilità e si è dimostrato utile in studi condotti su bambini ed adulti con meningiti da enterovirus o affezioni delle alte vie respiratorie da picornavirus (rinovirus e enterovirus). Mancano però dati di farmacocinetica che ne limitano attualmente l’uso in età neonatale e pediatrica. Fondamentale infine risulta la prevenzione nei confronti della trasmissione intrafamiliare degli enterovirus (lavaggio delle mani per prevenire la trasmissione oro-fecale e respiratoria), ma anche scolare e intraospedaliera. Donne gravide vicine al termine della gravidanza dovrebbero evitare individui con probabile infezione da enterovirus; in caso di probabile contagio, in assenza di emergenze ostetriche o compromissione fetale, il parto non dovrebbe essere anticipato per consentire al feto l’acquisizione passiva di anticorpi protettivi. Bibliografia 1. Matthias W. et al. Prognosis for neonates with enterovirus myocarditis. Arch Dis Child Fetal Neonatal Ed 2010 95: F206-F212. 2. Abzug M. Presentation, Diagnosis, and Management of Enterovirus Infections in Neonates. Pediatr Drugs 2004; 6 (1): 1-10. 3. Huang Fang Liang et al. An outbreak of enterovirus 71 in a nursery. Scandinavian Journal of Infectious Diseases, 2010; 42: 609–612. 4. Verma N. et al . Outbreak of LifeThreatening Coxsackievirus B1 Myocarditis in Neonates Clinical Infectious Diseases 2009; 49:759-63. 5. Verboon-Maciolek M.A et al. Epidemiological Survey of Neonatal Non-Polio Enterovirus Infection in the Netherlands. Journal of Medical Virology 66:241±245 (2002). 6. Ling Ling Cheng et al. Probable Intrafamiliar Transmission of Coxsackievirus B3 With Vertical Transmission, Severe Early-Onset Neonatal Hepatitis, and Prolonged Viral RNA Shedding. Pediatrics 2006;118;e929-e933. 7. Tebruegge M. et al. Enterovirus infections in neonates. Seminars in Fetal & Neonatal Medicine 14 (2009) 222–227.

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Ruolo della endoscopia delle vie aeree superiori in pronto soccorso pediatrico L’introduzione delle fibre ottiche in campo medico ha rivoluzionato l’approccio alla patologia nasale e laringea, sia in ambito diagnostico che terapeutico, nell’adulto e nel bambino. Elina Matti*, Fabio Pagella*, Davide Caimmi, Giulia Masa, Carolina Passera, Martina Pasetti, Chiara Montalbano, Serena Benzo, Manuela Seminara, Valentina Trovamala, Elena Labò, Gian Lugi Marseglia Dipartimento di Scienze Pediatriche Università degli Studi di Pavia, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia * Clinica Otorinolaringoiatrica, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia Il fibroscopio, introdotto all’interno delle cavità nasali, permette una visualizzazione diretta di strutture che prima erano pressoché sconosciute al clinico e che attualmente sono considerate punti cardine della diagnostica della patologia rinosinusale (1). L’endoscopia delle vie aeree superiori consente la valutazione del setto nasale, dei turbinati inferiori e medi, delle aree di drenaggio delle secrezioni provenienti dai seni paranasali (complesso ostiomeatale, area delle fontanelle posteriori, recesso sfenoetmoidale), inoltre, superate le coane, si possono visualizzare il faringe ed il laringe. In età pediatrica, l’endoscopia nasale viene eseguita con un fibroscopio flessibile di diametro 2,9 mm o con un’ottica rigida di 2,7 mm angolata di 30°. La scelta dello strumento è in funzione dell’età e

della compliance del paziente. Generalmente i bambini in età prescolare vengono valutati con lo strumento flessibile che ha la peculiarità di non causare trauma, anche se il bambino si muove durante l’esame. I bambini più grandi, invece, vengono preferibilmente valutati con la fibra ottica rigida, che consente una indagine più analitica da un punto di vista anatomico ed una migliore qualità di immagine. L’endoscopia laringea viene sempre eseguita con fibroscopio flessibile, che, introdotto in una fossa nasale, permette di raggiungere e oltrepassare il rinofaringe e valutare dall’alto orofaringe, ipofaringe e laringe. In ogni caso prima dell’esecuzione della procedura è indicata una preparazione delle fosse nasali con soluzione anestetica e decongestionante (ossibuprocaina cloridrato 1%

e xilometazolina cloridrato 0,1% in parti uguali) che, nei bambini più piccoli, viene instillata con un contagocce o nebulizzata con uno spray. Nei pazienti più grandi, la preparazione viene eseguita lasciando in sede per qualche minuto cotonini nasali imbevuti con la soluzione stessa. Solo nei bambini meno collaboranti e comunque in casi selezionati, l’esecuzione dell’esame può richiedere una breve sedazione in sala operatoria. La disponibilità di questa strumentazione in un pronto soccorso pediatrico si rivela di grande utilità per il pediatra nell’approccio ad alcuni quadri clinici. Le patologie che più frequentemente trovano indicazione ad una valutazione endoscopica in urgenza risultano essere il corpo estraneo nasale o ipofaringeo, le rinosinusiti acute, le epiglottiti e le laringiti ipoglottiche.

• La fibroendoscopia nasale permette di visualizzare direttamente il setto nasale, i turbinati inferiori e medi, il complesso ostiomeatale e il recesso sfenoetmoidale, oltre a faringe e laringe. È un’indagine che risulta minimamente invasiva e generalmente ben tollerata anche dai bambini.

• In base all’età e alla compliance del paziente si possono utilizzare un endoscopio flessibile o una fibra ottica rigida; i pazienti vengono preparati con l’applicazione locale di una preparazione anestetica e solo i meno collaboranti possono richiedere una breve sedazione in sala operatoria.

Indicazioni alla fibroendoscopia in urgenza

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Corpo estraneo nasale: l’introduzione di corpi estranei all’interno delle cavità nasali è una prerogativa dei bambini nei primi anni di vita e gli oggetti interessati sono tra i più vari. I più frequenti risultano essere oggetti di plastica, bottoni, oggetti


• L’introduzione di corpi estranei all’interno delle cavità nasali, tipica dei bambini in età prescolare, può complicarsi con l’inalazione nelle vie respiratorie inferiori, l’ostruzione degli osti dei seni paranasali e la sovrapposizione di processi infiammatori/infettivi. L’endoscopio consente di visualizzare il corpo estraneo e di procedere rapidamente alla sua estrazione. • L’endoscopio è utile anche nel rimuovere corpi estranei ingeriti e arrestatisi a livello ipofaringeo, che possono essere anche voluminosi, o, a volte, appuntiti, e causare dolore o sintomi respiratori. di metallo, cibo e carta (2). Particolare attenzione richiedono corpi estranei pericolosi, quali piccole batterie a bottone, che possono causare ustione chimica e perforazione settale. Un corpo estraneo localizzato nelle vie aeree superiori deve essere rimosso con sollecitudine, per evitare, in prima istanza, il rischio di inalazione nelle vie respiratorie inferiori. Inoltre, la persistenza di un corpo estraneo endonasale può alterare la normale clearance mucociliare od ostruire gli osti dei seni paranasali con conseguente sovrapposizione di processi infiammatori ed infettivi (rinosinusiti). Non sempre, tuttavia, è possibile la visualizzazione diretta del corpo estraneo in rinoscopia anteriore, soprattutto se l’oggetto è dislocato nel meato medio o posteriormente verso il rinofaringe. In questo caso, l’utilizzo dell’endoscopio consente di individuare agevolmente la posizione del corpo estraneo e di procedere alla sua estrazione con l’ausilio di uncini a punta smussa o pinze da presa (Figura 1). Va, infatti, sottolineato che l’estrazione del corpo estraneo non deve mai essere eseguita alla cieca, per evitare di produrre ulteriori lesioni e sanguinamenti della mucosa che possono rendere ancora più indaginosa la procedura di estrazione. Corpo estraneo ipofaringeo: l’uso della fibroendoscopia si rende utile nell’individuazione e nella rimozione di corpi estranei, che ingeriti accidentalmente o volontariamente dal bambino, si arrestano in quest’area. Più frequentemente l’ingestione riguarda cibi, parti di giocattoli e monete (3). I corpi estranei appuntiti (lische di pesce e frammenti ossei) si possono infiggere, oltre che nella base della lingua e nelle tonsille, anche sulle pliche ariepiglottiche o

fermarsi nei seni piriformi. Corpi estranei voluminosi (parti di giocattoli, grossi boli carnei) possono arrestarsi in ipofaringe a livello dell’area cricofaringea. I sintomi riferiti dal paziente sono, nella maggior parte dei casi, riconducibili a sensazione di corpo estraneo e dolore ipofaringeo di tipo puntorio, che si esacerba con i movimenti di deglutizione. Qualora l’oggetto fosse di dimensioni tali da ostruire l’adito laringeo, si possono associare anche sintomi respiratori. Per la rimozione si introduce il fibroscopio all’interno di una fossa nasale e lo si guida in faringe fino alla visualizzazione del corpo estraneo, procedendo all’estrazione con pinze angolate introdotte attraverso la cavità orale (4). In altri casi, è necessario, una volta individuato il corpo estraneo, estrarlo in microlaringoscopia diretta. Rinosinusiti acute: la rinosinusite è una patologia molto frequente in età pediatrica ed i sintomi, nei primi 7-10 giorni di malattia, sono del tutto simili a quelli di una flogosi delle alte vie aeree (5). Riteniamo che le indicazioni all’uso della fibroendoscopia per le patologie rinosinusali in un pronto soccorso siano riconducibili a tre quadri principali: sintomatologia rinosinusale persistente, etmoidite, cefalea gravativa persistente. La presenza di congestione nasale, di scolo mucopurulento anteriore e faringeo, in particolare se accompagnato da tosse che peggiora di notte o al risveglio, sono indicativi di rinosinusite acuta. La rinorrea purulenta anteriore, l’irritabilità e la febbricola sono più evidenti nei bambini piccoli. I più grandi presentano spesso algie facciali, cefalea ed alitosi (6). La persistenza di questi sintomi può creare dubbi diagnostici e l’utilizzo della fibroendoscopia permette una “topodiagnosi” di certezza della patologia flogistica rinosinusale. Infatti, uno

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1 Fig. 1: Strumenti per la fibroendoscopia nasale

scolo purulento proveniente dal complesso ostiomeatale indica una flogosi del compartimento anteriore (seno mascellare, etmoide anteriore e seno frontale); uno scolo proveniente dal recesso sfenoetmoidale indica, invece, una flogosi del compartimento posteriore (etmoide posteriore e sfenoide). Qualora un bambino si presenti con edema ed iperemia periorbitale monolaterale, si deve sempre sospettare una etmoidite (Figura 2). L’indagine più immediata che ci permette di formulare una diagnosi corretta di etmoidite acuta è l’endoscopia nasale, in quanto consente di individuare la presenza di secrezioni purulente a livello dell’area delle fontanelle posteriori e di documentare l’edema del complesso ostiomeatale (Figura 3). In tal caso, la procedura risulta avere anche una valenza terapeutica, in quanto è possibile, sotto visione endoscopica, procedere al posizionamento a livello del complesso ostiomeatale di cotonoidi medicati con vasocostrittore per ridurre l’edema e favorire il drenaggio delle secrezioni patologiche. Va ricordato che, qualora venga ritardata la diagnosi, l’etmoidite può evolvere in una forma complicata con cellulite o ascesso orbitario, fino ad un interessamento endocranico.

3 Fig. 3: Edema del complesso ostiomeatale visualizzabile con la fibroendoscopia

Fig. 2: Quadro indicativo di etmoidite

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Inoltre, quando si presenta alla nostra attenzione un bambino che lamenta cefalea persistente, nell’ambito delle indagini da effettuare, è importante includere un’endoscopia nasale, in quanto alcune volte questo sintomo è legato ad una patologia sinusale isolata come la sfenoidite. Le infezioni dello sfenoide, che generalmente non si accompagnano ai sintomi classici delle rinosinusiti (ostruzione nasale, scolo nasale, tosse), ma a cefalea persistente, possono essere svelate evidenziando le secrezioni a livello del recesso sfenoetmoidale. Infezioni acute laringee: le infezioni acute delle prime vie aeree risultano essere una causa frequente di accesso al pronto soccorso nei bambini al di sotto dei quattro anni di età. La gravità del quadro clinico varia da forme di croup lieve fino a quadri di ostruzione respiratoria acuta potenzialmente pericolosa per la vita. Le situazioni più insidiose sono caratterizzate dall’epiglottite e dalla laringite acuta ipoglottica (7). L’epiglottite è una condizione drammatica e rapidamente evolutiva che colpisce bambini tra i 2 e i 7 anni. Il quadro clinico è caratterizzato da distress respiratorio di grado variabile, febbre elevata, disfagia, disfonia e compromissione dello stato generale, fino ad un vero e proprio stato di shock. Il bambino si presenta estremamente irritabile, assumendo la posizione “del tripode”, seduto, con la testa iperestesa, la bocca aperta e abbondante scialorrea per incapacità a deglutire le secrezioni. La progressione verso l’ostruzione respiratoria completa può essere molto rapida, segnalata dalla comparsa di stridore inspiratorio (8). La diagnosi di certezza richiede la visualizzazione dell’epiglottide, che appare tipicamente edematosa e di colore “rosso ciliegia” e che alcune volte può essere identificata con una semplice orofaringoscopia. L’esecuzione della radiografia in proiezione laterale del collo può risultare di utilità diagnostica, consente, inoltre, una diagnosi differenziale con l’ascesso retrofaringeo, la presenza di corpo estraneo, ma può ritardare l’approccio terapeutico e non dà informazioni sufficienti sul grado di ostruzione respiratoria (9). L’esame dirimente rimane la laringoscopia diretta eseguita in presenza del rianimatore ed in ambiente protetto, in quanto tale procedura può determinare un laringospasmo riflesso che porta ad una ostruzione respiratoria completa, con la necessità di effettuare una tracheotomia in urgenza. Nei casi in cui

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• Nel caso di pazienti che si presentino in pronto soccorso con sintomatologia rinosinusale persistente, segni di etmoidite, o cefalea gravativa persistente, l’endoscopia permette di diagnosticare rapidamente un quadro di rinosinusite. In tale caso, è importante poter valutare l’eventualità di forme complicate, soprattutto con cellulite, ascesso orbitario, o interessamento endocranico e tale esclusione risulta possibile con l’utilizzo di un fibroendoscopio. il corredo sintomatologico non sia chiaramente espresso ed il distress respiratorio sia di grado lieve, un utile strumento diagnostico è rappresentato dal fibroscopio flessibile, che, introdotto attraverso una fossa nasale, può essere guidato fino alla visualizzazione dell’epiglottide dall’alto e del piano glottico, consentendo di valutare l’entità dell’edema tissutale sovraglottico, evitando possibili riflessi spastici. Tra le cause di croup, una condizione morbosa particolarmente grave è la laringite ipoglottica, che colpisce la fascia di età compresa tra 1 e 3 anni, con prevalenza nel sesso maschile (7). L’edema interessa la regione ipoglottica con comparsa di dispnea inspiratoria e croup ingravescente, associato a stato di agitazione ed ansia che pervade il piccolo paziente. Al fine di confermare la diagnosi, anche in questo caso, può essere utile effettuare una fibroendoscopia laringea. Tale strumento ci permette di visualizzare una tumefazione grigiastra o di colore rosso vivo localizzata al di sotto delle corde vocali vere e consente, inoltre, di quantificare la riduzione dello spazio respiratorio.

Conclusioni L’endoscopia delle vie aeree superiori è un’indagine che risulta minimamente invasiva e generalmente ben tollerata anche dai bambini. E’ • La laringite acuta ipoglottica con il croup e l’ascesso retrofaringeo con l’epiglottite sono una causa frequente di accesso al pronto soccorso nei bambini di età prescolare e possono causare quadri di ostruzione respiratoria acuta potenzialmente pericolosa per la vita. La diagnosi di certezza può essere raggiunta con l’endoscopia associata ad una radiografia in proiezione laterale del collo.

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necessario, però, disporre di una corretta strumentazione, di un ambiente idoneo e di personale ben addestrato. Nei centri dove sia possibile disporre di un servizio di endoscopia, tale procedura si può rivelare un utile strumento sia diagnostico che terapeutico da utilizzare nell’ambito di alcune urgenzeemergenze pediatriche. In particolare, risulta di fondamentale importanza nella individuazione e rimozione di corpi estranei endonasali e faringei. Trova, inoltre, impiego nella diagnosi di quadri di difficile interpretazione come la patologia rinosinusale isolata e permette una diagnosi immediata nei casi di etmoidite. Da ultimo, l’endoscopia può essere inserita nell’ambito dei protocolli diagnostici dello stridore in qualsiasi età della vita, in quanto permette di individuare il distretto laringeo interessato e di quantificare lo spazio respiratorio residuo. Bibliografia 1. Wang D, Clement P, Kaufman L, Derde MP. Fibreoptic examination of the nasal cavity and nasopharynx in children. Int J Pediatr Otorhinolaryngol 1992; 24:35-44. 2. Higo R, Matsumoto Y, Ichimura K, Kaga K. Foreign bodies in the aerodigestive tract in pediatric patients. Auris Nasus Larynx 2003 Dec; 30(4):397-401. 3. Wai Pak M, Chung Lee W, Kwok Fung H, van Hesselt CA. A prospective study of foreign body ingestion in 311 children. Int J Pediatr Otorhinolaryngol 2001 Apr 6; 58(1):37-45. 4. Sato K. Extraction of minute pharyngeal foreign bodies with the videoendoscope. Ann Otol Rhinol Laryngol 2003 Aug; 112(8):693-6. 5. Aitken M, Taylor JA. Prevalence of clinical sinusitis in young children followed by primary care pediatricians. Arch Pediatr Adolesc Med 1998; 152:244-48. 6. Lusk RP, Stankiewicz JA. Pediatric rhinosinusitis. Otolaryngol head Neck Surg 1997; 117:s53-s57. 7. Damm M, Eckel HE, Jungehulsing M, Roth B. Management of acute inflammatory childhood stridor. Otolaryngol Head Neck Surg 1999 Nov; 121(5):633-8. 8. Stroud RH, Friedman NR. An update on inflammatory disorders of the pediatric airway: epiglottitis, croup, and tracheitis. Am J Otolaryngol 2001 Jul-Aug; 22(4):268-75. 9. Nakamura H, Tanaka H, Matsuda A, et al. Acute epiglottitis: a review of 80 patients. J Laryngol Otol 2001 Jan; 115(1):31-4.


La Febbre nella Pratica Clinica Sin dai tempi di Ippocrate, la febbre è stata considerata una reazione difensiva, utile all’organismo. Davide Caimmi, Giulia Masa, Carolina Passera, Martina Pasetti, Chiara Montalbano, Serena Benzo, Elena Borali, Lucia Bianchi, Manuela Seminara, Valentina Trovamala, Elena Labò Clinica Pediatrica Fondazione IRCCS Policlincio SanMatteo Pavia

L’approccio al sintomo febbre: i genitori ed il Pediatra A metà del XIX secolo, Claude Bernard dimostrò che aumentando la temperatura di 5-6 gradi con il riscaldamento era possibile indurre rapidamente la morte negli animali da esperimento. Da allora si è perpetuato il dubbio che la febbre potesse essere pericolosa, rendendo quindi imperativo un suo trattamento. Tutt’oggi, i genitori sono troppo spesso spaventati dal sintomo febbre, che viene comunque ritenuto come sinonimo di malattia, tanto che essa è senza dubbio la principale causa di consultazione per un pediatra, e ricorre molto frequentemente anche tra le motivazioni addotte per giustificare un accesso al Pronto Soccorso pediatrico. In generale, la febbre deve invece essere considerata come un meccanismo para-fisiologico: infatti, un aumento moderato della temperatura corporea, comunque inferiore ai 39°C, favorisce non solo numerose risposte immunologiche, ma è utile anche ad ostacolare la proliferazione di diversi patogeni sia virali sia batterici. Questo effetto antinfettivo sarebbe sia diretto, ovvero legato all’incapacità dei patogeni di sopravvivere a temperature di 38-39°C, sia indiretto, dato che la febbre determinerebbe un aumento del fabbisogno di ferro da parte di diversi patogeni, ferro che invece viene sequestrato dall’organismo nel corso delle infezioni. Inoltre alcune recenti osservazioni, tra le quali una personale, evidenziano l’esistenza di una correlazione inversa

tra gli episodi febbrili nei primi periodi della vita e le sensibilizzazioni allergiche in età scolare, portando a ipotizzare che la febbre nei primi anni di vita possa contribuire a orientare la risposta immunologica in senso TH-1, riducendo quindi la comparsa delle allergie negli anni successivi (1, 2). D’altra parte, comunque, occorre tener presente il fatto che la febbre porta ad un aumento del metabolismo basale, del consumo di ossigeno, della produzione di CO2 e della gittata cardiaca, del catabolismo muscolare con negativizzazione del bilancio azotato e calo ponderale, e della produzione di glucosio, nonché ad un aumento del fabbisogno calorico e idrico. Di certo la complicanza più frequente e temuta della febbre è la insorgenza di convulsioni febbrili. Queste si verificano nel 35% dei bambini tra i sei mesi e i 5 anni, e costituiscono certamente un evento allarmante per i genitori, sia nell’immediato, sia nel corso dei successivi episodi febbrili. E tuttavia non sembra superfluo ricordare che queste si verificano solo in una minoranza di bambini, peraltro predisposti e che non vi sono evidenze a sostegno che le convulsioni febbrili semplici possano causare danno cerebrale, né successivi deficit cognitivi. Nella popolazione pediatrica, il sintomo febbre si può normalmente verificare 3-4 volte l’anno, soprattutto nei primi anni di vita. Negli Stati Uniti si è addirittura arrivati a parlare di una fever-fobia, che colpisce l’intero ambiente familiare. In uno studio italiano recente (3), viene riportato che i genitori temono soprattutto che la

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febbre porti a complicanze gravi, temendo soprattutto che vi sia rischio convulsioni, di disidratazione, di delirio e persino di danni permanenti o addirittura di morte. Quando un Pediatra si trova di fronte a un bambino che presenti febbre, si comporta tendenzialmente secondo quanto appreso in base alla sua esperienza clinica. In generale, ciò che il Medico deve saper discernere è se il sintomo nasconda in effetti una batteriemia in atto e se quindi il piccolo paziente è a rischio di complicanze gravi o di meningite. Lo schema pratico, quindi, di valutazione del paziente, comprende una corretta raccolta dei dati anamnestici e una visita completa ed accurata, una misurazione estemporanea della temperatura corporea e, se possibile, una valutazione della conta dei globuli bianchi ed eventualmente dei neutrofili non segmentati. In generale ci sono delle situazioni considerabili come ad alto rischio per un’infezione di tipo batterico, riassunte in Tabella 1 (4). In mancanza di un laboratorio o di • Si considera febbre un valore della temperatura corporea, misurata a livello del cavo ascellare, superiore ai 37.5° C o ai 38.0° C se misurata a livello rettale. La febbre deve essere considerata un meccanismo parafisiologico, favorente numerose risposte immunologiche e in grado di ostacolare la proliferazione di diversi patogeni. La complicanza più frequente e temuta della febbre è l’insorgenza di convulsioni febbrili, specialmente nei bambini fra i sei mesi di vita e i 5 anni.

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Definizione di Febbre

Situazioni ad alto rischio di infezione batterica Neonati e bambini di età inferiore a 3 mesi Febbre > 41° C Febbre con petecchie o eruzione emorragica Febbre con polipnea o difficoltà respiratoria Febbre con brivido Febbre con estremità fredde Febbre con estrema prostrazione o torpore Febbre con cefalea e vomito Febbre con disturbi della minzione Febbre con dolore Febbre di durata superiore a tre giorni Da: Calvani M, La febbre e l’ipertermia nella pratica pediatrica. Roma: CIC edizioni Internazionali, 2004, modificata

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test rapidi, comunque, è vero anche che il livello stesso della febbre rappresenta un criterio fondamentale per valutare il rischio di batteriemia. Un altro metodo, invece pubblicato da alcuni Autori della Yale University di Rochester (5) prevede l’assegnazione di uno score al paziente, sulla base di sei criteri clinici (qualità del pianto, reattività agli stimoli dolorosi, stato di veglia, colorito della cute, stato di idratazione, reattività a sollecitazioni sociali): se il bambino ottiene un punteggio uguale o inferiore a 10, allora il suo quadro clinico risulta essere associato ad un un basso rischio di infezione batterica grave, mentre il rischio risulta essere elevato se il punteggio è maggiore o pari a 16 (Tabella 2).

La febbre è una risposta fisiologica regolata dal termostato ipotalamico, e per tale motivo, a differenza dell’ipertermia, solo raramente supera la temperatura di 41°C. La XXV edizione del dizionario Stedman del 1990 definisce la febbre come la temperatura corporea al di sopra di 37°C (6), dato apparentemente in linea con la credenza della popolazione generale. In realtà, occorre in primis fare attenzione al fatto che la temperatura corporea definibile come stato febbrile varia anche in base alla sede di misurazione della stessa (sorpattutto ascellare, rettale ed orale); inoltre, occorre ricordare la temperatura corporea in un soggetto sano non presenta un netto cut-off, ma può essere caratterizzata da un range di normalità, con variabilità interindividuale, ma altresì intraindividuale, in base al ritmo circadiano, alla temperatura ambientale, all’alimentazione, o all’esercizio fisico. Quando ci si trova comunque nella pratica clinica, è ormai accettato parlare di febbre quando la temperatura corporea, misurata a livello del cavo ascellare, ecceda i 37.5° C o i 38.0° C se misurata a livello rettale. La febbre si accompagna quasi costantemente all’aumento della frequenza cardiaca: circa 10 battiti al minuto oltre la frequenza di base, per ogni grado di temperatura al di sopra dei 37°C, con la tipica eccezione rappresentata dall’ileotifo. Nella febbre si distingue un periodo di ascesa, uno di acme ed uno di defervescenza. L’ascesa può essere rapida, oppure graduale, precedu-

• Il medico che valuta un paziente febbrile dovrebbe raccogliere accuratamente i dati anamnestici e svolgere una visita completa ed accurata, con misurazione estemporanea della temperatura corporea e, se possibile, con raccolta di campione ematico, per la valutazione della conta dei polimorfonucleati, così da poter individuare i pazienti a rischio di infezione batterica. Esistono scale di valutazione clinica che aiutano il medico ad individuare i pazienti a rischio di batteriemia, come quella pubblicata già nel 1982 dalla Yale University di Rochester. ta o meno da brivido; ugualmente, la defervescenza può avvenire bruscamente, per crisi, o gradualmente, per lisi. L’andamento della curva termica, cioè la variazione della temperatura nel tempo, può essere differente da paziente a paziente e spesso può fornire informazioni utili per la diagnosi. Osservando quindi la curva, la febbre può venire definita come: • febbre periodica: (quotidiana, terzana, quartana) caratterizzata da accessi febbrili intervallati da periodi di temperatura normale a ricorrenza pressoché costante, generalmente di circa un mese (esempio: febbre periodica familiare) • febbre continua: la temperatura si mantiene elevata, con oscillazioni che nell’arco delle 24 ore non sono superiori ad 1° C (esempio: sesta malattia, tifo) • remittente: è quella in cui la temperatura, pur rimanendo sempre al di sopra dei 37°C, presenta oscillazioni giornaliere superiori a 1° C (esempio: febbre settica)

Score della Yale University

Colorito della cute

1 (NORMALE) Vivace, di tonalità normale. Oppure è contento, non piange Piange per breve tempo, poi smette Normale stato di veglia. Se dorme, stimolato si sveglia prontamente Roseo

Idratazione

Cute e mucose normoidratate

Reazione a sollecitazioni sociali

Sorride. Presta attenzione

CRITERI CLINICI Qualità del pianto Reazione agli stimoli dolorosi Stato di veglia

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2 (POCO COMPROMESSO) Pianto lamentoso o con singhiozzi Piange a intermittenza Chiude gli occhi. Si sveglia brevemente o solo se stimolato a lungo Estremità pallide o cianotiche

3 (MOLTO COMPROMESSO) Pianto debole o di tonalità alta Continua a piangere o reagisce violentemente Sonno profondo o insonnia

Pallido o cianotico o marezzato o grigiastro Cute e mucose aride. Mucosa orale un poí asciutta Occhi cerchiati Brevi sorrisi. Attenzione breve Non sorride. Espressione ansiosa del volto. Inespressività. Non presta attenzione

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• Il gold standard per la misurazione della temperatura corporea è la misurazione della temperatura centrale, ovviamente impraticabile nella pratica clinica. Attualmente il metodo più utilizzato e pratico è la misurazione ascellare, che tuttavia mostra una sensibilità variabile dal 27.8% al 33%. • intermittente: è quella in cui la temperatura ha un profilo circadiano caratteristico, scendendo al di sotto dei 37°C al mattino, per ripresentarsi elevata al pomeriggio o la sera (esempio: febbre terzana, quartana) • ricorrente: febbri continue o remittenti, della durata di pochi giorni, che si alternano a periodi intercritici di apiressia di varia durata (esempio: sprirochetosi) • febbre ondulante: è quella con profilo caratteristico con graduale aumento giornaliero fino al raggiungimento di un massimo, e poi diminuzione altrettanto graduale fino alla scomparsa (esempio: brucellosi) • febbricola: febbre intermittente che non supera i 37.8°C e che dura parecchi giorni (esempio: linfomi).

Fisiopatologia della febbre Diversi meccanismi entrano in azione nel corso della risposta febbrile, determinando una elevazione della temperatura corporea (Tabella 3) (7). Nella febbre, infatti, l’innalzamento della temperatura corporea fa seguito all’innalzamento del set point ipotalamico, ovvero di quel livello di temperatura corporea che l’ipotalamo fissa come normale, e che tende a mantenere contrastando l’esposizione al calore o al freddo. Ciò differenzia la febbre dalla ipertermia, intesa, invece, come una temperatura rettale uguale o superiore a 41.6°C, dovuta a sovraccarico di calore esogeno (colpo di calore) piuttosto che endogeno (esercizio fisico, ipertiroidismo, anomalie della termoregolazione centrale, crisi emolitiche acute, galattosemia) oppure a mancata termodispersione (displasia ectodermica anidrotica, sclerodermia, fibrosi cistica). L’elevazione del punto di equilibrio del termostato ipotalamico è dovuta all’interazione delle prostaglandine E2 (PGE2) con quattro specifici recettori cellulari (EP1EP4) presenti sui nuclei preottici dell’ipotalamo anteriore, fisiologi-

l’aumentata produzione di glucocorticoidi, mineralcorticoidi, insulina, catecolamine e dell’ormone della crescita, l’attivazione dei linfociti T con incrementata sintesi di IL-2, la proliferazione dei linfociti B e la mobilizzazione ed attivazione di alcune funzioni dei neutrofili (3).

Principali componenti della risposta febbrile ENDOCRINE E METABOLICHE Aumentata produzione di glucocorticoidi Aumentata secrezione di ormone della crescita Aumentata secrezione di aldosterone Diminuita secrezione di vasopressina Diminuiti livelli di cationi bivalenti plasmatici Secrezione delle proteine della fase acuta AUTONOME Deviazione del flusso cutaneo dalla cute ai vasi profondi Aumento della pressione e della frequenza cardiaca Diminuita sudorazione COMPORTAMENTALI Tremori (irrigidimento) Ricerca di calore (brividi) Anoressia Sonnolenza Malessere Da: : Flier JS. N Engl J Med 1994, modificata

Misurazione della temperatura corporea

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camente deputati al controllo della termoregolazione. Nella patogenesi della febbre svolgono un ruolo cruciale specifiche citochine, definite come pirogeni endogeni (fra cui IL-1β, IL-6, TNFα, IFNα). Tali molecole sono rilasciate dagli istiociti, dai macrofagi, dalle cellule di Kupffer, in risposta a pirogeni esogeni, quali il lipopolisaccaride (LPS) prodotto dai batteri Gram negativi, o gli acidi lipotenoici e i peptoglicani dei batteri Gram positivi (8). La secrezione di questi pirogeni endogeni determina l’attivazione dei neuroni dell’organum vasculosum della lamina terminale (area preottica) con successivo rilascio della PGE2, responsabile dell’aumento della temperatura corporea. Tali citochine pirogene (TNFα, IL-1β) sono inoltre implicate nella genesi delle modificazioni metaboliche, endocrinologiche ed immunologiche che si verificano in corso dell’episodio febbrile, come la vasodilatazione, l’aumento del consumo basale di ossigeno, l’incremento del catabolismo proteico e della glicogeno lisi epatica e muscolare, l’attivazione degli osteoclasti, la proliferazione dei fibroblasti, la secrezione delle proteine della fase acuta, la produzione di fattore attivante le piastrine,

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Il gold standard di misurazione della temperatura corporea è la misurazione della temperatura centrale (9). La temperatura centrale può essere rilevata con cateterismo dell’arteria polmonare, dell’esofago distale, della vescica e del nasofaringe. Dal momento che le misurazioni della temperatura corporea in queste sedi non sono utilizzabili nella pratica clinica perché ritenuti invasivi, si applica la misurazione in sede accessibili quali il cavo ascellare, lo spazio sottolinguale, il retto, la membrana timpanica o la fronte. La misurazione rettale (tempo di permanenza del termometro in sede di misurazione: almeno 3 minuti primi) è stata a lungo considerata nella pratica clinica il gold standard per la rilevazione della temperatura corporea, pur risultando invasiva e non gradita dagli adolescenti e dai bambini. Inoltre, tale tecnica può essere veicolo di infezione, soprattutto nei bambini neutropenici o nel paziente oncologico, e può altresì può essere influenzata negativamente dall’alvo diarroico, dal flusso ematico locale, dalla presenza di feci nel sangue e dalla profondità di inserimento del termometro. La misurazione ascellare (tempo di permanenza del termometro in sede di misurazione: almeno 6 minuti) è quella più usata nella pratica clinica perché di facile accessibilità e tollerabile, tuttavia la sua sensibilità varia dal 27.8% al 33% (10). La misurazione sublinguale (tempo di permanenza del termometro in sede di misurazione: almeno 4 minuti) è altrettanto facilmente accessibile, ma è influenzata dall’assunzione di cibi e bevande calde o fredde, dalla respirazione orale e dalla eventuale presenza concomitante di una mucosite (11). Per anni, nella pratica clinica, il dispositivo di misurazione della temperatura corporea è stato rappresentato dal classico termometro a mercurio, per il quale tuttavia è previsto un ritiro dal commercio nei prossimi anni, soprattutto a

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• I farmaci antipiretici di uso comune considerati sicuri nel paziente pediatrico sono principalmente il paracetamolo, l’ibuprofene e i corticosteroidi. Tuttavia non ci sono evidenze che indichino di trattare sempre e comunque uno stato febbrile, ma solo le condizioni in cui vi sia associato un malessere generale. L’uso combinato o alternato di paracetamolo e ibuprofene non è attualmente raccomandato, dato che non esistono evidenze disponibili riguardo la sicurezza e l’efficacia rispetto alla monoterapia soprattutto nei confronti di ibuprofene. causa degli effetti tossici legati all’inavvertita ingestione di mercurio e alle difficoltà legate allo smaltimento dello stesso mercurio. I recenti dispositivi sono rappresentati dai termometri digitali, dai termometri a cristalli, ad infrarossi e dai termometri a striscia reattiva. Tuttavia, proprio questi devices, I termometri ad infrarossi, applicabili in sede auricolare, e quelli a striscia reattiva, da strisciare sulla fronte del paziente, benché sicuramente preferiti dai genitori e dagli operatori sanitari per la facile accessibilità e per la rapida rilevazione, non possono essere considerati affidabili, in quanto spesso i valori rilevati non corrispondono a quelli ottenuti da misurazioni in sedi più “classiche” e in quanto non esiste una standardizzazione fra i diversi modelli e le diverse costanti applicate dai processori interni per la conversione della temperatura registrata in temperatura orale/rettale equivalente (12).

Trattamento della febbre La gestione del bambino febbrile è ad oggi ancora controversa e disomogenea tra i pediatri. L’utilizzo della terapia antipiretica fisica (spugnature con acqua calda, bagni con acqua fredda, frizione della cute con alcool, applicazione di borse del ghiaccio, raffreddamento delle coperte), in associazione alla terapia antipiretica farmacologica, molto diffusa già ai tempi di Alessandro Magno, attualmente non viene consigliata in quanto risulta associata all’insorgenza di gravi eventi avversi. Tra questi si annoverano l’effetto paradosso di un ulteriore innalzamento della febbre in conseguenza della vasocostrizione indotta dalla riduzione della TC, il brivido scuotente prolungato e l’ipoglicemia profon-

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da o lo stato di coma con l’uso delle spugnature con alcool. Infatti, le spugnature con acqua ghiacciata, così come quelle con acqua mista ad alcol, ottengono più rapidamente la riduzione della temperatura rispetto a quelle con acqua tiepida, ma sono ancor più frequentemente gravate dalla insorgenza di effetti collaterali, seppure lievi. L’effetto dell’antipiresi fisica è generalmente modesto e più efficace degli antipiretici solo nei primi 30 minuti, mentre in seguito l’effetto diviene nettamente inferiore. Di certo in corso di febbre è necessario suggerire di non coprire troppo i bambini, così da facilitare la riduzione della temperatura ed evitare la comparsa di eventuali rare complicanze. I farmaci antipiretici di uso comune considerati sicuri nel paziente pediatrico sono il paracetamolo, l’ibuprofene, l’acido acetilsalicilico (ASA), gli antinfiammatori non steroidei (FANS) e i corticosteroidi, che agiscono attraverso diversi meccanismi d’azione. Le linee guida del National Institute for Health and Clinical Excellence suggeriscono l’uso dei farmaci antipiretici negli stati febbrili con evidente malessere generale e non routinariamente nella gestione del bambino febbrile (13). I farmaci antipiretici agiscono attraverso l’inibizione reversibile (ibuprofene, paracetamolo) od irreversibile (acido acetilsalicilico) della ciclossigenasi. Si tratta di sostanze che, riducendo la sintesi delle prostaglandine, riportano a livelli normali la regolazione del termostato ipotalamico. La loro efficacia risulta pertanto limitata nell’ipertermia transitoria, come quella da cause ambientali o sforzo fisico. Nonostante le 4 categorie di farmaci antipiretici, in pediatria, l’utilizzo è limitato solo al paracetamolo e all’ibuprofene, che risultano essere ugualmente sicuri ed efficaci nel ridurre la temperatura febbrile. L’utilizzo di acido acetilsalicilico, infatti, è attualmente sconsigliato in pazienti di età inferiore ai 15 anni, per il rischio, anche se limitato ai pazienti con influenza o varicella, di sindrome di Reye e per la prolungata interferenza con i meccanismi della coagulazione (il blocco della ciclossigenasi è dovuto ad acetilazione con legame covalente, pertanto irreversibile, e l’inibizione dell’aggregazione persiste per tutta la durata di permanenza

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in circolo delle piastrine). L’utilizzo dei corticosteroidi, che bloccano direttamente la sintesi di IL-1 e TNF inibendo la liberazione di acido arachidonico a livello centrale, è invece generalmente poco indicato in Pediatria, nel trattamento del bimbo febbrile, altrimenti sano. Il paracetamolo e l’ibuprofene sono, quindi, i farmaci di prima scelta in pediatria. Per quanto riguarda il paracetamolo, la dose consigliata è di 1015 mg/Kg/dose per 4-6 somministrazioni al giorno, non superando la dose di 60 mg/kg/die nel bambino. A questi dosaggi, i possibili effetti collaterali associati al farmaco sono rappresentati da reazioni allergiche, trombocitopenia, neutropenia, leucopenia e rash. L’utilizzo del paracetamolo può diventare altamente tossico e potenzialmente fatale se si superano gli 80mg/Kg/die, con possibile comparsa di necrosi epatica acuta, e conseguente insufficienza epatica acuta, soprattutto nei bambini malnutriti, di età inferiore ai 2 anni e disidratati (14). Attualmente l’intossicazione acuta da paracetamolo è la causa più frequente di insufficienza epatica acuta in numerosi Paesi (15). La formulazione di paracetamolo può essere sia rettale, che orale ed entrambe le vie di somministrazione sono efficaci e sicure. Tuttavia, a meno della presenza di un quadro clinico caratterizzato da vomito o da impossibilità di assunzione di farmaci per bocca, la via orale è certamente da preferire per l’assorbimento più costante e per la maggiore precisione nei dosaggi in base al peso corporeo del bambino. Infatti l’assorbimento del paracetamolo per via rettale è più lungo e la somministrazione deve essere fatta ad intervalli distanziati (ogni 6-8 ore). Inoltre, la formulazione in supposte è meno maneggevole dal punto di vista terapeutico, non permettendo un dosaggio esattamente adattato al peso del bambino. Nel neonato febbrile, il paracetamolo come antipiretico, non viene raccomandato per mancanza di sufficienti evidenze cliniche. Tuttavia, il suo dosaggio qualora sia necessario l’utilizzo deve essere adattato, in base all’età gestazionale del neonato (Tabella 4). Alcune recenti segnalazioni epidemiologiche attribuirebbero all’uso del paracetamolo l’aumento delle malattie allergiche; il meccanismo patogenetico alla base di questo


fenomeno è ricondurre ad interferenze metaboliche del paracetamolo che favorirebbero la prevalenza dei Th2 (16). Per quanto riguarda, invece, l’ibuprofene, occorre chiarire che la sua sicurezza è documentata da numerosi studi clinici. Il suo utilizzo è ben noto ai Patologi Neonatali, che lo somministrano per la chiusura farmacologica non-invasiva del dotto di Botallo pervio nel pretermine. Inoltre, tale molecola sembra avere un effetto protettivo nel bambino asmatico a differenza di paracetamolo (17). Nel bambino con febbre, la dose consigliata è di 10 mg/Kg/die in 3 somministrazioni quotidiane con un dosaggio massimo di 30mg/Kg/die. Benché i rischi della tossicità da sovradosaggio siano meno pericolosi per l’ibuprofene rispetto al paracetamolo, occorre comunque ricordare che questa molecola presenta possibili effetti collaterali a livello gastroenterico, renale ed epatico. Inoltre, la sua associazione con altri antipiretici, ne aumenta la tossicità. Rari sono i casi di reazioni da ipersensibilita? all’ibuprofene (18). L’ibuprofene in sospensione orale è quindi una valida alternativa al paracetamolo nel trattamento sintomatico della febbre e del dolore da lieve a moderato nei bambini di eta? compresa tra i 6 mesi e i 12 anni. L’attività antipiretica di questo farmaco è infatti superiore a quella del paracetamolo e inoltre l’effetto antiinfiammatorio e antidolorico superiore, nonché il minore rischio di tossicità fanno di questa molecola un ausilio di primo piano nel trattamento della patologia infiammatoria del bambino. Da ultimo, è da sottolineare che l’uso combinato o alternato di paracetamolo e ibuprofene è stato valutato in numerosi studi, ma attualmente non è raccomandato dal momento che non esistono evidenze disponibili riguardo la sicurezza e l’efficacia rispetto alla monoterapia soprattutto nei confronti di ibuprofene (19). • Le linee guida italiane sulla febbre e il suo trattamento sono disponibili sul sito della Società Italiana di Pediatria (http://www2.sip.it/lineeguida/home). • Le linee guida del National Institute for Health and Clinical Excellence sono disponibili sul sito dell’Istituto (http://guidance.nice.org.uk/CG47).

Dosaggio del paracetamolo, in base all’Età Gestazionale (EG) 28-32 Settimane di EG 20mg/kg in singola dose 10-15mg/Kg ogni 8-12 ore (Dose massima:30mg/Kg/die) 20mg/kg in singola dose EG > 32 Settimane 10-15mg/Kg ogni 6-8 ore (Dose massima:60mg/Kg/die)

Conclusioni In conclusione, quando ci si trova di fronte ad un paziente pediatrico che si presenta alla nostra attenzione per un rialzo della temperatura corporea, occorre selezionare accuratamente i bambini che meritano un trattamento antibiotico o il ricovero ospedaliero. Un’attenta valutazione clinica, l’esecuzione di test rapidi di orientamento diagnostico (GB, VES, PCR, esame urine “a fresco”, strisce reattive per nitriti e leucociti) e l’impegno a effettuare un controllo clinico ravvicinato (entro 48 ore) rappresentano i cardini di una corretta prassi medica di fronte al bambino piccolo con febbre. Il ricovero in ospedale trova indicazione nei casi in cui le condizioni generali del bambino siano compromesse, i genitori non siano affidabili o non si possa assicurare un controllo clinico ravvicinato. La Società Italiana di Pediatria nell’ultimo congresso dell’Ottobre 2008 ha presentato le nuove Linee Guida della gestione del bambino febbrile, allo scopo di informare adeguatamente genitori e medici sul significato della febbre, sui metodi di misurazione della temperatura corporea e di promuovere un uso razionale dei farmaci antipiretici, così da ridurre il fenomeno della Fever-Phobia. Bibliografia 1. Calvani M, Alessandri C, Miceli Sopo S, Panetta V, Tripodi S, Torre A, Pingitore G, Frediani T, Volterrani A; Lazio Association of Pediatric Allergology (APAL) Study Group. Infectious and uterus related complications during pregnancy and development of atopic and nonatopic asthma in children. Allergy. 2004;59:99-106. 2. Williams LK, Peterson EL, Ownby DR, Johnson CC. The relationship between early fever and allergic sensitization at age 6 to 7 years. J Allergy Clin Immunol 2004;113:291-6. 3. Calvani M, Pizzolli M. La gestione della febbre nel bambino:istruzioni per l’uso. Area Pediatrica. Dossier. 2004;Volume 5. 4. Calvani M. La febbre e l’ipertermia nella pratica pediatrica Roma: CIC edizioni internazionali, 2004.

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5. McCarthy PL, Sharpe MR, Spiesel SZ, Dolan TF, Forsyth BW, De Witt TG, Fink HD, Baron MA, Cicchetti DV. Observation scales to identify serious illness in febrile children. Pediatrics. 1982;70:802-9. 6. Stedman’s Medical Dictionary. 25th ed. Baltimore: Williams and Wilkins, 1990:573. 7. Flier JS. Discussion of The Neurologic Basis of Fever. N Engl J Med. 1994;330:1880-6. 8. Dinarello CA. Endogenous Pyrogenes. Methods Enzymol. 1988;163:495-510. 9 . E l - R a d h i A S , B a r r y W. Thermometry in paediatric practice. Arch Dis Child. 2006;91:351-6. 10. Craig VJ, Lancaster GA et al. Temperature measured at the axilla compared with rectum in children and young people: systemic review. Lancet 2002;360:603-609. 11. Ciuraru NB, braunstein R, Sulkes A et al. The influence of mucositis on oral thermometry: when fever may not reflect infection. Clin Infect Dis. 2008;46:1859-63. 12. Charmaine C, Harrison R, Hodkinson C Tympanic membrane temperature as a measure of core temperature. Arch Dis Child. 1990;80:262-266. 13. NICE Richardon M et al Nice clinical guideline. Feverish illness in children younger than 5 years. National Institute for Health and Clinical Excellence. BMJ 2007, 334:1163-4. 14. Meremikwu M, Oyo-Ita A. Physical methods for treating fever in children. Cochrane Database of Systematic Reviews 2003. 15. Brok J, Buckley N, Gluud C Interventions for paracetamol (acetaminophen) overdose. Cochrane database of systematic reviews. 2006;2:1-5. 16. Lancet 372; 1039-48, 2008 ISAAC Study. 17. McIntyre J, Hull D Comparing efficacy and tolerability of ibuprofen and paracetamol in fever Arch Dis Child. 1996;74:164-7. 18. Chirico G. L’uso dell’ibuprofene in Pediatria. IJP. 2001;27:631-3. 19. Autret-Leca E, Gibb IA, Goulder MA Ibuprofen versus paracetamol in pediatric fever:objective ad subjective findings from a randomized blinded study. Curr Med Res Opin. 2007;2205-11.

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Il trattamento della febbre nel bambino. Paracetamolo e ibuprofene sono equivalenti? Problema clinico. Si può sostenere che fra i due composti uno sia superiore dal punto di vista del trattamento della febbre? Evidenze Una meta-analisi e uno studio randomizzato controllato permettono di dare una risposta. Secondo la meta-analisi di 10 diversi studi che hanno complessivamente preso in considerazione 1078 bambini e che hanno confrontato ibuprofene (5-10mg/kg) con paracetamolo (10-15 mg/kg), l’ibuprofene si è dimostrato superiore a 2, 4 e 6 ore e, a 4-6 ore, circa il 15% in più dei pazienti trattati con ibuprofene era ancora sfebbrato. Uno studio controllato randomizzato (N=156, età 6 mesi-6 anni) di confronto fra ibuprofene (10mg/kg ogni 6-8 ore) e paracetamolo (15mg/kg gni 4-6 ore) o la loro associazione ha concluso che: - la combinazione era superiore al paracetamolo (55.3 min;p<0.01), ma non all’ibuprofene, in grado di garantire uno sfebbramento nelle prime 4 ore, - l’effetto sia dell’ibuprofene che della combinazione conduceva a uno sfebbramento più rapido, - la combinazione riduceva la durata della febbre nelle prime 24 ore.

Gli autori concludono che: - ibuprofene è superiore, - la combinazione offre un piccolo vantaggio rispetto all’ibuprofene da solo, - la combinazione potrebbe esporre a un rischio di sovraddosaggio. Resta da chiarire il problema della necessità di trattare il sintomo febbre. - Non vi sono prove che la febbre di per sé sia pericolosa, mentre si pensa anche che faccia parte della risposta immunitaria in caso di infezioni. - Non è certo che gli antipiretici prevengano le convulsioni febbrili. - Non vi sono prove, d’altra parte, che il trattamento della febbre in caso di infezioni lievi, possa comportare rischi, se non di sovraddosaggio. - Il trattamento della febbre serve a migliorare le condizioni generali e ridare benessere al bambino, che può riprendere le sue normali attività. Per quanto riguarda gli effetti collaterali: - asma: ibuprofene non aumenta il rischio o forse lo riduce di poco, mentre il paracetamolo lo aumenta di poco,

Internet café La febbre nel bambino e il suo trattamento: una bibliografia essenziale. 1. Perrott DA, Piira T, Goodenough B, Champion GD. Efficacy and safety of acetaminophen vs ibuprofen for treating children’s pain or fever: a meta-analysis. Arch Pediatr Adolesc Med 2004;158(6):521-6. 2. Hay AD, Costelloe C, Redmond NM, Montgomery AA, Fletcher M, Hollinghurst S, et al. Paracetamol plus ibuprofen for the treatment of fever in children (PITCH): randomised controlled trial. BMJ 2008;337:a1302. Erratum in: BMJ 2009;339:b3295. 3. Mackowiak PA. Physiological rationale for suppression of fever. Clin Infect Dis 2000;31(Suppl 5):S185-9. 4. Steering Committee on Quality Improvement and Management, Subcommittee on Febrile Seizures. Febrile seizures: clinical practice guideline for the

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- Sindrome di Reye: nessun aumento di rischio, - effetti gastrointestinali o renali: non vi sono evidenze di rischio aumentato, ma la Canadian Paediatric Society raccomanda di non usare l’ibuprofene se il bambino non beve “a sufficienza”, - reazioni sistemiche: non vi sono prove di aumentato rischio.

L’opinione degli autori Anche se non vi sono argomenti decisivi per trattare la febbre di per sè, e questo dovrebbe sempre essere spiegato ai genitori con cui la decisione va presa, una volta che si decida di farlo, il medico deve sapere che i dati sono favorevoli all’uso dell’ibuprofene, più efficace, senza, per questo, aumentare il rischio di reazioni avverse. Il trattamento efficace della febbre riduce l’ansia dei genitori e riduce la richiesta di visite mediche. E’ utile distribuire materiale illustrativo ai genitori e parlarne nel corso di visite periodiche di controllo. A questo scopo esiste materiale prodotto dalla Canadian Paediatric Society.

Approfondimenti sul caso selezionato dalla redazione dai migliori siti clinici

long-term management of the child with simple febrile seizures. Pediatrics 2008;121(6):1281-6. 5. Caring for kids [website]. Fever and temperature taking. Ottawa, ON: Canadian Paediatric Society; 2009. Available from: www.cps.ca/caringforkids/whensick/ Fever.htm. Accessed 2010 Jun 21. 6. Kanabar D, Dale S, Rawat M. A review of ibuprofen and acetaminophen use in febrile children and the occurrence of asthma-related symptoms. Clin Ther 2007;29(12):2716-23. 7. Southey ER, Soares-Weiser K, Kleijnen J. Systematic review and meta-analysis of the clinical safety and tolerability of ibuprofen compared with paracetamol in paediatric pain and fever. Curr Med Res Opin 2009;25(9):2207-22. 8. Lesko SM, Mitchell AA. The safety of acetaminophen and ibuprofen among children younger

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than two years old. Pediatrics 1999;104(4):e39. 9. Lesko SM, Mitchell AA. An assessment of the safety of pediatric ibuprofen. A practitioner-based randomized clinical trial. JAMA 1995;273(12):929-33. 10. O’Neill-Murphy K, Liebman M, Barnsteiner JH. Fever education: does it reduce parent fever anxiety? Pediatr Emerg Care 2001;17(1):47-51. 11. Nicolson D, Knapp P, Raynor DK, Spoor P. Written information about individual medicines for consumers. Cochrane Database Syst Rev 2009;(2): CD002104. 12. Francis NA, Butler CC, Hood K, Simpson S, Wood F, Nuttall J. Effect of using an interactive booklet about childhood respiratory tract infections in primary care consultations on reconsulting and antibiotic prescribing: a cluster randomised controlled trial. BMJ 2009;339:b2885.


RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO 1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALENUROFEN FEBBRE E DOLORE Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia senza zucchero. NUROFEN FEBBRE E DOLOREBambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVAOgni ml di sospensione orale contiene: Principio attivo: ibuprofene 20 mg. Eccipienti: sciroppo di maltitolo 450 mg Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA Sospensione orale. 4. INFORMAZIONI CLINICHE 4.1 Indicazioni terapeutiche Trattamento sintomatico della febbre e del dolore lieve o moderato. 4.2 Posologia e modo di somministrazione La dose giornaliera e strutturata in base al peso ed all’eta del paziente. Gli effetti indesiderati possono essere minimizzati con l’uso della dose minima efficace per la durata di trattamento più breve possibile necessaria per controllare i sintomi (vedere paragrafo 4.4). Nei bambini di età compresa tra 3 e 6 mesi limitare la somministrazione a quelli di peso superiore ai 5,6 kg. La somministrazione orale a lattanti e bambini di età compresa fra 3 mesi e 12 anni dovrebbe avvenire mediante siringa dosatrice o cucchiaino dosatore forniti con il prodotto. La scala graduata presente sul corpo della siringa riporta in evidenza le tacche per i diversi dosaggi;in particolare la tacca da 2,5 ml corrispondente a 50 mg di ibuprofene e la tacca da 5 ml corrispondente a 100 mg di ibuprofene. Il cucchiaino dosatore riporta due tacche per due diversi dosaggi: la tacca da 2,5 ml corrispondente a 50 mg di ibuprofene e la tacca da 5 ml corrispondente a 100 mg di ibuprofene. La dose giornaliera di 20-30 mg/kg di peso corporeo, suddivisa 3 volte al giorno ad intervalli di 6-8 ore, puo essere somministrata sulla base dello schema che segue. PESO 5.6-7 Kg 7 -10 Kg 10 - 15 Kg 15 - 20 Kg 20 - 28 Kg 28 - 43 Kg

Età 3 - 6 mesi 6 - 12 mesi 1 - 3 anni 4 - 6 anni 7 - 9 anni 10 - 12 anni

DOSE singola in ml 2,5 ml 2,5 ml 5 ml 7,5 ml (5 ml + 2,5 ml) 10 ml 15 ml

n° massimo di SOMMINISTRAZIONI/giorno 3 nelle 24 ore

Nel caso di febbre post-vaccinazione riferirsi al dosaggio sopra indicato,somministrando una dose singola seguita,se necessario,da un’altra dose dopo 6 ore. Non somministrare più di due dosi nelle 24 ore. Consultare il medico se la febbre non diminuisce. Il prodotto e inteso per trattamenti di breve durata. Consultare il medico se i sintomi persistono per più di tre giorni. Nei bambini di età inferiore ai sei mesi consultare il medico se i sintomi persistono dopo 24 ore di trattamento. Istruzioni per l’utilizzo della siringa dosatrice: 1 – Svitare il tappo spingendolo verso il basso e girandolo verso sinistra. 2 – Introdurre a fondo la punta della siringa nel foro del sottotappo. 3 – Agitare bene. 4 – Capovolgere il flacone, quindi, tenendo saldamente la siringa, tirare delicatamente lo stantuffo verso il basso facendo defluire la sospensione nella siringa fino alla tacca corrispondente alla dose desiderata. 5 – Rimettere il flacone in posizione verticale e rimuovere la siringa ruotandola delicatamente. 6 – Introdurre la punta della siringa nella bocca del bambino, ed esercitare una lieve pressione sullo stantuffo per far defluire la sospensione. Dopo l’uso avvitare il tappo per chiudere il flacone e lavare la siringa con acqua calda. Lasciarla asciugare, tenendola fuori dalla portata e dalla vista dei bambini. 4.3 Controindicazioni • Ipersensibilità all’ibuprofene o ad uno qualsiasi degli eccipienti. • Bambini di età inferiore a 3 mesi o di peso inferiore a 5,6 kg. • Ipersensibilità all’acido acetilsalicilico o ad altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei (FANS), in particolare quando l’ipersensibilità è associata a poliposi nasale e asma. • Ulcera peptica attiva. • Grave insufficienza renale o epatica. • Severa insufficienza cardiaca. • Storia di emorragia gastrointestinale o perforazione relativa a precedenti trattamenti attivi o storia di emorragia / ulcera peptica ricorrente (due o più episodi distinti di dimostrata ulcerazione o sanguinamento). • Uso concomitante di FANS,compresi gli inibitori specifici della COX-2. • Gravidanza e allattamento (vedere paragrafo 4.6). 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni di impiego Dopo tre giorni di trattamento senza risultati apprezzabili consultare il medico. Gli effetti indesiderati possono essere minimizzati con l’uso della più bassa dose efficace per la più breve durata possibile di trattamento che occorre per controllare i sintomi (vedere i paragrafi sottostanti sui rischi gastrointestinali e cardiovascolari). L’uso di Nurofen Febbre e Dolore deve essere evitato in concomitanza di FANS, inclusi gli inibitori selettivi della COX-2. Gli analgesici, antipiretici, antinfiammatori nonsteroidei possono causare reazioni di ipersensibilità, potenzialmente gravi (reazioni anafilattoidi), anche in soggetti non precedentemente esposti a questo tipo di farmaci. Il rischio di reazioni di ipersensibilità dopo assunzione di ibuprofene e maggiore nei soggetti che abbiano presentato tali reazioni dopo l’uso di altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei e nei soggetti con iperreattività bronchiale (asma), poliposi nasale o precedenti episodi di angioedema (vedere paragrafo 4.2 e paragrafo 4.8 ). Emorragia gastrointestinale, ulcerazione e perforazione: durante il trattamento con tutti i FANS, in qualsiasi momento, con o senza sintomi di preavviso o precedente storia di gravi eventi gastrointestinali, sono state riportate emorragia gastrointestinale, ulcerazione e perforazione, che possono essere fatali. Anziani: i pazienti anziani hanno un aumento della frequenza di reazioni avverse ai FANS, specialmente emorragie e perforazioni gastrointestinali, che possono essere fatali (vedere paragrafo4.2). Negli anziani e in pazienti con storia di ulcera, soprattutto se complicata da emorragia o perforazione (vedere paragrafo 4.3), il rischio di emorragia gastrointestinale, ulcerazione o perforazione e più alto con dosi aumentate di FANS. Questi pazienti devono iniziare il trattamento con la più bassa dose disponibile. L’uso concomitante di agenti protettori (es. misoprostolo o inibitori di pompa protonica) deve essere considerato per questi pazienti ed anche per pazienti che assumono basse dosi di aspirina o altri farmaci che possono aumentare il rischio di eventi gastrointestinali (vedere paragrafo 4.5). Pazienti con storia di tossicità gastrointestinale, in particolare anziani, devono riferire qualsiasi sintomo gastrointestinale inusuale (soprattutto emorragia gastrointestinale) in particolare nelle fasi iniziali del trattamento. Cautela deve essere prestata ai pazienti che assumono farmaci concomitanti che potrebbero aumentare il rischio di ulcerazione o sanguinamento, come corticosteroidi orali, anticoagulanti come warfarin, inibitori selettivi del reuptake della serotonina o agenti antiaggreganti come l’aspirina (vedere paragrafo 4.5). Quando si verifica emorragia o ulcerazione gastrointestinale in pazienti che assumono Nurofen Febbre e Dolore, il trattamento deve essere sospeso. I FANS devono essere somministrati con cautela ai pazienti con una storia di malattia gastrointestinale (colite ulcerosa, morbo di Crohn) poiché tali condizioni possono essere esacerbate (vedere paragrafo 4.8). Gravi reazioni cutanee alcune delle quali fatali, includenti dermatite esfoliativa, sindrome di Stevens–Johnson e necrolisi tossica epidermica, sono state riportate molto raramente in associazione con l’uso dei FANS (vedi paragrafo 4.8). Nelle prime fasi della terapia i pazienti sembrano essere a più alto rischio: l’insorgenza della reazione si verifica nella maggior parte dei casi entro il primo mese di trattamento. Nurofen Febbre e Dolore deve essere interrotto alla prima comparsa di rash cutaneo, lesioni della mucosa o qualsiasi altro segno di ipersensibilità. Cautela è richiesta prima di iniziare il trattamento nei pazienti con anamnesi positiva per ipertensione e/o insufficienza cardiaca poiché in associazione al trattamento con i FANS sono stati riscontrati ritenzione di liquidi, ipertensione ed edema. Studi clinici e dati epidemiologici suggeriscono che l’uso di ibuprofene, specialmente ad alti dosaggi (2400 mg/die) e per trattamenti di lunga durata, può essere associato ad un modesto aumento del rischio di eventi trombotici arteriosi (es. infarto del miocardio o ictus). In generale, gli studi epidemiologici non suggeriscono che basse dosi di ibuprofene (es. ≤ 1200 mg/die) siano associati ad un aumento del rischio di infarto del miocardio. I pazienti con ipertensione non controllata, insufficienza cardiaca congestizia, cardiopatia ischemica accertata, malattia arteriosa periferica e/o malattia cerebrovascolare devono essere trattati con ibuprofene soltanto dopo attenta considerazione. Analoghe considerazioni devono essere effettuate prima di iniziare un trattamento di lunga durata in pazienti con fattori di rischio per eventi cardiovascolari (es. ipertensione, iperlipidemia, diabete mellito, fumo). L’uso di ibuprofene, di acido acetilsalicilico o di altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei, richiede particolare cautela: • in caso di asma: possibile broncocostrizione; • in presenza di difetti della coagulazione: riduzione della coagulabilità; • in presenza di malattie renali, cardiache o di ipertensione: possibile riduzione critica della funzione renale (specialmente nei soggetti con funzione renale o epatica compromessa, insufficienza cardiaca o in trattamento con diuretici), nefrotossicità o ritenzione di fluidi; • in presenza di malattie epatiche: possibile epatotossicità; • reidratare il soggetto prima dell’inizio e nel corso del trattamento in caso di disidratazione (ad esempio per febbre, vomito o diarrea); Le seguenti precauzioni assumono rilevanza nel corso di trattamenti prolungati: • sorvegliare i segni o sintomi di ulcerazioni o sanguinamenti gastrointestinali; • sorvegliare i segni o sintomi di epatotossicità; • sorvegliare i segni o sintomi di nefrotossicità; • se insorgono disturbi visivi (vista offuscata o ridotta, scotomi, alterazione della percezione dei colori): interrompere il trattamento e consultare l’oculista; • se insorgono segni o sintomi di meningite: valutare la rara possibilità che essa sia dovuta all’uso di ibuprofene (meningite asettica; più frequente nei soggetti affetti da lupus eritematoso sistemico o altre collagenopatie). Poiché Nurofen Febbre e Dolore contiene maltitolo, i pazienti affetti da rari problemi ereditari di intolleranza al fruttosio non devono assumere questo medicinale. Nurofen Febbre e Dolore non contiene zucchero ed è pertanto indicato per quei pazienti che devono controllare l’apporto di zuccheri e calorie. Ogni dose da 2,5 ml di sospensione contiene 4,63 mg (0,20 mmol) di sodio; ciò deve essere tenuto in considerazione nei casi sia raccomandata una dieta povera di sodio. 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione Le seguenti interazioni sono comuni all’ibuprofene, all’acido acetilsalicilico e agli altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei (FANS): • evitare l’uso contemporaneo di due o più analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei: aumento del rischio di effetti indesiderati • corticosteroidi: aumento del rischio di ulcerazione o emorragia gastrointestinale (vedere paragrafo 4.4) • antibatterici: possibile aumento del rischio di convulsioni indotte da chinolonici • anticoagulanti: i FANS possono aumentare gli effetti degli anticoagulanti, come il warfarin (vedereparagrafo4.4)• agenti antiaggreganti e inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRIs): aumento del rischio di emorragie gastrointestinale (vedereparagrafo4.4)• antidiabetici: possibile aumento dell’effetto delle sulfaniluree • antivirali: ritonavir, possibile aumento della concentrazione dei FANS • ciclosporina: aumentato rischio di nefrotossicità • citotossici: metotressato, riduzione dell’escrezione (aumentato rischio di tossicità) • litio: riduzione dell’escrezione (aumentato rischio di tossicità) • tacrolimus: aumentato rischio di nefrotossicità • uricosurici: probenecid, rallenta l’escrezione dei FANS (aumento delle concentrazioni plasmatiche) • metotrexato: potenziale aumento della concentrazione plasmatica di metotrexato • zidovudina: rischio aumentato di emartrosi ed ematomi in emofilici HIV (+) se trattati

contemporaneamente con zidovudina e ibuprofene • diuretici, ACE inibitori e Antagonisti dell’angiotensina II: i FANS possono ridurre l’effetto dei diuretici e di altri farmaci antiipertensivi. In alcuni pazienti con funzione renale compromessa (per esempio pazienti disidratati o pazienti anziani con funzione renale compromessa) la co-somministrazione di un ACE inibitore o di un antagonista dell’angiotensina II e di agenti che inibiscono il sistema della ciclo-ossigenasi può portare a un ulteriore deterioramento della funzione renale, che comprende una possibile insufficienza renale acuta, generalmente reversibile. Queste interazioni devono essere considerate in pazienti che assumono Nurofen Febbre e Dolore in concomitanza con ACE inibitori o antagonisti dell’angiotensina II. Quindi, la combinazione deve essere somministrata con cautela, specialmente nei pazienti anziani. I pazienti devono essere adeguatamente idratati e deve essere preso in considerazione il monitoraggio della funzione renale dopo l’inizio della terapia concomitante. Dati sperimentali indicano che l’ibuprofene può inibire gli effetti dell’acido acetilsalicilico a basse dosi sull’aggregazione piastrinica quando i farmaci sono somministrati in concomitanza. Tuttavia, l’esiguità dei dati e le incertezze relative alla loro applicazione alla situazione clinica non permettono di trarre delle conclusioni definitive per l’uso continuativo di ibuprofene; sembra che non vi siano effetti clinicamente rilevanti dall’uso occasionale dell’ibuprofene (vedere paragrafo 5.1). 4.6 Gravidanza e allattamento È improbabile che soggetti di età inferiore a 12 anni vadano incontro a gravidanza, o allattino al seno. Peraltro, in tali circostanze bisogna tenere presente le seguenti considerazioni. L’inibizione della sintesi di prostaglandine può interessare negativamente la gravidanza e/o lo sviluppo embrio/fetale. Risultati di studi epidemiologici suggeriscono un aumentato rischio di aborto e di malformazione cardiaca e di gastroschisi dopo l’uso di un inibitore della sintesi di prostaglandine nelle prime fasi della gravidanza. Il rischio assoluto di malformazioni cardiache aumentava da meno dell’1% fino a circa l’1,5%. È stato ritenuto che il rischio aumenta con la dose e la durata della terapia. Negli animali, la somministrazione di inibitori della sintesi di prostaglandine ha mostrato di provocare un aumento della perdita di pre e post-impianto e di mortalità embrione-fetale. Inoltre, un aumento di incidenza di varie malformazioni, inclusa quella cardiovascolare, è stato riportato in animali a cui erano stati somministrati inibitori di sintesi delle prostaglandine durante il periodo organogenetico. Durante il terzo trimestre di gravidanza, tutti gli inibitori della sintesi delle prostaglandine possono esporre il feto a: tossicità cardiopolmonare (con chiusura prematura del dotto arterioso e ipertensione polmonare); disfunzione renale che può progredire a insufficienza renale con oligo-idroamnios; la madre e il neonato, alla fine della gravidanza, a: possibile prolungamento del tempo di sanguinamento, un effetto antiaggregante che può occorrere anche a dosi molto basse; inibizione delle contrazioni uterine risultanti in ritardo o prolungamento del travaglio. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari Non pertinente, considerata l’età del paziente. 4.8 Effetti indesiderati Gli effetti indesiderati osservati con ibuprofene sono comuni agli altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei. Reazioni di ipersensibilità Raramente: reazioni anafilattoidi (orticaria con o senza angioedema), dispnea (da ostruzione laringea o da broncospasmo), shock, sindrome caratterizzata da dolore addominale, febbre, brividi, nausea e vomito; broncospasmo (vedere paragrafi4.3 e 4.4). Patologie gastrointestinali Gli eventi avversi più comunemente osservati sono di natura gastrointestinale. Possono verificarsi ulcere peptiche, perforazione o emorragia gastrointestinale, a volte fatale, in particolare negli anziani (vedere paragrafo4.4). Dopo somministrazione di Nurofen Febbre e Dolore sono stati riportati: nausea, vomito, diarrea, flatulenza, costipazione, dispepsia, dolore addominale, melena, ematemesi, stomatiti ulcerative, esacerbazione di colite e morbo di Crohn (vedere paragrafo4.4). Meno frequentemente sono state osservate gastriti. Dolore epigastrico, pirosi gastrica. I disturbi gastrici possono essere ridotti assumendo il farmaco a stomaco pieno. Raramente: epatite, ittero, alterazione dei test della funzione epatica, pancreatite, duodenite, esofagite, sindrome epatorenale, necrosi epatica, insufficienza epatica. Patologie del sistema nervoso e degli organi di senso Vertigine, cefalea, irritabilità, tinnito. Raramente: depressione, insonnia, difficoltà di concentrazione, labilità emotiva, sonnolenza, meningite asettica, convulsioni, disturbi uditivi e visivi. Patologie respiratorie, toraciche e mediastiniche Raramente: broncospasmo, dispnea, apnea. Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo Reazioni bollose includenti sindrome di Stevens–Johnson e necrolisi tossica epidermica (molto raramente). Eruzioni cutanee (anche di tipo maculopapulare), prurito. Raramente: eruzioni vescicolo-bollose, orticaria, eritema multiforme, alopecia, dermatite esfoliativa, dermatite da fotosensibilità. Patologie del sistema emolinfopoietico Molto raramente: neutropenia, agranulocitosi, anemia aplastica, anemia emolitica (possibile test di Coombs positivo), piastrinopenia (con o senza porpora), eosinofilia, riduzione di emoglobina ed ematocrito, pancitopenia. Disturbi del metabolismo e della nutrizione Riduzione dell’appetito. Patologie cardiache e vascolari Edema, ipertensione e insufficienza cardiaca sono stati riportati in associazione al trattamento con FANS. Ritenzione di fluidi (generalmente risponde prontamente all’interruzione del trattamento).Molto raramente: accidenti cerebrovascolari, ipotensione, insufficienza cardiaca congestizia in soggetti con funzione cardiaca compromessa, palpitazioni. Studi clinici e dati epidemiologici suggeriscono che l’uso di ibuprofene, specialmente ad alti dosaggi (2400 mg/die) e per trattamenti di lunga durata, può essere associato ad un modesto aumento del rischio di eventi trombotici arteriosi (es. infarto del miocardio o ictus) (vedere paragrafo 4.4). Patologie renali ed urinarie Molto raramente: insufficienza renale acuta nei soggetti con preesistente significativa compromissione della funzione renale, necrosi papillare, necrosi tubulare, glomerulonefrite, alterazione dei test della funzione renale, poliuria, cistite, ematuria. Disturbi del sistema immunitario In pazienti con malattie auto-immuni preesistenti (ad esempio: lupus eritematoso sistemico, malattie del sistema connettivo) sono stati segnalati casi singoli di sintomi di meningite asettica come tensione nucale, cefalea, nausea, vomito, febbre, disorientamento (vedere paragrafo 4.4). Vari Raramente: secchezza degli occhi e della bocca, ulcere gengivali, rinite. 4.9 Sovradosaggio I sintomi di sovradosaggio si possono manifestare in bambini che abbiano assunto più di 400 mg/kg. L’emivita del farmaco in caso di sovradosaggio e 1.5-3 ore. Sintomi La maggior parte dei pazienti che ingeriscono accidentalmente quantitativi clinicamente rilevanti di FANS sviluppano al più nausea, vomito, dolore epigastrico o raramente diarrea. Sono possibili anche tinnito, cefalea e sanguinamento gastrointestinale. In caso di ingestioni di quantitativi più importanti, si osserva tossicità del sistema nervoso centrale che si manifesta con sonnolenza, occasionalmente eccitazione e disorientamento o coma, convulsioni. Nei casi più seri si può verificare acidosi metabolica, prolungamento del tempo di protrombina (INR). Si possono manifestare anche insufficienza renale e danni epatici. Nei soggetti asmatici si può verificare un’esacerbazione dei sintomi della malattia. Trattamento Non esiste alcun antidoto dell’ibuprofene. Il trattamento è sintomatico e consiste negli idonei interventi di supporto. Mantenimento della pervietà delle vie aeree e monitoraggio di funzione cardiaca e segni vitali. Particolare attenzione è dovuta al controllo della pressione arteriosa, dell’equilibrio acido-base e di eventuali sanguinamenti gastrointestinali. In caso di sovradosaggio acuto lo svuotamento gastrico (vomito o lavanda gastrica) è tanto più efficace quanto più precocemente è attuato; può inoltre essere utile la somministrazione di alcali e l’induzione della diuresi; l’ingestione di carbone attivo può contribuire a ridurre l’assorbimento del farmaco. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE 5.1 Proprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: farmaci antinfiammatori/ antireumatici non steroidei, derivati dell’acido propionico. Codice ATC: M01AE01 Ibuprofene è un analgesico-antiinfiammatorio di sintesi, dotato di spiccata attività antipiretica. Chimicamente è il capostipite dei derivati fenil-propionici. L’attività analgesica è di tipo non narcotico. Ibuprofene è un potente inibitore della sintesi prostaglandinica ed esercita la sua attività inibendone la sintesi perifericamente. Dati sperimentali indicano che l’ibuprofene può inibire gli effetti dell’acido acetilsalicilico a basse dosi sull’aggregazione piastrinica quando i farmaci sono somministrati in concomitanza. In uno studio, dopo la somministrazione di una singola dose di 400 mg di ibuprofene, assunto entro 8 ore prima o dopo 30 minuti dalla somministrazione di acido acetilsalicilico (81 mg), si è verificata una diminuzione dell’effetto dell’acido acetilsalicilico sulla formazione di trombossano e sull’aggregazione piastrinica.Tuttavia, l’esiguità dei dati e le incertezze relative alla loro applicazione alla situazione clinica non permettono di trarre delle conclusioni definitive per l’uso continuativo di ibuprofene; sembra che non vi siano effetti clinicamente rilevanti dall’uso occasionale dell’ibuprofene. 5.2 Proprietà farmacocinetiche Ibuprofene è ben assorbito dopo somministrazione orale ed è distribuito in tutto l’organismo rapidamente. Se assunto a stomaco vuoto, i livelli serici massimi sono raggiunti dopo circa 45 minuti. Quando assunto in concomitanza a cibo, i livelli massimi nel sangue si raggiungono tra un’ora e mezzo e 3 ore. L’ibuprofene si lega in larga misura alle proteine plasmatiche, si distribuisce a livello tissutale e nel liquido sinoviale. L’emivita plasmatica della molecola è di circa due ore. L’ibuprofene è metabolizzato nel fegato in due metaboliti inattivi e questi, unitamente all’ibuprofene immodificato, vengono escreti dal rene sia come tali che coniugati. L’eliminazione dal rene è rapida e completa. L’ibuprofene viene escreto nel latte in concentrazioni molto basse. 5.3 Dati preclinici di sicurezza Non vi sono ulteriori informazioni su dati preclinici oltre a quelle già riportate in altre parti di questo Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (vedere paragrafo 4.6). 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE 6.1 Elenco degli eccipienti Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia senza zucchero Polisorbato 80, glicerina, sciroppo di maltitolo, saccarina sodica, acido citrico, sodio citrato, gomma di xanthan, sodio cloruro, aroma arancia, bromuro di domifene, acqua depurata. Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero Polisorbato 80, glicerina, sciroppo di maltitolo, saccarina sodica, acido citrico, sodio citrato, gomma di xanthan, sodio cloruro, aroma fragola, bromuro di domifene, acqua depurata. 6.2 Incompatibilità Non pertinente. 6.3 Periodo di validità 3 anni Periodo di validità dopo la prima apertura: 6 mesi. 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione Nessuna particolare. 6.5 Natura e contenuto del contenitore Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia senza zucchero Flacone color ambra in polietilene tereftalato (PET) con tappo e sottotappo in polietilene con chiusura a prova di bambino. Siringa dosatrice con corpo in polipropilene e stantuffo in polietilene. Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero Flacone color ambra in polietilene tereftalato (PET) con tappo e sottotappo in polietilene con chiusura a prova di bambino. Siringa dosatrice con corpo in polipropilene e stantuffo in polietilene o cucchiaino dosatore in polipropilene. È possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione Nessuna istruzione particolare. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO Reckitt Benckiser Healthcare International Ltd – 103-105 Bath Road, Slough, Berkshire, SL1 3UH (UK) Rappresentante per l’Italia: Reckitt Benckiser Healthcare (Italia) S.p.A. – via G. Spadolini, 7 – 20141 Milano. 8. NUMERO DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia senza zucchero, flacone da 100 ml:AIC n. 034102018. Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia senza zucchero, flacone da 150 ml: AIC n. 034102020. Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero, flacone da 100 ml con siringa dosatrice:AIC n. 034102259. Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero, flacone da 100 ml con cucchiaino dosatore: AIC n. 034102246. Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero, flacone da 150 ml con siringa dosatrice: AIC n. 034102261. Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero, flacone da 150 ml con cucchiaino dosatore: AIC n. 034102273. 9. DATA DI PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE Agosto 2000 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO Luglio 2009.


Dep. AIFA in data 03/12/2010

1-4

controlla la febbre e allevia il dolore 1-4 agisce in 15 minuti, fino ad 8 ore 1,2 tollerabilitĂ paragonabile a paracetamolo 4 1. Pelen F. et al. Ann PĂŠdiatr 1998; 45:719-28 2. Kelley M.T. et al. Clin Pharmacol Ther 1992; 52(2):181-89 3. Bertin L. et al. J Pediatr 1991; 119(5): 811-814 4. Bertin L. et al. Fundam Clin Pharmacol 1996; 10: 387-392


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